La grazia "pedagogica" d'un Fondatore

B159-A1

Invito ad uno studio

Ho riletto, per scrupolo di coscienza, il capitolo che il Postulatore generale, Fr. Leone di Maria, ha dedicato al Fr. Teodoreto come educatore, e convengo pienamente sull'esiguità delle testimonianze offertegli da confratelli, ex alunni, estranei, come sulla fondamentale motivazione del piccolo numero delle medesime: aver prevalso in Lui, l'aspetto del fondatore e del religioso perfetto1.

Alla domanda postami « se possa parlarsi di una pedagogia di Fratel Teodoreto e, nel caso, quale essa sia stata », rispondo affermando che la grazia di stato, in un fondatore d'un istituto catechistico, come quello del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata, è da presumersi eminentemente pedagogica, e di per sé soprannaturalmente feconda nell'obbedienza ch'essa esplicita agli ordini ed ai disegni di Dio, specificatamente rivolti a creare la coscienza d'una determinata vocazione religiosa.

È dessa, infatti, non solo una presa di conoscenza di se medesimi, che potrebbe anche esser data dalla « folgorazione » improvvisa della grazia; ma ancora, un'apertura « personale » sul mondo, che implica la scelta della nostra libertà, e pertanto, come una « maturazione » del disegno di Dio su di noi, in noi stessi, che non si compie, per l'ordinario, se non sotto la guida di chi conosca questo disegno e, per così dire, lo incarni, ed abbia inoltre la mansione specifica di « costruirlo ».

La grazia propria dei Fondatori è di non perdere nessuno di quelli che Dio « da » loro; dopo di essi, maggiore, forse, è il numero delle vocazioni « perdute » che non quelle « salvate », e tra quest'ultime, esiguo affatto, quelle compiutamente esplicitate.

Ora formare l'uomo, non solo alle attività, ma alle ragioni della vita, a « vedersi », cioè e « adeguarsi » nella propria missione, singola ( « I catechisti … professano con la parola e con l'esempio la dottrina del catechismo cattolico mostrandola viva, operante, adeguata ad ogni stato, condizione o ambiente sociale » ) e comunitaria ( « … la santificazione nel mondo dei propri membri e l'apostolato catechistico e sociale », cfr. Reg. e cost; aa. 1 e 3 ), è certo, lo scopo essenziale d'ogni educazione.

Ma benché la vocazione, in genere, e questa di cui ci occupiamo in specie ( « Pro eis sanctifico meipsum ut sint et ipsi sanctificati », Gv 17,19 ) sia tutta pregna di istanze pedagogiche, dubito che possa esprimersi nei comuni schemi d'una dottrina dell'educazione, perché nel fatto religioso prevale la grazia, la quale perfeziona la natura ( Sum. theol., Ia, 1, 8 ad 2 ) senza che questo suo attemperarsi al nostro ordine ( IIa IIae, 31, 3 co. ), la renda dialettizzabile neppure sulla base dell'unità della sostanza umana, cui essa aderisce ( P, 8, 3 arg. 4 ).

La grazia di stato esiste e, com'è definita dalla teologia cattolica, agisce nel campo soprannaturale e subordinatamente, in quello della natura rispetto al fine ultimo e a ciò che ad esso conduce; ma ad es., l'ascendente sulle anime, che è quasi tutta l'attualità dell'educazione ( « Vi ho scelti di mezzo al mondo, perché ad esso andiate ed il vostro frutto sia copioso », Gv 15,16; cfr. ivi, 5 ), pur rivelando note personali e caratteristiche, rimane chiuso nel fatto e doppiamente suggellato dalla impenetrabilità della persona e dal mistero della grazia.2

Ci si può rifare ai doni naturali, che si prestano a qualche determinazione anche estrinseca alla persona: ma essi non sono che germi o disposizioni, non sempre, né ugualmente presenti, che devono comunque, perché naturali, essere coltivati e sviluppati con l'esercizio, lo studio, l'esperienza riflessa.

Per questa via potremmo forse risalire ai Suoi studi, alla Sua formazione e a qualche dato caratteriale, indicazioni preziose, suffraganti le contingenze esteriori dell'opera Sua.

