CEI/Giovani/01/01.txt Catechismo dei Giovani: Io ho scelto voi Conferenza Episcopale Italiana Presentazione Cap. 1 Cerchiamo insieme la vita Presentazione Agli adolescenti del nostro paese, ai loro catechisti ed educatori, alle loro comunità, i Vescovi italiani affidano il catechismo Io ho scelto voi, come libro della fede per la maturazione personale e la responsabile testimonianza della vita cristiana. La fase della vita dai 14 ai 18 anni, che va comunemente sotto il nome di adolescenza, è di grande delicatezza e di vitale importanza per il processo verso la maturità umana e cristiana. Essa si presenta segnata da nuove esperienze che domandano di essere illuminate e da nuovi interrogativi che esigono risposte significative. Soprattutto la crisi di identità che caratterizza questa età, acuita spesso dal contesto sociale e culturale, sollecita la fatica di una nuova progettazione della vita e l'assunzione più seria della responsabilità secondo verità, nella libertà. Il catechismo, accogliendo serenamente e positivamente la sfida di queste problematiche, offre agli adolescenti la proposta di un progetto di vita incentrato sulla persona e sul messaggio di Gesù Cristo, indica la comunità cristiana come luogo privilegiato per l'esperienza di questa nuova esistenza e propone strade significative di testimonianza evangelica nel mondo. Il titolo Io ho scelto voi è evocativo della mèta a cui il catechismo vuole condurre. Esso infatti lascia intravedere lo sguardo di amore elettivo che Gesù riserva a ciascun adolescente per aprirlo alla fiducia in lui e per disporlo ad accogliere con generosità e coraggio il suo stile di vita. A partire da questo incontro egli potrà cominciare a sperimentare frutti di vita nuova, segni della presenza del regno di Dio nella storia: "Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" ( Gv 15,16 ). Il catechismo propone con articolata gradualità un itinerario di fede. Un momento iniziale, segnato da un clima di ricerca, presenta un metodo solido per aprirsi alla novità dell'esperienza cristiana ( capitolo 1 ). Successivamente la vita, nelle sue fondamentali dimensioni di relazioni con gli altri e di inserimento nel mondo, riceve orientamento e significato dall'incontro con la fede ( capitoli 2-3 ). Al culmine del cammino, la scoperta della libertà cristiana come dono e impegno di amore viene offerta come sintesi essenziale del mistero della salvezza che fonda un nuovo progetto di vita ( capitolo 4 ). A partire dall'accoglienza di questo progetto, è possibile aprirsi alla ricerca vocazionale verso scelte stabili per la propria esistenza ( capitolo 5 ). L'orizzonte della speranza cristiana fa da sfondo e sostiene con il suo dinamismo ogni passo del cammino proposto, proiettando lo sguardo verso il futuro immediato e verso le realtà ultime ( capitolo 6 ). Ciascuna delle tappe di questo itinerario permette di ripercorrere la storia della salvezza che ha il suo culmine nell'evento di Gesù Cristo. Punto di partenza è l'esperienza dell'adolescente, che viene portata alla coscienza e sollecitata alla riflessione ( "Interrogare la vita" ). La pedagogia divina, attuata nella storia di salvezza di Israele e attestata dall'Antico Testamento, aiuta a focalizzare le domande più vere sulla vita e a cogliere il valore salvifico di alcune esperienze ( "Ascoltare Dio che parla" ). Il confronto decisivo è con il messaggio, l'esperienza e il mistero di Gesù, testimoniati nelle narrazioni evangeliche: dall'incontro con il Signore della vita scaturiscono possibilità nuove, la verità si illumina, la mentalità è trasformata, il cuore è rinsaldato per progetti autentici, la libertà è liberata per il dono di sé ( "Incontrare Gesù Cristo" ). L'esperienza e la riflessione normativa delle prime comunità cristiane, contenute nelle lettere di Paolo e attualizzate dalla riflessione e dall'insegnamento della Chiesa, manifestano la vera realizzazione, in forma storica e comunitaria, del progetto di vita donato da Gesù: la Chiesa si svela come luogo privilegiato per la formazione e la crescita della vita nuova ( "Vivere la comunione nella Chiesa" ). Il religioso ascolto della Parola apre lo spazio per la preghiera, come risposta personale e comunitaria al dono di salvezza: nella preghiera ci si dispone ad accogliere, con riconoscenza e responsabilità, il disegno divino ( "Imparare a pregare" ). La fede, così accolta e nutrita, è quindi invitata a riesprimersi in una confessione, che è riconoscimento, lode e annuncio ( "Per professare la fede" ). La comunità cristiana accompagna la crescita di vita e di testimonianza dell'adolescente con l'esempio significativo di discepoli del Signore ( "Confrontarsi con i testimoni" ) e con l'apertura di spazi di impegno ( "Educarsi al servizio" ). Aiutare gli adolescenti a percorrere questo articolato cammino richiede catechisti maturi nella fede, capaci di dialogo e di creatività, in grado di utilizzare le diverse prospettive metodologiche cui il testo fa spazio. È questo il primo dono che le nostre comunità sono chiamate a fare agli adolescenti. Ma tutta la comunità cristiana nel suo insieme, e quanti hanno compiti formativi in particolare, devono farsi carico di fiduciosa attenzione e di accoglienza generosa nei loro confronti, promuovendo opportune iniziative pastorali ma soprattutto offrendo la testimonianza di un modo significativo di esprimere, celebrare e vivere la fede: la ricchezza di vita di una comunità è il contesto vero che può aiutare gli adolescenti nell'incontro con Cristo e nella scoperta dell'esistenza cristiana. Il catechismo Io ho scelto voi va collocato nell'orizzonte dell'impegno pastorale e missionario delle nostre comunità e all'interno del progetto catechistico della Chiesa italiana. L'itinerario proposto non è il passo conclusivo verso la maturazione di fede dei giovani. Esso sfocia e prosegue nel cammino tracciato dal secondo volume del catechismo dei giovani: l'accoglienza del progetto di vita cristiana esige di trovare approfondimento, consolidamento e nuove concretizzazioni negli anni giovanili che accompagnano più da vicino le scelte decisive della vita. Aiutare però a far crescere un'esperienza autenticamente cristiana nell'adolescenza è porre il fondamento su cui edificare una solida maturità della fede e assicurare alle nostre comunità la freschezza di testimonianza delle nuove generazioni. Camillo Card. Ruini Presidente della Conferenza Episcopale Italiana Roma, 19 marzo 1993 nella solennità di S. Giuseppe, sposo della Beata Vergine Maria Una nuova voglia di vivere La vita è un bene prezioso. Merita di essere vissuta con intensità e responsabilità. Ogni nostro progetto e ogni nostro sforzo devono tendere a rendere più autentica e più riuscita la nostra vita e quella degli altri. La vita è fatta di diverse stagioni: ciascuna ha i suoi colori. Ce n'è una che assomiglia molto alla primavera, con la vivacità della sua fioritura e con il sogno di un raccolto abbondante. È l'età dell'adolescenza. Ieri, quando si usciva di casa dopo aver avvisato i genitori, o contrattato con loro qualche ora per stare con gli amici, tutto appariva uguale, previsto, secondo quanto già ci si era immaginato: gli interessi, i sentimenti, le emozioni, le strade da percorrere, i luoghi del gioco o dell'impegno, le parole e le richieste degli adulti. Oggi, ci si sente dentro qualcosa di nuovo: la scuola ha aperto nuovi interessi; si sono incontrate nuove persone; cambiano gli amici e le amiche; qualcuno ha cominciato a lavorare. Nasce dentro un'incontenibile voglia di muoversi, di andare, di conoscere, di misurarsi con qualcosa di ignoto: una voglia nuova di vivere. Il cambiamento all'inizio lascia un po' stupiti: talora ci si rifugia nei vecchi luoghi sicuri, ma non più sufficienti per fare spazio a tutte le energie che ci si sente dentro; talora si ha voglia di troncare di netto con il passato, ma poi tutto diventa oscuro. Si impara subito che nella vita ogni cambiamento richiede sofferenza. E la legge della crescita. Sotto la pressione di queste spinte nuove, si sperimentano anche le prime delusioni, le incomprensioni che fanno soffrire, la solitudine che amareggia, gli errori che disorientano e rendono ansiosi per l'avvenire. Può nascere allora anche la noia della vita, il lasciarsi andare e vivere alla giornata. Accade pure che, dopo alcuni tentativi di far sentire che si è cambiati e che non si è più quelli di prima, ci si arrenda, anche perché è raro incontrare qualcuno disposto a far credito a slanci e desideri sinceri, ma ancora fragili. Di voci che invitano a non osare ce n'è fin troppe. Tra gli adulti, alcuni credono di poter soddisfare questa nuova voglia di vivere riempiendo le attese dei giovani di cose accattivanti, spegnendo i desideri con risposte senza respiro. Non sanno leggere le sfide e quindi non sanno scommettere. Molti classificano l'età dell'adolescenza come il tempo dell'attesa, dello stare a guardare, del non prendere in seria considerazione le domande che nascono dalla vita, dell'indifferenza e della superficialità. Si tratta invece di un momento decisivo. Lentamente si fa strada la capacità di misurarsi con la vita, di mettere a disposizione di qualcosa che vale le energie che crescono, seppure in modo disordinato. Nasce una sete insaziabile di obiettare per capire, di voler ragionare per imparare, di discutere per dimostrare. Si sente di avere un cuore che è fatto per le persone, e non per le cose o solo per se stessi. Con la fantasia si può colorare diversamente il mondo, caricando la vita quotidiana di intuizioni, di sogni, persino di ingenuità. È una vita che ha bisogno di una ricerca aperta, che si confronta con tanti significati e modelli, e si mette con attenzione a interrogarsi, sperimentare, chiedere e valutare. Non servono risposte prefabbricate. Molti pensano di aiutare la ricerca offrendo solo informazioni; c'è bisogno, invece, soprattutto di relazioni, di amicizia, di compagnia. Accanto ad una prorompente voglia di vivere che sospinge a fare, a sperimentare, a incontrare, si fa strada anche il sentimento di sé come persona e una prima forma di interiorità. Nascono gusti molto personali. Si vuole vagliare criticamente ciò che gli altri pensano e dicono. Si vuole fare solo ciò di cui si è convinti. C'è una certa gelosia per il proprio mondo interiore fatto di sentimenti, di piccole conquiste, di esperienze del tutto personali. Talora questo mondo si fissa in segni, in diari, in ricordi su cui volentieri si ritorna per rivivere e sognare, ma anche per riflettere e valutare. E come se lentamente si formasse la coscienza che si sta per costruire una storia personale i cui frammenti, nel bene o nel male, non andranno perduti e resteranno come fondamento per il futuro. Questa iniziale interiorità va coltivata come il germe dell'uomo maturo. Occorre perciò darsi il tempo e trovare il coraggio per prendere in mano la propria vita e guardarci dentro. Il gusto della riflessione dà sapore alla vita e ci permette di assumerla responsabilmente. - Quali sono le novità che scopri nella tua vita? - Quali sono i cambiamenti che ti entusiasmano di più? - I gusti nuovi che senti di avere, la voglia di star solo, la ricerca dell'amicizia, l'indipendenza: ti spaventano o li affronti? In gruppo per imparare a crescere Se talora i cambiamenti che si devono affrontare creano timori, c'è qualcosa che invece si cerca con grande desiderio: gli amici. Non si può vivere da soli, tanto meno a questa età. Basta una piazzetta, i quattro gradini di una chiesa, l'entrata di un bar, l'angolo di una strada per crearsi un mondo. Dopo una giornata di studio o al ritorno dal lavoro, la compagnia riconcilia con se stessi, anche se troppe volte punta al ribasso e non dà tutte le risposte che si cercano. E già però qualcosa che obbliga a confrontarsi con gli altri. Ci sono altre occasioni in cui si passa il tempo e si cresce con gli amici: la scuola, il lavoro, la squadra sportiva che si è riusciti a mettere assieme. Ma ci può essere anche un gruppo in cui si va per confrontarsi, per crescere e non solo per farsi dar ragione; un gruppo in cui gli amici non si scelgono perché sono legati da particolari modi di pensare o di vestire o di vivere, ma sono cercati perché ritenuti importanti per esprimere voglia di donare e di accogliere. In esso è possibile condividere esperienze, problemi, desiderio di essere utili, capacità di scavare nei fatti che accadono. Si può stare ore e ore a guardarsi, a far passare il tempo, a non saper che cosa dire, a livellarsi tutti al minimo; ma si può anche stare assieme per maturare la propria identità, sviluppare le proprie capacità, aiutarsi a ricercare e a progettare. In certe compagnie spesso si è costretti ad assumere il ruolo che gli altri impongono o che serve al momento; ma c'è anche la possibilità di costruire un gruppo, di entrare a far parte di una associazione, in cui mettere al servizio degli altri i propri doni. Le domande profonde di vita, che talora colpiscono all'improvviso e che lasciano perplessi, hanno bisogno di un luogo per crescere, per diventare chiare e per trovare delle risposte soddisfacenti: un gruppo, in cui ci si sente ascoltati e valutati per quello che si è e non per le abilità che si possiedono. È una partenza da non più rimandare. La famiglia è necessaria, ma occorre allargare gli orizzonti; una piazza piena di gente è piacevole, ma appiattisce; una Chiesa per sentirsi in comunione con tutti è un punto di arrivo, ma serve qualche passo calibrato per viverla in pienezza: il gruppo, appunto, che non è una classe qualsiasi o una compagnia generica, ma uno strumento di crescita importante, accanto alla famiglia e alla parrocchia. - Hai qualche amico con cui passi volentieri il tuo tempo libero? - Hai una compagnia in cui ti trovi bene? In quale luogo vai a "piantare la tenda"? - Cerchi anche un gruppo per crescere? - Nella tua comunità parrocchiale c'è un gruppo di amici così? Domande decisive È più facile cercare il consenso, che vivere secondo le proprie convinzioni. A farne le spese molte volte è anzitutto la ricerca di Dio, l'esperienza di vita cristiana. Si esce da un mondo compatto, da una certa uniformità di comportamenti, da una cerchia di amici, con i quali si è vissuta la preparazione alla Cresima o altre tappe della vita di fede, e si entra in un mondo in cui spesso l'esperienza religiosa gode di scarsa considerazione e addirittura, in certi casi, viene ostacolata e tenuta in grande discredito. Le esitazioni e le crisi, che sempre accompagnano la crescita, possono portare ad un atteggiamento di sospetto di fronte alla precedente esperienza religiosa e forse anche ad un abbandono di convinzioni e di comportamenti prima indiscussi. Talora questo abbandono è frutto di un progressivo disimpegno odi un sentimento di distanza dalla comunità cristiana. Altre volte un atteggiamento ipercritico, con una forte carica emotiva, porta e rifiutare anche la possibilità di un ulteriore confronto con l'esperienza cristiana. In alcuni casi l'abbandono è sofferto, perché si avverte di aver perso un punto di ancoraggio e di riferimento per la soluzione dei propri interrogativi e problemi. Ci può essere crisi dell'esperienza religiosa o si può anche pensare di abbandonarla. Non si possono però tacitare certe domande. Talvolta è una felicità incontenibile, un entusiasmo alle stelle, una esperienza esaltante, che porta con gioia a sentirsi il punto di arrivo di un dono mai meritato e, ancor meno, previsto, i destinatari di un amore che ci precede e ci accompagna m una maniera del tutto gratuita. Talvolta, invece, si sperimenta l'insuccesso o la malattia; ci sono condizioni che sembrano spegnere ogni voglia di vivere: handicap fisici o psichici che limitano l'orizzonte dei nostri progetti, la sofferenza di essere abbandonati da una famiglia divisa, la netta sensazione di non sentirsi di nessuno, la sofferenza per il male che sembra più forte del bene. Gli interrogativi si fanno più esigenti e profondi, insieme ai dubbi e alla ricerca di conferme. Che senso hanno la vita, la morte, l'amore, la sofferenza? Sono il frutto di un caso o sono stato pensato e amato da qualcuno? Vale la pena di credere? Il problema di Dio è proprio irrilevante e senza senso, come magari la battuta di un amico o l'argomentazione di un adulto vogliono insinuare? Le domande crescono di fronte all'allargarsi delle esperienze e all'approfondirsi del senso critico. La fede può apparire come un vestito ormai stretto di fronte all'aprirsi di orizzonti e di esperienze nuove. Non sarà forse che il nostro mondo religioso è rimasto infantile e non ha saputo o potuto crescere al ritmo della nostra vita? Non può allora valere la pena di riprendere pazientemente il filo della ricerca di fede, confrontandolo coraggiosamente con la nostra nuova realtà? Chi smette di ricercare ha già perso una dimensione essenziale della vita umana. A chi ricerca con apertura possono spalancarsi orizzonti insperati e possibilità inattese. - Quali sono le domande più impegnative che ti porti dentro e sulle quali desideri una risposta chiara e convincente? - Quali persone credi possano aiutare la tua sete di verità e di senso? - Quali vie privilegiare per una ricerca seria, motivata, che arricchisca la mente e il cuore? Nella ricerca non siamo soli La ricerca della verità è misura della nostra umanità. La nostra vita è cammino verso la verità. Solo nel confronto con la verità e le sue esigenze la vita diventa autentica, sfuggendo alla massificazione e alla superficialità. È nella verità il senso della vita e solo intorno ad essa può articolarsi un progetto che voglia essere significativo. In questa ricerca si interroga la scienza. La capacità logica e razionale, di cui a questa età si dispone, permette di affrontare gli interrogativi della vita con maggiore autonomia. Si interroga anche la saggezza umana, che nel corso della storia ha cercato di dare risposte capaci di far crescere dignità e libertà. Siamo però consapevoli che nessuna risposta parziale può soddisfare la nostra sete di verità. Sant'Agostino ci direbbe che ci infiamma soltanto amare, cercare, seguire, raggiungere ed abbracciare la sapienza in sé e per sé là dov'è. E ci ricorderebbe pure che la verità della nostra vita prima ancora di essere una conquista e una scoperta, è un dono e una rivelazione. Esistono orizzonti ed esperienze significative che sono il segno della presenza operante dello Spirito di Gesù, che trasforma la vita dell'uomo, sospingendolo nella verità verso la sua piena realizzazione. Sotto la dolcissima azione della sua presenza, si è aiutati a scoprire nella vita la bellezza di un piano e l'entusiasmante avventura di una libertà che, lasciandosi guidare da lui, diventa capace di attuarlo. La libertà è un dono ed una conquista, che in mezzo a mille condizionamenti ed ostacoli lo Spirito ci permette di realizzare. Ci si sente protagonisti e si è legati a mille dipendenze; si pensa di farcela da soli e si è costretti a chiedere aiuto; si tenta di mettersi al centro e si scopre che bisogna fare i conti con gli altri, con le situazioni. Ma là, dove si esprime aspirazione e impegno