Laici e santità

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Beato Giuseppe Moscati

« Ogni incanto della vita passa. Resta solo eterno l'amore, causa di ogni opera buona, l'amore che sopravvive a noi, che è speranza e religione, perché l'amore è Dio » ( da una lettera ).

Una vita breve: 47 anni.

Una vita di avvenimenti normali, nella esistenza di uno studente e di un professionista medico.

Di straordinario, se così possiamo dire, ci furono delle doti di grande scienziato, di professore eccellente, di valente medico e di professionista onesto.

Il tutto può rientrare nel quadro di tanti illustri medici che furono e sono il vanto di questa professione.

In Giuseppe Moscati si aggiunge, centro catalizzatore e ispiratore di pensiero e di vita, una grande fede.

Ed è questo tocco che tutto investe in lui: azione, insegnamento, rapporti, tenore di vita e che fanno di lui una figura particolare che ancora può dire qualche cosa a quanti, nella normale vita di laici, intendono costituire in unità di vita e di azione, professione e fede.

Nasce a Benevento il 25 luglio 1880, settimo di nove figli del Presidente del Tribunale della città, Francesco Moscati e di Rosa De Luca dei Marchesi di Roseto.

In casa Moscati la vita trascorre serena, ma non si può dire che non vi manchino le pene.

Dei 9 figli, 3 muoiono in tenera età.

Due zii muoiono nel terremoto di Casamicciola del 1883.

Più tardi un altro figlio, Alberto, morirà a soli 33 anni dopo un lungo periodo di sofferenza.

Quando Giuseppe raggiunge i 4 anni, nel 1884, il padre è promosso alla Corte d'Appello di Napoli e la famiglia con i 6 marmocchi vi si trasferisce prendendo alloggio in un appartamento di via Santa Teresa, presso piazza Dante, proprio nel centro di Napoli.

La vita vi trascorre nella normalità: il papa in tribunale, la mamma nelle faccende domestiche, i più grandicelli a scuola, Giuseppe e i più piccoli in casa.

L'istruzione elementare gli viene impartita in casa: dimostra prontezza di ingegno, vitalità esuberante insieme ad un cuore d'oro e a una non comune sensibilità.

A 10 anni, il 27 dicembre 1890, si accosta per la prima volta all'Eucaristia.

Ed è veramente, per lui, l'inizio di una famigliarità con Gesù che si continuerà tutta la vita.

In estate la famiglia Moscati lascia Napoli e si porta alla casa estiva di Sermo, in provincia di Avellino, paese natale del papa.

Superato come privatista l'esame di ammissione alla scuola media, nel 1889, Giuseppe inizia il ginnasio presso il R. Liceo Vittorio Emanuele II a Napoli dove già studiano i suoi fratelli Gennaro ed Alberto e nel 1894 ottiene la licenza ginnasiale.

Si iscrive al liceo e continua a dimostrare impegno di ragazzo serio, pur manifestando gaiezza di carattere e di parola che lo fa ricercare dagli amici.

L'ambiente liceale è permeato di laicismo e di ateismo che potevano provocare un forte disorientamento nei giovani.

Giuseppe trova nel sostegno della famiglia e nel quotidiano incontro con Gesù nell'Eucaristia, la forza per superare le difficoltà e per trovare in sé la forza di affermare con serenità ma con fermezza, le proprie convinzioni anche in ambiente ostile.

Realizza cosi non solo una preparazione professionale, ma anche una preparazione ad una linearità di condotta che lo distinguerà anche in futuro e in ambiente ugualmente deviante.

In quel tempo la famiglia è turbata dall'incidente capitato al fratello Alberto: brillante tenente dell'Accademia Militare di Torino, cade da cavallo a Ciriè durante un concorso ippico.

È appena ventenne e l'agonia di una salute irrimediabilmente compromessa che richiede assistenza e sorveglianza continua per il ripetersi di violenti e improvvisi attacchi, si protrae per 13 anni.

E una lunga e pesante croce che, accettata cristianamente, rafforza e cementa ancor più la famiglia.