Certo, Fratel Teodoreto ha fatto scuola, e poi, diretto maestri, e infine, dato vita a forme educative che si possono dire, per certi aspetti nuove; ha studiato, e nei limiti del possibile, s'è informato; gli era di certo familiare la « Norma delle Scuole cristiane » e le « Meditazioni sull'impiego della scuola » del suo santo Fondatore, e in genere il movimento pedagogico del suo Istituto; ha « riflettuto » e quel che più conta, davanti a Dio, prima e dopo la scuola, sull'andamento delle lezioni, sulla « vita » d'una classe, d'un corso, ed ha fatte le sue scelte sinceramente, serenamente; ha provato e riprovato …

Perché credo che pochi abbiano sentito come Lui quanto, nell'opera educativa, ci si trovi sempre sprovveduti di fronte ad un caso che appena si annunci un po' complesso; davanti ad una anomalia di sviluppo psichico e morale riscontrata nell'alunno; nei confronti delle esigenze stesse che la vita ecclesiale, familiare, sociale porta nella scuola …

Basti pensare che durante le nostre ore di religione, Egli andava in Cappella a pregare per noi, certo per esserci più vicino nella nostra fatica, di cui forse, meglio di noi comprendeva le difficoltà.

Vero è che sul piano soprannaturale, ogni cristiano, ed a forziori il Sacerdote e il religioso, hanno « una disposizione incoativa », per dirla con il Casotti, all'opera di educazione, basata sul buon senso, sulla comune esperienza, sulle intuizioni della carità; e soprattutto, riserve e risorse pressoché infinite, dovute al fatto di non essere e di non sentirsi soli, nel loro compito ( « Dei enim sumus adiutores; Dei agricultura estis », 1 Cor 3,9 ): secondo la propria formazione spirituale, infatti, e specialmente nella misura della loro unione a Dio, posseggono una disposizione, che può dirsi propriamente soprannaturale, la quale congiunta all'efficacia del loro esempio, costituisce una forma tipica di educazione, quella che siamo soliti dire cattolica o religiosa, caratterizzata dal fatto di agire sull'animo dell'alunno in modo che, senza coartazioni, sia chiamato a formarsi, a « farsi » cioè, secondo la dottrina e la vita dell'unico Maestro, il Cristo, del quale e nel contempo, è discepolo anche l'educatore.

È sostanzialmente questa la « pedagogia », nel senso di educazione, di Fratel Teodoreto e nel grado eminente della sua perfezione e santità; ma non è chi non veda l'ampiezza e la profondità d'una teologia pedagogica, che senza ignorare l'uomo, potenziandolo anzi nella sua stessa umanità, in quanto è ordinata ad esprimere l'immagine del Figlio di Dio fatto uomo, nell'uomo medesimo non cerca che Dio, o con formula equivalente, l'umanità del Cristo e la perfezione della creatura chiamata, nel tempo, a comporsi il suo destino eterno.

Ora, questa finalità, investe tutti gli indirizzi, è presente in tutte le forme, quali ch'esse siano, dell'attività educativa, anche se non si esplicita se non a misura ch'è sentita come un'esigenza di Dio, che ci sollecita e quasi ci provoca, negli incontri quotidianamente ricorrentisi, e che in noi non inciderebbero, se da noi non attendessero una soluzione, o la collaborazione almeno, certo, la nostra « presenza ».

Gli indirizzi dell'opera educativa di Fratel Teodoreto furono molteplici, sia riguardassero la scuola popolare e gratuita ( a Lui si deve, secondo la citata biografia, ad es., il sopravvivere e forse la ricostruzione della R.O.M.L, cfr. pp. 154-155 ); o l'istruzione professionale con la Casa di Carità per le Arti ed i Mestieri ( cfr. D. Conti, Esperienze prò grammatiche di una scuola per operai, in Riv. Las., voi. XXXII, p. 250 ss. ); sia, soprattutto la formazione ascetico-pedagogica e sociale dei suoi discepoli, 3 con i quali stava dando vita all'Istituto secolare dei Catechisti ( cfr. C. Tessitore, Notre Institut séculier, in Riv. Las., voi. XXV, p. 166 ss. ).

