Come morì Fratel Teodoreto

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Non ho mai più avuto sotto mano questi appunti, dopo il maggio del '54.

Ora che si avvicina il compimento del decimo anniversario della morte di Fratel Teodoreto, li ho cercati nel fascicolo che lo riguarda e me li sono fatti leggere.

Mi è parso che ne possano trarre vantaggio i lettori del Bollettino per ammirare e far proprio l'esempio che ci ha lasciato per ultimo testamento il Servo di Dio.

Questi appunti sono il diario fedele delle mie visite al San Giuseppe, nel maggio del '54, dalle prime avvisaglie della malattia fino alla morte ed alle esequie del Fondatore dell'Unione Catechisti.

Incominciai a scriverli con la mattina del 12 maggio, quando deposi ogni speranza nella sua possibile sopravvivenza al male.

Essi vengono riprodotti in queste pagine, laconicamente, così come furono annotati allora.

5 maggio 1954 - Poco prima delle 18, al termine della solita riunione delle Zelatrici, Giovanni Cesone mi dice: « Debbo andare al Collegio San Giuseppe: vuol venire con me? ». Andiamo.

Sull'ingresso ci viene incontro Fratel Cecilio: « Due ore fa, Fratel Teodoreto si e sentito poco bene. Ora è a letto, per prudenza, nella sua camera ».

Sembra trattarsi di malessere non grave.

Salgo subito con Fratel Cecilio. Cesone ci raggiungerà dopo.

Il Servo di Dio era coricato; aveva indosso una flanella spessa di lana grigio scuro, con maniche lunghe fino ai polsi; le braccio distese sulla rimboccatura bianca; la fronte e le guance arrossate, d'un rosso acceso, a chiazze, come di congestione.

Gli occhi stranamente freddi mi fissarono intensamente, come se non mi riconoscessero.

« Fratel Teodoreto, vede un po' chi c'è qui? È Sales! ».

Ha mosso il capo, sollevandolo sul cuscino, una, due volte, dal mezzo all'uno ed all'altro lato, dov'è più gonfio, sempre guardandomi fisso, senza riconoscermi, senza sorridere.

Non so perché. Mi sono sentito a disagio.

E, detta qualche parola di saluto e di conforto, sono sceso in infermeria per parlare con la suora addetta.

C'era. Mi Ha spiegato com'era andata.

« Verso le 16, viene da me Fratel Teodoreto, con aria mortificata: "Suora, mi è successa una disgrazia.

Si è rotto un vaso che mi è caduto di mano. Le dita non tengono. Non so. Mi sta succedendo come l'altra volta!".

Era serio. Non sorrideva. Mi pareva sconvolto.

"Stia tranquillo, Fratel Teodoreto. Gliene darò un altro che non si romperà. Intanto, si metta a letto".

« Lui si avvia subito alla scala che sale al piano di sopra.

Io penso ai suoi ottani'anni e gli faccio prendere l'ascensore, accompagnandolo ».

Molto probabilmente, con quella constatazione: « mi sta succedendo come l'altra volta », ha voluto alludere al grave disturbo circolatorio dell'agosto 1949.

Ma, allora, alla suora accorsa prontamente sullo spiazzo antistante la Villa Nicolas, pur non potendo parlare, aveva sorriso, come per dire: « Non è nulla di grave », perché non si allarmasse.

Invece, oggi, no non ha sorriso. Ha forse avvertito qualche sintomo nuovo, di più grave difficoltà?

6 giovedì - Chiedo notizie.

Mi viene comunicato che Fratel Teodoreto è stato portato giù, in infermeria, per ordine del medico.

Tuttavia, non si tratta di stato grave.

7 venerdì - Bisogna lasciar tranquillo l'infermo, che segue a puntino tutte le prescrizioni mediche, per dovere di ubbidienza e nella speranza di poter, assistere domenica alla celebrazione del quarantennio dell'Unione.

8 sabato - Sonò le 14. È al telefono Francesco Fonti. « Fratel Teodoreto ha avuto un attacco, a mezzogiorno. Mezz'ora fa, gli è stata amministrata l'Estrema Unzione. È senza conoscenza ».

Corro al San Giuseppe. Il Servo di Dio è immobile, sul suo lettuccio d'infermeria; la parte destra del corpo colpita da paralisi.

È stato molto agitato dalle 13 alle 14; meno fino alle 15; nuovamente, molto agitato fino alle 16, con un continuo movimento convulso della mano sinistra, come se cercasse qualche cosa sotto le coperte per lasciarla poi cadere fuori, scotendo le dita.

Intorno, ci sono parecchi catechisti.

