Casa di Carità Arti e Mestieri

B130-A4

( Continuazione )

3. Non aspettare di pagare

Ma l'uomo è giunto a tal vertice di superbia, ossia a tal fondo di abisso, da vivere il periodo parossistico della forma apparente, sotto qualsiasi aspetto essa si presenti.

Del qual periodo fu espressione pienamente tipica quel Gabriele che sta all'Arcangelo omonimo come l'annunzio del gufo al buio notturno sta all'annunzio del gallo al crepuscolo mattutino; come l'annunzio dell'agonia si contrappone all'annunzio del parto; come l'annunzio della felicità della carne s'inabissa ottuso al paragone con l'annunzio della felicità dell'anima che spazia diffuso nei cieli.

* * *

Il superbo si fa dio. Non è contemperamento di anima e di corpo, per cui questo è orientato a misura e quella a dismisura.

È l'opposto. L'anima è dimenticata: rimane il corpo.

Perciò il superbo non può essere che dio dell'effimero, dell'apparente, dell'appagamento dei sensi: dio di tutto ciò che finisce.

E questo volersi fare dio della terra ( in quell'ambiente esteso o ristretto dov'egli vive ), lo fa inevitabilmente terra, frammento di minerale, isolandolo dagli altri, rendendolo opaco, compatto e stagno: occhi senza pupilla, orecchi senza timpano, cuore senza orecchietta.

È un mostro che non ha bisogno di vedere fuori verso gli altri, né di udire o sentire verso l'esterno: perché vede, ode, sente solo se stesso.

In quel mostro così fatto, senza vene né arterie, tutto il sangue si ritrae per insaccarsi coagulato dentro il cuore.

Senza pulsazioni. Gelido. Il cuore c'è, esiste, sì; ma solo in sé, solo per sé.

Ignora il Creatore e disprezza la creatura.

Si sostituisce a quello e si vale di questa come di oggetto.

È l'epoca del senza carità.

Sia grande o piccolo, l'uomo si guarda, si ascolta, si sente.

Su un'immagine, su un modello, si capisce. Ma nel vano, nel fatuo, nell'apparente.

La signora e la signorina camminano, guardano, parlano come scimmie dell'ultima artista di grido; lo studente e l'impiegatino assumono pose da eroe filmistico; l'operaio ed il commesso ripetono fino alla noia frasi fatte e smorfie meccaniche; il padrone e il dirigente, con la sicurezza che dà la pancia piena, s'impancano a Morgan o a Rotschild.

Tutti superuomini. Tutti grandi. Tutti primi. Tutto falso, tutto stonato, tutto vuoto, tutto rimbombante.

È l'epoca del prodotto in serie, basso costo e molto guadagno.

Della pubblicità, del rumore. Che è suono di corpo.

Fra Leopoldo vede tutto questo. Vede bene. A distanza. E perché il suo sguardo colga nel segno, gli è sufficiente la luce naturale della mente rivolta con obbiettività, nel pensiero di Dio, al fenomeno sociale.

Il semplice è quanto mai perspicace nel dedurre dalla serie sillogistica delle cause e degli effetti l'ultima conclusione.

Non è minaccia quella di fra Leopoldo, quando si avvede di parlare al vento; no.

Egli termina prima degli altri il calcolo preciso delle vicende in atto e anticipa la soluzione.

Il suo sillogismo è questo. Col rapidissimo accentuarsi della produzione industriale, è sorto e cresciuto gigante il fenomeno proletario.

Occorre comprenderlo nelle sue giuste esigenze, di posto rispettato nella società e di proporzione adeguata nel benessere.

L'avvìo a questo senso obbiettivamente caritatevole è rappresentato dall'istituzione di Case di Carità Arti e Mestieri in tutto il mondo, dovunque siano centri industriali, per l'educazione morale e tecnica degli operai.

È l'avvìo al livellamento sociale nel rispetto e nella concordia.

Se non vi si giungerà, oltre ad aver mancato ad un preciso dovere, verranno allontanate da Dio le masse operaie e scatenate contro la ricchezza materiale.

Non si esiti dunque a profondere le ricchezze nella fiducia in Colui che è ricco per tutti, per non incorrere nel rischio di " pagare nel pericolo l'esistenza con la morte immatura ".

La predizione è fosca. È predizione di urto violento.

L'appello angoscioso è senza risposta. Dagli uomini.

Ma risponde Gesù: « Non siamo due amici? »

* * *

Quando la massa è senza pupille e senza timpani, non si vive: si ruzzola.

Non si vive: si rotola. Al rotolare è freno il povero: quello che non si ribella, ma s'inginocchia; quello che si rassegna e reagisce in bene; quello che, avendo dato e fatto tutto quello che può, guarda alla Provvidenza.

Quel povero ha due aspetti: chi è sprovvisto e chi si contiene per provvedere agli altri.

Quel povero pare, ma non è solo. Ha la forza dalla sua. Fa da freno. Ed è un freno valido.

Perché è nell'amicizia di Gesù. Perché è guidato dalla mano sua. E frenerà.

Voce estranea