Sintesi del libro Cultura e Santità di mons. Giuseppe Pollano

B268-A8

Ai margini del Convegno ecclesiale di Palermo

Pubblichiamo il riassunto del libro « Cultura e Santità » di mons. Pollano, approfittando del prezioso e minuzioso lavoro di sintesi di Riccardo Mottigliengo.

L'opera in esame rappresenta il contributo di riflessioni sul tema culturale apportato da mons. Pollano per il Convegno ecclesiale « Realizzare il Vangelo della carità per una nuova società in Italia ».

Riteniamo utile offrire queste riflessioni, anche se in sintesi, ai lettori del Bollettino, magari come stimolo per passare direttamente alla lettura del testo originale.

Per quanto tale lettura non sia delle più facili, e forse a maggior ragione non lo è questo riassunto, tuttavia ci auguriamo di avviare allo studio di un 'opera che, secondo quanto afferma il card. Saldarini nella presentazione del testo, « è esigente, profonda, ma certamente aiuta a pensare, aprendo stanze che meritano di essere visitate ».

Di mons. Pollano il Bollettino ha recentemente pubblicato alcune riflessioni sulla vocazione e sulla castità, ricavate da sue meditazioni in ritiri dell'Unione Catechisti.

Il testo della sintesi non è stato rivisto dall'Autore.

Don Giuseppe Pollano, Cultura e santità. Realizzare il Vangelo della Carità, Piemme, novembre 1995

Presentazione del card. G. Saldarini

É urgente investire in cultura perché il Vangelo creduto diventi storia e si faccia criterio ermeneutico ( interpretativo ) delle scelte del pensare e dell'agire.

Premessa dell'Autore

L'uomo nuovo non nasce dall'intelligenza ma dallo Spirito Santo che è Dio.

La cultura è l'uomo, lo pretende, lo possiede, gli imprime tatuaggi nella carne.

Affrontare la cultura è guardare negli occhi completamente ogni uomo.

I cristiani, in umile sinergia con lo Spirito di Gesù Cristo, sono i protagonisti dell'opera e la devono affrontare con impegno, anche come stranieri e pellegrini, ma non certo come turisti ed ergastolani.

Dobbiamo passare dall'intelligenza della santità alla santità dell'intelligenza.

Capitolo 1. Punto di partenza

É « nuovo » che l'uomo ha bisogno di una radicale ricomposizione storica dei suoi rapporti e delle sue interazioni personali.

Se una porzione d'umanità può venire oppressa e soppressa dall'altra porzione, allora che cosa è nel suo insieme l'umanità in quanto tale?

Essere Abele e Caino è una questione che va alle radici.

Bisogna in realtà renderci conto che l'esserci umano è veramente l'imperfetto del vivere.

Se dunque non ci adattiamo a convivere con il sangue altrui solo perché non è il nostro, allora è arrivato il momento di affrontare in modo ori ginale tutta la questione, abbandonando per Dio l'esserci umano come fosse patria, e accorgersi che esso è esilio.

Capitolo 2. La cultura è un tentativo

La cultura dell'uomo, il suo procedere pensandoci e facendosi, è un vasto tentativo che non include come obiettivo la riuscita, è un processo itinerante.

Dopo Auschwitz non possiamo più permetterci ogni sentimento romantico o utopico a costo di beffarci dei nostri stessi morti.

Affrontare la cultura significa contestare il suo ripiegamento sul limite stesso e sulla misura dell'uomo.

Bisogna riconoscere con alta umiltà quali passi ci hanno portato ai cumuli di oppressi e soppressi che ora della nostra cultura ci chiedono conto implacabilmente.

C'è bisogno di una post-crudeltà.

Capitolo 3. La cultura è un'ambiguità chiusa

I progressi possono consolarci come aspetti realistici e autonomi d'un cammino il cui aspetto più radicale e profondo non ci appartiene.

La malattia veramente mortale è di saper impersonare con pari vitalismo Caino e Abele, e questo ci mette continuamente nel rischio di vivere e il rischio implica inquietudine e paura .