Mi viene spiegato: Fratel Teodoreto ha avuto dal medico il permesso di alzarsi a mezzogiorno per colazione.

È andato a lavarsi le mani nel lavabo attiguo ed è stato colto da malore, scivolando di traverso senza conoscenza, inclinato verso destra e battendo la fronte sulla cornice destra della porta.

Viene telefonato subito alla Casa di Carità, dove sono raccolti i catechisti in cappella per la recita della supplica alla Madonna di Pompei.

Il presidente si rende subito conto della gravita del male, ma non esita a confermare che le celebrazioni quarantennali di fondazione dell'Unione devono avere ugualmente corso domani.

Egli spera … Uscito alle 18,15, son tornato alle 21,30, rimanendo fino a mezzanotte.

Alle 22,30, una telefonata urgente da casa Tessitore. Il presidente è appena uscito cinque minuti fa.

La sorella Rina è stata successivamente colpita due volte da gravissimo malessere circolatorio, con complicazioni di paralisi e fuori di sensi.

Siamo smarriti, ci guardiamo l'un l'altro senza parlare. Povero presidente!

Proprio alla vigilia del quarantennio … Non basta l'infermità di Fratel Teodoreto …

Ora arriva a casa, con quest'altra sorpresa … Conti dovrà dunque rappresentare domani il Fondatore e il presidente.

9 domenica - Massaia ha vegliato fino alle cinque.

Sono intercorsi due peggioramenti, uno verso le due, l'altro verso le quattro.

Alle undici, terminata la cerimonia celebrativa, raggiungo in tram il San Giuseppe.

In infermeria ci sono già Conti, Cesone, Demaria, Rollino, Bagna e Monari.

Ci sembra che il nostro caro malato stia meglio e ci riconosca, quando lo salutiamo ad uno ad uno, tutti.

È mezzogiorno. Cesone recita il "Laetare, Regina Coeli, alleluja"!

Poi, preso coraggio, per dissipare un po' l'aria di mestizia che grava sull'ambiente, si avvicina al letto dell'infermo e, additando Monari, dice sorridendo: « Lo conosce, è vero? È Monari. Ricorda, signor Direttore, quando lei mi tranquillò agli esami di ragioneria, dal timore della prova orale di matematica?

Lei mi rassicurò così : "Vedrai che sarai interrogato su quello che avrai ripassato cinque minuti prima dell'esame".

E così fu. Monari che aveva fatto da ripetitore, mi fece incidentalmente ripassare - mentre aspettavo il mio turno - la tavola dei logaritmi. E su quella fui interrogato ».

Il Servo di Dio sorride. Ma allora è vero! Capisce! Siamo tutti sollevati.

Pomeriggio. Ci sto dalle 14 alle 20. Pare che il miglioramento persista.

Ma il medico scrolla il capo. « Non c'è da farsi illusioni! ». Lo ripete anche la mattina del giorno dopo.

10 lunedì - Solero, angosciato, nel somministrare una medicina, esclama: « Ma deve rimanere ancora con noi. Devo pur fare qualche cosa per lui. Ero disperato e m'ha consolato! ».

Sono giunti quattro Fratelli: tre della casa di Rangoon, birmani, ed uno di Penang, un francese, Frère Henry.

Mi chiamano in portineria e li accompagno su.

Li metto al corrente della malattia di Fratel Teodoreto, concludendo che un giorno considereranno una grazia speciale quella di averlo visto.

"You will remember this day!". Rimango al San Giuseppe fino alle sedici.

Poi accompagno gli ospiti da Don Bosco ed alla Casa di Carità Arti e Mestieri.

Ritorno alle 19,30. Nessuna novità.

11 martedì - Ore 11,30. Sono stato prima con i quattro Fratelli arrivati ieri.

Poi, di nuovo, sempre con loro, al San Giuseppe. Trovo Fratel Teodoreto più in forze del giorno precedente.

Ieri, mi pareva mi avesse riconosciuto tre volte, ma non ne ero sicuro.

Ma oggi sì che ne sono certo: mi ha riconosciuto. Che commozione!

Lo saluto festosamente. Gli dico: « Prego tanto Iddio, perché La faccia rimanere ancora a lungo con noi ».

Lui, alza la mano come per accarezzare, la mia. Gliela stringo forte forte.

« Non ci lasci, sa?, caro signor Direttore. Che cosa saremmo noi mai senza di Lei? ».

Apre gli occhi di cielo. Sorride: ha i lucciconi. Non so perché.

Mi pare che quel velo di lacrima mi abbia ribattezzato.