È evidente che quest'ultime segnino l'acme di tutta l'opera sua educativa, poiché non gli sfuggì certo che cosa Dio volesse dal suo istituto.

Nato sullo schema lasalliano - laici, al servizio della scuola popolare, con i vincoli votali dello stato religioso, ma senza la vita comune - l'Istituto secolare doveva inserirsi come organo d'istruzione catechistica e di educazione cristiana, nel più vasto tessuto della Chiesa, in seno alla quale sola, ogni « corpo » acquista una fisionomia e finalità proprie, divenendo, com'è Essa stessa, una « comunità personale », dove il singolo è tale per là sua relazione con il Cristo, e quindi « unicamente » se stesso.

L'Istituto secolare non doveva essere né il terz'ordine, né una provincia della Congregazione lasalliana.

Questo spiega il « sensus Chrìsti et Ecclesiae » di cui Fratel Teodoreto, certo divinamente ispirato, improntò l'opera sua, tanto che riandando a talune sue conferenze, specie una non dimenticata catechesi d'un prolungato ritiro;

ricordando la sua insistenza per la vita e la pratica sacramentale come fonte e forma d'ogni efficacia nell'apostolato;

la sua venerazione, fino al distacco della propria opera, di fronte al lento muoversi delle Gerarchie, delle Congregazioni romane; all'opposizione di parte, sia pure esigua, del clero, e religioso e curiale, al suo Istituto;

e ripensando a talune fasi dell'opera sua presso la sua stessa Congregazione ( un accoglimento così pieno d'incertezza da esser assai prossimo al rifiuto ) ed alla sua condotta che, a più d'uno, parve persino esiziale ( in quanto, scontato ormai un troppo lungo tempo d'attesa, come maturazione, anche il dono si sarebbe potuto ritenere revocato ) mi viene fatto d'individuare così il tracciato generalissimo, e non per tanto concreto, della sua pedagogia, nel senso su indicato:

educare al senso della Chiesa, meno come verso una forma gerarchica, che non come all'organo della comunicazione della vita cristiana, per cui l'uomo - la massa dei fedeli, degli umili - riprende la sua funzione cosmica, d'esser cioè, nel mondo, come l'anima nel corpo, di esser « l'anima del mondo », « l'anima che vivifica il mondo » ( com'è detto nella Lettera a Diogneto ), continuando il « magistero profetico » del Cristo, facendoci banditori, laici tra i laici, del magistero ecclesiastico - del catechismo, - il nostro spirito all'unissono con quello di Gesù Cristo ( s. G. B. de La Salle non chiama lo Spirito Santo, lo Spirito di Cristo? Méth., p. 57 ), la nostra vita animata da Lui, né solo conformandoci allo spirito e alle disposizioni di N. S. G. C., nei misteri dell'Incarnazione, ma perché lo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio, agendo di persona, secondo la promessa del Cristo, in noi e con noi, faccia più autentica la vita teologale delle cose stesse ( il lavoro, le gioie e le pene terrene ) innalzate nell'anima nostra come aneliti alla visione di Dio, e pertanto affrancate dall'opprimente schiavitù del male.

Anche s. G. B. de La Salle aveva inteso, ai suoi tempi, di riscattare maestri e scolari dall'avvilente miseria delle servitù temporali, dall'ozio, dalla fame, dall'ignoranza e dal vizio, creando le premesse alla coscienza d'una missione e d'una azione sociale, con la scuola, l'impiego, l'educazione religiosa e civica, rivolte tutte « alla riabilitazione del povero », non già per arricchirlo, ma per ricondurlo all'umana dignità di figlio di Dio, e portatore di perenni valori alle realtà stesse della sua esistenza terrena.

« Quando il nostro spirito, - aveva ammonito l'Aquinate, - si volge alle realtà temporali, per acquietar visi, ne rimane oppresso; ma quando si volge ad esse in ordine al conseguimento della beatitudine, non ( solo ) non ne rimane oppresso, ma piuttosto le innalza » ( Sum. theol., IIa IIae, 83, 6 ad 3 ).

