CEI/Adulti/0796/0796.txt Catechismo degli Adulti Parte terza - A Te Dio Padre Onnipotente Introduzione Il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio. ( 1 Cor 3,22-23 ) 796 Nella Chiesa, in virtù dello Spirito del Signore risorto, si forma l'uomo nuovo. Egli vive alla luce del vangelo una complessa e feconda esperienza umana, consapevole che tutta la storia va verso il compimento ultimo, quando Dio Padre sarà "tutto in tutti" ( 1 Cor 15,28 ). Introduzione Sezione prima - L'uomo nuovo in Cristo 797 La Chiesa è il segno e il germe del regno di Dio che cresce nella storia. Il mistero universale della salvezza, concepito nell'eterno disegno del Padre, prefigurato nell'Antico Testamento e attuato una volta per sempre in Cristo morto e risorto, dalla Chiesa viene annunciato con la predicazione della Parola e ripresentato nei sacramenti, perché possa plasmare l'esistenza personale dei credenti e orientare ogni cosa verso la meta definitiva oltre la storia. La Pasqua di Gesù rivela che il senso della vita e della storia è andare al Padre, entrare nella sua gloria, vivere in comunione perfetta con lui. Il Figlio, mandato dal Padre, torna a lui con tutti quelli che lo seguono. "Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre" ( Gv 16,28 ). "Io vado a prepararvi un posto; … ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io" ( Gv 14,2-3 ). 798 In questo grande esodo pasquale sono coinvolti tutti gli uomini, anche se limitato è il numero di quelli che se ne rendono conto. In modi diversi tutti ricevono i benefici della redenzione e sono chiamati a entrare nella festa eterna. Ma i cristiani sono chiamati a inserirsi consapevolmente nel disegno di Dio, a vivere fin d'ora come uomini nuovi, santi e santificatori. Uniti a Cristo nella Chiesa con uno speciale dono dello Spirito, sono costituiti figli di Dio, per offrire al Padre il "culto spirituale" ( Rm 12,1 ) e testimoniare il suo amore davanti a tutti gli uomini, in modo da cooperare alla loro salvezza. Uomini tra gli uomini, si muovono dentro le realtà terrene della famiglia, del lavoro, della vita culturale, sociale e politica; cercano, trovano, sbagliano, soffrono, si rallegrano come tutti i loro compagni di viaggio. Nello stesso tempo e attraverso le medesime realtà sviluppano un dialogo con le Persone divine nella fede, nella speranza e nella carità. In questa sezione presentiamo la personalità del cristiano nelle sue dimensioni fondamentali: la vocazione a partecipare alla vita divina ( capitolo 21 ); la libertà cristiana e l'etica evangelica della carità ( capitolo 22 ); il valore e la formazione della coscienza ( capitolo 23 ); il cammino dal peccato alla perfezione della vita spirituale ( capitolo 24 ). Capitolo 21 La vocazione del cristiano Ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo. ( Ef 1,4-5 ) 799 Chiamato a vivere in comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, l'uomo viene rinnovato nell'essere e nell'agire. Con la sua libera cooperazione, il germe della vita nuova può crescere fino alla perfezione della carità. Chiamata di Dio e risposta dell'uomo Vocazioni particolari e vocazione comune 800 Molti ritengono che la vita sia un'avventura solitaria, un farsi da sé, contando unicamente sulle proprie risorse. Secondo la fede cristiana, la vita è dialogo, risposta a una vocazione, dono che diventa compito. Il concetto di vocazione è tipico della rivelazione biblica. Dio, soggetto trascendente e personale, entra liberamente, come una novità inaspettata, nell'esistenza delle persone. Ad alcuni, come Abramo, Mosè, Amos, Isaia, Geremia, Ezechiele, rivolge direttamente la sua parola. ( Gen 12,1-3; Es 3,1-12; Is 6,1-8; Ger 1,4-10; Ez 3,1-4; Am 7,15 ) Ad altri, come Aronne e David, fa pervenire la sua chiamata attraverso mediazioni umane. ( Es 28,1; 1 Sam 16,12-13 ) Nell'Antico Testamento, dirette o mediate, le vocazioni particolari si collocano nell'ambito della comune vocazione degli israeliti ad essere il popolo dell'alleanza. ( Dt 7,6 ) La vocazione comporta sempre un disegno di amore da parte di Dio, una missione da compiere e una forma di vita corrispondente. Attende una risposta libera e fiduciosa di obbedienza da parte dell'uomo. ( Es 19,8; Gs 24,24 ) Ancora maggiore è il rilievo che la vocazione ha nel Nuovo Testamento. Sono chiamati i Dodici, ( Mc 3,13; Gv 15,16 ) Paolo, ( Rm 1,1; 1 Cor 1,1; Gal 1,15 ) i cristiani tutti; ( Rm 1,7; 1 Cor 1,2.26; 1 Cor 7,24; Ef 1,4-5 ) alcuni purtroppo rimangono sordi. ( Mc 10,21-22; Gv 5,40 ) Le vocazioni a particolari servizi e forme di vita stanno dentro la comune chiamata alla fede, alla santità, alla missione, alla gloria celeste. Alla luce della chiamata rivolta al popolo di Dio e ai suoi singoli membri, l'esistenza umana come tale viene interpretata come vocazione. ( Gen 1,26; Rm 4,17 ) Creato a immagine di Dio, l'uomo è chiamato a dialogare con lui, a conoscerlo, amarlo, incontrarlo, per condividere infine la sua vita nell'eternità. "La ragione più alta della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si affida al suo Creatore". Liberi per poter rispondere 801 La chiamata di Dio si inscrive nelle fibre del nostro essere. Anzitutto ci mette in grado di dargli una vera risposta: un sì o un no. Ci dona la libertà, che è padronanza interiore dei propri atti, autodeterminazione, capacità di scelte consapevoli, non soggette agli istinti spontanei o alle pressioni esteriori. Ci affida a noi stessi: ( Sir 15,14 ) "Se vuoi, osserverai i comandamenti; l'essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere" ( Sir 15,15 ). Ma una scelta non è positiva solo perché è una scelta o perché dà un piacere immediato: molti delitti sono decisioni volontarie, molte esperienze piacevoli sono distruttive. La libertà arbitraria o che cerca solo un facile appagamento non fa crescere, non va in nessuna direzione, si agita soltanto. Il piacere non è un valore in sé, né un criterio legittimo di azione; è solo conseguenza di un obiettivo raggiunto e va considerato buono o cattivo secondo la qualità morale dell'obiettivo stesso. Contrariamente a quanto viene suggerito dalla mentalità edonistica, individualistica e nichilistica, siamo liberi per aderire alla verità e per attuare il bene: "La vera libertà è nell'uomo segno altissimo dell'immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare l'uomo in mano al suo proprio consiglio, così che egli cerchi spontaneamente il suo Creatore, e giunga liberamente, con l'adesione a lui, alla piena e beata perfezione". Una scelta è ragionevole solo se contribuisce alla definitiva realizzazione della persona. Noi da sempre siamo alla ricerca di una pienezza per la nostra vita. Possiamo realizzarci davvero, solo se rispettiamo l'ordine oggettivo dei beni, posto dalla divina sapienza, rimanendo sempre orientati al Bene infinito, l'unico che può appagare il nostro cuore, incapace di trovare riposo nelle soddisfazioni parziali e provvisorie. La nostra incessante ricerca "è ultimamente un appello del Bene assoluto che ci attrae e ci chiama a sé, è l'eco di una vocazione di Dio, origine e fine della vita dell'uomo". Risposta decisiva 802 Con la sua chiamata interiore Dio suscita la nostra libertà e si offre come meta alla nostra ricerca. Intanto ci viene incontro pubblicamente nella storia, inviando il suo Figlio Gesù Cristo a invitare tutti gli uomini alla festa della vita eterna. "Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione". L'iniziativa del suo amore ci interpella. Accettare il suo dono con "la fede che opera per mezzo della carità" ( Gal 5,6 ) significa realizzare se stessi; rifiutare il suo dono con il peccato significa perdere se stessi. "Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita" ( 1 Gv 5,11-12 ). La risposta che daremo risulterà decisiva per la nostra riuscita o per il nostro fallimento. A ognuno di noi il Signore Gesù ripete l'appello rivolto al giovane ricco: "Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti … Se vuoi essere perfetto,… vieni e seguimi " ( Mt 19,17.21 ). Se vuoi vivere, devi fare il bene. L'urgenza della salvezza fonda l'obbligazione morale. Risposta implicita 803 L'appello di Dio risuona anche nel cuore dei non credenti. Anche loro infatti avvertono l'imperativo morale fondamentale: fa' il bene, evita il male. Lo avvertono come obbligatorio e non solo come ragionevole. Anche quando non c'è un vantaggio personale verificabile, anche quando si tratta con uomini tutt'altro che amabili, si deve fare il bene e non il male. Implicitamente tutti intuiscono che i valori morali sono oggettivi e sono situati nella prospettiva del Bene assoluto che esige obbedienza. Se obbediscono, seguono la chiamata di Dio e accolgono la grazia di Cristo, anche senza saperlo, perché "la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina". Il cristiano nutre sincera stima per tutti gli uomini di buona volontà; vede in loro dei compagni di viaggio verso la stessa mèta; è disposto a costruire con loro una convivenza giusta e fraterna. Egli rimane però sempre fedele alla propria identità; anzi sollecita con rispetto l'onestà morale a svilupparsi nella direzione della fede esplicita e consapevole. 804 Insieme a tutti gli uomini siamo chiamati alla vita eterna. Come cristiani siamo chiamati a camminare insieme verso di essa nella Chiesa e a pregustarne un anticipo. La risposta che daremo a Cristo è decisiva per la nostra salvezza. Introdotti nella vita trinitaria L'antica alleanza 805 Chiamati a prendere parte alla vita di Dio, dobbiamo renderci consapevoli di che cosa comporti propriamente questa partecipazione. Nelle diverse religioni il rapporto con Dio a volte assume la forma della distanza e della quasi estraneità; altre volte la forma della identificazione e dell'assorbimento totale. Nella Bibbia è inteso come alleanza e comunione, cioè come unità nell'alterità. La forma arcaica da cui si parte è quella di un patto di vassallaggio. Con questa figura, presa dall'esperienza sociale e giuridica, si vuole indicare una speciale reciproca appartenenza tra Dio e Israele. Dio fa dono di una sua particolare presenza e promette benedizione, prosperità, pace: "Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo" ( Lv 26,12 ). Israele da parte sua si obbliga a rispondere con la fede e il culto esclusivo, con l'obbedienza alla legge: "Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!" ( Es 19,8 ). Il patto, stabilito mediante Mosè, ( Es 19,3-20,21; Es 24,1-11 ) viene rinnovato nei momenti cruciali con Giosuè, David, Giosìa, Esdra e Neemìa. ( Gs 24,1-28; 2 Sam 7,1-17; 2 Re 23,1-3; Ne 8-10 ) Al di là dei doni di Dio, le grandi anime religiose cercano Dio stesso, il suo volto: "La tua grazia vale più della vita" ( Sal 63,4 ); "Il mio bene è stare vicino a Dio" ( Sal 73,28 ). Sono soprattutto i profeti a mettere in evidenza il contenuto più spirituale dell'alleanza: l'amore reciproco, sponsale. ( Is 54,6-7; Ez 16,1-45; Os 2,4-25 ) Mentre esaltano la fedeltà di Dio, essi lamentano l'infedeltà del popolo e annunciano una nuova e definitiva alleanza, che comporterà una nuova abbondante effusione dello Spirito. ( Ger 31,31-34; Ez 36,25-28; Os 2,20-24 ) La nuova alleanza 806 Gesù Cristo attua la nuova alleanza, ( Eb 8,6-13; Eb 10,1-22 ) che è unione sponsale con la Chiesa, ( Ef 5,22-32 ) reciproco dono di sé e comunione di vita in virtù dello Spirito Santo. ( Rm 8,1-17; 1 Cor 1,9; 2 Cor 3,6; 2 Cor 13,13 ) I credenti vi partecipano mediante i sacramenti, specialmente il battesimo e l'eucaristia: ( Mc 14,24; Lc 22,20; 1 Cor 10,15-17; 1 Cor 11,25 ) in loro, come in un tempio, viene ad abitare Dio. Il tempio vivo 807 Nelle religioni il tempio è uno spazio terrestre, coperto dal tetto o spalancato al cielo, riservato alla divinità; un luogo santo, dove Dio si fa presente in modo speciale e gli uomini vanno ad onorarlo con gesti e parole rituali, diversi da quelli ordinari. I primi cristiani, esclusi dal tempio di Gerusalemme e senza templi propri, non esitano a dichiarare che il tempio della definitiva presenza di Dio è il corpo risorto di Cristo e con lui la Chiesa e ognuno dei suoi membri personalmente. ( 1 Cor 3,16-17; 2 Cor 6,16; 1 Pt 2,4-5; 1 Gv 4,16 ) Sono consapevoli che non solo i riti religiosi, ma tutti gli impegni della vita quotidiana si svolgono al cospetto dell'Altissimo come "sacrificio vivente, santo e gradito a Dio" ( Rm 12,1 ). Abitati dalla Trinità 808 Questa nuova presenza interiore, che i teologi chiamano "inabitazione", viene attribuita innanzitutto allo Spirito Santo. ( 1 Cor 3,16; 1 Cor 6,19; 2 Tm 1,14 ) Ma con lui vengono ad abitare nell'uomo anche il Figlio e il Padre: "Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" ( Gv 14,23 ). Il Padre è nel Figlio e il Figlio è nei discepoli, mediante lo Spirito, perché diventino una sola cosa e siano perfetti nell'unità. ( Gv 17,22-23 ) Entriamo così in una dimensione misteriosa e sublime, la comunione trinitaria. ( 1 Gv 1,3 ) Elevati dallo Spirito Santo e assimilati a Dio nell'essere e nell'agire, partecipiamo alla sua conoscenza e al suo amore; ci apriamo alle divine persone con una esperienza ancora oscura, ma già protesa alla visione beatifica. La loro presenza, quando nei mistici diventa luminosa e trasparente, si manifesta come una realtà meravigliosa e inebriante, che nessuna parola può descrivere. Che cosa sarà allora l'ultimo compimento di questa alleanza nuziale dell'Agnello con la Chiesa, sua sposa? ( Ap 19,7-9; Ap 21,2.9 ) Siamo chiamati a entrare in relazione non solo con le persone e le cose di questo mondo, ma anche e soprattutto con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, già adesso e poi nell'eternità. Sta qui la nostra più alta dignità e il valore inaudito del nostro faticoso cammino. 809 La nostra sublime vocazione è vivere in comunione di amore con Dio Padre e Figlio e Spirito Santo, prima nell'oscurità della fede e poi nello splendore della visione. Le divine persone si comunicano a noi interiormente e stabiliscono in noi una nuova meravigliosa presenza. Camminare secondo lo Spirito Vita spirituale 810 L'uomo nuovo nasce e si sviluppa nella comunione con Dio, uno e trino. Per vivere consapevolmente questa sua condizione, occorre che stabilisca un rapporto non solo genericamente con Dio, ma propriamente con ciascuna delle Persone divine, pur nell'unità con le altre. Così l'esistenza cristiana diviene "vita spirituale, ossia vita animata e guidata dallo Spirito verso la santità o perfezione della carità", un vivere o camminare secondo lo Spirito. ( Rm 8,4-5; Gal 5,25 ) Sant'Ireneo di Lione ha questa incisiva espressione: "Tutti coloro che temono Dio, credono nella venuta del suo Figlio e per mezzo della fede ospitano nei loro cuori lo Spirito di Dio, meritano di essere chiamati puri, spirituali e viventi per Dio, perché hanno lo Spirito del Padre, che purifica l'uomo e lo eleva alla vita di Dio". 811 Gli effetti sono sorprendenti. Lo Spirito fa riconoscere Gesù come Signore. ( 1 Cor 12,3 ) Ci unisce e ci assimila a Cristo: lo forma in noi. ( Gal 4,19 ) Ci fa partecipare alla sua vita filiale e ci fa dire con lui: "Abbà, Padre!" ( Rm 8,15; Gal 4,4-7 ). "Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio" ( Rm 8,14 ). Coloro che accolgono la carità di Dio, si amano anche gli uni gli altri; ( 1 Gv 4,7.12-13 ) anzi aprono il cuore a tutti gli uomini. Cooperare con la grazia 812 Lo Spirito rende giusto l'uomo peccatore; anima e sostiene interiormente l'uomo nuovo. Accompagna il nostro cammino di santificazione dal principio alla fine: prepara la nostra giustificazione, la realizza, la mantiene, la perfeziona fino alla gloria celeste. Agisce nell'intimo con le sue mozioni, tradizionalmente dette "grazie attuali": illumina l'intelligenza, attrae le tendenze spontanee, opera il bene insieme con noi, dà gioia e pace. I nostri buoni comportamenti sono i suoi frutti. ( Gal 5,22 ) Il nostro agire virtuoso non è solo nostro; "è Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni" ( Fil 2,13 ). 813 Tuttavia siamo liberi e responsabili: ciascuno riceverà "la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male" ( 2 Cor 5,10 ). La priorità dunque appartiene alla grazia; siamo noi però che crediamo, amiamo e operiamo in una personale vicenda storica. Lo Spirito sostiene il cammino, ma è l'uomo che cammina. La nostra libertà non è meno autentica per il fatto che ci è donata: "Siamo opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo" ( Ef 2,10 ). Noi cooperiamo con la grazia e ci disponiamo ad accoglierla ancora fino al compimento ultimo della vita eterna. Rimane però esclusa ogni possibilità di vanto. Si acquistano meriti davanti a Dio accogliendo i suoi doni, in modo da essere preparati a riceverne altri. I nostri meriti sono suoi doni e la ricompensa della vita eterna è il dono supremo. Umiltà, docilità e fiducia 814 Se vivere da figli di Dio è cooperare con lo Spirito, la nostra attenzione a lui si sostanzia di umiltà, docilità e fiducia. Umili, perché senza di lui "niente è nell'uomo, niente senza colpa"; docili, perché è lui che conosce i "benevoli disegni" ( Fil 2,13 ) del Padre; fiduciosi, anzi audaci, perché possiamo confidare in una riserva infinita di energia: "L'umile trova tutto il coraggio nella sua incapacità: più si sente debole e più diventa intraprendente, perché tutta la sua fiducia è riposta in Dio, che si compiace di manifestare la sua potenza nella nostra debolezza". Credere nello Spirito è credere nella sua inesauribile creatività e nelle possibilità del nostro futuro. 815 "Che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio" ( Gal 4,6-7 ). Seguire Cristo Rapporto personale 816 La vita cristiana è relazione personale con Cristo, un dialogo e un cammino con lui. Si tratta non solo di accettare il suo insegnamento, ma "di aderire alla persona stessa di Gesù, di condividere la sua vita e il suo destino, di partecipare alla sua obbedienza libera e amorosa alla volontà del Padre". Lo Spirito Santo unisce e rende conformi a lui, muove a seguirlo. 817 "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" ( Mc 8,34 ). Il discepolo di Gesù deve assumere il suo atteggiamento filiale di obbedienza al Padre e al divino disegno di salvezza, che lo ha condotto alla croce e alla risurrezione. "Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" ( Eb 5,8-9 ). Camminare dietro a Cristo significa camminare nella carità, ( Ef 5,2 ) avere i suoi medesimi sentimenti, ( Fil 2,5 ) amare come egli ha amato, fino a dare la vita per i fratelli: ( Gv 15,12-13 ) "Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli … Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità" ( 1 Gv 3,16.18 ). Ma è impossibile amare come Cristo ha amato, se egli stesso non ama in noi; è impossibile andargli dietro, se egli stesso non viene a vivere dentro di noi. Ebbene, comunicandoci lo Spirito Santo, egli entra nella nostra esistenza e la vive con noi, sì che ogni cristiano può dire come Paolo: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" ( Gal 2,20 ). Egli perciò non rimane un modello esteriore; anzi, viene interiorizzato in virtù dello Spirito. Configurati a Cristo 818 I mezzi ordinari e certi, con cui il Signore ci assimila a sé, sono la Parola e i sacramenti, soprattutto il battesimo e l'eucaristia. "Il battesimo configura radicalmente il fedele a Cristo nel mistero pasquale della morte e risurrezione, lo riveste di Cristo … La partecipazione poi all'eucaristia, sacramento della nuova alleanza, è vertice dell'assimilazione a Cristo, fonte di vita eterna, principio e forza del dono totale di sé". Ascoltando la Parola e ricevendo i sacramenti con fede, il cristiano viene trasfigurato a immagine di Cristo; diventa sua irradiazione e riflesso speculare, come egli è l'immagine perfetta del Padre e lo manifesta nel mondo. ( 2 Cor 3,18; 2 Cor 4,4 ) Nelle diverse esperienze 819 Come ben dimostra l'esperienza dei santi che sono i più vicini al divino modello, ciò non reca pregiudizio all'originalità e creatività personale. Non si tratta infatti di ripetere meccanicamente quello che Gesù ha fatto, ma di comportarsi come egli si comporterebbe adesso al nostro posto. La prassi cristiana comprende: il dialogo diretto con il Signore mediante la preghiera e i sacramenti; il dialogo con gli altri mediante la solidarietà umana e la condivisione della fede; il dono di sé mediante l'azione e la sofferenza. Tutto questo però con misura e modalità diverse per ciascuno, secondo la varietà dei carismi e delle situazioni. Le diverse esperienze si integrano e si sostengono reciprocamente all'interno della comunità. La sequela in concreto avviene nella Chiesa e attesta che in essa Cristo è sempre vivo e presente. "Nulla assolutamente anteponiamo a Cristo e così egli ci condurrà tutti alla vita eterna". "L'amore di lui rende felici, la contemplazione ristora, la benignità ricolma. La soavità di lui pervade tutta l'anima, il ricordo brilla dolce nella memoria". "Se con lui soffrirai, con lui regnerai; se con lui piangerai, con lui godrai; se in compagnia di lui morirai sulla croce della tribolazione, possederai con lui le celesti dimore nello splendore dei santi". 820 L'esistenza cristiana, plasmata dall'ascolto della Parola e dai sacramenti, è un rapporto personale con Cristo, un cammino dietro a lui sulla via della croce e della risurrezione, amando come egli ha amato, fino al dono totale di se stessi, nella concretezza e varietà delle esperienze personali. Andare al Padre Rivolti alla meta 821 Il Signore Gesù ha detto: "Io sono la via" ( Gv 14,6 ); "Io sono la porta" ( Gv 10,7 ). La meta alla quale conduce, la dimora in cui fa entrare è il Padre. ( Gv 14,2-6 ) "La porta è il Figlio … la chiave della porta è lo Spirito Santo … la casa è il Padre … Se la chiave non apre …, la porta non viene aperta; ma se la porta non si apre, nessuno entra nella casa del Padre". I cristiani, "mossi" dallo Spirito Santo, "seguono Cristo povero, umile e carico della croce", obbedendo a Dio Padre, "che adorano in spirito e verità". La loro esistenza è camminare secondo lo Spirito, seguire Cristo, andare al Padre: "Coloro che hanno ricevuto e portano lo Spirito di Dio vengono condotti al Verbo, cioè al Figlio, e il Figlio li accoglie e li presenta al Padre, e il Padre dona loro l'incorruttibilità". Come figli amati 822 La Pasqua di Gesù è stata un passaggio "da questo mondo al Padre" ( Gv 13,1 ); tutta la sua vita terrena è stata un anelito verso il Padre, nella lode, nella gratitudine, nell'obbedienza filiale. In questo continuo esodo si è espresso lo slancio eterno, con cui il Figlio da sempre è rivolto verso il Padre. ( Gv 1,1-2.18 ) I suoi seguaci ricevono lo Spirito per poter partecipare alla sua vita filiale. Sono consapevoli di essere amati come è amato il Figlio unigenito ( Gv 17,23 ) e di essere rigenerati a sua immagine in virtù dello Spirito. Accettando sé e gli altri 823 A ciascuno di loro, come a Gesù, il Padre ha detto nel battesimo "Tu sei il mio figlio" ( Lc 3,22 ). In ciascuno ha posto una meravigliosa possibilità di vita e null'altro vuole se non che cresca. Accompagna con premura paterna ogni umana avventura, anche la più umile e nascosta. Veglia perché tutto, anche il male e la sofferenza, possa concorrere al bene dei suoi figli. ( Rm 8,28 ) Dobbiamo dunque accettare noi stessi, accogliere la nostra esistenza come un germoglio carico di promesse, quali che siano i nostri limiti: "Niente ti turbi, niente ti spaventi. Tutto passa, Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla. Dio solo basta". 824 Il comune Padre ci costituisce fratelli e ci affida gli uni agli altri, intrecciando le singole esistenze nel tessuto di una storia comune. Siamo dunque chiamati ad accogliere gli altri come fratelli, senza discriminare nessuno, ad accettarli così come sono, aiutandoli a valorizzare la loro possibilità di crescita umana e cristiana. Grati e obbedienti 825 Il Padre è assolutamente disinteressato. Gli sta a cuore unicamente la nostra riuscita, la nostra salvezza. Dobbiamo allora cercare, amare e compiere la sua volontà in ogni cosa, come Gesù: "Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio" ( 1 Cor 10,31 ). Dio è glorificato quando riceviamo i suoi doni con commosso stupore davanti alla ricchezza inesauribile del suo amore gratuito e misericordioso. 826 Configurato a Cristo in virtù dello Spirito Santo, il cristiano è rivolto al Padre in un atteggiamento di adorazione, lode, gratitudine, fiducia e obbedienza filiale. Rinnovati nell'essere e nell'agire La grazia santificante 827 Chiamato al dialogo con le persone divine, l'uomo viene abilitato a questo rapporto mediante una trasformazione di tutta la sua personalità: anima, intelligenza, volontà, affettività, corporeità. Viene purificato, santificato e rigenerato; ( Gv 3,6-7; 1 Cor 6,11; 1 Pt 1,3-4 ) diventa "nuova creatura" ( Gal 6,15 ), un "uomo nuovo" ( Ef 4,24 ). 828 Riceviamo innanzitutto un nuovo modo di essere, per cui diventiamo "partecipi della natura divina" ( 2 Pt 1,4 ), siamo "chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!" ( 1 Gv 3,1 ). Questa radicale elevazione alla vita divina si chiama tradizionalmente "grazia santificante". Così la parola "grazia", già impiegata per indicare l'amore gratuito e misericordioso di Dio, il dono dello Spirito Santo, le sue mozioni sull'agire umano, acquista un quarto significato teologico: la vita divina diventata nostra, la bellezza spirituale che ci è data per essere degni di stare al cospetto di Dio, in una relazione senza paragone più perfetta e intima di quella creaturale. Le virtù teologali 829 Al nuovo modo di essere consegue un nuovo modo di agire. La vita filiale si esprime attraverso il dinamismo delle "virtù teologali": fede, speranza e carità; energie che rendono capaci di comunicare personalmente con Dio e di unire a lui. 830 La fede ci fa partecipare alla luce della conoscenza divina; ci apre ad accogliere l'amore di Dio e il suo disegno di salvezza, rivelato nella Pasqua di Cristo. Consapevoli della nostra povertà, ma persuasi di essere amati, ci affidiamo senza riserve, pronti a ubbidire e a rischiare. Dando ferma adesione alla verità rivelata, riceviamo nuove prospettive sulla realtà, nuovi criteri di giudizio e motivi di azione. La fede "opera per mezzo della carità" ( Gal 5,6 ); altrimenti è come morta. ( 1 Cor 13,2; Gc 2,26 ) Tuttavia rimane importante anche nei peccatori, perché li prepara alla giustificazione. Alcuni peccati, come l'incredulità, l'apostasia e l'eresia la contraddicono direttamente e giungono a distruggerla. 831 La speranza applica le prospettive della fede all'esistenza personale del credente: "In essa infatti noi abbiamo come un'àncora della nostra vita, sicura e salda" ( Eb 6,19 ). È il desiderio fiducioso e arduo, fondato sull'Amore onnipotente e misericordioso e sulla sua fedeltà alle promesse, di giungere alla vita eterna nell'esperienza immediata di Dio e nella gloriosa risurrezione, ricevendo durante il cammino tutti gli aiuti necessari. Si tiene ugualmente lontana dalla presunzione come dall'abbattimento. Lotta coraggiosamente contro il male e coltiva ogni germe di bene. Sa che per la misericordia di Dio anche una vita sciupata, come quella del ladrone pentito, può essere rigenerata in un istante: ( Lc 23,39-43 ) san Giuseppe Cafasso, il prete che assisteva i condannati a morte, era persuaso che perfino un assassino poteva entrare subito in paradiso se accettava umilmente la sua pena. 832 La carità, riflesso in noi dello Spirito Santo, ci fa partecipare alla forza e alla bellezza dell'amore con cui Cristo ha amato il Padre e i fratelli nel suo sacrificio pasquale. Suppone e porta a compimento la fede e la speranza: amiamo perché siamo stati amati e abbiamo creduto all'amore, come i bambini nei confronti dei genitori. La carità è la nostra amicizia con Dio, per cui lo amiamo sopra ogni cosa a motivo della sua bontà infinita e siamo pronti a fare la sua volontà e ad amare gli altri come egli li ama. Essa segue una sua dinamica: nasce come compiacenza per la bellezza e la bontà di Dio intraviste nelle sue opere meravigliose e soprattutto nel suo Figlio Gesù; si sviluppa come dedizione alla causa del suo regno e come desiderio di incontrarlo faccia a faccia; si compirà nella visione beatifica come gaudio, in cui tutto il nostro essere troverà riposo. Le virtù umane 833 La carità si incarna nell'etica: unifica, sostiene ed elèva le virtù umane, energie operative buone che abilitano a compiere il bene sotto vari aspetti specifici. Quattro di esse si chiamano "virtù cardinali", perché fanno da sostegno e riferimento a numerose altre. Sono la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. Tra le molte virtù, che si collegano a queste, si possono ricordare: semplicità, onestà, sincerità, lealtà, fedeltà, cortesia, rispetto, generosità, riconoscenza, amicizia, coraggio, audacia, equilibrio, umiltà, castità, povertà, obbedienza. Le buone qualità particolari danno concretezza alla perfezione cristiana. Danno alla carità un corpo e un volto. I sette doni 834 Per facilitare l'esercizio e la crescita delle virtù teologali e umane, riceviamo i sette doni dello Spirito Santo che, sulla base di un testo profetico, ( Is 11,2-3 ) vengono tradizionalmente così individuati: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio. Al di là del numero e delle precisazioni, si tratta di doni abbondanti per la santificazione personale. Mentre i carismi riguardano direttamente l'utilità del prossimo e perciò sono variamente distribuiti, questi doni, che si possono chiamare mistici, riguardano lo sviluppo della vita cristiana e perciò sono concessi a tutti, anche se con accentuazioni diverse. Sono attitudini che rendono docili allo Spirito Santo anche nelle azioni più ordinarie; dispongono a lasciarsi muovere da lui come vele spiegate al vento. Rendono le virtù facili, stabili e attraenti; le portano a maturazione, come "frutto dello Spirito" ( Gal 5,22 ), frutti saporosi per chi li possiede e poi anche per il prossimo. L'intenzione fondamentale 835 La vita spirituale si sviluppa come un organismo unitario e complesso. Alla radice c'è la grazia santificante, alla quale si accompagnano, come dotazioni stabili, le virtù teologali. La decisione del cristiano di attuare la propria vita nella fede, speranza e carità, costituisce l'intenzione fondamentale, che dà la sua impronta e il suo orientamento ai vari atteggiamenti e alle singole azioni. Un'intenzione fondamentale può essere positiva o negativa e si esprime in comportamenti corrispondenti: "Ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi" ( Mt 7,17 ). Dalla fede, speranza e carità deriva l'osservanza di tutti i comandamenti della legge di Dio; ( Gal 5,14.17-22 ) viceversa dal cuore malvagio, cioè dall'egoismo, escono tutti i comportamenti malvagi. ( Mc 7,21-23 ) L'intenzione fondamentale ci identifica come giusti o come peccatori. È l'orientamento profondo verso il fine ultimo, Dio o un idolo, intorno al quale si costruisce un progetto globale di vita. Non si tratta di una decisione accanto alle altre, ma di un atteggiamento personale implicito, che si attua e si manifesta mediante le decisioni particolari. Non è sperimentabile direttamente in se stessa; se ne può avere solo una conoscenza indiretta e indiziaria, attraverso i comportamenti concreti in ogni ambito dell'esperienza. Coincide praticamente con la vita di grazia o con la situazione di peccato mortale, di cui il soggetto può avere solo una certezza prudenziale. 836 Se è vero che l'atteggiamento profondo si esprime attraverso le azioni, è anche vero che compiendo singole azioni la persona plasma se stessa, decide che cosa vuole essere, sviluppa virtù o vizi e, quando le scelte sono importanti e pienamente responsabili, come un atto impegnativo di carità o un peccato mortale, forma in sé un'intenzione fondamentale, la rafforza o la cambia, realizzando una conversione o una perversione. Nel bene e nel male sono decisivi gli atti umani, in cui l'intenzione fondamentale si forma e si esprime. Sono i singoli atti che costruiscono la fisionomia spirituale della persona; non viceversa. Perciò l'intenzione fondamentale non è rilevante per stabilire la moralità oggettiva dei singoli atti; può tuttavia essere utile tenerla presente per valutare l'imputabilità soggettiva. Infatti, per essere gravemente responsabile nel bene o nel male, un atto deve essere capace di generare un'opzione fondamentale positiva o negativa. Da qui la necessità di essere cauti nel giudicare la piena responsabilità. Si possono valutare più facilmente i singoli comportamenti nella loro moralità oggettiva che non il cuore delle persone. 837 Per poter vivere in comunione con Dio Padre e Figlio e Spirito Santo, l'uomo viene elevato alla vita di grazia e riceve mirabili energie spirituali, come le virtù teologali: fede, speranza e carità.----- Comune vocazione alla santità Un germe da sviluppare 838 Nel battesimo è già dato oggettivamente ciò che costituisce la vita cristiana: lo Spirito Santo, la configurazione a Cristo morto e risorto, l'inabitazione della Trinità, la grazia santificante, le virtù teologali. Ma tutto è dato come una caparra, ( 2 Cor 1,22; 2 Cor 5,5 ) come un germe e una capacità da sviluppare ( Ef 4,24; Col 3,9-10.12 ) con l'ascolto della Parola, la grazia dell'eucaristia e degli altri sacramenti, le mozioni dello Spirito Santo e la libera cooperazione personale. 839 "Tutti i cristiani, cioè i discepoli di Gesù Cristo, in qualunque stato e condizione si trovino, sono chiamati alla perfezione: perché tutti sono chiamati al vangelo, che è legge di perfezione". A tutti Gesù dice: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" ( Mt 5,48 ). L'apostolo Paolo gli fa eco: "Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione" ( 1 Ts 4,3 ). Il concilio Vaticano II commenta: "I seguaci di Cristo … col battesimo della fede sono stati fatti veri figli di Dio, resi partecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Con l'aiuto di Dio essi devono quindi mantenere e perfezionare, vivendola, la santità che hanno ricevuta". La perfezione della carità 840 Possiamo domandarci in che cosa consista la perfezione cristiana, che cosa occorra per essere santi. Sono indispensabili esperienze straordinarie di ascesi e di contemplazione, profonde conoscenze, potere di fare miracoli, oppure basta l'amore concretamente vissuto nella storia di ogni giorno? Gesù, nel discorso della montagna, indica i contenuti della santità cristiana, presentando una serie di comportamenti paradigmatici ispirati alla carità. ( Mt 5,20-48 ) L'apostolo Paolo pone la carità al di sopra di ogni altro valore: "Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli … e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza … ma non avessi la carità, non sono nulla" ( 1 Cor 13,1-2 ). Dà importanza alla sofferenza accettata con amore non meno che alle visioni celesti, ai rapimenti mistici, ai miracoli compiuti. ( 2 Cor 12,2-12 ) Esorta a sviluppare il dialogo con Dio nella concretezza e nella totalità della vita: "Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre" ( Col 3,17; 1 Cor 10,31 ). Con lui concordano altri testi del Nuovo Testamento, secondo cui l'esperienza di Dio si incarna nell'incontro con i fratelli in ogni situazione: "Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore" ( 1 Gv 4,7-8 ). "Ad immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta" ( 1 Pt 1,15 ). Il recente magistero della Chiesa addita insistentemente la comune vocazione alla santità da attuare nella perfezione della carità in ogni ambito di esperienza: "Tutti i fedeli cristiani, di qualsiasi stato o ordine, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità: santità che promuove un tenore di vita più umano anche nella società terrena". I cristiani sono "abilitati e impegnati a manifestare la santità del loro essere nella santità di tutto il loro operare". Dialogo costante con Dio 841 Dio "è tutto amore; con tutto se stesso ama e vuole essere amato; perciò vorrebbe che i suoi figli fossero interamente trasformati in lui per amore". La santità consiste nella carità e la carità, nel dialogo con Dio, può assumere e valorizzare qualsiasi realtà. Per questo è una possibilità reale e un appello per tutti. Non occorrono esperienze straordinarie di conoscenza, di contemplazione, di ascesi e di fuga dal mondo. Basta la vita ordinaria: preghiera, relazioni familiari e sociali, lavoro, riposo, sofferenza, apostolato. Dio ci chiama in ogni cosa, continuamente. È presente come creatore che comunica l'essere e la vita, come salvatore e Padre che tutto fa cooperare per il bene dei suoi figli. ( Rm 8,28 ) Tutto è voluto o almeno permesso da lui. Ogni persona, cosa o avvenimento è una sua parola, un dono e un compito. Da parte nostra dobbiamo rispondere a Dio in ogni situazione: cercare sempre la sua volontà rivolgendo spesso a lui anche un'attenzione consapevole; accettare, come una possibilità di bene che viene offerta, se stessi, la propria storia, gli altri, le realtà della natura, gli eventi piccoli o grandi, favorevoli o tristi; fare il bene "con cura, spesso e con prontezza", non come coloro che "mangiano senza gusto, dormono senza riposare, ridono senza gioia, si trascinano invece di camminare". La vita intera diventa dialogo con Dio, preghiera diffusa, atto di amore continuato. Ogni esperienza diventa cooperazione al suo regno; si unifica e si integra in un solo progetto. Le energie dell'intelligenza, della volontà, dell'affettività, della corporeità si orientano sempre di più a lui. Si realizza un'esperienza di Dio incarnata nella storia, una comunione sempre più perfetta. Santi e santificatori 842 L'uomo nuovo, che cresce nella santità, è anche santificatore. Amando gli altri in Dio e con il suo stesso amore, edifica la comunità cristiana, promuove una convivenza civile giusta e pacifica, con un tenore di vita più umano. Purtroppo per molti la religione resta confinata sullo sfondo. La vita quotidiana segue la logica del piacere e dell'interesse immediato. Si fa riferimento a Dio solo in alcuni momenti marginali, specialmente nelle difficoltà. Molti considerano la spiritualità un lusso, utile al più per chi ne sente il bisogno. Non mancano però tendenze contrastanti: fioriscono numerosi movimenti di spiritualità; è avvertita largamente un'esigenza di interiorità. L'esperienza religiosa, se è autentica, fa sentire il suo benefico influsso in ogni ambito. L'interiorità si incarna; la presenza nel mondo si spiritualizza. La vocazione alla santità si esprime in molte vocazioni particolari; è una possibilità reale offerta a tutti, perché ogni realtà sia liberata e ricondotta a Dio. Conoscenza mistica 843 La perfezione cristiana, identificata con la perfezione della carità, non coincide con la contemplazione mistica. Questa, però rimane pur sempre un dono meraviglioso, che rende sperimentalmente manifesta la ricchezza ricevuta nel battesimo e anticipa in certo modo la visione beatifica delle Persone divine nell'eternità; un dono "che nessuno conosce se non chi lo riceve. Lo riceve solo chi lo desidera; non lo desidera se non colui che viene infiammato dal fuoco dello Spirito Santo". 844 Tutti i cristiani sono chiamati alla santità, che consiste nella perfezione della carità, raggiunta accogliendo la volontà di Dio nelle diverse situazioni e forme di vita. Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi Il messaggio cristiano sulla vocazione fondamentale dell'uomo alla comunione di vita con Dio costituisce una sfida davanti alla diffusa tentazione di autosufficienza o alla esasperata rivendicazione di libertà, fino alla emarginazione e al rifiuto di Dio. Soprattutto è un messaggio di speranza che porta luce sulla dignità e sul progetto di vita di ciascuno, riscattando dal rischio della solitudine e del non senso. Riconoscere che Dio ci chiama ad un rapporto di intimità profonda con lui, apre orizzonti sconfinati alle nostre attese. L'appello alla santità riguarda tutti. È sollecitazione a impegnare ogni giorno la nostra libertà per il Regno. - Cosa evoca nella tua esperienza e nel tuo ambiente il termine "vocazione"? Cosa significa e comporta in una prospettiva cristiana? - L'essere cristiano in quale misura e in quali modi influisce nel pensare e attuare i tuoi concreti progetti di vita? - Come si può meglio rispondere alla propria vocazione? Come meglio manifestare nelle scelte concrete la presenza e la vita dello Spirito in noi? Ascoltare e meditare la Parola Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto. ( Ef 1,4-6 ) Si può leggere anche: ( Mc 8,34-38 ) Seguire Cristo, prendere la croce. ( Rm 8,1-17 ) Animati e guidati dallo Spirito. ( Gal 5,16-26 ) Le opere dell'egoismo e il frutto dello Spirito. La carità è cosa per se stessa così sublime, che in alcun modo non può germinare né dalla volontà dell'uomo, né da quella della carne. Ma essendo Cristo nato ab aeterno da Dio Padre, come suo natural Figliuolo, da Dio con la natura divina trasse ab aeterno la carità; e noi, formando con lui un solo corpo, partecipiamo, per adozione, di quella sua generazione sempiterna e, insieme con lui, volontariamente e liberamente, della medesima carità … Rallegriamoci dunque, ed esultiamo in spirito: noi possiamo con un santo ardire, che agli occhi ciechi della natura suol parer temerario, per cui ne mormora il mondo, intraprendere l'opera grande, anzi sovrumana, di votarci a quella carità, che è di tanto superiore all'umanità stessa, quanto Iddio è all'uomo. Poiché vive in noi Cristo, e il suo spirito ama in noi. ( Antonio Rosmini, Discorso sulla carità, 3 ) Pregare e celebrare O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: sopra i cieli si innalza la tua magnificenza. Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli. Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l'uomo perché te ne ricordi, il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare. O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra. ( Sal 8,1 ) [ Padre Santo ], tu hai creato l'uomo nel Cristo tuo unigenito e gli hai elargito il dono singolare di essere libero; tu stesso infondi nei cuori l'anelito a vivere secondo la dignità dei tuoi figli e il nativo diritto dei popoli. Nella tua provvidenza ci chiami non alla schiavitù che avvilisce in noi la tua immagine viva, ma alla libertà che esalta il tuo disegno mirabile di creatore e Padre di tutti gli uomini. Così, sciolta ogni ingiusta oppressione, ci comandi di camminare con operosità sempre più matura e concorde verso la perfezione a noi assegnata dalla tua sapienza e che, pienamente compiuta, regna nei cieli, dove speriamo di elevare, senza fine, l'inno della tua lode. ( Liturgia ambrosiana, Prefazio della Messa per le libertà civili ) Professare la fede - Cristo svela "pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione" ( Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes 22 ). - Il cristiano vive la sua esistenza come relazione di amore con la Trinità. All'amore del Padre corrisponde da figlio nel Figlio Gesù, intimamente orientato e sostenuto dalla forza dello Spirito Santo. - Il cristiano viene rinnovato interiormente mediante la fede, la speranza e la carità, le virtù morali e i doni dello Spirito Santo, perché possa attuare la sua vocazione alla santità. - Chi crede in Cristo diventa figlio di Dio. L'adozione filiale lo rende capace di seguire Cristo, di agire rettamente e di compiere il bene. La vita morale, maturata nella grazia, sboccia in vita eterna, nella gloria del cielo. Capitolo 22 Libertà cristiana e legge evangelica Se viviamo dello spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. ( Gal 5,25 ) 845 Lo Spirito Santo ci introduce nella dinamica della carità; ci porta ad osservare i comandamenti e a rispettare l'ordine naturale della creazione, con convinzione e libertà interiore; ci fa pregustare nel dono di noi stessi la libertà e la gioia proprie di Cristo e di Dio. Lo Spirito è libertà e nuova legge 846 Spesso nella nostra cultura si esalta la trasgressione, come affermazione di libertà. Ma è vera libertà? È corretto separare libertà e legge morale? Schiavitù del peccatore 847 "Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato" ( Gv 8,34 ). L'uomo, alienato da Dio, è esposto alla solitudine e alla precarietà. Per sentirsi vivo, cerca affannosamente sicurezze e piaceri, che non gli bastano mai; si crea idoli. Si sente minacciato da forze oscure ed è incline alla magia e alla superstizione. Tutto proteso all'affermazione di sé, vede negli altri dei concorrenti; teme la loro diversità; non rispetta la loro dignità; tenta di assimilarli, sottometterli o addirittura eliminarli. Non solo non riesce ad osservare la legge morale, ma neppure comprende i valori che essa esprime e tutela. La subisce come un'imposizione, covando un sordo rancore contro Dio. Obbedienza filiale 848 "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" ( Gv 8,32 ). Gesù Cristo ci porta la buona notizia che siamo amati da Dio e ci persuade interiormente con il dono dello Spirito Santo. Noi possiamo accogliere Dio come Padre e gli altri come fratelli; ci sentiamo liberi dalla solitudine e dall'ossessione del successo ad ogni costo; riusciamo ad accettare perfino le situazioni dolorose senza ribellarci, anzi benedicendo. Lo Spirito ci fa guardare a Cristo come modello di vita; ci aiuta ad agire come lui in sintonia con la volontà del Padre, per poter diventare anche noi "amore", come "Dio è amore" ( 1 Gv 4,16 ). Ci fa comprendere che i comandamenti esprimono le esigenze autentiche della nostra crescita e promuovono il nostro vero bene. Ci dà la capacità di osservarli secondo l'antica promessa: "Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; … perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e le mettano in pratica" ( Ez 11,19-20 ). Ci porta ad osservarli non "per timore del castigo", come lo schiavo, non per "attrattiva della ricompensa", come il mercenario, ma "per il bene in se stesso e per l'amore di colui che comanda", come figli. Costruisce personalità libere e responsabili, in un certo senso autonome. 849 Lo Spirito ci conduce, nella logica dell'amore, oltre le prescrizioni della legge, che sono uguali per tutti. Ci dispone ad accogliere i "molteplici consigli", gli appelli personalizzati, gli inviti al bene, che il Signore rivolge ad ognuno nelle diverse situazioni. Guida il cammino del cristiano verso il dono totale di sé. Ed è proprio il dono totale di sé l'atto supremo della libertà: "Io offro la mia vita … Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso" ( Gv 10,17-18 ). Libertà nella carità 850 La vera libertà non è quella dell'affermazione egoistica di sé, ma quella di amare: "Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri" ( Gal 5,13 ). La vera libertà coincide con la nuova legge della carità. L'una e l'altra sono dono dello Spirito Santo: "Dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà" ( 2 Cor 3,17 ) e c'è la nuova legge, "scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori" ( 2 Cor 3,3 ). Lo Spirito ci rende liberi e padroni di noi stessi, perché possiamo fare di noi un dono nell'obbedienza al Padre e nel servizio dei fratelli. Così diventiamo partecipi della vita e della gioia stessa di Dio. "La nuova legge è la stessa grazia dello Spirito Santo". 851 Lo Spirito ci libera dall'egoismo e dall'angoscia; ci rende capaci di osservare i comandamenti di Dio per amore filiale; ci dispone ad accogliere gli inviti personali che Dio ci rivolge; ci conduce a fare di noi stessi un dono totale nella carità. La via paradossale della gioia 852 Il cristianesimo è la religione dell'amore, in cui il dovere è integrato e oltrepassato. Per questo è anche la religione della gioia. Non a caso la figura letteraria della "beatitudine" è piuttosto frequente nella Bibbia. Come mai allora molti credenti non mostrano di essere particolarmente felici? Qual è la via cristiana alla felicità? Beatitudini nell'Antico Testamento 853 Secondo le beatitudini dell'Antico Testamento, la felicità si trova nella fede in Dio, nel devoto rispetto verso di lui, nell'obbedienza alla sua legge: "Beata la nazione il cui Dio è il Signore, il popolo che si è scelto come erede" ( Sal 33,12 ); "Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe, chi spera nel Signore suo Dio, creatore del cielo e della terra, del mare e di quanto contiene. Egli è fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati" ( Sal 146,5-7 ); "Beato l'uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie" ( Sal 128,1 ); "Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte" ( Sal 1,1-2 ). Beatitudini evangeliche 854 Nel Nuovo Testamento si incontrano le beatitudini della fede, ( Lc 1,45; Lc 11,28; Gv 20,29 ) della scoperta di Gesù, ( Mt 13,16; Mt 16,17 ) della vigilanza operosa, ( Mt 24,46 ) del servizio reciproco ( Gv 13,17 ) e altre ancora. Soprattutto risaltano le beatitudini del Regno, ( Mt 5,3-12; Lc 6,20-23 ) che sintetizzano la perfezione cristiana e delineano il ritratto del discepolo di Gesù. Anzi, prima ancora, "sono una specie di autoritratto di Cristo e, proprio per questo, sono inviti alla sua sequela e alla comunione di vita con lui". Esse indicano una via imprevedibile e paradossale alla felicità: è la via dell'amore crocifisso, che dà significato alla sofferenza anche prima di eliminarla e, quando è possibile, lotta con mezzi pacifici per superarla. La verifica dell'esperienza 855 I poveri, i malati, i perseguitati possono essere felici. Con il dono di se stessi nell'amore partecipano alla vita e alla gioia di Dio, che riscatta qualsiasi situazione. L'annuncio di Gesù trova una sorprendente verifica nell'esperienza concreta dei suoi discepoli. Così si esprime Paolo con i cristiani di Corinto: "Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione" ( 2 Cor 1,3-4 ); "Afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!" ( 2 Cor 6,10 ); "Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione" ( 2 Cor 7,4 ); "Mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte" ( 2 Cor 12,10 ). Anche nella comunità ecclesiale Paolo vede coesistere tribolazione e gioia, povertà e generosità. ( 2 Cor 8,2 ) La storia della Chiesa abbonda di analoghe testimonianze. Ricordiamo la "perfetta letizia" di San Francesco, che del resto è già un tema biblico: ( Gc 1,2 ) "Se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera letizia". San Filippo Neri, il santo della gioia, amava ripetere: "Un servo di Dio dovrebbe sempre stare allegro". E Santa Teresa di Gesù Bambino arriva a dire: "La nostra gioia cercata e gustata nella sofferenza è una dolcissima realtà". Esperienza pasquale 856 Questa gioia, che può coesistere anche con la sofferenza, è partecipazione del cristiano alla Pasqua di Cristo: "Come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione" ( 2 Cor 1,5 ); "Abbiamo questo tesoro in vasi di creta … portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo" ( 2 Cor 4,7.10 ). Viene così sperimentata nella propria esistenza la conformazione a Cristo morto e risorto, operata dal battesimo e dall'eucaristia. La via cristiana alla felicità si delinea con particolare nitidezza nella redazione delle beatitudini secondo Matteo, più precisamente nella prima parte di ognuna di esse. Un commento alle beatitudini 857 "Beati i poveri in spirito" ( Mt 5,3 ), cioè gli umili di cuore. I Padri della Chiesa di solito interpretano la povertà in spirito come umiltà: "Aggiunse "in spirito", perché si intendesse l'umiltà, non la penuria". Abbastanza spesso però vi includono anche il distacco interiore dalla ricchezza e la povertà volontaria: "Non si tratta di poveri in rapporto alla ricchezza, ma di coloro che hanno scelto la povertà interiormente". Si tratta sostanzialmente di un atteggiamento di abbandono fiducioso in Dio, che implica libertà da se stessi e dalle cose, solidarietà con i poveri. Gli umili sono felici dei beni che ricevono e più ancora di riceverli da Dio. Si accettano come sono, lieti anche della loro debolezza, che consente alla forza di Dio di manifestarsi. ( 2 Cor 12,9-10 ) Non si deprimono nelle difficoltà. Sanno valorizzare tutte le possibilità di bene. Non si lasciano possedere dalle cose: "Ho imparato ad essere povero e ho imparato ad essere ricco" ( Fil 4,12 ). Tuttavia sanno che una certa disponibilità di beni materiali è necessaria alla crescita della persona umana; quindi, per amore dei fratelli, lottano contro la miseria e l'ingiustizia. In tutto il loro comportamento seguono Cristo, il quale per salvarci, "da ricco che era, si è fatto povero" ( 2 Cor 8,9 ), si è svuotato di se stesso per obbedire in ogni cosa al disegno del Padre. ( Fil 2,7 ) 858 "Beati gli afflitti" ( Mt 5,4 ). Sono quelli che si addolorano per il male che è nel mondo, come Gesù piange su Gerusalemme. ( Lc 19,41-44 ) Essi anelano a un mondo nuovo. Espiano i propri peccati e riparano quelli degli altri. ( 2 Cor 1,3-5 ) Portano la croce dietro a Gesù. Dio li consola in ogni tribolazione e li rende capaci di consolare gli altri. 