Giuseppe partecipa intensamente al dolore e all'impegno della famiglia e trascorre lunghe ore vicino al fratello malato.

In questo periodo frequenta il Liceo e nel 1897 consegue la maturità classica con ottimi voti.

Nello stesso anno si iscrive alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Napoli: ha 17 anni.

Il segreto di questi suoi anni sta nell'aver fatto una scelta: pone Dio e la sua legge sempre al primo posto anche quando il farlo costa sacrificio.

Da suoi scritti di età matura possiamo dedurre su quali linee orientative si muovesse la sua vita: amorosa partecipazione con i sofferenti, anelito di sanare con il corpo le sofferenze dello spirito, intima convinzione della necessità di dimostrare, nel campo della cultura, che al sapere scientifico nulla tolga e molto contribuisca un cattolicesimo ben inteso, lealmente e apertamente vissuto.

A questo lo allenarono altri dolorosi avvenimenti.

Nello stesso anno 1897 muore improvvisamente il padre e la famiglia si trasferisce nella casa di via Cisterna dell'Olio n. 10, in un caseggiato di vecchio stile napoletano, vicino alla Chiesa del Gesù Nuovo: a ciò è mossa anche dalle accresciute difficoltà economiche a cui deve far fronte una famiglia ancora in crescita e priva del padre quattro sono i figli che studiano e Alberto è sempre più bisognoso di cure.

Giuseppe studia e si prodiga in casa per il fratello.

Professa sempre più apertamente e con matura convinzione la sua fede.

Non si isola ma è amante dell'amicizia serena e disinteressata ed è di piacevole compagnia.

Sa aprirsi al bello e all'arte: si diletta di pittura cogliendo in tavolette, caratteristici paesaggi partenopei.

Ha anche particolare attitudine per la musica: suona il pianoforte e il mandolino e si concede talvolta lo svago di assistere a qualche concerto sinfonico al Conservatorio o, ancor più raramente, ad un'opera lirica seguita con orecchio da intenditore, dal loggione del S. Carlo.

Nell'arte troverà, anche in seguito, un distensivo riposo dall'instancabile attività professionale.

Il 4 agosto 1903 consegue la laurea in Medicina e Chirurgici a pieni voti e con dignità di stampa.

Subito è impegnato nella cura della mamma che, in seguito a prolungato deperimento, è in gravi condizioni, intraprende la carriera ospedaliera presso l'Ospedale di S. Maria del Popolo degli Incurabili, il più grande e più antico nosocomio di Napoli, in via Luciano Armarmi 21.

Ogni giorno dalle 8,30 a sera resta in Ospedale e si distingue per pronto intuito, acutezza di diagnosi e soprattutto per la comprensione e la carità verso i malati.

Il suo programma di vita trova il suo consolidamento in un ambiente di imperante socialismo e di massoneria sempre pronta e di positivismo materialista.

Sa lottare e conquistare.

L'anno dopo muore il fratello Alberto ed è un nuovo dolore per la famiglia e soprattutto per la mamma.

Nell'aprile del 1906 l'eruzione del Vesuvio allarma Napoli e dintorni.

A Torre del Greco gli Ospedali Riuniti hanno una succursale di vecchi ricoverati.

Il giovane dottor Moscati comprende il pericolo, vi si reca quando comincia a calare dal cielo l'uragano di cenere e lapilli e trasmette al direttore l'ordine di immediata evacuazione, aiutando a trasferire i degenti sugli automezzi.

Pochi istanti dopo il completo abbandono delle corsie, il tetto dell'Ospedale crolla sotto il peso della cenere accumulata.

Torna a Napoli, sporco di polvere e cenere, affaticato ma con lo sguardo sereno.

Pari spirito di abnegazione e di carità dimostra durante il colera scoppiato a Napoli nel 1911.

La sua preparazione e la completa dedizione gli consentono notevoli affermazioni: nel 1909 è assistente ordinario all'Istituto di chimica fisiologica, nel 1911 consegue la libera docenza in chimica fisiologica ed è nominato primario degli Incurabili, nel 1922 sarà libero docente di chimica medica generale.

Instancabile, svolge un lavoro ingente durante la guerra 1915-18.

