Convegno ecclesiale di Verona

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Riflessione spirituale del prof. Gianni Long

Su 1 Pt 4,8-11

18 ottobre 2006

Soprattutto vogliatevi molto bene tra voi, poiché l'amore cancella una grande quantità di peccati.

Siate ospitali gli uni con gli altri, senza mormorare.

Usate bene i vari doni di Dio: ciascuno metta a servizio degli altri la grazia particolare che ha ricevuto.

Così chi ha il dono di parlare parli per diffondere la Parola di Dio, chi ha un incarico lo compia con la forza che viene da Dio; in modo che sempre sia data gloria a Dio, per mezzo di Gesù Cristo.

A lui appartiene la gloria e la potenza per sempre. Amen!

Il brano inizia con una visione escatologica: la fine di tutte le cose è ormai vicina ( v. 7 ).

Questa prospettiva illumina le considerazioni dell'autore e ci insegna a guardare la vita cristiana nel mondo senza volerci/doverci conformare alle regole del mondo.

E infatti le indicazioni che riceviamo sono proprio il contrario di quanto intorno a noi viene praticato e insegnato.

Vorrei in primo luogo soffermarmi sull'ospitalità che viene dall'amore.

Dicono gli esegeti che probabilmente si parla soprattutto dell'ospitalità tra cristiani e in particolare del dovere per le comunità i loro membri di ospitare ( e anche mantenere, pagare i viaggi ) gli Apostoli e gli altri predicatori itineranti della Parola di Dio, « senza mormorare », cioè senza lamentarsi per un onore che si ritiene eccessivo.

È questa un'esortazione « pratica » che ritroviamo spesso in altre epistole.

Ma tra noi oggi la parola ospitalità ha almeno altri due significati.

Il primo è il tema, delicatissimo, dell'ospitalità eucaristica.

L'ospitalità ecumenica è ormai un dato acquisito: alle principali riunioni nazionali e internazionali di ogni Chiesa cristiana sono invitate le altre.

E insieme organizziamo eventi importanti come il Convegno ecumenico italiano a Terni, quest'anno, e la III Assemblea ecumenica europea a Sibiu, l'anno prossimo.

Ma proprio da uno di questi incontri ci viene l'invito a fare di più: la Carta ecumenica del 2001 esorta tutte le Chiese cristiane europee a lavorare nella direzione della condivisione eucaristica.

L'ospitalità è meno della condivisione.

Ma abbiamo avuto in questi anni positivi esempi con accordi sia di comunione completa ( la Concordia di Leuenberg tra luterani e riformati ) sia di ospitalità eucaristica ( ad esempio tra protestanti e anglicani ).

L'ospitalità eucaristica non è piena comunione; ma certo è prova di amore reciproco, secondo l'esortazione dell'epistola.

È la manifestazione della volontà che nessuno sia escluso e anche di « non mormorare », ritenendoci superiori e giudicando questo e quello.

La seconda riflessione sull'invito dell'epistola a essere ospitali concerne il fenomeno forse più vistoso della nostra epoca: quello delle migrazioni e delle reazioni che esse suscitano.

Possiamo spesso riassumere queste reazioni in una parola: xenofobia.

Ora, la xenofobia è un termine sconosciuto alla Bibbia, che spesso invece ci presenta il suo opposto: la filoxenia, l'amore per lo straniero sotto le cui sembianze è talora Dio stesso a presentarsi all'uomo.

Tre stranieri si presentano ad Abramo per annunciargli l'inconcepibile: la vecchia Sarà partorirà un figlio.

Nelle antiche rappresentazioni cristiane e nelle icone ortodosse esse rappresentano la Trinità.

Ma nell'ospitalità di Abramo verso questi sconosciuti vediamo la sua disponibilità a incontrare Dio nell'altro.

Abbiamo noi questa disponibilità?

Oppure preferiamo chiuderci nella nostra tenda, mangiare il nostro cibo senza dividerlo con degli sconosciuti e non credere ai miracoli strani di un Dio che fa partorire una vecchia sterile?

Pensiamo alla vicenda di Gesù come la racconta il Vangelo di Matteo: discendente di Abramo e di Davide, nasce a Betlemme.

Ma un angelo avverte Giuseppe che Erode cerca il bambino per ucciderlo.

« Giuseppe si alzò, di notte prese con sé il bambino e sua Madre e si rifugiò in Egitto » ( Mt 2,14 ).

Gesù diviene subito un rifugiato politico; ma non basta.

Quando la famiglia torna dall'Egitto vi è ancora pericolo in Giudea e vanno quindi a stabilirsi in Galilea, da cui per Gesù gli appellativi, non certo cortesi a Gerusalemme, di Galileo e di Nazareno.

Questo lo accompagna anche nella scritta sulla croce.

Il nostro Signore è un esule, un rifugiato, uno che viene da posti poco raccomandabili.

Nelle epistole di Paolo, poi, è continua la contrapposizione tra il popolo di Dio che ha rifiutato Cristo e gli stranieri che invece lo hanno accettato.

« Voi eravate lontani dal Cristo; eravate stranieri, non appartenevate al popolo di Dio; eravate esclusi dalle sue promesse e dalla sua alleanza; nel mondo eravate persone senza speranza e senza Dio.

Ora invece, uniti a Cristo Gesù per mezzo della sua morte, voi che eravate lontani, siete diventati vicini » ( Gal 2,12-13 ).

Credo che un po' della filoxenia della Bibbia possa essere di grande aiuto nell'affrontare i problemi del nostro tempo e nel renderci ospitali gli uni con gli altri, come ci esorta il testo della Prima lettera di Pietro.

Dopo l'indicazione sull'ospitalità troviamo un'esortazione al servizio fraterno: ciascuno metta al servizio degli altri i doni che ha ricevuto.

Questo vale per il lavoro per una singola comunità; chi sa parlare predichi l'evangelo, chi ha un altro incarico lo faccia con vocazione ( la forza che viene da Dio ).

Ma vale anche nel lavoro ecumenico: ciascuna Chiesa cristiana ha ricevuto da Dio dei doni specifici, magari proprio quelli che esse si sono rimproverati per secoli!

Mi limito qui a ricordare la tradizione, l'autorità dei cattolici; la contemplazione e la meditazione degli ortodossi; lo spirito di ricerca e di innovazione dei protestanti.

Sono elementi di differenza e lo sono stati di divisione.

Ma che cosa potrebbe succedere se, secondo l'esortazione del nostro testo, ciascuno mettesse al servizio degli altri la grazia particolare che ha ricevuto?

Probabilmente riusciremmo meglio, insieme, a dare « gloria a Dio, per mezzo di Gesù Cristo.

A lui appartiene la gloria e la potenza, per sempre. Amen! ».

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