859 "Beati i miti" ( Mt 5,5 ). Beati coloro che sono umili, pazienti e miti. ( Col 3,12; Ef 4,2 ) Chi è umile davanti a Dio è mite, rispettoso e condiscendente con il prossimo. Non avanza pretese eccessive. È comprensivo, affabile, umano, non violento. Rinuncia a primeggiare sugli altri. A volte è capace perfino di rinunciare alla difesa dei propri diritti e alla propria giustificazione di fronte a ingiuste accuse. Segue Gesù "mite e umile di cuore" ( Mt 11,29 ) e come lui conquista il mondo con la forza della sua umanità e carità. 860 "Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia" ( Mt 5,6 ), quanti seriamente e appassionatamente desiderano attuare nella propria vita la nuova giustizia evangelica. ( Mt 5,20 ) Non si adagiano nella verità che possiedono, nella virtù che praticano. Cercano di crescere, per essere perfetti a somiglianza del Padre celeste. ( Mt 5,48 ) In questo modo seguono Gesù che ha compiuto "ogni giustizia" ( Mt 3,15 ). 861 "Beati i misericordiosi" ( Mt 5,7 ), coloro che sanno perdonare ( Mt 6,12 ) e compiono opere di misericordia verso il prossimo che si trova in difficoltà. ( Mt 25,34-40 ) Imitano Gesù che incarna la misericordia del Padre. ( Mt 9,13 ) 862 "Beati i puri di cuore" ( Mt 5,8 ). Sono le persone rette di cuore. Consapevoli del profondo disordine che si radica nel cuore dell'uomo, ( Mt 15,10-20 ) vigilano su se stessi e si purificano incessantemente. Sono leali con Dio e sinceri nel cercare la sua volontà; sono schietti e franchi con gli altri, come Gesù. ( Mt 22,16 ) 863 "Beati gli operatori di pace" ( Mt 5,9 ), coloro che per amore progettano e costruiscono rapporti giusti. Si impegnano a creare una convivenza armoniosa, in cui sia rispettata la dignità di ogni persona e l'originalità di ogni gruppo sociale. Promuovono per tutti il benessere materiale e spirituale, temporale ed eterno. Partecipano così alla missione di Gesù, che porta agli uomini la pienezza della vita, la vera pace. 864 "Beati i perseguitati per causa della giustizia" ( Mt 5,10 ). Si tratta di chi subisce insulti, discriminazioni e violenze a motivo della nuova giustizia evangelica, e quindi a motivo della sua identità cristiana: "Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia" ( Mt 5,11 ). L'amore appassionato per Cristo e il fascino del suo vangelo danno il coraggio, e anche la gioia, di affrontare le prove, quotidiane o eccezionali che siano, nella consapevolezza di seguire più da vicino il Maestro, ingiustamente perseguitato. Gesù nostra via 865 Gli atteggiamenti indicati dalle beatitudini tracciano la via cristiana alla felicità; in definitiva si riassumono nell'affidarsi totalmente all'amore di Dio e nel riamare Dio e gli altri fino al dono totale di sé. Su questa via Gesù si pone davanti a noi come modello vivo e personale, con una forza di persuasione e una ricchezza di valori che trascende qualsiasi norma etica. Egli incarna la legge e la supera nell'amore. È la "via nuova e vivente" ( Eb 10,20 ), "la via, la verità e la vita" ( Gv 14,6 ). Chi lo segue "non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" ( Gv 8,12 ). 866 La via della vita e della gioia, indicata dalle beatitudini evangeliche, è la via della fede e dell'amore, che riscatta anche le situazioni negative. In essa Gesù ci precede come modello personale, normativo e pieno di fascino. Conferma evangelica del decalogo e della legge naturale Dono e compito 867 La vita è dono di Dio, che esige la nostra libera cooperazione. Se vogliamo vivere in pienezza, dobbiamo osservare la legge morale, che indica la direzione del nostro vero bene. Possiamo mangiare i frutti di tutti gli alberi, ma non quello della scienza del bene e del male, pena la morte. ( Gen 2,16-17 ) Siamo liberi, però dobbiamo riconoscere i veri valori e osservare le norme che li esprimono. Ogni dono di Dio è anche un compito per noi. Il Signore libera Israele e gli concede la sua alleanza, ma vuole anche essere riconosciuto come unico Dio e amato "con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze" ( Dt 6,5 ). Gesù annuncia e inaugura il regno di Dio, ma nello stesso tempo rivolge un pressante appello alla conversione. ( Mc 1,15 ) Gli apostoli proclamano l'amore di Dio che ci salva gratuitamente mediante il Cristo morto e risorto, ma esortano anche ad assumere un comportamento conseguente: ( Rm 6,3-11; 2 Cor 5,14-21; Ef 5,1-2; Fil 2,5-11; Col 3,1-15 ) "Se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri" ( 1 Gv 4,11 ). Il vangelo è innanzitutto una buona notizia, non un codice. Narra le meraviglie che Dio ha compiuto, compie e compirà a nostro favore. Tuttavia contiene nel suo interno anche una legge, quella della carità, che accoglie il dono divino della vita e ne promuove la crescita integrale in se stessi e negli altri. ( Gv 14,15; Gv 15,10; Rm 8,2; Gal 6,2 ) I due precetti della carità 868 La legge evangelica si riassume nei due precetti fondamentali della carità verso Dio e verso il prossimo: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente … Amerai il prossimo tuo come te stesso" ( Mt 22,37.39 ). Amare Dio significa fare la sua volontà; amare gli altri significa volere il loro vero bene. Si tratta di un atteggiamento pratico, più che di un sentimento emotivo. I due comandamenti sono inseparabili: "Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" ( 1 Gv 4,20 ). Amare il Padre significa amare anche i suoi figli e volere per essi il bene da lui desiderato: "Chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato" ( 1 Gv 5,1 ). Amare una persona per amore di Dio significa partecipare all'amore che Dio ha per lei e quindi riconoscerla in tutto il suo valore, amarla di più. I dieci comandamenti 869 Nei due comandamenti della carità Gesù riassume "tutta la Legge e i Profeti" ( Mt 22,40 ). Egli conferma i dieci comandamenti, o decalogo, dell'antica alleanza e vede in essi la via necessaria per giungere alla vita eterna: "Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti" ( Mt 19,17 ). La carità urge l'osservanza di tutti i comandamenti: "Pieno compimento della legge è l'amore" ( Rm 13,10 ). 870 L'amore promuove il bene della persona che si concretizza in molti beni particolari. Perciò trova nelle molteplici norme morali la sua attuazione e la sua verifica. "I diversi comandamenti del decalogo non sono in effetti che la rifrazione dell'unico comandamento riguardante il bene della persona, a livello dei molteplici beni che connotano la sua identità di essere spirituale e corporeo, in relazione con Dio, col prossimo e col mondo delle cose … Sono destinati a tutelare il bene della persona, immagine di Dio, mediante la protezione dei suoi beni …: la vita umana, la comunione delle persone nel matrimonio, la proprietà privata, la veridicità e la buona fama". "Chi è animato dall'amore e "cammina secondo lo Spirito" ( Gal 5,16 ) e desidera servire gli altri, trova nella legge di Dio la via fondamentale e necessaria per praticare l'amore"; sperimenta non una negazione o una restrizione della propria libertà, ma la piena attuazione di essa. 871 I dieci comandamenti dell'Antico Testamento mantengono dunque il loro valore e costituiscono un riferimento essenziale per l'etica cristiana. Non bisogna però dimenticare che nel Nuovo Testamento i contenuti concreti della carità vengono formulati anche con altri schemi. Gesù da una parte enuncia criteri generali; come la cosiddetta "regola aurea": "Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro" ( Lc 6,31 ); d'altra parte offre esemplificazioni precise come l'elenco delle opere di misericordia nel discorso escatologico: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, ospitare i forestieri, vestire gli ignudi, visitare gli ammalati, visitare i carcerati. ( Mt 25,35-36 ) L'apostolo Paolo indica spesso le esigenze della vita cristiana mediante elenchi di vizi e virtù, codici di morale familiare e norme di comportamento sociale. ( Rm 12,9-21; Rm 13,1-7; 1 Cor 6,9-10; 1 Cor 13,4-7; Gal 5,19-22; Ef 5,21-6,9; Col 3,5.8.12-13; Col 3,18-4,1 ) 872 La formulazione stessa dei dieci comandamenti presenta qualche variazione già nei testi biblici. ( Es 20,2-17; Dt 5,6-21; Mt 19,18-19; Mc 10,19 ) Tantomeno è considerata rigida e intangibile nella tradizione della Chiesa. Oggi nella catechesi delle Chiese in Italia è stabilita in questi termini:"Io sono il Signore, tuo Dio! Non avrai altro dio fuori di me. Non nominare il nome di Dio invano. Ricordati di santificare le feste. Onora tuo padre e tua madre. Non uccidere. Non commettere atti impuri. Non rubare. Non dire falsa testimonianza. Non desiderare la donna d'altri. Non desiderare la roba d'altri". I primi tre comandamenti vengono raggruppati nella "prima tavola", quella dei doveri verso Dio, in corrispondenza con il primo comandamento della carità. Gli altri sette vengono riuniti nella "seconda tavola", quella dei doveri verso il prossimo, in relazione al secondo comandamento della carità. La legge naturale 873 La legge evangelica accoglie ed eleva a livello di rapporto filiale con Dio i precetti morali, che già nell'antica alleanza erano espressione della speciale appartenenza di Israele al Signore e rivelazione della sua santità nella storia. In se stessi, però, i comandamenti di Dio contengono una sapienza che può essere riconosciuta da tutti i popoli. ( Dt 4,5-8 ) Sono norme universali e si trovano formulati in modo analogo in altri codici antichi. Riflettono l'ordine della creazione, accessibile anche attraverso la ragione, se usata rettamente e non asservita agli istinti e ai pregiudizi: "Fin dalle origini, Dio radicò nel cuore degli uomini i precetti della legge naturale. Poi si limita a richiamarli alla loro mente: è il decalogo". Nella rivelazione storica, dice sant'Agostino, "Dio ha scritto sulle tavole quella legge che gli uomini non leggevano più nel loro cuore". 874 Gesù, quando enuncia la "regola aurea" ( Lc 6,31 ) o discute sulla purità legale ( Mc 7,1-23 ) o presenta il giudizio universale, ( Mt 25,31-46 ) suppone che il bene e il male siano qualcosa di oggettivo, che si può conoscere anche per esperienza e per riflessione. Le esortazioni di Paolo suppongono la stessa cosa; ( Fil 4,8 ) anzi l'apostolo afferma esplicitamente che per i pagani la legge, scritta nella natura umana e conosciuta attraverso la coscienza, ha una funzione analoga a quella che ha in Israele la legge rivelata. ( Rm 2,14-15 ) 875 La carità eleva l'uomo, rispettando la sua dimensione creaturale, promovendo i beni che rispondono alle sue tendenze naturali. Assume nel rapporto filiale con il Padre le realtà terrene, conferendo loro un nuovo significato, ma anche salvaguardando la loro consistenza e specificità. Così viene portato a compimento l'unico disegno di Dio iniziato con la creazione e sviluppato nel corso della storia. 876 La legge naturale, a sua volta, può essere considerata un anticipo della rivelazione, un primo abbozzo della legge evangelica. È scritta in alcune tendenze fondamentali, spirituali e corporee nello stesso tempo. Tutela alcuni beni, che sono beni morali in quanto hanno a che fare con il nostro realizzarci come uomini, secondo la nostra dignità di persone: ad esempio la vita fisica, la sessualità, il lavoro, la socialità. Essa viene conosciuta mediante la ragione come valore permanente ed esigenza costitutiva dell'uomo, come direzione da seguire costantemente. Tuttavia viene conosciuta in un processo storico graduale, non privo di errori: basti ricordare che in passato sono state ritenute lecite la crudeltà verso i prigionieri di guerra, la schiavitù, la tortura giudiziaria, la negazione della libertà di religione. 877 La legge naturale è la vita stessa dell'uomo che tende alla sua pienezza. Indica con le sue norme le vie di una crescita autentica. Seguirla fedelmente significa essere fedeli a se stessi. Chi responsabilmente l'accoglie, mentre obbedisce a Dio, creatore e Padre, diventa "partecipe della provvidenza, capace di provvedere a sé e agli altri"; diventa in un certo senso autonomo, in quanto sceglie liberamente di attuare norme che rispondono al proprio bene.14 Dio in fondo non vuole altro che la nostra riuscita come uomini e come figli: "Il suo comandamento è vita eterna" ( Gv 12,50 ). Leggi civili e rituali dell'Antico Testamento 878 La legge evangelica conferma e perfeziona l'ordine della creazione; non aggiunge imposizioni che gli siano estranee. Gli stessi precetti morali dell'Antico Testamento vengono accolti in quanto riflettono tale ordine. Restano invece superate le leggi civili e rituali anticotestamentarie, a cominciare dalla circoncisione: ( Gen 17,10-14 ) "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù" ( Gal 5,1 ). In particolare sono aboliti i divieti sui cibi: ( Lv 11; Dt 12,20-28; Dt 14,3-21 ) "Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può contaminarlo, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?" Dichiarava così mondi tutti gli alimenti" ( Mc 7,18-19 ). "Nessuno dunque vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda. .. Perché lasciarvi imporre. .. precetti quali "Non prendere, non gustare, non toccare"? Tutte cose destinate a scomparire con l'uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono" ( Col 2,16.20-23 ). "Tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie" ( 1 Tm 4,4 ). Queste dichiarazioni di principio, così nette, smentiscono la posizione dei testimoni di Geova, contrari ai cibi che contengono sangue e alle trasfusioni. Fuori luogo risulta il loro appello al decreto dell'assemblea di Gerusalemme che, essendo legato a una precisa situazione, aveva un carattere disciplinare e una validità temporanea. ( At 15,28-29 ) 879 La carità promuove il bene della persona che si concretizza in molti beni particolari. Perciò esige l'osservanza delle norme morali. Gesù conferma i dieci comandamenti dell'antica alleanza, in cui si specchia l'ordine naturale della creazione. La legge naturale, scritta nelle tendenze umane fondamentali e conosciuta attraverso la ragione, indica la direzione di crescita della persona. Il messaggio delle "dieci parole" Valore perenne del decalogo 880 I dieci comandamenti sono le "dieci parole" ( Es 34,28 ) che il Signore ha donato perché il suo popolo viva. ( Dt 30,16 ) Il popolo accoglie l'alleanza e la benedizione di Dio osservando fedelmente queste parole di vita. Poiché enunciano i doveri fondamentali dell'uomo verso Dio e verso il prossimo, la tradizione della Chiesa da sempre ha riconosciuto loro una grande importanza nella catechesi, in ordine alla formazione morale del cristiano. Occorre averne una comprensione globale per sapersi orientare tra i beni da promuovere e i mali da evitare. Il decalogo costituisce un tutto inscindibile: ogni "parola" rimanda a tutte le altre e la Chiesa le rilegge in modo più ricco alla luce del vangelo e dell'esperienza. Primo comandamento 881 Il primo comandamento "Non avrai altro dio fuori di me" ( Es 20,2-6; Dt 5,6-10 ) esige l'adorazione esclusiva dell'unico vero Dio. Risultano in contrasto con esso l'ateismo, l'agnosticismo, l'indifferenza religiosa, l'idolatria, il satanismo, la superstizione. Quest'ultima assume forme diversissime: si va dall'efficacia quasi magica attribuita a oggetti sacri e a formule e riti eseguiti con scrupolosa esattezza, alle vane osservanze dei segni di fortuna e sfortuna, agli oroscopi, allo spiritismo, alla magia vera e propria, da non confondere con l'uso onesto di eventuali energie parapsichiche. La superstizione a volte è un disordine grave a volte leggero, ma è sempre contraria alla fede e alla sana ragione. Le vie oneste per realizzare i nostri desideri sono quelle che Dio ci ha dato: le risorse naturali della scienza e della tecnica, la risorsa soprannaturale della preghiera. Ricorrere alle forze occulte o pretendere di catturare automaticamente a proprio vantaggio la potenza divina significa ricadere nell'antica tentazione di essere come Dio, cedere alla sete di potere ad ogni costo, in radicale antitesi con l'umile e fiducioso abbandono del credente alla volontà del Padre. Secondo comandamento 882 Il secondo comandamento "Non nominare il nome di Dio invano" ( Es 20,7; Dt 5,11 ) prescrive il rispetto del nome santo di Dio e il silenzio adorante davanti al mistero. Contraddicono questo atteggiamento: la bestemmia, che è abuso della parola con un oltraggio diretto; il sacrilegio, con cui si trattano indegnamente persone, luoghi e oggetti sacri; la simonia, con cui si scambiano beni spirituali con danaro e vantaggi materiali; il giuramento falso, che fa di Dio il garante di una menzogna; il mancato adempimento di un voto, con cui ci si è obbligati davanti a Dio a fare un'opera possibile e migliore del suo contrario; ogni discorso presuntuoso su Dio. Terzo comandamento 883 Il terzo comandamento "Ricordati di santificare le feste" ( Es 20,8-11; Dt 5,12-15 ) si collega alla necessità di riservare tempi ben definiti alla preghiera, per ricuperare la dimensione più profonda della vita. I cristiani celebrano la domenica, giorno del Signore e della comunità, dell'eucaristia e della carità, partecipando alla Messa e osservando il riposo in un clima conviviale di amicizia e di gioia. La stessa cosa fanno in occasione di altre solennità stabilite dalla Chiesa. A meno che non siano impediti per gravi motivi, rispettano il tempo dedicato a Dio, memoria efficace della creazione e della risurrezione, profezia e anticipo della festa eterna. Quarto comandamento 884 Il quarto comandamento "Onora tuo padre e tua madre", ( Es 20,12; Dt 5,16 ) in stretto collegamento con l'amore di Dio espresso nei primi tre precetti, indica l'ordine della carità verso il prossimo. Chiede in primo luogo di amare e onorare i genitori, ai quali dobbiamo la vita e per lo più la stessa trasmissione della fede cristiana. Implicitamente riguarda anche la relazione parentale più ampia, la relazione educativa e in un certo senso una corretta e rispettosa relazione sociale con le persone che, per il nostro bene, esercitano un particolare compito di guida. D'altra parte il comandamento sottintende i doveri e le responsabilità di queste persone. Quinto comandamento 885 Il quinto comandamento "Non uccidere" ( Es 20,13; Dt 5,17 ) prescrive con forza il rispetto della vita, che è sacra e viene da Dio: solo Dio è il Signore della vita, dal suo inizio al suo termine. Il comandamento vieta le azioni contrarie alla vita, alla salute e all'integrità, propria e altrui. Proibisce dunque il suicidio, l'omicidio, l'aborto, l'eutanasia, ogni forma di violenza che non sia per legittima difesa. Comanda di promuovere la pace e di evitare la guerra. Sesto comandamento 886 Il sesto comandamento "Non commettere atti impuri", ( Es 20,14; Dt 5,18 ) alla luce del progetto di Dio e nella prospettiva della sua chiamata all'amore e alla comunione, afferma l'autentico valore della sessualità, tutela la fedeltà coniugale ed educa alla castità in ogni stato di vita. Proibisce di conseguenza quanto la offende e non la rispetta nel comportamento personale e di coppia: masturbazione, atti di omosessualità, fornicazione, prostituzione, stupro, incesto, contraccezione, adulterio, divorzio, poligamia, libere unioni, ogni attuazione della sessualità genitale fuori del matrimonio. Settimo comandamento 887 Il settimo comandamento "Non rubare" ( Es 20,15; Dt 5,19 ) educa al corretto uso delle cose materiali nella relazione con gli altri, alla luce del primato di Dio e della carità fraterna. Proibisce di offendere il prossimo usurpando o danneggiando i suoi beni. Prescrive l'osservanza della giustizia, esigendo che si rispettino sia l'universale destinazione dei beni sia il diritto alla proprietà privata. Promuove la solidarietà tra le persone e tra i popoli, con una speciale attenzione ai poveri, nel rispetto dell'integrità del creato. Ottavo comandamento 888 L'ottavo comandamento "Non dire falsa testimonianza" ( Es 20,16; Dt 5,20 ) chiama al servizio della verità. Proibisce, quindi, di tradirla nella relazione con gli altri, attraverso la menzogna, l'inganno, la calunnia, la maldicenza, la diffusione dell'errore, la violazione del segreto, l'uso distorto dei mezzi di comunicazione sociale. Le offese alla verità, con parole e azioni, denotano una mancanza di rettitudine morale e comportano una infedeltà all'alleanza con Dio, che è Verità. Nono comandamento 889 Il nono comandamento "Non desiderare la donna d'altri" ( Es 20,17; Dt 5,21 ) promuove la purificazione del cuore. Proibisce tutti i desideri che si riferiscono alla sessualità genitale fuori del matrimonio. Esige la salvaguardia del pudore, contro la permissività dei costumi e la pornografia. Decimo comandamento 890 Il decimo comandamento "Non desiderare la roba d'altri" ( Es 20,17; Dt 5,21 ) educa alla povertà del cuore e ai desideri dello Spirito. Proibisce l'invidia e la cupidigia dei beni altrui, da cui derivano furti, rapine, frodi, ingiustizie e violenze. 891 I dieci comandamenti indicano i doveri fondamentali dell'uomo verso Dio e verso il prossimo, i beni da attuare e i mali da evitare.Un ordine morale oggettivo Contenuto 892 I precetti morali, in quanto riflettono il dinamismo stesso della vita proteso alla perfezione, esprimono un "ordine morale oggettivo", necessario sia per darsi un progetto di esistenza personale significativo sia per dare fondamento alla convivenza pacifica della società. Sono determinanti per la valutazione morale delle singole azioni. La moralità di un atto umano dipende innanzitutto dal suo contenuto, "ordinabile o meno a Dio" e alla "perfezione della persona". Non si deve fare il male morale perché ne venga il bene. ( Rm 3,8 ) Intenzione 893 L'intenzione soggettiva che si aggiunge all'azione non può riscattare un atto in se stesso disordinato: "Quanto agli atti che sono per se stessi dei peccati … chi oserebbe affermare che, compiendoli per buoni motivi, non sarebbero peccati?". L'eventuale intenzione soggettiva buona può al più attenuare la colpevolezza personale. Viceversa l'intenzione è di grande importanza quando si tratta di qualificare ulteriormente un atto che in se stesso è buono o indifferente; in tal caso i comportamenti esteriori acquistano significato dall'atteggiamento interiore, dal cuore. ( Mt 15,19; Mc 7,20-21 ) Circostanze 894 Analogamente le circostanze che accompagnano un atto e le conseguenze prevedibili che derivano da esso non possono renderlo onesto se è in se stesso disordinato. Possono però modificare la responsabilità personale, rendere disordinato un atto di per sé buono, aggravare ulteriormente un atto già in sé disordinato. Il disordine intrinseco 895 Esistono atti intrinsecamente disordinati per il loro contenuto, indipendentemente dalle intenzioni e dalle conseguenze. Alcune azioni, come la bestemmia, l'apostasia, l'uccisione diretta di un innocente, i disordini sessuali, la falsa testimonianza, sono disordinate a prescindere dai danni o dai vantaggi che ne potrebbero derivare e dalle eventuali buone finalità di chi le compie. 896 La moralità di un atto umano dipende innanzitutto dal suo contenuto oggettivo, poi dall'intenzione soggettiva, dalle circostanze e dalle conseguenze. La creatività dell'amore Osservare i comandamenti 897 La carità porta innanzitutto ad osservare il decalogo. Quasi tutti i comandamenti sono formulati in maniera negativa: non avrai altro dio, non nominare il nome di Dio invano, non uccidere, non commettere atti impuri, non rubare, non dire falsa testimonianza … Indicano così il livello minimo sotto il quale non bisogna scendere assolutamente, il livello sotto il quale non può sussistere il rispetto per la santità di Dio e per la dignità della persona umana e quindi neppure la carità. L'osservanza dei comandamenti è "la condizione di base per l'amore …; l'inizio della libertà, non la libertà perfetta". Un cuore che ama "proprio perché ama è disposto a vivere le esperienze più alte". Trascendere i comandamenti 898 Nel discorso della montagna Gesù non solo conferma i comandamenti, ma li perfeziona. Li interiorizza e li radicalizza, riconducendoli alle istanze esigenti dell'amore. La nuova giustizia evangelica, necessaria per accogliere il regno di Dio e per manifestarne la presenza nella storia, ( Mt 5,14.20.48 ) deve essere più alta di quella degli scribi e dei farisei. Viene tratteggiata nella sua fisionomia con alcuni riferimenti a casi tipici della vita quotidiana e con alcune similitudini. Coinvolge tutte le dimensioni della persona, i rapporti con il prossimo, con Dio e con le cose: prevenire la violenza, cercare la riconciliazione, dominare la sensualità, mantenere la fedeltà coniugale, comunicare con sincerità e trasparenza, non reagire con rancori e ritorsioni ai torti subiti, volere il bene anche dei nemici, coltivare la vera devozione religiosa ricca di interiorità, possedere i beni di questo mondo senza esserne posseduti, liberi dall'ansia per il domani, liberi per una vita filiale e fraterna. ( Mt 5,20-48; Mt 6,1-34 ) 899 La nuova giustizia non si limita a evitare il male, ma fa il bene verso tutti, compresi i nemici: non solo fugge l'omicidio, ma promuove la vita; non solo si astiene dal furto, ma condivide ciò che possiede. Il bene è senza confini e le modalità di attuazione sono molteplici. Se l'osservanza dei comandamenti è richiesta a tutti, la creatività dell'amore è diversa per ciascuno. Al giovane ricco Gesù non chiede solo di osservare i comandamenti, ma anche di rinunciare a tutte le ricchezze, in vista di una particolare forma di sequela. ( Mc 10,17-22 ) Ad altri invece, come Zaccheo, ispira la rinuncia a una parte soltanto delle ricchezze. ( Lc 19,8 ) Alcuni li chiama alla fedeltà incondizionata nel matrimonio; altri li chiama alla consacrazione nella verginità. ( Mt 19,9.12 ) Dentro il disegno universale di salvezza c'è per ognuno una vocazione originale propria. Tutti sono amati e devono amare, ma le attuazioni concrete della carità possono variare da persona a persona, da una situazione all'altra. Al di là dei comandamenti, che valgono per tutti, ci sono gli appelli personalizzati che Dio nel suo amore rivolge ai singoli nelle diverse situazioni concrete. Tutti però, seguendo Cristo, sono chiamati a crescere nella carità fino al dono totale di sé: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" ( Gv 15,12-13 ). Oltre la ragionevolezza 900 Camminare sulla via della carità, per quanto riguarda l'obbedienza ai comandamenti e soprattutto per quanto riguarda l'inesauribile creatività nel bene, dipende dal nostro impegno e prima ancora dalla grazia di Dio che lo sostiene. "La completa osservanza dei comandamenti di Dio non è alla portata delle forze umane, pur essendo nei limiti dell'istinto dello spirito umano, in quanto conforme alla ragione … Ma oltre ai comandamenti divini ci sono delle ispirazioni celesti, per l'attuazione delle quali non soltanto è necessario che Dio ci innalzi al di sopra delle nostre forze, ma anche che ci elevi al sopra degli istinti e delle inclinazioni della nostra natura … Non rubare, non mentire, non commettere lussuria, pregare Dio, non giurare invano, amare e onorare il padre, non uccidere, è vivere secondo la ragione naturale dell'uomo; ma abbandonare tutti i nostri beni, amare la povertà …, considerare gli obbrobri, il disprezzo, le abiezioni, le persecuzioni, i martiri come felicità e beatitudini, mantenersi nei limiti di un'assoluta castità, e infine vivere nel mondo e in questa vita mortale contro tutte le opinioni e le massime del mondo … con abituale rassegnazione, rinuncia e abnegazione di noi stessi, non è vivere secondo la natura umana, ma al di sopra di essa; non è vivere in noi, ma fuori di noi e al di sopra di noi: e siccome nessuno può uscire in questo modo al di sopra di se stesso se non lo attira l'eterno Padre, ne consegue che tale modo di vivere deve essere un rapimento continuo e un'estasi perpetua d'azione e di operazione". Nell'uscire da sé e nel donarsi secondo la dinamica esigente della carità l'uomo trova la vera realizzazione di sé. ( Mc 8,35; Gv 12,25 ) 901 La carità adempie i comandamenti, che sono uguali per tutti; accoglie i consigli e gli inviti del Signore, che sono propri per ciascuno; trascende le inclinazioni naturali e il senso comune; è lieta di donarsi senza riserve. Seguire Gesù nella Chiesa Una via ardua 902 La legge di Dio, formulata nei dieci comandamenti, esprime le istanze di un amore autentico, teso a promuovere la crescita integrale dell'uomo, personale e sociale. In sé è sommamente ragionevole. Di fatto però l'uomo, indebolito dal disordine introdotto dal peccato nel suo cuore e nella società, non riesce né a comprenderla né ad attuarla pienamente. Quando non è sostenuto dalla fede, scivola facilmente verso il permissivismo e il nichilismo. Mediante la fede riceviamo l'energia dello Spirito e la possibilità reale di vivere secondo la legge di Dio. "La legge è stata data perché si invocasse la grazia, la grazia è stata data perché si osservasse la legge". Ancor più si allontana dalle nostre inclinazioni disordinate e dalla mentalità corrente il perfezionamento evangelico della legge. Non per niente Gesù esorta con insistenza i suoi discepoli all'anticonformismo: "Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!" ( Mt 7,13-14 ). Necessità dell'esperienza ecclesiale 903 La santità evangelica può essere compresa e attuata solo in un'esperienza ecclesiale. Nella Chiesa riceviamo lo Spirito del Signore, il maestro interiore, ( 1 Gv 2,27 ) che ci familiarizza con la parola di Dio, ci educa a vivere secondo le ardue esigenze della carità, osservando la legge e andando oltre la legge, cercando in ogni situazione di discernere la volontà del Padre, "ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" ( Rm 12,2 ). Nella Chiesa lo Spirito del Signore dà luce e forza al magistero dei pastori, perché interpreti correttamente il disegno di Dio e indichi la strada da seguire nei vari ambiti della vita, sfidando, se necessario, anche l'impopolarità: "Ti scongiuro … annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina" ( 2 Tm 4,1-2 ). Nella Chiesa lo Spirito anima tutti i fedeli, perché esercitino tra loro la correzione fraterna e si incoraggino l'un l'altro, con la parola e l'esempio, in vista di un comportamento cristiano sempre più coerente. È possibile seguire Gesù solo nella compagnia dei discepoli. 904 Nella Chiesa lo Spirito Santo ci aiuta a comprendere e a vivere il vangelo mediante l'illuminazione interiore, l'insegnamento dei pastori, la testimonianza e la correzione fraterna. Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi La domanda etica non è assente nella nostra società, anzi sembra crescere e moltiplicarsi davanti a nuovi problemi. Debole è invece l'offerta e la proposta, basata spesso solo sul sentimento morale. In questa situazione è importante riscoprire il senso e il valore della legge evangelica per testimoniarla come cristiani. Essa non contraddice o limita la legittima autonomia della persona umana, anzi la conferma e la orienta verso una sua autentica realizzazione. La legge di Dio, naturale e rivelata, è sempre per la vita: luce, impegno di fedeltà, garanzia di liberazione. - In quale senso e in quali modi la legge di Dio si manifesta come via di liberazione e di realizzazione per la persona umana? - Quale rapporto esiste tra il decalogo e il vangelo di Gesù Cristo? - Qual è il cuore della legge evangelica? Come viverlo e testimoniarlo nella concreta realtà quotidiana? - Perché solo lo Spirito Santo ci rende veramente liberi e ci consente di attuare la legge evangelica nella Chiesa? Ascoltare e meditare la Parola Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore … Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi … Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti, perché in questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. ( 1 Gv 4,7-8.11-12; 1 Gv 5,1-3 ) Si può leggere anche: ( Es 20,1-20 ) Le dieci parole della vita. ( Ez 36,24-28 ) Un cuore nuovo per poter osservare la legge del Signore. ( Mt 5,17-48 ) Gesù radicalizza le esigenze dell'amore. ( Rm 13,8-10 ) Chi ama osserva tutti i comandamenti. Non s'insegna l'amore di Dio. Nessuno ci ha insegnato a gustare la luce o ad essere attaccati alla vita più che a qualsiasi altra cosa. E nessuno ci ha insegnato ad amare le due persone che ci hanno messi al mondo ed educati. A maggior ragione, non da un insegnamento esterno abbiamo imparato l'amore di Dio. Nella natura stessa d'ogni uomo è stato gettato il seme della capacità di amare. Noi dobbiamo accogliere questo seme, coltivarlo con diligenza, nutrirlo con cura e favorirne lo sviluppo frequentando la scuola dei comandamenti di Dio con l'aiuto della sua grazia. Infatti la virtù dell'amore, pur essendo una sola, abbraccia con la sua potenza tutti quanti i comandamenti. Dice il Signore: "Chi mi ama, osserva la mia parola". E ancora: "Nell'amore sono contenuti tutta la Legge e i Profeti". Noi abbiamo ricevuto da Dio la tendenza naturale ad eseguire i suoi comandamenti. Di conseguenza, da una parte non possiamo fargli obiezioni come se esigesse da noi qualcosa di straordinario, e dall'altra parte non possiamo vantarci come se avessimo compiuto qualcosa di superiore alle forze donateci. Se così stanno le cose, dobbiamo dire lo stesso per l'amore. Dio non ci avrebbe dato il comandamento di amarlo senza darci anche la facoltà naturale di amarlo. ( San Basilio di Cesarea, Regole maggiori, 2 ) Pregare e celebrare Beato l'uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore. Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore. Non commette ingiustizie, cammina per le sue vie. Tu hai dato i tuoi precetti perché siano osservati fedelmente. Siano diritte le mie vie, nel custodire i tuoi decreti. Non dovrò arrossire se avrò obbedito ai tuoi comandi. ( Sal 119,1-6 ) Infiamma, o Padre, i nostri cuori con lo Spirito del tuo amore, perché pensiamo e operiamo secondo la tua volontà e ti amiamo nei fratelli con sincerità di cuore. ( Messale Romano, Colletta della Messa per chiedere la virtù della carità ) - La libertà è data all'uomo come forza di crescita nella verità e nella bontà, fino alla perfetta comunione con Dio. Creato per Dio, soltanto in lui l'uomo troverà la felicità che cerca senza posa. Dio lo attrae a sé per la via dei comandamenti e delle beatitudini evangeliche. - Il cristiano, animato dallo Spirito Santo, osserva la legge morale non da schiavo, ma da figlio di Dio, per somigliare a Gesù e condividere la sua vita. - La legge morale, opera della Sapienza divina, prescrive le vie che conducono alla salvezza e vieta le strade che allontanano da essa. Professare la fede Io sono il Signore Dio tuo: 1. Non avrai altro dio fuori di me. Ama e adora il Signore tuo Dio, servi lui solo, obbedendo ai suoi comandamenti. 2. Non nominare il nome di Dio invano. Loda il Nome santo del Signore, fuggi bestemmia e spergiuro. 3. Ricordati di santificare le feste. Celebra il giorno del Signore, da lui benedetto e dichiarato santo. 4. Onora il padre e la madre. Ama i tuoi genitori per tutti i giorni della loro vita, onora quanti hanno il servizio dell'autorità. 5. Non uccidere. Rispetta e difendi sempre la vita, evita odio e rancore verso il tuo prossimo. 6. Non commettere atti impuri. Conserva la purezza in tutte le tue azioni, non tradire con l'adulterio la santità della famiglia. 7. Non rubare. Non appropriarti di quanto appartiene agli altri, non tenere per te quanto è loro dovuto. 8. Non dire falsa testimonianza. Coltiva sincerità e verità, allontana da te menzogna e maldicenza. 9. Non desiderare la donna d'altri. Vigila sui pensieri e i desideri del cuore, perché il tuo sguardo rimanga limpido e puro. 10. Non desiderare la roba d'altri. Non affannarti per accumulare ricchezze, non ricercarle in modi disonesti. Capitolo 23 La coscienza cristiana La lucerna del tuo corpo è l'occhio. Se il tuo occhio è sano, anche il tuo corpo è tutto nella luce; ma se è malato, anche il tuo corpo è nelle tenebre. Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra. ( Lc 11,34-35 ) 905 Il cristiano cerca di avere uno sguardo limpido di fede, per poter giudicare e agire correttamente in ogni situazione. Cammina sulla via dell'amore a Dio e ai fratelli. I passi da fare di volta in volta gli sono suggeriti dallo Spirito attraverso la voce interiore della coscienza, convenientemente educata. Appello personale di Dio Coscienza e soggettivismo etico 906 La libertà di coscienza, gelosamente rivendicata nella nostra cultura, costituisce un antidoto salutare nei confronti della opposta tendenza a considerare determinanti i condizionamenti psichici e sociali; rappresenta un'istanza preziosa contro la tentazione del conformismo e della manipolazione di massa. Spesso però viene fraintesa. Si arriva a considerare la coscienza come sorgente di verità e di valori. È sintomatico che nel nostro paese la Chiesa sia molto più apprezzata come benefica presenza in campo sociale che non come guida in ambito etico. Il soggettivismo si presta a giustificare le scelte di comodo e apre la porta al disimpegno morale. Soprattutto è contrario alla concezione cristiana dell'esistenza come dialogo con Dio, come accoglienza del suo disegno di salvezza. La coscienza è il luogo della chiamata personale di Dio e della libera risposta di ogni uomo. Non crea i valori, ma li riceve. "Se esiste il diritto di essere rispettati nel proprio cammino di ricerca della verità, esiste ancor prima l'obbligo morale grave per ciascuno di cercare la verità e di aderirvi una volta conosciuta". Interiorità morale 907 La coscienza è una realtà complessa. L'Antico Testamento non usa quasi mai questa parola per indicare il centro intimo dell'uomo; si serve di un termine equivalente: cuore. Il cuore è la sede di pensieri, ricordi, sentimenti, desideri, progetti e decisioni, che poi emergono e traboccano all'esterno. ( Dt 4,39; Sal 21,3; Sal 73,7; Sir 17,5; Is 65,14 ) Esso ha grande rilevanza morale. Con il cuore si distingue il bene dal male; si ama il Signore Dio e lo si tradisce; si ascolta la sua parola e la si respinge. ( Dt 6,5; 1 Re 3,9.12; Sal 119,11; Pr 12,20; Ez 6,9; Zc 7,12 ) Il cuore può essere indurito, traviato, sordo, cieco; ( Ger 5,23; Ger 7,24; Ger 18,12; Ez 2,4 ) oppure al contrario, per la grazia di Dio, può essere contrito, convertito, puro, nuovo. ( 1 Re 18,37; Sal 51,12.19; Ez 11,18 ) L'insegnamento di Gesù, in conformità con l'Antico Testamento, pone il cuore al centro della vita morale. Dal cuore vengono i pensieri, le parole e le azioni, buone e cattive. ( Mt 12,34; Mc 7,21-23; Lc 6,45 ) Nel cuore nascono la fede e l'incredulità. ( Mt 13,15; Is 6,10; Mc 11,23; Lc 24,25 ) La nuova giustizia evangelica trascende l'osservanza esteriore; esige un cuore retto, purificato dall'orgoglio, dalla cupidigia, dalla lussuria, da ogni disordine: ( Mt 5,28; Mt 6,19-21; Mt 15,18-19 ) "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" ( Mt 5,8 ). La luce interiore deve rischiarare l'intera condotta, come l'occhio limpido rischiara tutto il corpo e la lampada accesa sul candelabro rischiara la casa. ( Lc 11,33-36 ) Nell'etica biblica il cuore si identifica in definitiva con l'uomo in quanto soggetto morale. Anche gli scritti apostolici del Nuovo Testamento si pongono su questa linea. ( Rm 5,5; Rm 10,9; Gal 4,6; Ef 3,17; Eb 3,12; Gc 4,8 ) Inoltre con lo stesso significato usano frequentemente la parola "coscienza". La coscienza può essere buona o cattiva, macchiata o purificata, sincera o falsa, debole o forte. ( At 23,1; Rm 9,1; 1 Cor 8,7; 2 Cor 1,12; 1 Tm 1,19; 2 Tm 1,3; Eb 10,22; 1 Pt 3,16 ) Nella coscienza tutti gli uomini, anche i pagani, portano scritta la legge morale: "Quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono" ( Rm 2,15; 1 Pt 3,21 ). La coscienza cristiana è l'uomo nuovo in Cristo, divenuto consapevole di sé nella fede. Egli vive "la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera" ( 1 Tm 1,5 ). Attua le esigenze di essa, seguendo i suggerimenti dello Spirito Santo, ( Rm 8,5-9 ) cercando di "discernere la volontà di Dio" ( Rm 12,2 ) nelle situazioni concrete, vigilando su tutta la sua condotta. ( Ef 5,8-11.15 ) Nella coscienza si fa sentire la chiamata di Dio, che propone sia i valori e le norme, che orientano il cammino, sia gli appelli personali, che indicano i singoli passi da compiere. Risonanza di Dio 908 La coscienza comanda in nome di Dio: è questa la sua prima funzione: "È come l'araldo e il messaggero di Dio; ciò che dice non lo comanda da se stessa, ma lo comanda come proveniente da Dio, alla maniera di un araldo quando proclama l'editto del re. E da ciò deriva il fatto che la coscienza ha forza di obbligare". In quanto risonanza interiore della norma suprema che è la divina volontà, la coscienza diventa a sua volta "norma prossima degli atti umani". Questa dottrina ha ricevuto un'autorevole formulazione nel concilio Vaticano II: "Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa' questo, fuggi quest'altro … La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo". Percezione dei principi e giudizio operativo 909 La coscienza ha un contenuto che si estende dai principi generali alle indicazioni sui singoli atti. Comanda anzitutto ad ogni uomo di fare il bene e di evitare il male. Per il cristiano questo significa vivere secondo la verità di Dio, che è amore, e dell'uomo, che è sua immagine; comporta l'obbedienza filiale alla volontà del Padre e l'osservanza del comandamento fondamentale della carità. "La carità è l'unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato". Poiché il bene si concretizza in molti beni o valori, la prima obbligazione si traduce in varie leggi morali universali, che vengono conosciute per via di intuizione e di riflessione e insegnamento. Ancora: dato che i valori si incarnano di volta in volta nei singoli atti, la coscienza attua un discernimento per identificare ciò che è doveroso o conveniente qui e ora. Procede con prudenza, ponendo a servizio della carità non una pavida cautela, ma una sapiente e coraggiosa creatività, in modo da poter mettere in opera i mezzi idonei a raggiungere il fine. ( Mt 25,1-13; Lc 14,28-33 ) Il discernimento si conclude con il giudizio pratico concretissimo sulla bontà o malizia dell'azione che si sta per compiere. Attraverso il giudizio morale da noi formulato, Dio stesso ci interpella, in alcune situazioni con un comando, in altre con un consiglio o un invito. Ad ognuno rivolge la chiamata ad amare in modo personalissimo, mediante i diversi doni di natura e di grazia che elargisce nel mutevole intreccio delle relazioni e degli avvenimenti. Soggetto responsabile 910 Mediante la coscienza ci raggiunge l'appello di Dio; mediante la coscienza si attua la nostra risposta. Al giudizio pratico sul singolo atto segue la nostra decisione. Può essere obbedienza a Dio o disobbedienza: una scelta che ci qualifica come soggetti moralmente positivi o negativi. La coscienza comanda; la coscienza ubbidisce o rifiuta di ubbidire; infine la coscienza giudica. ( Rm 2,15; 2 Cor 1,12 ) Nel momento in cui prendiamo la nostra decisione, siamo consapevoli di agire bene o di agire male. Se scegliamo il bene, siamo in pace perché ci sentiamo in armonia con noi stessi, con la nostra tendenza fondamentale e con Dio. Se invece scegliamo il male, proviamo rimorso, cioè un'intima lacerazione, perché ci sentiamo in contraddizione con noi stessi e con Dio. Pace e rimorso si prolungano successivamente nel tempo, perché il giudizio della coscienza rimane come giudizio sull'azione già compiuta. Si possono riflettere anche sull'aspetto esteriore: "Il cuore dell'uomo cambia il suo volto o in bene o in male" ( Sir 13,25 ). 911 La coscienza è appello personale da parte di Dio nella singola situazione concreta. Simultaneamente è giudizio dell'uomo su un atto da compiere, che si sta compiendo o che già è stato compiuto, e implicitamente giudizio su se stesso in relazione al fine ultimo. Formazione della coscienza Esercizio complesso 912 "Bada che la luce che è in te non sia tenebra" ( Lc 11,35 ). La coscienza non è la norma suprema, ma la norma prossima; non è propriamente la parola stessa di Dio, ma la sua eco in noi. Perciò non è infallibile. Può sbagliare nell'identificare i valori e ancor più nel discernere i singoli atti. Non basta dire: "Io seguo la mia coscienza". Prima di tutto bisogna cercare la verità. Per conoscere la verità sul bene morale, occorrono un cuore retto e un giudizio prudente. Vi è coinvolta la personalità intera: intelligenza, volontà, sentimento, esperienza, sapere e fede. "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" ( Rm 12,2 ). La coscienza deve essere educata e purificata. L'appello di Dio viene riconosciuto solo da chi sa ascoltare. Se uno non vive quello che crede, finisce per credere quello che vive. "La coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine al peccato". I valori appaiono deformati e sproporzionati, come un dito che, avvicinato all'occhio, appare enorme e quasi non lascia vedere altro. Occorre uno sguardo di fede limpido, aperto alla verità e all'obbedienza. 913 L'itinerario di formazione della coscienza retta si compone di molti elementi: ravvivare spesso la totale disponibilità alla verità e al bene; essere pronti a lasciarsi mettere in discussione; liberarsi da orgoglio, egoismo e affetti disordinati, pregiudizi e cattive abitudini; alimentare con la preghiera un atteggiamento di disponibilità allo Spirito Santo, che sostiene il nostro cammino spirituale con i suoi doni; coltivare la familiarità con la parola di Dio; ( 2 Tm 3,16 ) aderire al magistero del papa e dei vescovi; partecipare a una concreta esperienza ecclesiale; acquisire una sufficiente conoscenza dell'etica cristiana; informarsi accuratamente sui casi concreti e valutarli secondo criteri di fede, di carità, di conformità alla propria vocazione; consultarsi nelle scelte più importanti o più difficili con persone sagge e prudenti. Segno di rettitudine può essere la consolazione spirituale, risonanza vitale positiva della comunione con Dio. Ma la grazia non si misura con il sentimento. Anche la desolazione può venire da Dio. La coscienza retta e certa 914 La coscienza impegnata seriamente nella ricerca del vero bene arriva ordinariamente a formulare un giudizio prudente sulla bontà o meno di una scelta. Si ha allora la coscienza retta e certa, alla quale si deve sempre obbedire, anche se obiettivamente fosse erronea e confondesse il bene con il male: "Nulla è immondo in se stesso; ma, se uno ritiene qualcosa come immondo, per lui è immondo" ( Rm 14,14 ). Dio vuole che noi facciamo il bene così come lo conosciamo. La coscienza erronea in buona fede conserva tutta la sua dignità perché, pur sbagliando nell'identificare il bene concreto, si mantiene fedele alla volontà fondamentale di Dio, che comanda di fare il bene e di evitare il male. Ciò non toglie comunque che il male resti male e che l'errore possa causare danni. 915 Quando invece la coscienza rimane dubbia, bisogna rinviare la decisione, altrimenti ci si rende disponibili a compiere il male. Se un cacciatore spara al bersaglio nell'incertezza che si tratti di un animale o di un uomo, diventa colpevole di omicidio, anche se effettivamente colpisce solo un animale. Tutto quello che non viene da una convinzione interiore in spirito di fede è peccato. ( Rm 14,23 ) Non si richiede tuttavia una certezza assoluta, impossibile da raggiungere nella prassi, ma solo una certezza prudente, che escluda il timore ragionevole di sbagliare. Anzi, anche quando non si riesce a risolvere il dubbio, si può almeno raggiungere una certezza pratica indiretta, ricorrendo a regole generali di prudenza come queste: finché non si prova il contrario si presume il buon diritto del possessore, dell'accusato, del superiore, di ciò che è tradizionale e ordinario, di ciò che è favorevole; una legge dubbia non obbliga, perché non è in grado di indicare il valore morale. 916 A volte si verifica la situazione di coscienza perplessa, quando uno erroneamente pensa di essere tenuto a due obblighi incompatibili tra loro e di peccare qualunque cosa faccia. In tal caso, se la decisione non può essere rimandata, si deve scegliere ciò che sembra il male minore. 