Crocifisso con Cristo

B133-A3

Noi non comprendiamo i Santi. Talvolta non crediamo neppure loro.

Ciò avviene perché non abbiamo la loro perspicacia istintiva delle cose divine, e manchiamo di quella prospettiva soprannaturale, che da loro il tono esatto, il nitido rilievo e l'intrinseco valore delle cose umane: elementi tutti, codesti, che derivano dall'applicazione del criterio di eternità.

Il quale è, in definitiva, l'unico definitivo.

1. Lo spirito di penitenza del Santo

Questo pensiero soccorre alla mente nella ricerca di una spiegazione soddisfacente, quando vogliamo approfondire lo spirito di penitenza di San Giovanni Battista de La Salle.

Non lo afferriamo, forse perché non penetriamo nei motivi profondi, nei moventi reali che spronavano il Santo.

E perciò siamo sconcertati per attitudini e per espressioni, che ci appariscono esagerate, anche quando le vediamo avallate da tutta una vita.

Infatti, se c'è una cosa che desta ben presto l'attenzione nostra leggendo la vita del Santo Fondatore delle Scuole Cristiane, è precisamente questa: il disprezzo di se stesso, l'ansia di mortificazione, la sete di sofferenza, l'allegrezza nell'umiliazione, alle quali s'informa tutta quanta la sua esistenza, dagli albori della sua attività apostolica fino all' « adoro in tutto la volontà di Dio », ultimo sorso del calice amaro di una vita passata in perpetua contraddizione: nel dolore e nell'angoscia venuti talvolta donde meno c'era da aspettarseli.

E quando l'accanimento contraddittorio concedeva un pò di tregua, se ne stupiva il Santo, armava il braccio di discipline da far rabbrividire, macerava il corpo e si dava ai più bassi esercizi: in tal modo da trascinare con l'esempio quei Fratelli della prima ora, i quali, stimando non abbastanza grave compito il lavoro opprimente di una scuola polverosa, trasformavano la Comunità in un monastero di vita contemplativa, alternando la preghiera a pratiche di penitenza, che più di una volta parvero eccessive.

L'esempio del Padre e l'impegno di imitazione dei figli erano spinti a tale oltranza che ne trassero occasione i nemici del Santo per screditarlo davanti alle Autorità ecclesiastiche.

Tanto più siamo sconcertati quanto più sentiamo di avere davanti a noi un'anima che non perse - l'affermazione è del suo biografo più autorevole -, l'innocenza del Santo Battesimo; la cui vita passò senza soluzione di continuità in un invariabile fervore, poiché subito, fin da bambino, il Santo intuì la bellezza della virtù e la gloria del servizio di Dio.

E lo abbracciò con volontà ferma, senza fiammate di entusiasmi effimeri, ma pure senza svenevolezze facilmente spiegabili in una natura di signore, nata tra sete e lini preziosi, in una culla di testiera araldica.

La mano amorevole e provvida del Signore andava facendo luce sul sentiero della sua vita.

Ed egli, come lo vide chiaro, lo percorse senza esitazione, anche se si appigliassero agli spini del cammino lembi di salute e brandelli di cuore.

E quando il sentiero si fece buio, lo illuminava tuttavia il blando chiarore della lampada del Tabernacolo, animando a continuare col vigore che viene infuso nell'anima dal digiuno del corpo, sottomesso dalla morsa di una disciplina prolungata.

Vita dunque sottomessa al Signore, costantemente, docilmente, amorosamente.

Nessun traviamento di gioventù da riparare; nessuna passione inalberata da reprimere.

In lui tutto appare naturale, equilibrato.

L'unica cosa che appare fuori del normale - santo squilibrio! - è questa ossessione per il ritiro, per la preghiera, per la penitenza che costituiscono la trama della vita, interiore di un uomo di formidabile azione verso l'esterno.

2. Parziali influenze sulpiziane

E non si dica che, appartenendo ad un'epoca determinata, il Santo, forse, non facesse altro che seguire la traiettoria imposta dalla visione particolare di un gruppo di mistici e foggiare quindi il suo modo di essere sullo stampo dei principì della dottrina ascetica in voga.

Ciò spiegherebbe con visuale scientifica un aspetto solo e non, neppure minimamente, l'essenza dello spirito del Santo Fondatore.

Certo è che San Giovanni Battista de La Salle appartiene in pieno, per educazione e temperamento, alla scuola sulpiziana.

È evidente che nel suo metodo di Orazione mentale scopriamo facilmente orme profonde del cammino seguito nel Seminario sulpiziano.

È vero che quando negli scritti del Fondatore leggiamo la esposizione dello spirito dei misteri, dell'unione con Cristo, dello stato di Gesù nell'Eucaristia come vittima, ecc., ecc., ci sembra leggere Bérulle o Condren od Olier.