Con tale concezione educativa, era naturale il ricorso al potere di santificazione della Chiesa, considerata non come una realtà esteriore, ma nella interiorità della Grazia, perché è in essa ch'io svolgo le potenze soprannaturali della fede, della speranza, della carità, che a loro volta si fanno il mezzo e lo strumento della « vita e della salvezza del mondo ».

Il Cristo e la Chiesa sono una cosa sola: la grazia del Cristo si chiama Battesimo, Penitenza, Comunione, Cresima, Matrimonio, Ordine, Estrema unzione, - tutta la vita, dunque, e tutta nella Chiesa, dalla culla alla tomba, e con meraviglioso rispondersi del presente alla Realtà futura, da cui, invero, propriamente, prende l'essere anche quella quotidiana, come il dovere professionale ad es., o l'uso delle cose; - ma prima che l'ultimo sacramento muti la situazione estrema nell'atto dell'ultima e suprema accettazione, vi è il quotidiano sacrificio del Crocifisso, che si continua, attraverso i tempi.

Il Cristo crocifisso nei poveri, angariato nei deboli, tradito negli innocenti, falsificato negli ignoranti, rinnegato nei pavidi, invidiato negli illusi, odiato negli insataniti; per cui il Suo sangue si coagula con tutto il dolore, con tutte le lagrime, con tutte le maledizioni del mondo …

Ma chi giunge fino a Lui, chi s'innesta, con la Chiesa, che è il grande sacramento di Dio nel mondo, nel vivido rivo di quel Sangue, sente rifluire in sé la vita, il dolore aprirsi nell'aspettazione del bene, le cose, rimarginate le piaghe del peccato, che le deturpano, splendere come dono reciproco dell'uomo e di Dio.

Tutto confluisce all'Altare, tutta la Chiesa ricapitola in un unico sacrificio; tutto ripete il Cristo con una offerta sola.

Certo tutto ciò non è possibile che nella Chiesa; ma neppure è possibile per l'uomo ritrovare se stesso, fuori che nel Cristo; ne il Cristo è altrove che nella sua Chiesa.

Eppure, questo è il riscatto del mondo.

La società si salva in quanto gli individui prendono contatto, - in tutte le relazioni, - con la Chiesa.

Essa è già « il popolo di Dio » incamminato verso la Sua città.

Sono crollate le piccole polis della città antica, e i grandi imperi conquistatori; si parla oggi, di organismi soprannazionali.

La Chiesa è già cosmica fin dal suo nascimento: « Voi siete il sale della terra; la luce che non si spegne … ».

I metodi, in queste grandi aperture teologiche, non contano che nel loro temporaneo adattamento: la vita crea le sue forme; quelle sole si rivelano valide, che attingono la realtà profonda che si agita nella vita, e la vita non si agita che al soffio creatore di Dio, o a quello d'un Suo profeta.

Non ha detto molto, intorno alla pedagogia, - Lui, che si schermiva di conoscerne così poco,4 - ma ci ha lasciato, credo, di più.

Una visione che, attraverso il suo s. Fondatore, per tanti lati a lui così congeniale, si riallaccia al prim'evo cristiano, quando era ancora fresco il messaggio di Cristo e di contro alla paurosa potenza degli imperi pagani ed a quella più temibile dell'impero di Satana, ch'entrava nei cuori, i fedeli, forse già numerosi, ma non molti, certo, non i più ricchi e neppure i più dotti, forse, comunque, la più parte popolo minuto - i poveri del Vangelo, - mormoravano senza albagia, ma con saldissima fede: « Noi siamo l'anima del mondo », « l'anima che vivifica il mondo » ( Ad Diogn., VI, 1, 7 ).

E come Pietro, riassettavano le reti. E come Paolo, intrecciavano cordami.

Presso il banco del falegname, cresceva un piccolo Gesù, per la speranza di domani.

Perché nessuno ha mai dubitato che la salvezza del mondo non debba venire dagli umili.