917 Siamo responsabili davanti alla nostra coscienza, perché è il portavoce di Dio, ma siamo anche responsabili della nostra coscienza, perché deve essere educata. Gradualità nella responsabilità personale Norma morale e responsabilità 918 Gli atti propriamente umani, di cui siamo responsabili, sono quelli coscienti e liberi. Perché la responsabilità nel bene e nel male sia completa, sono necessari la piena avvertenza e il deliberato consenso. L'avvertenza non si riduce a un sapere teorico, facile da acquisire con una informazione nozionistica. Comporta che la norma sia compresa come espressione di un valore ed esigenza di un'autentica crescita. Presuppone una complessa educazione, fatta di ascolto, riflessione e verifica esperienziale. Certo, la legge di Dio vale per tutti. Non c'è "gradualità della legge", ma "legge della gradualità". A nessuno è lecito assumere la propria debolezza come criterio per stabilire che cosa è bene e che cosa è male. Anzi sappiamo che Cristo "ci ha donato la possibilità di realizzare l'intera verità del nostro essere". Tuttavia di fatto c'è una progressività nel conoscere, nel desiderare e nel fare il bene: "L'uomo, chiamato a vivere responsabilmente il disegno sapiente e amoroso di Dio, è un essere storico, che si costruisce giorno per giorno, con le sue numerose libere scelte: per questo egli conosce, ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita". Cammino graduale 919 La responsabilità personale di ciascuno è proporzionata alla sua attuale capacità di apprezzare e volere il bene, in una situazione caratterizzata da molteplici condizionamenti psichici, culturali, sociali. Tendere alla pienezza della vita cristiana non significa fare ciò che astrattamente è più perfetto, ma ciò che concretamente è possibile. Non si tratta di abbassare la montagna, ma di camminare verso la vetta con il proprio passo. L'educatore deve proporre obiettivi proporzionati, senza debolezza e senza impazienza. Il primo impegno da esigere è la preghiera, che è possibile a tutti: "Dio non comanda cose impossibili, ma comandando ti impegna a fare quello che puoi, a chiedere quello che non puoi", "e ti aiuta perché tu possa". 920 Disordine morale oggettivo e peccato personale non vanno confusi. Lo stesso grave disordine può essere peccato mortale in alcuni, veniale o inesistente in altri, secondo che la loro responsabilità sia piena, parziale o nulla. La Chiesa è maestra e madre: da una parte insegna con fermezza la verità; dall'altra cerca di comprendere la fragilità umana e la difficoltà di certe situazioni. 921 La norma morale è uguale per tutti, ma la responsabilità è propria di ciascuno e proporzionata alla concreta capacità di riconoscere e volere il bene. Coscienza e società civile Diritto alla libertà di coscienza 922 Nella cultura moderna si è affermata la distinzione tra dimensione politica e dimensione etico-religiosa. Lo stato democratico, fatte salve le necessità dell'ordine pubblico, non interferisce nella sfera delle scelte personali. Si tratta di un'evoluzione sostanzialmente positiva, conforme alla concezione cristiana dell'uomo. Nessuno deve essere discriminato a motivo delle proprie convinzioni. Gli uomini sono tenuti a cercare e ad accogliere la verità; ma devono farlo liberamente, attraverso l'educazione e il dialogo, secondo la loro dignità di persone e la loro natura sociale. La coscienza va rispettata anche quando sbaglia: ( Rm 14,3-4 ) "Bisogna tirar una linea, anzi un gran muro di separazione fra l'errore e l'errante, impugnando quello, e questo rispettando ed amando". È compito della Chiesa promuovere la formazione di coscienze adulte e responsabili, dando così un contributo prezioso al bene della stessa società civile. È facile intuire quanto un robusto senso morale e una viva consapevolezza dei valori di dignità della persona, libertà, solidarietà, sacralità della vita, stabilità della famiglia giovino alla pacifica convivenza. Obiezione di coscienza 923 La coscienza cristiana a volte contesta qualche legge particolare; non intende però contestare lo stato come tale, almeno quando è democratico e rispetta i diritti fondamentali della persona. L'obiezione di coscienza, mettendo in luce i limiti e i rischi di qualche soluzione approvata dalla maggioranza, richiama l'attenzione sul fatto che non sempre ciò che è legale è anche morale, e in definitiva favorisce l'ulteriore crescita umana della società. 924 Gli uomini non devono essere forzati ad agire contro la propria coscienza né essere impediti di agire in conformità ad essa, purché rispettino l'ordine pubblico e la giustizia. Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi La coscienza è il luogo della responsabilità e della libertà personale nell'agire, perché è il luogo del dialogo con Dio, con la sua parola di verità. Essa non può essere quindi intesa in modo soggettivamente chiuso o come la sorgente stessa di verità e di valori. Davanti al rischio di un certo determinismo deresponsabilizzante o al rischio di un puro soggettivismo etico, la coscienza cristiana, educata e formata, si pone come esercizio autentico di sapiente discernimento, di scelte libere e responsabili; come spazio abitato dallo Spirito che ci libera non dall'esterno ma nel profondo del cuore, ci configura a Cristo per poter scegliere e agire come lui. - Cosa si intende in genere per libertà di coscienza e cosa significa per noi agire secondo coscienza? - Cosa è una coscienza cristiana? Come educarla e formarla? - Quale rapporto esiste tra la nostra coscienza e la responsabilità delle nostre azioni? Ascoltare e meditare la Parola La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra! … Non giudicate, per non essere giudicati, perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello. ( Mt 6,22-23; Mt 7,1-5 ) Si può leggere anche: ( At 23,1-11 ) Il coraggio di una coscienza retta. ( Rm 14,14-23 ) Essere convinti in coscienza ed evitare lo scandalo. ( 1 Cor 8,4-12 ) Rispettare e non scandalizzare le coscienze erronee in buona fede. ( Sal 36,1 ) Alla tua luce vediamo la luce. "Se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!" ( Is 21,12 ). Mi chiedi da che cosa convertirti? Distogliti dalle tue voglie. E se non la trovo nelle mie voglie, dove la posso trovare la sapienza? L'anima mia infatti la desidera ardentemente. Se la desideri certo la troverai. Però non basta averla trovata. Una volta trovata occorre versarla nel cuore in misura buona, pigiata, scossa e traboccante ( Lc 6,38 ). Ed è giusto che sia così. Infatti: Beato l'uomo che trova la sapienza ed ha in abbondanza la prudenza ( Pr 3,13 ). Cercala dunque mentre la puoi trovare; e mentre ti è vicina, invocala. Vuoi sentire quanto ti è vicina? Vicina a te è la parola nel tuo cuore e nella tua bocca ( Rm 10,8 ), ma solamente se tu la cerchi con cuore retto. Così infatti troverai nel cuore la sapienza e sarai colmo di prudenza nella tua bocca; ma bada che affluisca a te, non che defluisca o venga respinta. ( San Bernardo di Chiaravalle, Discorsi su vari argomenti, 15 ) Pregare e celebrare Dio dei padri e Signore di misericordia, che tutto hai creato con la tua parola, che con la tua sapienza hai formato l'uomo, perché domini sulle creature fatte da te, e governi il mondo con santità e giustizia e pronunzi giudizi con animo retto, dammi la sapienza, che siede in trono accanto a te e non mi escludere dal numero dei tuoi figli, perché io sono tuo servo e figlio della tua ancella, uomo debole e di vita breve, incapace di comprendere la giustizia e le leggi. Se anche uno fosse il più perfetto tra gli uomini, mancandogli la tua sapienza, sarebbe stimato un nulla. ( Sap 9,1-6 ) O Dio, che conosci i nostri pensieri e vedi i segreti dei cuori, infondi in noi il tuo Spirito Santo, perché purificati nell'intimo, possiamo amarti con tutta l'anima e celebrare degnamente la tua lode. ( Messale Romano, Colletta della Messa votiva dello Spirito Santo, 2 ) Professare la fede - "La coscienza è la messaggera di Colui che, nel mondo della natura come in quello della grazia, ci parla velatamente, ci istruisce e ci guida. La coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo" ( J. H. Newman, Lettera al Duca di Norfolk, 5 ). - Una coscienza ben formata è retta e veritiera; formula i suoi giudizi seguendo la ragione, in conformità al vero bene voluto dalla sapienza del Creatore. - La parola di Dio è luce sui nostri passi. Per formare la nostra coscienza, la dobbiamo assimilare, nella fede e nella preghiera, e la dobbiamo mettere in pratica. Capitolo 24 Dal Peccato alla Santità È apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell'attesa della beata speranza. ( Tt 2,11-13 ) 925 Sostenuto dallo Spirito Santo, il cristiano entra nel difficile cammino che conduce dal peccato alla santità. Confidando nella misericordia di Dio, rivelata in Gesù Cristo, si riconosce peccatore, si converte, cerca di crescere verso la perfezione della carità mediante la preghiera e i sacramenti, la purificazione e il dominio delle proprie tendenze, il servizio degli altri e l'esercizio delle virtù. Peccato e conversione Riconoscersi peccatori 926 Chiamati a camminare secondo lo Spirito, seguendo Cristo, per andare al Padre, dobbiamo uscire e allontanarci sempre più dalla schiavitù del peccato e progredire nella libertà dei figli di Dio. Innanzitutto dobbiamo riconoscerci peccatori. "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa" ( 1 Gv 1,8-9 ). Siamo tutti peccatori, di fatto o potenzialmente. Riconoscersi peccatori è già un dono di Dio, un atto possibile solo alla luce della fede, una difficile vittoria sulla tendenza all'autogiustificazione. Tra la nostra gente il senso della colpa morale è ancora assai diffuso; ma riguarda solo alcuni peccati, come la violenza, la calunnia, la bestemmia. La mentalità razionalista e secolarizzata tende a ridurre molti disordini morali a deviazioni dalle convenzioni sociali, a errori da guardare con indulgenza, a debolezze da comprendere. Irride volentieri a quelli che considera tabù ereditati dal passato. Esalta la trasgressione come affermazione di libertà. Elenco dei peccati 927 La fede ci fa riconoscere molte forme di peccato che sfigurano l'uomo, immagine di Dio. Nella Bibbia troviamo vari elenchi di peccati, piuttosto dettagliati. ( Sap 14,22-31; Mc 7,21-23; Rm 1,24-31; 1 Cor 6,9-10; Gal 5,19-21; Col 3,5-9; 1 Tm 1,9-10; 2 Tm 3,2-4 ) A voler raccogliere in un quadro le principali indicazioni, si ottiene una lista impressionante, peraltro ancora esemplificativa e non esaustiva: incredulità, idolatria, stregoneria, bestemmia, spergiuro, apostasia, oltraggio ai genitori, infanticidio, omicidio, odio, dissolutezza, omosessualità, orgia, fornicazione, adulterio, furto, avarizia, traffico di persone, tradimento, inganno, calunnia, turpiloquio, cuore spietato, orgoglio insensato. Questi peccati sono considerati gravi, incompatibili con la vita di comunione con Dio. Purtroppo il triste elenco si allunga con altre esperienze negative della nostra epoca: genocidio, terrorismo, traffico delle armi, aborto, eutanasia, tortura, carcerazione arbitraria, deportazione, razzismo, sfruttamento dei paesi poveri, condizioni indegne di vita e di lavoro, violenza sui minori, mercato delle donne, commercio pornografico, traffico di droga, corruzione politica e amministrativa, speculazione finanziaria, evasione fiscale, speculazione edilizia, inquinamento ambientale. Il peccato mortale 928 La fede ci rivela la malizia profonda del peccato. Esso è infedeltà all'alleanza, rifiuto dell'amore di Dio, ingratitudine, idolatria. Gli uomini non accolgono la propria esistenza come un dono, non rendono grazie al loro Creatore e Padre. ( Rm 1,21 ) A Dio preferiscono un valore parziale assolutizzato, una qualche figura del potere, dell'avere, del sapere, del piacere. Fanno a meno di lui, come fossero autosufficienti. E dire che ogni energia viene da lui, anche quella che occorre per ribellarsi! "Hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l'acqua" ( Ger 2,13 ). Il danno ricade sui peccatori: "Forse costoro offendono me - oracolo del Signore - o non piuttosto se stessi?" ( Ger 7,19 ). Perdendo la comunione con Dio, l'uomo si mette in contraddizione con la propria tendenza originaria al bene, subisce la ribellione delle passioni e l'oscuramento della coscienza, deforma il modo di rapportarsi agli altri e alle cose, produce conflittualità sociale e strutture di peccato, che a loro volta opprimono le persone e ostacolano il loro sviluppo. Se lo stato di separazione da Dio non viene ritrattato con la conversione, conduce alla perdizione eterna. Devastando l'uomo, il peccato ferisce anche Dio: "Dio viene offeso da noi in quanto operiamo contro il nostro proprio bene". Intangibile nella sua infinita perfezione, si è reso vulnerabile legandosi a noi con l'alleanza, con amore appassionato. Il peccato è contro di lui, perché è contro l'uomo. Per una così grave malizia si caratterizza il peccato "mortale", che distrugge la vita di comunione con Dio: un atto di ribellione alla volontà di Dio, in qualche suo contenuto importante, con piena avvertenza e deliberato consenso. Esso produce o conferma uno stato di peccato, cioè un atteggiamento fondamentale di chiusura nei confronti di Dio. Il peccato veniale 929 Essenzialmente diverso è il peccato "veniale", che non comporta un rifiuto di Dio, ma solo un'incoerenza nel cammino verso di lui. È un atto di disobbedienza alla sua volontà in qualche contenuto di minore importanza, o in qualche contenuto importante ma senza piena avvertenza e deliberato consenso. Sebbene non paragonabile al precedente, possiede una sua triste serietà: sciupa energie preziose, ostacola la crescita personale e il progresso sociale, mette in pericolo di cadere nel peccato mortale. Conversione fondamentale 930 Mentre smaschera il peccato, la fede ci fa conoscere la misericordia di Dio; mentre abbatte l'orgoglio e la presunzione, ci solleva dallo scoraggiamento e dalla disperazione. Dio ama i peccatori, prima ancora che si convertano. Li va a cercare, come il pastore cerca la pecora smarrita. ( Lc 15,4-7 ) Li converte e li rende giusti. ( Rm 3,23-24.28 ) Da soli non riuscirebbero mai a liberarsi dal peccato: prigionieri di un egoismo tenace e di una logica tutta terrestre, immersi in un contesto sociale corrotto, non potrebbero mai rovesciare il proprio centro di interesse e i propri criteri di valutazione; morti alla vita di comunione con Dio, non potrebbero mai risuscitare se stessi. Ma lo Spirito Santo li raggiunge con la sua forza e li guida sulla via del ritorno: cooperando con la sua grazia, essi prendono coscienza dei loro peccati, ne provano rimorso, si aprono alla fiducia, al desiderio di riconciliarsi con Dio. Finalmente viene il momento in cui rinnegano il peccato, assumono un progetto di vita conforme al vangelo ed entrano in un atteggiamento filiale verso Dio e fraterno verso il prossimo. È la conversione fondamentale, la giustificazione. Per i cristiani avviene solo in connessione con il sacramento della riconciliazione: o nella celebrazione di esso o prima della celebrazione mediante il dolore perfetto, che include il proposito di confessarsi al più presto. Come Pietro, "anche tu, se vuoi meritare il perdono, cancella le tue colpe con le lacrime: in quel momento Cristo ti guarda. Se incappi in qualche colpa, egli testimone presente di tutta la tua vita segreta, ti guarda per ricordarti l'errore e spingerti a confessarlo". 931 La luce della fede ci fa riconoscere la gravità del peccato, che è rifiuto dell'amore di Dio e rovina dell'uomo; nello stesso tempo ci manifesta la misericordia di Dio, che rende possibile la nostra conversione e santificazione. Cammino perseverante Conversione continua 932 Una volta convertiti dobbiamo convertirci ancora. "La conversione si esprime fin dall'inizio con una fede totale e radicale, che non pone né limiti né remore al dono di Dio. Al tempo stesso, però, essa determina un processo dinamico e permanente che dura per tutta l'esistenza, esigendo un passaggio continuo dalla "vita secondo la carne" alla "vita secondo lo Spirito"". In questo spirito la Chiesa ogni anno propone a tutti la Quaresima quale segno liturgico della conversione. Dobbiamo renderci conto della precarietà della vita nuova in noi, sempre bisognosa di uno speciale aiuto di Dio. Questa umile consapevolezza costituisce il fondamento permanente del nostro cammino: "Il primo passo è l'umiltà; il secondo passo è ancora l'umiltà; il terzo ancora l'umiltà; e per quanto tu chieda, io darò sempre la stessa risposta: l'umiltà". Dobbiamo ritenerci ancora lontani dalla meta e progredire verso di essa. ( Fil 3,12-14 ) "Fratelli, state lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda" ( 2 Cor 13,11 ). La carità vuole crescere. Chi rinuncia deliberatamente a progredire, non ha la carità; è ancora schiavo del peccato. Il progresso poi consiste nel cercare di evitare ogni peccato mortale e ogni peccato veniale deliberato, e nel fare il bene con motivazioni sempre più pure. 933 Se da un lato dobbiamo impegnarci seriamente nel cammino della perfezione, dall'altro occorre essere pazienti. Ordinariamente il cammino procede faticoso e lento; conosce crisi, ritardi, ricadute. Una certa distanza tra l'ideale e la prassi rimarrà sempre. Riconoscere lucidamente la propria debolezza serve per rimanere umili, per essere miti con gli altri, per confidare in Dio, che ci ama così come siamo. Direzione spirituale 934 Il cammino, a parte vocazioni molto particolari, non deve essere solitario. I fratelli sono poveri come noi, ma sono cooperatori di Dio per la nostra santificazione. È importante l'inserimento in un gruppo di formazione, in una esperienza concreta di Chiesa. È prezioso, e almeno in alcuni momenti necessario, un consigliere o direttore spirituale. Si tratta di un educatore che, servendosi prevalentemente del dialogo, aiuta a discernere la volontà di Dio e a compierla. Viene scelto liberamente e mantenuto stabilmente, perché possa conoscere bene, consigliare con chiarezza, istruire, stimolare, verificare, correggere con gradualità. È preferibile che sia un sacerdote, anzi il confessore; ma può essere anche un'altra persona, purché abbia le qualità necessarie: pietà, zelo, umiltà, equilibrio, scienza, esperienza, bontà, disinteresse, riservatezza. Al consigliere spirituale si deve aprire il cuore con sincerità e fiducia. Le sue direttive vanno seguite con docilità. 935 Infine, il cammino spirituale per non rimanere velleitario, deve darsi un'appropriata disciplina. Contro la pigrizia e le eventuali crisi di scoraggiamento occorre seguire un programma personale di vita, realistico, commisurato alle proprie possibilità, flessibile, ma con alcuni punti fermi. Ognuno deve camminare con il suo passo, ma con perseveranza. 936 "Nelle corse allo stadio tutti corrono… per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile" ( 1 Cor 9,24-25 ). Cammino di preghiera, di purificazione, di esercizio delle virtù 937 Ogni cristiano ha un suo proprio cammino spirituale, ma alcune linee generali sono comuni a tutti. Secondo il concilio Vaticano II, la via che conduce alla perfezione della carità, cioè alla santità, comprende esperienze di preghiera, di purificazione e dominio di sé, di esercizio delle virtù e servizio del prossimo. Necessità della preghiera 938 La preghiera ha una incidenza senza pari nello sviluppo della vita cristiana. "Senza la luce di Dio nessun uomo si salva. Essa fa muovere all'uomo i primi passi; essa lo conduce al vertice della perfezione. Perciò se vuoi cominciare a possedere questa luce di Dio, prega; se sei già impegnato alla salita della perfezione e vuoi che questa luce in te aumenti, prega; se sei giunto al vertice della perfezione e vuoi ancora luce per poterti in essa mantenere, prega; se vuoi la fede, prega; se vuoi la speranza, prega; se vuoi la carità, prega; se vuoi la povertà, prega; se vuoi l'obbedienza, la castità, l'umiltà, la mansuetudine, la fortezza, prega. Qualunque virtù desideri, prega". La preghiera è necessaria per salvarsi; a maggior ragione lo è per giungere alla perfezione. È il primo mezzo, efficacissimo e accessibile a tutti. Ci ottiene la grazia di Dio e ci dispone ad accoglierla. Alimenta in noi una mentalità di fede e ci aiuta a discernere la volontà di Dio. A lungo andare trasforma la nostra personalità e innalza la stessa vita ordinaria a dialogo con Dio, facendone una risposta consapevole di amore. Occorre organizzare il proprio tempo con un programma che preveda momenti di preghiera nel giorno, nella settimana, nel mese e nell'anno, tenendo conto degli impegni familiari, professionali e sociali. Consigli per la preghiera 939 Non serve a niente pregare a lungo, ripetendo e accumulando formule vuote. ( Mt 6,7 ) La preghiera privata vocale ha senso se è finalizzata a suscitare fervore. Proprio perché mira a destare il fervore del sentimento e della volontà, ha grande importanza quella riflessione affettiva che si chiama meditazione. Essa dispone a ricevere più fruttuosamente i sacramenti, libera dalla superficialità, provoca una conversione seria. Sant'Alfonso Maria de' Liguori afferma che la meditazione è incompatibile con il peccato: o si lascia presto l'orazione mentale o si lascia presto il peccato. 940 Tra le forme di preghiera privata, accanto alla meditazione è da raccomandare la pratica quotidiana dell'esame di coscienza, utilissima per una progressiva purificazione del cuore. Si verificano i propri atti e atteggiamenti, buoni e cattivi; si concentra l'attenzione su una disposizione particolare, rinnovando ogni volta il pentimento sincero, il proposito fermo, l'impegno di vigilanza riguardo alle tentazioni e alle occasioni pericolose. 941 La vita spirituale si nutre della parola di Dio. ( 2 Tm 3,14-17 ) Il contatto con essa deve essere assiduo. Le modalità possono essere varie: proclamazione liturgica e omelia, catechesi, studio personale, meditazione e lettura spirituale. Chi ne ha la possibilità è bene che almeno qualche volta faccia l'esperienza estremamente fruttuosa di un ascolto prolungato e intenso nei ritiri e negli esercizi spirituali. 942 L'esistenza cristiana è plasmata dai sacramenti, soprattutto dall'eucaristia, che ci conforma a Cristo nella sua dedizione pasquale e ci comunica la sua carità e la sua gioia. Di qui l'urgenza di partecipare regolarmente e con fervore alla Messa festiva e l'utilità, quando è possibile, di farlo nei giorni feriali. Anche il sacramento della riconciliazione ha un'importanza decisiva, non solo per attuare la conversione dal peccato mortale alla vita di grazia, ma anche per sostenere la conversione permanente. È opportuno riceverlo con regolarità periodica, senza cadere nell'abitudine, rinnovando ogni volta una sincera contrizione e un fermo proposito. È bene che sia accompagnato da un minimo di direzione spirituale da parte del confessore. 943 Oltre la partecipazione frequente ai sacramenti è da consigliare la liturgia delle ore, specialmente la preghiera delle lodi al mattino e quella dei vespri alla sera. Non è riservata al clero o ai religiosi: oggi molti laici ne riscoprono la bellezza e la fecondità. Disciplina interiore 944 Dalla preghiera riceve energia l'impegno assiduo di purificazione, dimensione essenziale del cammino spirituale. Nel nostro cuore si scontrano il desiderio del bene e le inclinazioni disordinate, lo Spirito di Dio e l'egoismo: "La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste" ( Gal 5,17 ). Anche dopo la remissione dei peccati rimangono l'oscurità dell'intelligenza, la debolezza della volontà, le inclinazioni ribelli alla ragione. Occorre un lungo e faticoso esercizio per acquistare equilibrio interiore e autentica libertà. In un certo senso, liberi non si nasce, si diventa. 945 La purificazione della mente consiste nel coltivare una conoscenza oggettiva e una riflessione rigorosa, nel maturare salde convinzioni e idee guida capaci di risvegliare l'amore a Dio, nel rafforzare la volontà compiendo il bene anche con sacrificio. 946 Lucida consapevolezza e ferma volontà sono necessarie per controllare l'affettività e orientarla al bene. I sentimenti sono risonanze attive della coscienza ai rapporti vitali con se stessi, con gli altri, con la natura e con Dio. Si riducono in definitiva a una reazione positiva di simpatia nella triplice modalità dell'amore, del desiderio e della gioia, e a una reazione negativa di avversione nelle modalità dell'odio, del timore e della tristezza o della collera. Sono energie immense, non da soffocare, ma da finalizzare secondo la retta ragione, assumendole nelle varie virtù, in modo da poter compiere il bene spontaneamente. Così disciplinati, i sentimenti ci rendono agevoli le corrette relazioni interpersonali, ci consentono di valutare e decidere con saggezza, di rimanere sereni nelle contrarietà. A proposito di contrarietà, il cristiano è chiamato a spingersi molto lontano: accettare le sofferenze che capitano, anche quelle ingiuste; non tanto umiliarsi, quanto lasciarsi umiliare; guarire dai vari rancori e riconciliarsi con tutti e con tutto. 947 La disciplina dei sentimenti si integra con la disciplina del corpo. In concreto, quest'ultima comprende i seguenti elementi: sobrietà nel cibo, nell'abbigliamento, nelle comodità, nei consumi superficiali e banali; controllo degli sguardi e delle conversazioni; rinuncia agli interessi inutili e pericolosi; dominio dell'istinto sessuale. Esercizio delle virtù 948 Questo lavoro complesso e paziente di purificazione va verso una progressiva unificazione e dilatazione interiore. Non si tratta di fare il vuoto o di annullare se stessi, alla maniera delle tradizioni ascetiche orientali, ma di acquistare il dominio di sé, per essere veramente liberi di donarsi a Dio e ai fratelli, per conformarsi sempre più a Cristo crocifisso e risorto. La carità non ci rende indifferenti, ma capaci di amare tutti appassionatamente in Dio; non ci sottrae alla storia, ma ci immerge in essa. Per questo insieme alla preghiera e alla disciplina ascetica, dobbiamo coltivare un atteggiamento di accoglienza e di dedizione verso il prossimo. Di qui la necessità di gesti frequenti e generosi di premurosa attenzione, di servizio, di condivisione e di perdono. La crescita della carità è dono dello Spirito Santo; ma noi dobbiamo disporci ad essa con atti fervorosi di amore e con l'esercizio sempre più esigente delle virtù umane, che danno consistenza e corpo alla carità. La santità cristiana si incarna nella concretezza della vita quotidiana. Porta a far bene tutto quello che si fa, a concentrarsi sul momento presente, a non fare l'abitudine alle cose ordinarie. Una grande santità può maturare attraverso le piccole cose di ogni giorno. 949 La formazione spirituale procede per la triplice via della preghiera, del dominio di sé, dell'esercizio pratico delle virtù. A passo spedito verso la meta Crescente spontaneità 950 "Non che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo" ( Fil 3,12 ). Il progresso della vita spirituale è dono di Dio, a cui il cristiano è chiamato a cooperare. Accogliendo i primi doni, ci disponiamo a riceverne di più grandi: è questo il concetto di merito. Più ci avviciniamo a Dio e più camminiamo speditamente: compiere il bene diventa sempre più connaturale e spontaneo. La pratica della carità e di tutte le virtù è sempre più sostenuta dai doni dello Spirito Santo, come una nave che avanza a vele spiegate, sospinta più dalla forza del vento che dalle braccia dei rematori. Carità perfetta 951 Si giunge così alla perfetta unione sponsale con Dio nella carità: unione non intimistica, ma aperta all'amore di tutte le creature, nella semplicità della vita quotidiana. Le modalità di attuazione sono estremamente varie. In alcuni cristiani prevalgono i doni operativi dello Spirito Santo: la dedizione a Dio si esprime soprattutto mediante l'attività in campo ecclesiale, familiare, professionale, sociale, culturale, politico, con totale disinteresse, fino al sacrificio più arduo. In altri cristiani prevalgono i doni conoscitivi, con la possibilità delle esperienze mistiche più diverse. A volte provano la crocifiggente impressione di essere abbandonati da Dio. Altre volte, con gioia inebriante, hanno la consapevolezza sperimentale della presenza amorosa delle persone divine, quasi un preludio alla visione beatifica del Paradiso. Negli uni e negli altri giunge a maturazione il germe deposto in loro mediante il battesimo. 952 "Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" ( Gal 5,22 ). Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi Lo smarrimento del senso del peccato è, in definitiva, perdita del senso pieno della propria dignità umana e della relazione con Dio. La coscienza di essere peccatori non si può ridurre a un senso soggettivo di colpa. Solo nella fede è comprensibile la gravità del peccato quale disubbidienza al disegno di Dio e fallimento dell'uomo. Solo alla luce della chiamata alla santità si può comprendere il male provocato dal peccato e aprirsi al desiderio della conversione e del perdono, resi possibili dall'amore e dalla misericordia di Dio. - Che cosa significa per noi la coscienza di essere peccatori? - Quali situazioni di peccato, a livello personale e sociale, ci interpellano nella fede per una reale conversione? - Come considerare il peccato alla luce del perdono di Dio e della sua chiamata alla santità? - Che cosa comporta e come si può attuare un cammino di continua conversione? Ascoltare e meditare la Parola Si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati, nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù. ( Rm 3,21-26 ) Si può leggere anche: ( Sap 14,22-29 ) Dalla radice dell'incredulità deriva una moltitudine di peccati. ( Os 14,2-10 ) Appello e promessa di conversione. ( Ef 4,17-5,20 ) Revisione di vita. ( Ap 3,14-22 ) Uscire dalla mediocrità. ( Sal 51,1 ) Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia. Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te; gustai, e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace. ( Sant'Agostino, Confessioni, 10,27,38 ) Pregare e celebrare Beato l'uomo a cui è rimessa la colpa, e perdonato il peccato. Beato l'uomo a cui Dio non imputa alcun male e nel cui spirito non è inganno. Ti ho manifestato il mio peccato, non ho tenuto nascosto il mio errore. Ho detto: "Confesserò al Signore le mie colpe" e tu hai rimesso la malizia del mio peccato. Per questo ti prega ogni fedele nel tempo dell'angoscia. Quando irromperanno grandi acque non lo potranno raggiungere. Tu sei il mio rifugio, mi preservi dal pericolo, mi circondi di esultanza per la salvezza. Gioite nel Signore esultate, giusti, giubilate, voi tutti, retti di cuore. ( Sal 32,1-2.5-7.11 ) O Dio, Padre di eterna misericordia, fa' che si convertano a te i nostri cuori, perché nella ricerca dell'unico bene necessario e nelle opere di carità fraterna siamo sempre consacrati alla tua lode. ( Messale Romano, Colletta del sabato della prima settimana di Quaresima ) Professare la fede - "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, [ Dio ] che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa" ( 1 Gv 1,8-9 ). - "Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia" ( Rm 5,20 ): il vangelo è denuncia del male, e più ancora annuncio di grazia. Il peccato, che offende Dio e corrompe la vita dell'uomo, è stato vinto da Cristo morto e risorto. Confidando nel suo aiuto e nella misericordia del Padre, anche noi possiamo e dobbiamo vincere il male e continuamente convertirci al bene. - Peccato mortale è scegliere consapevolmente e volontariamente una cosa gravemente contraria alla legge divina e al fine ultimo dell'uomo. Se non ci si pente, esso conduce alla morte eterna perché distrugge in noi la carità, senza la quale la beatitudine eterna è impossibile. - Da una fede sincera derivano la tristezza per il peccato, la fiducia nella bontà del Padre e il deciso impegno di fuggire il male e tendere al bene, con la preghiera, il dominio di sé, la carità. Sezione seconda L'esperienza cristiana Introduzione 953 L'esistenza del cristiano è rivolta al Padre, seguendo Cristo con la grazia dello Spirito nella varietà delle situazioni concrete. "Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre" ( Col 3,17 ). Il rapporto con le persone divine passa attraverso il dialogo esplicito della preghiera e il comportamento quotidiano in famiglia, nella comunità ecclesiale, nella vita sociale, nel lavoro, in politica, nell'attività culturale. Se vissuto nello Spirito, tutto diventa sacrificio gradito a Dio. 954 La "fede che opera per mezzo della carità" ( Gal 5,6 ) testimonia che la salvezza è già operante nella storia, promovendo i valori umani nella loro autenticità e consistenza propria. L'esperienza cristiana è unitaria, ma abbraccia molteplici ambiti: la preghiera ( capitolo 25 ), il rispetto della vita ( capitolo 26 ), la sessualità, il matrimonio e la famiglia ( capitolo 27 ), l'impegno sociale e politico ( capitolo 28 ), il lavoro ( capitolo 29 ), la comunicazione e la cultura ( capitolo 30 ). Capitolo 25 La preghiera cristiana Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo. ( Ef 5,18-20 ) 955 Il cristiano, lasciandosi guidare dalla divina rivelazione, entra in dialogo con Dio, insieme con Maria, i santi e tutta la Chiesa. Impegnando tutta la sua persona, si rivolge al Padre mediante il Figlio nello Spirito: lo adora, lo ascolta, lo benedice, lo loda, lo ringrazia, lo invoca per sé e per gli altri. Modello e sintesi di ogni preghiera è il "Padre nostro", che Gesù ci ha insegnato. Dio educa il suo popolo alla preghiera La pratica religiosa oggi 956 La cultura secolarizzata e il ritmo incalzante della vita moderna hanno provocato una diminuzione della pratica religiosa. Meno della metà della gente nel nostro paese dichiara oggi di pregare frequentemente; gli altri dicono di farlo raramente o addirittura mai. Per altro verso c'è da parte di molti una riscoperta della preghiera, che si manifesta nell'entusiasmo collettivo di grandi folle, nel fervore di piccoli gruppi, nella ricerca del silenzio e della solitudine, nelle vocazioni alla vita contemplativa. A quali sorgenti si alimenta questa esperienza sempre viva? Quali riferimenti abbiamo per educarci alla preghiera? Dialogo vivo con Dio 957 I gesti, con cui l'uomo rivolge consapevolmente l'attenzione alla divinità e invoca il suo aiuto per avere vita e felicità, occupano da sempre un posto centrale nelle religioni. Alla luce della rivelazione sappiamo che l'uomo cerca Dio perché Dio cerca l'uomo e lo attrae a sé. 958 Nell'Antico Testamento Dio si fa interlocutore personale del suo popolo mediante una storia di eventi e parole; crea un legame speciale di alleanza. La preghiera è ascolto della sua parola e risposta ad essa; è dialogo in cui, al di là della dipendenza creaturale, viene vissuto consapevolmente il rapporto di alleanza. Abramo vive l'intimità con Dio come ascolto attento, obbedienza, abbandono fiducioso nelle prove e intercessione audace per i peccatori. ( Gen 15,1-6; Gen 18,16-33; Gen 22,1-19 ) Mosè, confidente e cooperatore di Dio, presenta le sue difficoltà, ma obbedisce; intercede con perseveranza per il popolo. ( Es 4,1-17; Es 32,11-13 ) I profeti hanno un'esperienza diretta di Dio, che li sostiene in mezzo alle tribolazioni. Cercano appassionatamente il suo volto; lavorano e lottano per la sua causa. Chiamano Israele a una preghiera che non sia solo un insieme di cerimonie esteriori, ma conversione del cuore e osservanza dei comandamenti. ( Is 1,10-17; Ger 1,17-19; Ger 20,7-9.11; Am 5,21-24 ) I salmi 959 Per alimentare la preghiera del suo popolo, Dio ispira i salmi, mirabili formule adatte per la comunità e per i singoli. Vi si fa memoria delle meraviglie che egli ha compiuto in passato; si richiamano le sue promesse, di cui si attende il compimento. Dentro questa storia dell'alleanza viene inserita la situazione di chi prega. Vi trovano espressione tutti i sentimenti umani: gioia e desolazione, gratitudine e desiderio, contemplazione e impegno, fiducia e protesta, compassione e ira. Ma l'anima di tutto è sempre la lode di Dio; perfino la sofferenza e l'ingiustizia diventano nella speranza motivo di benedizione. Appare dunque appropriato il titolo "I salmi" o "Le lodi", che è dato all'intera raccolta. L'assenza di riferimenti episodici facilita l'attualizzazione. I salmi sono stati impiegati per secoli nella liturgia delle sinagoghe ogni sabato e nella liturgia del tempio in occasione delle feste. Il Signore Gesù se ne è servito per lodare e invocare il Padre, conferendo ad essi un nuovo significato alla luce della nuova alleanza. Da lui e non solo dal popolo d'Israele li riceve la Chiesa. Dialogo filiale 960 Gesù introduce nella storia la preghiera filiale: la vive in prima persona e la comunica ai credenti. Prega molto durante la vita pubblica: loda e ringrazia il Padre, accoglie con prontezza la sua volontà. ( Mt 11,25-27; Lc 10,21-22 ) Prega all'avvicinarsi dell'"ora" decisiva della morte e risurrezione. Elevando al Padre quella che giustamente viene detta "Preghiera sacerdotale", ( Gv 17,1 ) richiama tutto il disegno di Dio che si sviluppa nella storia della salvezza, dà voce all'anèlito universale verso la comunione trinitaria, perché tutto giunga a compimento. Prega durante la passione: ( Mc 15,34; Lc 22,42; Lc 23,34.46 ) "Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà" ( Eb 5,7 ). Prega con una confidenza del tutto singolare, chiamando Dio: "Abbà" ( Mc 14,36 ). Incarna nella sua esperienza umana l'atteggiamento del Figlio unigenito, eternamente rivolto al Padre. 961 Gesù fa partecipare i credenti alla sua comunione filiale e li educa a viverla consapevolmente nella preghiera. Insegna il "Padre nostro"; ( Mt 6,9-13 ) esorta a chiedere soprattutto il dono dello Spirito Santo; ( Lc 11,13 ) indica le caratteristiche che deve avere la preghiera dei figli: sincerità, umiltà, fiducia, anzi audacia, perseveranza. ( Mt 6,5-6; Mc 9,23; Lc 11,5-13; Lc 18,1-14 ) I discepoli devono pregare nel suo nome, ( Gv 14,13-14; Gv 16,23-24 ) in sintonia con lui e insieme a lui, perché si compia il disegno del Padre. La preghiera cristiana è la preghiera stessa di Gesù comunicata ai suoi. Esperienza ecclesiale 962 Lo Spirito del Signore sostiene e guida la preghiera dei figli di Dio, perché si rivolgano al Padre con lo stesso atteggiamento di Gesù. ( Rm 8,15; Gal 4,6 ) Fa della Chiesa un'esperienza assidua di preghiera, fin dall'inizio del suo cammino storico. ( At 1,14; At 2,42 ) Da persona a persona, da una generazione all'altra, sotto la guida dei pastori, il linguaggio e l'atteggiamento della preghiera si comunicano come per osmosi, dando luogo a tradizioni liturgiche, teologiche e spirituali. I grandi maestri e modelli sono soprattutto i santi. Gli ambienti dove ci si educa a pregare sono in concreto le parrocchie, specialmente attraverso l'assemblea festiva, i santuari, in occasione soprattutto di pellegrinaggi, le comunità religiose, le aggregazioni particolari di fedeli e, con una efficacia tutta propria, le famiglie cristiane, dove i figli imparano dai genitori a sentire la presenza di Dio, a intrattenersi con lui al mattino e alla sera, a benedirlo per la mensa e per tutti i suoi doni. La religiosità popolare 963 La formazione alla preghiera passa anche attraverso la religiosità popolare: idee, atteggiamenti, simboli e comportamenti riguardanti la realtà religiosa, condivisi e tramandati in un gruppo sociale. Le sue espressioni privilegiate sono i riti di passaggio da una fase all'altra della vita, il culto dei defunti, le feste e le ricorrenze, l'inclinazione a credere nei miracoli e nelle apparizioni, la venerazione di immagini e reliquie, le processioni, i pellegrinaggi ai santuari. Le singole persone vi trovano protezione contro la precarietà e l'ansia, che insidiano l'esistenza. La pietà popolare ha senz'altro dei limiti. Tuttavia "non può essere né ignorata, né trattata con indifferenza o disprezzo, perché è ricca di valori, e già di per sé esprime l'atteggiamento religioso di fronte a Dio. Ma essa ha bisogno di essere di continuo evangelizzata, affinché la fede, che esprime, divenga un atto sempre più maturo e autentico". L'evangelizzazione non distrugge, ma assume ciò che trova di buono, lo purifica e lo perfeziona. Così, ad esempio, la pastorale dei santuari a volte integra felicemente quella delle parrocchie, offrendo occasioni privilegiate di conversione e di formazione. 964 La preghiera cristiana, animata dallo Spirito Santo e inserita nella tradizione vivente della Chiesa, è partecipazione al colloquio filiale di Gesù con il Padre. Colloquio con Dio Comunione consapevole 965 In ogni religione la preghiera è il gesto centrale. Gesù stesso pregava a lungo, interrompendo la sua attività. Da che cosa nasce questa necessità vitale? Perché non basta dedicarsi con onestà e generosità agli impegni familiari e professionali e alle opere buone? La vita non è solo efficienza e lavoro; è anche contemplazione, amicizia, gioco, festa. Nella preghiera l'uomo vive consapevolmente la dipendenza da Dio e l'amore per lui; ringrazia e loda per i doni ricevuti; chiede e si dispone ad accogliere quelli sperati. Più precisamente il cristiano attua consapevolmente la comunione filiale con Dio in Cristo, esprimendo l'atteggiamento fondamentale di fede, speranza e carità con modulazioni diverse secondo le situazioni, gioiose o tristi, individuali o comunitarie. Da persona a persona 966 La preghiera è il rapporto con Dio divenuto pienamente consapevole; per questo non manca mai in ogni autentica vita religiosa. Alcune tradizioni la intendono come colloquio con Dio, altre come rientro solitario in se stessi. Per i cristiani, nella storia della salvezza Dio si rivela non come potenza anonima, ma come soggetto personale, che parla, ascolta, è sempre vicino. Pregare, allora, significa dialogare con lui da persona a persona, dargli del tu, mettersi davanti a lui faccia a faccia, cuore a cuore. Si prega il Padre 967 Il nostro primo interlocutore è la prima persona della Santissima Trinità. Il cristiano, sia nella lode sia nella supplica, in definitiva si rivolge sempre a Dio Padre, principio senza principio della altre persone divine e di ogni dono partecipato alle creature. La sua preghiera, come tutta la sua vita, è sempre un andare al Padre insieme a Cristo nello Spirito. ( Ef 5,19-20 ) Sostanziata di adorazione e di amore filiale, animata dallo Spirito e associata al sacrificio pasquale di Gesù, essa giunge gradita al cuore del Padre e lo fa trasalire di tenerezza. Si prega con Cristo e si prega Cristo 968 Se il Padre è la meta, Gesù Cristo è "la via" ( Gv 14,6 ). Egli associa alla propria preghiera quella della Chiesa e di tutta l'umanità. Ogni esperienza di orazione, dal balbettìo infantile alla contemplazione mistica, si compie nel suo nome. Gesù intercede per noi come mediatore; ma come persona divina è anche destinatario della nostra preghiera; "prega per noi, prega in noi ed è pregato da noi". Già nel Nuovo Testamento si trovano preghiere rivolte a Gesù ( Gv 20,28; At 7,59-60; Ap 22,20 ) e la formula Marana tha ( Signore vieni, 1 Cor 16,22 ) appartiene al primitivo strato aramaico della tradizione neotestamentaria, come Abbà. ( Mc 14,36; Rm 8,15; Gal 4,6 ) Tutte le tradizioni liturgiche successive contengono preghiere rivolte a Cristo. Merita anche di essere ricordata, per il grande rilievo che ha nella spiritualità orientale, l'invocazione del nome di Gesù, tramandata dai monaci del Sinai, di Siria, dell'Athos. La formula viene ripetuta con frequenza facendo riferimento al battito del cuore o al ritmo della respirazione: "Gesù Cristo, Figlio di Dio, Signore, abbi pietà di me peccatore". La nostra povertà di peccatori è avvicinata ai titoli della sua grandezza. A lui ci accostiamo come mendicanti fiduciosi nella sua misericordia. Si prega nello Spirito e si prega lo Spirito 969 Lo Spirito Santo ci fa dire: "Abbà, Padre!" ( Rm 8,15 ) e "intercede per i credenti secondo i disegni di Dio" ( Rm 8,27 ). "Unisce tutta la Chiesa all'unica preghiera di Cristo e la rivolge al Padre". È anche il dono fondamentale che dobbiamo chiedere. ( Lc 11,13 ) Essendo poi persona divina, è interlocutore della nostra preghiera: non solo prega in noi e per noi, ma è pregato da noi. La liturgia contiene splendide invocazioni rivolte allo Spirito, come la sequenza di Pentecoste "Vieni, Santo Spirito" e l'inno "Vieni, Spirito creatore". Si prega insieme ai santi e si pregano i santi 970 In dipendenza da Cristo unico mediatore, anche i santi sono cooperatori e destinatari della nostra preghiera. Ci insegnano a pregare con l'esempio e gli scritti; lodano e supplicano Dio insieme con noi. Al di là della nostra consapevolezza esplicita, preghiamo sempre inseriti nella comunione universale in Cristo e mai come individui isolati. Siamo dunque accompagnati dai santi. Ma possiamo anche dialogare con loro, lodarli e supplicarli, perché sono persone. Non costituiscono uno schermo nei confronti di Dio e di Cristo. Lodandoli, celebriamo un frutto del mistero pasquale e un riflesso della bontà divina. Ricorrendo alla loro intercessione, riconosciamo umilmente che siamo indegni di presentarci davanti a Dio e abbiamo bisogno della solidarietà dei fratelli. 971 Tra i santi ha una posizione singolare la Vergine Maria. È il modello della preghiera cristiana, intesa come ascolto, contemplazione, lode, intercessione. ( Lc 1,38.48-55; Lc 2,19.51; Gv 2,3 ) Accompagna, quasi in un perenne cenacolo, la preghiera della Chiesa. ( At 1,14 ) A lei salgono sempre la lode commossa e la supplica fiduciosa. Insieme al "Padre nostro" la preghiera più familiare è l'"Ave Maria", costituita appunto da un saluto gioioso di lode per le meraviglie che Dio ha compiuto in lei e per mezzo di lei, dandoci Gesù, e da una supplica, perché nella sua santità interceda per noi peccatori, per le nostre attuali necessità e per il momento decisivo della morte. Si prega anche con il corpo 972 La preghiera cristiana è un dialogo a più voci, che ha l'ultimo riferimento in Dio Padre. A questo dialogo il credente non partecipa solo con la mente, ma con tutta la persona: intelligenza, volontà, affettività, corporeità. La preghiera nasce dal cuore, ma coinvolge anche il corpo. Gesù stesso prega a voce alta ( Mt 11,25-26 ) e con i gesti. ( Mc 14,35-36; Lc 22,41 ) L'adesione interiore a Dio si esprime e si sviluppa nel linguaggio del corpo, valorizzando numerosi simboli vocali, gestuali, ambientali. Le parole spontanee, le formule, i testi sacri hanno evidentemente un grande rilievo. Entrano nella stessa orazione mentale. Perfino nella contemplazione una parola ripetuta serve a tenere desto l'amore. La musica e il canto fanno vibrare intensamente le segrete profondità del cuore. Per questo in connessione con la liturgia si è formato un patrimonio immenso e meraviglioso di creazioni musicali. I gesti sono simboli di atteggiamenti spirituali. Variano da una cultura all'altra, anzi da un'assemblea all'altra. I più comuni sono: le posizioni del corpo in piedi, seduto, in ginocchio, prostrato a terra; il movimento delle mani, il cammino processionale, la danza. Devono essere fatti con dignità, espressività e devozione.Infine svolgono una funzione simbolica i luoghi, gli edifici sacri, l'arredamento, le immagini. Immagini sacre 973 "Del Dio invisibile non fare nessuna immagine; ma quando tu vedi l'incorporeo divenuto uomo, fa l'immagine della forma umana; quando l'invisibile diventa visibile nella carne, dipingi la somiglianza dell'invisibile". Dio è mistero invisibile. Direttamente in se stesso non è rappresentabile, ma si è reso visibile nel suo Figlio fatto uomo. ( Gv 14,9 ) Il Cristo a sua volta riflette la sua perfezione su Maria, gli angeli e i santi, su ogni uomo e sull'intero mondo creato. Così dall'unica perfetta immagine derivano altre immagini viventi. Infine un'ulteriore derivazione sono da considerare le opere d'arte dipinte o scolpite, come una figura riflessa nello specchio. Le immagini artistiche rimandano dunque alle persone, a Cristo e quindi al mistero di Dio. La loro contemplazione non solo facilita la conoscenza, ma ravviva una comunione vitale, realizza un incontro, irradia una presenza. La loro mediazione non è solo didattica, ma anche cultuale. Si rivela particolarmente valida in una civiltà delle immagini, qual è la nostra. Ci dona un aiuto prezioso per pregare e ci invita a scoprire il volto di Dio negli uomini, nostri compagni di viaggio. 974 La preghiera è colloquio di fede e di amore anzitutto con le Persone divine e poi con la Vergine Maria, gli angeli e i santi. In definitiva però è sempre rivolta al Padre, per lodarlo e supplicarlo. Coinvolge tutta la persona del credente, anche il suo corpo. Dimensioni della preghiera Adorazione 975 Sono estremamente vari i sentimenti delle persone che pregano e le forme espressive. Ci sono però alcuni atteggiamenti comuni che caratterizzano costantemente la preghiera autentica. L'uomo davanti a Dio avverte innanzitutto la propria povertà di creatura e la propria indegnità di peccatore; trabocca di meraviglia per la sua infinita grandezza e santità. Alla base della preghiera c'è l'adorazione. L'etimologia della parola fa riferimento al gesto di portare la mano alla bocca, per tacere e ascoltare, e al gesto di prostrarsi fino a toccare la terra con la bocca. Adorazione significa dunque umiltà profonda, silenzio pieno di stupore, ascolto attento e obbediente. Verifichiamo se per caso non parliamo troppo nella preghiera. Forse portiamo anche là il nostro protagonismo. Forse dobbiamo tacere e ascoltare di più. Benedizione 976 In continuità con l'adorazione si trova la benedizione, modalità tipicamente biblica della preghiera. Benediciamo Dio perché egli per primo ci ha benedetti e ci benedice. La creazione e la storia della salvezza sono una grande benedizione dal principio alla fine, una continua azione benevola di Dio per dare la vita. ( Ef 1,3-14 ) Bisogna allora benedire il Signore, cioè lodarlo e ringraziarlo; benedirlo in ogni circostanza, anche dolorosa; ( Tb 4,19; 1 Ts 5,18 ) benedirlo coinvolgendo anche gli altri. ( Sal 34,2-4 ) Il Nuovo Testamento conserva cantici e altre formule di benedizione ( Lc 1,46-55.68-79; Lc 2,29-32; 2 Cor 1,3-7; Ef 1,3-14; 1 Pt 1,3-5 ) e presenta Gesù stesso nell'atto di benedire il Padre. ( Mt 11,25-27 ) 977 La benedizione è dunque un movimento ascendente di lode e di ringraziamento per i beni che abbiamo ricevuto; successivamente dà avvio anche a una dinamica discendente, trasformandosi in una supplica perché Dio conceda altri beni a noi e a tutti gli uomini. ( Rm 15,5-6.13; 2 Cor 13,13; Ef 6,23-24 ) Tenendo presente questa duplice dinamica della benedizione, possiamo formulare una definizione della preghiera di sapore classico: elevazione della mente a Dio per lodarlo e chiedergli cose convenienti alla salvezza. Possiamo anche vedervi sintetizzate alcune fondamentali dimensioni della preghiera: lode e ringraziamento, domanda e intercessione. Lode 978 La lode nasce dalla contemplazione e dalla meraviglia davanti alle opere di Dio e a Dio stesso. Esprime amore disinteressato e gioia. È il culmine a cui tende la preghiera. Non per niente la liturgia conclude ogni salmo con la dossologia: "Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, come era nel principio, e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen". Ringraziamento 979 Il ringraziamento ha il suo grande motivo nel disegno universale di salvezza che Dio sta attuando per mezzo di Gesù Cristo. Diventa però più vivo e intenso quando facciamo esperienza personale dei benefici divini; diventa più profondo quando in ogni cosa sappiamo vedere un dono di Dio e una possibilità di bene. Domanda 980 La preghiera di domanda esprime l'atteggiamento di fede nella concretezza dei nostri bisogni. Non modifica la volontà di Dio, perché egli da sempre la conosce e ne tiene conto. Ci prepara piuttosto a ricevere i doni da lui predisposti. "Egli vuole che nella preghiera si eserciti il nostro desiderio, in modo che diventiamo capaci di ricevere ciò che egli è pronto a darci". Dobbiamo dunque desiderare seriamente, chiedere con insistenza e pazienza, pronti a cooperare con lui e a fare la sua volontà. ( Mt 7,21 ) "Tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete" ( Mt 21,22 ). Con queste parole il Signore non si è impegnato a esaudire tutti i nostri desideri, ma a compiere tutte le sue promesse. Dobbiamo chiedere innanzitutto il regno di Dio, ( Mt 6,10.32-34 ) la presenza dello Spirito Santo in noi. ( Lc 11,9-13 ) Possiamo anche chiedere con semplicità e fiducia qualunque cosa buona, secondo le nostre necessità; ma senza pretese, subordinando il desiderio alla volontà di Dio, lasciandoci condurre per le vie misteriose della Provvidenza. Dio spesso non esaudisce la nostra richiesta concreta; ma ci viene incontro in un modo più alto, come fece con Gesù che fu liberato dalla morte in maniera diversa da come umanamente desiderava. ( Eb 5,7-9 ) Così veniamo trasformati interiormente; ci conformiamo alla divina volontà di salvezza; riceviamo energie e motivazioni più pure. Questa è la prima efficacia della preghiera. In questo senso è sempre efficace e "rende possibile ciò che è impossibile, facile ciò che è difficile". Intercessione 981 Quando la supplica è fatta a favore degli altri, si chiama intercessione. Dio vuole che ci amiamo e preghiamo gli uni per gli altri. Vuole perfino che preghiamo per i nemici e domandiamo perdono per i loro peccati. ( Mt 5,44; Rm 12,14 ) A volte ispira ai santi una generosità inaudita, che li porta quasi a dimenticare la propria salvezza. Mosè supplica: "Se tu perdonassi il loro peccato … E se no, cancellami dal tuo libro!" ( Es 32,32 ). San Paolo confida: "Vorrei essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli" ( Rm 9,3 ). Santa Caterina da Siena esclama: "Io non mi partirò dalla tua presenza, finché non vedrò che tu gli faccia misericordia … E che sarebbe per me, se vedessi di avere la vita eterna, e il tuo popolo la morte?". Recentemente il beato don Orione si colloca sulla stessa linea: "Ponimi, o Signore, sulla bocca dell'inferno perché io, per la misericordia tua, la chiuda". La carità ci mette in sintonia con la compassione di Dio per tutti gli uomini e con l'intercessione universale di Cristo. "La nostra preghiera è pubblica e comunitaria, e quando preghiamo, preghiamo non per una sola persona, ma per tutto il popolo, perché tutti siamo una cosa sola. Il Dio della pace e maestro della concordia, che ci ha insegnato l'unità, volle che ognuno pregasse per tutti, come in uno egli portò tutti". 