Richiamato alle armi col grado di Maggiore, è scelto quale direttore del Reparto Militare dell'Ospedale a cui affluiscono numerosi soldati feriti e dirige contemporaneamente reparti speciali quali quello di anatomia patologica, e quello dei tubercolotici, sostituendo colleghi richiamati al fronte.

Quante anime aiuta, quante ne riporta a Dio con la mitezza, l'amore, l'umiltà che accompagnano la sua azione sicura e competente di medico!

L'affetto e la stima che riscuote non li ferma alla sua persona, ma sa facilmente dirottarli verso Dio.

« 25 novembre 1914, alle ore 17, la mamma mia vola al cielo con una morte di santa, quale era sempre stata.

Signore sia fatta la tua volontà! Signore abbi nella tua gloria l'anima di mamma »: con queste parole scritte sulla sua agenda di quell'anno ricorda il nuovo grande dolore.

E resta solo! Era favorevole al matrimonio e più volte aveva parlato ai suoi discepoli della bellezza e della gioia che può dare un focolare benedetto da Dio e ravvivato dall'amore.

Aveva dinanzi agli occhi vivo l'esempio della propria famiglia.

Un nome è rimasto nel cuore del giovane Moscati; il nome di una fanciulla di ottima famiglia che gli fece balenare la serena prospettiva di formarsi una famiglia.

Fa la sua scelta: nel 1914 all'età di 34 anni, davanti all'immagine della Madonna del Buon Consiglio nella Chiesa delle Sacramentine fa voto di rinunciare ad ogni affetto terreno per consacrare tutta la sua esuberante carica affettiva a Dio nei fratelli poveri e sofferenti.

Lui stesso ci confida che, in età più matura incontrerà nuovamente la signorina che « aveva riempito i sogni dei suoi primi anni giovanili, ed ella non lo sapeva », perché ricorsa a lui per cure.

A una precisa domanda della paziente risponde di non averla mai incontrata prima « ed ho compiuto il mio dovere umanitario tranquillamente, nobilmente, senza che vibrasse al cuore corda dentro di me ».

Generoso nella consacrazione, eroico nella fedeltà: il buon soldato ha superato la prova del fuoco.

Continua ad abitare in via Cisterna dell'Olio n. 10 e vi apre lo studio medico in una cameretta angusta, disadorna nella casa fattasi ormai molto ampia.

Accanto a lui è rimasta la sorella Nina che si consacra alla vita domestica per il fratello e all'insegnamento elementare nelle scuole più squallide di Napoli e al catechismo agli scugnizzi.

Continua e approfondisce il proprio aggiornamento culturale medico, favorito anche dalla straordinaria conoscenza delle principali lingue straniere.

Appena trentenne è già considerato una celebrità per i suoi studi e le sue notevoli pubblicazioni scientifiche.

Giornali italiani ed esteri cominciano ad apprezzare il giovane dott. Moscati che considerano propagatore e ricercatore attento delle molteplici possibilità di applicazione della chimica alla medicina, ed è considerato il precursore della moderna biochimica.

Partecipa al Congresso Internazionale di Fisiologia a Vienna e Budapest nel 1911, e a quello di Edimburgo nel luglio-agosto del 1923.

Di questo viaggio che lo porta in Inghilterra, Francia e a Lourdes in devoto pellegrinaggio, esiste vasta documentazione nel diario di viaggio e nelle numerose lettere scritte ai familiari.

Il 19 luglio 1923 passa da Torino e scrive: « Ore 11 del 19 luglio 1923. Arrivo a Torino.

Oggi, mio Dio, sono stato senza di Te! … Ho rivisto Torino; ma difilato sono andato al Duomo ( S. Giovanni Battista ) ed ho riveduto la bellissima Cappella della SS. Sindone del P. Guarino Teatino.

Innanzi a quella reliquia insigne mi sono prostrato; mi ricordavo quanto Gesù Cristo aveva patito per noi tutti e per me! - 20 luglio 1923 ( venerdì ).