al superamento dei limiti, delle illusioni in cui si è potuti cadere, delle involuzioni in cui in momenti di debolezza ci si è rifugiati, va riconosciuta nella storia l'azione dello Spirito, datore di vita. Non si è soli a vivere, a crescere e a sperare. Lo Spirito di Dio è colui che può renderci capaci di cogliere il filo che lega i nostri tentativi nella ricerca di vivere e può offrire loro un senso compiuto. Dove è lo Spirito, infatti, è la vera libertà: l'unità della nostra vita, il dominio di noi stessi, l'amore, la gioia e la pace; i segni cioè della presenza misteriosa del Dio vivo e vero. - Come si esprime la tua ricerca della verità? - Come e in quali esperienze percepisci la presenza misteriosa di Dio? Quali momenti della vita ti rimandano a lui? - Hai la possibilità o il coraggio di parlarne con i tuoi amici? La vita deve avere un centro Lo Spirito, che silenziosamente sospinge la nostra ricerca e forse ha già prodotto nella nostra vita frutti di novità, è lo Spirito di verità. Egli opera in noi per guidarci verso la verità. E la verità a cui ci conduce non è un'idea, seppure profonda, e neppure un programma d'azione, per quanto affascinante. La verità è una persona: Gesù, Signore della nostra vita. In Gesù, Figlio di Dio ed uomo perfetto, il mistero di Dio ci si dona umanamente e all'uomo è aperto il senso ultimo e la realizzazione piena della propria vita. I nostri interrogativi più seri e il nostro bisogno di verità possono trovare nell'incontro con il Signore Gesù una risposta sovrabbondante e un appagamento insospettabile. È stata questa l'esperienza dei primi discepoli, i quali, dopo la Pasqua, sotto l'azione dello Spirito, si sono aperti alla fede in Gesù e hanno visto illuminata di significato nuovo la loro vita. Hanno ripercorso tutto il cammino fatto con lui e hanno scoperto un nuovo orientamento per la loro esistenza. Se vorremo cercare, anche noi troveremo nel Signore Gesù, morto e risorto, la pienezza inaspettata della vita e della felicità. L'incontro pieno con Cristo non viene attuato né da un libro, né da occasioni più o meno eccezionali, ma da quella comunità dei credenti in cui fino ad oggi è continuata l'esperienza di umanità nuova, iniziata dai discepoli a contatto col Risorto: la Chiesa. Il gruppo ne è una traccia, la parrocchia un segno concreto, la celebrazione dell'Eucaristia il momento culminante, il servizio ai fratelli il luogo in cui l'incontro con Gesù si fa storia. La comunità che segue e annuncia Cristo è un dono prezioso, da accogliere e da arricchire di nuove presenze, di nuove energie, delle intuizioni e della capacità di dono e di testimonianza che ciascun adolescente possiede. In questa comunità ci si avvia a un confronto autentico con l'esperienza di fede di quanti ci hanno preceduto, si possono comprendere i loro messaggi, gli slanci e le ricerche della loro vita; assume volto un popolo che ha cercato e seguito il Signore della vita. Il libro della Bibbia, che la Chiesa ci tramanda, riflette l'esperienza profonda che alcuni uomini hanno fatto di Dio e la memoria ancora viva della loro fedeltà a lui. Aiutati e guidati dalla parola di Dio anche noi vivremo la nostra esperienza di lui. - La figura di Gesù quale posto ha tra i tuoi ideali? - Vedi la comunità parrocchiale come la casa dove puoi sentirti accolto, trovarti bene e aprirti agli altri? - Conosci amici con cui puoi rendere più viva la comunità? - Hai degli spazi per raccontare tu stesso la tua amicizia con Gesù Cristo, la tua fede, la tua speranza cristiana? Il coraggio di fare un cammino A questa età non è facile affrontare fino in fondo l'esperienza del vivere, accettare una verità che è dono, aprirsi ad orizzonti sempre più vasti, sentendosi irresistibilmente conquistati da Gesù, il Signore. Si intravede allora la necessità di percorrere un itinerario, un cammino che segue la legge del seme: l'albero, maestoso e sicuro, è già tutto nel suo inizio, nel piccolo seme carico di futuro e di potenza incontenibile; si tratta di farlo crescere, giorno dopo giorno, secondo tappe precise e collegate. Interrogare la vita La prima tappa di questo cammino è guardare e prendere coscienza della propria vita, attraverso una comprensione più profonda delle esperienze quotidiane. Questa vita è il luogo in cui oggi tu cresci fino alla maturità: il Signore ha messo dentro ai fatti una forza capace di spingere avanti e di provocare. Tutte le esperienze, soprattutto le più dure, hanno il potere di sorprenderci, di far sentire esigenze più profonde e, quindi, di sollecitare a cercare risposte e ad inventare soluzioni. È in questa sete di novità e di realizzazione che è dato di incontrare Dio, perché lo incontra solo chi si apre a una vita più vera e chi cerca una felicità non fittizia; chi vuole, cioè, sperimentare la salvezza. Ascoltare Dio che parla La ricerca e la sete che emergono dai fatti della vita e dalla novità delle esperienze trovano un singolare accompagnamento e una risposta autentica e aperta al futuro nella particolare storia di salvezza che Dio ha fatto con Israele. In questa storia le esperienze della vita e della morte, della schiavitù e della libertà, del cammino di un popolo e del senso del creato, del peccato e del perdono, della giustizia e della pace, della storia e della speranza, vengono illuminate dalla parola profetica che viene da Dio e si svelano come luogo della chiamata alla comunione con lui. Incontrare questa storia di salvezza, come ci è testimoniata dalla parola di Dio dell'Antico Testamento, ci permette di orientare in modo più autentico le nostre domande e di rileggere le nostre esperienze come momenti in cui Dio si fa vicino e apre la nostra esistenza a significati e possibilità nuove. Incontrare Gesù Cristo La Parola definitiva e personale che Dio rivolge agli uomini è Gesù Cristo. L'umanità del Figlio è il luogo in cui Dio ci incontra personalmente e in pienezza. Nelle sue parole, nei suoi gesti, nella sua vita e nella sua morte e risurrezione Dio ci dona se stesso, il suo amore e il suo disegno di vita. Nel cammino da lui percorso possiamo trovare la traccia da seguire per portare alla pienezza e alla felicità anche la nostra vita. Nella parola di Dio del Nuovo Testamento noi troviamo l'eco autentica di questo evento. Attraverso la lettura dei Vangeli, sotto l'azione dello Spirito e nell'orizzonte di fede della comunità cristiana, noi possiamo ripercorrere la storia di Gesù, che la fede ci fa riconoscere nella sua realtà di Figlio di Dio fatto uomo, e possiamo accogliere la testimonianza di quanti hanno visto la loro vita trasformata dall'incontro con lui. Negli Atti degli Apostoli, nelle Lettere e nell'Apocalisse possiamo ascoltare il contenuto del primo annuncio dell'evento Gesù, l'esperienza nuova fatta dalle prime comunità credenti, la riflessione profonda sul mistero di Gesù e la luce nuova che da lui si proietta sul mistero di Dio e sulla storia umana. La fatica di entrare, insieme alla comunità cristiana, in questa testimonianza e il coraggio di confrontarsi con essa ci aprono alla fede gioiosa e matura, all'incontro vero con Cristo e alla possibilità di veder fiorire in noi progetti ed esperienze di una vita rinnovata dalla comunione con lui. Vivere la comunione nella Chiesa Tanti, ancora oggi, vivono la comunione e l'incontro con Gesù nella sua comunità: è la Chiesa degli apostoli e dei discepoli che hanno continuato la sua missione, hanno seguito i suoi insegnamenti, hanno messo il Signore al centro della loro vita. La si coglie all'inizio come un tessuto di relazioni, diventa comunione di speranze, è un popolo di chiamati, un segno visibile del regno di Dio, capace di far sperimentare all'uomo la salvezza piena. In essa si sviluppa il nostro cammino di crescita. Ascoltarne la testimonianza, a partire da quella delle origini di cui parla lo stesso Nuovo Testamento fino all'insegnamento oggi dei nostri Pastori, è un passaggio obbligato per chi vuole apprendere lo stile di vita nuovo che Gesù chiede ai suoi discepoli. Nella comunione della Chiesa ci è dato di scoprire il concreto cammino che ciascuno è chiamato a percorrere per essere testimone credibile di una vita nuova che apra il cuore di ogni uomo e di ogni donna nel mondo alla speranza del Regno. Nella Chiesa troviamo i doni con cui Dio offre all'uomo la salvezza di cui ha bisogno, i segni che permettono di celebrarla, i momenti di festa che riescono a far incontrare la gioia di vivere dell'uomo con quella del Signore della vita: i sacramenti. Sono la traccia inconfondibile dell'amore che Dio ha per noi, sono gli spazi in cui sentiamo di stare a cuore a qualcuno, in cui siamo fatti capaci di metterci a disposizione, in cui siamo riconciliati con Dio, con noi stessi e con il mondo, scoprendo di essere parte viva di una comunità che ci precede e ci accompagna. Imparare a pregare C'è un gesto che ha un valore assoluto, una parola che sale spontanea alla coscienza e alle labbra, una espressione di gratitudine e di amore nella prova come nella gioia: la preghiera, il dialogo personale con il Padre. È un gesto che vale per se stesso, completamente gratuito, come una lettera ad un amico, come il dono incalcolabile della vita. Queste tappe, che scandiscono il nostro ritrovarci insieme sulla via di Gesù, ci conducono a crescere verso un'autentica identità cristiana. Il loro snodarsi, però, richiede e comporta due atteggiamenti costanti: lo sguardo aperto a individuare i fratelli che hanno fatto la strada prima di noi, la gioia di poter mettere a disposizione di tutti la testimonianza di una vita nuova. Confrontarsi con i testimoni La nostra vita si confronta con uomini e donne che hanno aperto nuove strade all'esistenza dell'uomo. Anche oggi sono tra noi: basta avere una particolare sensibilità per individuarli e lasciarci aiutare da loro. Possono esemplificarci scelte e percorsi. Educarsi al servizio Il nostro non sarebbe un cammino di crescita se non prevedesse la creatività e l'originalità di una vita nuova da mettere a disposizione di tutti. La comunità cristiana e quella civile, il quartiere, il paese, anche la strada in cui le speranze di tanti coetanei si bruciano, attendono da noi una presenza e una compagnia per ritornare ad essere luoghi di vita. - Sei disponibile a compiere un cammino così? - Quali tappe ti sembrano più importanti per la tua crescita in questo momento? - Quali di esse sono state finora per te un punto di riferimento, un luogo di scambio di esperienze e di aiuto reciproco con i tuoi amici? Scheda: Pregare: aprirsi al mistero Pregare è ascoltare e parlare con Dio: è dialogare con lui. Ma egli è invisibile, è ineffabile; per questo a volte sperimentiamo la nostra incapacità a comunicare con lui. Chi ci aiuterà a pregare? Gesù ci viene incontro e si fa nostro maestro e modello di preghiera. Gesù prega: prega con la sua gente nella sinagoga, ma cerca anche luoghi solitari; passa notti intere in raccoglimento e solitudine. Perché Gesù prega? Gesù vive la sua pienezza di Salvatore nell'incontro quotidiano con la vita degli uomini, sulla loro strada. Ma sente anche il bisogno di salire sul monte per vivere come Figlio, nella sua umanità, un incontro più diretto con il Padre ( Lc 6,12 ). L'evangelista Luca racconta che un giorno i discepoli vedendo il Maestro pregare gli chiesero: "Signore, insegnaci a pregare". E il Maestro propose la preghiera del discepolo: "Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome …" ( Lc 11,1-4; Mt 6,9-13 ). Ma Gesù non è solo maestro di preghiera; comunicandoci il suo Spirito, egli accende in noi il dialogo con il Padre. E lo Spirito infatti che ci fa gridare: "Abbà, Padre" ( Rm 8,14-16 ). Questo dialogo costituisce la trama della liturgia, in cui Dio sollecita con la sua Parola e noi rispondiamo con la preghiera della Chiesa. Guardando Gesù, il suo comportamento e il suo stile di vita impariamo gli atteggiamenti fondamentali della preghiera: l'ascolto del Padre, l'abbandono confidente in lui, la lode e il ringraziamento, l'offerta di sé. Pregare è scoprire il volto di Dio, che Gesù ci rivela come Padre: capire questo significa entrare in un mondo totalmente nuovo, in cui ci sentiamo non buttati nella vita a caso, ma pensati e voluti per un disegno di amore. Pregare è scoprire il vero volto di sé: guardarsi dentro, ritrovare un senso per la vita, perché chiamati a partecipare alla famiglia di Dio, come fratelli di Gesù; è scoprirsi animati dallo Spirito che spinge al coraggio delle scelte, aiutandoci a superare ansie e paure. Pregare è mettersi in comunione con gli altri in stato di responsabilità. Dio Padre, il Dio dell'amore, e il Figlio, il Signore della vita, ci spingono con la forza dello Spirito Santo a entrare nella storia degli uomini, per vivere nella condivisione l'avventura di un mondo fatto nuovo. Pregare è entrare in comunione con tutta la comunità dei discepoli del Signore, di ieri e di oggi, anzitutto con la Madre di Gesù, modello perfetto della Chiesa orante: con lei aderiamo al disegno di salvezza del Padre; in lei riconosciamo le meraviglie che Dio compie per i suoi figli; alla sua maternità affidiamo le nostre lodi e le nostre domande. Pregare non ci fa stare semplicemente di fronte a Dio, ma ci pone già in comunione con lui, nel suo mistero. Lo Spirito stesso di Gesù ci suggerisce la preghiera filiale da rivolgere al Padre: nello Spirito, per il Figlio noi preghiamo il Padre e da lui tutto ci disponiamo a ricevere. Cercate Cristo con coraggio Giovanni Paolo II "Non abbiate paura di Cristo! Lo ripeto oggi a voi e a tutti i giovani! Egli non provoca l'alienazione della vostra identità; non avvilisce, non degrada né mortifica la vostra ragione: non opprime la vostra libertà! Egli è il Figlio di Dio, incarnato, morto, risorto per noi e per la nostra salvezza, cioè per la nostra liberazione autentica e totale! Egli, Dio, ha voluto diventare realmente uno di noi, nostro salvatore, nostro redentore, nostro amico, nostro fratello; si è inserito nei nostri problemi e nei nostri drammi quotidiani; ha sentito la nostra debolezza, la nostra fragilità, la nostra precarietà, fino all'esperienza angosciosa del tradimento degli intimi e al dolore della morte. Incarnazione della infinita misericordia di Dio, Cristo ha rivolto all'umanità il suo messaggio di verità e di speranza, ha operato prodigi, ha assicurato il perdono dei peccati, ma soprattutto si è offerto al Padre in un gesto di immenso amore, vittima di espiazione per i nostri peccati! Di fronte a Cristo, carissimi giovani, non si può rimanere indifferenti! Non ci troviamo soltanto di fronte ad un maestro, per quanto illustre, di ideologie a sfondo etico; o di fronte a un uomo dalla particolare esperienza religiosa; o a un grande profeta; o ad un uomo privilegiato, in cui vi sia una speciale presenza morale di Dio. Personalità del genere possono interessarci per qualche tempo nei nostri studi storici, letterari, filosofici o religiosi. Cristo, per la sua singolare realtà umana e divina, per la missione unica ricevuta dal Padre, coinvolge ed afferra tutta la nostra vicenda umana, perché è il centro della storia, il Redentore dell'uomo! Per questo dico oggi a voi: Cercate con obiettività, con onestà e con coraggio Cristo! Sforzatevi di conoscerlo a fondo: studia telo continuamente. Questo vostro costante impegno di approfondimento personale e comunitario dell'evento-Cristo con la grazia divina è culminato o culminerà nella fede, dono di Dio e risposta personale dell'uomo. Tale atteggiamento di fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, non è una diminuzione delle vostre esigenze culturali, ma un vero arricchimento ed una esaltazione della vostra sete di conoscenza e della vostra ragione, disponibile alla irruzione della Rivelazione divina". ( Discorso ai giovani, XX Congresso eucaristico nazionale, Milano, 21.5.1983 ) Per professare la fede Tu sei grande, o Dio Tu sei grande, o Dio: grande è il mistero della vita con cui riempi il mondo. Noi siamo opera delle tue mani, e tutto dobbiamo al tuo amore. Con tutta la nostra vita vogliamo renderti grazie. Riconosciamo davanti a te che la vita, anche la nostra giovane vita, è già scossa da problemi, da sofferenze e dall'esperienza amara del peccato. Ma tu non ci lasci soli. Ci hai mandato tuo Figlio Gesù, che ha amato la vita delle persone che incontrava, curandole nel corpo e nel cuore. In lui, noi riconosciamo la via che conduce alla vita, la vita vera, piena: la tua vita, o Dio. Di lui ci fidiamo. E la via è questa: non vivere da egoisti, chiusi in se stessi, ma, sull'esempio di Gesù e in profonda amicizia con lui, vivere aperti a te, o Padre, e aperti agli altri, camminando insieme secondo la tua parola. Pieni di stupore, ogni giorno scopriamo che tu, o Dio, aprendoci la strada della vita nuova in Gesù, ci doni la luce e la forza per credere che la nostra piccola esistenza, nonostante tutto, fa parte di un progetto d'amore più grande. Tu sei buono, o Dio. Cap. 2 In cammino con gli altri Interrogare la vita: Un vita insieme Nessun uomo è un'isola Ciascuno tesse lentamente la delicata trama della propria vita attraverso i fatti, le possibilità e i modelli che il suo mondo gli offre. La famiglia in cui si nasce, il piccolo paese o la grande città in cui si vive, le persone conosciute, gli amici, la scuola, il lavoro, la cultura dell'ambiente: tutto incide profondamente nel tessuto dell'esistenza e ne fa parte. Nello stesso tempo la vita di ciascuno, le decisioni che si prendono lasciano traccia di sé nella vita degli altri, negli ambienti che si frequentano. Nessun uomo è un'isola. La pianta della vita non cresce nella solitudine di un deserto. Vivere con gli altri non è un fatto che si può ignorare o rifiutare con una semplice decisione: fa parte dell'essere uomini. Il corpo, nei gesti che manifestano le intenzioni, nelle parole che esprimono i pensieri, ci espone sempre agli altri, ci fa comunicare con loro. Udire e vedere il mondo degli uomini, dei fatti, delle cose suscita in noi reazioni, scelte, decisioni. La vita cresce o è mortificata attraverso questa rete sottile, ma resistente, di legami che si intrecciano giorno dopo giorno. La famiglia e gli amici Il primo ambiente che lancia i suoi messaggi di amore e di preoccupazione, oppure, in qualche caso doloroso, di trascuratezza e di rifiuto, è la famiglia. Vivendo in essa, giorno per giorno, si creano legami intensi, che lasciano tracce profonde. Nella famiglia si apprende l'alfabeto della comunicazione con gli altri e si impara ad amare. Attraverso il contatto quotidiano si vede fiorire la fiducia ma anche la chiusura, la parola sincera e l'inganno, il silenzio che custodisce i sentimenti più intimi e la chiacchiera vuota, l'ascolto profondo e l'incomprensione, il calore dell'amore e la freddezza dell'indifferenza e dell'egoismo. Il bisogno di autonomia, particolarmente vivo a questa età, spinge a ricercare nuovi modi e nuove forme di rapporto con i genitori, con i fratelli e le sorelle, con gli anziani presenti in famiglia. Possono anche nascere incomprensioni e difficoltà di dialogo, particolarmente con i genitori, del cui affetto pur si sente l'esigenza. A