Dire noè il nostro modo di rispondere a tale ambiguità e di qui viviamo in una cultura del risentimento, desiderosi di rivalsa, vendetta e punizione, frutto di una critica distruttiva il cui segno è l'amarezza pura e semplice.

La cultura è tale questione, irrisolvibile nella testimonianza di oppressi e soppressi.

Però c'è Dio e dalla rivelazione in Gesù Cristo sappiamo che noi potremmo con grande efficacia affrontare l'esistenza nel suo essere tentativo, limite e ambiguità, con risultati molto favorevoli agli oppressi e ai soppressi.

La cultura ci interpella, dal profondo della sua rivelazione d'insufficienza, e ci grida chiaro, insomma, che la questione radicale, l'unica questione determinante sta nella nostra scarsità d'amore.

Proprio nell'amore siamo insufficienti e approssimativi, restiamo tentativo e limite, e un bambino coccolato e un bambino impiccato possono divenire gli emblemi della stessa epoca.

Il Dio dell'amore totalizzante e totalizzato ci domanda perché continuiamo a non farci salvare da lui.

Capitolo 4. La cultura è un finto equilibrio

Il finto equilibrio, la finzione, è dunque colpa che configura la cultura degli uomini.

La sua malizia sta nell'inventarsi ragioni - corrotte - ( di Stato, di famiglia, ecc. ), capaci di mettere a disposizione della coscienza il lasciapassare per l'oppressione e la soppressione degli uomini che potrebbero restare liberi e vivi.

É l'intelligenza assertoria che inventa le credenze rifugio più pericolose di ogni menzogna ( cfr. E. Mounier, Trattato del carattere ).

Capitolo 5. Santità e cultura

Il tema della santità, partecipazione dell'uomo soggetto, alla natura di Dio, della conformità all'icona dell'Unigenito, della docilità ai dinamismi dello Spirito, è tessuto costitutivo dei ragionamenti cristiani resi possibili dalla comparsa di Gesù Cristo.

Tale insieme poderoso di eventi ha dato avvio all'operazione divinizzante destinata a sciogliere il grave enigma dell'ambiguità umana per ognuno di noi che sceglie di entrare in tale insieme salvifico con il dovuto realismo.

Bisogna avanzare, uscire dal tentativo, dall'ambiguità, dal falso equilibrio contenitori dell'andamento d'ogni cultura dell'uomo, riconoscendo che tutto questo non è semplice nostra programmazione.

Ci è ancora facile sentire troppo decisiva la proposta di Gesù Cristo nel suo proclamare ai prigionieri la liberazione.

La cultura porta dentro di sé una antichissima gelosia, e l'uomo si chiude nel bisogno di trovarvi la consistenza che non trova fino ad isolarsi nella sua dignitosa miseria ad ogni costo, anche quando il Santo si inginocchia dinanzi a lui per liberarlo.

L'ostinazione a non voler considerare il Vangelo salvezza umana solo perché vuole modificarci il cuore, diventerebbe codardia volendo evitare la grande avventura delle scelte che si potrebbero fare con immenso vantaggio di tutti, se potenziate fino a decisiòni sante, divine.

E la santità che chiama la cultura.

Capitolo 6. La conversione culturale

I cristiani devono sapere che la cultura è più ampia dell'ottimismo e del pessimismo e che si deve smettere di dire le cose belle e buone che l'uomo sa fare, o di angosciarsi di vedere le brutte delle quali è ugualmente autore e delle quali bisogna meglio responsabilizzarsi ( cfr. H. Jonas ).

Sono chiamati a sostituire nelle menti e nelle coscienze i concetti con cui sono abituati a delineare e immaginare la storia del mondo: questa è l'operazione culturale necessaria.

La storia non è lo sviluppo di piani energetici, in quanto l'energia non ha nulla a che vedere con un'interazione d'amore; solo questa invece ha la volontà di rendere comune il bene posseduto.