Alle ore 6,30 mi reco alla Chiesa di S. Carlo dei PP. Serviti; ed ho così l'agio di ascoltare la Messa ( anzi due! ) e di accostarmi alla SS. Comunione.

Penso al mio carissimo Alberto, fratello mio, volalo al Ciclo, dopo anni di malattia, trascorsi santamente, e per lui, mamma, che venne ad accompagnarlo a Torino insieme con Gennarino. Mi comunico con Dio! ».

Affiora da queste pagine predominante la presenza costante del pensiero di Dio che lo fa uscire nel grido nostalgico più volte ripetuto: « Anche oggi, senza di Te, mio Dio! ».

Non poteva, infatti accostarsi all'Eucaristia ogni giorno come era sua abitudine.

La sua vita trascorre tra ospedale e studio.

La giornata inizia alle 5 del mattino quando scende dal 3° piano di Via Cisterna e si reca alla S. Messa: vi si ferma per una o due ore.

Poi si reca all'ospedale o all'Università fino alle 13.

Al pomeriggio rimane in ambulatorio in casa fino alle 16: l'anticamera dello studiolo è sempre affollata di ogni età e di ogni ceto.

Il resto della giornata è dedicato alle visite domiciliari.

Esercita la professione non per lucro, ma quasi gratuitamente, spesso rinunciando all'onorario, anzi lascia cospicue offerte per medicine e altre necessità di malati indigenti.

« Parlano sempre di onorario - diceva spesso - Ci pensano tutti con tanta preoccupazione, mentre io lo considero proprio l'ultima delle cose meritevoli di qualche considerazione ».

La vera preoccupazione per lui è di curare le piaghe del corpo per alleviare le ferite dell'anima.

« Beati noi medici, scrive in una lettera, tanto spesso incapaci di allontanare una malattia, beati noi se ricordiamo che, oltre i corpi, abbiamo di fronte delle anime immortali, per le quali ci urge il precetto evangelico di amarle come noi stessi; lì è la soddisfazione e non nel sentirci proclamare risanatori di un male fisico ( quando per lo più la coscienza ci ammonisce che il male guarì da sé ) ».

Il Beato Bartolo Longo, suo cliente e confidente, su una busta a lui indirizzata dal Moscati, scrive: « Il Professor Giuseppe Moscati, suo apostolato divino è di concorrere con Cristo alla salvezza delle anime.

Come S. Cosmo, egli è medico dei corpi e delle anime ».

Insegna pure all'Università dal 1911 fino alla morte.

Alle lezioni assistono non solo studenti, ma medici, infermieri, suore e talvolta illustri clinici che riconoscono in lui non solo il maestro ma anche e soprattutto l'educatore che, pur coltivando scienze positive e già assurto a fama nazionale, ravvisa nella grandiosità e bellezza della natura l'opera e la potenza di un Dio che egli era solito chiamare « Divina Provvidenza ».

Molti sono quelli che lo seguono di letto in letto, attraverso le corsie dell'ospedale.

Parla con voce pacata, avvincente, che penetra profondamente nell'animo e spicca tra la folta schiera dei discepoli per la sua ormai caratteristica capigliatura tutta bianca.

La domenica mattina molti studenti si recano con lui alla S. Messa ogni volta in una chiesa diversa.

Il Professore illustra le bellezze artistiche dell'edificio, dimostrando una eccellente cultura architettonica e artistica, poi spiega il Vangelo del giorno e qualche parte della S. Messa.

Tra i molti significativi incontri merita di essere ricordato quello con Enrico Caruso, la voce più bella d'Europa, che nel 1921 torna dall'America in Italia, gravemente ammalato e si ferma all'albergo Tramontana di Sorrento.

Viene chiamato il Professor Giuseppe Moscati.

La diagnosi che fa è precisa e purtroppo senza speranza.

Enrico Caruso muore cristianamente a Napoli, riconciliato con Dio.

Il Moscati gli ha detto schiettamente: « Lei, Signore, ha consultato tutti i medici, ma ha dimenticato di consultare il più potente: Gesù Cristo! ».

E Caruso lo consultò per la sua anima.