982 A motivo del suo potere sul cuore di Dio, la preghiera di intercessione ha una grande incidenza nella vita della Chiesa e nella storia dell'umanità. Tante persone umili e nascoste, come gli eremiti, le monache di clausura, i malati, sostengono e orientano con la loro preghiera l'azione pastorale dei sacerdoti, dei missionari, dei vescovi e del papa, perché gli apostoli piantano e irrigano, ma Dio fa crescere; ( 1 Cor 3,6 ) influiscono sulle vicende dei popoli e sul corso dei grandi avvenimenti più dei personaggi pubblici che fanno rumore. 983 La preghiera è adorazione, ascolto, lode, ringraziamento, domanda per sé e per gli altri. La fatica di pregare Combattimento con Dio 984 Chi si giustifica in un modo, chi in un altro: "Non ho tempo"; "Ho cose urgenti da fare"; "Non mi sento bene". Non sarebbe forse meglio riconoscere lealmente che pregare è faticoso e noi non ne abbiamo voglia? La Bibbia a volte presenta la preghiera come un combattimento con Dio, un impegno difficile. ( Sal 106,23; Ez 22,30; Rm 15,30; Col 4,12 ) Tradizionalmente i maestri di spiritualità la vedono simboleggiata nel misterioso episodio della lotta di Giacobbe con l'angelo, che si rivela essere addirittura la forma di un'apparizione divina. ( Gen 32,23-33 ) Giacobbe resiste tenacemente per tutta la notte: "Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!" ( Gen 32,27 ). Al sorgere del sole ottiene la benedizione e lo lascia andare. Dio si lascia conquistare, ma vuole una fede salda, un desiderio appassionato. Gesù, raccontando le parabole dell'amico importuno e della vedova molesta, ( Lc 11,5-8; Lc 18,1-8 ) raccomanda un'umiltà perseverante, che non si lascia abbattere dalla delusione e dallo scoraggiamento. L'apostolo Paolo vuole che i cristiani siano "perseveranti nella preghiera" ( Rm 12,12 ) e li esorta: "Pregate incessantemente … vigilando … con ogni perseveranza" ( Ef 6,18 ). Purtroppo siamo superficiali e, come osserva il santo Curato d'Ars, "quante volte veniamo in chiesa senza sapere che cosa dobbiamo fare o domandare, mentre ogniqualvolta ci rechiamo da qualcuno sappiamo bene perché ci andiamo!". Lotta con se stessi 985 La preghiera è anche una lotta con noi stessi. Noi spontaneamente siamo più portati all'azione che alla preghiera. L'azione, anche quella apostolica, comporta sempre una certa affermazione di sé. La preghiera invece è ricettività e attesa paziente. Esige perciò abnegazione. A volte il nostro cuore è insensibile ai pensieri spirituali; non riesce a pensare a Dio con amore e consolazione. Questa aridità può derivare da depressione psichica oppure da accidia, tiepidezza, affetti disordinati. Dobbiamo contrastarla rimanendo fedeli agli impegni stabiliti e facendo la volontà di Dio, anche quando non ci sentiamo gratificati. Andiamo facilmente soggetti a distrazioni della mente, per motivi di temperamento, stanchezza, scarso interesse e dissipazione. Dobbiamo evitare quelle volontarie, che offendono Dio, concentrando l'attenzione su di lui e sul senso generale della preghiera, non certo su ogni singola parola, perché sarebbe impossibile. Dobbiamo prevenire, per quanto possiamo, quelle involontarie, perché anch'esse sono dannose. È importante prepararsi con il raccoglimento, scegliere un tempo adatto e un luogo tranquillo, assumere una posizione del corpo dignitosa, calma e conforme al contenuto della preghiera, applicarsi senza fretta, unificare la preghiera con lo studio, il lavoro, gli affetti e gli interessi vitali. 986 La preghiera è faticosa come un combattimento, perché Dio è nascosto e noi siamo presuntuosi, pigri, superficiali. Preghiera continua Preghiera e opere 987 Gesù si ritirava spesso a pregare, sospendendo ogni altra occupazione. Terminati quei momenti privilegiati di intimità con il Padre, rimaneva costantemente rivolto a lui nell'amore, faceva in ogni cosa la sua volontà. I tempi dedicati alla preghiera pura, liberi da ogni altra attività, hanno valore in se stessi come attuazione esplicita e consapevole del rapporto di amore con Dio. Consentono inoltre di trasformare in preghiera anche gli altri tempi dedicati alle varie occupazioni. "Pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie" ( 1 Ts 5,17-18 ). La preghiera è continua, se è continuo l'amore, se in ogni cosa facciamo la volontà di Dio: "Prega sempre colui che unisce la preghiera alle opere che deve fare e le opere alla preghiera … In questo senso si può considerare tutta la vita dell'uomo santo come una grande preghiera; ciò che siamo abituati a chiamare preghiera ne forma solo una parte". Alla presenza di Dio 988 L'unione con Dio non comprende solo gli esercizi di preghiera in senso proprio, ma anche il lavoro, lo studio, i rapporti familiari e sociali, il divertimento e la sofferenza, la vita e la morte. Occorre però evitare la dispersione e orientare tutto al Signore. Abbiamo bisogno di tempi più o meno prolungati di preghiera sincera e intensa, per attingere l'energia necessaria. Abbiamo bisogno di ravvivare spesso durante il giorno l'attenzione al Signore, sia pure per un istante. "È possibile anche al mercato e durante una passeggiata solitaria fare una frequente e fervorosa preghiera. È possibile anche nel vostro negozio, sia mentre comprate sia mentre vendete, e anche mentre cucinate". Per rispondere a questa esigenza, gli antichi Padri hanno inventato la pratica delle giaculatorie, formule brevi e semplici, da ripetere frequentemente. Sono assai utili, purché corrispondano al vissuto concreto, rimangano fresche e ferventi, non scadano nell'automatismo dell'abitudine. 989 Orientati a Dio dagli esercizi di preghiera e dai frequenti richiami dell'attenzione, possiamo vivere alla sua presenza con sempre maggiore continuità. Dio è in ogni persona, in ogni cosa, in ogni evento lieto o triste, ordinario o straordinario. Tutto è voluto o almeno permesso da lui. Tutto viene offerto a noi come un dono e una possibilità di bene. Se sappiamo riconoscere la sua presenza e accogliere la sua volontà, se facciamo ogni cosa nel modo migliore, con prontezza e pace interiore, la nostra vita diventa un dialogo permanente, una preghiera continua. "Per me la preghiera è uno slancio del cuore, un semplice sguardo gettato verso il cielo, un grido di gratitudine e di amore nella prova come nella gioia" . 990 "Cantate con la voce,cantate con il cuore,cantate con la bocca, cantate con la vostra condotta santa.Cantate al Signore un canto nuovo … Siate voi stessi quella lode che si deve dire;e sarete la sua lode, se vivrete bene" . Molteplici esperienze di preghiera Le forme della preghiera vocale 991 La preghiera vocale è quella in cui l'adesione del cuore viene espressa simbolicamente all'esterno mediante parole, gesti e riti. Si distingue in preghiera liturgica, comunitaria e privata. 992 La preghiera liturgica è compiuta, seguendo formule e riti ufficiali, da un ministro o da un'assemblea che rappresenta legittimamente e manifesta la Chiesa universale. Comprende la Messa, la celebrazione dei sacramenti, la liturgia delle ore, le benedizioni. È la preghiera di più alto valore, perché attualizza e comunica l'azione salvifica di Dio nel mondo mediante Cristo nello Spirito. 993 La preghiera comunitaria non ufficiale si attua in forme e pratiche molto varie: adorazione eucaristica, via crucis, rosario, celebrazioni della Parola, processioni … Le prime tre pratiche possono essere compiute anche individualmente in privato. Un'attenzione particolare merita il rosario. Unisce la recitazione del "Padre nostro", delle "Ave Maria" e del "Gloria" alla meditazione degli eventi salvifici. "Se il rosario non è preghiera contemplativa, è un corpo senz'anima, un cadavere". Mentre rivolgiamo a Maria la lode con il saluto "Ave Maria" e l'invocazione con la formula "Santa Maria", insieme con lei siamo rivolti a Gesù, motivo della lode e fondamento dell'invocazione, riviviamo con lei i misteri salvifici del suo Figlio e li meditiamo nel nostro cuore. ( Lc 2,19.51 ) Nello stesso tempo possiamo insieme con lei chiedere l'intervento del Signore per una necessità particolare. Così questa preghiera vive di una triplice attenzione: a Maria, a Cristo, alle attuali necessità degli uomini. 994 La preghiera privata non ha bisogno di formule prestabilite come quella liturgica e comunitaria. Può esprimersi con spontaneità, con il vantaggio di una maggiore aderenza alla situazione personale. Se impiega formule fisse, deve calarle nel vissuto concreto. Questa attualizzazione è facile, perché i testi sono sempre di intonazione generale. Preghiera mentale 995 A differenza della preghiera vocale nelle sue varie forme, la preghiera mentale non si esprime all'esterno con un linguaggio articolato. Si compie nel mondo interiore dell'intelligenza, della volontà e del sentimento: "Non è altro che un intimo rapporto di amicizia, un frequente intrattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo di essere amati". Possiamo distinguere in essa la meditazione, l'orazione di raccoglimento, la contemplazione mistica. Meditazione 996 La meditazione consiste nel riflettere su qualche verità della fede, per crederla con più convinzione, amarla come un valore attraente e concreto, praticarla con l'aiuto dello Spirito Santo. Si tratta di una "conoscenza amorosa". Implica riflessione, amore e proposito pratico. Il suo valore sta "non nel molto pensare, ma nel molto amare". I metodi possono essere quanto mai diversi. Si può meditare recitando adagio il "Padre nostro", ripetendo lentamente una frase biblica, guardando con devozione un'immagine sacra. Di solito ci si aiuta con la lettura di un passo biblico, di un testo liturgico o di un libro di spiritualità. Eccone una esemplificazione per una durata di almeno mezz'ora: mettersi alla presenza di Dio, coinvolgendo anche il corpo in posizione adatta; invocare lo Spirito Santo maestro interiore della preghiera; leggere un testo breve; considerare il contenuto, il suo valore, le sue motivazioni; rivedere alla sua luce la propria vita, le carenze, gli ostacoli e le possibilità; dialogare con il Signore, esprimendo affetti e propositi; condensare l'impegno preso o il senso centrale dell'esercizio svolto in una giaculatoria o comunque in una formula breve, da ricordare e vivere durante il giorno. I metodi orientali di meditazione possono offrire un'utile preparazione alla meditazione cristiana. L'ambiente silenzioso, la posizione rilassata del corpo, gli esercizi di respirazione e di consapevolezza producono concentrazione e pacificazione, perciò favoriscono il raccoglimento alla presenza di Dio. Le due esperienze spirituali sono però estremamente diverse e per certi aspetti opposte tra loro. La meditazione orientale vuol essere una conquista solitaria, tende a uscire da ogni molteplicità fenomenica, a fare il vuoto di ogni pensiero, a raggiungere l'identificazione conoscitiva dell'io con il Tutto assoluto. La meditazione cristiana vuol essere un dialogo con Dio sostenuto dalla sua grazia, valorizza le mediazioni create, mira alla comunione di amore con il Signore e alla cooperazione per la crescita del suo regno nella storia. Orazione di raccoglimento 997 Con l'andar del tempo l'esercizio della meditazione si semplifica, il cuore prevale sulla riflessione. Si arriva gradualmente all'orazione di raccoglimento. Ci si libera da immagini e pensieri particolari, da ricordi, preoccupazioni e progetti. Si rivolge una semplice attenzione amorosa a Dio, a Gesù Cristo, a qualche sua perfezione, a qualche evento salvifico. Si rimane in atteggiamento di amore silenzioso davanti al Signore presente nel nostro intimo. Ci si lascia trasformare dal suo Spirito, che può causare consolazione o desolazione, ma senz'altro purifica e fortifica nella carità. Quando il fervore di questa esperienza si attenua, è bene ritornare alla meditazione discorsiva o alla preghiera vocale. Contemplazione mistica 998 Non l'impegno personale, ma l'azione dello Spirito Santo introduce nella contemplazione mistica, un'esperienza di Dio senza concetti, senza immagini e senza parole. L'uomo non può né raggiungerla né farla durare a volontà; può solo prepararsi a riceverla. Questo dono ineffabile comporta nelle cosiddette "notti mistiche" la dolorosa impressione di essere abbandonati da Dio. Altrimenti implica l'intuizione diretta e indubitabile della presenza delle persone divine e dell'unione di amore con esse, con una gioia "superiore a tutti i beni e le soddisfazioni del mondo presi insieme" . 999 L'esperienza mistica può essere accompagnata da vari fenomeni paranormali. Si tratta di fenomeni conoscitivi: rivelazioni, visioni, locuzioni, profezie, chiaroveggenza, scienza infusa; oppure di fenomeni psicosomatici: estasi, levitazioni, bilocazioni, stigmate, luminosità, profumo, inedia. Questi fatti, sebbene attirino l'attenzione e destino meraviglia, hanno un valore secondario, non paragonabile alla sublimità della vita divina e della contemplazione infusa. 1000 È difficile classificare la grande varietà delle esperienze di preghiera. Possiamo distinguere la preghiera vocale e la preghiera mentale. Nell'ambito della prima individuiamo la preghiera liturgica, quella comunitaria non ufficiale e quella privata; nell'ambito della seconda la meditazione, l'orazione di raccoglimento, la contemplazione mistica. Il "Padre nostro" Centralità 1001 Il "Padre nostro" è il modello di ogni preghiera, anzi la sintesi di tutto il vangelo. Il suo posto, secondo l'evangelista Matteo, è al centro del discorso della montagna, cioè al centro del programma di vita dei discepoli di Cristo. ( Mt 6,9-13 ) Serve infatti a chiedere che il regno di Dio venga in pienezza e che noi possiamo vivere in modo da poterlo accogliere. La Chiesa da parte sua riconosce da sempre la centralità di questa preghiera. Le prime generazioni cristiane la recitano tre volte al giorno. I neòfiti la ricevono come una consegna solenne durante l'iniziazione. La celebrazione della Messa la colloca tra la preghiera eucaristica e il rito della comunione, per chiedere che il Regno, già compiuto in Cristo morto e risorto, si compia anche in noi. La liturgia delle ore la include nei due momenti principali: lodi e vespri. Dono del Signore Gesù 1002 Giustamente il "Padre nostro" porta il nome di "Preghiera del Signore". Il Signore Gesù ha consegnato una volta per sempre questa formula ai discepoli di ogni tempo. Il Signore Gesù comunica incessantemente lo Spirito Santo, perché la preghiera sia viva. ( Gal 4,6 ) Partecipando alla sua vita filiale, ci avviciniamo al Mistero infinito con la gioiosa certezza di essere amati e, con umile audacia, "osiamo dire: Padre nostro". Invocazione a Dio vicino e sublime 1003 "Padre" è il nuovo nome di Dio; è la rivelazione propria, portata da Gesù. "Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" ( Mt 11,27 ). Dio è Padre perché ha un Figlio unigenito; diventa Padre degli uomini perché li ama fino a dare il suo Figlio e li fa partecipare alla vita di lui. La sua tenerezza si manifesta soprattutto verso i figli perduti. Al Padre ci si rivolge con il cuore pieno di commozione, stupore, gratitudine, umile e incrollabile confidenza, perseverando nella preghiera anche quando egli sembra assente, desiderando di imitare la sua misericordia nei rapporti con gli altri. 1004 "Padre nostro" è Dio, perché lo Spirito Santo coinvolge nel rapporto filiale ognuno di noi personalmente, ma in unità con Cristo e con gli altri. Ognuno si sente amato in Cristo e riceve gli altri come fratelli nella grande famiglia che è la Chiesa. La preghiera rivolta al Padre comune non può non essere solidale con tutti e per tutte le necessità. Mentre è vicinissimo come Padre, Dio rimane altissimo nella sua trascendenza. Lo riconosciamo, aggiungendo: "che sei nei cieli". I cieli qui non indicano un luogo, ma un modo di essere. Dio è al di sopra di tutto; è nella perfezione assoluta, alla quale siamo chiamati a partecipare con tutte le cose. Le domande 1005 Nella prospettiva della celeste perfezione del Padre si muove l'anelito profondo che prende corpo nelle sette domande della preghiera. Le prime tre chiedono la gloria di Dio, che cioè Dio sia tutto in tutti, si compia il suo regno, si realizzi pienamente il suo disegno di salvezza. Le altre quattro riguardano la nostra vita, perché il regno di Dio coincide con la vita dell'uomo, e ci fanno chiedere pane e liberazione integrale. 1006 "Sia santificato il tuo nome". Fa' che il tuo nome sia riconosciuto nella sua santità e sia glorificato. Fatti riconoscere come Dio mediante il tuo popolo, purificato dal peccato e raccolto nell'unità. ( Ez 36,22-28 ) Abita tra noi in maniera più trasparente. La nostra vita ti manifesti tra i pagani. ( Rm 2,24 ) Aiutaci a costruire un mondo più umano, perché il tuo nome sia benedetto da tutti. 1007 "Venga il tuo regno". Il regno di Dio, già presente mediante Gesù, giunga presto a compimento, perché è "giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" ( Rm 14,17 ). Cristo è venuto per il bene degli uomini, perché "abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" ( Gv 10,10 ). Tutte le creature saranno pienamente se stesse, quando egli le ricondurrà definitivamente al Padre. ( 1 Cor 15,24-28 ) Che la storia si affretti a camminare verso l'ultimo traguardo! 1008 "Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra". Dio attui presto "il mistero della sua volontà, … il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra" ( Ef 1,9-10 ). La sua volontà è "che tutti gli uomini siano salvati" ( 1 Tm 2,4 ). Il suo progetto, che è già realtà in cielo per Cristo risorto, i santi e gli angeli, si realizzi anche per coloro che ancora camminano faticosamente sulla terra. Convinti che esso supera i nostri angusti pensieri e desideri, come Gesù chiediamo che si compia la volontà del Padre e non la nostra. ( Mc 14,36 ) Confidiamo nell'efficacia della sua grazia, ( Ef 1,11 ) ma siamo pronti a cooperare e obbedire. 1009 "Dacci oggi il nostro pane quotidiano". Concedici fin d'ora di gustare i beni spirituali del tuo convito regale ( Lc 14,15 ) e di avere in sovrappiù il necessario per vivere giorno per giorno. ( Mt 6,31 ) Abbiamo fiducia in te e vogliamo lavorare senza affanno, ma con senso di responsabilità. Vogliamo condividere con gli altri il pane che ci dai, perché sia veramente "nostro" e non egoisticamente posseduto. 1010 "Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Riconosciamo di essere peccatori, "poiché tutti quanti manchiamo in molte cose" ( Gc 3,2 ). Invochiamo la misericordia di Dio e ci disponiamo a riceverla, perdonando da parte nostra chi ci ha fatto dei torti. Ci mettiamo in sintonia con Dio. Così una sola corrente di amore misericordioso passa da Dio a noi, e da noi agli altri. Una forza di riconciliazione entra nella storia e fa crescere la pace tra le persone e tra gli stessi popoli. 1011 "Non ci indurre in tentazione". Sappiamo che Dio "non tenta nessuno al male" ( Gc 1,13 ). Chiediamo che Dio non ci lasci soccombere nella tentazione, che ci conceda la grazia della perseveranza finale. Da parte nostra saremo vigilanti per non imboccare la via del peccato: "Non lasciare che il mio cuore si pieghi al male e compia azioni inique con i peccatori" ( Sal 141,4 ). 1012 "Ma liberaci dal male". Domandiamo di essere liberati dal "potere del maligno" ( 1 Gv 5,19 ), che ostacola il regno di Dio, e dai mali spirituali e fisici, di cui è artefice. "Liberaci!": con questo grido appassionato la preghiera raccoglie il gemito del tempo presente, l'anèlito alla liberazione integrale, al compimento ultimo. Nell'uso liturgico al testo evangelico del "Padre nostro" si aggiunge spesso la dossologia: "Tuo è il regno, tua è la potenza e la gloria nei secoli"; è un atto di fede nella regalità divina che dà senso alla storia. 1013 La preghiera del "Padre nostro" esprime il nuovo rapporto filiale con Dio instaurato da Gesù Cristo e il desiderio ardente che il regno di Dio da lui inaugurato giunga presto a compimento. Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi L'invocazione a Dio è inscritta, in qualche modo, nel cuore di ogni persona, pur ricevendo interpretazioni diverse: dal vivere come se Dio non ci fosse alle più elevate esperienze spirituali. Ciascun uomo è un mendicante di Dio e, ancor prima, un interlocutore di lui, cercato e amato. La preghiera cristiana, che nasce dalla fede, attua questo sublime colloquio, questa relazione vitale di comunione. Al di là della nostra fatica e della nostra incapacità di pregare, lo Spirito Santo dà voce alle nostre attese e Cristo intercede per noi presso il Padre. - Qual è il significato della preghiera cristiana? - Con quali atteggiamenti pregare? - Quali sono le maggiori difficoltà che incontriamo nella preghiera? - Come imparare a pregare nella nostra esperienza concreta? Ascoltare e meditare la Parola Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per esser visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. ( Mt 6,5-13 ) Si può leggere anche: ( 1 Cr 29,10-20 ) La preghiera di David davanti al popolo. ( Dn 6,11-15 ) La preghiera di Daniele nella sua casa. ( Lc 11,9-13 ) Perseverare nella preghiera per ottenere il dono dello Spirito. ( Fil 4,4-7 ) La preghiera fonte di pace, perché il Signore è vicino. La preghiera è unione con Dio e colloquio con lui. La preghiera mantiene l'equilibrio del mondo, riconcilia con Dio, genera lacrime sante, è ponte sulle tentazioni, muro tra noi e le afflizioni. La preghiera allontana le lotte dello spirito, è la beatitudine futura, è azione che non avrà mai fine. La preghiera è sorgente delle virtù, è illuminazione della mente, è scure che recide la disperazione, è segno di speranza, è vittoria sulla tristezza. La preghiera è specchio nel quale vediamo i nostri progressi, è indicazione della strada da percorrere, è svelamento dei beni futuri, è pegno di gloria. La preghiera, per chi prega veramente, è il tribunale, è il giudizio del Signore su di lui già prima del giudizio. ( San Giovanni Climaco, Scala del paradiso, 28 ) Pregare e celebrare O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, di te ha sete l'anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz'acqua. Così nel santuario ti ho cercato, per contemplare la tua potenza e la tua gloria. Poiché la tua grazia vale più della vita, le mie labbra diranno la tua lode. Così ti benedirò finché io viva, nel tuo nome alzerò le mie mani. Mi sazierò come a lauto convito, e con voci di gioia ti loderà la mia bocca. Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo e penso a te nelle veglie notturne, a te che sei stato il mio aiuto, esulto di gioia all'ombra delle tue ali. ( Sal 63,2-8 ) Io ti invoco, Dio di verità, nel quale, dal quale e per il quale è ogni vero; Dio, da cui fuggire è cadere, a cui tornare è risorgere, in cui rimanere è costruirsi solidamente; Dio, che nessuno perde, se non cade in inganno; che nessuno cerca, se la grazia non lo previene; che nessuno trova, se non è purificato; Dio, che abbandonare è come morire, che attendere è come amare, che intuire è come possedere; Dio, a cui ci spinge la fede, a cui ci innalza la speranza, a cui ci unisce la carità; Dio, per mezzo del quale soltanto possiamo vincere il nostro nemico, rendici degni di essere esauditi. ( Sant'Agostino Soliloqui 1,3 ) Professare la fede - Nella preghiera cristiana si vive consapevolmente la relazione di alleanza tra Dio e l'uomo in Cristo. Azione di Dio e dell'uomo, la preghiera sgorga dallo Spirito Santo e dal nostro cuore, è rivolta al Padre, in unione con il Figlio di Dio fatto uomo. - Dio chiama ogni persona all'incontro con lui. L'appello alla preghiera accompagna tutta la storia della salvezza. - "Pregate incessantemente" ( 1 Ts 5,17 ). Pregare è una necessità vitale e una dimensione costante dell'essere cristiano. - Il "Padre nostro" è la sintesi di tutto il vangelo. Riassume ciò che il Padre vuole donarci e che noi abbiamo bisogno di chiedere. Non è soltanto una formula di preghiera, ma l'anima e il segreto di ogni preghiera. Capitolo 26 Accoglienza e rispetto della vita Questo è il messaggio che avete udito fin da principio: che ci amiamo gli uni gli altri. Non come Caino, che era dal maligno e uccise il suo fratello … Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. ( 1 Gv 3,11-12.14 ) 1014 Il rapporto filiale con Dio non passa solo attraverso la preghiera, ma anche attraverso le relazioni tra gli uomini. Il cristiano sa che ogni persona è preziosa davanti al Padre, vale per se stessa. Perciò ama la vita, quella degli altri non meno della propria. L'ama sempre, nella prosperità come nella sofferenza. L'aiuta a svilupparsi, la difende dai pericoli e da ogni forma di violenza, privata e pubblica. Diventa così testimone e cooperatore di Dio, salvatore dell'uomo. Il vangelo della vita L'uomo vale per se stesso 1015 La mentalità materialistica celebra la vita solo nella misura in cui raggiunge il successo, l'efficienza, la ricchezza, il piacere. Non le riconosce un valore in sé e per sé. Perciò finisce per alimentare una cultura di morte, che trova le sue manifestazioni nel disprezzo e nell'emarginazione dei più deboli, nell'aborto, nell'eutanasia, nell'omicidio anche per futili motivi. La posizione cristiana è decisamente diversa. Gesù, con la sua attenzione preferenziale per i peccatori, i malati e gli emarginati, ha rivelato che il Padre considera importanti tutti gli uomini, quale che sia la loro condizione. Ha affermato che la persona vale più del cibo e del vestito, anzi più di qualsiasi conquista, fosse pure estesa quanto il mondo intero, e non può essere scambiata con nessuna cosa. ( Mt 16,26; Lc 12,23 ) La Chiesa insegna che l'uomo, immagine vivente di Dio, vale per se stesso, non per quello che sa, che produce o che possiede. Semmai è la sua dignità di persona che conferisce valore ai beni che gli servono per esprimersi e realizzarsi. Se è vero che nasce incompiuto e cresce mediante un'esperienza di donazione e di comunione fino alla perfezione definitiva della vita eterna, è anche vero che fin dall'inizio è un soggetto spirituale irripetibile, aperto all'infinito, chiamato a vivere per gli altri e con gli altri. Merita dunque rispetto e attenzione in ogni stagione della sua esistenza. A ogni uomo, in qualsiasi situazione si trovi, la Chiesa ha una buona notizia da dare: Dio ama questa tua vita, sana o malata, felice o infelice, virtuosa o sfigurata dal peccato; Cristo la vive insieme a te, condividendo i tuoi beni e le tue miserie, come se fossero suoi; lo Spirito Santo la sostiene e la orienta, perché diventi dono di amore al Padre e ai fratelli. Credere in Dio significa anche avere la più alta considerazione dell'uomo, del valore della vita come tale e quindi di ogni vita. Invece, ancorare la propria esistenza a valori quali il successo, la salute, l'efficienza, il possesso o il piacere, significa costruire sulle sabbie mobili della precarietà e dell'individualismo. Valore della vita fisica 1016 Un valore assoluto va riconosciuto a quella vita di comunione, di cui Gesù ha detto: "Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" ( Gv 10,10 ). Non ha invece un valore assoluto la vita fisica, che all'occorrenza, secondo l'insegnamento del Maestro, bisogna essere pronti anche a sacrificare, per riaverla in pienezza nella vita eterna. ( Gv 12,25 ) Il cristiano promuove innanzitutto la propria e l'altrui crescita spirituale; non investe tutta la sua speranza nella salute, nell'efficienza e nella bellezza esteriore; non cade nell'idolatria del corpo. D'altra parte la vita fisica, pur non essendo il bene supremo, fa da supporto a tutti gli altri beni e ne consente l'attuazione. Va perciò rispettata dal concepimento alla morte naturale. Va curata e servita in modo che tutti possano avere cibo, vestito, abitazione, lavoro, tempo libero, assistenza sanitaria. Va difesa da ogni forma di violenza e preservata dai pericoli che la minacciano, quali l'alcolismo, la droga, gli incidenti prevedibili. Unità di anima e di corpo 1017 La coscienza cristiana avverte lucidamente questi doveri, perché ha un'alta considerazione del corpo, elemento costitutivo della persona umana, "destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno". Secondo la concezione biblica, l'uomo è "spirito, anima e corpo" ( 1 Ts 5,23 ), cioè un soggetto partecipe di energia divina, vivo e pieno di desideri, inserito nel mondo e sottomesso alla caducità. La nostra tradizione culturale preferisce invece parlare di anima e di corpo. Ma quel che conta è affermare l'unità dell'uomo, unico soggetto che vive a vari livelli, posto tra cielo e terra, uditore di Dio e interprete delle cose materiali. 1018 Il corpo umano è senz'altro un oggetto cosmico tra innumerevoli altri, un punto effimero nell'immensità dell'universo. Ma non si può ridurre a una particella di materia. Già dal punto di vista biologico appare meravigliosamente complesso. Inoltre, fatto ancor più significativo, è integrato nell'esperienza soggettiva della persona.Io non solo osservo il mio corpo dall'esterno, ma lo vivo consapevolmente dall'interno: nell'agire, nel soffrire, nel toccare, in tutte le mie sensazioni. Io sono il mio corpo. Mediante il corpo ricevo influssi esterni, modifico le cose, comunico con gli altri, esprimo e realizzo me stesso. Una contrazione muscolare diventa nella coscienza un grido di dolore; realtà biologiche come il nascere e il morire, il mangiare e il bere, la sessualità e la malattia si caricano simbolicamente di significati esistenziali. Viceversa, un atteggiamento spirituale diventa gesto concreto: l'amicizia si fa sorriso, sguardo, abbraccio; la fede si fa testimonianza di parole e di opere. Il corpo è linguaggio; è il dinamico inserirsi del soggetto nel mondo, per incontrare gli altri e rivolgersi a Dio. Partecipa alla dignità della persona ed è chiamato alla gloria eterna. Il rispetto dovuto alla persona si estende dunque anche al suo corpo. "Glorificate Dio nel vostro corpo!" ( 1 Cor 6,20 ). 1019 La persona umana, immagine vivente di Dio, ha valore per se stessa: va rispettata e amata incondizionatamente. Il corpo è espressione della persona e partecipa del rispetto ad essa dovuto. Dare senso alla sofferenza Rifiuto della sofferenza 1020 Fa parte della mentalità di chi è cresciuto nella civiltà del benessere rivendicare il diritto alla felicità, a un'elevata qualità della vita. Non si deve più soffrire. Se capita una malattia, ci deve essere una soluzione; la scienza deve trovarla. Si fa eccessivo consumo di farmaci; si ricorre con ossessiva frequenza agli esami clinici. Basta una qualsiasi contrarietà a rendere nervosi e tristi. Timore ed ansia fanno diradare le relazioni sociali intorno al malato grave e alla sua famiglia. Si arriva a dichiarare che accettare la sofferenza è immorale. Non si è capaci di dare un senso a questa esperienza umana fondamentale. Ma quale senso può avere la sofferenza? Pazienza cristiana 1021 Il cristiano guarda realisticamente alla malattia e alla morte come a un male; anzi vede in queste tragiche realtà un'alienazione, carica di tutta la violenza del Maligno e capace di portare alla chiusura in se stessi, alla ribellione e alla disperazione. Non considera però il dolore una pura perdita, non tenta fughe illusorie, né si limita a subirlo fatalisticamente. Messo alle strette dalla sofferenza, continua a credere nella vita e nel suo valore. "Non è affatto un dolore la tempesta dei mali presenti per coloro che ripongono la loro fiducia nei beni futuri. Per questo non ci turbano le avversità, né ci piegano" . La pazienza è una lotta piena di fiducia. Da una parte il cristiano mette in opera tutte le risorse per eliminare la malattia, per liberare se stesso e gli altri. Dall'altra trova nella sofferenza un'occasione privilegiata di crescere in umanità e di realizzarsi a un livello più alto. Se non gli è possibile guarire, cerca di vivere ugualmente; non si limita a sopravvivere. Affronta la situazione con coraggio, dignità e serenità; mantiene la speranza, il gusto dell'amicizia e delle cose belle; confida nella misteriosa fecondità del suo atteggiamento. Sperimentando nella malattia la propria impotenza, l'uomo di fede riconosce di essere radicalmente bisognoso di salvezza. Si accetta come creatura povera e limitata. Si affida totalmente a Dio. Imita Gesù Cristo e lo sente personalmente vicino. Abbracciando la croce, sa di abbracciare il Crocifisso. Unito a lui, diventa segno efficace della sua presenza e strumento di salvezza per gli altri: ( Col 1,24 ) "Ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo". Alcune attenzioni 1022 La sofferenza costituisce una sfida a crescere nella fede e nell'amore; ne è la verifica più sicura: "L'amore vero e puro si dimostra fra mille pene … Chi vuol l'amore, cerchi il patire" . Una volta scoperta questa grande possibilità, si può essere perfino "afflitti, ma sempre lieti" ( 2 Cor 6,10 ). Così il male è vinto dall'interno, sperimentandolo. Nell'apparente fallimento ci realizziamo più che mai. Occorre però assumere consapevolmente la propria situazione. Per questo in linea di principio è bene che un malato conosca la dura verità della sua malattia. Magari la prudenza consiglierà di manifestarla gradualmente e allusivamente, cercando di prevenire il più possibile il pericolo di scoraggiamento e di depressione. 1023 Nella prospettiva di un rispetto incondizionato per la persona e di una valorizzazione della stessa sofferenza si collocano alcune particolari attenzioni. I disabili devono essere accolti e inseriti il più possibile nel vivo delle relazioni familiari, ecclesiali e sociali. Gli anziani vanno apprezzati per la loro esperienza e aiutati con un'adeguata assistenza e con iniziative capaci di suscitare il loro interesse. Meritano grande considerazione le professioni degli operatori sanitari, compiute in spirito di servizio, l'impegno per umanizzare le istituzioni, la generosa attività del volontariato, ogni presenza amica accanto a chi soffre. 1024 Il cristiano apprezza e ama la vita propria e degli altri, anche quando è sfigurata dalla sofferenza e appare assurda. Anzi, nella povertà e nella debolezza riconosce una speciale presenza di Cristo e una possibilità preziosa di crescita e di fecondità spirituale. Violenze da evitare No alla violenza 1025 Il cristiano non ricorre mai alla violenza, a meno che non vi sia costretto per necessità di legittima difesa. Non la considera una via praticabile per sradicare il male e costruire la giustizia. Non se ne serve neppure per reagire a una violenza subita: perdona le offese, anzi ama i nemici così come sono, accetta di convivere con loro, esponendosi ad ulteriori rischi, sperando nella loro conversione. Resiste con forza al male, ma in modo diverso, cercando di vincere il male con il bene. ( Rm 12,21 ) Rispetto della vita innocente 1026 Non si può attenuare il comandamento di Dio: "Non uccidere" ( Es 20,13 ). Chi non rispetta la vita di tutti, rinnega la propria dignità di uomo. Per nessuna ragione può essere giustificata la soppressione diretta di un innocente. La persona umana è un valore assoluto, al quale si deve dare testimonianza a qualsiasi costo. Il soldato che in tempo di guerra si rifiuta di sparare per rappresaglia sui civili inermi, preferendo morire con loro piuttosto che uccidere, non salva nessuna vita, anzi ne perde una in più, la propria; ma intuiamo che compie il suo dovere. Tuttavia, in caso di necessità, per tutelare un bene di estrema importanza, può essere tollerata l'uccisione indiretta. È lecito, per salvare una madre, asportare l'utero malato di tumore, anche se ciò comporta la morte del bambino. Tollerare la morte non è la stessa cosa che uccidere. Legittima difesa 1027 Diversa, rispetto a quella dell'innocente, è la posizione dell'ingiusto aggressore. Il precetto evangelico di porgere l'altra guancia non può essere interpretato come remissività verso qualsiasi attentato alla convivenza umana. Superando l'antica legge del taglione, Gesù vieta la ritorsione violenta: fa riferimento a casi concreti, allora assai frequenti, e chiede di rinunciare a vendicarsi di oltraggi, estorsioni, soprusi, seccature, cercando piuttosto di conquistare con generosa magnanimità il cuore dell'avversario. ( Mt 5,38-42 ) Propriamente il precetto della non violenza proibisce la vendetta per il male subìto; non riguarda la legittima difesa, rivolta a impedire che il male venga commesso. Secondo l'insegnamento tradizionale della Chiesa, la difesa da un ingiusto aggressore è lecita, a volte perfino doverosa, purché sia proporzionata ai beni minacciati e alla gravità del pericolo; anzi, in caso di rischio imminente per la vita propria o di altre persone innocenti e in assenza di una diversa via di uscita, può arrivare anche all'uccisione dell'ingiusto aggressore. Pena di morte 1028 Con riferimento a qualche testo biblico, ( Rm 13,4 ) di solito è stato riconosciuto all'autorità pubblica il diritto di comminare la pena di morte ai delinquenti, identificati come responsabili di gravissimi delitti dopo un regolare processo. Oggi l'accresciuta consapevolezza riguardo alla dignità di ogni uomo, ancorché criminale, induce ad abolire questa pena. L'unica ragione che si potrebbe addurre per giustificarla, cioè l'assenza di concrete alternative per la legittima difesa della società, viene di fatto a mancare in uno stato moderno organizzato. Tantomeno questa pena può essere utilizzata lecitamente come deterrente contro l'espandersi della criminalità. Anzi, il carcere stesso deve essere umanizzato e deve mirare alla rieducazione, e, ove possibile, al reinserimento nella società. Questa sensibilità per la dignità e il valore della persona umana esprime in maniera più adeguata la visione biblica dell'uomo e della misericordia di Dio verso il peccatore: "Come è vero ch'io vivo - oracolo del Signore Dio - io non godo della morte dell'empio, ma che l'empio desista dalla sua condotta e viva" ( Ez 33,11 ). Aborto 1029 Non può certo essere considerato un ingiusto aggressore l'individuo umano appena formato nel grembo materno, così da poterne giustificare la soppressione diretta con l'aborto. "La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l'aborto e l'infanticidio sono delitti abominevoli". La pena della scomunica sottolinea la gravità e il pericolo di una facile diffusione dell'aborto. L'ovulo fecondato ha immediatamente una sua autonomia biologica, in quanto possiede un programma genetico scritto nel DNA dei cromosomi, in base al quale realizzerà il successivo sviluppo fisico e psichico. Dipende dalla madre per il nutrimento e la protezione, ma non è parte del suo corpo, né una sua proprietà. Non hanno solido fondamento i tentativi di datare l'ominizzazione dopo le prime due settimane, in cui l'embrione può dividersi per dare origine ai gemelli, o più tardi ancora, dopo la formazione della corteccia cerebrale. L'unica cosa sicura è la perfetta continuità biologica dal concepimento alla nascita, dalla nascita alla morte. Basta questo per esigere il rispetto della vita appena concepita: nessuno può permettersi di uccidere un individuo, anche solo nel dubbio che si tratti di un uomo. La tradizione cristiana, malgrado le diverse opinioni teologiche circa il momento della creazione dell'anima, ha sempre condannato senza esitazione l'aborto. Inconsistenti appaiono le teorie, secondo cui il feto non sarebbe ancora uomo, perché non è cosciente o non è ancora inserito nella società. Neppure un bambino appena nato è pienamente cosciente; un cerebroleso non lo diventa mai; un addormentato cessa di esserlo temporaneamente. Quanto alla società, non ha certo il potere di stabilire chi è uomo e chi non lo è. Eventuali motivi di equilibrio psichico della madre o di equilibrio familiare e sociale passano in secondo ordine rispetto al dovere di rispettare la vita e devono trovare soluzioni compatibili con esso. L'aborto non è un diritto per nessuno. La legge civile non può rendere onesto quello che non lo è. Anziché autorizzare in determinati casi l'interruzione volontaria della gravidanza, dovrebbe piuttosto riconoscere il diritto dei piccoli indifesi a una speciale cura e protezione, prima e dopo la nascita. La comunità cristiana rifiuta con fermezza l'aborto e ogni connivenza con la mentalità abortista, ma sa pure di dover essere segno della misericordia di Dio, che non esclude nessuno. Deve esserlo anche mediante una concreta accoglienza sia delle madri in difficoltà sia di quanti fossero caduti in tale peccato, magari per pressioni psicologiche o sociali, per smarrimento o debolezza. Manipolazioni genetiche 1030 Il rispetto dovuto alla persona umana consente gli interventi sull'embrione umano solo a scopo terapeutico. Non tollera la manipolazione genetica delle cellule germinali, che aprirebbe la strada a uno sconvolgimento della specie. Esige massima prudenza anche nel modificare il patrimonio genetico delle specie animali e vegetali, per non turbare in modo irreparabile gli ecosistemi assai complessi. Trapianti 1031 La dignità dell'uomo postula che sia salvaguardata la sua integrità fisica. Tuttavia è lecito amputare una parte per la salute di tutto l'organismo o donare un organo a chi ne abbia necessità, purché non si tratti di trapiantare un organo singolo e vitale come il cuore, nel qual caso il prelievo deve avvenire solo dopo accertata la morte del donatore. La donazione di organi è una nuova via che si apre per la solidarietà e la carità; occorre però combattere ogni tentazione di vergognoso commercio. È necessario a questo riguardo educare le coscienze e promuovere un'adeguata legislazione. Suicidio 1032 È da considerare un grave disordine il suicidio, che implica il rifiuto del dono di Dio e del compito da lui affidato. Molto spesso però ai suicidi manca la piena responsabilità, a causa dell'angoscia opprimente e del crollo delle energie psichiche. Per questo oggi si concedono spesso anche le esequie religiose. Eutanasia 1033 Disordine delittuoso è anche l'eutanasia vera e propria, che consiste nella soppressione indolore, direttamente voluta, di una vita giudicata non più degna di essere vissuta, di solito a motivo di qualche malattia dolorosa e inguaribile. Un eventuale sentimento soggettivo di pietà in colui che la compie non potrebbe cambiarne la qualità morale negativa. Terapia del dolore 1034 Non vanno però confuse con l'eutanasia le cure terminali che mirano ad alleviare il dolore, anche se indirettamente possono a volte abbreviare la vita. Esse sono lecite per motivi proporzionati. Non bisogna comunque dimenticare che l'aiuto migliore per i morenti rimane l'accompagnamento personale, pieno di carità e di speranza. Un volto e una mano amica non possono essere surrogati dalle apparecchiature sofisticate. Accanimento terapeutico 1035 Neppure la rinuncia al cosiddetto "accanimento terapeutico" va confusa con l'eutanasia. Le cure enormemente costose e senza consistenti vantaggi per il paziente vengono omesse lecitamente e perfino doverosamente. Il malato ha diritto a morire con dignità. 1036 "Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti … Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male" ( Rm 12,18.21 ). Abolire la guerra Residuo di barbarie 1037 Per affermare i suoi diritti, veri o presunti, la comunità politica ricorre talvolta alla violenza collettiva, organizzata, pubblica. È la guerra, "il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti". Il mondo civile dovrebbe bandirla totalmente e sostituirla con il ricorso ad altri mezzi, come la trattativa e l'arbitrato internazionale. Si dovrebbe togliere ai singoli stati il diritto di farsi giustizia da soli con la forza, come già è stato tolto ai privati cittadini e alle comunità intermedie. Agli occhi del cristiano la guerra contraddice il disegno di Dio sulla storia, la sua iniziativa di riconciliazione in Cristo, "nostra pace" ( Ef 2,14 ). Non c'è conquista che possa giustificarla. La pace è preferibile alla vittoria. Difesa armata e suoi limiti 1038 Tuttavia, in caso di estrema necessità, qualora ogni altro mezzo si sia rivelato impraticabile, non si può negare ai popoli quel diritto alla legittima difesa che non si nega neppure ai singoli uomini. Per motivi analoghi è consentita l'ingerenza umanitaria armata da parte di un paese neutrale o di un'istanza internazionale, per mettere fine a una strage crudele tra due fazioni o due popoli in lotta. L'intervento armato dovrà in ogni caso essere proporzionato ai beni da salvaguardare e limitato agli obiettivi militari. "La potenza bellica non rende legittimo ogni suo uso militare o politico". Altro è servirsene per difendere giusti diritti conculcati, altro è farlo per imporre il proprio dominio. Altro è mirare ai soli bersagli militari, tollerando a malincuore eventuali danni che indirettamente possano derivarne ai civili, altro è colpire direttamente la popolazione, per scoraggiare la resistenza. La guerra totale, indiscriminata, "è delitto contro Dio e contro la stessa umanità". Purtroppo oggi la potenza delle armi è così terribilmente distruttiva che ogni conflitto diventa facilmente guerra totale. Appare pertanto urgente promuovere nell'opinione pubblica il ricorso a forme di difesa non violenta. Ugualmente meritano sostegno le proposte tendenti a cambiare struttura e formazione dell'esercito per assimilarlo a un corpo di polizia internazionale. Terrorismo 1039 Come la guerra totale, merita una netta condanna anche il terrorismo, sebbene abbia una capacità distruttiva molto più limitata. In quanto uccisione diretta e indiscriminata di innocenti, è giustamente ritenuto un metodo criminale di lotta, anche quando l'obiettivo perseguito fosse giusto. Gravissime sono anche le forme di criminalità organizzata quali mafia, 'ndrangheta, camorra. Edificare la pace 1040 La pace non si riduce all'assenza di guerra. È una costruzione politica e prima ancora un fatto spirituale. È dovere dei politici organizzare la pace: eliminare le armi di distruzione di massa e tenere a basso livello le altre, destinare le risorse risparmiate con il disarmo allo sviluppo dei popoli, sostituire sempre più la collaborazione alla concorrenza. È dovere di tutti i cittadini educare se stessi alla pace: rispettare il pluralismo politico, sociale, culturale e religioso, favorire il dialogo e la solidarietà in ambito locale e a dimensione planetaria, tenere un sobrio tenore di vita che consenta di condividere con gli altri i beni della terra. "Non è possibile che la pace sussista se non prospera prima la virtù". In questo contesto risalta il significato educativo che può avere la scelta degli obiettori di coscienza di testimoniare il valore della non violenza sostituendo il servizio civile a quello militare, senza peraltro recare pregiudizio al valore e alla dignità del servizio dei militari quando operano come "servitori della sicurezza e della libertà dei loro popoli". Le contese tra gli uomini non cesseranno; la pace perfetta verrà al di là della storia. Il cristiano sa di non avere soluzioni definitive; ma si impegna ugualmente con totale serietà, per attuare un'anticipazione profetica della salvezza: "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio" ( Mt 5,9 ). 1041 "Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra" ( Is 2,4 ). Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi Una libertà male intesa e, soprattutto, un diffuso clima di materialismo, mentre esaltano alcuni aspetti della vita, rischiano per molti versi di soffocarla, rendendo possibile perfino una "cultura di morte". Solo una visione integrale della vita, in tutto il suo valore e la sua piena dignità, consente di poterne esprimere ogni virtualità, e di amarla e rispettarla in ogni condizione. L'amore alla vita, fondato sulla relazione filiale con Dio, si traduce per il cristiano in una relazione nuova con sé e con gli altri, ispirata dalla carità. - Violenze, aborti, suicidi, manipolazioni genetiche, guerre: in quali forme e modalità si manifesta il rifiuto o il disprezzo della vita nella nostra società e nell'ambiente in cui viviamo? - Come meglio accogliere e manifestare il senso cristiano della vita, con tutto il suo valore e la sua dignità? - Quale formazione e quali segni possono promuovere un'autentica cultura della vita, ispirata dall'amore? Ascoltare e meditare la Parola Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna. Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l'amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità. ( 1 Gv 3,14-18 ) Si può leggere anche: ( Gen 1,26-31 ) La dignità dell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. ( Gen 4,3-16 ) Dio condanna il delitto di Caino, ma protegge la sua vita. ( Is 61,1-3 ) Premura per l'uomo sofferente e umiliato. ( Mt 5,38-48 ) Il precetto evangelico della non violenza e dell'amore dei nemici. ( 1 Tm 2,1-8 ) Pregare per la pace e vivere in pace. Pregare e celebrare Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, gli sforzi per violentare l'intimo dello spirito tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni infraumane di vita, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni del lavoro con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili; tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose e, mentre guastano la civiltà umana, inquinano coloro che così si comportano più che quelli che le subiscono, e ledono grandemente l'onore del Creatore. ( Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes 27 ) Dio, da' al re il tuo giudizio, al figlio del re la tua giustizia; regga con giustizia il tuo popolo e i tuoi poveri con rettitudine. Nei suoi giorni fiorirà la giustizia e abbonderà la pace, finché non si spenga la luna. E dominerà da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra. Egli libererà il povero che grida e il misero che non trova aiuto, avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri. Li riscatterà dalla violenza e dal sopruso, sarà prezioso ai suoi occhi il loro sangue. ( Sal 72,1-2.6-8.12-14) O Dio, forte e misericordioso, che condanni le guerre e abbatti l'orgoglio dei potenti, allontana i lutti e gli orrori che affliggono l'umanità, perché tutti gli uomini, pacificati tra loro, possano chiamarsi veramente tuoi figli. ( Messale Romano, Colletta della Messa in tempo di guerra o di disordini ) Professare la fede - L'uomo è immagine e somiglianza del Dio vivente e santo: ogni vita umana, dal momento del concepimento fino alla morte, è sacra. - Dio ha detto: "Non uccidere" ( Es 20,13 ). Chi non rispetta la vita di tutti e pratica la violenza, rinnega la propria dignità di uomo e offende gravemente Dio. - "La corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell'umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri … La Provvidenza divina esige da noi che liberiamo noi stessi dall'antica schiavitù della guerra" ( Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes 81 ). "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio" ( Mt 5,9 ). Capitolo 27 Sessualità, matrimonio e verginità Ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro. Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io … Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito … e il marito non ripudi la moglie. ( 1 Cor 7,7-11 ) 1042 Il cristiano vive la sessualità come un appello ad essere per e con gli altri, che si può accogliere sia nel matrimonio sia nella verginità. L'amore coniugale umano, nella sua pienezza spirituale, corporea e sociale, purificato ed elevato dal sacramento, diventa immagine del regno di Dio che viene. La verginità consacrata è anticipo dello stesso Regno, apertura all'intimità assidua con il Signore e all'amore universale. L'uno e l'altra sono opportunità per crescere nella carità, per santificare se stessi e gli altri. Amore e sessualità Costume di oggi e dottrina della Chiesa 1043 La cultura dell'amore che si è affermata in occidente, rivendica alcune istanze senz'altro positive: la persona come soggetto libero, la pari dignità dell'uomo e della donna, l'integrazione delle loro diverse qualità umane, la procreazione responsabile. Tende però anche a ridurre l'amore a soddisfazione individuale mediante il possesso dell'altro; permette l'esercizio della sessualità fuori del matrimonio; vuole che sia consentito anche tra omosessuali; lo separa dalla procreazione e lo sottrae ad ogni norma, mantenendo soltanto la proibizione della violenza e le regole dell'igiene. Come mai la sensibilità comune riguardo alla sessualità è così lontana dall'insegnamento della Chiesa? Forse quest'ultima non sa apprezzare la sessualità? La Chiesa intende salvaguardare la piena verità dell'amore umano. Non vuole opprimerlo con leggi che gli siano estranee, ma solo interpretarlo e servirlo, secondo il disegno di Dio, alla luce della sua parola. Reciprocità dei due sessi 1044 La distinzione dei sessi è voluta da Dio: "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò" ( Gen 1,27 ). È voluta come un bene: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" ( Gen 1,31 ). La persona sessuata non basta a se stessa; è chiamata a uscire dalla solitudine, a entrare in dialogo con l'altro: "Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile" ( Gen 2,18 ). L'uomo e la donna sono per costituzione rivolti l'uno all'altro: "Né la donna è senza l'uomo, né l'uomo è senza la donna" ( 1 Cor 11,11 ). L'alterità e l'originalità consentono la reciprocità e l'integrazione. In tutto il mondo creato, l'armonia voluta dal Creatore implica distinzione e correlazione nello stesso tempo. ( Gen 1,3-31 ) Però le diverse caratteristiche, che siano naturali o dovute all'educazione e alla cultura, presuppongono la pari dignità dell'uomo e della donna, suggerita plasticamente dal gesto della creazione di Eva dalla costola di Adamo e sottolineata dalla gioiosa esclamazione di quest'ultimo: "Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa" ( Gen 2,23 ). Designando la sessualità come conoscenza, ( Gen 4,1 ) la Bibbia la situa in una prospettiva personalistica. In realtà si tratta di un dinamismo che coinvolge non solo il corpo, ma anche l'affettività e la personalità intera. La sessualità non è puro fatto biologico, ma capacità relazionale, linguaggio, comunicazione. Il corpo sessuato è vissuto interiormente dal soggetto ed esprime l'intero soggetto. Il senso del pudore 1045 Una forte tensione orienta il desiderio verso il corpo dell'altro sesso, in modo da trovare soddisfazione e piacere. Ma la persona non si lascia ridurre a puro strumento e difende la propria dignità con il senso del pudore. Mentre nasconde con il vestito ciò che nel corpo attira maggiormente l'attenzione dell'istinto, rivolge all'altro lo sguardo e il volto, in cui più intensamente può comunicare la ricchezza della propria interiorità. Cerca prima di tutto di rivelargli il suo valore più vero. L'amore tra l'uomo e la donna 1046 Nell'innamoramento questo valore viene riconosciuto con meraviglia e commozione. Se poi si arriva all'amore, all'intensità del sentimento si aggiunge l'impegno preciso e incondizionato della volontà ad accompagnare l'altro, perché possa realizzarsi pienamente e portare a compimento il suo destino. "Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l'amore né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio" ( Ct 8,6-7 ). La sessualità, se è ben incanalata, non rimane a livello di istinto. Le qualità fisiche non interessano più per se stesse, ma come qualità della persona. L'amore integra in sé e spiritualizza l'attrazione e la soddisfazione sessuale. Segno del reciproco dono totale 1047 "L'amore è la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano". "L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l'amore, se non si incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente". La persona cresce nella misura in cui crede nell'amore degli altri e di Dio, lo accoglie liberamente e lo contraccambia con il dono di sé. L'amore, come atteggiamento fondamentale e progetto globale di vita, assume nella sua logica tutte le dimensioni dell'esistenza, compresa la sessualità, già di per sé apertura corporea e spirituale all'altro. Fa del rapporto sessuale una sua attuazione ed espressione privilegiata, conferendogli grande valore. La donazione fisica totale è chiamata ad essere segno e parte di una donazione personale totale. 1048 Il peccato ha introdotto vari disordini, come il divorzio e la poligamia; ma più radicalmente ha deformato e reso menzognero il rapporto di coppia: non più comunione nel rispetto reciproco, bensì possesso, come se la persona fosse un oggetto: "Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà" ( Gen 3,16 ). Le persone hanno bisogno l'una dell'altra, per scoprire la propria dignità e la bellezza della vita. L'individualismo banalizza il sesso e degrada l'amore a coincidenza precaria di interessi egoistici, quando non arriva a produrre frutti amari di tensione, discriminazione, sfruttamento e violenza. 1049 L'opera di Dio resta deformata, non però totalmente perduta. Lascia ancora trasparire la sua bellezza e suscita ancora ammirazione, anche perché la grazia della redenzione l'accompagna fin dall'inizio, per restituirle la sua autenticità. Con l'educazione è possibile passare dall'amore individualista, ripiegato su di sé, all'amore oblativo, rivolto agli altri; è possibile controllare e spiritualizzare l'istinto, integrandolo gradualmente nella dinamica del dono di sé. La castità 1050 La castità non si riduce alla continenza sessuale; propriamente significa capacità di amare senza possedere egoisticamente, capacità di relazioni autentiche. Essa è corretto sviluppo della sessualità, premessa per vivere degnamente sia il matrimonio che la verginità consacrata, valore comune per scelte diverse. Non impoverisce la vita, ma la restituisce alla sua pienezza. 1051 La persona esiste come uomo e come donna, perché ognuno esca dalla solitudine ed entri in un dialogo di amore. Al di là del fatto biologico, la sessualità è capacità di relazione spirituale e corporea. Esige di essere vissuta come segno e parte di un dono totale reciproco. Pari dignità di uomo e donna La moderna emancipazione 1052 A partire dal secolo XVIII si sviluppano vari movimenti di liberazione della donna. Fino alla metà del nostro secolo le rivendicazioni riguardano la parità nella società: accesso a tutti i livelli di istruzione, suffragio universale e partecipazione politica, uguali opportunità di lavoro in tutte le professioni. Negli ultimi decenni la contestazione si estende al rapporto uomo-donna all'interno della stessa famiglia. Alcuni orientamenti rifiutano ogni codificazione di ruoli maschili e femminili tra le pareti domestiche; affermano il diritto della donna a gestire autonomamente il proprio corpo: libertà di contraccezione, di aborto, di rapporti omosessuali. Cosa pensare da un punto di vista cristiano di questo processo culturale? Pari dignità e reciprocità 1053 I racconti della creazione sottolineano sia la pari dignità sia la distinzione e la reciprocità tra uomo e donna. Ci mettono così in guardia da soluzioni semplicistiche e unilaterali. Uomo e donna sono ambedue soggetti liberi, dotati di piena umanità; sono però anche due modi di essere al mondo, di vedere la realtà e di comunicare. In essi la pienezza umana si trova polarizzata in maniera diversa. Nell'uno di solito appaiono accentuate l'aggressività, la capacità di iniziativa, l'attività esteriore produttiva. Nell'altra si concentra la ricchezza simbolica della maternità, cioè l'interiorità, l'accoglienza, la cura della vita fisica e spirituale, la tenerezza, la premura per la crescita, la difesa di ciò che è debole. Emancipazione della donna non può allora significare omologazione pura e semplice. Le deve senz'altro essere riconosciuto il diritto di inserirsi da protagonista nella vita familiare, professionale, sociale, culturale ed ecclesiale; ma anche di portarvi la sua originalità e il suo genio. La gestione della famiglia e l'organizzazione sociale vanno ripensate in modo da valorizzare il più possibile il diverso apporto di ambedue i sessi e attivare un ricco scambio di esperienze. L'uomo deve essere responsabilizzato, come marito e come padre, a condividere il peso quotidiano della vita familiare. La donna non deve inseguirlo sulla via dell'affermazione individualistica di sé e del consumismo sessuale. Il lavoro produttivo di per sé è un bene per ambedue; non dovrebbe però essere una scelta obbligata. Di qui l'esigenza di un riconoscimento culturale ed economico del lavoro domestico e del ruolo sociale della famiglia. Nella Chiesa stessa, a parte il ministero ordinato, la donna può assumere moltissimi compiti, anche di grande responsabilità, con conseguente arricchimento della teologia, della spiritualità e dell'azione pastorale, come del resto è già avvenuto in passato. Valorizzare la donna nella società civile e nella Chiesa significa sicuramente valorizzare la gratuità e l'attenzione alle persone prima che alle cose. Non basta ovviamente cambiare le leggi e introdurre delle riforme; occorre soprattutto cambiare la mentalità e il costume. 1054 Pari dignità, distinzione, reciprocità, complementarità caratterizzano il rapporto tra l'uomo e la donna e costituiscono il criterio generale per valorizzare la presenza di ambedue i sessi nella famiglia, nella società e nella Chiesa. L'amore coniugale Matrimonio 1055 Da più parti si ripete che i giovani, oggi, abituati a passare attraverso tante esperienze frammentarie, hanno paura degli impegni definitivi. Tuttavia rimane forte il bisogno di stabilità affettiva, che tende, come sempre, a incanalarsi nell'alveo del matrimonio. Il matrimonio è "intima comunità di vita e di amore" di un uomo e di una donna, nata dal consenso con cui i due si donano e si ricevono reciprocamente per sempre; è un patto di alleanza e di reciproca appartenenza, aperto alla procreazione e alla educazione dei figli, liberamente assunto e pubblicamente dichiarato, elevato per i cristiani a sacramento. Libertà 1056 L'amore coniugale cristiano è libero, casto, totale, uno, fedele, indissolubile, fecondo, sacramentale. La libertà del consenso è assolutamente necessaria, poiché l'uomo e la donna si donano come persone. La Chiesa la esigeva anche in passato, quando per lo più erano le famiglie a combinare le nozze. Castità La castità coniugale significa che si tratta di amore oblativo, disinteressato, di un impegno a vivere insieme e a dedicarsi l'uno al bene dell'altro, senza calcoli egoistici. Totalità La totalità consiste nel fatto che l'amore di coppia coinvolge tutta la persona, spirito e corpo. "L'amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona: richiamo del corpo e dell'istinto, forza del sentimento e dell'affettività, aspirazione dello spirito e della volontà; esso mira ad un'unità profondamente personale, quella che, al di là dell'unione in una sola carne, conduce a non fare che un cuor solo e un'anima sola". Unità L'unità implica che l'amore coniugale sia rigorosamente riservato alla coppia. "I due saranno una sola carne" ( Gen 2,24 ), uno in due. Vengono esclusi la poligamia e l'amore di gruppo. Mentre il possesso delle cose è bene che sia condiviso tra molti, il rapporto uomo-donna deve rimanere esclusivo: "Tutto tra noi serve all'uso comune, eccettuate le nostre mogli … Interrompiamo la condivisione proprio là dove gli altri uomini la praticano, appropriandosi delle mogli dei loro amici e prestando con molta disponibilità le mogli agli amici". Fedeltà La fedeltà è dire all'altro, concretamente con i fatti: "Tu mi basti", e quindi riconoscere al massimo il suo valore. Gesù condanna con severità l'adulterio, effettivo o anche solo desiderato: "Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" ( Mt 5,27-28 ). Indissolubilità L'indissolubilità prolunga l'esigenza di unità e fedeltà. Non si tratta però di una durata semplicemente temporale, ma di un rapporto qualitativamente diverso di donazione incondizionata, fuori della logica individualistica del proprio interesse immediato. Gesù non accetta di entrare in discussione sui motivi di divorzio; vieta drasticamente il divorzio stesso: "Non sono più due, ma una sola carne. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto … Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio" ( Mc 10,8-12 ). Fecondità La fecondità indica la disponibilità a una possibile paternità e maternità; inoltre, al di là dei figli, esige l'apertura alla società e alla Chiesa. Anche l'amore più esclusivo, come quello di coppia, si ritrova in definitiva ad essere universale; si rivolge a Dio e con Dio abbraccia tutta l'umanità, a cominciare dai propri figli. Per questo non rimane un affare privato; si integra nella società e nella Chiesa; si fa riconoscere pubblicamente e assume forma istituzionale. Sacramentalità La sacramentalità attesta che l'amore coniugale è reso possibile ed elevato a livello di carità dalla partecipazione alla donazione pasquale di Cristo. Integrazione progressiva 1057 L'amore coniugale si costruisce giorno per giorno. Non si resta fedeli, ma lo si diventa continuamente, con rinnovata attenzione e progressiva integrazione delle capacità vitali. Al di là della sfera istintiva e affettiva, vi sono interessate molte altre esperienze: casa, lavoro, vita ecclesiale e sociale, avvenimenti e scelte quotidiane, disagi e difetti, gioie e amarezze. Prima però bisogna crederci, almeno con la stessa convinzione, che ci rende pronti a ricominciare con l'educazione dei figli dopo ogni insuccesso, e con la stessa tenacia con cui cerchiamo di perfezionare la nostra abilità lavorativa. Anche nel rapporto di coppia occorrono responsabilità, fedeltà agli impegni presi, spirito di sacrificio. Le tensioni non mancheranno mai, ma il superamento è sempre possibile. Occorre coltivare il dialogo di coppia e portare in famiglia lo spirito delle beatitudini: umiltà, mitezza, misericordia, giusto rispetto delle diversità, volontà di pace. "Non è il vostro amore a sostenere il matrimonio, ma d'ora innanzi è il matrimonio che sostiene il vostro amore". Il divorzio è contrario alla verità dell'amore coniugale; reca pregiudizio all'equilibrio e all'educazione dei figli; procura danni alla società. In caso di convivenza difficile il cristiano è chiamato a testimoniare le esigenze radicali della carità. Non si butta un matrimonio perché non soddisfa pienamente. Se viene a mancare il clima di entusiasmo affettivo, restano ancora altri valori: la compagnia, l'aiuto reciproco, il perdono, la fedeltà a Dio. Rimane inoltre la speranza che la crisi possa essere superata. Al più, in casi di particolare gravità, si potrà ricorrere alla separazione, senza risposarsi, lasciando aperta la porta alla riconciliazione. La Chiesa annuncia senza compromessi la verità dell'amore coniugale, unico, fedele, indissolubile. Tuttavia invita a non giudicare la coscienza di quanti convivono in modo irregolare. Anzi esorta a mantenere verso di loro atteggiamenti di misericordia, rispetto, amicizia. 1058 Lo splendore dell'amore coniugale cristiano deriva dalle sue qualità fondamentali: libertà, oblatività, totalità, unità, fedeltà, indissolubilità, fecondità, sacramentalità. Il servizio alla vita Sessualità e fecondità 1059 L'amore coniugale costituisce l'unità degli sposi, unità riservata a loro, ma non chiusa in un egoismo a due. L'uomo e la donna sono diversi non solo per integrarsi reciprocamente, ma anche per generare ed educare figli. "Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra"" ( Gen 1,28 ). L'unione fisica e affettiva si prolunga e si personifica nei figli. "I coniugi, mentre si donano tra loro, donano al di là di se stessi la realtà del figlio, riflesso vivente del loro amore, segno permanente dell'unità coniugale". È evidente che sessualità e fecondità sono finalisticamente connesse a livello di dinamismo biologico. Ma lo sono anche nell'ordine simbolico. Come il sorriso esprime simpatia e la stretta di mano amicizia, così l'atto coniugale è un gesto importante di comunicazione, un linguaggio che ha due significati oggettivi inscindibili: unitivo e procreativo. Prima di tutto significa donazione totale di sé e accettazione totale dell'altro; ma implicitamente indica anche accettazione della vocazione ad essere padre e madre, che ognuno porta in sé. Un patto di nozze, che in partenza escludesse completamente tale vocazione, sarebbe nullo. Il reciproco dono di sé tende a diventare duraturo, eterno, facendosi persona nel figlio. Una procreazione responsabile 1060 È dunque necessaria innanzitutto un'adesione di principio alla fecondità. Purtroppo, nel nostro paese, tale adesione non è scontata. Molte coppie hanno paura di accettare anche un solo figlio. La fondamentale adesione alla fecondità deve poi attuarsi in modo responsabile davanti a Dio. Occorre regolare di comune accordo, senza grettezza e calcolo utilitaristico, il numero e il momento opportuno delle nascite, considerando il bene dei coniugi stessi, l'educazione dei figli che nasceranno e di quelli già nati, le condizioni generali della società. D'altra parte bisogna rispettare il duplice significato oggettivo dell'atto coniugale. È autentico solo il comportamento che mette insieme la responsabile regolazione delle nascite e la disponibilità effettiva ad accogliere la vita. 1061 In vista di una procreazione responsabile, si può regolare la fertilità attraverso la continenza periodica, che tiene conto dei tempi fecondi e infecondi della donna. C'è chi si chiede se anche qui non ci si trovi di fronte a un artificio. Il ricorso ai ritmi naturali rispetta invece la completa verità oggettiva, non solo biologica ma anche simbolica, dell'atto sessuale; nello stesso tempo favorisce la crescita di altri valori: dominio di sé, rispetto dell'altro, dialogo, tenerezza. Al contrario i mezzi contraccettivi, quale che sia l'intenzione soggettiva, rendono oggettivamente falso il gesto dell'amore coniugale. Per di più molto spesso non si tratta di contraccettivi, ma di abortivi mascherati. 1062 La castità coniugale è una conquista. Occorre riconoscere umilmente che la prassi è al di sotto dell'ideale; però la nostra debolezza non può essere la misura del bene e del male. D'altra parte bisogna essere comprensivi, soprattutto in questo ambito: forti condizionamenti psicologici, familiari e culturali, possono diminuire notevolmente la responsabilità personale. Alcune coppie ritengono impraticabile per loro la continenza periodica. Altre non vedono nessun male nella contraccezione. Altre rimangono perplesse tra le esigenze dell'armonia coniugale e il rispetto della finalità procreativa, temendo di sbagliare qualunque cosa scelgano. Occorre aiutare queste persone a fare dei passi in avanti nella giusta direzione, secondo le loro capacità. A che cosa è dovuto il loro comportamento? Implica egoismo e rifiuto della fecondità? Ritengono di aver fatto quanto potevano? Potrebbero sperimentare senza grave difficoltà e senza pericolo i metodi naturali? Devono essi per primi valutare la situazione della loro coscienza, aprendosi sempre più con fiducia all'insegnamento della Chiesa. La fecondazione artificiale 1063 Disordine opposto alla contraccezione può essere considerata la fecondazione artificiale: quella esclude la fecondità, questa il rapporto sessuale. È di diversa specie e può essere più o meno grave secondo che sia eterologa o omologa e secondo il metodo usato. Gli embrioni non utilizzati vengono lasciati morire. Inoltre è forte il rischio che l'intervento si trasformi in un affare commerciale. Un figlio, essendo persona, può avere degna origine solo dall'amore e dal gesto che esprime l'unità dei coniugi, non dalla tecnica. Deve essere accolto come un dono, non realizzato come un prodotto. Disponendosi alla procreazione attraverso l'amore reciproco nel rapporto sessuale, i coniugi si mantengono nel ruolo di cooperatori dell'amore di Dio creatore. La tecnica semmai potrà integrare l'atto coniugale, non sostituirlo come avviene in certe diffuse metodiche di fecondazione artificiale. È comprensibile la sofferenza delle coppie senza figli e desiderose di averne. Da una parte devono essere aiutate a comprendere che non esiste un vero e proprio diritto al figlio, quasi fosse un oggetto da possedere; d'altra parte vanno incoraggiate a orientarsi verso altre forme di fecondità, come l'affidamento e l'adozione. Si può essere padre e madre senza aver generato. Anche la coppia sterile è chiamata a oltrepassare se stessa nell'amore. Missione educativa dei genitori 1064 La fecondità non si riduce alla riproduzione biologica, ma include l'educazione. Innanzitutto i coniugi educano se stessi; si aiutano reciprocamente a crescere verso la pienezza umana e cristiana. Poi, col fatto stesso di generare persone destinate a svilupparsi, si assumono un compito educativo nei loro confronti. L'educazione dei figli è una generazione prolungata e la famiglia è un "grembo spirituale", in cui sono accolti e nutriti, un ambiente affettivo, in cui si forma la loro identità psichica, morale e religiosa. Per entrambi i genitori educare è una vocazione e un dono di Dio, un diritto originario, inviolabile e inalienabile, un dovere gravissimo. L'apporto di altre persone e istituzioni deve avere carattere di sostegno e di integrazione, non di sostituzione. I genitori devono essere vicini ai figli con la testimonianza personale e il colloquio quotidiano, evitando di essere possessivi o al contrario dimissionari dalle proprie responsabilità. "Di fronte alla cura per i figli e alla loro educazione, tutto sia per noi secondario. Se fin dall'inizio insegni al fanciullo ad essere saggio, egli acquista la ricchezza più grande di ogni altra e la gloria più valida". La comunicazione educativa non è a senso unico. I figli contribuiscono attivamente alla formazione dei genitori. La famiglia, nel quotidiano intreccio di rapporti interpersonali, costituisce il primo ambiente di umanizzazione, "la prima e vitale cellula della società". In essa ognuno apprende il proprio valore di persona, perché si sente amato per quello che è, e non per quello che sa, che fa o che possiede. 1065 L'atto coniugale ha due significati inscindibili: quello unitivo e quello procreativo. Sarebbe menzognero se non fossero rispettati entrambi. La regolazione delle nascite va attuata con la continenza periodica e il ricorso ai metodi naturali. La procreazione responsabile include anche l'educazione. I figli devono essere accolti come un dono, una promessa e un compito. Famiglia e società Apporto sociale della famiglia 1066 Sviluppo e pienezza del matrimonio è la famiglia. Con questa parola indichiamo una comunità di persone, costituita da un uomo e da una donna, uniti in matrimonio, e dai loro figli, stabile e socialmente approvata, tenuta insieme da vincoli morali, religiosi e legali di rispetto, di amore, di cooperazione e assistenza reciproca. Al suo nucleo essenziale possono aggregarsi altre persone, di solito parenti, dando origine a una considerevole varietà di forme storiche. 1067 La famiglia è la cellula fondamentale della società. Ne genera i nuovi membri; forma la loro personalità; trasmette i valori essenziali della convivenza civile, quali la dignità della persona, la fiducia reciproca, il buon uso della libertà, il dialogo, la solidarietà, l'obbedienza all'autorità. Condiziona in misura notevole le scelte degli individui in molti ambiti: acquisti, carriera professionale, impiego del tempo libero, amicizie e relazioni sociali in genere. Svolge spesso un'azione sociale diretta attraverso aziende a conduzione familiare, coinvolgimento nella scuola, partecipazione ad associazioni, volontariato verso disabili, disadattati, anziani, coppie in difficoltà. Sostegno sociale alla famiglia 1068 Nella moderna civiltà industriale si è offuscata la consapevolezza del ruolo sociale della famiglia. Le viene riconosciuta una grande importanza privata di carattere affettivo, ma poca importanza nella società e per la società. Non le viene assicurato il necessario sostegno giuridico, economico, assistenziale e culturale. Anzi il divaricarsi degli impegni di lavoro e degli interessi logora l'unità familiare. La mobilità sociale sempre più rapida ostacola l'accettazione di un rapporto definitivo di coppia e favorisce il permissivismo sessuale e le unioni provvisorie non legalizzate. Confinato nel privato, chiuso nell'isolamento affettivo, il rapporto a due finisce per diventare più povero e fragile. Non adeguatamente sostenuta sul piano economico e culturale, la coppia riduce al minimo le nuove nascite, dando luogo a una preoccupante crisi demografica. In quella che appare come "società degli individui", la famiglia respira con affanno, anche se viene ancora considerata un valore. D'altra parte il malessere della famiglia torna poi a ripercuotersi sulla società, in una vasta gamma di forme patologiche. 1069 È necessario riscoprire e valorizzare pienamente il ruolo della famiglia, comunità intermedia tra individuo e società. Occorre sollecitare la sua responsabilità e sostenere il suo impegno specialmente in campo educativo e assistenziale. La politica dovrebbe rivolgerle un'attenzione privilegiata e servirla con iniziative di sostegno e di integrazione. Oggi gli interventi di maggior rilievo potrebbero avere i seguenti contenuti: tutela della vita e sostegno alla maternità, aiuto economico alle famiglie con figli, agevolazioni per la casa, organizzazione del lavoro rispettosa delle esigenze della vita familiare, equità fiscale in base ai carichi familiari, organizzazione della scuola in modo che le famiglie abbiano effettiva libertà di scelta e possibilità di partecipazione, strutturazione dei servizi assistenziali tale da coinvolgere le famiglie specialmente riguardo ai disabili e agli anziani. Valorizzare la famiglia significa prevenire molti mali della società. Una politica per la famiglia è una politica per la libertà nella solidarietà. 1070 La famiglia è diretta emanazione delle persone e base della società. Deve essere valorizzata come comunità prioritaria rispetto ad ogni altra formazione sociale. "L'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia" . Famiglia e Chiesa Apporto della famiglia alla Chiesa 1071 Per la grazia del battesimo, della cresima, dell'eucaristia e del sacramento del matrimonio, vissuta in una concreta esperienza di fede e di carità, la famiglia cristiana si pone come segno e riflesso dell'Amore trinitario e come attuazione originale e immagine della Chiesa, tanto da meritare il nome di "chiesa domestica" o "piccola chiesa". In modo proprio e peculiare partecipa alla vita e alla missione della Chiesa, ricevendo e trasmettendo l'amore di Cristo, credendo ed evangelizzando, dialogando con Dio e servendo l'uomo. 1072 La famiglia cristiana evangelizza con la sua stessa esistenza; è essa stessa un vangelo vivente, una buona notizia che suscita speranza. I genitori trasmettono la fede ai figli nella semplicità e concretezza della vita quotidiana e i figli edificano i genitori. Insieme tutti i familiari testimoniano la salvezza di Cristo nei rapporti con le altre persone, a cominciare dai parenti e dai vicini. Possono inoltre partecipare a specifiche iniziative pastorali. La coppia come tale può assumere compiti nella comunità ecclesiale, in particolare di catechesi dei ragazzi e degli adulti; può partecipare ad associazioni con finalità di apostolato. La famiglia cristiana offre a Dio il culto spirituale con la preghiera comune e l'offerta del proprio stare insieme, nella fatica e nel riposo, nella sofferenza e nella gioia. Nella casa si collocano segni religiosi, come il crocifisso e altre immagini sacre, la Bibbia e i ricordi dei sacramenti ricevuti, creando possibilmente un angolo della preghiera. Si trova il momento più adatto per pregare insieme nei giorni feriali. Si partecipa alla celebrazione eucaristica e si compie qualche gesto significativo per celebrare la festa. I genitori accompagnano i figli nel cammino dell'iniziazione cristiana, risvegliando in se stessi la grazia dei sacramenti. Inoltre possono partecipare a gruppi e movimenti di spiritualità coniugale. La famiglia cristiana testimonia la carità con modalità proprie, quali il servizio reciproco nelle cose di ogni giorno, la cura premurosa dei membri più deboli, come gli anziani, i malati e i disabili, la pratica cordiale e generosa dell'ospitalità, l'affidamento o l'adozione di bambini senza famiglia, l'attenzione alle famiglie in difficoltà. Può inoltre partecipare ad associazioni di famiglie a scopo sociale e culturale. Sostegno della Chiesa alla famiglia 1073 Da parte sua la Chiesa sostiene la famiglia offrendole un ambiente vitale e anche un aiuto specifico. La pastorale familiare, dimensione importante della pastorale ordinaria, annuncia, celebra e serve il vangelo del matrimonio e della famiglia. Ricerca teologica, predicazione e catechesi approfondiscono e diffondono la visione cristiana della famiglia; aiutano gli sposi a riscoprire il dono meraviglioso che hanno ricevuto, perché insieme possano avanzare in un cammino di santità. La comunità ecclesiale si riunisce a pregare per e con la famiglia nella celebrazione del matrimonio, negli anniversari, nella festa della famiglia, in altre particolari circostanze. La programmazione pastorale crea strutture di sostegno e di promozione, come ad esempio i consultori familiari d'ispirazione cristiana; attua iniziative per tutte le tappe del cammino familiare; fa sorgere piccole comunità di famiglie; rivolge un'attenzione particolare alle coppie giovani, alle coppie di migranti, alle coppie con figli disabili o disadattati. Sebbene nella prassi vi siano molte carenze, questo profilo ideale della pastorale familiare sta a indicare quanto la Chiesa sia convinta della centralità della famiglia per la sua stessa vita e missione. 1074 "Tra la grande Chiesa e la "piccola Chiesa" si realizza ogni giorno, in forza della presenza dello Spirito, uno scambio di doni, che è reciproca comunicazione di beni spirituali" . Matrimonio e verginità Due modi di vivere l'alleanza 1075 Il matrimonio unico, fedele, indissolubile è un modo di accogliere degnamente il regno di Dio, che comincia a venire nella storia mediante Gesù. ( Mt 19,3-9 ) Inserito nel mistero di Cristo e della Chiesa, ( Ef 5,32 ) consacrato e trasfigurato, diventa una partecipazione e una rivelazione della nuova alleanza di Dio con il suo popolo. Ma con i tempi nuovi si apre ai credenti anche un'altra via per vivere e manifestare lo stesso mistero dell'alleanza. Il celibato, stato di vita abbastanza diffuso, scelto liberamente per motivi vari o subìto per necessità, adesso può diventare verginità consacrata, un'opzione di fede per il regno di Dio, ( Mt 19,10-12 ) un dono speciale che il Signore concede. Esso fa parte della rinuncia ai beni, richiesta ad alcuni per seguire Gesù da vicino e cooperare direttamente alla sua missione; ( Lc 18,28-30 ) annuncia e anticipa profeticamente la condizione definitiva, che sarà inaugurata dalla risurrezione dei morti. ( Mt 22,30 ) L'apostolo Paolo afferma la santità del matrimonio cristiano, ma ricorda anche la sua provvisorietà, essendo una realtà di questo mondo che passa, come il lavoro, la posizione sociale, l'allegria, il pianto. Con la risurrezione di Cristo il tempo si è avvicinato alla meta e Dio ci è venuto incontro: è bello donarsi a lui senza preoccupazioni, distrazioni e divisioni interiori. La verginità diventa validissima via per unirsi al Signore nella carità. ( 1 Cor 7,1-35 ) Nell'antica alleanza venivano esaltati il matrimonio e la sua fecondità; adesso viene ugualmente raccomandata la verginità: "Ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro" ( 1 Cor 7,7 ). "Il matrimonio e la verginità sono i due modi di esprimere e vivere l'unico mistero dell'alleanza di Dio con il suo popolo". 1076 La verginità cristiana va accolta come una vocazione, che viene da Dio mediante l'ascolto della sua parola e la grazia interiore del suo Spirito. Va vissuta con un atteggiamento di fede e di gioia spirituale, alimentato dalla preghiera. Comporta il distacco non solo dalla vita di coppia, ma anche dalle simpatie troppo limitate, per orientare tutte le energie, comprese quelle affettive, alla comunione con Cristo e con quanti diventano vicini a causa di lui, per affinità di carisma o per motivo di ministero. È un dono prezioso per la Chiesa: testimonia infatti la presenza iniziale del regno di Dio e la sicura speranza del suo compimento; rende più disponibili al servizio. La verginità non contraddice la dignità del matrimonio, ma la presuppone, la conferma, la difende dalle interpretazioni riduttive. Ricorda agli sposi che devono vivere il matrimonio come un anticipo e una figura della comunione perfetta con Dio. Il "Tu" che ognuno cerca in definitiva è Dio: l'altro coniuge non può saziare il desiderio illimitato di amore; le vere nozze sono quelle con Dio. D'altra parte il matrimonio è per la verginità un richiamo ad essere donazione effettiva, non immaginaria, comunione e non isolamento. Si tratta di due doni complementari che si edificano reciprocamente. Due modi di amare 1077 La verginità consacrata, in quanto comunione di carità, è un matrimonio spirituale; il matrimonio, in quanto dono totale esclusivo, è verginità del cuore, appartenenza a uno solo. La prima non è un sacramento, perché esprime per se stessa il mistero dell'alleanza; il secondo ha bisogno di un sacramento specifico, perché di per sé appartiene all'ordine della creazione. Verginità e matrimonio sono due possibilità per il cristiano, due modalità di realizzare pienamente la comune vocazione all'amore, due forme di fecondità: spirituale l'una, fisica e spirituale l'altra. Purtroppo ambedue sono insidiate dalla mentalità edonista e individualista, che rende difficile comprendere e attuare la bellezza del dono di sé. 1078 La verginità cristiana, come si vede, è più vicina al matrimonio che al restare scapoli o nubili non per propria scelta. Indica comunque anche a chi si trova in questa situazione la pratica dell'amore oblativo e disinteressato come unica via di crescita e di riuscita personale. 1079 "La rivelazione cristiana conosce due modi specifici di realizzare la vocazione della persona umana, nella sua interezza, all'amore: il matrimonio e la verginità. Sia l'uno che l'altra, nella forma loro propria, sono una concretizzazione della verità più profonda dell'uomo, del suo essere ad immagine di Dio" . Maturità da raggiungere Armonia complessa e difficile 1080 Ben tre comandamenti del decalogo riguardano la sessualità e la vita familiare. Chiedono di armonizzare molte dimensioni della personalità: istinto, affettività, amicizia, vita comune, procreazione ed educazione dei figli, presenza nella società e nella Chiesa. Il desiderio istintivo deve essere integrato nel rispetto e nell'amore per l'altro, nel reciproco dono totale. Ogni uso menzognero del linguaggio sessuale è moralmente disordinato. Non si può ridurre l'amore a soddisfazione individuale. Non si può considerare il piacere un valore a sé stante: esso è buono solo se deriva da un obiettivo buono raggiunto. Disordini sessuali 1081 Tanto alto è il significato della sessualità che ogni attuazione della facoltà genitale fuori del matrimonio costituisce un disordine morale. L'autoerotismo, o masturbazione, è un gesto contraddittorio: comunicazione rivolta a se stesso invece che all'altro. Oggettivamente è un disordine grave. La responsabilità soggettiva spesso però viene attenuata da condizionamenti psichici e ambientali, specie negli adolescenti, per i quali la masturbazione assume il significato di scoperta di sé e compenso a frustrazioni affettive. Occorre prendere coscienza del significato autentico della sessualità, coltivare grandi ideali e praticare la generosità, evitare occasioni pericolose, fortificarsi con la preghiera. Il comportamento omosessuale è ripetutamente condannato nella Bibbia. ( Lv 18,22; Lv 20,13; Rm 1,26-27; 1 Cor 6,10 ) Degrada l'amicizia: spesso riduce l'altro a immagine speculare di sé e ad oggetto intercambiabile. Nella misura in cui è assunto liberamente diventa colpa personale. A volte però deriva da una tendenza così radicata nella struttura della persona da risultare difficilmente controllabile. È doveroso ricorrere in ogni caso alle possibilità offerte dalla fede e dalla scienza, senza abbandonarsi ad una rassegnata ineluttabilità. L'impegno di vita cristiana dovrà dirigersi verso l'amicizia disinteressata, fedele e spirituale. Fuori della logica del dono totale di sé si collocano altri gravi disordini, quali la fornicazione, la prostituzione, l'adulterio, l'incesto, lo stupro. La fornicazione, rapporto sessuale tra un uomo e una donna non sposati, largamente accettata dalla cultura permissiva, contraddice la naturale apertura a una degna procreazione dei figli e a una stabile comunione di vita, inserita nella Chiesa e nella società. La prostituzione nega la sessualità come comunicazione di amore reciproco, riducendola a una merce; di fatto implica disprezzo della persona. L'adulterio offende la castità, la fedeltà e la giustizia; denota mancanza di tenerezza e di dialogo nel matrimonio; tradisce le esigenze dell'amore coniugale e distrugge l'armonia della famiglia. L'incesto, rapporto sessuale tra parenti stretti tra i quali non è lecito il matrimonio, incontra la comune riprovazione di quasi tutte le culture; compromette la fiducia e la stabilità delle relazioni familiari, nonché la salute fisica e psichica dei figli che potrebbero essere generati. Lo stupro consiste nel costringere una persona al rapporto sessuale con la violenza, con il timore, con l'inganno o comunque senza il suo consenso consapevole e libero; esso è una ingiusta aggressione contro la persona, la sua dignità e la sua integrità, e va combattuta nelle sue radici culturali e sociali. Educare la sessualità 1082 "Ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono Dio" ( 1 Ts 4,4-5 ). La sessualità è capacità di uscire dalla solitudine ed entrare in relazione con l'altro. Come tutte le tendenze, essa va educata: deve essere integrata nell'amore, in modo da promuovere la dignità e l'identità delle persone. Controllo dell'istinto e maturità affettiva consentono di pervenire a un atteggiamento non più possessivo, ma oblativo, cioè alla castità, necessaria sia ai celibi che agli sposati. Per donarsi bisogna prima possedersi. Occorre una disciplina, un apprendimento serio. Se l'ideale appare troppo arduo, bisogna guardarsi dalla tentazione di negarlo e di fare della propria debolezza spirituale il criterio della moralità. Purtroppo molti giovani perdono la fede, perché non riescono ad essere casti. Accettare i propri limiti, essere umili, pregare con perseveranza e invocare la grazia di Dio è la base della vita cristiana. L'educazione sessuale dei ragazzi, inserita nell'educazione globale all'amore come dono di sé, spetta in primo luogo ai genitori. La scuola può intervenire in aiuto, rispettando i loro valori e orientamenti. Fidanzamento 1083 Conoscersi come persone, innamorarsi reciprocamente, consolidare l'amicizia, mettere a fuoco le scelte di fede e i valori fondamentali sono i contenuti principali, del fidanzamento, tempo privilegiato di formazione. Non rientra nelle sue finalità quella di provare l'amore con i rapporti prematrimoniali. L'amore non è una tecnica, non va confuso con il desiderio istintivo. Solo un clima di affetto durevole e sicuro rende possibile la libera accoglienza reciproca e la stessa armonia sessuale. D'altra parte la coppia non appartiene solo a se stessa, ma anche alla società, alla Chiesa e a Cristo. Il legame dei due non è completo, finché non è pubblicamente riconosciuto e consacrato dal sacramento del matrimonio. La comunità ecclesiale deve offrire ai fidanzati un itinerario prolungato di formazione, comprendente esperienze di catechesi, di dialogo, di preghiera e di carità, in modo da rendere possibile una più consapevole scelta di fede e di vita cristiana. 1084 La persona cresce quanto più liberamente si apre all'amore. La sessualità viene educata e integrata nella dinamica dell'amore autentico mediante la castità, una virtù necessaria ai celibi e agli sposati. Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi Amore e sessualità non sono parole utilizzate in modo univoco nel linguaggio e nella cultura attuale. Insieme all'affermazione di alcuni valori, appare molto diffusa una visione riduttiva, spesso egoistica e strumentale, della corporeità, della sessualità e dell'amore. La sensibilità più comune sembra, per certi aspetti, molto lontana dalla visione cristiana. All'interno di questa realtà, tuttavia, più forte si fa l'esigenza di verità e autenticità dell'amore, la domanda sul senso della sessualità. L'educazione a una visione cristiana diventa profezia di speranza, testimonianza di valori, progetto di crescita illuminato e sorretto dalla grazia di Dio. - Quali sono i valori e quali i disvalori più riconosciuti e accolti nella mentalità circa la relazione uomo-donna? - La visione cristiana dell'amore e della sessualità viene adeguatamente comunicata? - Da quali cause dipende una certa difficoltà a comprenderla e ad accoglierla? - Come formare ai valori cristiani dell'amore e della sessualità? Come testimoniarli oggi? Ascoltare e meditare la Parola E Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra". Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio li creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra". ( Gen 1,26-28 ) Si può leggere anche: ( Mc 10,1-12 ) Il matrimonio è indissolubile. ( 1 Cor 6,12-20 ) Glorificare Dio rispettando la dignità del corpo. ( 1 Cor 7,25-35 ) Matrimonio e celibato: due vie per andare a Dio. ( Ef 5,21; Ef 6,4 ) Doveri reciproci tra marito e moglie, tra genitori e figli. La provvidenza di Dio in principio divise l'uomo in due, e volendo dimostrare che dopo d'essere stati separati restano ancora uno, non lasciò che uno solo bastasse alla generazione … Da uno ne fece un altro e poi questi due li riunisce di nuovo, cosicché anche l'uomo ora nasce da uno. Infatti l'uomo e la donna non sono più due, ma uno solo … E il bambino viene ad essere una specie di ponte. Perciò i tre diventano una sola carne, ponendosi il figlio come congiunzione dall'una e dall'altra parte. Come infatti se vi sono due città e un fiume che le divide completamente, esse diventano una sola città qualora un ponte le congiunga dall'una e dall'altra parte, così è anche qui, anzi ancor di più: il ponte infatti, in questo caso, è della stessa natura dei due che si uniscono. ( San Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Colossesi, 12,5 ) Pregare e celebrare Beato l'uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie. Vivrai del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai d'ogni bene. La tua sposa come vite feconda nell'intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d'ulivo intorno alla tua mensa. Così sarà benedetto l'uomo che teme il Signore. Ti benedica il Signore da Sion! Possa tu vedere la prosperità di Gerusalemme per tutti i giorni della tua vita. Possa tu vedere i figli dei tuoi figli. Pace su Israele! ( Sal 129,1 ) O Dio, origine e fondamento della comunità domestica, fa' che nelle nostre famiglie imitiamo le stesse virtù e lo stesso amore della santa famiglia di Nàzaret, perché, riuniti insieme nella tua casa, possiamo godere la gioia senza fine. ( Messale Romano, Colletta della Messa per la famiglia ) Professare la fede - Creando l'essere umano uomo e donna, Dio dona all'uno e all'altra la stessa dignità personale. Spetta all'uomo e alla donna riconoscere e accettare la propria identità sessuale. - L'alleanza liberamente contratta dagli sposi con il matrimonio implica un amore fedele, indissolubile, aperto alla vita e responsabile della procreazione e educazione dei figli. - Il rispetto delle persone e la vita di relazione in seno alla famiglia, cellula originaria della vita sociale, costituiscono il fondamento della libertà, della sicurezza, della fraternità nella società. - La sessualità va educata all'amore, altrimenti si degrada in disordini che umiliano la persona e corrompono il senso genuino delle relazioni reciproche. La castità è virtù necessaria a integrare la sessualità nell'amore. Capitolo 28 L'impegno sociale e politico State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore … Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio. ( 1 Pt 2,13.16 ) 1085 Il cristiano testimonia la salvezza del Signore, che opera nella storia, servendo la persona e la società. Per aiutare la crescita integrale di ogni uomo, promuove, secondo le sue possibilità, la solidarietà a vari livelli, dalla famiglia alle comunità particolari, alla comunità politica, fino alla comunità internazionale. Dalla parola di Dio, attraverso l'insegnamento sociale della Chiesa, riceve motivazioni e orientamento per il suo impegno, in modo da contribuire efficacemente a edificare un ordine sociale fondato sulla verità, la giustizia, l'amore e la libertà. Fede cristiana e responsabilità sociale Distinzione non separazione 1086 La cultura moderna ha il merito di aver affermato la consistenza propria della vita civile rispetto a quella religiosa. Spesso però è arrivata a considerare la fede un affare privato, irrilevante in ambito sociale e politico. Il cristiano accetta la distinzione delle realtà terrene da quelle eterne e spirituali, ma non la separazione. Sa che ogni dimensione della realtà ha leggi proprie ed esige un metodo ed una competenza specifici, ma ritiene che tutto debba essere finalizzato a obiettivi coerenti con la dignità e la vocazione dell'uomo, rivelate pienamente solo dalla parola di Dio. Egli da una parte individua nel peccato la radice profonda dei mali della società, dall'altra si rende conto che la conversione a Dio implica anche serietà di impegno per una società autenticamente umana. Incidenza sociale del peccato 1087 Secondo la Bibbia, il peccato porta disordine, oppressione e violenza nella famiglia, ( Gen 3,16; Gen 4,3-16 ) nella città, ( Gen 11,1-9; Is 1,21-23 ) nella nazione ( Am 8,4-7 ) e nei rapporti tra i popoli; ( Es 1,8-22 ) corrompe la convivenza fra gli uomini ( Sap 14,22-27; Rm 1,18-22 ) e rende mostruoso il potere politico. ( Dn 7,2-8.15-26; Ap 13,1-2 ) Secondo il magistero della Chiesa, i peccati personali moltiplicandosi si fossilizzano in strutture sociali di peccato; queste a loro volta condizionano fortemente le persone e le inclinano a nuovi peccati. Regno di Dio e riforma della società 1088 Dio vuole innanzitutto cambiare il cuore dell'uomo, ma, a partire dal cuore, vuole rinnovare anche la società. È il liberatore degli oppressi: protegge i poveri, gli stranieri, gli orfani, le vedove; vuole giustizia e solidarietà. ( Es 23,1-9; Dt 24,5-22 ) Chiede ai credenti di non separare la pratica religiosa dall'impegno sociale. "Io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni … Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: il suono delle tue arpe non posso sentirlo! Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne" ( Am 5,21.23-24 ). "Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo?" ( Is 58,6-7 ). Il Messia sarà mandato a portare una nuova esperienza di Dio, ma con essa anche il disarmo, la giustizia per i poveri, la prosperità e la pace. ( Is 2,1-5; Is 11,4-9 ) 1089 Di fatto Gesù di Nàzaret, mentre rivela la paternità di Dio, promuove una giustizia più perfetta, che implica fedeltà, sincerità, amore preferenziale per i poveri, riconciliazione con i nemici; ( Mt 5,20-48 ) immette nella convivenza umana lo spirito delle beatitudini, che rende umili, miti, misericordiosi e operatori di pace. ( Mt 5,3-10 ) La comunione con lui costruisce una nuova solidarietà tra gli uomini, abolisce le discriminazioni della società: "Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" ( Gal 3,28 ) Il regno di Dio, pur non essendo di questo mondo, opera in questo mondo. La salvezza messianica si compie nell'eternità, ma comincia nella storia e si manifesta restituendo autenticità e bellezza a ogni dimensione della vita, quella sociale compresa. La Chiesa fin dalle origini è consapevole di aver ricevuto un messaggio che ha rilevanza anche per la società. La dottrina sociale della Chiesa 1090 "Per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società ed inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo salvatore". La Chiesa non è mossa da ambizione di prestigio o di potere, ma unicamente dalla "cura e responsabilità per l'uomo", per ogni uomo concreto, amato e redento da Cristo. E dal mistero di Cristo trae la luce per illuminare la vera identità dell'uomo e orientare il suo cammino storico. "La dottrina sociale della Chiesa trova la sua sorgente nella Sacra Scrittura, a cominciare dal libro della Genesi e, in particolare, nel Vangelo e negli scritti apostolici. Essa appartenne fin dall'inizio all'insegnamento della Chiesa stessa, alla sua concezione dell'uomo e della vita sociale e, specialmente, alla morale sociale elaborata secondo le necessità delle varie epoche. Questo patrimonio tradizionale è poi stato ereditato e sviluppato dall'insegnamento dei pontefici sulla moderna "questione sociale"". 1091 In epoca moderna, guidata dalla sollecitudine per l'evangelizzazione, l'attenzione della Chiesa si è allargata progressivamente a orizzonti sempre più vasti, a fenomeni sempre più complessi. Importanti documenti si sono succeduti con ritmo via via più serrato, in sincronia con i rapidi cambiamenti della società: "Rerum novarum" di Leone XIII ( 1891 ); "Quadragesimo anno" di Pio XI ( 1931 ); Messaggio radiofonico di Pio XII ( 1941 ); "Mater et magistra" ( 1961 ) e "Pacem in terris" ( 1963 ) di Giovanni XXIII; "Gaudium et spes" ( 1965 ) del concilio Vaticano II; "Populorum progressio" ( 1967 ) e "Octogesima adveniens" ( 1971 ) di Paolo VI; "Laborem exercens" ( 1981 ), "Sollicitudo rei socialis" ( 1987 ) e "Centesimus annus" ( 1991) di Giovanni Paolo II. Le conferenze episcopali e i singoli vescovi hanno contribuito notevolmente all'elaborazione della dottrina sociale della Chiesa. Un apporto rilevante è venuto dagli stessi fedeli laici, particolarmente competenti in campo economico, sociale e politico. 1092 Il nucleo centrale della dottrina sociale della Chiesa è costituito da alcune verità di antropologia e di etica cristiana, che corrispondono all'immagine rivelata dell'uomo e alla "sua vocazione terrena e insieme trascendente". Sono principî di valore permanente, fonte inesauribile di ispirazione per costruire una società ordinata. Alla luce di essi il magistero della Chiesa interpreta le situazioni storiche contemporanee in continua evoluzione, denuncia i mali e le ingiustizie, avanza proposte operative per stimolare la ricerca e l'azione dei cristiani laici e di tutti gli uomini di buona volontà. Come si vede, la dottrina sociale non è né un generico appello alla fratellanza, né un progetto globale risolutivo alla maniera delle ideologie, ma un segnale che indica la giusta direzione di un cammino sempre aperto di riforma. L'impegno sociale e politico dei fedeli laici 1093 Educare le coscienze è il compito fondamentale della Chiesa. Di questo compito l'insegnamento della dottrina sociale è parte integrante. Spetta poi ai cristiani, singoli o associati, particolarmente ai fedeli laici, inserirsi intimamente nel tessuto della società civile e "inscrivere la legge divina nella vita della città terrena". Essi operano non a nome della Chiesa, ma con responsabilità propria, nella complessità delle situazioni concrete, sapendo che la fede stessa li obbliga ad assumersi compiti temporali e ad attuarli con coerenza evangelica. Alimentano il loro impegno con la formazione spirituale e culturale e con la preghiera. La carità li muove ad agire secondo una logica di servizio, con la maggior competenza possibile, con attenzione costante alle persone, specialmente a quelle che non contano, agli ultimi. Li fa disponibili al dialogo e alla collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà. La speranza li rende tenaci nell'azione, pazienti nella sofferenza, modesti nel successo, aperti a ogni nuova possibilità di bene. Così ciascuno per la sua parte concorre, "con l'energia ricevuta da Dio" ( 1 Pt 4,11 ), a edificare la città dell'uomo, come concorre a edificare la Chiesa. È doloroso per la Chiesa dover constatare la divaricazione fra la prassi religiosa e l'azione sociale e politica dei credenti. È preoccupante per un paese dover attraversare una crisi di legalità, diffusa nella classe dirigente e nei comportamenti dei cittadini: concussione, corruzione amministrativa, voto di scambio, evasione fiscale, danneggiamento di strutture pubbliche, assenteismo dal lavoro … Solo da un'assidua opera educativa ci si può attendere una solida coerenza dei credenti e un sano costume di tutti i cittadini. Servendo l'uomo e la società con la forza della carità e alla luce del vangelo e della dottrina sociale della Chiesa, i cristiani manifestano che Cristo salvatore è presente nella storia e dona un anticipo della salvezza. 1094 Il regno di Dio si compie nell'eternità, ma opera già nella storia. La missione evangelizzatrice della Chiesa comprende anche l'insegnamento della sua dottrina sociale. L'impegno evangelicamente coerente dei fedeli laici nella vita sociale e civile è parte integrante della testimonianza a Cristo salvatore. Persona e società Individualismo e collettivismo 1095 Quando si allontana dalla fede in Dio, la cultura elabora un'immagine riduttiva dell'uomo, che oscilla tra individualismo e collettivismo. La prima posizione svaluta la società, come se fosse "qualcosa di esterno all'uomo", un frutto del caso o di un patto tra individui. La seconda degrada l'uomo a un numero, a un elemento del sistema. Spesso l'una va a combinarsi con l'altra, enfatizzando simultaneamente l'individuo isolato e lo stato burocratico centralizzato, ignorando invece la famiglia e le comunità particolari intermedie. L'una e l'altra influenzano scelte sociali, economiche e politiche, che prescindono dalla dignità e responsabilità della persona e conducono a risultati disastrosi. "L'uomo può organizzare la terra senza Dio, ma senza Dio non può alla fine che organizzarla contro l'uomo". La dignità della persona e i suoi diritti fondamentali 1096 Da parte sua, la dottrina della Chiesa "risana ed eleva la dignità della persona umana" e "consolida la compagine della società umana". Sostenere la dignità di ogni persona è "il compito centrale e unificante del servizio che la Chiesa e, in essa, i fedeli laici sono chiamati a rendere alla famiglia degli uomini". L'uomo, immagine di Dio, suo interlocutore e cooperatore, cosciente e libero, chiamato ad essere suo figlio e a vivere in comunione con lui, è "centro e vertice di tutto quanto esiste sulla terra", "principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali". "Il rispetto della persona umana … si pone come criterio basilare, quasi pilastro fondamentale, per la strutturazione della società stessa, essendo la società finalizzata interamente alla persona". 1097 Rispettare la dignità della persona significa in pratica riconoscere, difendere e promuovere alcuni diritti universali, inviolabili, inalienabili: diritto all'esistenza, all'integrità fisica e a un tenore di vita dignitoso; diritto di cercare liberamente la verità, manifestare il proprio pensiero, partecipare al patrimonio culturale; diritto alla libertà di religione; diritto di seguire la propria vocazione, formarsi una famiglia, educare i figli; diritto al lavoro, alla libera iniziativa economica, a una giusta retribuzione; diritto di riunione e di associazione, di emigrazione e di immigrazione, di partecipazione politica e di certezza giuridica. Questi diritti hanno bisogno di essere ulteriormente precisati nei loro contenuti concreti, secondo le condizioni storiche, economiche e culturali; tuttavia indicano sufficientemente un criterio di giudizio e una linea di impegno. Una società è giusta e, al di là delle procedure formali, sostanzialmente democratica, quando li garantisce a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione di sesso, razza, lingua e religione. Si tratta di beni originari che derivano dalla natura e da Dio, non dal consenso della maggioranza. Dimensione sociale costitutiva 1098 La persona è soggetto singolare ed irripetibile, ma è fatta per comunicare, "chiamata dall'intimo di sé alla comunione con gli altri e alla donazione agli altri". Dio, creando l'uomo, non l'ha creato solitario: ( Gen 1,27; Gen 2,18 ) "L'uomo per la sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti". Perciò la società è sostegno e perfezione della persona. Da questa dimensione sociale, "nativa e strutturale", derivano prima le comunità basate sui rapporti interpersonali diretti, come la famiglia, la parentela, il vicinato, e poi le formazioni sociali più ampie, basate sui rapporti mediati da strutture e legami oggettivi di tipo culturale, religioso, politico, economico, come ad esempio il sindacato, la città, la nazione. Col procedere della storia si moltiplicano i rapporti, si intensifica lo scambio dei beni, cresce l'interdipendenza su tutta la terra, quasi a dar corpo alla vocazione del genere umano a diventare una sola famiglia. Pluralismo e solidarietà 1099 Purtroppo non mancano tensioni e lacerazioni. Una certa conflittualità sociale è inevitabile, perché esistono interessi oggettivamente concorrenti. Essa svolge un ruolo addirittura positivo, quando si configura come "lotta per la giustizia sociale"e privilegia la trattativa e il ragionevole compromesso. Non ha senso invece esaltare la lotta distruttiva, la contraddizione e la guerra come "fattori di progresso e di avanzamento della storia". Gli interessi convergenti sono più rilevanti ancora di quelli concorrenti; anzi gli uomini di per sé sono un bene gli uni per gli altri. Una convivenza degna dell'uomo non può fondarsi sui rapporti di forza, ma sulla verità, la giustizia, l'amore e la libertà. Tutti devono sentirsi responsabili di tutti. Ognuno deve guardare al prossimo come a un altro se stesso. "La legge fondamentale dell'umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità". La carità impegna a fare il possibile per edificare una convivenza solidale e pluralista, che consenta alle persone e ai popoli di svilupparsi liberamente, ciascuno con la propria identità e originalità. Principio di sussidiarietà 1100 L'autentica solidarietà rifugge sia dall'individualismo che dal collettivismo; valorizza la famiglia e le comunità particolari, in cui le persone sono coinvolte più da vicino. Si articola a vari livelli secondo il principio di sussidiarietà. "Come è illecito togliere ai singoli ciò che essi possono compiere con le forze e l'iniziativa propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto affidare a una maggiore e più alta società quello che può essere fatto dalle minori e inferiori comunità". Anzi le società superiori devono sostenere, integrare e coordinare quelle inferiori, che sono espressione più diretta della persona e le consentono una partecipazione più creativa. 1101 La persona è il fondamento e il fine della società; la società è il sostegno e il perfezionamento della persona. È necessario promuovere la dignità e i diritti della persona e costruire una società solidale e pluralistica, dove la famiglia e le comunità particolari siano valorizzate dalle comunità più ampie secondo il principio di sussidiarietà. L'azione politica Servizio per il bene comune 1102 Molti diffidano della politica, preferiscono starsene fuori. Altri vi entrano per affermare interessi personali o di parte. Altri, infine, ne fanno una specie di messianismo, in grado di liberare l'uomo da tutti i suoi mali. La Chiesa ha un'alta stima per la genuina azione politica; la dice "degna di lode e di considerazione", l'addita come "forma esigente di carità". Riconosce che la necessità di una comunità politica e di una pubblica autorità è inscritta nella natura sociale dell'uomo e quindi deriva dalla volontà di Dio. D'altra parte essa indica i limiti della politica e vigila perché non diventi invadente o addirittura totalitaria. Questa sua posizione è in continuità con quanto al riguardo insegna la Bibbia. 1103 Nella cultura dell'antico oriente, il re veniva adorato come un dio, una manifestazione della divinità suprema. Secondo la Bibbia, invece, i governanti sono soltanto servitori di Dio per il bene del popolo, sottoposti anch'essi alla legge morale e al giudizio esigente del Signore. Così essa si esprime: "Ascoltate, o re, e cercate di comprendere; imparate, governanti di tutta la terra … La vostra sovranità proviene dal Signore; la vostra potenza dall'Altissimo, il quale esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri propositi; poiché, pur essendo ministri del suo regno, non avete governato rettamente, né avete osservato la legge, né vi siete comportati secondo il volere di Dio" ( Sap 6,1.3-4 ). "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio" ( Mc 12,17 ). "Non c'è autorità se non da Dio … Essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza" ( Rm 13,1.4-5 ). Occorre pregare "per tutti quelli sta stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità" ( 1 Tm 2,2 ). Lo stato assume un volto demoniaco quando, dimentico del suo ruolo sussidiario di servizio, diventa totalitario e prende il posto di Dio: "Vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo … Il drago le diede la sua forza, il suo trono e la sua potestà grande" ( Ap 13,1-2 ). In situazioni del genere ai cristiani si impone il dovere della resistenza. 1104 Secondo la dottrina della Chiesa, l'autentica azione politica è servizio per il bene comune, con trasparenza e competenza. Il bene comune di una popolazione consiste "nell'insieme di quelle condizioni di vita sociale, con le quali gli uomini, la famiglia e le associazioni possono ottenere il conseguimento più pieno e più spedito della loro perfezione". Comprende i diritti fondamentali della persona, i valori morali e culturali che sono oggetto di generale consenso, le strutture e le leggi della convivenza, la prosperità e la sicurezza. La sua figura storica complessiva è mutevole e va ridisegnata continuamente, secondo le esigenze della libertà e della solidarietà. È in funzione di esso che esiste la comunità politica; ad esso tutti devono contribuire con impegno perseverante e deciso. La partecipazione dei cittadini 1105 I cittadini sono nello stesso tempo destinatari e protagonisti della politica. Sono obbligati in coscienza a osservare le leggi giuste e a pagare le tasse. Hanno il diritto-dovere di approvare l'ordinamento politico, di eleggere i governanti e di controllare il loro operato. Inseriti nelle comunità intermedie e nelle associazioni, partecipano alla gestione di numerosi servizi, specie nei settori dell'educazione, della cultura, della sanità e dell'assistenza. L'autorità pubblica 1106 Se tutti devono cooperare all'attuazione del bene comune, alcuni però hanno la funzione di coordinare e dirigere ad esso le molteplici energie: sono i detentori della pubblica autorità. La legittimità di un governo si misura dalla capacità di rispettare e sostenere i diritti delle persone e dei soggetti sociali intermedi. Il potere deve essere esercitato per il popolo e con il popolo: l'autorità è "vicaria della moltitudine". Ovviamente la possibilità di partecipazione è diversa secondo le condizioni culturali e le situazioni storiche. D'altra parte è necessario un governo della società che non si limiti a mediare gli interessi particolari, ma sappia inquadrare il pluralismo entro regole precise e guidarlo verso obiettivi storici concreti. Quanto all'esercizio dell'autorità, governano rettamente coloro che "non guardano in sé il potere del grado, ma l'uguaglianza di condizione e non godono nel fare da superiori, ma nel fare del bene agli altri". Coerenza e unità dei cristiani in politica 1107 Ai fedeli laici, occupati nella gestione della cosa pubblica, la Chiesa ricorda il dovere della coerenza con la visione cristiana della vita. A volte la necessità di tutelare efficacemente qualche valore fondamentale comporta anche la loro unità organizzata. Ma l'unità politica di programma e di partito, a differenza della coerenza, non è per i cattolici un'esigenza assoluta e costante. Sulla base di prospettive culturali ed esperienze operative diverse, possono legittimamente arrivare a scelte diverse, pur condividendo la stessa fede, il riferimento alla dottrina della Chiesa e la sincera dedizione al bene comune. In ogni caso dai cristiani ci si aspetta che siano esemplari per rigore morale, attenzione alla gente, spirito di servizio, professionalità. È legittimo avere diverse visioni del bene comune, ma non è mai lecito subordinarlo all'interesse proprio o di partito. 1108 "La comunità politica e l'autorità pubblica hanno il loro fondamento nella natura umana e perciò appartengono all'ordine stabilito da Dio" . Tutti i cittadini devono prendere parte in qualche modo all'attività politica, intesa come servizio al bene comune. La pubblica autorità ha il compito di guidare e coordinare, nel rispetto dei diritti delle persone e delle comunità intermedie. Solidarietà internazionale La comunità dei popoli 1109 La Chiesa con la sua stessa esistenza testimonia l'universalità del divino disegno di salvezza ed è fattore di unità per tutto il genere umano. Essa guarda dunque con grande attenzione al progressivo intensificarsi delle relazioni tra i popoli, cercando di orientarlo nella giusta direzione. Oggi i confini degli stati sono attraversati da un flusso continuo di uomini, informazioni, capitali, merci, armi. L'interdipendenza cresce in ampiezza e spessore. Se si vogliono evitare meccanismi perversi, che avrebbero "conseguenze funeste per i più deboli", anzi per tutti, è necessario attivare una nuova solidarietà morale, culturale, politica ed economica. "Il bene comune … oggi diventa sempre più universale, investendo diritti e doveri che riguardano l'intero genere umano". La pretesa dei singoli stati sovrani di porsi come vertice della società organizzata sta diventando anacronistica. Si va verso forme di collaborazione sistematica, si moltiplicano le istituzioni internazionali, si auspicano forme di governo sopranazionale con larga autonomia delle entità nazionali. La comunità dei popoli, come quella delle persone, va costruita non sui rapporti di forza, ma sui valori di verità, giustizia, amore, libertà. Anche a livello di relazioni tra i popoli, la carità esige che un'attenzione preferenziale sia riservata ai più deboli. La cooperazione per lo sviluppo 1110 I paesi del sottosviluppo interpellano quelli del benessere, come il povero Lazzaro alla porta del ricco. ( Lc 16,19-31 ) All'origine dei mali non c'è alcuna fatalità, ma una serie di cause concomitanti, alle quali è possibile rimediare: colonialismo, sfrenata concorrenza commerciale, imprevidenza dei governi locali, conflittualità prolungata e soprattutto arretratezza culturale. La soluzione è di natura innanzitutto etica e si chiama solidarietà. Il primo e decisivo contributo è il sostegno a programmi di educazione e di sviluppo culturale, perché "lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi. È l'uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica". Accanto all'opera formativa occorrono altre forme di aiuto: sostegno ai regimi rispettosi dei diritti umani; forniture di tecnologie semplici, di servizi primari, di incentivi all'agricoltura; riforma del commercio internazionale e del sistema monetario e finanziario mondiale. È già un fatto positivo che cresca la consapevolezza della interdipendenza degli uomini e delle nazioni. Ma bisogna assumere impegni precisi secondo le proprie possibilità, modificando, per quanto è necessario, anche il proprio stile di vita. Cooperare allo sviluppo dei popoli "è un imperativo per tutti e per ciascuno degli uomini e delle donne, per le società e le nazioni". 1111 La crescente interdipendenza tra i popoli esige una forte solidarietà morale, culturale, economica e un'organizzazione politica della società internazionale. Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi Molti considerano la fede un fatto privato, quasi irrilevante nei riguardi dei problemi sociali e politici. La stessa Chiesa, mentre viene stimata per le opere caritative, viene meno compresa nel suo insegnamento sociale. La fede cristiana è invece sorgente di valori per la vita sociale e politica e di impegno ispirato dal comandamento dell'amore e sempre teso al servizio del bene comune. Ogni uomo è figlio di Dio e Dio agisce con l'uomo nella storia: i cristiani debbono riflettere queste convinzioni di fede in ogni realtà che concerne l'uomo, la sua dignità, il suo sviluppo, la sua convivenza. - Perché la fede cristiana è considerata spesso in modo intimistico o individualistico, separata dai problemi della vita sociale? - È conosciuta la dottrina sociale della Chiesa? Come viene considerata e accolta? - Come la fede cristiana può contribuire a formare persone capaci di un coerente impegno in campo sociale e politico nel nostro paese? Ascoltare e meditare la Parola Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne? Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: "Eccomi!". ( Is 58,5-9 ) Si può leggere anche: ( Dt 24,5-22 ) Dio vuole giustizia e solidarietà. ( Mc 12,13-17 ) A Cesare quello che è di Cesare, ma prima a Dio quello che è di Dio. ( Rm 13,1-7 ) Doveri civici. La dottrina sociale della Chiesa non è una "terza via" tra capitalismo liberista e collettivismo marxista, e neppure una possibile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costituisce una categoria a sé. Non è neppure un'ideologia, ma l'accurata formulazione dei risultati di un'attenta riflessione sulle complesse realtà dell'esistenza dell'uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell'insegnamento del vangelo sull'uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il comportamento cristiano. Essa appartiene, perciò, non al campo dell'ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale. L'insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. ( Giovanni Paolo II, Sollicitudo Rei Socialis 41 ). Pregare e celebrare Dio che fai giustizia, o Signore, Dio che fai giustizia: mostrati! Alzati, giudice della terra, rendi la ricompensa ai superbi. Signore, calpestano il tuo popolo, opprimono la tua eredità. Dicono: "Il Signore non vede, Il Dio di Giacobbe non se ne cura". Il Signore non respinge il suo popolo, la sua eredità non la può abbandonare, ma il giudizio si volgerà a giustizia, la seguiranno tutti i retti di cuore. ( Sal 94,1-2.5.7.14-15 ) O Dio, che hai dato a tutte le genti un'unica origine e vuoi riunirle in una sola famiglia, fa' che gli uomini si riconoscano fratelli e promuovano nella solidarietà lo sviluppo di ogni popolo, perché con le risorse che hai disposto per tutta l'umanità, si affermino i diritti di ogni persona e la comunità umana conosca un'èra di uguaglianza e di pace. ( Messale Romano, Colletta della Messa per il progresso dei popoli ) Professare la fede - La dottrina sociale della Chiesa esprime la luce del vangelo in riferimento agli avvenimenti della storia, richiamando all'uomo la sua dignità e la sua vocazione alla comunione delle persone, e insegnando le esigenze della giustizia e della pace secondo il disegno di Dio. - "Principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana" ( Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes 25 ). - Per creare un clima sociale di giustizia, di libertà e di pace, occorre fare appello alla conversione dei cuori e alla grazia di Dio: non c'è soluzione alla questione sociale al di fuori del vangelo. Capitolo 29 Un lavoro degno dell'uomo Vi esortiamo, fratelli … a farvi un punto di onore: vivere in pace, attendere alle cose vostre e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, al fine di condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e di non aver bisogno di nessuno. ( 1 Ts 4,10-12 ) 1112 Il cristiano vive il lavoro e il riposo come un dono di Dio, libero dall'ansia di produrre e dall'avidità di possedere, che accecano il cuore e portano a sfruttare i più deboli. Condivide volentieri i beni con gli altri; si impegna perché la dignità e i diritti della persona umana vengano posti a fondamento dell'ordine economico e perché sia rispettato l'ordine armonioso della natura.Vocazione al lavoro e al riposo Dimensione costitutiva dell'uomo 1113 In alcuni paesi, tra cui il nostro, l'eccezionale sviluppo scientifico, tecnico, economico degli ultimi due secoli ha prodotto una situazione di prosperità. Si accumulano capitali, tecnologia, esperienza imprenditoriale e amministrativa, redditi, consumi. È la civiltà del lavoro e del benessere, ricca di valori e di ambiguità, le cui radici traggono alimento dalla stessa tradizione cristiana. 1114 Il lavoro, finalizzato a prendere possesso dell'ambiente, è per la Bibbia una dimensione costitutiva dell'uomo, come la sessualità e la socialità: "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra"" ( Gen 1,27-28 ). Avendo creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, Dio non lo chiama solo a lavorare, ma anche a riposare. Egli infatti, nel realizzare l'opera della creazione, lavora e riposa. ( Gen 2,2-3 ) Secondo la rappresentazione simbolica del linguaggio mitico, sei giorni lavora e il settimo giorno riposa: questo significa che il suo agire è sovranamente libero, produttivo di perfezione e di bellezza, gratificante. L'uomo partecipa al lavoro e al riposo di Dio: ambedue sono per lui una benedizione e un dono, ambedue fecondi di vita e necessari per affermare la dignità e il primato della persona umana sopra le altre creature visibili. Soggiogare la terra e dominare gli animali dell'acqua, dell'aria e del suolo vuol dire prendere possesso dell'ambiente e governarlo. Lo stesso concetto esprimono le immagini di custodire e coltivare il giardino e di imporre il nome a tutti gli animali. ( Gen 2,15.19-20 ) Si tratta di rispettare l'ordine posto in essere dal Creatore e di svilupparlo a proprio vantaggio, scoprendo progressivamente e usando con responsabilità le risorse della natura, per soddisfare i bisogni propri, della famiglia e della società. È l'impresa grandiosa della scienza e del lavoro per umanizzare il mondo, farne la degna dimora dell'uomo, una casa di libertà e di pace. 1115 Il lavoro è nello stesso tempo necessità vitale e affermazione di libertà, segno di dipendenza e di trascendenza rispetto alla natura. Solo l'uomo lavora, perché, a differenza degli animali, è soggetto intelligente, capace di progettare e operare creativamente. Mentre produce cose utili, sviluppa anche la sua umanità, un insieme di importanti valori: iniziativa, coraggio, realismo, tenacia, ordine, solidarietà. Esprime e attua la sua dignità di persona. Si può così parlare di un diritto dell'uomo al lavoro: "La libertà medesima, respiro della persona, è, in certo modo …, condizionata da queste primordiali esigenze: del lavoro e del pane". Perché il lavoro possa rivelare e mantenere il suo senso, non deve assorbire tutte le energie. Deve lasciare spazio alla contemplazione, all'amicizia, alla famiglia, al gioco. Ecco la necessità del riposo, finalizzato non tanto a reintegrare le forze fisiche in vista di una nuova fatica, quanto a consolidare le motivazioni fondamentali dell'esistenza. Ed è molto opportuno, anzi indispensabile, che questo riposo si concentri particolarmente in un giorno di festa, per celebrare comunitariamente la bellezza della vita e sperimentare insieme la benevola vicinanza di Dio. Valore sfigurato e restaurato 1116 Il credente accoglie le creature come dono dalle mani di Dio, come beni adatti a soddisfare i bisogni dell'uomo, ad accrescere le sue possibilità di vita. Secondo la Bibbia, le ricchezze sono una benedizione del Signore, anche se di minore importanza rispetto ad altri benefici, quali la sapienza, la giustizia, la pace dell'anima. ( Dt 8,7-18; Dt 28,1-14; Pr 3,13-15; Pr 15,16; Pr 16,8; Sap 7,7-14 ) Disprezzarle sarebbe meschinità di spirito, forse invidia e risentimento. Lavoro e possesso vengono sfigurati dal peccato, ma la valutazione di fondo resta positiva. Fatica, amarezza e rischio di sterilità fanno sentire il loro peso: "Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te … Con il sudore del tuo volto mangerai il pane" ( Gen 3,17-19 ). Ma questa maledizione non annulla la benedizione originaria. Il lavoro diventa un bene arduo, ma resta pur sempre un bene, via insostituibile per affermare la dignità dell'uomo e il suo primato sul mondo visibile. Anzi la difficoltà costituisce una sfida e un'occasione per crescere in umanità. Di qui l'alta considerazione che la Bibbia e la tradizione cristiana riservano alla virtù della laboriosità. Ma la laboriosità, per essere autentica, deve accompagnarsi con l'impegno per la giustizia, per un ordine economico-sociale in cui il lavoratore resti soggetto libero, signore e non schiavo. Il peccato crea un disordine strutturale, che tende a ridurre l'uomo a puro strumento di produzione, a forza lavoro. Gli ebrei in Egitto vengono assoggettati a un lavoro duro, monotono e sfruttato, un lavoro senza senso e senza riposo. ( Es 1,8-14; Es 5,6-8 ) Dio però libera gli oppressi, restituisce un senso al lavoro e concede il riposo. ( Es 3,7-10 ) Il giorno di festa sarà memoria efficace della liberazione donata dal Signore, perno di una società libera e solidale, protezione per la dignità dei più deboli. ( Dt 5,12-15 ) 1117 Il Signore Gesù, con la sua umile fatica di operaio, il suo ministero pubblico e la sua croce e risurrezione, risana e perfeziona definitivamente la dignità e il primato della persona umana anche nell'ambito del lavoro. La Chiesa ne è consapevole fin dalle origini: "Non c'è più schiavo né libero …, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" ( Gal 3,28 ); "Lo schiavo che è stato chiamato nel Signore, è un liberto affrancato del Signore" ( 1 Cor 7,22 ). Il lavoro assume un più alto significato: "Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che come ricompensa riceverete dal Signore l'eredità" ( Col 3,23-24 ). Chi lavora con amore, nel rispetto della dignità di ogni persona, non solo contribuisce al progresso terreno, ma anche alla crescita del regno di Dio. Prolunga l'opera del Creatore e coopera all'attuazione del disegno della Provvidenza nella storia, associandosi al Cristo redentore. Si avvicina a Dio, facendo propria la pienezza di senso da lui data al lavoro. Ma per viverla consapevolmente e coerentemente, ha bisogno di un'adeguata formazione, di momenti di spiritualità. In particolare, ha bisogno del riposo e della festa, dono di Dio come il lavoro. Il tempo libero 1118 Oggi il tempo lasciato libero dal lavoro produttivo è cresciuto notevolmente dal punto di vista quantitativo ed è destinato a crescere ancora. È un fenomeno di per sé positivo. Il tempo libero risponde a un bisogno profondo della persona ed è una realtà che ha in se stessa il proprio scopo e valore, in quanto espressione di creatività, convivialità e spiritualità. Sua destinazione dovrebbero essere la preghiera personale e comunitaria, la formazione culturale, la contemplazione della natura e dell'arte, la ricreazione e il gioco, la famiglia, l'amicizia, la solidarietà sociale. Purtroppo la logica della produzione e del profitto invade anche il tempo libero e soffoca la creatività personale. Ne derivano insoddisfazione e tensione, tanto che si avverte la necessità di "liberare" il tempo libero. Occorre una saggia educazione al turismo, al divertimento, allo sport, all'uso dei mezzi della comunicazione sociale. 1119 "Sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro … Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo" ( Es 20,9-11 ). Produrre e possedere senza cupidigia L'ansia di produrre e possedere 1120 La qualità più considerata nella nostra cultura è la capacità professionale. Si tratta indubbiamente di un valore autentico. Ma facilmente può degenerare in assillo produttivo, smania di guadagnare, ambizione di carriera e ricerca del successo ad ogni costo. Il potere e la ricchezza diventano misura di riuscita personale, modello di vita proposto e riproposto dai mezzi di comunicazione. Si è qualcuno se si è professionisti altamente specializzati, se si possiede una seconda casa, una seconda macchina, se si frequentano certi ambienti raffinati, eleganti, se si fanno certi viaggi. I più deboli finiscono inesorabilmente emarginati dalla concorrenza. Si affonda nel materialismo pratico, incapaci di amore disinteressato, indifferenti verso Dio, spiritualmente ciechi. La Chiesa contesta decisamente questa mentalità: "Il lavoro è per l'uomo e non l'uomo per il lavoro". L'uomo non vale per quello che produce o possiede o consuma, ma per se stesso. È il messaggio che viene dalla rivelazione biblica. La "disumana ricchezza" nella Bibbia 1121 La condanna della ricchezza disumana attraversa tutto l'Antico Testamento. L'avidità rende ansiosi di accumulare, magari con la frode e la prepotenza; sfrutta i poveri o li umilia con lo spreco ostentato. ( Sap 2,6-11; Is 5,8; Am 8,4-6 ) I ricchi confidano nei loro mezzi; non si curano di Dio, lo dimenticano e lo rinnegano. ( Dt 31,20; Dt 32,5; Sal 73,4-12; Pr 30,7-9; Os 13,6 ) "L'uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono" ( Sal 49,21 ). "Chi confida nella propria ricchezza cadrà" ( Pr 11,28 ). Nel Nuovo Testamento, Gesù invita a confidare in Dio, Padre sempre premuroso e vicino, e a vivere nel presente liberi dall'ansia per il domani. L'uomo vale assai più dei beni materiali e del potere. È stoltezza far dipendere il proprio valore e la propria salvezza dalla ricchezza accumulata. ( Mt 6,25-34; Mt 16,26; Lc 12,15-31 ) La salvezza, come il Maestro sottolinea in casa delle due sorelle Marta e Maria, viene dall'abbandono fiducioso alla parola di Dio e non dall'attivismo pieno di affanni. ( Lc 10,38-42 ) Anzi, "la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà frutto" ( Mt 13,22 ). Il cuore appesantito dai beni e sedotto dai piaceri diventa insensibile al prossimo e sordo alla voce dello Spirito: ( Lc 16,19-21 ) "Nessuno può servire a due padroni …: non potete servire a Dio e a mammona" ( Mt 6,24 ). La ricchezza è un padrone spietato che sbarra la strada verso il Regno. ( Mt 19,21-24 ) Lavoro e ricchezza, pur essendo certamente dei beni, non danno senso alla vita. Sono essi piuttosto a ricevere senso dalla comunione con Dio e con i fratelli. Il cristiano si guarda dalla bramosia del possesso, da "quella avarizia insaziabile che è idolatria" ( Col 3,5 ); lavora in pace, vive con sobrietà. ( 1 Ts 4,11-12; 2 Ts 3,12; Tt 2,12 ) Chi eccelle solo per l'entità di guadagni o dei consumi non costituisce per lui un modello; gli appare carente di umanità e schiavo delle cose, posseduto dalle ricchezze più che capace di possederle,meritevole del rimprovero di san Basilio: "Tu sei veramente povero, anzi, privo di ogni vero bene. Sei povero di amore, povero di umanità, povero di fede in Dio, povero di speranza nelle realtà eterne". 1122 Il cristiano, al contrario, è convinto che "diviene più ricco l'uomo misericordioso, quando comincia ad avere di meno per donare ai poveri". Assume come ideale il povero delle beatitudini evangeliche: più bisognoso di Dio e degli altri che delle cose, mite e alieno da aggressività e concorrenza sleale, puro di cuore e capace di ammirare la bellezza, godere l'amicizia e accogliere la parola che salva. Egli modera l'istinto di possesso; ( 1 Tm 6,8-10 ) educa i suoi desideri; rifiuta l'attivismo esasperato, lo spreco consumista, lo sfruttamento degli altri; gli fa orrore la pratica dell'usura, che procura sofferenze gravissime alle famiglie e umilia la dignità e i diritti delle persone. 1123 La "disumana ricchezza" mette le cose al posto di Dio, è idolatria; impedisce di aiutare il prossimo, chiude nell'egoismo; fissa l'attenzione sui vantaggi immediati, rimuove il pensiero della vita futura. Essa è povertà interiore, mentre la povertà evangelica è ricchezza interiore. Fratelli mediante i beni materiali e il lavoro Economia di comunione 1124 I beni di questo mondo possono rendere il cuore insensibile a Dio e al prossimo, ma possono anche diventare strumento di comunione. L'Antico Testamento riconosce il diritto alla proprietà privata e comanda di non rubare, non desiderare i beni del prossimo ( Es 20,15.17 ) e non spostare i confini in maniera fraudolenta. ( Dt 19,14 ) Nello stesso tempo stabilisce precisi oneri sociali a carico della proprietà: la spigolatura, ( Dt 24,19-22 ) le decime, ( Dt 14,22-29 ) l'anno sabbatico, ( Es 23,10-11; Lv 25,1-7; Dt 15,1-3 ) l'anno giubilare, ( Lv 25,8-17 ) il dovere dell'elemosina. ( Dt 15,7-11 ) I beni che il Creatore ha affidato al genere umano, non possono essere posseduti egoisticamente, ma devono essere condivisi e tornare a vantaggio di tutti. Gesù urge con forza questa esigenza: "Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma" ( Lc 12,33 ). Chi si converte, come il pubblicano Zaccheo, dona almeno una parte consistente dei suoi beni. ( Lc 19,1-10 ) L'apostolo Paolo esorta i cristiani a lavorare alacremente, per non essere di peso agli altri ( 1 Ts 4,12 ) e per aiutare "chi si trova in necessità" ( Ef 4,28 ). Raccomanda di donare liberamente, per convinzione interiore, con generosità e con gioia: "Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia" ( 2 Cor 9,6-7 ). La circolazione dei beni materiali contribuisce all'edificazione della comunità: "È con i nostri patrimoni che diventiamo fratelli". Nello stesso tempo la persona si realizza nella sua più intima vocazione e sperimenta che donare è bello; anzi: "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!" ( At 20,35 ). Funzione sociale della proprietà e del lavoro 1125 Il magistero recente della Chiesa conferma la legittimità della proprietà privata, considerandola "come un prolungamento della libertà umana", indispensabile all'autonomia della persona e della famiglia. Contemporaneamente ribadisce però l'universale destinazione dei beni. Ciò significa che la proprietà ha un'intrinseca funzione sociale e deve essere gestita in modo da tornare a vantaggio di tutti. Il superfluo economico deve essere messo a disposizione del prossimo, con la donazione o con altro impiego socialmente utile. Quanto ai beni produttivi, è lecito possederli solo se vengono usati come strumenti a servizio del lavoro. 1126 Il lavoro stesso, di cui la proprietà è frutto e strumento, non è un fatto individuale isolato, ma sociale, anzi un processo storico comune, del quale tutti siamo eredi e protagonisti. Basti pensare per quante mani passa un oggetto qualunque, ad esempio un libro, durante il suo processo di formazione, che ingloba vari elementi, come il testo, la carta, la stampa, la distribuzione. Tutti partecipiamo, con ruoli e funzioni diverse, a un'immensa comunità di lavoro, nella quale si producono e si scambiano beni di ogni genere. "Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri". Ne consegue che ognuno è chiamato a svolgere il suo compito "così da prestare un conveniente servizio alla società", al di là della propria famiglia. Ciò comporta che si agisca con competenza professionale, dedizione personale, premura per umanizzare il luogo di lavoro, impegno per armonizzare gli interessi particolari con quelli generali, iniziativa culturale e politica perché la dignità della persona sia posta al centro del sistema produttivo. 1127 Una spiritualità della vita economica si caratterizza per questi valori: sobrietà, disponibilità a condividere i beni, serietà e competenza nel lavoro, solidarietà sociale, sensibilità politica, attenzione alle esigenze della propria famiglia, redenzione delle situazioni di fallimento o di ingiustizia mediante il significato della croce. Sovvenire alle necessità della Chiesa La condivisione nella Chiesa delle origini 1128 La condivisione dei beni materiali è importante anche per la vita e la missione della Chiesa. Già durante la vita pubblica di Gesù, la comunità dei discepoli al suo seguito tiene una cassa comune, per il necessario sostentamento e per la beneficenza verso i poveri. ( Gv 13,29 ) Nell'età apostolica le assemblee, che si riuniscono a celebrare l'eucaristia, sono consapevoli che la "cena del Signore" implica la condivisione anche dei beni materiali. ( 1 Cor 11,20-21 ) Fin d'allora, nella celebrazione liturgica domenicale, si fanno collette, in cui ciascuno mette a disposizione i propri risparmi, con libertà e generosità. ( 1 Cor 16,1-2; 2 Cor 8,1-15; 2 Cor 9,1-15 ) Ciò che si raccoglie viene amministrato sotto la direzione dei responsabili della comunità, prima gli apostoli ( At 4,37; At 5,2 ) e poi i vescovi. Deve servire all'assistenza dei poveri, al sostentamento dei ministri, all'attività di evangelizzazione. Sebbene il servizio per il regno di Dio di per sé sia gratuito e non possa essere retribuito, ( Mt 10,8-10 ) tuttavia anche gli operai del vangelo devono avere il necessario per vivere: "il Signore ha disposto che quelli che annunziano il vangelo vivano del vangelo" ( 1 Cor 9,14 ). Il sostegno economico oggi 1129 Oggi, in situazioni tanto diverse rispetto a quelle delle origini, il sostegno economico alla Chiesa si regge ancora sugli stessi motivi e criteri fondamentali. Il servizio dei poveri, le attività pastorali, l'azione missionaria, le opere di educazione e di assistenza, la costruzione e manutenzione dei luoghi di culto, il sostentamento del clero hanno esigenze molto più complesse, ma in definitiva si basano ancora sul contributo volontario dei fedeli. La necessaria cooperazione dello stato si configura come supporto all'effettivo esercizio della libertà religiosa e come riconoscimento della positiva funzione della Chiesa in ambito sociale. In una moderna società pluralistica ci deve essere spazio per la Chiesa e per le sue opere, espressione originale e creativa dell'amore cristiano. 1130 "Se avete comuni i beni eterni, quanto più i beni temporali!" . L'uomo al centro dell'economia Per un sistema economico più umano 1131 Dover dare risposta a bisogni sempre più raffinati e vari, ha portato il lavoro moderno a elaborare informazioni e servizi, più ancora che a manipolare direttamente le cose materiali. Ma esso presuppone sempre, in ogni sua fase, le risorse della natura, messe a disposizione dal Creatore, e mantiene la vocazione originaria ad attuare il primato dell'uomo sul mondo visibile. All'antica laboriosità agricola e artigianale è subentrato un sistema produttivo esteso e complesso. Contemporaneamente si è affermata una visione meccanica e deterministica dell'economia, che "ignora le dimensioni trascendenti della persona umana e la riduce al circolo angusto della produzione e del consumo". Tale mentalità ha ispirato una politica economica inadeguata e, nella forma collettivistica, clamorosamente fallimentare. In realtà l'economia rimane pur sempre un insieme di relazioni tra uomini. Presenta certo tendenze, leggi e compatibilità oggettive. Ma, sebbene condizionate, le persone possono intervenire con le loro scelte sull'intera dinamica: sull'individuazione dei bisogni, sull'uso delle risorse, sulla quantità e qualità della produzione e dei consumi, sulla distribuzione dei redditi. Il sistema, per quanto complesso, rimane affidato alla loro responsabilità e deve essere finalizzato alla loro dignità. 1132 Bisogna che l'uomo sia valorizzato come protagonista, prima risorsa e destinatario dello sviluppo: "La libertà e la creatività della persona umana debbono essere messe al centro anche dell'ordine economico". E d'altra parte "occorre adattare tutto il processo del lavoro produttivo alle esigenze della persona". L'uomo ha la priorità sul lavoro e il lavoro ha la priorità sul capitale, cioè sull'insieme degli strumenti di produzione. Per quanto è possibile, su scala più o meno vasta, si dovrà organizzare la produzione ricercando un ragionevole profitto, ma salvaguardando i diritti della persona e le esigenze della famiglia. Produzione socialmente utile 1133 Più degli affari conta la qualità della vita. Bisogna produrre per soddisfare i bisogni autentici della gente e non innanzitutto per favorire il capitale finanziario e lo stesso sviluppo tecnologico. Si sa che riesce abbastanza facile pilotare la domanda: mentre i bisogni fisiologici restano piuttosto stabili, quelli psichici risultano malleabili e possono essere indotti artificialmente, facendo leva sulla forza degli istinti. Così si producono e si vendono in grande quantità prodotti inutili o addirittura dannosi, come la droga, la pornografia e le armi. La produzione deve essere socialmente utile: è questione di responsabilità e di educazione, che coinvolge non solo i produttori, ma anche i consumatori e gli operatori culturali, specie quelli delle comunicazioni sociali. Lavoro idoneo 1134 Ogni persona ha il diritto-dovere di lavorare secondo le proprie attitudini. L'attuazione generalizzata di questo diritto presuppone un clima di solidarietà diffusa. La donna deve essere messa in grado di conciliare l'occupazione con la sua vocazione di madre. Lo stesso lavoro domestico dovrebbe avere un giusto riconoscimento da parte della società. Retribuzione e condizioni di lavoro 1135 La retribuzione deve "garantire i mezzi sufficienti per permettere al singolo e alla sua famiglia una vita dignitosa su un piano materiale, sociale, culturale e spirituale, corrispondentemente al tipo di attività e grado di rendimento economico di ciascuno, nonché alle condizioni dell'impresa e al bene comune". Il lavoro non è una merce; il contratto di lavoro non è un contratto di scambio, affidato al puro gioco della concorrenza. I contributi e le prestazioni sociali, come assegni familiari, assistenza sanitaria, pensione di invalidità e vecchiaia, assicurazioni varie, sono vie facilmente praticabili per ridurre gli squilibri e ridistribuire il reddito. Oltre il giusto trattamento economico, bisogna assicurare ai lavoratori una dignitosa qualità della vita: orari e ritmi di lavoro ragionevoli, garanzie per la salute e l'incolumità, riposo e ferie. Contrattazione sindacale 1136 Per "assicurare i giusti diritti dei lavoratori nel quadro del bene comune dell'intera società",essi si uniscono in libere associazioni sindacali, che provvedono tra l'altro a concludere contratti collettivi con le associazioni degli imprenditori. Una certa conflittualità è inevitabile, ma imprenditorialità, lavoro dipendente e capitale hanno bisogno uno dell'altro e sono chiamati a cooperare. In ogni caso la lotta deve essere non contro qualcuno, ma per la giustizia. Il metodo ordinario da seguire è la trattativa; lo sciopero è l'ultimo rimedio in caso di necessità, assicurando comunque i servizi pubblici essenziali. Partecipazione alla gestione 1137 L'impresa è una società di uomini liberi: imprenditori, lavoratori, detentori del capitale. I dipendenti devono essere trattati come corresponsabili. Fatta salva l'unità di direzione, richiesta dalla necessaria competenza e rapidità delle decisioni, è auspicabile qualche forma di partecipazione alla gestione e un certo controllo sulle strategie imprenditoriali. Del resto lo sviluppo dell'impresa moderna mette sempre più in evidenza che è l'uomo, con il suo lavoro disciplinato e creativo, il principale fattore produttivo, più rilevante della terra e del capitale: egli conosce i multiformi bisogni degli altri uomini, le potenzialità produttive e il modo più idoneo di organizzarle. Se questo si verifica soprattutto nella funzione imprenditoriale, è comunque fuori dubbio che la valorizzazione di tutte le componenti umane, oltre che essere eticamente corretta, favorisce la stessa efficienza economica dell'azienda. Economia di mercato 1138 L'economia di mercato in se stessa è positiva e rispondente alle esigenze della libertà: fa emergere i bisogni della gente, utilizza al meglio le risorse, forma prezzi equi. Tuttavia la concorrenza non basta da sola a prevenire gli squilibri, anche perché si presta ad essere manipolata. Il mercato ha bisogno anch'esso di essere finalizzato all'uomo. È compito dello stato coordinare, stimolare e integrare. Esso deve dare precise regole al mercato con una appropriata legislazione, offrire un quadro di riferimento alle imprese con la programmazione, sanare gli squilibri pericolosi con interventi diretti in campo economico. Solo nel contesto del bene comune, l'iniziativa privata esprime le autentiche esigenze della persona e realizza il suo primato sulle cose. 1139 "L'uomo è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale" . Rispetto dell'ambiente Crescente responsabilità 1140 Il primato dell'uomo sulle cose non significa potere di usare e di abusare. Il suo lavoro si svolge sulla base di una donazione da parte di Dio. Più che proprietario, egli è amministratore e deve rendere conto. Purtroppo, "preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita". La mentalità distruttiva è antica quanto il genere umano, ma in passato i danni rimanevano circoscritti a motivo del numero esiguo di abitanti e per la limitata capacità tecnologica. La moderna civiltà industriale, che peraltro ha il merito di aver portato il benessere ad intere popolazioni, possiede invece un'aggressività ben altrimenti pericolosa. Il saccheggio indiscriminato rischia di esaurire molte risorse della terra, che non sono rinnovabili. L'inquinamento ambientale si accumula rapidamente e minaccia di provocare sconvolgimenti a catena. Le manipolazioni genetiche aprono la strada verso importanti traguardi, ma anche verso possibili catastrofi biologiche. Il sistema che tiene insieme gli esseri viventi è quanto mai complesso e vulnerabile. "Quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità". Uso rispettoso della natura 1141 Il compito di prendere possesso e governare, affidatoci dal Creatore, non giustifica la prassi aggressiva e spoliatrice. Dio non ci ha consegnato una materia informe, ma un mondo già buono e bello: ben sette volte lo ripete il ritornello nel primo racconto della creazione. ( Gen 1,1-2,4a ) La natura certo non è divina e intangibile; è soltanto un'opera di Dio, ma è un'opera armoniosa, frutto della sapienza creatrice e ordinatrice. Il lavoro dell'uomo dovrà essere ordinatore, a somiglianza di quello di Dio; dovrà sviluppare il senso già posto in esso da Dio. Analogo è il messaggio del secondo racconto della creazione. ( Gen 2,15-20 ) Dio affida all'uomo il giardino perché lo custodisca e lo coltivi e imponga il nome a ogni cosa, cioè le dia un ordine ulteriore. ( Gen 2,15-20 ) Ma gli proibisce di mangiare il frutto "dell'albero della conoscenza del bene e del male" ( Gen 2,17 ), ossia di usare in maniera arbitraria il suo potere. L'uomo è chiamato a perfezionare la natura. Purtroppo con il peccato vi introduce il disordine, la "schiavitù della corruzione" ( Rm 8,21 ). "Si giura, si mentisce, si uccide, si ruba … Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue insieme con gli animali della terra e con gli uccelli del cielo; perfino i pesci del mare periranno" ( Os 4,2-3 ). Invece di edificare una degna dimora, si rischia di rendere la terra inabitabile. In virtù della redenzione l'uomo ritrova l'armonia con la natura. "Infine in noi sarà infuso uno spirito dall'alto; allora il deserto diventerà un giardino … e la giustizia regnerà nel giardino. Effetto della giustizia sarà la pace … Il mio popolo abiterà in una dimora di pace" ( Is 32,15-18 ). Il cristiano è chiamato a testimoniare, con il suo impegno ecologico, la speranza che il mondo creato, in un modo che a noi sfugge, entrerà "nella libertà della gloria dei figli di Dio" ( Rm 8,21 ). 