Il Fratel Teodoreto morente

Nel pomeriggio non torno più. Sono sempre impegnato con i nuovi arrivati.

Pure, m'informo di quando in quando. Mi viene detto: lo stato permane grave.

Può durare così anche dei giorni. Ma io spero, spero sempre.

Poi: il cuore è migliorato. Verso sera, circola voce d'allarme. Si dissipa.

Cesone è già stato una volta fino alle tre del mattino: ieri, infatti, mi è parso assai stanco, e non sta bene.

Ma ci vuole stare anche qualche ora di questa notte.

Va via all'ora della prima Messa. Notte agitata.

12 mercoledì - Ore 8,30. I Fratelli sono partiti. Posso stare sempre col Servo di Dio.

È calmo. Però il movimento quasi continuo della mano sinistra, portata fin dietro alla nuca e lasciata scivolare sulla guancia, sul mento, sul petto, si è ridotto molto di frequenza.

Non lo fa che qualche volta. Non gli riesce quasi più.

C'è Ughetto. Aiuto la suora e lui a togliere all'infermo flanella e camicia, a pulirli, ad infilargli altra flanella ed altra camicia.

Nel tirargli giù la flanella, procuro di non toccargli la pelle della schiena.

Quel corpo mi pare cosa sacra. Ma, se devo dire tutto, voglio anche evitare una sensazione spiacevole, quella d'un corpo prossimo a disfacimento.

Perché, ormai, spero ancora, sì, ma nel miracolo.

Solo Iddio gli può prolungare la vita … Mentre penso così, le dita toccano, sfiorano la pelle sotto la schiena.

Nonostante quattro giorni di degenza, è freschissima, vellutata, come quella d'un bimbo.

Ho una tale impressione di castità che dimentico ciò che stavo facendo.

Ne sento una gran dolcezza, una gioia intima, profondissima, come se un flutto di santità mi avesse fatto tornare, anche me, bimbo.

Ne lodo Iddio. Ho avuto come una riprova che la castità non lascia corrompere il corpo.

Anche Ughetto ha avuto la stessa impressione.

Portano un telegramma della Santa Sede, in questi termini: Augusto Pontefice invia di cuore infermo Fratel Teodoreto particolare benedizione implorando auspici copiosi aiuti e conforti divini.

Prosegretario Montini

Alle 10,15 giunge il Cardinale Arcivescovo, Eminenza Maurilio Fossati.

Si avvicina al lettuccio. Dice tre volte: « Sono l'Arcivescovo. Sono venuto a darLe la benedizione! ».

Alla quarta, pare che il Servo di Dio capisca: gli da e stringe la mano.

Cesone suggerisce di chiedere a Sua Eminenza il consenso a murare la salma nella Casa di Carità Arti e Mestieri, poiché il Fratel Anacleto, Visitatore, ed il Fratel Dante, Direttore del San Giuseppe, hanno già acconsentito.

Al che il Cardinale Arcivescovo fa presente di non avere quella facoltà ed invita a rivolgersi a Roma.

Sono nuovamente solo col Servo di Dio. Gli dò la mano, perché senta che c'è qualcuno con lui.

In questi giorni è stata recitata più volte, in ginocchio, intorno a lui, la Divozione a Gesù Crocifisso.

P. Piombino l'ha benedetto ed assolto più volte.

Fratel Angelo ha l'idea di far prendere una fotografia.

Il Direttore acconsente e vuole che anche noi, Cesone ed io, stiamo accanto al letto: alla destra del malato Cesone e Fratel Stanislao; alla sinistra, il Direttore Fratel Dante ed io.

Il Servo di Dio è tranquillo: si fanno quattro chiacchiere, a bassa voce, intorno a lui.

Fratel Angelo ricorda il letto di Fratel Teodoreto, in un corridoio di Santa Pelagia e racconta che una volta Fratel Macedonia fu aggredito da fortissimi dolori di ventre, improvvisamente, non so più se in studio o in classe.

Niente di più pressante per Fratel Aquilino che far coricare il dolente nel letto più vicino: quello di Fratel Teodoreto. Detto fatto.

Ma, appena coricatevi dentro, Fratel Macedonia scatta come una molla: « Non ci posso stare, qui! ».

Nel letto c'erano delle punte di ferro …

E la suora d'infermeria, di rimando: « Quante cose potrei dire, anch'io! Mi ubbidiva come ad un superiore.

Mi chiedeva: "Posso andare in cappella a pregare?".

« Una volta mi accorsi che aveva sostituito il cordoncino della sua vecchia cipolla con un legaccio da scarpe.