volte tutto ciò può sfociare in chiusure o in rotture. Ma quando c'è la ricerca di un dialogo sincero e non si perde la fiducia reciproca, anche questi momenti difficili diventano occasioni di crescita. Accanto all'ambiente familiare assumono sempre più importanza ed intensità le relazioni di amicizia con gruppi di coetanei. Ci sono problemi e interessi comuni, si parla lo stesso linguaggio. Ci si apre a confidenze reciproche. Si trovano occasioni per trascorrere insieme il tempo, nel divertimento o nell'impegno. Può nascere così facilmente un clima di spontaneità e di immediatezza. Ma anche qui non mancano difficoltà. Gli amici fidati e leali non sono sempre a portata di mano. La paura di restare soli può spingere ad esperienze negative. In certi casi il bisogno di integrazione in un gruppo può condurre ad un dannoso conformismo di atteggiamenti. Ci rendiamo conto, talora con sofferenza, che il bisogno di comunicare e di vivere con quanti ci sono quotidianamente vicini non sempre si realizza in modo soddisfacente. - Hai dei momenti di isolamento in cui non ti senti di nessuno? Che cosa fai per uscirne? - Come definiresti i rapporti con la tua famiglia? - Hai degli amici con cui ti trovi bene? - Se c'è stata qualche rottura con loro, a che cosa è dovuta? Uomo e donna La scoperta del proprio corpo, le conoscenze sulla diversa struttura fisica e psicologica dell'uomo e della donna, l'esperienza di momenti di vita insieme tra ragazzi e ragazze, il dialogo o l'incontro più assiduo con un amico o un'amica rendono consapevoli della propria realtà di uomo e di donna, e della carica affettiva e comunicativa in essa racchiusa. Nascono allora i primi sentimenti di curiosità e di attrazione istintiva, del ragazzo verso la ragazza e della ragazza verso il ragazzo. Ci si sente interessati al mondo dell'altro, fatto di aspetto fisico, di gesti, di sensibilità, di qualità spirituali che si avvertono profondamente diversi. Si intuisce che questa diversità può completare, può dare la gioia di stare assieme e di comunicare in vista di un arricchimento reciproco. Allo stesso tempo, però, la sensazione di doversi inoltrare nel mondo misterioso dell'altro o dell'altra crea imbarazzo, paura di sbagliare, di fallire l'incontro. Ci si rende conto di essere chiamati a muovere i primi passi di un'arte difficile ma preziosa, delicata ed esaltante, che è quella di saper amare. Ma proprio nell'apprendistato di quest'arte, possono verificarsi esperienze che creano blocchi affettivi, facilitano paure, o addirittura bruciano miseramente possibilità riservate al futuro. La curiosità può risolversi in fatto morboso; la difficoltà a comunicare può rinchiudere dentro fantasie irreali o provocare ripiegamenti su se stessi. L'influsso di una visione distorta della sessualità, propagandata spesso dai mezzi di comunicazione, può provocare ad un consumo immediato di essa, come un semplice oggetto di piacere o di gioco. La mentalità, diffusa in certi ambienti, secondo cui la sessualità va gestita seguendo l'impulso istintivo o affettivo del momento, può oscurare il contenuto profondo di comunicazione e di amore che essa porta con sé. La sessualità è una straordinaria ricchezza che va orientata, perché non resti realtà immatura o forza banalmente sciupata, ma serva invece alla crescita della vita. - Con quale atteggiamento ti poni di fronte alla tua sessualità? - Hai qualche adulto di tua fiducia con cui puoi parlare liberamente di questi problemi? - Come ti difendi dalla pornografia? - I rapporti con gli amici e le amiche sono basati sul rispetto reciproco? - Nel progetto di vita che stai costruendo, come maturi la tua esperienza affettiva? Il mondo intorno a noi La vita sociale non è limitata ai rapporti umani immediati. Si è sempre coinvolti anche nei fenomeni più vasti che segnano la cultura e la storia. Ciò accade soprattutto nel nostro tempo, in cui la facilità delle comunicazioni rende ogni giorno il mondo più piccolo. Pesano su di noi le divisioni, i conflitti, le guerre. La violenza non ci arriva solo come eco da paesi lontani, ma tocca da vicino la nostra convivenza civile. Solchi profondi dividono le zone della ricchezza da quelle della miseria, i paesi industrializzati da quelli in via di sviluppo. Esistono ancora forti discriminazioni per motivi razziali, religiosi e ideologici. Anche nel nostro ambiente crescono aree di nuova emarginazione sociale e culturale. Ci sono, però, nel mondo anche tante spinte positive. La gravità dei pericoli sembra aver reso più attente le coscienze al valore della pace, all'impegno per essa, alla ricerca di metodi di azione non violenti. Organismi internazionali agiscono per comporre i conflitti. Cadono regimi totalitari e si afferma e si consolida la sensibilità per i diritti fondamentali di ogni uomo. Movimenti di liberazione, presa di coscienza della condizione femminile, attenzione alle realtà di emarginazione sono fenomeni che, pur talora in forme discutibili, aiutano a superare pregiudizi e barriere. Occasioni concrete di partecipazione alla vita sociale si offrono a chi vuole impegnarsi a rendere il proprio mondo un po' più giusto. Il cammino verso una Europa unita è invito a riscoprirne le radici, la cultura, pur nella difficoltà di comporre tradizioni, forze, risorse. Nel frattempo il Mediterraneo diventa un incrocio di culture, razze, problemi. Il terzo e il quarto mondo irrompono tra noi con la loro miseria e la richiesta di solidarietà. Giovani e adolescenti, che hanno già conosciuto guerre, fame, fughe e persecuzioni, cercano nella nostra comunità la possibilità di vivere e di progettare il loro fu turo, scontrandosi tante volte con il razzismo, l'intolleranza, lo sfruttamento. Il mondo vive tra spinte contrapposte, in un alternarsi di paure e speranze, di fiducia e disillusioni. Esso conosce anche un altro pericolo, nascosto e insidioso: quello della massificazione. I grandi centri di potere, diffusori di idee, di propagande, di mode e di consumi, cercano di influenzare e orientare informazioni e giudizi, gusti e bisogni, comportamenti e modelli di vita di tutti i giorni. Rischia così di andare perduta l'originalità della persona e la ricchezza della diversità culturale. Va nascendo una società più piatta e conformista. - Come ti informi di quel che avviene nel mondo? - Esistono per te luoghi di scambio, di discussione e di approfondimento sui problemi più grandi dell'umanità? - Partecipi alla soluzione dei problemi del quartiere, del paese, della città? - Sei capace di difendere la tua autonomia di giudizio e di critica verso la pubblicità, la moda e i modelli di vita più reclamizzati? I modelli della vita quotidiana A questa età il mondo non è più solo uno spettacolo, ma lo spazio in cui imparare a muoversi, a riflettere, a prendere posizione. Giornali, radio, televisione allargano sempre più gli orizzonti della conoscenza e della vita. Colpiti da mille immagini, rischiamo di seguire gli impulsi immediati, evitando la fatica di una sintesi interiore responsabile. Il cumulo di informazioni, di spettacoli, di provocazioni affascina e costringe a fare i conti con altri modelli di vita. Con insistenza ci viene proposta la figura di cantanti e attori famosi, degli eroi degli stadi, di uomini di potere e di prestigio sociale, di gente che ha soldi … È il mito del successo facile, della vita ridotta a spettacolo, dell'esasperata preoccupazione per il corpo; è la convinzione che il potere e il denaro diano tutto. Guardiamo anche attorno a noi. Quali testimonianze offre il mondo degli adulti? C'è chi ha realizzato la propria vita secondo un progetto deciso e chi, a parole o nei fatti, manifesta il proprio fallimento: divisioni in famiglia, insoddisfazioni nel lavoro, incapacità di rapporti e di dialogo con gli altri, sfiducia nella società … Molti, adagiati in una mediocrità senza slanci, danno l'impressione più che altro di subire la vita e accontentarsi di catturare, come surrogato, quelle occasioni e quei piaceri che sembrano rendere, giorno per giorno, la vita meno insopportabile. Ma, se guardiamo bene intorno a noi, ci sono tante persone che, pur in mezzo a fatiche e magari nel dolore, riescono a vivere in una profonda serenità interiore, a dare senso non solo alla loro vita, ma anche a quella degli altri: persone che vivono con coraggio la loro avventura umana. - Quali sono i personaggi di oggi che ti piacciono di più? - Che cosa vorresti avere di loro? - A quale figura di adulto della tua vita quotidiana, uomo o donna, ti piace ispirarti per il tuo futuro? Ascoltare Dio che parla: Cercare con gli altri la vita La Bibbia insegna a leggere la vita Le domande fondamentali che riguardano l'esito della vita, le gioie e le esperienze positive che offre, gli ostacoli che fatalmente incontra, l'insuccesso, il dolore e la morte che la minacciano, come pure i mille problemi che il vivere con gli altri porta con sé, segnano l'esistenza di ogni uomo nel mutare dei tempi e dei luoghi. Ogni popolo del mondo conserva gelosamente le risposte che giorno dopo giorno sono state date a questi interrogativi: un bagaglio di riflessioni e di insegnamenti, che costituisce un tesoro di sapienza, opera di intere generazioni. Dall'antichità ci sono giunte testimonianze di questa sapienza popolare: dal mondo della Mesopotamia, dall'Egitto, dalla Grecia … Sono raccolte di massime, di detti, di proverbi. Alcune esprimono esperienze di vita, altre sono insegnamenti di saggi che si propongono di educare l'uomo, il giovane, per indirizzarlo sulla via del giusto, del vero, del bene, aiutandolo a valutare le proprie esperienze. Anche Israele ha percorso questa strada dell'esperienza, in dialogo con le riflessioni dei popoli vicini, illuminato da una particolare assistenza di Dio. Uomini ispirati da Dio hanno fatto comprendere a Israele che attraverso il mondo che ci circonda, attraverso le vicende e le esperienze della vita è Dio stesso che parla. Il frutto di questa sapienza è presente in tutta la Bibbia, ma soprattutto nei libri chiamati appunto "sapienziali": Giobbe, Proverbi, Qoèlet, Sapienza, Siracide. In questi testi, che raccolgono l'antica riflessione e sapienza di un popolo, è Dio che si rivela, insegnandoci a leggere la vita e ad interpretarla. Guidati dallo Spirito, i saggi di Israele cercano risposte alle domande fondamentali della vita: come vivere per essere felici? perché la sofferenza e il dolore? dove va la vita? Essi si interrogano anche su come vivere con gli altri e aiutano a renderci più consapevoli delle nostre relazioni. Ci accostiamo ai libri sapienziali della Bibbia per allenarci a guardare la vita, per imparare ad osservare il mondo e a riflettere sulle esperienze fondamentali dell'uomo. Scheda: Parola di Dio per noi La Bibbia racchiude in sé scritti Composti nell'arco di un intero millennio: all'incirca dal 1000 a.C. al 100 d.C. Le radici delle più antiche tradizioni risalgono ancora più indietro nel tempo, a quasi tremila anni fa, fino alle origini di Israele, un piccolo popolo dell'Oriente. Nella vita quotidiana, come negli avvenimenti più importanti della sua storia, questo popolo sa di vivere una vicenda più grande: la Storia della salvezza che Dio, nel suo disegno d'amore, vuole realizzare per tutta l'umanità. Al centro di questa storia c'è Gesù, con il suo Vangelo, la sua morte e la sua risurrezione. Da lui nasce la Chiesa, che il Risorto invia nel mondo per annunciare, celebrare e testimoniare la salvezza. Protagonista di questa storia è Dio: egli cammina con il suo popolo, si rivela nella vita di Abramo, di Mosè, dei profeti; soprattutto si comunica agli uomini in Gesù, la parola di Dio fatta carne. Della lunga fase di preparazione, che precede la venuta di Cristo, parlano le Sacre Scritture ebraiche, che noi chiamiamo Antico Testamento; in esse Israele ha narrato la propria storia, ha espresso la propria sapienza e la propria fede, nelle forme più varie: racconti, leggi, proverbi, messaggi profetici, canti, preghiere … Dalla vita di fede della Chiesa delle origini nascono poi quegli scritti che testimoniano a noi Gesù e la predicazione del Vangelo a tutte le genti; sono lettere, narrazioni ( Vangeli e Atti degli apostoli ) e profezie ( Apocalisse ), che formano il Nuovo Testamento e si aggiungono alle Scritture ebraiche, costituendo la seconda parte della Bibbia. La Chiesa ci dice che nella Bibbia possiamo ascoltare ancora la voce del Dio vivente: essa infatti non solo contiene le tracce del dialogo e della storia del Signore con il suo popolo, ma è scritta per opera dello Spirito Santo, cioè sotto la sua luce e con la sua forza divina ( ispirazione ). Senza sostituire il normale cammino con cui un uomo dalla prima idea germinale giunge alla produzione compiuta di uno scritto, lo Spirito con questo speciale aiuto guida le facoltà dell'autore "ispirato" e sostiene le sue capacità espressive, in modo tale che quanto viene scritto non è solo parola di un uomo - di Isaia, o di Luca, o di Paolo - ma è a pieno titolo "parola di Dio". Messaggio divino in linguaggio umano, la Bibbia è, di conseguenza, assolutamente vera, di quella verità che il Padre vuole comunicarci per la nostra salvezza. Ad essa non ricorreremo per risolvere problemi di ordine scientifico, ma per attingervi quel messaggio di verità e di vita che solo Dio può donare. Dio, infatti - come diceva il Cardinale Baronio, con una espressione che fu ripresa da Galileo Galilei -, ha ispirato le Sacre Scritture per insegnarci "come si vada al cielo, non come vada il cielo". Riconoscere quali siano i libri sacri che formano la Bibbia è compito della Chiesa, che, guidata dallo Spirito Santo, nei primi secoli ne ha gradualmente fissato l'elenco ( canone ). Al magistero della Chiesa lo stesso Spirito affida la parola di Dio, perché la esponga fedelmente e la salvaguardi dalle manipolazioni a cui gli uomini sono tentati di sottoporla. Da questa "identità" della Bibbia discendono le condizioni per una sua lettura autentica ed efficace. Ogni brano deve essere letto tenendo conto del suo contesto, del linguaggio in cui si esprime, di tutti gli elementi utili a superare la distanza storica e culturale che c'è tra noi e lo scritto. Occorre però, soprattutto, lasciarsi illuminare dalla fede della Chiesa e leggere i libri sacri con l'aiuto dello stesso Spirito che li ha ispirati. Così la parola di Dio, accolta nella preghiera e posta a confronto con le vicende della vita, entra nel nostro cuore e diventa principio di un'esistenza nuova. Nella proclamazione liturgica, poi, la parola di Dio attua ancor oggi, per la Chiesa che l'accoglie nella fede, la storia della salvezza. Il "saggio" osserva, riflette e giudica La vita non si improvvisa. Ci sono situazioni ed esperienze che portano verso il bene e verso una vita armoniosa; altre invece conducono al male, concorrono a determinare un'esistenza votata alla distruzione. È saggio chi non pretende di inventarsi la vita da solo, ma sa fare tesoro dell'esperienza altrui. "L'insegnamento del saggio è fonte di vita per evitare i lacci della morte. Va' con i saggi e saggio diventerai, chi pratica gli stolti ne subirà danno" ( Pr 13,14.20 ). La ricerca della vera vita non si muove tuttavia solo su vie indicate da altri. Richiede anche che ciascuno cominci a riflettere sulle proprie esperienze, a valutarle con intelligenza. Chi avanza con queste accortezze è previdente; è sciocco, invece, chi si butta sulle prime cose che capitano, a costo di sciupare ciò che ha di più prezioso nella vita. "L'accorto agisce sempre con riflessione, lo stolto mette in mostra la stoltezza. L'accorto vede il pericolo e si nasconde, gli inesperti vanno avanti e la pagano" ( Pr 3,16; Pr 22,3 ). Traguardo ideale è l'uomo riflessivo, capace di valutare in ogni momento la portata morale delle proprie scelte, per fare il bene e fuggire il male. "La strada degli uomini retti è evitare il male, conserva la vita chi controlla la sua via" ( Pr 16,17 ). Esperienza, riflessione e capacità di valutare le scelte sono pure la strada per ben orientare i rapporti con gli altri. La prima scuola della vita È difficile imparare da soli; ancor più lo è vivere da soli. Come in tutti i popoli, anche in Israele è la famiglia la prima scuola di vita. L'affetto con cui i genitori circondano i figli diventa per questi il contesto ideale nel quale affrontare giorno per giorno le novità della vita, cogliere il senso delle prime esperienze, prendere coscienza di sé. L'insegnamento dei genitori è testimonianza di un'esperienza che aiuta ad individuare valori autentici. "Ascolta, figlio mio, l'istruzione di tuo padre e non disprezzare l'insegnamento di tua madre. Fate attenzione per conoscere la verità. Anch'io sono stato un figlio per mio padre, tenero e caro agli occhi di mia madre. Egli mi istruiva dicendomi: Il tuo cuore ritenga le mie parole; custodisci i miei precetti e vivrai" ( Pr 1,8; Pr 4,1.3-4 ). Nella famiglia non ci sono soltanto genitori e figli, ma anche fratelli e sorelle: i rapporti umani si allargano, come pure il confronto e lo scambievole aiuto. E una fraternità che chiede di esprimersi in legami profondi di dialogo e di solidarietà. "Sei cose odia il Signore, anzi sette gli sono in abominio: occhi alteri, lingua bugiarda, mani che versano sangue innocente, cuore che trama iniqui progetti, piedi che corrono rapidi verso il male, falso testimone che diffonde menzogne e chi provoca litigi tra fratelli. Non fabbricare menzogne contro tuo fratello e neppure qualcosa di simile contro l'amico. Non cambiare un amico per interesse, né un fratello fedele per l'oro di Ofir" ( Pr 6,16-19; Sir 7,12.18 ). In Israele la famiglia è di solito arricchita dalla presenza degli anziani. Anche verso di loro devono convogliarsi i sentimenti dei giovani: il rispetto, l'affetto, la fiducia, la venerazione per l'età e per l'esperienza che volentieri offrono agli altri. "Corona dei vecchi sono i figli dei figli, onore dei figli i loro padri. Chi rovina il padre e fa fuggire la madre è un figlio disonorato e infame. Ascolta tuo padre che ti ha generato, non disprezzare tua madre quando è vecchia. Corona dei vecchi è un'esperienza molteplice, loro vanto il timore del Signore" ( Pr 17,6; Pr 19,26; Pr 23,22; Sir 25,6 ). Gli amici: il tempo del dialogo e del confronto La saggezza dei sapienti insegna quanto sia prezioso, nella vita, avere accanto alcuni amici. Ragazzi e giovani si avventurano oltre i confini della famiglia, alla ricerca di relazioni più vaste, di compagni e compagne con cui condividere gioie e delusioni dell'aprirsi alla vita. "Il profumo e l'incenso allietano il cuore, la dolcezza di un amico rassicura l'anima. Un amico fedele è una protezione potente, chi lo trova, trova un tesoro. Per un amico fedele, non c'è prezzo, non c'è peso per il suo valore. Un amico fedele è un balsamo di vita, lo troveranno quanti temono il Signore" ( Pr 27,9; Sir 6,14-16 ) È però necessario distinguere le amicizie rovinose o interessate da quelle sincere e costruttive, come pure essere capaci di vera amicizia e di solidarietà. La vita è buona se è rispettosa degli altri, se sa conquistarsi la fiducia, se non ripaga il male col male, se soccorre