1142 Dobbiamo accogliere tutte le creature "come se al presente uscissero dalle mani di Dio". Non si tratta di una materia amorfa o di un nudo fatto obiettivo, ma di un ordine e un disegno da interpretare, di un linguaggio da ascoltare e capire, di una verità e bellezza da contemplare. La manomissione arbitraria è di "una povertà o meschinità dello sguardo dell'uomo, animato dal desiderio di possedere le cose anziché di riferirle alla verità, e privo di quell'atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l'essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create". Di conseguenza l'uso deve essere rispettoso e deve tener conto sia della originalità di ogni creatura sia della mutua connessione in un sistema ordinato. Possiamo finalizzare le cose a nostro vantaggio, ma sviluppando e perfezionando una finalità già data. Dobbiamo inoltre considerare il bene delle future generazioni e non solo della nostra. Tutti siamo responsabili dell'ambiente. Una grande quantità di consumi non comporta automaticamente una migliore qualità della vita. Occorre ripensare il nostro modello di sviluppo; sicuramente è bene darsi uno stile di vita sobrio, che ci consenta di governare la natura senza tiranneggiarla, unendo, sull'esempio di san Benedetto e di san Francesco, l'operosità alla contemplazione. La fedeltà alla vocazione integrale dell'uomo, alla comunione, al lavoro e al riposo è garanzia per la dignità della persona e per la salvaguardia della natura 1143 Il lavoro umano, essendo una cooperazione all'azione creatrice e ordinatrice di Dio, non deve distruggere ma sviluppare l'ordine posto dalla divina Sapienza nel mondo creato. La natura può e deve essere utilizzata a scopi umani, ma deve anche essere contemplata e rispettata: allora essa diventa davvero "una dimora di pace" ( Is 32,18 ). Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi Valori e limiti, progressi e ambiguità accompagnano la moderna civiltà del lavoro e dello sviluppo economico. Nessun problema, tuttavia, potrà essere adeguatamente risolto senza lo sforzo incessante di mettere l'uomo, in tutta la sua dignità e verità, al centro di ogni progetto. È necessario da parte di tutti prendere sempre più coscienza della priorità dell'etica sulla tecnica, del primato delle persone sulle cose, della superiorità dello spirito sulla materia. Coerenza della fede e speranza cristiana aprono alla laboriosità, alla solidarietà, all'uso responsabile delle cose. - Qual è il significato e il valore del lavoro? Qual è il senso del riposo? - Come sono considerati e vissuti nel nostro ambiente il lavoro e il riposo? Quali sono i principali problemi che essi pongono alla fede e alla testimonianza cristiana? - Davanti ai problemi del lavoro, dell'occupazione e dello sviluppo economico, come formare a un'autentica coscienza cristiana e a un coerente impegno? Ascoltare e meditare la Parola Uno della folla gli disse: "Maestro, dì a mio fratello che divida con me l'eredità". Ma egli rispose: "O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?". E disse loro: "Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni". Disse poi una parabola: "La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio". ( Lc 12,13-21 ) Si può leggere anche: ( Is 32,15-20 ) Lavoro, giustizia, pace e armonia con la natura. ( Ger 22,13-17 ) Guai a chi sfrutta e opprime i lavoratori! ( Mt 6,25-34 ) Non affannatevi per il domani. ( Gc 5,1-5 ) La ricchezza marcisce; è sopruso e inganno. Dio voleva unire gli uomini tra loro. Perciò fece le cose in modo tale che necessariamente il bene di uno è legato all'utilità per gli altri. È così che il mondo è unito. Pensiamo ai mestieri. Se ognuno di essi fosse destinato solo al bene di chi lo esercita, la vita non potrebbe continuare e quel mestiere stesso scomparirebbe. Se per esempio un contadino seminasse appena il grano che basta a lui, sarebbe la morte degli altri e quindi anche sua. Se un fabbro non volesse mettere al servizio del prossimo la sua abilità, rovinerebbe tutti gli altri mestieri e quindi anche il proprio. Se un fornaio o un pellettiere si rifiutassero di far circolare i frutti del loro lavoro, danneggerebbero non solo gli altri, ma, danneggiando gli altri, anche se stessi. Insomma, se tutta questa gente semplice imitasse i ricchi oziosi, che negano ciò che possiedono a coloro che ne hanno bisogno, si procurerebbe gravi sventure. Dare e ricevere: ecco il principio della moltiplicazione dei beni. Esso vale nell'agricoltura, nell'insegnamento, in qualsiasi mestiere. Chi volesse essere il solo a godere del proprio lavoro distruggerebbe la vita di tutti. ( San Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima Lettera ai Corinti, 25,4 ) Pregare e celebrare Il poco del giusto è cosa migliore dell'abbondanza degli empi; perché le braccia degli empi saranno spezzate, ma il Signore è il sostegno dei giusti. Conosce il Signore la vita dei buoni, la loro eredità durerà per sempre. Non saranno confusi nel tempo della sventura e nei giorni della fame saranno saziati. Poiché gli empi periranno, i nemici del Signore appassiranno come lo splendore dei prati, tutti come fumo svaniranno. Il Signore fa sicuri i passi dell'uomo e segue con amore il suo cammino. Se cade, non rimane a terra, perché il Signore lo tiene per mano. ( Sal 37,16-20.23-24 ) O Padre, che chiami gli uomini a cooperare, mediante il lavoro quotidiano, al disegno immenso della tua creazione, fa' che nello sforzo comune di costruire un mondo più giusto e fraterno ogni uomo trovi un posto conveniente alla sua dignità, per attuare la propria vocazione e contribuire al progresso di tutti. ( Messale Romano, Colletta della Messa per la santificazione del lavoro ) Professare la fede - Il lavoro è un bene dell'uomo, mediante il quale egli trasforma la natura e realizza se stesso, partecipando all'opera della creazione e della redenzione, in unione con Cristo. - L'uomo è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economica e sociale: i beni creati da Dio per tutti devono giungere a tutti, secondo giustizia, mediante la carità. - Il dominio che il Creatore ha accordato all'uomo sulle risorse dell'universo non può essere disgiunto dal rispetto degli obblighi morali verso gli altri uomini e le generazioni future. Capitolo 30 Comunicazione e cultura La carità… si compiace della verità. ( 1 Cor 13,4-6 ) 1144 Al di là dei rapporti economici, gli uomini s'incontrano attraverso la comunicazione dei loro mondi interiori. I cristiani, consapevoli di dover manifestare la verità nella carità, danno il loro contributo per creare una cultura ricca di valori, che faccia crescere l'uomo. Avvertono l'urgenza di una presenza incisiva negli ambiti principali della cultura. A tutti i livelli della convivenza cercano di sviluppare uno spirito di comunione e di pace. Fedeli alla verità e all'uomo Dinamismo della comunicazione 1145 Oltre lo scambio dei beni materiali e dei servizi utili, che costituisce l'ambito del lavoro e dell'economia, gli uomini attuano lo scambio linguistico-simbolico, con cui si comunicano beni spirituali, cioè conoscenze, valori, affetti, capacità operative, e si danno un patrimonio culturale comune. Le due dinamiche di scambio si compenetrano tra loro e attraversano tutte le formazioni sociali, dalla famiglia alla comunità internazionale. Inserite attivamente in questo processo, le persone sviluppano la loro identità, in base a quello che vedono, odono, dicono e condividono. Oggi la comunicazione si infittisce, si estende e si fa sempre più rapida. Siamo immersi in un universo di parole e di immagini. Le nuove tecnologie consentono di accumulare, elaborare, diffondere e utilizzare con facilità un'enorme quantità di dati, riducendo in larga misura la fatica intellettuale e fisica. Eppure rimane la difficoltà di intendersi e di convivere; forse cresce la solitudine. Perché questa situazione paradossale? Come può essere risanata? Uso strumentale della comunicazione 1146 Si tratta di una malattia che ha radici antiche, anche se oggi si manifesta in forme inedite e complesse. Secondo il racconto biblico della torre di Babele, gli uomini, mossi da desiderio di potere, perseguono l'unità politica, economica, culturale e religiosa: un'unità monolitica, contraria alla volontà di Dio e alla dignità dell'uomo, che esigono invece il rispetto dell'originalità e della diversità delle persone e dei popoli. Il progetto fallisce nella confusione e nella discordia. La comunicazione non riesce quando è finalizzata al dominio, anziché alla comunione. ( Gen 11,1-9 ) A una conclusione analoga ci porta l'esortazione della Lettera di Giacomo nel Nuovo Testamento. Secondo questo testo, l'ambizione egoistica si infiltra come un veleno perfino nella comunicazione religiosa e provoca disordine, contesa, amarezza. Si parla di Dio in modo aggressivo; si pretende di lodarlo, offendendo il prossimo. Assurda contraddizione, come volere "far sgorgare dallo stesso getto acqua dolce e amara" ( Gc 3,11 ). L'inautenticità sembra dunque derivare da un uso strumentale dell'informazione. Si comunica non per incontrare gli altri, ma per prevalere su di loro, per conquistarli. Ciò induce diffidenza e bisogno di difesa. Di qui le tensioni nei rapporti interpersonali e sociali, le ambiguità, le divisioni. Numerosi disordini, più o meno gravi, sfigurano la comunicazione umana: incapacità di ascoltare e di parlare, diffusione di errori e falsi valori, menzogna, inganno, calunnia, maldicenza, violazione del segreto. La comunicazione risanata 1147 Il Cristo redentore viene a guarire l'uomo anche in questa sua dimensione fondamentale. La grazia di Pentecoste risana la confusione di Babele. Il fuoco dello Spirito scende in figura di lingue, simbolo della comunicazione umana: "Apparvero loro lingue come di fuoco" ( At 2,3 ). I discepoli parlano e sono compresi in lingue diverse; comunicano "la verità nella carità" ( Ef 4,15 ), nel rispetto delle persone e delle culture. Non è la volontà di potenza dell'uomo, ma il dono di Dio a edificare la genuina unità, che mantiene, anzi valorizza il pluralismo. I cristiani sono consapevoli di appartenere l'uno all'altro, come membra dello stesso corpo; perciò sono portati dalla carità a evitare i peccati che avvelenano la vita sociale: ingiuria, maldicenza, menzogna. ( Ef 4,25; Col 3,9-10 ) Non impongono neppure la verità, ma la propongono, rispettando pienamente la libertà di coscienza: "La sapienza che viene dall'alto è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti" ( Gc 3,17 ). Nei rapporti con i non cristiani devono essere sempre pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della loro speranza, ma "con dolcezza e rispetto" ( 1 Pt 3,15 ). Devono anzi essere disponibili ad accogliere i valori culturali degli altri, nella misura in cui sono autentici, a farsi "tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno" ( 1 Cor 9,22 ). Reciprocità della comunicazione 1148 Ogni persona è un mistero da rispettare. Deve essere accostata con gradualità, umiltà e pazienza, in modo da ispirare fiducia. Il dialogo deve essere benevolo e attento a ciò che l'altro sta vivendo, in modo da incoraggiarlo a rispondere attivamente, per crescere insieme nella verità e nel bene. La comunicazione è dono e accoglienza; si può dire riuscita solo quando è reciproca. Anche in questo Gesù è modello esemplare. All'annuncio aperto del regno di Dio, che sta venendo mediante la sua persona e la sua prassi, egli aggiunge il dialogo, in cui fa appello alla razionalità delle persone, a quello che già credono, per aiutarli a crescere nella verità. Le stesse parabole, così caratteristiche del suo insegnamento, si presentano come un racconto e un'argomentazione nello stesso tempo, per far leva sull'esperienza degli interlocutori e sgombrare il campo dai pregiudizi. Veracità 1149 La veracità cristiana è contemporaneamente fedeltà alla dignità dell'uomo e alla verità. Il significato originario dell'ottavo comandamento si limita a proibire la falsa testimonianza contro il prossimo in tribunale; ( Es 20,16 ) ma altri testi biblici estendono il divieto a qualsiasi frode che possa recar danno; anzi arrivano a riprovare la menzogna in genere, in quanto corrode l'affidabilità delle relazioni umane: ( Lv 19,11; Sal 4,3; Sir 7,12-13; Ger 9,2-7 ) "Sia il vostro parlare sì, sì; no, no" ( Mt 5,37 ); "Il vostro "sì" sia sì, e il vostro "no" no" ( Gc 5,12 ). La veracità è anche fedeltà a se stessi, alla propria identità. Ognuno è chiamato a cercare, accogliere e praticare la verità. La libertà è per la verità, resistendo alla eventuale pressione contraria degli istinti e dell'ambiente sociale. Quando si tratta di testimoniare valori decisivi, come la fede in Dio, la coerenza deve essere mantenuta fino al martirio. ( Mt 10,32-33 ) Il cristianesimo religione della comunicazione 1150 La comunicazione, intesa in termini generali, si riferisce a molti ambiti di esperienza personale e sociale. Nell'ottica cristiana si può estendere fino a diventare una chiave di lettura per tutta la realtà. Gesù Cristo è il Verbo incarnato, l'autocomunicazione personale di Dio, umile e splendida allo stesso tempo. ( Gv 1,14.17-18; 1 Gv 1,1-3 ) Tutta la sua esistenza è una parola di amore, che Dio rivolge agli uomini. Non solo il suo insegnamento orale, ma anche i gesti e gli avvenimenti, specialmente la morte e la risurrezione, sono parole rivolte a noi.Dal principio alla fine la storia della salvezza è comunicazione: "Dio che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio" ( Eb 1,1-2 ). La Chiesa è parola vissuta e trasmessa, tradizione vivente. Il mondo creato esiste in virtù della parola di Dio; ( Gv 1,3 ) è un discorso che Dio sta facendo, una rete di relazioni, dove ogni cosa rimanda a qualcos'altro. Dio stesso, uno in tre persone, è nella sua intimità comunicazione perfetta ed eterna. L'uomo fatto a immagine di Dio nasce e si sviluppa dentro un'incessante comunicazione, che costituisce la società e la storia. Per lui vivere è comunicare: con la parola e con il silenzio, con i gesti e con i modi di vestire, perfino con l'indifferenza e con il rifiuto. Quando commette il peccato, comunica ancora, sebbene in modo disordinato e inautentico. Quando invece dialoga con Dio e con gli altri nella verità e nell'amore, attua una comunicazione che lo fa crescere come persona. L'interpretazione globale della realtà come comunicazione è molto significativa nella nostra epoca, caratterizzata dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione sociale e dalla rivoluzione informatica. Lo sarà ancor più in un futuro non lontano, intessuto di relazioni sempre più frequenti, rapide, estese. 1151 La comunicazione è un processo con cui le persone e le comunità si scambiano i beni spirituali. È autentica se rispetta la verità e promuove la dignità dell'uomo. Promotori di cultura Persona e cultura 1152 Nel dinamismo della comunicazione umana si forma e si trasmette la cultura. Le persone contribuiscono a crearla con le loro decisioni e ne sono condizionate nell'esercizio della loro libertà. La cultura è il loro ambiente storico, un bene importante come la salute fisica, la sicurezza affettiva, l'autosufficienza economica. Promuovere una cultura ricca di valori è promuovere l'uomo. Il cristiano è mosso dalla carità a servire la persona e la società attraverso la creazione e la trasmissione della cultura. L'attività culturale 1153 L'uomo non ha istinti innati e sicuri come gli animali. Impara a vivere, assimilando ed elaborando l'eredità che riceve dalle generazioni passate e l'apporto dei suoi contemporanei, inserendosi attivamente in un processo di comunicazione interpersonale e sociale. Attività culturale è l'inesauribile impegno, individuale e collettivo, con cui gli uomini coltivano se stessi, cioè "cercano di migliorare le proprie condizioni di vita". Essi sviluppano le proprie conoscenze e capacità operative, mentre trasformano la natura, organizzano la convivenza sociale, interpretano la realtà ed esprimono le loro esperienze spirituali. La cultura oggettiva 1154 In un gruppo umano molti soggetti che parlano creano a poco a poco una lingua. Così, più globalmente, molti soggetti che comunicano e cooperano creano una cultura, cioè un insieme organico di significati e di forme, un loro "modo di fare uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la religione e di formare costumi, di fare le leggi e creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello", un loro stile di vita e una loro scala di valori. La cultura è un sistema di elementi in relazione tra loro e in continua evoluzione storica: elementi interpretativi come la lingua, la letteratura, l'arte, lo spettacolo, la scienza, la filosofia, l'etica, la religione; elementi sociali come i costumi, le leggi, le istituzioni; elementi operativi come la tecnica, l'economia, i manufatti. Vi si incarnano il senso generale della vita e le esperienze fondamentali della famiglia, dell'amicizia, della convivenza, del lavoro, della bellezza, della sofferenza, della morte e della divinità. Ogni popolo vi trova la sua identità, la sua anima collettiva, il suo patrimonio prezioso accumulato di generazione in generazione. Le culture sono molte e questa varietà è voluta da Dio, come un riflesso della sua multiforme sapienza. ( Gen 1,28; Gen 10,32; Gen 11,8-9; At 17,26 ) I tentativi di colonizzazione forzata sono contrari alla dignità delle persone e dei popoli. Le minoranze culturali hanno diritto a speciale rispetto e sostegno. Tuttavia le culture devono mantenersi aperte e integrarsi liberamente tra loro, attivando uno scambio e un dialogo incessante. Fede e cultura 1155 Una cultura consapevole dei suoi limiti e disponibile alla ricerca non solo è feconda, ma anche adatta a ricevere il vangelo. Viceversa una cultura chiusa nella propria autosufficienza rende più difficile l'adesione a Cristo, a prescindere dal fatto che sia di qualità rozza o raffinata. L'evangelizzazione, da parte sua, se vuole essere efficace, deve inserirsi nella cultura e negli interessi vitali di ogni popolo, ovviamente senza tradire la verità del messaggio cristiano. "L'evangelizzazione perde molto della sua forza e della sua efficacia se non tiene in considerazione il popolo concreto al quale si rivolge, se non utilizza la sua lingua, i suoi segni e simboli, se non risponde ai problemi da esso posti, se non interessa la sua vita reale. Ma d'altra parte l'evangelizzazione rischia di perdere la propria anima e di svanire, se il suo contenuto resta svuotato o snaturato col pretesto di tradurlo". Penetrando in un determinato mondo culturale, il vangelo lo trasforma profondamente dall'interno, valorizza gli elementi positivi e contesta quelli negativi. Evangelizzare significa "portare la buona novella in tutti gli strati dell'umanità e … rendere nuova l'umanità stessa …, raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d'interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell'umanità, che sono in contrasto con la parola di Dio e con il disegno della salvezza". "Indipendenti di fronte alle culture, il vangelo e l'evangelizzazione non sono necessariamente incompatibili con esse, ma capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna". 1156 Dio comunica con l'uomo in modo umano secondo una dinamica di incarnazione, il divino si esprime nell'umano e l'umano viene assunto nel divino. La parola di Dio non si confonde con la cultura; ma neppure si separa da essa. Sempre viene a noi, inserita in qualche forma culturale, e si trasmette da una cultura all'altra attraverso un processo di donazione e di accoglienza, di purificazione e di rinnovamento, esplicitando sempre più la sua inesauribile ricchezza di significato e di vita. "Solo all'interno e tramite la cultura la fede cristiana diventa storica e creatrice di storia", rielaborando il patrimonio precedente, sviluppando idee e opere nuove. L'unica fede si incarna in culture diverse. E queste in varia misura possono dirsi cristiane. Al loro interno assumono forme peculiari anche le espressioni più direttamente ecclesiali: formulazioni dottrinali, scelte pastorali, riti liturgici e devozioni popolari. Nel mondo occidentale contemporaneo l'eredità culturale della modernità convive con la nuova mentalità postmoderna, caratterizzata dal disorientamento riguardo alla verità e ai valori, dalla diffidenza per le teorie e i progetti totalizzanti, dal ripiegamento sulle esperienze frammentarie, individuali, provvisorie. In tale contesto l'evangelizzazione esige molteplici attenzioni: liberarsi da rappresentazioni e comportamenti legati a epoche passate, accogliere, contestandone però le interpretazioni ambigue e unilaterali, i valori della modernità, che del resto hanno radici cristiane, come i diritti dell'uomo, la pari dignità della donna, la giusta autonomia delle realtà terrene; tenere desto il dialogo sul mistero dell'uomo e sulla necessità di ancorare la libertà alla verità; proporre la verità di Cristo, che coincide con la carità, mediante l'esperienza vissuta dell'amore reciproco e dell'amore preferenziale ai poveri, perché la sua bellezza desti meraviglia e dia significato ad ogni dimensione della vita; sviluppare una solida identità cristiana, aperta però a dialogare con tutti, a dare e a ricevere, a rinnovarsi incessantemente; favorire lo scambio tra le culture, aprendole ai valori universali, in modo che si possa formare una cultura planetaria, in cui le singole identità culturali siano rispettate e valorizzate. Assumendo tali atteggiamenti, i cristiani testimoniano che i beni dell'uomo hanno il loro ultimo fondamento in cristo e che "tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui … e tutte sussistono in lui" ( Col 1,16-17 ). 1157 La cultura è un bene fondamentale, necessario alla vita e alla crescita dell'uomo, un patrimonio comune dal quale ogni persona attinge e al quale porta il suo contributo. Ogni cultura è chiamata ad aprirsi al dialogo interculturale e all'incontro con il vangelo. Presenti nei luoghi privilegiati della cultura Presenza coerente e competente 1158 I cristiani, e particolarmente i fedeli laici, sono chiamati ad essere presenti, con competenza, coerenza e creatività, dove si elabora e si trasmette principalmente il patrimonio culturale, cioè nella ricerca scientifica e tecnica, nell'arte, nella scuola, nelle comunicazioni sociali. Dispiegando la multiforme fecondità della fede, potranno testimoniare in modo credibile che la salvezza è già operante nella storia. nella scienza 1159 Alla scienza i credenti riconoscono dignità e consistenza proprie. Chi con umiltà e rigore metodologico si sforza di esplorare i segreti della realtà, anche se non se ne rende conto, "viene condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono". Le conquiste dell'intelligenza umana "sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile disegno". Le osservazioni e scoperte obiettive non sono mai in contrasto con la dottrina della fede. I conflitti nascono quando i credenti confondono una certa cultura del passato con la fede o quando gli scienziati assolutizzano il metodo scientifico come unico approccio valido alla realtà ed elaborano visioni generali del mondo riduttive e distorte: non la scienza è incompatibile con la fede, ma l'idolatria della scienza. Infine bisogna aggiungere che la ricerca scientifica e più ancora le sue applicazioni tecnologiche devono essere finalizzate a obiettivi degni dell'uomo e non trasformarsi in strumenti di manipolazione e di oppressione. Il potere conferito dalla scienza esige grande senso di responsabilità: non tutto ciò che è tecnicamente fattibile lo è anche eticamente. nell'arte 1160 Il linguaggio simbolico dell'arte è particolarmente idoneo a esprimere il mistero dell'uomo e il mistero di Dio. Sulla scia di una gloriosa tradizione, non può non attirare l'attenzione dei cristiani. L'autentica opera d'arte è lode di Dio e dono prezioso per la comunità, anche a prescindere dalle ulteriori valenze educative e religiose che spesso possiede. Il suo contenuto è il mondo interiore delle intuizioni e dei sentimenti, trasfigurato da un certo distacco contemplativo e oggettivato in una forma adatta a renderlo condivisibile, perché altri lo contemplino con gioia. Occorre invece vigilare nei confronti di quanto, per fini spesso puramente commerciali, si vuol far passare come prodotto artistico senza che lo sia, costituendo al contrario minaccia ai valori morali, stimolo alla violenza, pornografia. Il cristiano non si limita a resistere a tali suggestioni, ma si adopera perché la società riconosca un minimo di valori comuni e li difenda con una disciplina ragionevole e ferma. nella scuola 1161 Nella scuola i cristiani si mettono a servizio della crescita integrale dell'uomo. Hanno cura che questa istituzione, deputata alla elaborazione e trasmissione critica della cultura, non dia soltanto nozioni e strumenti operativi, ma anche ragioni per vivere e valori di riferimento per la libertà. Promuovono un sincero dialogo educativo, in cui l'educatore, con attenzione piena di simpatia, valorizzi le energie interiori degli alunni, faccia emergere le domande, prospetti nuovi orizzonti, si lasci egli stesso educare. Con San Giovanni Bosco sono persuasi "che l'educazione è cosa del cuore e che Dio solo ne è il padrone". Sul piano istituzionale i cristiani si adoperano per favorire l'autonomia di ogni comunità scolastica e in particolare per promuovere il diritto delle famiglie a scegliere liberamente la scuola desiderata, senza discriminazioni e senza ulteriori oneri. L'educazione dei figli è diritto-dovere dei genitori. Le altre istituzioni e formazioni sociali hanno al riguardo soltanto funzione di sostegno, integrazione e controllo. Del resto una pluralità di scuole è un vantaggio per tutta la società: evita l'appiattimento culturale e consente di verificare la fecondità delle varie proposte formative. negli strumenti della comunicazione sociale 1162 Per quanto riguarda le comunicazioni sociali, i cristiani e le comunità ecclesiali devono innanzitutto essere consapevoli del loro potere, in bene e in male. Stampa, cinema, radio, televisione e altri mezzi audiovisivi ormai non sono più semplici strumenti, ma un ambiente nel quale siamo immersi. Tecnicamente sempre più perfetti, mettono a disposizione una prodigiosa quantità di informazioni, avvicinano persone e popoli quasi fossero un unico villaggio, attivano una continua e rapida trasformazione culturale. Danno ai comunicatori l'immenso potere di condizionare milioni e milioni di recettori e di formare quel fenomeno complesso che è l'opinione pubblica, capace, a prescindere dalla sua fondatezza, di influire pesantemente sulle opinioni individuali. In tale contesto si insinua facilmente la tentazione di conquistare il consenso della gente e di manipolarlo secondo i propri obiettivi. Anziché far maturare convinzioni razionalmente motivate, si fa leva sugli istinti e sulle emozioni per imporre opinioni e comportamenti. Notizie, persone e modelli di vita si riducono a prodotti da vendere e strumenti di potere. Va in primo piano ciò che eccita e impressiona, non ciò che ha valore. L'informazione indulge all'effimero, al sensazionale, allo scandalistico. Pubblicità e propaganda invadono e ingombrano con le loro ambigue suggestioni gli spazi della vita. La coerenza cristiana esige che i comunicatori esercitino la loro professione secondo una logica di servizio alla gente e al suo diritto alla verità. Hanno il dovere di non tacere e non deformare i fatti e di evidenziare il punto di vista in base al quale esprimono le loro valutazioni, necessariamente parziali. Non devono rinunciare, per amore del quieto vivere, a esercitare una funzione critica, secondo la loro coscienza. D'altra parte i recettori dovrebbero assumere un atteggiamento vigile di discernimento, pronti anche a far sentire la loro voce attraverso i canali opportuni. Al potere politico spetta il compito di sostenere la libertà effettiva dei cittadini e dei gruppi sociali in campo culturale. Esso deve tutelare il pluralismo dell'informazione, perché l'opinione pubblica possa formarsi liberamente e documentarsi. Occorre evitare che ristrette oligarchie si spartiscano le agenzie di produzione e di distribuzione; semmai bisogna privilegiare i soggetti sociali senza scopo di lucro. La comunità cristiana trova nei mezzi di comunicazione uno strumento prezioso per l'evangelizzazione, per la comunicazione intraecclesiale, per la giusta risonanza da dare alle esperienze umanamente positive. Il giornalismo cattolico è chiamato a mettere la sua competenza professionale soprattutto a servizio dei testimoni e dei fatti significativi della vita. La "buona notizia" passa attraverso la diffusione della conoscenza del bene e attraverso la formazione di coscienze libere e responsabili. 1163 Il cristiano è consapevole di avere una speciale responsabilità negli ambiti deputati a elaborare e a trasmettere la cultura: scienza, arte, scuola, comunicazioni sociali. Una cultura di pace La comunione nelle dimensioni della vita 1164 "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate …" ( Gen 1,28 ): la benedizione originaria di Dio sul genere umano prospetta un cammino storico caratterizzato dai valori della famiglia e della socialità, del lavoro e della cultura. Il peccato sfigura queste dimensioni costitutive dell'uomo, introducendovi il desiderio sfrenato ed egoistico di emergere, possedere e godere; ne fa così un luogo di oppressione e di divisione. La grazia della redenzione riapre la via per attuare la vocazione terrena ed eterna. La riapre per tutti. Ma il cristiano, che aderisce consapevolmente al Salvatore nella comunità dei suoi discepoli e riceve il dono sacramentale dello Spirito Santo, è particolarmente abilitato a fare della vita familiare, sociale, economica e culturale un luogo di comunione e di pace. Pace nel suo significato biblico comporta integrità, pienezza, totalità di vita. Nasce dal rapporto ordinato con Dio, con il prossimo, con le cose e con noi stessi. Della pace del regno di Dio è frutto e figura quella della società. Giovanni XXIII la presenta come "un ordine fondato sulla verità, attuato secondo giustizia, vivificato e integrato dall'amore, ricomposto nella libertà in equilibri sempre nuovi e più umani". Come si vede, si tratta soprattutto di un fatto spirituale e culturale. Operatori di pace 1165 Il cristiano costruisce la pace a partire dal suo ambiente personale. Sceglie di non percorrere mai la via della violenza per affermare la verità e il bene: sa che non è lecito servirsi del male in vista di obiettivi positivi. Al più potrebbe essere costretto all'uso della forza per necessità di legittima difesa. Non fa ritorsioni per le offese subite; non solo perdona ogni singola volta, ma accetta gli altri così come sono, con il rischio di dover subire ulteriori danni dalla convivenza con loro. Educa se stesso e gli altri al rispetto del pluralismo religioso, culturale, sociale e politico. Assume un sobrio tenore di vita, per poter condividere i beni della terra. Fa il possibile per attivare il dialogo e la solidarietà a tutti i livelli, dai rapporti interpersonali ai complessi problemi internazionali dello sviluppo e del disarmo. "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio" ( Mt 5,9 ). I cristiani con impegno perseverante edificano la pace, come immagine, anticipo e profezia di quella del regno di Dio. Testimoni operosi e credibili di Cristo "nostra pace" ( Ef 2,14 ), gli consentono di manifestarsi come Salvatore presente nella storia fino a quando giungerà il compimento completo e definitivo. 1166 "La pace terrena, che nasce dall'amore del prossimo, è immagine ed effetto della pace di Cristo, che promana da Dio Padre" . Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione ha influito in modo profondo sul cambiamento culturale in atto. Se da una parte mai è stato così facile comunicare grazie agli strumenti tecnici a disposizione, dall'altra non mancano ambiguità e limiti, quali la fatica e spesso il venir meno di una comunicazione autenticamente umana, il rischio della strumentalizzazione, della mancanza di autenticità. Tutto è legato a un uso responsabile e competente dei mezzi di comunicazione e, soprattutto, alla consapevolezza del valore della comunicazione e della cultura, come via per una crescita personale e sociale. La fede cristiana è in se stessa, del resto, comunicazione e dialogo per una piena comunione: di Dio con gli uomini e degli uomini con Dio e tra di loro. - Cosa fare perché la fede cristiana si incarni nella cultura attuale, la purifichi e la sviluppi? - Quale rispetto esiste verso le culture diverse? Quale dialogo arricchente può essere promosso? - Come educare a un uso più responsabile e critico dei mezzi di comunicazione sociale? - Come la comunità cristiana può contribuire a sviluppare una cultura di dialogo e di pace? Ascoltare e meditare la Parola Non è per me un vanto predicare il vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il vangelo! … Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto giudeo con i giudei, per guadagnare i giudei; con coloro che sono sotto la legge sono diventato come uno che è sotto la legge, pur non essendo sotto la legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la legge. Con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza legge, pur non essendo senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo, per guadagnare coloro che sono senza legge. Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro. ( 1 Cor 9,16.19-23 ) Si può leggere anche: ( Pr 9,1-6 ) La casa della sapienza. ( Is 2,1-5 ) Il popolo di Dio fermento di pace su tutta la terra. ( Mc 7,31-37 ) La guarigione di un sordomuto: Gesù risana la comunicazione. ( Rm 1,16-17 ) Il vangelo trascende le differenze culturali. Fra il messaggio della salvezza e la cultura umana esistono molteplici rapporti. Dio infatti, rivelandosi al suo popolo, fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio incarnato, ha parlato secondo il tipo di cultura proprio delle diverse epoche storiche. Parimenti la Chiesa, vivendo nel corso dei secoli in condizioni diverse, si è servita delle differenti culture, per diffondere e spiegare il messaggio cristiano nella sua predicazione a tutte le genti, per studiarlo e approfondirlo, per meglio esprimerlo nella vita liturgica e nella vita della multiforme comunità dei fedeli … La buona novella di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura dell'uomo decaduto, combatte e rimuove gli errori e i mali, derivanti dalla sempre minacciosa seduzione del peccato. Continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli. on la ricchezza soprannaturale feconda come dall'interno, fortifica, completa e restaura in Cristo le qualità dello spirito e le doti di ciascun popolo. In tal modo la Chiesa, compiendo la sua missione, già con questo stesso fatto stimola e dà il suo contributo alla cultura umana e civile e, mediante la sua azione, anche liturgica, educa l'uomo alla libertà interiore. ( Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes 58 ) Pregare e celebrare Quale gioia, quando mi dissero: "Andremo alla casa del Signore". E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme! Gerusalemme è costruita come città salda e compatta. Là salgono insieme le tribù, le tribù del Signore, secondo la legge di Israele, per lodare il nome del Signore. Là sono posti i seggi del giudizio, i seggi della casa di Davide. Domandate pace per Gerusalemme: sia pace a coloro che ti amano, sia pace sulle tue mura, sicurezza nei tuoi baluardi. Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: "Su di te sia pace!". Per la casa del Signore nostro Dio chiederò per te il bene. ( Sal 122,1 ) Dio onnipotente ed eterno, luce dei credenti, riempi della tua gloria il mondo intero, e rivélati a tutti i popoli nello splendore della tua verità. ( Messale Romano, Colletta della II domenica dopo Natale ) Professare la fede - "Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo" ( Es 20,16 ): ogni uomo è tenuto ad essere verace, cioè ad esprimere il vero nelle parole e nelle azioni, a rifuggire da ogni forma di doppiezza, di simulazione, di ipocrisia. - Il vangelo si comunica attraverso la cultura e ogni cultura ha bisogno della grazia del vangelo per realizzare un servizio genuino all'uomo. I cristiani, particolarmente i fedeli laici, sono chiamati ad essere presenti, con competenza, coerenza e creatività, dove si elabora e si trasmette cultura, cioè nella ricerca scientifica e tecnica, nell'arte, nella scuola, nelle comunicazioni sociali. - La società ha il diritto a una informazione fondata sulla verità, sulla libertà, sulla giustizia; ciò richiede un uso saggio e competente dei mezzi di comunicazione sociale. Introduzione Sezione terza - E Dio sarà tutto in tutti 1167 Lungi dal ridursi a impegno etico o sociale, la vita cristiana è tutta protesa nella speranza verso il compimento ultimo della storia umana. La carità, che anima i figli di Dio, anela a compiersi nella perfetta comunione con le Persone divine. Mentre nella fatica di ogni giorno risana i vari ambiti dell'esistenza, prepara l'avvento del Regno, in cui troverà riposo e festa eterna. Nella storia della salvezza Dio si fa presente come Dio dell'alleanza e della promessa. Attraverso le meraviglie della creazione, dell'incarnazione redentrice e della santificazione, mira a unificare e pacificare in Cristo risorto con la potenza dello Spirito il mondo intero, per essere "tutto in tutti" ( 1 Cor 15,28 ). Solo il futuro di Dio illumina l'enigma del presente, intessuto di bene e di male, caratterizzandolo come tempo della preparazione e della prova. 1168 Schiere interminabili di uomini passano ogni giorno da questo mondo al Padre, come stormi di uccelli che migrano verso la terra del sole. Ma che cosa sappiamo noi della vita oltre la morte? Possiamo prefigurarla in qualche modo? ebbene al presente, nei doni di Dio, si possano già pregustare "le meraviglie del mondo futuro" ( Eb 6,5 ), la novità e la sorpresa saranno senza pari: "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano" ( 1 Cor 2,9 ). Come il bambino chiuso nell'utero materno non immagina il multiforme spettacolo che lo attende dopo la nascita, così noi non possiamo comprendere e descrivere la realtà ultima nelle sue modalità concrete. La divina rivelazione non intende soddisfare la curiosità, ma accendere il desiderio e orientare l'azione nella direzione giusta. Le analogie, i simboli e le immagini evocano la realtà senza pretendere di definirla, un po' come il sussurro della conchiglia ci porta l'eco del mare. L'amore di Dio accolto è vita eterna; l'amore di Dio rifiutato è perdizione eterna. L'eternità beata non sarà prolungamento indefinito dell'esistenza attuale, così povera e frammentaria, ma pienezza di vita, quale oggi possiamo solo presentire attraverso le esperienze più intense di meraviglia, di amore e di gioia. Sarà totale liberazione dai mali fisici, spirituali e sociali, perfetta armonia con Dio, con gli altri, con le cose e con se stessi. 1169 Caratterizzando come speranza operosa l'atteggiamento del cristiano, metteremo in evidenza il collegamento tra la storia e il compimento trascendente ( capitolo 31 ). Formuleremo poi con un linguaggio attento ai rapporti interpersonali la dottrina tradizionale sulle ultime realtà ( capitolo 32 ). Capitolo 31 La speranza operosa Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell'ospitalità. ( Rm 12,11-13 ) 1170 La speranza cristiana è rivolta al compimento definitivo, che si prepara nella storia e si realizza oltre la storia. Di qui il serio impegno per le realtà terrene, unito a un sereno distacco.Incontro al Signore che viene La salvezza come dono 1171 L'uomo è desiderio di vivere. Per attuare questo desiderio, il credente si appoggia a Dio. Attende la salvezza come dono, non come conquista. Mentre la cultura oggi dominante confida nel progresso quale risultato automatico di forze immanenti alla storia, il cristiano spera in un "avvento", che porti per grazia nuove possibilità di vita e recuperi ciò che è perduto. La sua posizione non è rinunciataria; spinge anzi all'impegno, come cooperazione con Dio. Speranze storiche 1172 La speranza biblica in epoca antica è rivolta a realtà storiche, frutto della benedizione divina e della libera risposta dell'uomo. Ad Abramo Dio promette una terra e una discendenza, purché si metta subito in cammino: "Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò" ( Gen 12,1-2 ). A Israele offre la liberazione dalla schiavitù, la protezione dai nemici, il benessere e una patria "dove scorre latte e miele" ( Es 3,8 ), insieme con una sua particolare vicinanza e predilezione; ( Es 19,4-6 ) ma gli chiede di conseguire questi doni partendo dall'Egitto e osservando la legge dell'alleanza. Più tardi, per mezzo dei profeti, apre prospettive ancora più grandiose: un nuovo esodo, una nuova Gerusalemme, un re giusto e saggio, la pace messianica per tutte le genti. Israele però deve convertirsi e praticare la giustizia. ( Is 11,1-16; Is 65,17-25 ) Speranza escatologica 1173 Con la letteratura sapienziale e apocalittica la speranza si estende anche ai morti: i giusti continuano a vivere nell'amicizia di Dio e nell'ultimo giorno risorgeranno con il corpo a nuova vita, mentre crollerà il vecchio mondo e dalle sue rovine ne germoglierà uno più bello. Intanto bisogna essere fedeli e perseveranti. ( Sap 3,1-9; Dn 12,2-3 ) Inaugurazione del Regno 1174 Gesù di Nàzaret porta la buona notizia che il regno di Dio e il mondo nuovo sono già inaugurati in lui e in quanti si convertono e credono, malgrado il vecchio mondo prosegua la sua vicenda. Si tratta di una nuova vicinanza di Dio mediante Gesù stesso, che dà inizio a un rinnovamento destinato a raggiungere la perfezione completa con la risurrezione nell'ultimo giorno. Viene chiesta una responsabile cooperazione, un'attesa laboriosa come quella dei servi fedeli che fanno fruttificare i talenti. ( Mt 25,14-30 ) La parusia 1175 La Chiesa delle origini crede che il Signore Gesù, morto e risorto, ha aperto una storia di salvezza universale, cosmica. ( 1 Cor 15,20-28 ) Il regno di Dio è impersonato in lui. Attendere il Regno significa attendere la "Parusia" del Signore. Con questa parola, usata comunemente per indicare la visita ufficiale di un sovrano in qualche città, i credenti designano la venuta pubblica e manifesta del Cristo glorioso. Non si tratta di un ritorno, quasi che adesso sia assente, ma del compimento e della manifestazione suprema di quella presenza che ha avuto inizio con la sua umile vicenda terrena e che continua oggi nascosta nel mistero dell'eucaristia, della Chiesa, della carità e dei poveri. La parusia è la meta della storia. Porterà la perfezione totale dell'uomo e del mondo. ( Rm 6,8-9; Rm 8,19-21; 2 Pt 3,13 ) Dio infatti ha voluto "ricapitolare in Cristo tutte le cose" ( Ef 1,10 ), "per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose" ( Col 1,20 ). La nostra risurrezione è prolungamento della sua. ( 1 Cor 15,20 ) Significativamente nei primi secoli le assemblee cristiane preferivano pregare rivolte a oriente, da dove sorgerà il sole che inaugurerà il giorno eterno. La stessa fede viene professata ai nostri giorni dal concilio Vaticano II: "Il Signore è il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia di tutti i cuori, la pienezza delle loro aspirazioni. Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Nel suo Spirito vivificati e coadunati, noi andiamo pellegrini incontro alla finale perfezione della storia umana". 1176 Per mezzo di Cristo l'umanità viene ricondotta "al Padre in un solo Spirito" ( Ef 2,18 ). Il Padre è origine prima e termine ultimo: crea, santifica, glorifica e attrae a sé attraverso il Figlio, che eternamente è rivolto a lui nello Spirito. Il suo disegno si attua in tutto il corso della storia: creazione, diffusione dei popoli, elezione di Israele, inaugurazione del regno in Cristo, espansione di esso mediante la Chiesa in mezzo alle nazioni della terra, fino a quando la parusia del Signore Gesù coronerà queste opere meravigliose in una grande pasqua cosmica. Allora la famiglia umana, dopo tanto faticoso peregrinare, entrerà nel riposo di Dio ( Eb 4,9-11 ) e Dio sarà "tutto in tutti" ( 1 Cor 15,28 ). La perfezione del regno di Dio non maturerà attraverso un progresso lineare ascendente, privo di crisi e di contrasti; non comporterà un trionfo storico della Chiesa. Verrà invece come vittoria definitiva di Dio sul male, che affligge il corso della storia fino all'ultimo giorno. I seguaci di Gesù dovranno entrare nella gloria sempre mediante la croce, come il loro Maestro. Le varie forme di millenarismo e di messianismo terreno sono contrarie all'insegnamento della Chiesa. La speranza messianica può essere attuata pienamente solo al di là della storia. Verso la meta definitiva si rivolge il desiderio del cristiano: "Marana tha: vieni, o Signore!" ( 1 Cor 16,22 ). Per lui vivere è prepararsi alla festa, è vegliare attivamente come le vergini della parabola evangelica, che tengono accese le lampade, utilizzando, nella lunga attesa, anche l'olio di riserva, per essere pronte a partecipare al corteo nuziale e poi al banchetto nella casa dello sposo. ( Mt 25,1-13 ) 1177 La presenza nel mondo del Figlio di Dio fatto uomo, inaugurata con l'incarnazione redentrice, culminerà con la parusia, la venuta gloriosa che porterà a compimento la storia in una pasqua cosmica, in cui i morti risusciteranno e il bene trionferà definitivamente sul male. I segni dei tempi Criteri per il discernimento 1178 Il mondo, distinto e dipendente da Dio, è storia protesa al compimento in lui. Quanto di buono cresce nella storia fiorisce nell'eternità. Tutto è prezioso, anche "un bicchiere di acqua fresca" ( Mt 10,42 ) dato con amore. In quanto preparazione e anticipo del Regno, la storia è il luogo dove agisce la Provvidenza divina e di questa azione è possibile discernere i segni indicatori: "Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?" ( Mt 16,2-3 ). I segni, ai quali Gesù fa riferimento, sono la sua stessa presenza, la sua predicazione e le sue opere. Ne preannuncia altri in un prossimo futuro: la rovina di Gerusalemme e la diffusione del vangelo attraverso la Chiesa. ( Mt 24,1-36 ) I segni pubblici e non ambigui si riducono in definitiva a uno solo: Cristo annunciato e testimoniato dalla Chiesa. In base a questo criterio occorre operare il discernimento riguardo a tutte le altre realtà storiche, per evitare di confondere i germi del Regno con le linee di tendenza prevalenti in una determinata epoca. Altrimenti il discorso sui segni dei tempi si ridurrebbe a un'ideologia, per giustificare l'adeguamento al mondo e benedire ogni presunto progresso. La Chiesa deve orientare la storia, non andarne a rimorchio. Insieme al grano cresce ancora la zizzania; ( Mt 13,24-30 ) Cristo combatte ancora contro le potenze ostili. ( 1 Cor 15,24-25 ) D'altra parte, se Dio creatore e redentore agisce nella storia e in lui "viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" ( At 17,28 ), bisogna ritenere che "tutto quello che è vero, nobile, giusto" ( Fil 4,8 ) deriva da lui e manifesta le ricchezze del mistero di Cristo. L'autenticità umana costituisce così un criterio sussidiario e subordinato, che integra il criterio principale. Procedendo secondo queste indicazioni, è possibile individuare i segni della Provvidenza nel nostro tempo. Il concilio Vaticano II considera tali il rinnovamento della liturgia, l'ecumenismo, il riconoscimento del diritto alla libertà di religione, il crescente senso di solidarietà tra tutti i popoli. Ovviamente se ne potrebbero addurre molti altri. Anticipo della salvezza 1179 Ciò che è dono della Provvidenza è anche frutto della libera cooperazione dell'uomo. Gli uomini contribuiscono a preparare il futuro e a disegnarne la figura: "L'attesa di una terra nuova non deve indebolire, ma piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell'umanità nuova, che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo". Se i contenuti tecnici, economici e politici del progresso appartengono alla figura di questo mondo che passa, invece i beni morali, in essi incorporati, sono destinati ad essere assunti e perfezionati: "Non sappiamo il modo con cui sarà trasformato l'universo"; ma resterà "la carità con i suoi frutti" e ritroveremo "purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati" i valori che avevamo diffuso nel mondo, "quali la dignità dell'uomo, la fraternità e la libertà". La speranza cristiana non fa concorrenza alle speranze terrene autentiche, anzi risveglia e mette a loro disposizione preziose energie. A chi cerca la salvezza eterna, i beni storici sono dati in aggiunta. ( Mt 6,33 ) 1180 I segni dei tempi sono i germi del regno di Dio che crescono nella storia, gli eventi in cui si manifesta la divina Provvidenza. "È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del vangelo". Impegno e distacco Serietà dell'impegno 1181 La salvezza nella storia e oltre la storia fonda l'originalità dell'atteggiamento cristiano nei riguardi delle realtà terrene. Innanzitutto si tratta di impegno serio. L'apostolo Paolo non approva che si trascurino le attività ordinarie, neppure quando immagina che la parusia del Signore sia imminente. Anzi, ne trae motivo per esortare ad essere più che mai operosi nel bene. ( 1 Ts 5,6; 2 Ts 3,6-15 ) I cristiani dei primi secoli sono fieri di essere presenti in tutti gli ambienti della società, con uno stile di vita peraltro assai diverso rispetto ai pagani: "vivono nella carne, ma non secondo la carne; dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo". La spiritualità della "fuga dal mondo" viene introdotta solo con la teologia di Origene e con il monachesimo. In ogni caso non implica indifferenza o disprezzo totale. Il concilio Vaticano II raccomanda di non sottovalutare i doveri terreni perché la fede "obbliga ancor di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno" e obbliga a compierli con coerenza: "Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna". Rispetto al non credente, il credente ha motivi più forti per impegnarsi. Non lavora per un'idea astratta, come la giustizia o il progresso, ma per Gesù Cristo, per essere insieme a lui operatore di liberazione e di salvezza per tutti. Lavora con la certezza che incontrare gli altri è già incontrare il Signore che viene, ( Mt 25,40.45 ) amarli è già passare dalla morte alla vita, ( 1 Gv 3,14 ) perdere la propria vita è in realtà acquistarla. ( Lc 9,24 ) L'impegno deve mirare a inserire nel tessuto delle relazioni umane un dinamismo orientato alla meta definitiva. In altre parole si tratta di affermare la centralità della persona, la libertà e la solidarietà, salvaguardando nello stesso tempo la legittima autonomia delle realtà terrene. Sereno distacco 1182 La trascendenza del Regno impedisce di adagiarsi sugli obiettivi raggiunti e stimola una riforma continua, un rinnovamento creativo incessante. Anzi, accanto alla serietà dell'impegno, esige un sereno distacco. "Il tempo ormai si è fatto breve; d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!" ( 1 Cor 7,29-31 ). La famiglia, il lavoro, la cultura, la politica sono importanti: nessuna indifferenza nei loro confronti. Ma non sono tutto: perciò il cristiano vi partecipa con misura e all'occorrenza sa anche tirarsi fuori. La partecipazione non significa assolutizzazione; la rinuncia non significa disprezzo. Dio dona questi beni come preparazione a un bene più grande, ma con la morte, e spesso anche prima, li toglie, perché vuol donare se stesso e attirare a sé il desiderio dell'uomo. Occorre rimanere sempre disponibili, non lasciarsi mai imprigionare da valori parziali: "Venga la grazia e passi questo mondo". L'impegno storico stesso cessa di essere autentico, quando assorbe tutte le energie: basti pensare come diventa totalitaria e pericolosa la politica elevata a messianismo. La speranza cristiana non perde di vista i limiti e la provvisorietà delle conquiste economiche, sociali, politiche e culturali. Accanto al lavoro promuove la festa, per contemplare e celebrare il significato supremo della vita. Conferisce valore all'azione, ma più ancora alla sofferenza, in cui la persona non solo mantiene la sua dignità, ma può crescere umanamente e fare dono di se stessa a Dio e ai fratelli. 