É questa la strada perché dall'insieme di uomini interagenti rispetto alla reciproca felicità nasca il sognato homo concors.

Ma a questo ci manca fondamentalmente una psicologia e una pedagogia dell'uomo agapico ( eppur iniziò con il « fin'amor » dei trovatori, ndt ).

La conversione della cultura come fenomeno intraumano avviene tenendo conto del fatto che il prossimo c'è ed esiste come strada verso Dio niente affatto facoltativa.

La realtà divina è amore, e perciò è accessibile e conoscibile in quanto si ama, e in nessun altro modo reale.

La cultura è chiamata all'amore incarnato e cioè non trattare più da fantasmi i molti che esistono ma non ci toccano concretamente, perché non nostri, il cuore.

Siamo interpellati oltre il rispondere irosamente che tutto ciò è stranoto e impossibile.

Dio è nella storia, e i cristiani anche, per attuare l'impossibile attraverso la fede comunitaria di un popolo e di ciascuna persona convinta di essere creatura e non crea tore ( H. U. Von Balthasar ).

Capitolo 7. La redenzione della cultura

I sacrificati stanno là a dichiarare che la cultura umana non è per nulla esperta d'amore.

La cultura deve passare dalla conversione alla redenzione, deve farsi tensione responsabile per un'altra storia nella quale la potenza del Santo accettata con nuova umiltà la abiliti a trasformare in azioni del bene le azioni del male oltre il rincrescimento e il rimorso.

La cultura degli uomini, fissando i sacrificati, non può non sottrarsi all'umiltà di dire: « tu hai ragione, Signore, e ti chiediamo la tua forza per non delirare più ».

Capitolo 8. Redenzione amore chiarificato

Gesù entrando nelle nostre culture ha posto in atto qualcosa in cui avevamo fallito, sebbene l'avessimo disperatamente tentato, svegliandoci da un grande sogno per introdurci nella sua realtà, ponendosi al centro, come magnifica riuscita, del nostro anelito umano.

Ci ha svelato che liberazione, riscatto, salvezza non erano altro che la definizione d'un amore essenziale in Lui completamente chiarificato.

Dobbiamo quindi impegnarci con intelligenza antropologica più analitica e rigorosa visto che i suoi comportamenti umani si sono rivelati in realtà sovraumani e ciò ci obbliga a rovesciare un metodo: non è più soltanto Gesù Cristo da interpretare secondo l'amore, è l'amore da interpretare secondo Gesù Cristo.

Abbiamo un compito prioritario al quale sarebbe immorale sottrarsi: riflettere su questo amore di Gesù Cristo con orizzonti esistenziali, in modo da mostrarne contemporaneamente l'efficacia a vantaggio d'ogni uomo in particolare, e il diritto conseguente a divenire etica generale.

Dopo aver inventato la ragion di stato per scusarsi degli oppressi e dei soppressi, ora l'uomo deve inventare la ragione dell'amore in riparazione.

Se la carità è il nostro modo di amare tutti, tutto e sempre, allora un'educazione diversa a noi si impone, tale da insegnarci l'abbiccì del cristianesimo, a cominciare dal precetto fondamentale dell'amore come Gesù Cristo lo ha ribadito, perfezionato e completamente realizzato secondo una prassi della carità, come unica vita evangelica della fede.

Si tratta di un ben rinnovato umanesimo in questa era della degenerazione del noi.

Accendiamo d'amore le relazioni culturali in ogni direzione.

Ponendosi Gesù Cristo con noi come « vero pane » e « vera bevanda », non possiamo certo soffocare nella nostra incredulità le possibilità del suo amore.

Anche l'elementare e risolutiva forza del « più grande comandamento » andrà riconsiderata attentamente come chiave esistenziale: dovremo addirittura secolarizzarla per mostrarne tutta l'intelligenza e la portata storica.

Capitolo 9. Cristianesimo amore verificato

É nel partecipare al genuino amore di Gesù Cristo che si trova la nostra vera onestà di cristiani.