Cristo si è rivolto a loro. E Jeova, che aveva dovizia di sacerdoti e re e profeti, fa dire ad Isaia: « Il popolo ha veduto una gran luce » ( Is 9,2 ).

Ma solo i Santi intendono appieno la ragione di quella preghiera del divin Salvatore: « Ti ringrazio, o Padre, che queste cose, tu le abbia occultate ai potenti, e rivelate agli umili » ( Lc 10,21 ).

Concezione conturbante sulle prospettive d'un piano pedagogico, anche e specialmente ai nostri giorni, e che l'uomo tosto sofistica con progetti di scuole professionali, dove s'impari un mestiere, ma non le ragioni della vita.

Ed è ancora un tradimento dell'uomo - del povero - quando dopo avergli insegnato l'uso dello scalpello, non sa perché non debba preferirgli il grimaldello.

Mentre gli uomini disputano se esista una pedagogia, Fratel Teodoreto si apre, con la Chiesa, ad un visione cosmica dell'educazione umana, che non è tale se non per l'esplicitazione del divino che l'uomo porta con sé, e con lui, portano le cose.

« Casa di carità per le arti e i mestieri » è la Sua insegna programmatica ( tutte le cose, vanno amate con amore di carità, anche la tecnica ed i suoi ritrovati ): quel ch'è amato, con carità, sarà una casa, per l'uomo, non una prigione.

È questa la fucina dove si crogiola un metallo assai più prezioso di quel che non possiamo trarre dalle vene della roccia: l'amore, che di qui, infiammerà il mondo, e foggerà sulla sonante incudine ( e non importa che siano aspri, i cunei del fuoco ) la società di domani.

Senza sogni « messianici », ma con la certezza che con Cristo non va perduto né una lagrima, né un canto.

Per noi. Per i nostri fratelli.

Fratel Emiliano


1 Fr. Leone di Maria, post. gen.le, Fratel Teodoreto, A. & C., Torino, 1956, pp. 151-167.

2 ) È evidente che un Santo educa cristianamente, cioè ha una visione teologica dell'educazione, quale viene offerta dalla Rivelazione, e ad essa subordina il fatto educativo, come tecnica ed arte: la caratteristica personale non potrebbe, pertanto risultare che dal rapporto tra il dato proprio di qualsiasi conoscenza pedagogica e la sua utilizzazione sul piano rivelato. È qui che l'« Unus Magister vester » ( Mt 23,8 ) ha la sua più ampia e specifica applicazione, l'unità nella varietà, che il cristianesimo è « umanesimo integrale », dell'uomo, cioè, come lo « vuole » Dio, e quindi, anche nel suo sviluppo storico, che s'interpunge delle sollecitazioni e delle realizzazioni, che Dio ispira aI suoi Santi « profeti del loro tempo », i quali pongonO l'accento su questa o quella esigenza della Sua città terrena, la Chiesa e il popolo cristiano.

( 3 ) Ma, per lo studio cui prelude il presente scritto, non si dovrà neppure trascurare la Sua opera presso i confratelli, nella direzione dei Corsi di ritiro spirituale ( d'un venti, trenta giorni ), per l'emissione dei voti e delle « professioni » religiose dei nuovi soggetti; anzi, per conto mio, di qui, crederei di rifarmi, limitandomi, per ora, ad accennare che avevamo certamente maestri più dotti, ma non così persuasivi: con i primi si discuteva svagati, divertiti o crucciosi, con Lui, si pregava ed eravamo posti immantinente a tu per tu con noi stessi; bisognava, talvolta, sforzarci non poco, per passare ad altro, o anche per dimenticare taluni suoi interrogativi.

4 ) Così, testualmente, Fratel Teodoreto contemperando un suo bei giudizio sul « Manuale di pedagogia per l'insegnamento della Religione » del compianto Fr. Norberto, stampato a Torino, dal Berruti, nel 1921 ( e ristampato nel 1928 ); e poco diversamente schermendosi di scrivere per la Rivista lasalliana, sul tipo di educazione operaia proposto dall'U.C., concluso con un semplice: « … quello della Chiesa, come vuole il santo Fondatore ».