« In gennaio, quando stette male, ci avvedemmo che non portava flanella ( a ottantatre anni! ) e c'erano quindici gradi sotto zero, ma soltanto una camicia verde, la solita, di flanella.

Furono comprate subito due maglie di lana pesante, comode e lunghe, che egli gradì molto. "Le porterò sempre !".

« Un giorno entrò un ragazzo in cucina d'infermeria: portava calzoni eccessivamente corti e gambe scoperte.

Il Servo di Dio mi s'avvicinò, delicatamente, chiedendo: "Ne è disturbata? Me lo dica con semplicità. Io provvederei". Gli risposi rassicurandolo.

« Dopo la degenza di quest'ultimo inverno, veniva sempre a prendere il caffè in infermeria. Poi s'infilava, quasi sgusciando, nella stanzetta di degenza.

"Che cosa farà mai? Andrà a pesarsi?". Tutti i giorni. Una volta, lo seguo. Lui, sta contemplando il letto.

"Fratel Teodoreto, vuoi bene a quel letto?". "Sì - risponde - mi ha fatto del bene. Mi ha insegnato molte cose" ».

Ore 17. Sono sempre rimasto qui. Padre Piombino recita le preghiere di sostegno dell'agonia.

Dei visitatori s'inginocchiano ai piedi del letto, pregano e vanno.

La contessa di Sambuy ha pianto molto. Dev'essere venuto anche l'ingegner Bertelone, ieri.

Conti conduce il rosario. Fratel Teodoreto ne accompagna la recita così, non potendo parlare: con movimento lento, ma preciso, quando i recitanti pronunciano la parola "Jesus", la mano sinistra si solleva al petto, sul piccolo crocifisso che reca il paziente; quando "Amen", la mano scende ridistendendosi lungo la gamba.

Sincronicamente per circa due diecine. Poi, il movimento si fa a poco a poco più tardivo fino a cessare del tutto.

Ore 20. Biamonte mi fa andare a cena a casa sua.

Alle 21 ritorno e sono mandato con Cesone da Fratel Dante al "Nostro Tempo", da Monsignor Chiavazza, per comunicargli notizie dell'infermo.

Ci raggiunge in ufficio una telefonata di Fratel Dante: « Il Sindaco Avv. Peyron è venuto ancora a vedere il malato ed ha riferito che proporrà alla Giunta di far fare i funerali a spese del Comune ».

Ore 23: di nuovo al San Giuseppe. Moto della mano, lento. Respiro quasi superficiale, come se non s'alzasse dalla cavità. Mani, fredde : sempre più fredde.

13 giovedì - Ore 0,30. Non vorrei andar via. Ma Cesone è molto stanco e Conti mi pare sofferente. Vorrebbero rimanere.

Dico: « Ma può andare avanti fino a domani, fino a giorno. E ci vorrà pure chi lo assista ».

Così, ce n'andiamo tutti e tre, dopo esserci raccolti un po' accanto al nostro caro signor Direttore.

Rimangono Giovanni Fonti e Solero, accanto al letto. Fratel Cecilio riposa vestito in una cameretta attigua, pronto a qualunque chiamata.

Restiamo intesi che ci verrebbe telefonato nell'imminenza del transito.

Ma, se anche ci chiamassero, non arriveremmo in tempo.

Ore 5,30. È Fonti al telefono: « Fratel Teodoreto ci ha lasciati poco dopo le tre! ».

Faccio due telegrammi: uno per Frère Joseph a Neuchàtel, l'altro per Frère Macorat a Ciney.

Ore 9: sono al San Giuseppe. Sull'ingresso, m'imbatto in due persone che escono.

Una dice con voce sommessa: « Non credevo che si potesse piangere d'ammirazione! ».

Non le conosco. Perché se anche la mia vista offesa mi impedisse di riconoscerle, certo le avrei almeno riconosciute dalla voce.

Salgo in infermeria. C'è Vigna che ricava la maschera di gesso del nostro Fondatore.

È già arrivato il parroco di Vinchio d'Asti.

Scendo nell'ufficio di Fratel Arcangelo. Batto delle note necrologiche per Monsignor Chiavazza, Direttore del "Nostro Tempo".

Mi raggiunge Conti e compiliamo insieme l'annuncio funebre per la stampa cittadina.

Trasportati come siamo dall'affetto, dalla venerazione, dalla intima persuasione personale di avere avuto per maestro un santo, concludiamo il testo con queste parole: " … trae conforto dalla speranza che Iddio abbia glorificato il suo Servo in Cielo e gli uomini ne glorifichino presto in terra la santità della vita".

( Continua )

Gaetano G. di Sales