Matrimonio e convivenze

B294-A7

- Vito Moccia -

Legittimità degli interventi dell'Episcopato

Tra le voci che si sono levate nel dibattito in corso sulla disciplina delle conseguenze connesse alle coppie di fatto, a mio avviso sono particolarmente sconcertanti quelle che hanno negato la legittimità degli interventi del Magistero e dell'Episcopato, come se non fosse specifico mandato della Chiesa quanto dichiaratole dal Maestro: " Quel che ascoltate sottovoce, gridatelo dalle terrazze" ( Mt 10,27 ).

E non sono mancate, anche in ambienti cattolici, prese di posizione sul fatto che i Vescovi dovrebbero "occuparsi delle cose di Dio", nel presupposto che le gravi questioni relative alla disciplina dei cosiddetti DICO, concernerebbero un'altra sfera, quella sociale e politica, con riguardo alla quale essi non avrebbero competenza.

Al di là di ogni disquisizione sull'inerenza dell'ordine morale ad ogni settore umano, per cui anche a quello sociale e politico ( altra cosa è la militanza attiva che, secondo quanto ancora recentemente ribadito dal Papa, non compete alla Chiesa in quanto tale, ma ai cattolici ), va osservato che tra le "cose di Dio" le più preziose sono proprio quelle relative ai rapporti tra le persone.

"Ama il tuo prossimo come te stesso" ( Mt 22,39 ) e alla famiglia "Essi non sono più due, ma un unico essere.

Perciò l'uomo non separi ciò che Dio ha unito". ( Mt 19,6 )

E questo con riguardo a tutti gli uomini, indipendentemente dall'essere o meno cattolici.

D'altra parte già l'esperienza giuridica romana, e da prima del cristianesimo, aveva chiara la nozione che il matrimonio fosse partecipe non solo del diritto umano, ma anche di quello divino, secondo la definizione di Modestino: "Il matrimonio è l'unione di uomo e donna e la comunanza di tutta la vita, partecipazione del diritto divino e di quello umano" ( Digesto, 23,2,1 ).

E in tempi più recenti un laico tutto d'un pezzo, ancorché cristiano osservante, A.C. Jemolo, aveva ammonito che la famiglia, e, per necessaria implicazione, il matrimonio, è "come un'isola che il mare del diritto può lambire, ma lambire soltanto; la sua essenza rimane metagiuridica". ( La famiglia e il diritto, in Pagine sparse di diritto e storiografia, a cura di L. Scavo Lombardo, Milano 1957, pp 222-241 ).

In termini più radicali, A. Rosmini, il vate del pensiero cattolico dell'ottocento, ora venerabile, dichiarava inaccettabile "che la legge esterna dello Stato possa imporsi all'amore", dato che i legislatori devono rispettare l'uomo e non devono pretendere di "avanzare le mani fino a quell'ordine di cose che non possono né raggiungere, né toccare, e alle quali appartiene il matrimonio".

Poiché come l'ordine morale è superiore ad ogni civile governo, e ogni governo deve riconoscersi a lui soggetto, così pure è superiore all'autorità civile il matrimonio. ( Del Matrimonio, pp.242-243 ).

Ma in termini ancora più perentori si è espresso San Paolo, il quale non solo è attinente alle "cose di Dio"., ma è parola di Dio.

Nell'apertura della lettera ai Romani, egli pone in connessione il rigetto di Dio da parte degli uomini con l'omosessualità.

Dovrebbe essere scontato il riferimento ai passi in questione, ma dal momento che si ritiene da più parti di insegnare alla Chiesa quale debba essere il suo ambito d'azione, giova riportarli: "Gli uomini non hanno alcun motivo di scusa: hanno conosciuto Dio, poi si sono rifiutati di adorarlo e di ringraziarlo come Dio.

Si sono smarriti in stupidi ragionamenti e così non hanno capito più nulla".

Per questo, Dio li ha abbandonati ai loro desideri: si sono lasciati andare a impurità di ogni genere fino al punto di comportarsi in modo vergognoso gli uni con gli altri …

e loro donne hanno avuto rapporti sessuali contro natura, invece di seguire quelli naturali.