È insomma esatto che, sotto l'aspetto ascetico, la scuola sulpiziana si caratterizza per austerità un po' rigida epoco attraente.

Tuttavia questo non basta. È spiegherebbe soltanto, alla fin fine, una semplice coincidenza determinata dalla vicinanza e dalla formazione, una educazione sulpiziana che non c'è motivo di negare, una partecipazione ad una specifica scuola ascetica.

Sarebbe, in sostanza, un autore ascetico di più che aggiungerebbe forza ad una corrente di moda.

Il Fondatore, invece, nell'aspetto penitenziale che ci occupa, è molto di più.

Fa mettere i piedi per terra alla teoria. Imprime alla sua vita un modo di essere che ha, senz'altro!, coincidenze parziali con le idee della scuola ascetica francese del tempo.

Ma osiamo affermare che codeste coincidenze non lo accompagnano oltre la metà del cammino, quando ancora il santo non si fa strada su terreno eroico.

Coincidenze di formazione, certo.

E perciò puramente materiali, non formali nel senso scolastico dei termine.

3. Professione di penitente

Nel Fondatore lo spirito di penitenza - questa è la parola: spirito di penitenza - informa tutta una vita.

Tanto da fare di lui niente meno che « una forma di vivere », attuando « una professione ».

Per convincersene, basta leggere i capitoli che nella Collezione di trattatelli riguardano « la mortificazione dello spirito », « la mortificazione dei sensi », « la penitenza » e la luminosa e commovente « Professione di penitente ».

Li cito limitandomi a fare riferimento a qualche testo concreto al quale rimandare il giudizioso lettore, come a quelli che ritengo più rappresentativi.

D'altra parte, passi simili sono seminati a manciate in tutta la produzione ascetica ed anche pedagogica del Santo.

È il suo modo normale di esprimere, di vivere, di sentire e di pensare.

Da quella lettura, meditata ed assaporata, emerge che è connaturato nel Santo il sentimento di confusione che si accende alla vista del peccato messo in rapporto con la grandezza infinita e l'infinita santità di Dio.

Quel sentimento è vissuto e come respirato dal Santo.

Il quale per esso si arma il braccio e per esso si inabissa in un'umiltà, le cui espressioni possono apparire infondate ad uno spirito superficiale.

Per quel sentimento egli è obbligato a « far penitenza tutti i giorni della sua vita e considerarsi sempre ed in ogni occasione come povero e miserabile peccatore ed indegnissimo penitente ».

Per quel sentimento egli è condotto a « conformarsi oggi a tutte le disposizioni interiori di Gesù Cristo Vittima, per fare penitenza con Lui come uno dei suoi figli, come parte delle sue membra ».

Per quel sentimento egli è determinato - il Santo è sempre pratico, fino alla minima sottigliezza del suo ordine ascetico - a prendere una risoluzione pratica, che dovrà avere esecuzione nello stesso giorno « affinché Dio, che è infinitamente giusto e che non deve perdere alcun diritto sopra le sue creature, non esiga, nell'altro mondo, vendetta completa e rigorosissima riparazione ».

È la Professione di penitente che fa da chiave e che mette a fuoco la personalità ascetica del Santo; che gli fa fare « atti di riparazione alla giustizia ed alla santità di Dio, che ho offeso con i miei peccati ».

Le formule, lo si vede bene, continuano ad essere berulliane; lo spirito e l'intensità sono essenzialmente, tipicamente lasalliane.

Ci spieghiamo perfettamente così, perché il Santo Fondatore scriva con suprema sincerità nell'articolo 1° del Capitolo V delle Regole Comuni: « Non ci sarà in questo Istituto alcuna mortificazione corporale che sia di Regola ».

Per spiegare questa discrepanza di teoria con la pratica sua e dei primi Fratelli, non c'é bisogno di dire quale dura mortificazione sia la classe, perché occorra ancora imporre l'obbligo del digiuno e delle macerazioni a uomini sfiniti da sana fatica ingrata ed oscura.

Lo spirito che nella mente del Fondatore deve animare qualunque opera d'un Fratello è spirito penitenziale, di confusione continua, di dolore e di vergogna.

In tali condizioni l'attività diventa una filigrana espiatoria piena di contenuto penitenziale, del quale mancherebbe una mortificazione esteriore che non fosse animata da quello spirito.

Se c'è spirito, non mancherà penitenza, come fu dimostrato appieno dai Fratelli contemporanei del Santo.

Per di più, fa bene il Santo a rinfrancare lo spirito di penitenza dei suoi Figli con le « Dieci pratiche di mortificazione » e con le « Dieci pratiche di umiltà », di ambiente eroico come la Professione di penitente stessa.