con generosità chi è nel bisogno. "Un amico vuol bene sempre, è nato per essere un fratello nella sventura. Ci sono compagni che conducono alla rovina, ma anche amici più affezionati di un fratello. Molti sono gli adulatori dell'uomo generoso e tutti sono amici di chi fa doni. Chi chiude l'orecchio al grido del povero invocherà a sua volta e non otterrà risposta" ( Pr 17,17; Pr 18,24; Pr 19,6; Pr 21,13 ). Non manca nella riflessione dei saggi di Israele una specifica attenzione a quell'esperienza di sentimenti nuovi, di attrazioni istintive che ragazzi e ragazze vivono come una scoperta carica di mistero nell'età dell'adolescenza. Occorre mettersi in guardia da illusioni e da falsità. L'interesse all'altro o all'altra, al suo aspetto fisico, alle sue qualità spirituali, ai suoi progetti e speranze è cammino di scoperta reciproca, sono i primi passi verso future scelte più stabili. "Non ti abbandonare alla tua passione, perché non ti strazi come un toro furioso. Sii costante nel tuo sentimento, e unica sia la tua parola. Trova gioia nella donna della tua giovinezza: sii tu sempre invaghito del suo amore!" ( Sir 6,2; Sir 5,10; Pr 5,18-19 ). I grandi perché Tra i saggi di Israele c'è anche chi, come Giobbe o Qoèlet, si interroga sul significato del vivere e del morire, dell'amore e dell'odio, della sofferenza dell'innocente … Nulla può dare sicurezza all'uomo: né la salute, né la casa, né gli amici. Occorre riconoscere che nella vita ci sono solitudini e false speranze. All'uomo sembrano rimanere soltanto le momentanee esperienze positive che Dio concede. "Sta' lieto, o giovane, nella tua giovinezza, e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù. Segui pure le vie del tuo cuore e i desideri dei tuoi occhi. Sappi però che su tutto questo Dio ti convocherà in giudizio" ( Qo 11,9 ). E c'è una domanda più radicale. La vita è un enigma, un dramma, perché su tutti, buoni e cattivi, tristi e felici, incombe l'ombra della morte. "Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica? Tutti sono diretti verso la medesima dimora: tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere" ( Qo 3,9.20.20 ). La vita non dà che parziali soddisfazioni. E noi, disincantati da visioni troppo ottimistiche e ormai lontani dalle immagini infantili e magiche di Dio, possiamo trovarci d'accordo con la riflessione realistica di questo antico sapiente. L'esigenza di una comunione piena, totale, che superi ogni diaframma, è dentro di noi, ma si scontra inevitabilmente con il muro di piccolo o grande egoismo in cui ciascuno si rinchiude e si difende dagli altri. Così nessun sentimento è mai totalmente puro, nessun affetto mai radicalmente dono, nessuna solidarietà mai condivisa senza riserve. Soprattutto, finché non siamo liberati dalla morte, ogni ricerca di un senso per la nostra esistenza non trova risposta piena. Dalla coltre di oscurità che ricopre la vita, emerge la domanda, l'invocazione: chi ci libererà dalla paura e dall'ombra della morte? La risposta fondamentale della Bibbia a questi problemi, che si agitano nel cuore di ognuno, è che il mistero dell'uomo rinvia a un mistero più grande: quello di Dio. Se Dio non esistesse, avverte il libro della Sapienza, l'uomo sarebbe un assurdo e la sua vita senza luce e senza speranza. Gli empi "dicono tra loro sragionando: Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati" ( Sap 2,1-2 ). È stolto colui che non vuole riconoscere la presenza di Dio attraverso i segni che di lui ci sono offerti nel mondo e nella storia. "Davvero sono stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell'ignoranza di Dio, e dai beni visibili non riconobbero Colui che è, non riconobbero l'artefice, pur considerandone le opere. Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l'autore" ( Sap 13,1.5 ). Certamente i saggi di Israele non si pongono il problema dell'ateismo come si pone oggi; essi giudicano il rifiuto pratico di Dio, cioè la condotta di quanti vivono come se Dio non esistesse. Tuttavia la loro riflessione, guidata dallo Spirito, offre una via alla ricerca di verità e di senso che ogni persona porta nel cuore. È una via che non rifiuta l'uso corretto della ragione, il confronto con gli altri, ma si apre alla luce superiore della fede. La nostra esperienza e la sapienza rivelata di Israele si incontrano in un interrogativo di fondo: il significato vero della vita, la sua necessaria apertura agli altri, i grandi perché che l'accompagnano, dove possono trovare risposta piena e definitiva? chi ci svelerà il segreto di una vita che si realizza nella comunione con Dio e con gli uomini? Incontrare Gesù Cristo: Gesù, il volto dell'amore Gesù e i suoi Quando apriamo il Vangelo, siamo abituati a farlo con la convinzione di leggere la storia di qualcuno che già sappiamo bene chi è: il Figlio di Dio fatto uomo. Non ci mettiamo nella situazione dei primi discepoli che dovettero, per la prima volta, rispondere alla domanda: chi è Gesù? Rischiamo così di non avvertire alcuna sorpresa di fronte alle sue parole e ai suoi gesti, e sentiamo lontani i primi inquietanti interrogativi sulla sua misteriosa identità che si andava ponendo chi lo aveva seguito. Proviamo a lasciarci raggiungere anche noi, come i pescatori del lago di Galilea, dalla parola forte e dolce di Gesù, che ci viene incontro e ci invita ad esporci senza riserve all'avventura di una vita con lui. A prima vista egli ci può sembrare come uno dei tanti "rabbì" del suo tempo, vale a dire un maestro della Legge, della via che conduce al Signore. E così doveva apparire agli occhi della gente. Ma, se ci si mette al suo seguito insieme ai discepoli, ci si accorge ben presto che egli svolge questo ruolo con inaudita libertà. A differenza degli altri "maestri", Gesù non attende che i discepoli chiedano di essere ammessi alla sua scuola: li sceglie lui personalmente, con autorità indiscussa, e li chiama a seguirlo non per un periodo limitato, ma definitivamente e senza sperare altro che di rimanere sempre e solo discepoli ( Mt 23,8-10 ). Gesù ai suoi chiede di rinunciare a tutto per lui, non solo ai beni, ma anche ai legami più sacri ( Lc 14,26-27 ). Autorevole ed esigente, Gesù però non si pone mai nei confronti dei suoi come un padrone rigoroso e fiscale. Li manda a predicare senza borsa, senza bisaccia, ma non fa mai mancare loro il necessario e al loro ritorno si premura di farli riposare ( Mc 6,7-9.30-31 ). Non si chiude mai nel geloso isolamento di chi pretende di far tutto da sé, ma coinvolge i discepoli nella missione, aiutandoli a farsi carico della gente senza pane e senza speranza ( Mc 6,35-43 ); li vuole totalmente come suoi e li sente come la sua vera famiglia ( Mc 3,31-35 ), ma non si trova in lui la minima traccia di una possessività meschina e morbosa: se vogliono andarsene, egli è pronto anche a rimanere da solo ( Gv 6,67 ). Con la sicurezza autorevole del maestro e la cordiale disponibilità dell'amico, Gesù va pazientemente plasmando una comunità nuova, regolata dalla legge dell'amore, da cui è inseparabile il perdono. Un perdono che non basta mormorare a fior di labbra, ma che deve scaturire dall'accoglienza del cuore; un perdono capace di riprendere sempre da capo l'iniziativa dell'amore verso chi ci ha fatto del male ( Mt 18,21-22 ). Rifiutare al fratello la profondità e l'ampiezza di questo perdono, significa escludersi dallo sconfinato perdono di Dio ( Mt 6,14-15 ). Per poter vivere l'attenzione reciproca, l'umile ricerca del fratello e la disponibilità al perdono, la comunità del Regno sa di dover stabilire un nuovo modello di grandezza, diverso, anzi opposto a quello su cui si misurano i grandi della terra. Questi costruiscono la loro grandezza sul prestigio, sulle capacità, sui mezzi che possiedono. Ma in tal modo schiacciano i più fragili, oscurano i più deboli, emarginano i più poveri, creando un'umanità sofferente e divisa. Nella comunità di Gesù la vera grandezza è espressa nell'immagine di un bambino. Chi, come un bambino, si sente fragile e debole di fronte a Dio, ma al tempo stesso pienamente fiducioso in lui, non rifiuterà mai la solidarietà e l'aiuto, neppure al più disprezzato. Egli sarà grande perché saprà costruire, con le sole armi della fiducia e dell'amore divino, nuovi e insperati sentieri di comunione e di pace tra gli uomini. Diventare come i bambini In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: "Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?". Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: "In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me". ( Mt 18,1-5 ) Gesù e gli ultimi Gesù si presenta come maestro di nuove relazioni umane, non solo con la parola, ma soprattutto con mille gesti di delicata attenzione e di disarmata disponibilità ad un'accoglienza che non conosce barriere. Ha amicizie sentite e profonde, come con Marta, con Maria e con il loro fratello Lazzaro. Riguardo a quest'ultimo la gente dirà: "Vedi come lo amava!" ( Gv 11,36 ). Accetta inviti a pranzo anche dai notabili farisei. Accoglie, però, di preferenza, peccatori e pubblicani, e mangia volentieri con loro. Fortemente innovatore è anche il suo atteggiamento verso le donne, comunemente emarginate dalla società del tempo: è un atteggiamento improntato a grande trasparenza e profondità. A volte ciò provoca stupore, sorpresa, spesso al limite dello scandalo, come quando i discepoli si meravigliano nel vederlo discorrere con una donna samaritana a Sicàr, presso il pozzo di Giacobbe ( Gv 4,27 ). Un giorno, un fariseo che lo ha invitato a pranzo resta turbato nell'assistere ad una scena per lui assolutamente sconveniente: una peccatrice si accosta a Gesù, bagna di lacrime i suoi piedi, poi li asciuga con i propri capelli, li bacia e li unge di profumo ( Lc 7,36-39 ). Da sgomento ancora più grande, anzi da "santo sdegno" devono essere stati presi i notabili del popolo nell'ascoltare il maestro galileo proclamare: "I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio" ( Mt 21,31 ). Ma l'atteggiamento di Gesù non è equivoco o ingiusto. Esso riflette l'agire di Dio, che non segue una logica umana: i suoi pensieri non sono quelli degli uomini. Egli dà la sua benevolenza gratuitamente anche a chi sembra non meritarla, come quel padrone della vigna che dà un denaro per vivere anche agli operai dell'ultima ora ( Mt 20,1-16 ). Soprattutto egli gioisce immensamente quando può accogliere e perdonare il peccatore, come gioiscono il padre per il ritorno del figlio che si era allontanato da casa, e la donna e il pastore per il ritrovamento della moneta e della pecora smarrite ( Lc 15 ). La peccatrice perdonata Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. A quella vista il fariseo che l'aveva invitato pensò tra sé: "Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice". Gesù allora gli disse: "Simone, ho una cosa da dirti". Ed egli: "Maestro, di' pure". "Un creditore aveva due debitori: l'uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?". Simone rispose: "Suppongo quello a cui ha condonato di più". Gli disse Gesù: "Hai giudicato bene". E volgendosi verso la donna, disse a Simone: "Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m'hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco". Poi disse a lei: "Ti sono perdonati i tuoi peccati". Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: "Chi è quest'uomo che perdona anche i peccati?". Ma egli disse alla donna: "La tua fede ti ha salvata; va' in pace!". ( Lc 7,36-50 ) Gesù e gli avversari Un messaggio tanto aperto e un atteggiamento così sconcertante irritano notabili del tempo, grandi sacerdoti e soprattutto alcuni appartenenti al movimento dei farisei Contro Gesù si levano critiche dure: "Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori" ( Mt 11,19 ); "Costui riceve i peccatori e mangia con loro" ( Lc 15,2 ). L'accusa più pesante è che questo maestro lascia che i discepoli trasgrediscano la grande legge del sabato, anzi accantona egli stesso questa legge per guarire in giorno di sabato persone malate. Non si era tentato di rendere più umana una legge tanto esigente, ampliando l'elenco di azioni che in quel giorno erano permesse? Gesù, però, supera ogni limite. La spirale dell'opposizione si va stringendo. Per uscirne fuori, gli basterebbe fare un'autocritica. Ma, come Giovanni che lo ha preceduto, egli non è "una canna sbattuta dal vento" ( Mt 11,7 ), e perciò continua a seguire la sua strada, pronto a pagare con la vita il prezzo della fedeltà alla missione intrapresa. Eppure la sua coerenza così totale e perseguita fino all'estremo non sconfina mai in una chiusura sprezzante. Anche quando ascoltiamo sulle sue labbra invettive infuocate ( Mt 23,1-36 ), non si tratta mai di amarezza risentita, ma dell'appassionato assalto per far breccia in cuori che si chiudono alla sua parola. Gesù e il Padre Cos'è che spinge Gesù ad instaurare con gli altri relazioni improntate ad austerità e tenerezza, e lo fa essere insieme disponibile ed esigente? Da che cosa è determinata questa sua sovrana sicurezza, che lo porta a superare anche l'angoscia paralizzante generata dalla minaccia della morte? Noi lo udiamo raccomandare ai suoi discepoli: "E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima" ( Mt 10,28 ). E a Dio che occorre guardare. A lui si deve affidare la vita e la morte, perché ci vuol bene, si prende cura di noi, conosce anche i capelli del nostro capo. Abbiamo forse già intuito il segreto di questa vita interamente dedicata all'amore: la totale fiducia filiale nel Padre. A lui Gesù si affida nella preghiera nei momenti decisivi della sua vicenda tra gli uomini ( Lc 5,15; Lc 6,12; Lc 9,18.28; Lc 22,41 ). Nella lingua del suo tempo, Gesù lo chiama con un appellativo straordinario ed unico, che i primi cristiani ci hanno conservato: "Abbà" ( Mc 14,36 ). Nella famiglia ebraica era questa l'invocazione affettuosa con il quale un figlioletto si rivolgeva al proprio papà. Gesù condivide con gli ebrei suoi contemporanei l'abitudine liturgica di rivolgersi a Dio come Padre; ma nessuno prima di Gesù aveva osato chiamare Dio in tal modo: "Papà". Questo coraggio proviene a Gesù dalla consapevolezza della sua identità divina e della sua intima unione con il Padre: "Io e il Padre siamo una cosa sola" ( Gv 10,30 ). Egli così manifesta nella storia quel mistero profondo che lega il Padre, il Figlio e lo Spirito in una comunione di amore. Un giorno dirà: "Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite" ( Gv 8,29 ). Il Padre è l'assoluto nella sua vita, un assoluto che inserisce i valori più sacri e gli affetti più cari in un orizzonte più vasto, capace di dare le giuste proporzioni ai rapporti con le cose e le persone. È questo orizzonte che ci permette di penetrare nel mistero del rapporto particolarissimo vissuto da Gesù con i suoi familiari. L'evangelista Luca ce lo mostra adolescente, alla sua prima visita al tempio, mentre si distacca dai suoi e si ferma a parlare con i dottori della Legge, provocando angoscia in Maria e Giuseppe. Non è un gesto di indipendenza sconsiderata, perché poi tornerà con loro al paese in piena sottomissione fino all'età di trent'anni. Il segreto di un tale atteggiamento, inaspettatamente libero, l'evangelista lo colloca sulla sua bocca: "Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" ( Lc 2,49 ). Anche durante il suo ministero pubblico, quando alcuni suoi parenti tentano di riportarlo a casa perché lo considerano fuori di sé, non si lascia sviare dalla sua missione ( Mc 3,21 ). E nel momento in cui i suoi vengono a visitarlo, prende l'occasione per proclamare: "Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre" ( Mc 3,35 ). Egli non disprezza minimamente le relazioni familiari, eppure ha una missione che gli preme di più e che riempie la sua esistenza: quella di far conoscere l'amore del Padre, ricco di misericordia. Proprio per questo amore che lo lega al Padre, perché egli forma con lui, nello Spirito, un'unità inscindibile, Gesù si sente libero di fronte alle realtà del mondo, capace di accostare tutti, anche gli esclusi, in grado di risanare la vita e di rinnovarla attraverso il perdono, non costretto né da autorità né da tradizioni umane, totalmente aperto all'amore anche di chi vuole la sua morte, fino a lasciarsi tradire da uno dei suoi e baciare da lui. Di fronte ad una vita totalmente condotta nel segno dell'amore più gratuito, non si può non provare nostalgia nel riandare con la mente alla vicenda dei primi discepoli, che hanno avuto la fortuna di vivere con un simile maestro. Tuttavia non si può pensare che la storia di Gesù sia destinata a rimanere un malinconico, struggente ricordo. Egli stesso ha proclamato beati "quelli che pur non avendo visto crederanno" ( Gv 20,29 ). Noi non lo abbiamo visto, eppure, ogni volta che ripercorriamo la sua vicenda, il cuore rimane afferrato da un ideale: poter vivere anche noi come suoi discepoli. Ma come è possibile superare la distanza di duemila anni di storia, entrare in relazione con lui e condividere anche noi il suo destino? Egli ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" ( Mt 18,20 ). Affidarsi al Padre "Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta". ( Mt 6,25-33 ) Scheda: Una giornata di Gesù Ci sono vari modi per accostarsi all'esistenza di una persona che vive un grande ideale: ascoltarne le parole più impegnate e insistenti, coglierne i gesti più significativi, ma anche analizzarne quel messaggio che è il suo comportamento abituale. I Vangeli, si sa, non sono una cronaca giornalistica sulla vita di Gesù, ma, nel trasmettere la fede in lui come Figlio di Dio e Salvatore, ne riferiscono parole e gesti con fedele obiettività, e ci permettono di cogliere il centro di interesse che muove la sua esistenza, mettendo in luce lo svolgimento quotidiano della sua vita. Ecco, ad esempio, come l'evangelista Marco riporta una giornata "tipo" di Gesù. Andarono a Cafàrnao e, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare. Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: "Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio". E Gesù lo sgridò: "Taci! Esci da quell'uomo". E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si Chiedevano a vicenda: "Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!". La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea. E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e, trovatolo, gli dissero: "Tutti ti cercano!". Egli disse loro: "Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!". E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni. ( Mc 1,21-39 ) 1. Al mattino nella sinagoga ( Mc 1,21-28 ) Gesù insegna e il suo messaggio provoca stupore e sbalordimento, perché egli rivendica per sé un'autorità superiore a quella dei maestri della Bibbia ( gli scribi ). La sua parola è potente; si impone immediatamente sul maligno e restituisce un povero uomo alienato ad una vita pienamente umana. Gesù è il "santo di Dio", colui che partecipa alla potenza di Dio stesso e segna la fine del regno delle forze demoniache sul mondo. 