Anche gli uomini, invece di avere rapporti con le donne, si sono infiammati di passione gli uni per gli altri". ( Rm 1,20-26 ).

Riportando tali brani non si vuole certo pretendere che essi entrino nel diritto positivo italiano, ma solo ribadire la legittimità, anzi l'obbligo gravissimo della Chiesa di denunciare anche in tali materie le anomalie e il peccato, tanto più quello sociale.

O forse si vorrebbe un Episcopato cinico che, invece di difendere l'amore nuziale anche se fiorito al di fuori del campo divino, si compiaccia del progressivo sgretolamento del matrimonio civile, cui questo è destinato con la legittimazione delle situazioni di fatto?


La verità su uomo e donna nella dottrina ecclesiale

Nel depliant sulle « Pari opportunità per tutti », distribuito a cura del Dipartimento per i diritti e le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, sono esposti validi principi sui diritti, sulla rappresentanza, sul riconoscimento e sul rispetto per ogni persona, indipendentemente dalla razza, dal sesso, dall'età e dalla religione.

E su tali principi ci sentiamo radicalmente allineati, poiché essi sono conseguenti alla dignità morale di ogni persona.

Non altrettanto consenzienti siamo in ordine alla dichiarazione finale del documento, in cui è affermato, con riguardo ai « diversi orientamenti sessuali e alle coppie di fatto, che vivere liberamente e apertamente la propria vita sessuale e affettiva è un diritto fondamentale, inviolabile che impone il rispetto di tutti ».

In tale dichiarazione infatti si prescinde da ogni riferimento alla moralità dell'azione, in cui viceversa risiede la dignità della persona e l'effettivo fondamento del diritto, dandosi così spazio anche ai desideri e agli istinti sessuali e affettivi che, contrastando con la natura e la società umana, risultano piuttosto lesivi e insidiosi degli autentici diritti.

Le coerenti deduzioni di tale presa di posizione darebbero la possibilità di invocare il diritto all'adulterio, come esigenza della vita affettiva di taluni; il diritto alla pedofilia, per chi abbia queste tendenze.

( in Olanda si è arrivati al riconoscimento dell'associazione del pedofili ); la diversa definizione degli apparati sessuali maschili e femminili, da considerarsi non più complementari tra loro, ma semplicemente accidentali; la diversa strutturazione della società, non più basata sulla famiglia, ma sulle casuali e occasionali relazioni tra le persone; il diritto alla poligamia ( già praticata in altri ambienti culturali ) e alla poliandria, e così di seguito.

Che l'esercizio dell'omosessualità e il costituirsi di coppie di fatto possano avvenire, attenendo alla sfera dell'individuo ( ma fino a quale punto? ), rientra nell'ambito della libertà umana, ma che tali situazioni debbano essere proclamate "diritti fondamentali" è in contrasto con la stessa nozione di diritto.

Questi principi trovano conferma nella dottrina della Chiesa che, per essere Madre e Maestra, indica all'umanità l'autentica via dell'amore, e ne offre l'effettiva esperienza: quale definizione più forte e più valida dell'amore coniugale, di quella data da Gesù: « Non sono più due, ma una carne sola »? ( Mt 19,6 ).

Parimenti nella lettera di S. Paolo ai Romani, al primo capitolo, troviamo illuminanti riprovazioni sull'omosessualità proclamata, e come essa sia in connessione con un ambiente culturale che tende a ignorare Dio, quale quello contemporaneo.

In tale dottrina troviamo l'autentica nozione dell'essenza dell'uomo, dell'amore e della comunità umana, il che è di tanto più prezioso oggi, in cui sembra franare la stessa enunciabilità dei principi e delle regole.

Ma « in Cristo è il mistero stesso di ogni cosa, che viene come uomo e bussa alla porta della libertà di ognuno » ( A. lannaccone ), Lui che si è dichiarato la Verità, e prende su di Sé le nostre miserie: come non credergli dal momento che nessuno avrebbe potuto congetturare una simile ipotesi, se non Dio stesso?

È Cristo la rivelazione della verità della donna e dell'uomo, e altresì è la garanzia di autentica vita piena.