È abituale questa seconda diagnosi spirituale dei malati a cui segue la cura: « Confessati e comunicati! Vedrai che starai meglio! ».

Ed è il miglioramento spirituale che, anche se il male fisico continua, da all'infermo nuova serenità.

Anche per la sua vita il sostegno quotidiano è la Comunione in cui dice di trovare « una energia che non viene mai meno, neppure di fronte a difficoltà insormontabili ».

Nella professione che esercita è abituato a guardare la morte, che incontra più volte, con occhio sereno; per questo non la teme.

La mattinata del martedì santo 12 aprile 1927 trascorre come il solito: S. Messa, Ospedale.

Torna a casa alle 13, consuma il frugale pasto preparato dalla sorella Nina e subito comincia le visite in ambulatorio.

Verso le 15 si scusa e si ritira nella sua stanza.

Accorre la sorella Nina e lo trova sfinito, sudato, pallido su una poltrona vicino al letto.

Con un filo di voce disse: « Mi sento male, sospendo le visite. Dammi qualche goccia di laudano ».

Quando la Nina torna con il mano il bicchiere, trova il fratello inanimato, col capo reclinato sulla spalla destra, le broccia serrate in croce sul petto, il volto sereno.

Tutta Napoli si commuove alla notizia; l'Ordine dei Medici la comunica con un manifesto: « La scomparsa così fulminea di questo insigne giovane medico che, per la sua dottrina, pel suo alto valore di clinico e di maestro, per la rara purezza dei suoi sentimenti, aveva potuto, così presto, assurgere a tanta altezza di estimazione, è gravissimo lutto della famiglia sanitaria e dell'Università Napoletana ».

Tra l'enorme folla che partecipa ai funerali c'è anche Benedetto Croce che lo conosceva e lo stimava moltissimo.

Quando lo incontrava gli diceva: « Don Beppe, non tè capisco, perché corri tanfo, dove vai? che pensi mai di raggiungere … eh, tutto viene a tempo! » ma poi confidava: « Fossero tutti così i cattolici … tutti come don Peppino … ».

Il 16 novembre 1930 la salma viene definitivamente inumata nella Chiesa del Gesù Nuovo dove ogni mattina alle 5 si recava a servire la Messa.

Il 6 marzo 1949 è introdotto il Processo per la Causa di Beatificazione; il 16 novembre 1975 S.S. Paolo VI lo dichiara Beato e lo presenta quale esempio di laico che, nella « consecratio mundi » ha percorso la via della santità.

Aveva scritto: « Tutti potranno rimanere imperituri se si dedicheranno al bene » perché « è la carità che ha trasformato il mondo ».

In quel « tutti » è chiara la visione della possibilità di santità per ogni uomo.

Giuseppe Moscati l'ha realizzata nella sua vita così semplice, permeata di normalità, di vicende comuni a molte esistenze pur se in campi diversi.

Per lui fu la professione medica in cui « il professore di alto valore di clinico e di maestro », il medico ricercato per la sua umanità e il suo disinteresse, l'amico ascoltato di medici e di studenti, il fratello avvicinato da poveri e sofferenti realizzava il suo progetto, il suo programma di vita che aveva Dio per principio, per centro animatore, per fine: amava Dio per amare il prossimo e amava il prossimo per risalire a Dio.

Coerenza di vita in famiglia, sul lavoro, nella società, nelle difficoltà, nelle consolazioni, nei riconoscimenti, nelle delusioni sintetizzata nelle sue parole: « Ama la verità! Mostrati qual sei senza infingimenti e senza paure e senza riguardi.

E se la verità ti costa persecuzione, e tu accettala e se il tormento, e tu sopportalo.

E se per la verità dovessi sacrificare tè stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio! » ( lettera del 22 luglio 1922 ).

Commuove e conquista questa simpatica figura di esuberante medico napoletano per la sua spontaneità, ma soprattutto, senza pretesa di lezione cattedratica, invita a riflettere: « La mia vita, qualunque essa sia, in qualsiasi professione e situazione, è sostenuta da ideale che mi muove? è realizzata in visione di servizio? è scandita da amore di verità? ».

Fr. Gustavo Luigi