2. In casa di Simone ( Mc 1,29-31 ) La suocera di Simone è a letto con la febbre. Gesù, superando il condizionamento della mentalità del tempo, che non giudicava opportuno accostarsi ad una donna in quelle condizioni, la solleva prendendola per mano e la guarisce. È il primo miracolo di guarigione riportato da Marco; il racconto culmina nell'annotazione: "ed essa si mise a servirli". Questa donna liberata dal male e pronta a servire indica emblematicamente chi è il discepolo: colui che viene liberato per mettere la sua vita a servizio di Cristo e dei fratelli. 3. Al tramonto davanti a tutta la città ( Mc 1,32-34 ) Al termine della giornata, il tramonto del sole segna ufficialmente la fine del riposo del sabato: si può riprendere l'attività e ci si può mettere in cammino, come negli altri giorni, per accompagnare i malati da Gesù. Egli li guarisce, ma impone il silenzio sulla sua identità di Messia, per evitare ogni equivoco che ne stravolga la verità profonda: solo chi ha il coraggio di fare il cammino con lui fino alla croce e di accogliere il suo ultimo respiro come il segno più grande dell'amore, potrà gridare la fede in lui come Figlio di Dio ( Mc 15,39 ) 4. Di notte in preghiera ( Mc 1,35-39 ) Dopo una giornata di guarigioni e di successo, Gesù sente che l'entusiasmo della gente potrebbe allontanarlo dalla missione affidatagli dal Padre. Si ritira nella solitudine: la preghiera gli fa riprendere la strada dell'annuncio della salvezza; la comunione con il Padre lo porta di nuovo a scegliere gli uomini, il loro servizio, non il proprio successo. La misteriosa identità di Cristo comincia a trasparire. Egli è un fedele israelita che entra nella sinagoga per pregare, ma si apre alla città e ne risana i malati. E un maestro che non solo predica in nome di Dio, ma anche opera con segni miracolosi la salvezza che annuncia. Passa per città e villaggi spendendosi in un'attività infaticabile per guarire e beneficare, ma sa rientrare nel segreto più intimo della propria persona, per ritrovare nel colloquio con il Padre le risorse più vive della propria missione. Chi lo incontra non finirà di stupirsi del suo mistero. Vivere la comunione nella Chiesa: Testimoni di amore e di fraternità Un progetto d'amore per gli uomini In Gesù, Dio ci ha svelato in pienezza il suo misterioso piano di amore: riunire gli uomini, divisi a causa del peccato, e tutte le cose sotto di lui, come sotto un unico Capo. È con immensa gioia che l'apostolo Paolo spiega tutto questo ai cristiani di Efeso, in un inno di lode e di ringraziamento al Padre: "Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo … Egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà … il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose" ( Ef 1,3.9.10 ). Possiamo guardare con speranza e fiducia alla storia degli uomini, perché è certo che Dio è segretamente all'opera per far fiorire, attraverso tante strade diverse, i frutti della pace. In tutte le manifestazioni di riconciliazione, fratellanza, amicizia, unità familiare, solidarietà fra gruppi, aiuto reciproco tra popoli, aspirazione appassionata alla pace possiamo intravedere i segni di quel mondo nuovo che Dio sta edificando. E tuttavia non possiamo chiudere gli occhi sulla fragilità, anzi talvolta sull'ambiguità di certi impegni umani nel vivere i rapporti con gli altri: interessi di parte, entusiasmi passeggeri, paura di pagare di persona, incapacità di andare alla vera radice dei conflitti e quindi di trovare i mezzi efficaci di comunione. La riconciliazione, l'amore, la pace nascono solo attraverso il sacrificio di sé. È quanto ci ha insegnato Gesù, lui che è "la nostra pace" ( Ef 2,14 ). Con la sua paziente, eroica opera di amore e di perdono, culminata nell'immolazione della croce, egli ha abbattuto - come ricorda Paolo - le barriere e le inimicizie che lacerano la vita degli uomini; ha mostrato la pericolosità e la vanità di quei pregiudizi umani che creano privilegi e discriminazioni; soprattutto ha liberato gli uomini dalla cecità dell'odio, ha concesso loro il dono di guardarsi in faccia e tendersi la mano come fratelli e sorelle, figli e figlie di quell'unico Padre che è Dio-Amore ( Ef 2,14-18 ). Segno e strumento di unità Il progetto di comunione, che Dio ha per tutti gli uomini, è il dono e l'annuncio che la Chiesa deve portare come parola di speranza nel mondo. Lo fa, anzitutto, con la sua stessa vita. Già nel suo esistere e nel suo modo di vivere essa è un segno visibile per tutti della comunione e della pace che Dio offre all'umanità. La sua unità e il suo costruirsi come comunità non dipendono dal fatto che quanti vi partecipano abbiano la stessa educazione, le stesse inclinazioni, uno stesso ruolo sociale e un'identica cultura. Al contrario, questo popolo nuovo raccoglie in sé le persone più diverse. Nessuna motivazione sociale e nessuna affinità semplicemente umana ne può spiegare la nascita e la crescita. Soltanto la fede in Dio, che ama gli uomini come suoi figli, che dona lo Spirito del suo amore perché gli uomini vivano riconciliati, è il fondamento dell'unità nella Chiesa. In forza di questo dono immenso, tutte le diversità umane vanno superate: "Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c e più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" ( Gal 3,26-28 ). La Chiesa è un unico corpo perché ha ricevuto lo Spirito dell'amore divino, che la fa sperare in una comunione piena; perché ha riconosciuto in Gesù Cristo il Signore e il Maestro della vita; perché ha visto in Dio il volto di un Padre, che ci edifica in una fratellanza nuova ( Ef 4,4-6 ). Nell'Eucaristia la Chiesa celebra questa comunione: quanti mangiano dell'unico Pane e bevono dell'unico Calice formano un unico corpo. Forte di questa esperienza, la Chiesa si fa segno a tutti gli uomini, perché riconoscano la fonte vera della comunione. E in realtà, pur ammettendo le tante fragilità e manchevolezze dei cristiani nel vivere la vocazione dell'amore, chi può negare l'impegno, lo sforzo di testimonianza delle comunità cristiane nella storia e anche nel mondo di oggi? la loro costante attenzione agli ultimi, quali i poveri e i malati? le molteplici forme di perdono e riconciliazione, talvolta eroiche, di tanti suoi figli e figlie? l'aiuto reciproco tra le Chiese? il dialogo continuo con uomini di altre religioni e con ogni persona di buona volontà? l'instancabile promozione della pace fra i popoli? Gesù modello e via di una nuova umanità Le pagine della storia della Chiesa sono piene di testimoni di amore, di fraternità e di dialogo. Ogni comunità ed ogni credente può trovare in essa orientamento, motivazioni e forza per le sue scelte. L'insegnamento del Papa e dei Vescovi - il Magistero - raccoglie e dà nuovo impulso all'esperienza di una comunità che cammina con gli uomini, come il Cristo per le strade della Palestina. Il Concilio Vaticano II ha illuminato le relazioni dei credenti con tutti gli altri uomini riferendole alla persona stessa di Gesù: la sua incarnazione dentro la vita umana non fu solo il più grande evento della storia, ma è anche fondamento e origine della solidarietà di ogni credente con la vita dei fratelli. In uno dei documenti del Concilio si legge: "Lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della convivenza umana. Fu presente alle nozze di Cana, entrò nella casa di Zaccheo, mangiò con i pubblicani e i peccatori. Egli ha rivelato l'amore del Padre e la privilegiata vocazione degli uomini, rievocando gli aspetti più ordinari della vita sociale e adoperando linguaggio e immagini della vita d'ogni giorno. Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali traggono origine i rapporti sociali, volontariamente sottomettendosi alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di un lavoratore del suo tempo e della sua regione. Nella sua predicazione espressamente comandò ai figli di Dio che si trattassero vicendevolmente da fratelli. Nella sua preghiera chiese che tutti i suoi discepoli fossero "uno". Anzi egli stesso si offrì per tutti fino alla morte, redentore di tutti. "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" ( Gv 15,13 ). Comandò, inoltre, agli apostoli di annunciare il messaggio evangelico a tutte le genti, perché il genere umano diventasse la famiglia di Dio, nella quale la pienezza della legge fosse l'amore". ( Gaudium et spes 32 ) Una comunione nel servizio reciproco La comunione non può nascere da calcoli umani, da semplici legami di razza o di cultura. Ogni qualvolta gli uomini hanno coltivato questi miti, hanno prodotto nuove divisioni e discriminazioni. La comunione ha inizio là dove, superando ogni distinzione, gli uomini accolgono il dono di un Dio che, in Gesù, ha rivelato una paternità nuova, perché essi formino una sola famiglia. Per questo la Chiesa, vivendo la comunione, offre un servizio agli uomini, bisognosi di riconoscere le strade che conducono alla pace. Tale servizio esige umiltà, perché gli atteggiamenti orgogliosi e sprezzanti possono creare spaccature e incomprensioni. Esige anche accoglienza e bontà, perché ignorare gli altri o essere duri con loro può allontanarli da noi. Richiede soprattutto comprensione, pazienza e capacità di perdono, perché i limiti e gli errori non divengano motivo di una rottura definitiva. Paolo raccomanda ai cristiani della comunità di Efeso: "Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace" ( Ef 4,1-3 ). Di fronte alle difficoltà, alle diversità, alle incomprensioni che sempre possono manifestarsi nella comunità cristiana, quanti hanno compreso il dono della comunione non lasciano nulla di intentato per ritrovare la via del dialogo, dell'accettazione e dell'unità. Far crescere la comunione, però, significa anche scoprire un vero atteggiamento di servizio nei confronti degli altri. A ciascuno sono stati dati doni particolari perché li metta a disposizione della crescita dei fratelli ( Ef 4,7 ). Tutti, quindi, nella comunità cristiana, siamo chiamati a diventare protagonisti, con impegni e funzioni diverse, nella edificazione dell'amore e della comunione. Anche coloro che sono deboli o si credono inutili possono dare molto e quindi devono essere rispettati e valorizzati ( 1 Cor 12,12-27 ). I compiti differenti che ciascuno si assume nell'annuncio della parola, nella celebrazione della liturgia, nel servizio dei fratelli, magari più poveri e dimenticati, non devono divenire motivo di distacco o di contrasto, ma servire a mostrare e a realizzare una comunità che cresce, con ricchezza e varietà, verso la pienezza dell'amore di Cristo ( Ef 4,11-16 ). Per far fronte alle esigenze che nascono da questi compiti, anche concreti, la Chiesa si dà strutture e organismi, a servizio dell'annuncio della parola di Dio, della vita liturgica, della testimonianza della carità. Tutti i cristiani devono concorrere a sostenerli e svilupparli, con il proprio contributo di tempo e di mezzi. In questo dovere di condivisione rientra anche il sostentamento economico di quanti, a tempo pieno, si impegnano nel ministero pastorale. La comunità cristiana, provvedendo alle loro necessità materiali, consente e facilita la loro dedizione ad un servizio senza riserve e con totale libertà. Una esperienza concreta Dove è possibile incontrare la Chiesa santa di Dio, che esprime la comunione? Il suo volto più immediato e feriale lo si scopre nella comunità parrocchiale. Qui, nell'ascolto della Parola e nel cammino della catechesi, cresce la fede dei fanciulli, si consolida la ricerca dei giovani, matura l'esperienza credente degli adulti, trova conforto la speranza degli anziani. Alla domenica, nell'assemblea eucaristica parrocchiale, si manifesta e si realizza la realtà profonda che unisce credenti tanto diversi per età, condizione sociale, cultura, esperienza ecclesiale: insieme si loda e si ringrazia il Signore, ci si fa attenti e obbedienti alla sua Parola, si riceve il dono della sua presenza e del suo amore, per essere resi capaci di amore reciproco nelle svariate situazioni della vita. E ancora la parrocchia è il luogo proprio della celebrazione di tutti i sacramenti, che ci introducono e ci accompagnano nel cammino di discepoli del Signore. La comunità parrocchiale, inoltre, costituisce la prima concreta opportunità offerta a ciascuno per imparare lo stile di vita cristiana, attraverso l'esercizio concreto del servizio, sulle orme di Gesù. Chi ha la pazienza di vivere dentro questa realtà scoprirà, insieme alle inevitabili fatiche, una ricchezza di vita e di esperienze, che può segnare positivamente la sua esistenza. La nostra esperienza di Chiesa più immediata ci riconduce alla parrocchia, ma la realtà della Chiesa nella sua pienezza si rende presente e visibile nella Chiesa particolare o diocesi. Nella diocesi è veramente presente e agisce la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Qui il vescovo, segno di Cristo Pastore, coadiuvato dal suo presbiterio, raccoglie intorno alla Parola e all'Eucaristia il popolo dei credenti, perché sia in quel luogo il segno reale dell'amore di Dio per gli uomini. In questo contesto acquista particolare significato la partecipazione alle celebrazioni presiedute dal vescovo nella chiesa cattedrale e l'attivo coinvolgimento nelle scelte e nelle iniziative diocesane. Nella Chiesa diocesana si incontrano comunità religiose, come pure associazioni, gruppi e movimenti laicali. Le diverse scelte di vita, una particolare spiritualità, l'impegno in specifici ambiti ecclesiali e sociali costituiscono modi concreti di esprimere la ricchezza viva del Vangelo e di contribuire alla crescita armonica di tutta la comunità. Attraverso la Chiesa particolare, in quanto essa è in comunione con tutte le Chiese, lo sguardo e l'azione si aprono all'universalità della Chiesa. Riesce così possibile esprimere e sperimentare la grande fraternità che unisce tutti i credenti in Cristo e li fa diventare strumento di promozione dell'unità e della pace per il mondo. Lo stile di una vita nuova nel rapporto uomo-donna La comunione nell'amore, che Gesù ha reso visibile nella Chiesa, deve diventare uno stile di vita che incide in tutti i rapporti sociali. Così, la naturale attrattiva tra uomo e donna, che abbiamo visto carica di possibilità, ma anche sempre esposta al pericolo di deviazioni e sopraffazioni, riceve, in questa prospettiva, una destinazione più alta e insperata. È quanto Paolo suggerisce, mostrando come il rapporto pieno e stabile tra l'uomo e la donna sia chiamato a diventare, nel matrimonio, il segno visibile dell'unione tra Cristo e la Chiesa ( Ef 5,25-32 ). E un mistero grande questo; è la mèta di un lungo e paziente cammino, nutrito di rispetto, di dono reciproco, di comprensione e di vicendevole aiuto nella crescita, che deve accompagnare il sorgere e il maturare dell'amore; un cammino, soprattutto, sostenuto dall'amore stesso di Dio. C'è una silenziosa chiamata di Dio nell'essere uomo o donna e nell'incontro che da questa diversità può scaturire. È una chiamata che la Bibbia rivela fin dalle sue prime pagine, con un linguaggio apparentemente ingenuo, ma carico di significati profondi, che tante generazioni di uomini e di donne hanno sperimentato e ripensato ( Gen 2,18-25 ). Le energie fisiche, affettive e spirituali, che si destano e si mettono in moto nell'incontro uomo-donna, vale la pena di misurarle su questo progetto, che tende a sviluppare personalità mature e capaci di un effettivo e gioioso dono di sé. "Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile" ( Gen 2,18 ): l'attrattiva che si stabilisce tra l'uomo e la donna è un primo appello divino perché si esca dalla solitudine. La solitudine è come essere senza nome e senza volto. Nella solitudine, imposta o egoisticamente voluta, noi non contiamo e non abbiamo valore per nessuno, e nessuno è interessante e importante per noi. L'incontro tra un ragazzo e una ragazza libera dal disagio spersonalizzante della solitudine. Lo sguardo affettuoso dell'altro per me e di me per l'altro ci fa sentire come due mondi personali interessanti, carichi di energie e di valori. In questo si realizza il desiderio di Dio, che ci ha fatto persone aperte alla presenza dell'altro, alla comunicazione e all'amore. Ma nessuno può nascondersi il pericolo insito nel bisogno e nell'attrattiva affettiva - sessuale: che prevalga cioè il bisogno istintivo sull'interesse per la persona. Allora l'incontro tra ragazzo e ragazza diventa povero e frustrante. Ciascuno dei due avverte, più o meno consciamente, che egli interessa all'altro solo come oggetto della pulsione sessuale; tutto il resto del suo mondo personale resta estraneo e non apprezzato. Si può così arrivare ad una strumentalizzazione reciproca della sessualità come soddisfazione del proprio bisogno e del proprio piacere. Ma questo ricaccia ciascuno in una solitudine più profonda di quella da cui si è cercato di uscire e allontana dal progetto di Dio, che non ci vuole egoisticamente chiusi nei nostri impulsi. Per non rimanere in questa solitudine egoistica, Dio ci propone un lungo cammino di maturazione. Il racconto biblico ce lo svela in immagini: Dio fa scendere un sonno sull'uomo, da una sua costola plasma la donna e la conduce all'uomo, così come si offre un dono, perché egli l'accolga come tale ( Gen 2,21-22 ). Uomo e donna non solo sono parte della stessa umanità e hanno pari dignità, ma sono chiamati ad accogliersi nella loro diversità come un dono reciproco. Essere disponibili all'accoglienza dell'altro è una strada impegnativa che esige tempi lunghi. Occorre permettere all'altro che si sveli, non soltanto nei suoi impulsi affettivi, ma anche nella sua storia, nel suo mondo interiore, nei suoi interessi e nei suoi progetti. Così gli si fa sentire che, pur nella fatica del confronto, lo si accetta nella concretezza dei suoi limiti e delle sue capacità come una persona significativa e importante per noi. Tanti incontri iniziati con entusiasmo emotivo si sono arenati e dissolti proprio di fronte alla fatica quotidiana del comprendersi e dell'accogliersi rispettosamente. Quanti invece accettano il lento cammino dell'accogliersi come dono, hanno la gioia di poter riconoscere l'altro e di sentirne la presenza come sempre più significativa per la propria vita. È la gioia che esplode nella spontaneità del primo canto biblico: "Essa è carne dalla mia carne e ossa dalle mie ossa" ( Gen 2,23 ). Questa persona è entrata nella mia esistenza ed è per me motivo di maturazione e di impegno di vita. L'accoglienza comporta però anche la capacità di implicarsi nella vita dell'altro, di rischiare di entrar dentro il suo mondo e i suoi problemi per assumerli come parte di sé. È a questa solidarietà profonda che il progetto di Dio chiama: "i due saranno una sola carne" ( Gen 2,24 ), cioè una sola storia e una sola vita condivisa. Allenarsi a questa capacità di assunzione e di condivisione della vita dell'altro è un lavoro che domanda solidità interiore. È facile cadere nel pericolo di annullare l'altro decidendo per lui, oppure strumentalizzare per propri interessi la debolezza dell'altro. Solo la maturazione dell'apertura a volere il bene dell'altro e a volerlo con gratuità, senza secondi fini, può far sì che cresca un amore vero e significativo. L'esperienza dell'amore