Per chi segua il Santo, la vita intera è un gemito di dolore, una prostrazione perenne e confusa dinanzi alla presenza ed alla grandezza d'Iddio, la cui santità lo riempie di santo sgomento, infondendo un sentimento di intimo pentimento e di compassione addolorata, che sprona l'anima ad approfittare avaramente di tutte le occasioni per dare alle opere un contenuto di riparazione e di espiazione.

4. Il Crocifisso, causa finale

Visto cosi il Santo: da un lato senza debiti gravi da espiare e dall'altro con uno spirito tanto umile di penitenza che basterebbe da solo a caratterizzarlo, non si può che convenire che la sua penitenza - in quanto disinteressata - esprime un potere di tal suggestione da spingerci a cercare la sua vera causa, la sua causa finale.

E non è difficile trovarla. Basta ascoltare attraverso i suoi scritti il cuore del Santo per sentire che tutto il suo essere trabocca di un amore riverente che in nessun modo esclude la più profonda tenerezza per Cristo Signor Nostro.

Amore basato sulla conoscenza e adesione alla Persona adorabile del Signore e fortificato dalla sua unione allo spirito dei misteri della Vita, Infanzia, Insegnamenti e soprattutto Passione e Morte del divino Redentore.

I dolori di Cristo nella Passione: ecco la causa finale ed esemplare insieme dello spirito di penitenza di San Giovanni Battista de La Salle.

La meditazione dei patimenti di Cristo strappava allo stile di lui, ordinariamente ordinato, ragionatore, freddo, com'è naturale in un uomo del suo secolo e della sua nazione, slanci di puro ed emozionante lirismo.

Saranno sufficienti due testimonianze: la prima del suo biografo Blain.

Dall'ampollosità dei suoi atteggiamenti retorici trarremo una causa: i patimenti di Cristo; ed un effetto: la sete di umiliazioni del Santo: « La sua divozione ed amore ai patimenti di questo amabile Salvatore non erano meno ammirevoli; per esperienza sapeva il piacere che vi si trova; aveva lì il suo rifugio in ogni pena.

La vista di tutto quanto Cristo soffrì, gli rendeva sopportabili e preziosi i disprezzi che il mondo non gli lesinava …

Persuaso che è necessario uniformarsi a Cristo Crocifisso e partecipare perciò dei suoi dolori per poter aspirare alla sua gloria, incitava i Fratelli a superare le pene considerando quelle del Salvatore degli uomini.

Cristo Crocifisso era il libro che voleva far leggere ai suoi discepoli, ad imitazione di San Francesco, e voleva che Cristo fosse la materia continua delle loro meditazioni ».

L'altra testimonianza è del Santo stesso, deliziosamente emozionato e che pure ci presenta l'amore al Crocifisso e la penitenza in rapporto di causa ed effetto: « Per soddisfare quest'obbligo ( di fare penitenza ) decisi di portare sempre con me l'immagine di Gesù Cristo, vittima sovrana del peccato, di contemplarla e di baciarla spesso, perché con i suoi amabili sguardi interiori rinnovi in me il ricordo dell'obbligo che ho, di far penitenza ».

Il Crocifisso: amore, grande, appassionato, del Fondatore!

Dice il Blain: « Sempre aveva sott'occhio un crocifisso, unica decorazione che si permetteva, a sé ed ai Fratelli, in camera ».

Monumento perenne della sua divozione ardente alla Passione del Salvatore sono quelle espressioni di affetti che i Fratelli recitano due volte al giorno e nella cui orazione finale si insiste sul rapporto decisivo fra l'amore a Gesù Crocifisso e l'ardore della vita penitente: « O buon Gesù, che avete sofferto per amor nostro un'infinità di obbrobrii e di umiliazioni incomprensibili, imprimetene profondamente la stima e l'amore nei nostri cuori e dateci un ardente desiderio di imitarvi nella vostra santa vita. Così sia! »

« Quanto a lui, mentre la recitava, lo faceva con divozione così profonda e viva da ispirare nei più tiepidi compunzione e dolore dei peccati » ( Blain ).

Spirito di penitenza è in lui frutto di amore.

San Giovanni Battista de La Salle è, nel suo secolo, il gran penitente tra i penitenti, perché tra le anime amanti del Signore fu, la sua, perdutamente innamorata del suo Dio, il cui volto augusto, con divina cupidigia, cercò in ogni anima e su ogni anima si gettò con angoscia di cuore per ritrarvi l'immagine del Crocifisso.

Questa fu la sua penitenza, perché questo fu il suo amore.

E questo è il suo messaggio.

Hno. Manuel S. C.

Colegio del Sagrado Corazón, Tarragona ( Spagna )