1183 Sapendo di preparare il regno di Dio con il suo impegno storico, il cristiano agisce con grande serietà e nello stesso tempo con sereno distacco. "Affrettiamoci a compiere ogni opera buona. Imitiamo in ciò il Creatore e Signore di tutte le cose che gioisce delle sue opere" . Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi In una cultura dell'immediato e del progresso, spesso limitato a una dimensione solo materiale, la speranza sembra soffocata. In realtà nel cuore di ciascuno e nella società esistono, per lo più in modo implicito, attese e desideri di una realizzazione più alta. La fede è fermento di speranza per il mondo: ciascun cristiano è chiamato a renderne ragione. Cristo è in mezzo a noi: passato, presente e futuro prendono da lui luce. Uniti a lui nel mistero pasquale, siamo resi capaci di contribuire alla costruzione del nostro futuro, protesi verso la meta, sulla strada che conduce al Padre. - In quale misura sappiamo vivere le situazioni presenti aperti al futuro di Dio? - Come una comunità cristiana coltiva il senso dell'attesa e la celebra? - In quale modo la speranza cristiana può essere motivo di un maggior impegno nella realtà attuale? - Come testimoniare la speranza cristiana nel nostro ambiente? Ascoltare e meditare la Parola Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà esser rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza. ( Rm 8,18-25 ) Si può leggere anche: ( Mt 25,14-30 ) Parabola dei talenti: l'attesa deve essere operosa. ( 2 Ts 3,6-15 ) L'attesa del Signore e i doveri quotidiani. ( Tt 2,11-15 ) Zelanti nelle opere buone, aspettando la venuta del Signore. Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui, l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni. Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Nel suo Spirito vivificati e coadunati, noi andiamo pellegrini incontro alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno con il disegno del suo amore: "Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra" ( Ef 1,10 ). Dice il Signore stesso: "Ecco, io vengo presto, e porto con me il premio, per retribuire ciascuno secondo le opere sue. Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine" ( Ap 22,12-13 ). ( Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes 45 ) Si può leggere anche: Lettera a Diogneto, 5, 1 - 6, 1 Dimorare sulla terra e essere cittadini del cielo. Pregare e celebrare Signore, tu sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione. Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei, Dio. Tu fai ritornare l'uomo in polvere e dici: "Ritornate, figli dell'uomo". Ai tuoi occhi, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte. Li annienti: li sommergi nel sonno; sono come l'erba che germoglia al mattino: al mattino fiorisce, germoglia, alla sera è falciata e dissecca. Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore. Saziaci al mattino con la tua grazia: esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni. ( Sal 90,1-6.12-17) O Dio, creatore dell'universo che guidi a una meta di salvezza le vicende della storia, concedi all'umanità inquieta il dono della vera pace, perché possa riconoscere in una gioia senza ombre il segno della tua misericordia. ( Messale Romano, Colletta della Messa per la pace e la giustizia ) Professare la fede - "Noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova" ( 2 Pt 3,13 ): alla fine dei tempi, con la seconda venuta di Gesù, l'umanità e il mondo saranno trasformati. Sarà la realizzazione definitiva del disegno di Dio di "ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra" ( Ef 1,10 ). - "L'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell'umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo" ( Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes 39 ). - "Tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, quando il Cristo rimetterà al Padre il regno eterno e universale" ( Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes 39) . Capitolo 32 La vita del mondo che verrà La nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose. ( Fil 3,20-21 ) 1184 Da Dio Padre veniamo e a lui ritorniamo, al seguito di Cristo, sostenuti dalla grazia dello Spirito. Dio nel suo amore è giudizio, perché in rapporto a lui si definisce la nostra identità; è purificazione, perché egli completa la nostra conversione e ci rende degni di sé; è risurrezione, perché porta a perfezione l'uomo in tutte le sue dimensioni; è perdizione per chi lo rifiuta definitivamente; è paradiso, perché dona se stesso e ogni beatitudine. La sua promessa ci fa camminare saldi nella fede, come vedendo l'invisibile. Saper morire La morte nella nostra cultura 1185 Da sempre la morte è guardata con rispetto e timore, perché radicalmente contraria all'istinto di conservazione. Oggi, come fenomeno generale, è oggetto di attenzione e di curiosità; a volte la si banalizza, mostrandola crudamente per televisione. Si evita invece come un tabù il discorso sulla propria morte e quindi anche la domanda sul senso della propria vita. Come se non ci riguardasse da vicino! Quanto all'aldilà, circolano molti dubbi. Nel nostro paese numerose persone, pur credendo in Dio, dichiarano di non credere nella sopravvivenza, nella risurrezione, nel paradiso, nell'inferno. Ci si preoccupa più della sofferenza, che di solito precede la morte, che non delle realtà che vengono dopo di essa. Si considera addirittura preferibile una morte improvvisa, non consapevole. Invece il vero cristiano desidera innanzitutto rendere preziosa la propria morte. Apparente fallimento 1186 Ma ha un senso la morte, o meglio l'uomo che muore? All'apparenza sembrerebbe di no. L'uomo è tutto un desiderio di vivere e con tutto se stesso rifiuta la morte, ma essa si avvicina inesorabile. La caducità ci appartiene per natura. In un certo senso si comincia a morire quando si comincia a vivere, e si finisce di morire quando si finisce di vivere: le cellule dell'organismo si invecchiano, si perdono e non tutte vengono reintegrate; le esperienze personali si consumano in fretta. "L'uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l'ombra e mai si ferma" ( Gb 14,1-2 ). Prima o poi, improvvisa o preceduta da intensa sofferenza, arriva la morte. La persona sembra svanire nel nulla. Il desiderio insopprimibile di vivere sembra votato al fallimento. Di qui senso di smarrimento e di impotenza, angoscia. "Sono prigioniero senza scampo; si consumano i miei occhi nel patire" ( Sal 88,9-10 ). Conseguenza del peccato 1187 Anche se la caducità è naturale, la morte, vissuta come solitudine angosciosa e impotente, non rientra nel disegno della creazione: "Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi" ( Sap 1,13 ). Appartiene invece alla condizione storica dell'umanità peccatrice, alienata dalla originaria comunione con Dio: "il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte" ( Rm 5,12 ). Da qui derivano il suo carattere di violenza e di minaccia, il suo pungiglione velenoso. ( 1 Cor 15,26.56 ) La morte di Gesù 1188 Gesù, pur essendo senza peccato, ha preso su di sé la comune condizione umana. Ha provato "paura e angoscia" ( Mc 14,33 ), "con forti grida e lacrime" ( Eb 5,7 ). Ma si è abbandonato con fiducia alla volontà del Padre, ha offerto tutto se stesso per il bene degli uomini. Ha fatto del suo morire un atto personale pieno di senso. La risurrezione ha rivelato la fecondità della sua dedizione e ha dato solido fondamento alla speranza dei credenti. La sua testimonianza li provoca a seguirlo, fiduciosi nel Padre onnipotente e misericordioso, pieni di amore per i fratelli, pronti a credere nella vita fin dentro le tenebre della morte La morte del cristiano 1189 Il cristiano teme la morte come tutti gli uomini, come Gesù stesso. La fede non lo libera dalla condizione mortale. Tuttavia sa di non essere più solo. Obbediente all'ultima chiamata del Padre, associato a Cristo crocifisso e risorto, confortato dallo Spirito Santo, può vincere l'angoscia, a volte perfino cambiarla in gioia. Può esclamare con l'apostolo Paolo: "La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov'è, o morte, la tua vittoria?" ( 1 Cor 15,54-55 ). Allora la morte assume il significato di un supremo atto di fiducia nella vita e di amore a Dio e a tutti gli uomini.Il morente è una persona e il morire un atto personale, non solo un fatto biologico. Esige soprattutto una compagnia amica, il sostegno dell'altrui fede, speranza e carità. L'ambiente più idoneo per morire, come per nascere, è la famiglia, non l'ospedale o l'ospizio. 1190 Accettando liberamente la morte per attuare il disegno salvifico del Padre, Gesù ha fatto di essa l'atto supremo di amore al Padre e ai fratelli. Ai credenti dà la possibilità di condividere con fiducia la sua totale dedizione. La vita oltre la morte Alleanza con Dio e retribuzione ultraterrena 1191 Israele, in epoca antica, sperava da Dio benedizione e prosperità per la vita presente. Quanto all'aldilà, pensava, insieme ad altre culture arcaiche, che i morti sopravvivono in una triste condizione di debolezza e di isolamento, come ombre evanescenti: ( 1 Sam 28,15; Gb 3,17-19 ) "Non ci sarà né attività, né ragione, né scienza, né sapienza negli inferi, dove stai per andare" ( Qo 9,10 ). "Nel paese dell'oblio" ( Sal 88,13 ) il defunto non ha più rapporti con Dio e con il mondo; "soltanto i suoi dolori egli sente e piange sopra di sé" ( Gb 14,22 ). Più tardi la fede comincia a rischiarare anche la vita ultraterrena. Si fa strada la convinzione che l'alleanza con Dio si prolungherà dopo la morte, in modo da assicurare ai giusti una sorte felice, diversa da quella dei malvagi. "Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare. Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra" ( Sal 16,8-11 ). "Io sono con te sempre: tu mi hai preso per la mano destra. Mi guiderai con il tuo consiglio e poi mi accoglierai nella tua gloria. Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra. Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre. Ecco, perirà chi da te si allontana, tu distruggi chiunque ti è infedele. Il mio bene è stare vicino a Dio: nel Signore Dio ho posto il mio rifugio" ( Sal 73,23-28 ). C'è dunque un premio per i giusti e un castigo per gli empi già subito dopo la morte, anche se la retribuzione completa si avrà nel giorno dell'ultimo giudizio e della risurrezione. "La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono. Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace … Nel giorno del loro giudizio risplenderanno; come scintille nella stoppia, correranno qua e là. Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro" ( Sap 2,24-3,8 ). Comunione con Gesù e vita eterna 1192 Gesù, nella parabola del ricco cattivo e del povero Lazzaro come anche nella promessa al ladrone pentito, mostra di condividere la stessa concezione. ( Lc 16,19-31; Lc 23,43 ) La novità è il ruolo decisivo che riveste la sua persona. La comunione con lui è più forte della morte, si prolunga per l'eternità: "Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia" ( Gv 6,48-50 ); "In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte" ( Gv 8,51 ). Chi crede nel Figlio di Dio, già adesso possiede la vita eterna e nell'ultimo giorno riceverà la salvezza completa con la risurrezione. ( Gv 6,40.47 ) 1193 La Chiesa dei primi tempi vive questa gioiosa certezza. Stefano, mentre viene ucciso, esclama: "Signore Gesù, accogli il mio spirito" ( At 7,59 ). Paolo è ancora più esplicito: sia che viviamo, sia che moriamo, apparteniamo al Signore e viviamo insieme a lui; ( Rm 14,7-9; 1 Ts 5,10 ) sulla terra ci troviamo in esilio, perché non possiamo vederlo; ( 2 Cor 5,6-8 ) per noi è molto meglio morire, ( Fil 1,21-24 ) per "abitare presso il Signore" ( 2 Cor 5,8 ). La comunione con il Risorto, e attraverso di lui con il Padre, vince ogni ostacolo. ( Rm 8,35-39 ) Perfino i giusti delle passate generazioni vengono da lui raggiunti, portati alla perfezione e introdotti nel santuario celeste. ( Eb 9,8; Eb 10,1; Eb 11,39-40; Eb 12,23 ) la vita non è tolta 1194 Nel corso dei secoli, la Chiesa, con l'invocazione dei santi e il suffragio per i defunti, ha mostrato di credere che i morti vivono ancora e "la vita non è tolta, ma trasformata". Il magistero della Chiesa ha definito, con Benedetto XII nel 1336, la retribuzione immediata dopo la morte e, con il concilio Lateranense V nel 1513, la sopravvivenza di ogni singolo uomo. 1195 Possiamo concludere che dopo la morte sopravvive l'io personale, dotato di coscienza e di volontà. Se si vuole chiamarlo "anima", bisogna intendere questa parola alla maniera biblica. Esso perde il corpo, cioè l'insieme dei suoi rapporti sensibili con il mondo naturale e umano, ma continua a sussistere nella sua singolarità, in attesa di raggiungere la completa perfezione, al termine della storia, con la risurrezione. Se, come dicono i testimoni di Geova, la morte fosse un annientamento e la risurrezione una seconda creazione dal nulla, allora l'uomo risorto non sarebbe più identico all'uomo terreno: potrebbe magari essere una copia uguale in tutto, ma non sarebbe lo stesso uomo, lo stesso io personale irripetibile. Il soggetto umano percorre una vicenda lineare di partecipazione alla vita del Signore risorto. Comincia a risuscitare già adesso sulla terra con un'esistenza di fede e di carità: "Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli" ( 1 Gv 3,14 ). Al termine della sua vita terrena passa a un'esistenza ancora più alta, dando la sua adesione definitiva a Dio, senza più pericolo di perderlo. Infine, al termine della storia, la risurrezione si estenderà alla dimensione corporea e cosmica. 1196 Ogni singolo soggetto personale continua a vivere oltre la morte in una forma di esistenza, cosciente e libera, diversa da quella corporea e cosmica precedente. Tale soggetto può essere chiamato anima, secondo il significato che questa parola ha nella Bibbia. Il giudizio Il giudizio di Dio nella storia 1197 Il giudizio di Dio opera già adesso, nella storia delle persone e delle comunità, per promuovere il bene e liberare dal male. La Bibbia lo vede compiersi nei confronti dell'Egitto, di Israele, di Babilonia e delle nazioni pagane; poi, in modo decisivo, nella passione e risurrezione del Cristo: "Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori" ( Gv 12,31 ). Ogni incontro con il Signore ha carattere di giudizio, in quanto provoca l'uomo a decidersi per lui o contro di lui e a manifestare il segreto del proprio cuore. ( Lc 2,34-35 ) 1198 La giustizia di Dio, rivelata in Cristo, è diversa da quella degli uomini: vuole rendere giusto anche chi non lo è; offre a tutti la sua grazia, indipendentemente dai meriti, perché possano convertirsi. Ma la conversione deve avvenire, altrimenti ci si esclude dalla salvezza. ( Gv 12,46-48 ) L'amore rifiutato diventa condanna. "Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie" ( Gv 3,19 ). Il giudizio definitivo 1199 Il giudizio opera già in questo mondo, ma va verso un momento supremo: "Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male" ( 2 Cor 5,10 ). È il giudizio definitivo, che per le singole persone avviene al termine della vita terrena ( "giudizio particolare" ) e per il genere umano, nel suo insieme, al termine della storia ( "giudizio universale" ). La retribuzione personale al termine della vita 1200 La sopravvivenza dei defunti non è indifferenziata, ma felice per i giusti, triste per i malvagi. Lo indicano la parabola del ricco e del povero Lazzaro, ( Lc 16,19-31 ) le dichiarazioni dell'apostolo Paolo, ( 2 Cor 5,6-8; Fil 1,21-24 ) la promessa di Gesù al ladrone pentito: "Oggi sarai con me nel paradiso" ( Lc 23,43 ). Il magistero della Chiesa da parte sua insegna che subito dopo la morte i peccatori non convertiti "scendono all'inferno" e i giusti "salgono in cielo", a meno che non abbiano ancora bisogno di purificazione:retribuzione immediata dunque nell'incontro con Cristo giudice. Davanti a lui, finito il tempo della prova, si manifesta e si fissa per sempre l'atteggiamento di ciascuno nei confronti di Dio: o con lui o contro di lui. Cadono le maschere; viene alla luce, con il bene e il male compiuto, anche la più profonda identità di ogni persona. Giudizio di Dio e autogiudizio 1201 Solo nella comunione con Cristo la vita è autentica; su di lui si misura ciò che vale e ciò che non vale. Le cose terrene, cercate in modo disordinato e con tanta fatica, riveleranno la loro inconsistenza, come pula o fumo portati dal vento, come traccia lasciata da una nave sul mare o da una freccia nell'aria. ( Sap 5,4-14 ) I peccatori "mangeranno il frutto della loro condotta e si sazieranno dei risultati delle loro decisioni" ( Pr 1,31 ). "L'empio è preda delle sue iniquità, è catturato con le funi del suo peccato" ( Pr 5,22 ). "Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna" ( Gal 6,7-8 ). L'egoismo genera morte; la carità fa vivere. Il Signore, mentre causa direttamente la perfezione e la gioia di quelli che si salvano, causa solo indirettamente la rovina di quelli che si perdono, in quanto essi, rifiutando il suo amore, rifiutano la verità e la pienezza della vita. Cristianesimo e reincarnazione 1202 La vita terrena è breve e preziosa. Ci è concessa per maturare la scelta di Dio, una scelta definitiva, irreversibile. Si vive e si muore una sola volta ( Eb 9,27 ) e si decide un destino eterno. La reincarnazione, intesa come ripetizione e rimessa in questione dell'esistenza, è inconciliabile col cristianesimo; possono essere accettate solo le attese di sopravvivenza e di purificazione in essa contenute. Ma è la grazia di Dio che ci purifica, senza necessità di ricominciare da capo. L'uomo, consapevole dei suoi difetti, può morire ugualmente sereno, confidando che Dio lo purificherà e lo porterà a perfezione in Cristo. Purtroppo l'idea della reincarnazione seduce molti. In occidente essa si presenta come possibilità di progresso spirituale indefinito, mettendo a frutto le esperienze fatte in precedenti esistenze. Questa interpretazione contraddice la dottrina orientale originaria, che considera il ciclo delle rinascite un male, una dura necessità da cui liberarsi. D'altra parte essa appare senza fondamento. Dove sono i ricordi delle precedenti esistenze? Dove sono le esperienze acquisite? Come possiamo servircene, se neppure le ricordiamo? 1203 Dio è nostro giudice in quanto è la nostra vita e il nostro bene. Donandosi a noi nell'amore, ci provoca a scegliere: o con lui o contro di lui. La nostra scelta diventa irreversibile e si manifesta pienamente nell'ora della morte. Il purgatorio Purificazione dei defunti e suffragi 1204 Siamo chiamati a conformarci sempre più a Cristo, crescendo nella carità, orientando al bene tutte le nostre energie, purificandoci dai nostri peccati. Il tempo del pellegrinaggio terreno ci è dato perché, attraverso i sacramenti, la preghiera, le opere buone e le sofferenze liberamente accettate, possiamo avvicinarci a Dio e prepararci ad accogliere il dono di sé che egli vuol farci nell'eternità. Ma l'esistenza terrena può non bastare. Chi al termine di essa non è in piena sintonia con il Signore Gesù, dovrà proseguire la propria liberazione dal peccato, per essere "senza macchia né ruga" ( Ef 5,27 ) come tutta la Chiesa, che Cristo introduce alla presenza immediata del Padre. Tutto in noi deve essere degno della sua compiacenza. Si chiama purgatorio la completa purificazione dal peccato di quanti muoiono in grazia di Dio, ma non sono ancora pronti per la comunione perfetta e definitiva con lui. 1205 Poco prima dell'era cristiana si diffuse nel mondo ebraico l'intercessione per la purificazione dei defunti, rimasti sostanzialmente fedeli all'alleanza ma con qualche incoerenza: Giuda Maccabeo, dopo una battaglia, fa pregare e manda ad offrire un sacrificio al tempio, perché i caduti siano purificati dai peccati, in vista della risurrezione nell'ultimo giorno. ( 2 Mac 12,38-45 ) Gesù stesso sembra alludere a una possibilità di perdono nel secolo futuro. ( Mt 5,26; Mt 12,32 ) Il cristianesimo antico, in continuità con la tradizione ebraica, coltiva la pietà verso i defunti: preghiera, elemosina, digiuno e soprattutto celebrazione dell'eucaristia. Col volgere dei secoli si sovrappongono credenze popolari e vivaci rappresentazioni riguardanti il luogo, la durata e la natura del purgatorio. Ma l'insegnamento del magistero ecclesiale si mantiene estremamente sobrio e si può così riassumere: al termine di questa vita terrena, è concessa ai defunti, che ne hanno ancora bisogno, una purificazione preliminare alla beatitudine celeste, nella quale possono essere aiutati dai suffragi della Chiesa e dei singoli cristiani, soprattutto dalla santa Messa. Bisogno di perfezione 1206 Se consideriamo l'infinita santità di Dio, appare del tutto ragionevole che la perfetta comunione con lui in Cristo comporti un rinnovamento assai più esigente di quello che ci è dato osservare ordinariamente nelle stesse persone generose e impegnate. Occorre un risanamento totale. Solo l'amore gratuito del Padre, che ci raggiunge per mezzo di Cristo nello Spirito, può guarire la nostra personalità, come il fuoco affina l'oro e l'argento. ( Zc 13,9; Ml 3,3 ) Esso provoca nell'uomo, oltre la gioia di avvicinarsi a Dio, la sofferenza di non essergli pienamente conforme. È una sofferenza che nasce dall'amore e, come tale, è assolutamente diversa da quella dei dannati che nasce dall'odio. Il purgatorio non è un inferno temporaneo; la purificazione non ha niente a che fare con la perdizione. Intercessione solidale 1207 Appare ragionevole ammettere anche l'efficacia dei suffragi, se la collochiamo nel contesto dell'essenziale socialità dell'uomo, che si attua pienamente nella comunione dei santi. Solo in relazione agli altri si vive e si cresce. Per questo la solidarietà dei credenti e della comunità cristiana ha un potere di intercessione presso Dio per facilitare la purificazione dei defunti. Ovviamente tale potere è concesso da Dio stesso, il quale ci vuole solidali davanti a sé e ci chiede di cooperare con la sua grazia. Questa solidarietà trova espressione particolare nelle esequie cristiane: con la preghiera, il rito della benedizione e soprattutto la celebrazione eucaristica accompagniamo i fratelli all'incontro con il Padre, nella luce del mistero della Pasqua di morte e risurrezione. 1208 Al termine della vita terrena, i giusti che ancora hanno bisogno di purificazione per entrare nella beatitudine della perfetta comunione con Dio vengono liberati da ogni ombra di peccato in virtù della grazia di Dio, con la solidarietà di tutta la Chiesa. La risurrezione dei morti e il giudizio universale Giorno del Signore e risurrezione 1209 Sebbene ciascuno con la morte raggiunga la propria salvezza definitiva o la perdizione eterna, salvezza e perdizione diventano complete, secondo tutte le dimensioni della persona, solo alla fine del mondo. Dio dirige la storia e la porta a termine. I profeti dell'Antico Testamento annunziano il giorno del Signore, suprema manifestazione della sua gloria su tutta la terra, per punire i nemici, per purificare e salvare i fedeli. Sarà vittoria totale, separazione definitiva del bene dal male. ullo sfondo di questa attesa emerge progressivamente la fede nella risurrezione dei morti: "Quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna" ( Dn 12,2 ). I sette fratelli, di cui narra il secondo Libro dei Maccabei, muoiono con la certezza di essere risuscitati da Dio nell'ultimo giorno. ( 2 Mac 7,9.14.29 ) 1210 L'insegnamento di Gesù conferma la fede nella risurrezione: "A riguardo dei morti che devono risorgere, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe? Non è un Dio dei morti ma dei viventi!" ( Mc 12,26-27 ). Alla risurrezione sarà congiunto il giudizio universale, separazione del buon grano dalla zizzania, ( Mt 13,24-30.36-43 ) delle pecore dai capri. ( Mt 25,31-46 ) Anzi Gesù dichiara di aver ricevuto dal Padre il potere di risuscitare e di giudicare; ( Gv 5,21-22.27; Gv 6,54 ) perciò "verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna" ( Gv 5,28-29 ). Dalla risurrezione di Gesù alla nostra 1211 La vittoria di Dio si compie per mezzo del Signore Gesù; ( 1 Cor 15,25-28; 1 Ts 4,16-17 ) il giorno di Dio è il "giorno del Signore nostro Gesù Cristo" ( 1 Cor 1,8 ). La risurrezione dei giusti è un prolungamento della sua, perché "tutti riceveranno la vita in Cristo" ( 1 Cor 15,22 ). "Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo Spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi" ( Rm 8,9-11 ). Gli stessi reprobi, nella misura in cui ne sono capaci, ricevono da Cristo l'energia per vivere e operare, ma in loro tutto è stravolto a causa del peccato: la loro "risurrezione" merita piuttosto il nome di "seconda morte" ( Ap 20,14 ). 1212 Il legame tra la risurrezione di Gesù e la nostra è così stretto, che i primi cristiani ne arguirono, a torto, che avvenuta l'una fosse ormai imminente anche l'altra. ( 1 Cor 15,51-57; 1 Ts 4,15-17 ) Presto si accorsero che il "giorno del Signore" tardava a venire. ( Mt 24,48; Mt 25,5; 2 Pt 3,4 ) Ma non si scandalizzarono: "davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo" ( 2 Pt 3,8 ). Rimase il desiderio che il disegno di Dio si compisse e l'urgenza interiore di cooperare con lui. Quale corpo? 1213 Sempre il cuore dei credenti rimane proteso verso l'ultima perfezione. Non arriva però a raffigurarla nei suoi lineamenti. Il Nuovo Testamento, pur mettendo la risurrezione al centro della fede, non la descrive mai nelle sue modalità concrete. Alla richiesta esplicita: "Come risuscitano i morti? Con quale corpo?" ( 1 Cor 15,35 ), l'apostolo Paolo risponde che risuscitano con un corpo identico a quello attuale e nello stesso tempo diverso. Muore il chicco di grano e rinasce come pianticella. Il corpo umano, che ora è debole, corruttibile e gravato di limiti, risorgerà incorruttibile, trasfigurato dalla forza dello Spirito Santo a immagine del Cristo glorioso. ( 1 Cor 15,39-49 ) La trasformazione sarà profonda, perché "ciò che è corruttibile non può ereditare l'incorruttibilità" ( 1 Cor 15,50 ); tuttavia sarà proprio questo nostro corpo a rivestire l'immortalità. ( 1 Cor 15,54 ) A motivo dell'identico soggetto personale, esso rimarrà quello di prima, nonostante il profondo cambiamento, come durante la vita terrena rimaneva se stesso nel variare della statura e nella continua sostituzione delle singole cellule. 1214 Sebbene non si possa immaginare la condizione del corpo glorificato, tuttavia dobbiamo ritenere che essa comporti ancora un legame con il mondo materiale, anzi la perfezione definitiva del rapporto con il mondo. L'uomo e il mondo si appartengono reciprocamente; perciò la creazione sarà "liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" ( Rm 8,21 ). Salvezza totale e perdizione totale 1215 Nel corso dei secoli il magistero della Chiesa ha proclamato molte volte la fede nella risurrezione dei morti e nel giudizio universale. Così si esprime il concilio Lateranense IV: "Gesù Cristo … verrà alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti e renderà a ciascuno secondo le proprie opere, sia ai reprobi che agli eletti. Tutti risorgeranno con i propri corpi, gli stessi di adesso, per ricevere ciascuno secondo le loro opere, cattive o buone, gli uni la pena eterna con il diavolo, gli altri con Cristo la gloria eterna". 1216 A ben riflettere, risurrezione di vita e risurrezione di condanna sembrano coincidere con il giudizio universale, in quanto significano la salvezza e la perdizione dell'uomo nella sua totalità, comprese le dimensioni comunitaria e cosmica. Si tratta di un solo avvenimento, conclusivo della storia umana, l'ora della messe. ( Mt 13,39 ) Il corpo è capacità di presenza agli altri e al mondo; risurrezione dei morti nel proprio corpo significa dunque suprema attuazione di questa capacità di presenza, per i giusti a loro maggiore perfezione e felicità, per i reprobi a loro maggiore umiliazione. Questi si sentiranno lacerati e oppressi in tutta la loro personalità; quelli, nella comunione con Dio e tra loro, dispiegheranno una mirabile creatività, senza più ansia, fatica e lotta. La vittoria di Dio sarà la completa attuazione del suo disegno di amore. 1217 La risurrezione dei morti e il giudizio universale concluderanno la storia del genere umano; estenderanno la vittoria del bene sul male, in modo definitivo e completo, alle dimensioni corporea, sociale e cosmica dell'uomo. L'inferno Tragica possibilità 1218 La nostra libertà ha una drammatica serietà: siamo chiamati alla vita eterna, ma possiamo cadere nella perdizione eterna. "Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà" ( Sir 15,17 ). Dio vuole che tutti siano salvati e vivano come suoi figli in Cristo, ( 1 Tm 2,4-6 ) eppure per ciascuno c'è la triste possibilità di dannarsi: mistero inquietante, ma richiamato tante volte nella Bibbia, con parole accorate di minaccia e di ammonimento. Riguardo al diavolo e ai suoi angeli, sappiamo che sono già condannati di fatto. ( Mt 25,41 ) Per gli uomini invece si tratta di un rischio reale. La Scrittura non fa previsioni, ma rivolge appelli pressanti alla conversione, come volesse dire: ecco che cosa vi può succedere, ma non deve assolutamente accadere. Anche questa rivelazione è un atto di misericordia. Pena eterna 1219 La pena dell'inferno è per sempre: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno … E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna" ( Mt 25,41.46 ). "Il loro verme non muore e il fuoco non si estingue" ( Mc 9,48; Is 66,24 ). "Il fumo del loro tormento salirà per i secoli dei secoli, e non avranno riposo né giorno né notte quanti adorano la bestia" ( Ap 14,11 ). L'eternità dell'inferno fa paura. Si è cercato di metterla in dubbio, ma i testi biblici sono inequivocabili e altrettanto chiaro è l'insegnamento costante della Chiesa. Perdita definitiva della comunione con Dio 1220 In che cosa consiste questa pena? La Bibbia per lo più si esprime con immagini: Geenna di fuoco, ( Mt 18,9 ) fornace ardente, ( Mt 13,42 ) stagno di fuoco, ( Ap 19,20; Ap 21,8 ) tenebre, ( Mt 22,13; Gd 1,6 ) verme che non muore, ( Mc 9,48 ) pianto e stridore di denti, ( Mt 24,51 ) morte seconda. ( Ap 2,11; Ap 20,14 ) La terribile serietà di questo linguaggio va interpretata, non sminuita. La Chiesa crede che la pena eterna del peccatore consiste nell'essere privato della visione di Dio e che tale pena si ripercuote in tutto il suo essere. 1221 Non si tratta di annientamento per sempre. Lo escludono i testi biblici sopra riportati, che indicano una sofferenza eterna e altri che affermano la risurrezione degli empi. ( Dn 12,2; Gv 5,28-29; At 24,15 ) Lo esclude la fede nella sopravvivenza personale, definita dal concilio Lateranense V. Del resto neppure il diavolo è annientato, ma tormentato "giorno e notte per i secoli dei secoli" ( Ap 20,10 ) insieme con i suoi angeli. Quando la Sacra Scrittura parla di perdizione, rovina, distruzione, corruzione, morte seconda, si riferisce a un fallimento della persona, a una vita completamente falsata. ( Mt 10,28; 1 Cor 3,17; Gal 6,7; Fil 3,19; 2 Ts 1,9; 1 Tm 6,9; Ap 2,11; Ap 20,6.14; Ap 21,8 ) 1222 Piuttosto la pena va intesa come esclusione dalla comunione con Dio e con Cristo: "Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità!" ( Lc 13,27 ). "Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza" ( 2 Ts 1,9 ). L'esclusione però non è subita passivamente: con tutto se stesso, a somiglianza degli angeli ribelli, il peccatore rifiuta l'amore di Dio: "Ogni peccatore accende da sé la fiamma del proprio fuoco. Non che sia immerso in un fuoco acceso da altri ed esistente prima di lui. L'alimento e la materia di questo fuoco sono i nostri peccati". L'inferno è il peccato diventato definitivo e manifestato in tutte le sue conseguenze, la completa incapacità di amare, l'egoismo totale. La pena è eterna, perché il peccato è eterno. Il dannato soffre, ma si ostina nel suo orgoglio e non vuole essere perdonato. Il suo tormento è collera e disperazione, "stridore di denti" ( Lc 13,28 ), lacerazione straziante tra la tendenza al bene infinito e l'opposizione ad esso. L'amore di Dio, respinto, diventa fuoco che divora e ( Dt 4,24; Is 10,17 ) consuma; ( Dt 4,24; Is 10,17 ) lo sguardo di Cristo brucia come fiamma. ( 2 Ts 1,7-8; Ap 2,18; Ap 19,12 ) Dio ama il peccatore, ma ovviamente non si compiace di lui: la sua riprovazione pesa terribilmente. Rifiuto della creazione 1223 Rifiutando Dio, si rifiutano anche gli altri uomini e l'intera creazione. Più l'opera di Dio è bella, più il peccatore la trova insopportabile: sebbene l'aria sia limpida e luminosa, il pesce vi rimane asfissiato. Mentre nella vita terrena era possibile rinunciare a Dio e avere soddisfazioni dalle creature, ora da nessuna parte si può trovare refrigerio e rifugio, "come quando uno fugge davanti al leone e s'imbatte in un orso; entra in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde" ( Am 5,19 ). L'inferno è dunque la sofferenza di non poter amare nessuna cosa, il rifiuto totale e definitivo di Dio, degli altri, del mondo e di se stessi, in contraddizione con la vocazione originaria a vivere in comunione. I reprobi sono uomini falliti, stravolti in tutta la loro personalità. Indiretta testimonianza della grandezza di Dio 1224 Tuttavia, con il loro stesso rifiuto, i dannati manifestano ancora la grandezza della libertà che ricevono in dono, e quindi la grandezza del Creatore. Con il loro tormento affermano la meravigliosa bellezza della grazia che non accettano, la potenza dell'amore che li attrae e che respingono. Come si può intuire, il male è integrato anch'esso nella gloria di Dio: anche se non è soppresso, è vinto per sempre. Tutti vengono da Dio e tutti tornano a lui, o nell'amore o nel terrore: "Dio è unito a tutti, secondo la disposizione intima di ogni persona". 1225 L'inferno è il peccato divenuto definitivo, il rifiuto eterno di Dio e del mondo creato, in lacerante contraddizione con la nativa vocazione a vivere in comunione. Il paradiso Immagini della beatitudine 1226 La suprema perfezione e felicità è ineffabile. Per evocarla, la Bibbia si serve di immagini derivate dalle esperienze più gratificanti: cielo, ( 2 Re 2,11; Ef 2,6 ) città di pietre preziose, ( Is 54,12; Ap 18,16 ) giardino, ( Ger 31,12; Ez 36,35 ) convito, ( Is 25,6-7; Mt 22,1-14 ) nozze, ( Mt 25,1-13; Ap 19,9 ) festosa liturgia, ( Ap 7,10-12 ) canto. ( Is 42,10; Ap 14,2-3 ) Ma i frammenti di bellezza e di gioiosa comunione che germogliano sulla terra sono soltanto un tenue barlume. Incontro immediato con Dio uno e trino, totale comunione con gli altri, armoniosa integrazione con il mondo: ecco la meta, verso cui gli uomini sono incamminati. "Stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l'Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita" ( Ap 7,15-17 ). "Vidi un nuovo cielo e una nuova terra … Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: "Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate". E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose"" ( Ap 21,1-5 ). "La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello … Il trono di Dio e dell'Agnello sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte … e regneranno nei secoli dei secoli" ( Ap 21,23; Ap 22,3-5 ). Comunione immediata con Dio 1227 Per inaudita condiscendenza del suo amore, Dio che abita "una luce inaccessibile" ( 1 Tm 6,16 ) si china sull'uomo e lo innalza fino all'immediatezza della sua presenza. Prima ci viene incontro nella storia con l'incarnazione del Figlio e l'effusione dello Spirito, ci rende suoi figli e ci dispone a entrare nella sua intimità; poi, dopo la morte, perfeziona in noi la vita di grazia e apre il nostro spirito, perché possiamo vederlo e amarlo direttamente come è in se stesso. "Noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è" ( 1 Gv 3,2 ). Il cielo cresce nel seno della terra. Un bambino nel grembo materno è già dotato di intelligenza e volontà, ma deve crescere, perché possa effettivamente intendere e volere. Così noi nella vita terrena siamo già assimilati a Dio, orientati e uniti a lui mediante la grazia santificante, la fede, la speranza e la carità, ma occorre un ulteriore sviluppo perché possiamo incontrarlo in modo manifesto: "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto" ( 1 Cor 13,12 ). Il magistero della Chiesa precisa che Dio si offrirà a noi direttamente senza il tramite di alcuna creatura e ci introdurrà nel segreto della vita trinitaria. I beati "vedono chiaramente Dio, uno e trino, come egli è, più o meno perfettamente a seconda dei loro meriti". La comunione immediata di conoscenza e di amore coronerà la vicinanza inaugurata nella storia. Saremo associati pienamente a Cristo risorto dallo Spirito Santo e accolti con lui presso il Padre: "Per mezzo di lui possiamo presentarci … al Padre in un solo Spirito" ( Ef 2,18 ). Si realizzerà per intero la preghiera del Signore Gesù: "Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità" ( Gv 17,23 ). Non è pensabile per l'uomo un destino più alto della visione beatifica: partecipare alla comunione trinitaria; conoscere, amare, essere felici come Dio conosce, ama, è felice. 1228 Nella beatitudine celeste, come già nel cammino terreno, sarà sempre Gesù Cristo la porta di accesso al Padre. Il Signore crocifisso e risorto, comunicando in modo definitivo il suo Spirito, ci unirà perfettamente a sé e ci renderà pienamente figli di Dio, capaci di vedere il Padre "come egli è" ( 1 Gv 3,2 ). Dio "sarà visto nel regno dei cieli nella pienezza della sua paternità. Lo Spirito infatti prepara gli uomini nel Figlio. Il Figlio li conduce al Padre. Il Padre dona l'incorruttibilità e la vita eterna, che derivano dalla visione di Dio". Assemblea festosa 1229 Il compimento in Dio comporta la comunione universale con gli uomini e gli angeli fedeli. ( Mt 25,31 ) La Chiesa sarà "tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata" ( Ef 5,27 ). Gli uomini abiteranno nella celeste Gerusalemme in festosa convivialità e Dio abiterà con essi. ( Ap 21,2-3 ) Troverà appagamento la loro tendenza a incontrarsi e comunicare, il movimento di tutta la storia verso l'unità. Saranno sublimati tutti i rapporti autenticamente umani, avviati durante il pellegrinaggio terreno, i legami intrecciati nell'amore, nella conoscenza e nel lavoro. Le esperienze attuali più riuscite di comunione tra amici, tra coniugi, tra genitori e figli prefigurano l'universale comunione dei santi in Dio, ma sono ben poca cosa al confronto di essa. Se è meravigliosa già adesso la compagnia delle persone buone e intelligenti, che cosa sarà la compagnia di tanti fratelli "portati alla perfezione" ( Eb 12,23 )? Armonia cosmica 1230 La salvezza, poiché riguarda l'uomo intero, include anche un nuovo rapporto con il mondo, un'armonia e una presenza nuova. ( Rm 8,19-23; 2 Pt 3,13 ) Il mondo è il mondo dell'uomo: nulla andrà perduto; tutto sarà trasformato."Insieme con l'umanità, verrà pienamente restaurato in Cristo l'intero universo, che è intimamente unito all'uomo e raggiunge il suo fine per mezzo dell'uomo". Il mondo è dell'uomo, l'uomo è di Cristo e Cristo è di Dio e Dio è tutto in tutte le cose. ( 1 Cor 15,28 ) Non ha senso però situare il paradiso in qualche parte dell'universo piuttosto che in altre. Il cielo, nel linguaggio religioso, è un simbolo per indicare Dio e, secondo la fede cristiana, "la vita è essere con Cristo: dove è Cristo, lì è la vita, lì è il Regno". Piena attuazione personale 1231 Introdotti con Cristo nel mistero della Trinità divina, saremo pienamente noi stessi. La perfezione non comporterà un assorbimento del proprio io in un tutto indistinto, ma uno stare insieme nella conoscenza e nell'amore reciproco. "Saremo sempre con il Signore" ( 1 Ts 4,17 ). I santi formeranno una comunità di persone e non una massa collettiva senza volto. Ognuno sarà introdotto alla festa con un invito personalissimo: avrà "una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all'infuori di chi la riceve" ( Ap 2,17 ). Anche la perfezione sarà diversa secondo i doni ricevuti nella vita terrena e la corrispondenza verso di essi. ( Mt 16,27; 1 Cor 3,8 ) Tutti però saranno beati secondo la loro capacità e tutti si rallegreranno del bene degli altri come del proprio. Armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stessi: nel gaudio eterno si quieterà il desiderio illimitato del cuore; sarà il riposo, la festa, il giorno del Signore senza tramonto. "Oh gioia! Oh ineffabile allegrezza! Oh vita integra d'amore e di pace! Oh senza brama sicura ricchezza!". 1232 La persona umana ottiene il suo compimento gioioso nel paradiso, esperienza immediata di Dio, comunione perfetta di amore con lui, con gli angeli e i santi nell'armonia universale del mondo creato. La via, la verità e la vita Meravigliosa rivelazione 1233 "Disse Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me"" ( Gv 14,6 ). Il Signore Gesù è l'unica via per arrivare al Padre, perché è la rivelazione di Dio in questo mondo e la comunicazione della sua vita agli uomini. È la via, perché è anche la meta: "Io e il Padre siamo una cosa sola" ( Gv 10,30 ). L'originalità del cristianesimo è proprio questa: Dio si è fatto uomo e ci chiama a vivere eternamente con sé; si è donato nella storia, perché vuole donarsi nell'eternità. Le altre religioni intuiscono che esiste la divinità, sorgente misteriosa di ogni cosa; avvertono che, dopo la morte, ci deve essere un premio per i giusti e un castigo per i malvagi. Ma sono lontane dal pensare che Dio abbia condiviso personalmente la nostra condizione umana, legandosi a noi per sempre, e che il premio destinato ai giusti sia la partecipazione alla vita stessa di Dio. Lieti nella speranza 1234 "Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri" ( 1 Gv 4,11 ). Se crediamo che Dio è arrivato a dare il Figlio unigenito e lo Spirito Santo per attirarci a sé, dobbiamo anche noi amare senza misura e costruire la Chiesa come comunità di carità al servizio di tutto il mondo. Cristo è la via "nuova e vivente" ( Eb 10,20 ) da seguire e la meta dove incontreremo il Padre. Lo Spirito Santo ci unisce sempre più a lui e ci rende "lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli" ( Rm 12,12-13 ). "Canta dunque come il viaggiatore, canta e cammina, senza deviare, senza indietreggiare, senza voltarti. Qui canta nella speranza, lassù canterai nel possesso. Questo è l'alleluia della strada, quello l'alleluia della patria". 1235 "Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell'unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen" . Per l'itinerario di fede Riflettere e interrogarsi La fede nella vita eterna è una delle verità che oggi rimane più in ombra nella cultura e anche nella coscienza di molti cristiani. Eppure senza questa prospettiva è impossibile illuminare l'intera vicenda umana. Solo alla luce della Pasqua di Cristo si può comprendere nella sua pienezza il dono della vita, l'amore fedele di Dio, le sue promesse di salvezza definitiva. - Quali sono i modi più diffusi di pensare intorno alla morte e alla condizione dopo la morte? Quale luce può venire dalla fede cristiana? - Come la fede nella vita eterna può essere per un cristiano motivo di impegno nel bene, criterio di giudizio, sorgente di speranza? Ascoltare e meditare la Parola Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si sederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi". Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?". Rispondendo, il re dirà loro: "In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". Poi dirà a quelli alla sua sinistra: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato". Anch'essi allora risponderanno: "Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?". Ma egli risponderà: "In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me". E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna. ( Mt 25,31-46 ) Si può leggere anche: ( Sap 2,24-3,8 ) Sopravvivenza e retribuzione dei defunti. ( Mc 12,18-27 ) Dio dei viventi, non dei morti. ( Gv 6,35-51 ) La comunione di vita con il Signore è più forte della morte. ( 2 Cor 5,6-10 ) Dal Signore Gesù la retribuzione e la vita per sempre. Quando saranno compiuti tutti i nostri desideri, cioè nella vita eterna, la fede cesserà. Non sarà più oggetto di fede tutta quella serie di verità che nel Credo si chiude con le parole: "vita eterna. Amen". La prima cosa che si compie nella vita eterna è l'unione dell'uomo con Dio. Dio stesso, infatti, è il premio ed il fine di tutte le nostre fatiche: "Io sono il tuo scudo, e la tua ricompensa sarà molto grande" ( Gen 15,1 ). Questa unione poi consiste nella perfetta visione: "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia" ( 1 Cor 13,12 ). La vita eterna inoltre consiste nella somma lode, come dice il profeta: "Giubilo e gioia saranno in essa, ringraziamenti e inni di lode" ( Is 51,3 ). Consiste ancora nella perfetta soddisfazione del desiderio. Ivi infatti ogni beato avrà più di quanto ha desiderato e sperato. La ragione è che nessuno può in questa vita appagare pienamente i suoi desideri, né alcuna cosa creata è in grado di colmare le aspirazioni dell'uomo. Solo Dio può saziarlo, anzi molto al di là, fino all'infinito. Per questo le brame dell'uomo si appagano solo in Dio, secondo quanto dice Agostino: "Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è senza pace fino a quando non riposa in te". ( San Tommaso d'Aquino, Opuscoli teologici, Conferenze sul Credo, 2 ) Pregare e celebrare Alleluia. Ha preso possesso del suo regno il Signore, il nostro Dio, l'Onnipotente. Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché sono giunte le nozze dell'Agnello; la sua sposa è pronta. ( Ap 19,6-7 ) Noi ti lodiamo, o Dio, concedici l'eternità per poter annunziare la tua gloria. O eterno e semplicissimo Signore, la storia intera non ha ancora finito di ripetere l'unico Nome che non riesce a contenere. Sullo slancio dell'eternità, gli angeli hanno cominciato a dire: Santo, Santo, Santo, Signore che sei oltre ogni universo. I cieli e la terra traboccano delle tue meraviglie. Ti acclama il coro degli apostoli e la candida schiera dei martiri; le voci dei profeti si uniscono alla tua lode; la santa Chiesa proclama la tua magnificenza; ma tutti insieme non sono giunti a ripetere la vastità incandescente del Nome rivelato. Tu sei colui che è Padre dell'Unico Figlio nello Spirito Santo. O Cristo, solo in te dimora la Gloria, nella carne che hai preso dalla Vergine Madre. Vincitore d'ogni limite, tu hai aperto ai credenti il Regno dei cieli. Tu che siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre, sei la nostra Parola, o parola di Dio. In te comprendiamo ciò che è prima e dopo il nostro spazio mortale, quello spazio in cui ti sei incarnato per colmarlo di ogni pienezza. Soccorri i tuoi figli, Signore, perché sappiano raggiungere l'immensità del Nome. Facci partecipi della Gloria nell'assemblea dei santi. Rendi eloquente il tuo popolo, Signore, perché ogni giorno ti benedica e ti lodi per sempre. Degnati oggi, Signore, di redimerci dal nostro peccato. Sia sempre con noi la tua rivelazione, perché in te speriamo. Pietà di noi, Signore, pietà di noi. Tu sei la nostra risorsa; non saremo confusi in eterno. Amen. Professare la fede - Tutti gli uomini ricevono immediatamente dopo la morte la retribuzione eterna, in un giudizio particolare ad opera di Cristo, giudice dei vivi e dei morti. - Dio "vuole che tutti gli uomini siano salvati" ( 2 Tm 2,4 ) e per lui "tutto è possibile" ( Mt 19,26 ). La Chiesa prega perché nessuno si perda. - "Noi crediamo che la moltitudine delle anime, che sono riunite attorno a Gesù e a Maria in paradiso, forma la Chiesa del cielo, dove esse nella beatitudine eterna vedono Dio così com'è …, intercedendo per noi e aiutando la nostra debolezza con la loro fraterna sollecitudine" ( Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 29 ). - La professione della nostra fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, e nella sua azione creatrice e salvifica, culmina nella proclamazione della risurrezione dei morti alla fine dei tempi e della vita eterna. - Il regno di Dio giungerà alla sua pienezza alla fine dei tempi: i giusti regneranno con Cristo per sempre, glorificati in corpo e anima; l'universo sarà trasformato; Dio sarà "tutto in tutti" ( 1 Cor 15,28 ).