Il mistero dell'incontro tra l'uomo e la donna è inscritto nel disegno stesso di Dio, così che l'esperienza dell'amore vissuta nella sua autentica realtà diventa esperienza di Dio che è amore. È quanto ricorda in questa lettera ai giovani il Papa Giovanni Paolo II. "Dio ha creato l'essere umano uomo e donna, introducendo così nella storia dell'umanità una particolare "duplicità", con una completa parità quanto alla dignità umana e con una meravigliosa complementarietà quanto alla divisione degli attributi, delle proprietà e dei compiti propri alla mascolinità e alla femminilità dell'essere umano … La giovinezza è quel periodo in cui questa grande realtà attraversa, nell'esperienza e nella creatività, l'anima e il corpo di ogni ragazzo e di ogni ragazza, e si manifesta nella sua intima coscienza insieme con la scoperta fondamentale del proprio "io", in tutta la sua molteplice potenzialità. Allora, sull'orizzonte di un giovane cuore si delinea un'esperienza nuova: è questa l'esperienza dell'amore, che sin dall'inizio richiede di essere inscritta in quel progetto di vita, che la giovinezza crea e forma spontaneamente … In tutto questo è contenuta una forte esortazione a non falsare questa espressione, a non distruggere tale ricchezza e a non deturpare tale bellezza. Siate convinti che questo appello viene da Dio stesso, che ha creato l'uomo "a sua immagine e somiglianza" proprio "come uomo e donna". Questo appello scaturisce dal Vangelo e si fa sentire nella voce delle giovani coscienze, se esse hanno conservato la loro semplicità e limpidezza: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio". Sì! Per mezzo di quell'amore che nasce in voi - e vuol essere inscritto nel progetto di tutta la vita - dovete vedere Dio che è amore". ( Lettera ai giovani nell'anno internazionale della gioventù, 31.3.85, 10 ) Lo Spirito sostiene il nostro amore Il cammino dell'amore tracciato dal Dio Creatore è lungo, gioioso e al tempo stesso impegnativo. A sostegno di questa fatica c'è certamente l'impulso e l'interesse per l'altro nella sua diversità e complementarietà sessuale - affettiva. Questo interesse è l'energia che può aiutarci a smussare le rigidità del nostro temperamento, ad affinare le nostre capacità di comunicazione accettando i punti di vista dell'altro, a maturare una disponibilità nuova alla relazione di amore, a consolidare la fedeltà verso la persona che ci interessa e che vogliamo amare. L'incontro e il legame che si stabilisce tra un ragazzo e una ragazza, se è sincero e profondo, nasconde in sé un grande potenziale di trasformazione e di maturazione. In questo lavoro di maturazione è presente silenziosamente l'azione creativa e trasformante dello Spirito di Dio. Egli è lo Spirito di amore che, anche quando non ci pensiamo, ci rassicura interiormente che siamo persone amate da Dio e dispone la nostra libertà a produrre i frutti dell'amore nella pazienza, nell'accoglienza, nella generosità, nel perdono, nel dominio di sé e nella gioia di vivere insieme ( Gal 5,22 ). Solo chi è stato amato può cominciare ad amare. E lo Spirito, in quanto testimone dell'infinito amore di Dio per noi, è la sorgente profonda di ogni nostro passo verso l'amore e di ogni nostro progresso nell'amore. Questo stesso Spirito ci introduce all'ascolto della parola di Dio, dove possiamo incontrare la testimonianza concreta dell'amore divino che si è espresso in forma umana nella persona e nella storia di Gesù e che si è riflesso nell'esperienza dei primi credenti. Un contatto vero e disponibile con la Parola, accolta e pregata, può purificare e potenziare la qualità del nostro amore e può arricchire di significati profondi l'incontro tra un ragazzo e una ragazza. Anche l'esperienza all'interno di un gruppo ecclesiale e della comunità cristiana, con la varietà di relazioni nuove e di testimonianze diverse, con la ricchezza dei sacramenti che celebrano l'amore di Dio per l'uomo e degli uomini tra loro, è un aiuto visibile e reale sulla strada dell'apprendistato dell'amore. Nel difficile compito di amare non siamo soli. L'amore stesso di Dio silenziosamente ci sostiene, ci purifica, ci sollecita e attorno a noi i segni visibili di questo amore ci aprono la strada e ci accompagnano. Il corpo e il dono di sé Dio, che ha creato l'uomo e la donna per l'incontro dell'amore e per la maturità del dono di sé, attende e dona la capacità di una risposta gioiosa e responsabile. L'apostolo Paolo ci ricorda che "il corpo non è per l'impudicizia, ma per il Signore" e che il nostro corpo "è tempio dello Spirito Santo" ( 1 Cor 6,13.19 ). In un progetto di vita che è dono di noi stessi al Signore, il nostro corpo e quello degli altri deve restare sempre luogo in cui si realizza l'amore che, attraverso noi, il Signore dona: "Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!" ( 1 Cor 6,20 ). Il cammino per integrare armoniosamente nella persona il bisogno e la pulsione sessuale, in modo che essa sia libera di decidere del dono di sé nell'esperienza del matrimonio o in quella della verginità, conosce leggi di crescita. Su questo cammino di maturazione gli ostacoli non mancano e sono sempre possibili i ripiegamenti e le chiusure, le imperfezioni e il peccato, che si manifestano in mentalità, atteggiamenti o orientamenti di fondo, comportamenti che non rispettano l'intima struttura della sessualità chiamata ad aprirsi all'amore. C'è talora una banalizzazione della sessualità nel linguaggio o nei gesti. Viene meno il senso del pudore, il rispetto per il proprio corpo e per quello degli altri. Si può formare nella fantasia e nel desiderio una concezione distorta della sessualità, sostenuta da un clima di permissività e alimentata dalla diffusione di immagini pornografiche. C'è un uso della sessualità sentita e vissuta in solitudine come semplice piacere fine a se stesso, che talora rischia di fissarsi in abitudini e bisogni che ripiegano la persona su di sé e frenano la maturazione all'apertura disinteressata e all'amore. Si può andare incontro a esperienze precoci di relazioni sessuali, che diventano soddisfacimento reciproco della pulsione sessuale e lasciano la ferita e la frustrazione di non essersi sentiti né pienamente accolti né profondamente donati. Tendenze verso lo stesso sesso, spesso per blocchi psichici o per esperienze subite o cercate, possono sfociare in comportamenti devianti. L'impulso sessuale può addirittura diventare violenza ciecamente imposta o dolorosamente subita, oppure venire strumentalizzato a fine di lucro nella prostituzione. La capacità di assumere la sessualità, di viverla come dimensione della persona e di orientarla progressivamente al dono di sé si chiama castità. Non sempre oggi questa virtù è considerata o apprezzata. Talora è svalutata perché viene compresa come semplice inibizione o paura della sessualità. La castità, invece, è frutto di una profonda maturazione umana, sostenuta dalla viva presenza dello Spirito in noi, ed è condizione per quel dono libero di sé che è l'amore cristiano. Essa domanda innanzitutto che ci si formi ad una retta concezione della sessualità come energia finalizzata all'amore personale, profondo e stabile. Per poter vivere in questo modo la sessualità, occorre un dominio di sé, della propria corporeità e dei bisogni sessuali e affettivi ad essa legati. Esso si ottiene nella docilità allo Spirito, attraverso una costante ascesi, un continuo e faticoso allenamento ad amare, che può essere sostenuto solo dal desiderio e dalla volontà di un amore vero. L'orientamento all'amore è la forza che dà la capacità di offrire a Dio la castità come dono, rinunciando liberamente all'uso della sessualità temporaneamente o per tutta la vita, a seconda che ci si orienti al matrimonio o alla scelta della verginità. In questa tensione all'amore casto ci può essere d'aiuto la testimonianza di chi lo vive e il confronto con persone che possono educarci all'amore. Ma soprattutto abbiamo bisogno dell'incontro con il Dio dell'amore nell'ascolto della sua Parola, nella preghiera e nella vita sacramentale. Nella fatica di questa maturazione, che può registrare scoraggiamenti, debolezze e atteggiamenti egoistici, sappiamo di poter contare sull'amore di un Dio che ci accoglie, ci perdona e ci rimette in piedi per continuare gioiosamente il cammino sul quale ci chiama e ci accompagna. "Voi valete tanto quanto vale il vostro cuore" Una corrente spontanea, istintiva, d'interesse e di attenzione si accende nell'uomo e nella donna. È la prima fondamentale apertura della persona verso l'altro. La creatura umana non potrebbe realizzarsi senza una possibilità di dialogo, senza conoscere altri, diversi da sé, senza accogliere gesti di affetto ed esprimere sentimenti di amicizia. "Voi valete tanto quanto vale il vostro cuore. Tutta la storia dell'umanità è la storia del bisogno di amare e di essere amati. Questo fine secolo - soprattutto nelle regioni di evoluzione sociale accelerata - rende più difficile lo sboccio di una sana affettività. Far posto al cuore nella costruzione armoniosa della vostra personalità non ha niente a che vedere con la sensibilità morbosa né con il sentimentalismo. Il cuore è l'apertura di tutto l'essere all'esistenza degli altri, la capacità di intuirli, di comprenderli. Una tale sensibilità vera e profonda rende vulnerabili. Per questo taluni sono tentati di disfarsene e di chiudersi in se stessi. Amare è dunque essenzialmente donarsi agli altri. Lungi dall'essere una inclinazione istintiva, l'amore è una decisione cosciente della volontà di andare verso gli altri. Per poter amare in verità, bisogna staccarsi da molte cose e soprattutto da sé, dare gratuitamente, amare fino alla fine. L'essere umano è un essere corporale. Questa affermazione semplicissima è gravida di conseguenze. Per quanto materiale sia, il corpo non è un oggetto tra gli oggetti. Anzitutto esso è qualcuno, nel senso che è manifestazione della persona, un mezzo di presenza agli altri, di comunicazione, d'espressione estremamente variate. Il corpo è una parola, una lingua. Quale meraviglia e quale rischio nello stesso tempo! Giovani e ragazze, abbiate un grandissimo rispetto del vostro corpo e di quello altrui! Che il vostro corpo sia al servizio del vostro io profondo! Che i vostri gesti, i vostri sguardi siano sempre il riflesso della vostra anima. Vi auguro veramente di accogliere la sfida di questo tempo e di essere tutti e tutte campioni della padronanza cristiana del corpo. Questa padronanza è determinante per l'integrazione della sessualità nell'epoca attuale segnata dalla disinibizione, che non è senza spiegazione, ma che è purtroppo favorita da un vero sfruttamento dell'istinto sessuale. L'unione dei corpi è sempre stata il linguaggio più forte che due esseri possono dirsi l'un l'altro. Per questo un tale linguaggio, che tocca il mistero sacro dell'uomo e della donna, esige che non si compiano mai i gesti dell'amore senza che siano assicurate le condizioni di una presa a carico totale e definitiva dell'altro e che l'impegno in questo senso venga preso pubblicamente nel matrimonio". ( Giovanni Paolo II, Messaggio ai giovani di Francia - Parigi, 1.6.1980 ) In famiglia e nella società Anche il rapporto tra genitori e figli può costruirsi in una logica nuova. Paolo raccomanda alle famiglie dei credenti: "Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché quest'o è giusto … E voi padri non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell'educazione e nella disciplina del Signore" ( Ef 6,1.4 ). A tutti, dentro la famiglia cristiana, è offerto un dono e un criterio sempre nuovo: vivere i legami familiari "nel Signore". Ciò significa che nelle vicende quotidiane, come pure nei momenti importanti della vita di famiglia, ad ispirare il comportamento di tutti i membri dev'essere l'amore del Signore: la solidarietà nelle difficoltà e nella gioia, il servizio reciproco, lo sforzo e la fatica di convertirsi e di crescere insieme, la capacità di comprensione e di perdono che egli ci ha donato. Il dono e l'impegno della comunione offre strade nuove per la stessa vita sociale, che tante volte crea lotta e divisione. Nella situazione sociale del suo tempo, a noi oggi per tanti versi incomprensibile, parlando del rapporto tra padroni e schiavi, Paolo afferma: "Voi sapete, infatti che ciascuno, sia schiavo che libero, riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene" ( Ef 6,8 ); ed ancora, sia per gli schiavi come per i padroni: "c'è un solo Signore nel cielo, e non v'è preferenza di persone presso di lui" ( Ef 6,9 ). Le parole dell'apostolo possono ispirare la ricerca di modi nuovi con cui inserirsi oggi nella vita sociale. Di fronte alla tentazione, sempre insorgente, di valutare le persone per il compito che svolgono, riservando l'ossequio ai potenti e dimenticando gli ultimi, occorre ricordare che Dio guarda alla persona, senza distinzione di ruoli, e che egli solo giudica con verità la vita di ogni uomo. In un mondo in cui la scelta o la possibilità di un lavoro e di una professione ci viene prospettata coi criteri del potere, del guadagno e della posizione sociale, occorre che quanti sono amanti della pace scelgano e vivano il lavoro come luogo di solidarietà e di autentica promozione umana. L'impegno per una società a misura d'uomo L'incontro di due persone non può esaurire tutta la tensione verso la socialità. Ci sono rapporti più complessi ed ampi, che ci inseriscono in una società e che legano istituzioni e popoli fra loro. Una convivenza pacifica richiede di essere stabilita su un ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà. È il messaggio di Giovanni XXIII. "Gli esseri umani, essendo persone, sono sociali per natura. Sono nati quindi per convivere e operare gli uni a bene degli altri. Ciò domanda che la convivenza umana sia ordinata, e quindi che i vicendevoli diritti e doveri siano riconosciuti e attuati; ma domanda pure che ognuno porti generosamente il suo contributo alla creazione di ambienti umani in cui diritti e doveri siano sostanziati da contenuti sempre più ricchi. La dignità di persona propria di ogni essere umano esige che esso operi consapevolmente e liberamente. Per cui nei rapporti della convivenza i diritti vanno esercitati, i doveri vanno compiuti, le mille forme di collaborazione vanno attuate specialmente in virtù di decisioni personali; prese cioè per convinzione, di propria iniziativa, in attitudine di responsabilità, e non in forza di coercizioni o pressioni provenienti soprattutto dall'esterno. Una convivenza fondata soltanto sui rapporti di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che le persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate a sviluppare e perfezionare se stesse. Ed è inoltre una convivenza vivificata e integrata dall'amore, atteggiamento d'animo che fa sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, rende partecipi gli altri dei propri beni e mira a rendere sempre più vivida la comunione nel mondo dei valori spirituali; ed è attuata nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di esseri portati dalla loro stessa natura razionale ad assumere la responsabilità del proprio operare". ( Pacem in terris, 16-18 ) La strada della riconciliazione Dio ci chiama in forza del Battesimo a vivere in comunione con lui e tra noi, come figli dell'unico Padre. Dio stesso conferisce e alimenta questa nostra comunione con i suoi doni di grazia: i sacramenti, primo fra tutti l'Eucaristia. Essi rafforzano l'impegno di vivere la comunione con Dio e tra noi. Ma quando, abusando della nostra libertà, scegliamo strade diverse da quelle di Dio, l'unità viene miseramente infranta. Il peccato rompe la comunione: divide da Dio, da se stessi e dagli altri. Dio però ci segue ancora con il suo amore e il suo Spirito ci suggerisce pensieri di conversione e di penitenza. Diventa indispensabile, allora, che ciascuno riconosca nella comunità le proprie colpe contro la comunione, per ritrovare la grazia dell'unità e la forza di vivere e far crescere la fraternità. Proprio per questo Gesù ha dato alla sua Chiesa il sacramento della Riconciliazione. È detto anche Confessione, perché domanda il gesto di riconoscere i propri peccati, o anche Penitenza, perché comporta una operosa conversione. Esso celebra la misericordia infinita del Padre ed è principio di rinnovamento spirituale e fonte di vita nuova sia per chi lo riceve che per la comunità. Mentre accogliamo la parole del perdono e il segno della riconciliazione del Padre, il dono di grazia si espande come forza di unità per tutta la Chiesa. E così, se il peccato aveva lacerato e indebolito la comunione, ora l'amore di Dio rimargina e rinsalda il rapporto fra i membri della comunità, perché la Chiesa possa mostrarsi segno di vera pace fra gli uomini. I sacramenti sostengono l'impegno di smettere i panni dell'uomo vecchio, carico di meschinità e di passioni egoistiche sempre pronte a risorgere, e ci aprono alla novità di Dio, perché impariamo a conoscere Cristo nella profondità del suo amore ( Ef 4,17-24 ). Illuminato e rafforzato da lui, ciascuno ritroverà i mille sentieri che possono riannodare ed edificare la comunione nella Chiesa. Riscoprirà l'umiltà e la solidarietà. Sarà capace di sincerità e di un dialogo costruttivo. Diventerà aperto all'amore e alla fiducia reciproca ( Ef 4,25-32 ). Aprirà gli occhi sulle necessità dei fratelli. Darà spazio all'accoglienza, alla bontà verso i deboli, al perdono. Al male ricevuto risponderà con il bene ( Rm 12,14-21 ). Paolo ci esorta: "Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore" ( Ef 5,1-2 ). La Chiesa, consapevole di essere falla di peccatori, percorre ogni anno il cammino della Quaresima, verso la celebrazione della Veglia pasquale. La Quaresima è segnata dalla pratica della penitenza, nel ricordo dei quaranta giorni di digiuno di Gesù nel deserto. Attenuato oggi l'obbligo del digiuno, che rimane solo il Mercoledì delle ceneri e il Venerdì santo ( ma dovremmo riscoprire che anche la disciplina del corpo ci avvicina a Dio! ), restano gli impegni di un più assiduo confronto con la parola di Dio, in un contesto di preghiera, di sobrietà e austerità di vita, per una crescita nella carità. Se la Pasqua dice il dono di Dio, la Quaresima dice tutta la fatica per renderci accoglienti del dono. Le vie della riconciliazione con Dio La riconciliazione è un cammino quotidiano. Il sacramento è vertice e fonte di una vita che si rinnova per strade varie e complementari. Così le descrive in una sua omelia San Giovanni Crisostomo, vescovo di Costantinopoli ( † 407 ): "Volete che parli delle vie della riconciliazione con Dio? Sono molte e svariate, però tutte conducono al cielo. La prima è quella della condanna dei propri peccati. Confessa per primo il tuo peccato e sarai giustificato … Questa è dunque una via di remissione, e ottima; ma ve n'è un'altra per nulla inferiore: non ricordare le colpe dei nemici, dominare l'ira, perdonare i fratelli che ci hanno offeso … Vuoi imparare ancora una terza via di purificazione? È quella della preghiera fervorosa e ben fatta che proviene dall'intimo del cuore. Se poi ne vuoi conoscere anche una quarta, dirò che è l'elemosina. Questa ha un valore molto grande. Aggiungiamo poi questo: se uno si comporta con temperanza e umiltà, distruggerà alla radice i suoi peccati con non minore efficacia dei mezzi sopra ricordati". ( Omelia sul diavolo tentatore, 2,6 ) Scheda: Celebrare e vivere la misericordia del Padre: il sacramento della Riconciliazione 1. Tante difficoltà per un dono Ci siamo confessati da bambini, ma ora questo sacramento ci appare a volte inutile, qualcosa che non va più bene alla nostra età, una tassa pesante da pagare. Stentiamo a vederne il posto nella nostra vita di giovani e di cristiani. Sentiamo in noi o da altri tante giustificazioni per questo atteggiamento: - Se siamo liberi e siamo responsabili di noi stessi, perché confessarsi davanti a Dio? Basta rendere conto alla propria coscienza. - Siamo condizionati dalla nostra struttura psicologica. Perché confessarsi, se non siamo stati liberi nella nostra scelta? - Siamo costretti dalla società. Tante nostre scelte sbagliate non avevano alternative: fanno tutti così! - Siamo figli di Dio Perché dover fare i conti con la Chiesa e confessare ad un uomo, sia pure prete, i nostri peccati, quando abbiamo detto già a Dio che siamo pentiti? - C'è anche un altro motivo per non confessarsi: dovrei ripetere ancora quell'elenco di peccati che ho imparato da piccolo; non è una cosa seria! In fondo non abbiamo peccati da confessare … Quanti "no" sembrano giustificare il rifiuto di questo sacramento! Sono ragioni o pretesti? Forse il problema sta nel capire quanto il sacramento della riconciliazione è dentro il Vangelo di Gesù, quanto è "lieta notizia", quanto è un dono. Forse il problema sta nel modo con cui abbiamo vissuto finora questo sacramento. 