Solo così noi crediamo con fede certa e siamo sicuri che il suo amore è una realissima forza storica della quale siamo protagonisti incaricati.

Guardando fissamente Gesù Cristo non finiremo di convincerci della sua presenza ed efficacia qui ed ora attraverso la nostra intelligenza creatrice e le nostre mani abili.

La massima povertà del popolo di Dio sta nella sua carenza di contemplazione e di profondità spirituale, almeno nelle nostre culture occidentali.

Verificare l'amore di cui siamo partecipi sarà dunque il nostro cristianesimo genuino, autentico portatore di vita e di gioia.

Di tale amore animare le culture sarà il nostro lavoro.

E l'amore così inculturato lo chiameremo biblicamente santità, fermo restando che è la vicenda umana l'unico luogo dove amore, cristianesimo, santità compaiono.

Capitolo 10. Inculturare l'amore

L'universo e la complessità delle culture che hanno la capacità di opprimere e sopprimere sottolinea che Caino se la ride delle differenze di lingue, luogo, epoca, nazionalità.

È rispetto a tale inesorabile e incancellabile omogeneità che il Santo e il Giusto ha definito se stesso e il suo popolo.

Ora tocca a noi con nuovo ardore e convinzione.

La sua inculturazione, socializzazione con noi uomini, significò per Lui non meno che sottoporsi alla Croce.

Inculturazione unica nel suo genere ma autentica.

E di questa vite che noi siamo i tralci.

Noi oggi siamo abilitati come cristiani a superare i nostri approcci sociali limitati, farci riconoscere suoi discepoli divinizzati nei loro usi e costumi, stabilire la carità come legame.

Dobbiamo affrontare, come per le costituzioni degli istituti di vita consacrata, la costituzione di tutto il popolo di Dio, ossia che la carità come anima comunitaria non sia più considerata qualità di una « vita di perfezione » e di radicalismo evangelico, bensì perfezione e radice della vita dei credenti che radicati in Cristo e nella carità si sanno e si credono.

Insomma dobbiamo comportarci come Lui si è comportato.

Capitolo 11. La « religione pura »

Dio ha reso possibile e continua a rendere possibile una religione a cui l'amore fa da anima e la testimonianza dell'amore da evidenza storica.

Non esistono dottrine tanto forti quanto al rinnovamento della propria personalità quanto quella cristiana che ci accomuna alla sorte di un uomo veramente morto e veramente risorto: Gesù Cristo è stato identicamente uomo veritiero e caritatevole.

Ci ha fatto sapere che dal punto di vista divino non è possibile abitare soltanto nella dimensione della nostra verità.

Religione pura quindi in quanto per Lui può essere capita per esperienza, non soltanto appresa con scienza, ed è capace di calare nella storia la realizzazione della benevolenza.

La cultura dei cristiani si rivela così incontenibile anche in un complesso di realtà provenienti da altre culture.

L'illusione storica potrebbe farci credere di essere cristiani perché altri lo furono, o lo sono, amando; ma l'amore non ammette trasposizioni, esistendo sempre e soltanto come attualità.

Le opere passate sono testimonianza, ma non vita che agisce sempre nuova per altri amori.

Capitolo 12. Carità e attualità

I cristiani sono chiamati ad essere esperti di attualità, dell'avvenimento umano che può aggiungere vissuto a vissuto e contribuisce all'intreccio dei destini.

Affrontare l'attualità e non limitarsi a guardarla, rispondendo agli avvenimenti con altri avvenimenti, e non con dichiarazioni di intenti, e sviluppare azioni causative di beni.

Che un oppresso e un soppresso non vengano resi tali.

Si tratta di essere concreti davanti all'icona degli oppressi e soppressi, avendo imparato nelle comunità a piangere con chi piange.

Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.

Qui cultura e carità si baciano … I cristiani sono disposti a incarnare, con la santità, tale evento?

A cura di Riccardo Mottigliengo

( Sintesi non rivista dall'Autore del libro )