2. Il Vangelo del perdono Se ci si impegna a realizzare un progetto di vita cristiana, si deve far riferimento alla vita di Gesù, al suo Vangelo. Gesù ha voluto che i suoi incontri di perdono con i peccatori si prolungassero nel tempo per mezzo della Chiesa. Per questo Gesù risorto dice: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi…" ( Gv 20,22-23 ). Nel sacramento della riconciliazione Gesù offre la possibilità di riprendere in mano il progetto di vita ogni volta che ci allontaniamo da esso. L'incontro con Gesù ci apre gli occhi, per capire la nostra miseria. Solo a confronto con lui scopriamo quanto siamo egoisti, falsi, pigri … La sua parola e la sua vita fanno luce sui nostri comportamenti, sulle motivazioni che li sostengono, fino al nucleo più profondo del nostro essere, dove si decide se aprirsi all'amore o chiudersi nell'egoismo. Non possiamo barare con noi stessi: oltre ogni condizionamento c'è un significativo spazio di libertà e di responsabilità che resta sempre nelle nostre mani. Il sacramento della Riconciliazione ci aiuta a fare verità in noi stessi, aprendoci alla vera libertà. Gesù, nel suo impegno per l'uomo, si è accomunato con i peccatori. Egli ha così manifestato l'immensa misericordia del Padre. Morendo in croce per "dare la propria vita in riscatto" per l'umanità ( Mc 10,45 ), Gesù ci ha mostrato che Dio è disposto a tutto pur di riconquistare il nostro amore. Nel sacramento della Riconciliazione a tutti è offerto il perdono, e si fa esperienza profonda della misericordia di Dio. Peccare è allontanarci dal disegno di Dio pensando di poter fare di testa nostra, rifiutare il suo amore di Padre, disprezzare e andar contro gli insegnamenti che egli ci dà attraverso la Chiesa. Tutto questo intacca, sia pure a diversi livelli di profondità, ma sempre in modo essenziale, la nostra identità di figli. Ricostruirla non è nelle nostre capacità. Sta qui la gravità del peccato e solo il dono di Dio, che ci viene dato nel sacramento della Riconciliazione, può restaurare o ricostruire l'immagine di Dio in noi. Il peccato, anche il più personale ed intimo, è rottura dei rapporti con Dio, lacerazione del rapporto con i fratelli. La vita segnata dal peccato appare come una ferita dentro il corpo della comunità. Nella comunità si deve ritrovare la gioia del perdono. La riconciliazione con la Chiesa, tramite il ministro ordinato, è il segno della riconciliazione piena con Dio e con i fratelli. Non sono io che mi perdono; è Dio che ci perdona e ci riconcilia nella Chiesa. Forse ci è già capitato nella vita di avvertire come, con un fatto grave o un atteggiamento negativo prolungato, abbiamo lasciato la casa del Padre. Allora abbiamo sentito il bisogno di una inversione di marcia, di un ritorno a casa, per dire: Padre, ho peccato. È stata l'esperienza profonda della conversione, del perdono, della riconciliazione, l'inizio di una vita nuova. Tale esperienza va ripetuta periodicamente, soprattutto in Avvento, in Quaresima: il cammino difficile del cristiano ha sempre bisogno di sostegno, di misericordia, di rinnovata amicizia. Con la celebrazione periodica della Riconciliazione diciamo che tutti abbiamo bisogno della misericordia di Dio e che non facciamo pace con i nostri difetti abituali; che non ci stanchiamo di lottare contro il male che è in noi e fuori di noi, pur sapendo che sarà una lotta che durerà quanto la vita. 3. Il cammino della riconciliazione La celebrazione del sacramento della Penitenza ci invita a vivere alcuni atteggiamenti, necessari per realizzare appieno la riconciliazione. Il primo passo è l'ascolto della parola di Dio, che illumina il nostro esame di coscienza. Essa ci fa capire l'amore misericordioso e fedele del Padre, che ci riconcilia a sé con la morte e risurrezione di Cristo e con il dono dello Spirito Santo; essa ci apre gli occhi a vedere dove c'è peccato nella nostra vita, illuminando le schiavitù, le idolatrie, gli egoismi che portavamo senza valutarne il peso. L'ascolto della Parola ci apre al pentimento, a maturare, nel riconoscimento dei nostri peccati, un atteggiamento di sincero dolore per il male compiuto e il proposito di non peccare più. Nel percepire la distanza della nostra vita da quella di Gesù, nasce in noi il dispiacere di aver bruciato un'amicizia e il desiderio di lasciarcela ricomporre da lui. Ne consegue una sincerità con noi stessi di fronte a Dio, che si esprime nel riconoscere e confessare i nostri peccati e si fa dialogo con il ministro della Chiesa. La sua parola si inserisce nel concreto cammino della vita per farsi orientamento e incoraggiamento. Il prete ci chiede un gesto penitenziale: è il segno che la conversione non è velleitaria, ma accetta di porre fatti concreti nella direzione dell'amore. Si esprime così il coraggio di evitare le occasioni, di impegnarsi nel rinnovamento di uno degli aspetti della nostra personalità: la lealtà nei rapporti, il servizio, l'impegno nel proprio lavoro o studio, lo spazio per la vita interiore … Nessuno di questi gesti è risolutivo: occorrerà ripeterlo senza stancarsi. Ma in questo sta la grazia del cristiano: essere un peccatore che continuamente si converte. È il Padre che perdona attraverso la Chiesa, non siamo noi che ci perdoniamo pentendoci. L'assoluzione che il prete ci dà è il gesto con cui la Chiesa mi attesta e mi trasmette il perdono di Dio, e io rinasco a una vita nuova. Il peccato ha una forza distruttiva anche verso gli altri e le cose. Tutto contamina e distrugge. Per questo il perdono ricevuto conduce a perdonare gli altri, a cambiare il proprio ambiente portando in esso i valori della pace ricevuta e la volontà di testimoniare l'amore di Dio con una vita rinnovata. Imparare a pregare Un'assemblea che prega Ciascuno di noi ricorda qualche bel momento di preghiera profonda per dire una gioia esaltante o per esprimere stupore davanti alle cose belle della vita o per riemergere da alcune delusioni. Sarà stata una pagina di diario, o una meditazione silenziosa su un brano del Vangelo, o un momento prolungato di raccoglimento davanti all'Eucaristia. Può esserci invece più difficile pregare con gli altri, soprattutto nell'assemblea liturgica. La preghiera comunitaria fa difficoltà perché appare più esposta alla distrazione, meno libera e creativa: perché pregare con formule fisse e con gesti sempre uguali? perché andare a pregare in tempi e momenti stabiliti, quando non se ne sente il bisogno personale? e perché invece non farlo solo quando ne nasce il desiderio? È soprattutto l'Eucaristia a risentire di queste difficoltà: una volta, da piccoli, partecipare alla Messa domenicale era un'esperienza coinvolgente, che poteva anche entusiasmare; oggi, forse, spesso non è più così. Eppure la parola di Gesù è netta; egli non solo ha raccomandato di pregare "nel segreto" ( Mt 6,6 ), ma dopo aver spezzato il pane e offerto il calice del vino, ha detto ai suoi: "Fate questo in memoria di me!" ( 1 Cor 11,24-25 ). Ogni volta che preghiamo in comunità non solo obbediamo al comando del Signore, ma sperimentiamo la sua presenza in mezzo a noi, perché siamo riuniti nel suo nome ( Mt 18,20 ), ascoltiamo la sua parola, lo incontriamo nel segno del pane spezzato. Nella celebrazione eucaristica lo Spirito, mentre sostiene e valorizza le nostre originalità individuali, ci apre ad orizzonti più alti e fonde, senza confonderle, le varie personalità nella realtà dell'unica Chiesa. L'Eucaristia è il vertice a cui tende ogni celebrazione liturgica, ma non è la sola preghiera della Chiesa. Ad esempio, quando partecipiamo alla celebrazione comunitaria della Riconciliazione, incontriamo il Signore risorto che ci offre il suo perdono, fa nuove le nostre relazioni con gli altri e ci ricostruisce come comunità. Un'altra esperienza di preghiera liturgica che la Chiesa ci propone è la "liturgia delle ore": possiamo aprire e chiudere le nostre giornate pregando il Padre con i salmi - come faceva Gesù -, con la proclamazione della Parola, con le invocazioni. Anche questa preghiera chiede di essere capita: recitare un salmo di lode quando sto vivendo una situazione di paura, o ripetere il lamento di una supplica quando invece vorrei esprimere con forza la gratitudine per una gioia inaspettata, non significa dimenticare la mia vita. Significa, invece, aprirla a una prospettiva più ampia, collocandola nel contesto vero dell'esperienza umana, che si svolge e matura dando voce alle gioie e alle ansie di tutta l'umanità nella preghiera al Padre. Per professare la fede Voi, chi dite che io sia? Signore Gesù, Figlio del Dio vivente, tu sei la nostra pace! Gesù ha detto: Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro. La sua Chiesa è la grande famiglia in cui si realizza il progetto di comunione che Dio ha per tutti gli uomini. Se ci amiamo a vicenda come lui ci ha amati, il mondo diviene luogo di riconciliazione e di pace. - Dio è Verità e Amore "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo" ( Dt 6,4; Mc 12,29 ), "ricco di grazia e di fedeltà" ( Es 34,6 ): Dio è Verità e Amore. - Il disegno di salvezza in Cristo Il disegno di Dio è di condurre, in Gesù Cristo, tutti gli uomini alla piena e definitiva comunione con sé e di realizzare tra loro, disgregati dal peccato, una vera fraternità. - La Chiesa, sacramento di comunione La Chiesa, popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, è sacramento universale di salvezza: segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano. - Il primo comandamento "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza … Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questo" ( Mc 12,29-31 ). Tu sei buono, o Dio Tu sei buono, o Dio: non ti stanchi mai di noi. Ti confessiamo che il peccato, il rifiuto dite, lacera ogni giorno la vita che ci hai donato. È difficile stare insieme, accogliendo tutti e vivendo in comunione; è faticoso perdonare. Ma Gesù, inviato da te, ha abbattuto i muri di divisione. Annunciando il tuo Regno, ci ha comunicato il tuo perdono, totale, decisivo; accettando di morire per noi, a braccia spalancate, è diventato il ponte permanente della nostra riconciliazione con te; risorgendo dalla morte, ci ha detto: "Pace a voi, non abbiate paura!". Nella Chiesa, che è il corpo di Gesù, il tuo Spirito ci raduna nell'amore, per renderci costruttori di comunione e di fraternità, per sanare il cuore amaro del mondo con le opere della nonviolenza, della solidarietà, del perdono. Nella Chiesa accogliamo l'Eucaristia e la Penitenza, i segni grandi della riconciliazione. Sono i doni del tuo amore. Diciamo di sì a te, o Dio dell'amore, perché tu sei Padre buono. Tu sei un Dio dal cuore senza confini. Confrontarsi con i testimoni Benedetta Bianchi Porro Una grande capacità di accettare la volontà di Dio, che le si manifesta attraverso sofferenze durissime, segna l'esistenza di Benedetta che, nata a Dovadola, presso Forlì, nel 1936, muore a soli 27 anni a Sirmione. Ancora più colpisce il suo aprirsi agli altri, cercati non per propria consolazione, ma per essere vicina a loro nei momenti in cui, paradossalmente, potevano sentirsi più infelici di lei. Studentessa di medicina per scelta consapevole di "vivere, lottare e sacrificarsi per tutti gli uomini", ha la forza di arrivare al quinto anno di università, nonostante la malattia progressivamente le tolga tutti i sensi: alla fine può comunicare solo attraverso una mano. Riesce a far fiorire intorno a sé grandi amicizie, con un dialogo personale intenso e profondo. A tutti comunica la fede che la illumina; la sua parola testimonia una vita vissuta nella coerenza e nella speranza. Non vive la sua storia come storia di dolore, né di solitaria accettazione della croce, ma con la volontà di prendere su di sé il peso degli altri. "Il mio compito è di amare la sofferenza di tutti quelli che vengono attorno al mio letto e mi danno o mi domandano l'aiuto di una preghiera". "Sto vivendo la semplicità, cioè lo spogliamento dell'anima: è così bella! Si diventa molto leggeri e liberi". "Dio ci dà il suo pane attraverso gli altri: ho provato. Ed è nella sofferenza che si accende in noi la luce di Cristo che ci sostiene: quando soffriamo ci volgiamo tutti al bene". In questa meravigliosa storia di rapporti umani è il Signore a dare la motivazione e la grazia. Scrive ad un'amica: "Vorrei tanto poter essere utile anche a te, ma sono povera, così poveramente inoperosa e mi accade a volte di trovarmi a terra, sulla via. Allora lo chiamo con amore, ai suoi piedi, e lui dolcemente mi fa posare la testa sul suo grembo. Conosci la dolcezza di questi istanti? Non dimenticare questa frase: "Prendi la tua croce e seguimi". Non cercare di spiegare il perché". Giuseppe Moscati Un medico che intende la professione come offerta della propria vita a Dio nei fratelli; un cristiano che sa trovare la strada della santità dentro l'attività professionale. Sono il dolore e la croce degli uomini il luogo in cui la vita di questo medico napoletano - vissuto tra il 1880 e il 1927 e proclamato santo nel 1987 - diventa strumento della presenza di Dio nel mistero della sofferenza. Nell'ospedale, nei quartieri poveri della città, nelle case arroccate sulle pendici del Vesuvio si prolunga e si perpetua ogni giorno l'incontro con il Signore Gesù che, la mattina presto, Giuseppe Moscati vive nell'Eucaristia, dove attinge la forza dell'Amore. Lì trova nuova motivazione la ricerca di impegno professionale e di competenza scientifica, che egli ritiene indispensabili per un medico che voglia seriamente incontrare gli uomini nelle loro miserie. Spontaneo, aperto, "fresco" e gioviale nel cuore e nelle espressioni, ama ripetere: "Amiamo il Signore senza misura, vale a dire: senza misura nel dolore e senza misura nell'amore". Non potendo dedicarsi più di tanto al silenzio e alla solitudine contemplativa, a causa della grande mole di lavoro di cui si fa carico, sceglie di andare incontro a Dio sulle strade dell'uomo, "passando per le vie e beneficando e sanando tutti", a imitazione di Gesù. "Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo, in alcuni periodi; e solo pochissimi uomini sono passati alla storia per la scienza; ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell'eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi per salire più in alto, se si dedicheranno al bene". Educarsi al servizio: Tappe sul cammino della solidarietà Imparare a condividere Accogliere un bimbo, aiutare un giovane, non abbandonare un anziano, stare vicino ad un disabile è compito di tutti, perché tutti dobbiamo concretamente riconoscere la dignità e la grandezza che sono in ogni persona umana. Chi crede, poi, sa che ogni uomo e ogni donna sono l'immagine stessa di Dio, sono fratelli da servire se si vuole essere discepoli credibili del Signore Gesù, il servo di tutti. Se la solidarietà ci fa sentire partecipi di una situazione comune, l'essere sostenuti da una fede forte in Gesù, Signore della vita, dà la possibilità di fare un ulteriore passo: vivere condividendo concretamente ed in tutto la condizione di tutti, con particolare attenzione a coloro che hanno più bisogno. Condivisione significa non separare mai la propria vita da quella degli altri e far partecipi gli altri della propria vita. È indispensabile un serio impegno di riflessione personale su tutto ciò che hai ascoltato: riflettere significa farsi penetrare dalla Parola e lasciar lavorare con calma Dio dentro dite. La riflessione quindi diventa preghiera, e ti dà la possibilità di entrare in comunione con il Padre. Insieme al tuo gruppo potrai maturare una sensibilità di condivisione. Il gruppo ti dà la possibilità di vivere quasi in una famiglia più grande, in cui ciascuno è ricco dei doni dello Spirito. L'animatore potrà aiutarti, con la sua esperienza, a cercare le strade da percorrere. Anche la tua famiglia è luogo di ricerca e di confronto: se finora non ti è stato possibile vivere questa esperienza di dialogo, puoi sempre provare a chiedere di più e a rendere i rapporti familiari più pieni e più umani, nella ricerca della pienezza della tua vita. Perché non provi, inoltre, a fidarti di una persona che ha una maggiore esperienza sulla via della fede? Lasciarsi orientare è un'esperienza utile per fare nella propria vita scelte di fondo valide per sempre. Se ci si guarda intorno, ci si accorge di non esser soli: già tanti hanno vissuto "incarnandosi" ed incarnando Gesù nella povertà della vita quotidiana. È utile ricercare e conoscere meglio quelle figure che, vissute o viventi oggi nella tua Chiesa, vicino a te, possono aiutarti nella ricerca di strade concrete di condivisione. Lasciati guidare da esse nel cercare come tu, oggi, in modo originale ed autonomo puoi "farti prossimo" alle situazioni ed alla storia degli uomini, soprattutto dei tuoi amici. Spazi di solidarietà I luoghi in cui il Signore chiama a condividere sono quelli della vita ordinaria: la famiglia, il lavoro, la scuola, la gente della tua via, gli amici tuoi e gli amici che girano intorno al tuo gruppo, qualche casa in cui ci sono problemi, evidenti o nascosti. Nessuno di questi luoghi dovrebbe essere dimenticato. I luoghi della condivisione sono anche un po' più in là di uno sguardo immediato: un ospedale, una casa dove vengono accolti coloro che sono usciti dall'ospedale psichiatrico, un ricovero. È necessario provare a conoscere meglio questi luoghi e chi vive in essi, capirne i problemi, i rapporti, i meccanismi. La scelta di condividere implica la forza di andare in fondo al cuore di quelle persone che hanno qualcosa da nascondere e che temono di rivelare la loro situazione. Se ti guardi intorno ne troverai sicuramente non pochi: anziani, malati, persone profondamente sole, immigrati … Sono le membra doloranti del corpo del Cristo. Soprattutto, ti è proposto di fare una vera esperienza di dialogo, di comprensione e di condivisione con tutti i giovani che incontri quotidianamente, nei luoghi in cui vivono. È questa, in fondo, la missione che più di tutte è affidata ad un giovane credente. Ti troverai allora a pensare e ad essere diverso, a tentar di capire, insieme agli altri, le scelte da compiere che meglio incarnano la presenza di Gesù oggi nella storia. Cap. 3 Responsabili nel mondo Interrogare la vita: Un mondo per vivere Si va a scuola Una mattina presto di un giorno feriale: gruppi di giovani si incrociano di fronte ad una scuola. È questa l'esperienza che molti affrontano quotidianamente: con fatica, con interesse, ma certamente con una serie di interrogativi che guardano al domani. Dove porterà lo studio che si è scelto? Si pensa all'università o ad un lavoro; ma tutto è ancora lontano. Siamo nel laboratorio del nostro futuro. La scuola è il luogo in cui si sviluppa un insieme importante di relazioni e di stimoli, di scambi e di conoscenze. C'è la gioia di trovarsi con gli amici, la curiosità di conoscere e di mettere alla prova le nostre capacità. Non si possono certo nascondere le carenze dell'istituzione, le difficoltà nei rapporti, la scarsa prontezza molte volte nel rispondere al mutare delle situazioni culturali e delle esigenze sociali. Ma l'esperienza scolastica resta un momento essenziale di apertura su mondi sempre più vasti. Dalla piccola comunità cui si appartiene la scuola ci avvia all'incontro con la società. L'uomo da sempre si trova di fronte al compito di conoscere, immaginare, organizzare e trasformare il mondo e ha creato linguaggio, scienza, arte e tecnica. Fa cioè cultura, una pluralità di culture, proprio nella diversità dei modi con cui pensa, sogna, modifica il mondo. E, mentre trasforma il mondo, l'uomo muta se stesso, cambia la sua vita. Mentre fa cultura, ne rimane anch'egli fortemente segnato. La conoscenza e la trasformazione del mondo sono frutto di generazioni, sono un fatto collettivo che domanda la partecipazione di tutti ed esige la condivisione. La scuola è l'istituzione che sviluppa maggiormente questa consapevolezza e aiuta ad essere attivi, orientando e qualificando le capacità di ciascuno per il bene di tutti. Sognare il mondo, trasformarlo, usare le cose per far crescere la vita: è un compito che nessuno di noi può eludere. - Con quali motivazioni vai a scuola? - Che clima di rapporti c'è nella tua classe: amicizia, isolamento, aiuto vicendevole, piccoli o grandi soprusi? - C'è partecipazione alla vita scolastica? - Quale contributo la scuola dà alla tua formazione umana? Qualcuno comincia a lavorare Anche a questa età c'è chi sceglie di andare a lavorare o è costretto a farlo, in un lavoro spesso poco garantito, talvolta pericoloso. Si è contenti di lavorare non solo per guadagnare, ma per socializzare, per far valere le proprie capacità, per partecipare alla trasformazione delle cose. Ci si sente valorizzati, si diventa più indipendenti nei propri movimenti e nell'acquisizione dei beni, per sé e per gli altri nella casa. Chi entra nel mondo del lavoro impara lentamente a conoscerne e a viverne la complessità. L'introduzione di macchine più sofisticate ha alleviato la fatica umana e ha favorito la possibilità di usufruire di maggior tempo libero. L'utilizzazione su vasta scala di nuove tecnologie ha avviato un processo che coinvolge l'uomo nella sua struttura personale e nelle sue relazioni sociali. Cambia il modo di lavorare e chi vuole inserirsi nel mondo del lavoro ha sempre più bisogno di qualificarsi, di accostarsi ad ogni impiego con elasticità, pronto a una forte mobilità. Nonostante i cambiamenti, non sempre però l'organizzazione e i ritmi del lavoro sono attenti all'uomo, alla sua dignità e alle sue esigenze, e non piuttosto soltanto alla produzione e al profitto. Il lavoro rischia così di essere sempre meno luogo della creatività umana e strumento della realizzazione di sé per il bene di tutti. - Dal tuo posto di lavoro o dal tuo banco di scuola quale di questi problemi percepisci maggiormente? - Com'è il tuo rapporto con gli altri lavoratori: devi tacere e eseguire, hai degli amici, c'è solidarietà? - Il tuo lavoro rispetta la salute, l'ambiente, l'equilibrio della natura? - L'esperienza del lavoro come ti aiuta a sviluppare le tue doti umane? Luci e ombre del progresso La maggiore disponibilità di beni, resa possibile dalla società industriale, ha eliminato tante situazioni di precarietà e di indigenza, diffondendo un clima di benessere. Lo sviluppo e il progresso hanno condotto a situazioni di vita più umane. E, migliorando le condizioni materiali, si sono ampliate le possibilità di accesso alla cultura e il concreto esercizio dei diversi diritti dell'uomo: alla vita, alla salute, alla casa, alla stessa libertà. Una produttività indiscriminata, regolata solo dalla corsa al profitto e per nulla attenta ai bisogni fondamentali dell'uomo, ha creato però una società in cui possedere e consumare hanno il sopravvento sui valori umani essenziali. Si sono create false necessità, modelli di vita facili e inconsistenti, miti e mode sapientemente manipolati. Nei paesi industrializzati, accanto alla ricchezza reclamizzata, persistono sacche di povertà e di emarginazione sociale, dove facilmente possono nascere frustrazione, ribellione e anche violenza. Molto più profonda poi è la distanza che separa le condizioni di vita del nostro mondo dalle situazioni di fame, di miseria, di sottocultura di tanti paesi impoveriti. La tecnica che l'uomo ha sviluppato ha permesso uno sfruttamento su grande scala delle risorse naturali. In molti casi ciò ha profondamente alterato l'equilibrio tra l'uomo e il suo ambiente vitale. Lo spreco delle risorse e lo sfruttamento indiscriminato dei beni della natura rendono a poco a poco inabitabile la terra, avvelenano la stessa voglia di vivere. Per una sete insaziabile di dominio e di possesso l'uomo rischia di danneggiare, talvolta in modo irreparabile, il più importante alleato e la prima fonte della sua vita, la natura. Essa non è più vista come l'ambiente in cui crescere tutti. Gli atteggiamenti oscillano tra l'assolutizzazione, l'idolatria e il danneggiamento irresponsabile. L'inquinamento della natura si trasforma in inquinamento delle parole, dei pensieri, dei suoni, dei gesti e delle relazioni. Anche le migliori sensibilità innescate nella fanciullezza, oggi, magari proprio a partire dall'età dell'adolescenza, entrano in crisi e a volte si trasformano in comportamenti distruttivi e in vandalismi. - Quali circostanze o luoghi della tua vita ti pongono a contatto con situazioni di emarginazione? - Hai partecipato a qualche iniziativa di solidarietà? - Quale contributo saresti disposto a dare per un ambiente migliore e un'aria più pulita? Responsabili o schiavi delle cose? Oggi la tentazione più facile e più grave è di fuggire dalla propria responsabilità, per nascondersi comodamente dietro il paravento dei comportamenti più diffusi e reclamizzati. Quasi senza accorgersene si assume la concezione dominante, per la quale la vita di una persona vale e si realizza nella misura dei beni che possiede. Il vestire "firmato" ed esageratamente attento alla volubilità della moda, un certo tipo di moto odi auto, lo sport dispendioso ma all'ultimo grido, le vacanze in una determinata cornice e località, assieme a tante altre cose, diventano le forme attraverso le quali la persona crede di poter ottenere rispetto o considerazione. A queste cose si rischia di sacrificare valori fondamentali della vita. La scelta del lavoro, il modo di lavorare e il tempo che ad esso si dedica vengono considerati solo in funzione di un maggior guadagno. Anche la scuola e la cultura possono essere pensate unicamente in vista del benessere a cui danno accesso. Se il possesso e le cose prendono il sopravvento nella scala dei valori, allora si cede ai compromessi, alla concorrenza, alle invidie e alle gelosie, e ci si chiude nel piccolo cerchio di coloro che appartengono al nostro livello sociale. L'uomo si identifica con ciò che possiede, a poco a poco rinuncia alla possibilità di realizzarsi interiormente, di comunicare, di farsi sensibile alla giustizia. È una malattia che genera vuoto interiore, ansie e paure, di cui possono risentire non solo quanti di fatto vivono in condizioni sociali ed economiche privilegiate, ma anche coloro che, non potendo accedere ai beni di moda e di consumo, soffrono questa situazione come stato di inferiorità e con frustrazione. Impegnarsi per scoprire un nuovo rapporto con le cose del mondo non è compito facile nella società di oggi, ed esige spesso la forza di andare contro corrente. Questo cammino di maturità critica prende avvio quando ciascuno riconosce di essere chiamato a vivere un progetto unico ed irripetibile, e trova efficace espressione nei luoghi di partecipazione alla vita sociale. Allora l'uso dei beni, la possibilità di un guadagno, l'accesso alla cultura e all'istruzione, l'impegno del lavoro sono ricercati come vie per la maturazione di sé e come strumenti di servizio agli altri. Perché il sogno cominci a diventare realtà, occorre che ognuno ricerchi uno stile di vita rinnovato: un uso essenziale delle cose, l'apertura dei propri beni materiali e culturali agli altri, l'impegno per trasformare le condizioni di lavoro e di istruzione, una nuova sensibilità e presenza nei problemi sociali … Occorre, cioè, costruire un progetto di vita in cui le cose servano alla crescita della persona e permettano una vita soddisfacente per tutti. - Ti definisci consumista o sobrio? - Devi discutere con i tuoi genitori perché non ti comperano ciò che vorresti o perché ti seppelliscono sotto un cumulo di beni superflui? - Ti sei trovato a fare il confronto con i tuoi amici in base alle cose che hai? - Hai provato a fare un piccolo progetto, un sogno per uno stile diverso di vita? Ascoltare Dio che parla: La terra, dono da condividere Cieli e terra narrano la gloria di Dio Alla luce della fede in un Dio che si rivela buono e pieno d'amore, Israele si interroga sul senso del mondo che lo circonda e sul compito che, in esso, è affidato all'uomo. La parola che Israele pronuncia sul significato del mondo si fa, in molti casi, preghiera carica di ammirazione, di riconoscenza e di lode al suo Signore. Tutto quanto si offre al suo sguardo è segno e trasparenza del benevolo interessamento di Dio per la vita dell'uomo. Lo stupore per una così grande bontà si esprime allora con estrema naturalezza. "O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: sopra i cieli si innalza la tua magnificenza" ( Sal 8,2 ). Tutto il cosmo e i suoi fenomeni sembrano aver voce e parola per comunicare agli uomini qualcosa della grandezza di Dio e della benevolenza del suo agire. "I cieli narrano la gloria di Dio, e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento" ( Sal 19,2 ). La varietà delle realtà create e la loro bellezza, il succedersi dei tempi e delle stagioni, la fecondità della terra e la misteriosa regolarità del mondo animale mostrano la saggezza di un ordine divino, che provvede alla vita dell'uomo ed assicura ad essa pienezza di gioia ( Sal 104 ). Nel mondo e nel suo straordinario ordinamento Israele legge un dono di Dio, l'opera della sua creazione, un segno visibile del suo amore per l'uomo. La risposta a questo dono è la preghiera di lode, che tende a coinvolgere tutte le realtà del cielo e della terra nella esaltazione della grandezza divina ( Sal 148,1-10 ). La preghiera dei salmi, nella quale il popolo di Dio ha espresso poeticamente la propria visione del mondo, possiede un fascino perenne. È invito alla contemplazione. È scoperta del senso di ammirazione e di gratitudine di fronte al mondo. Questi sentimenti, suggeriti dalla preghiera d'Israele, non sono spontanei e immediati in una società come la nostra, attenta soprattutto all'efficienza e ai modi pratici di trasformazione delle cose. Il mondo ci appare, a prima vista, come uscito direttamente dalle decisioni e dalle mani dell'uomo, piuttosto che venuto a noi dalla sapienza e dall'amore creatore di Dio. Eppure, anche dentro questa nuova concezione del mondo, avvertiamo che la testimonianza d'Israele ha un valore perenne. Sarebbe ben misero per l'uomo considerare le cose, la natura, gli eventi del mondo solo dal punto di vista della utilità e negarsi la capacità di ammirare, di stupirsi, di esprimere gratitudine per il dono ricevuto. Tutto hai posto nelle nostre mani Affermare che il mondo è dono d'amore di Dio, per Israele non significa negare che esso è nelle mani dell'uomo perché lo trasformi. Già nel racconto della creazione l'uomo, fatto ad immagine del suo creatore, è destinato al dominio su tutte le realtà del mondo ( Gen 1,26-28 ). Posto al centro e al di sopra del creato, è accompagnato dalla benedizione divina, dalla vitalità e dalla forza che essa comunica. Questa misteriosa grandezza dell'uomo, artefice e costruttore del proprio mondo, è cantata con stupore nella preghiera d'Israele. Anche se di fronte all'immensità del creato l'uomo appare piccolo ed indifeso, Dio lo ha reso capace di essere l'unica creatura del mondo a poter continuare l'opera della creazione. "Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l'uomo perché te ne ricordi, il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare" ( Sal 8,4-9 ). Per il compimento di quest'opera, Dio ha dotato l'uomo di sensibilità e d'intelligenza, di forza e di libera decisione. Tutte le capacità che sono in lui vanno viste come dono divino, per il suo compito di dare forma sempre nuova al mondo ( Sir 17,2-6 ). La fede del popolo di Dio segnala, nelle sue linee essenziali, la posizione dell'uomo dentro il mondo e aiuta a scoprire il compito che ci attende di fronte alla realtà. Dio ci chiama a crescere proprio nella fatica continua di conoscere, di scoprire, di trasformare tutto quanto sta intorno a noi. Lo studio, quindi, e la ricerca, la creatività artistica e l'apprendimento di un lavoro sono momenti importanti di questa crescita. Ma proprio dentro questa avventura, che dura dal principio della storia umana, non possiamo dimenticarci del Dio che l'ha resa possibile e l'accompagna con la forza della sua benedizione. "Tu visiti la terra e la disseti: la ricolmi delle sue ricchezze. Il fiume di Dio è gonfio di acque; tu fai crescere il frumento per gli uomini. Così prepari la terra: ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle, la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli. Coroni l'anno con i tuoi benefici, al tuo passaggio stilla l'abbondanza" ( Sal 65,10-12 ). Forse mai come nella nostra epoca è possibile divenire consapevoli della grandiosità delle opere dell'uomo, degli spazi inesplorati che si aprono alla sua intelligenza e alla sua abilità. Ma, proprio nella esplosione del potere dell'uomo sul mondo, si è annidata la presunzione pericolosa e distruttrice che l'uomo possa far tutto da solo, senza rendere né grazie né conto del proprio agire a Dio. E in questo mondo l'uomo rischia di vivere come un estraneo, nella continua paura che i giganti da lui costruiti gli riversino addosso nuove forme di schiavitù, di disumanizzazione e di morte. Correre l'avventura della fede dentro questo mondo significa ritrovare, nella sapienza e nella continua ricerca, il progetto originario di Dio. Occorre saper accogliere con gratitudine le nuove conoscenze, le possibilità e le realizzazioni umane che la nostra cultura e il nostro mondo ci offrono. Dobbiamo però anche farci critici là dove esse vengono manipolate contro la vita e la crescita degli uomini, là dove diventano idoli che generano nuove schiavitù. "Il nostro Dio è nei cieli, egli opera tutto ciò che vuole Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo. Sia come loro chili fabbrica e chiunque in essi confida" ( Sal 115,3-4.8 ) Dio ascolta il grido del povero Tutta la realtà è un dono di Dio, affidato al dominio responsabile dell'uomo, perché con lo sviluppo delle ricchezze del mondo crei uguali possibilità di vita per tutti. Siamo chiamati a dare al mondo il volto del diritto e della giustizia. Fin dall'esperienza dell'alleanza al Sinai, Israele ha compreso che la fedeltà al patto con Dio comporta l'osservanza del diritto e la pratica della giustizia, condizioni per ottenere vita e felicità. Già la seconda parte del decalogo lascia intravedere come il legame con Dio esiga nuovi rapporti tra gli uomini ( Es 20,12-17 ). Con questa acuta coscienza Israele riformulerà sempre le sue leggi, in modo che esse corrispondano alle esigenze di giustizia che Dio gli richiede. Istituirà un anno particolare, ogni sette anni, destinato al condono dei debiti contratti, all'aiuto del bisognoso, alla liberazione degli schiavi ( Dt 15,1-18 ). La sua legislazione avrà sempre una particolare attenzione ai più deboli, ai forestieri, agli orfani, alle vedove, a quanti per indigenza sono costretti a domandare prestiti ( Es 22,20-26 ). E tutto ciò perché Dio stesso ascolta il grido di colui che è indifeso e se ne fa difensore. Cercare il diritto e la giustizia La consapevolezza che la fedeltà a Dio esige la pratica della giustizia si fa sconvolgente parola di appello e di denuncia sulla bocca del profeta Amos. Siamo durante il regno di Geroboamo II ( 783-743 a.C. ), tempo di sviluppo economico e di prosperità materiale per Israele. Ma il benessere è di pochi. Una classe di ricchi proprietari terrieri fa la propria fortuna sulle spalle dei ceti più deboli e poveri. La potenza dei ricchi influenza anche la pratica della giustizia nei tribunali, così che i più poveri non trovano chi difenda i loro diritti. La corruzione diventa strumento abituale nella corsa alla ricchezza. Nei rapporti economici si fa uso indiscriminato della menzogna e della frode. Accanto a queste palesi ingiustizie trionfa però la coscienza di essere il popolo "eletto" da Dio, e in questa elezione si vuol vedere una sorta di garanzia della sua protezione in ogni caso, qualunque sia il comportamento del popolo. Si moltiplicano i pellegrinaggi, le feste e le celebrazioni nei luoghi di culto; ma si tratta, più che altro, di espressioni di potenza e di presunzione, non di fede. Dentro una società in cui si manifestano squilibri sociali e incoerenze nella vita religiosa, il profeta fa penetrare la sua parola tagliente come una spada. Ricorda che, se Dio ha eletto il popolo, è perché si aspetta da esso un particolare impegno nel bene. Di fronte all'ingiustizia, l'elezione diventa giudizio e castigo. "Soltanto voi ho eletto fra tutte le stirpi della terra; perciò io vi farò scontare tutte le vostre iniquità" ( Am 3,2 ). Amos invita, con tono ironico e sferzante, a continuare le pratiche del culto, ma ammonisce che Dio detesta tutte queste cose, perché nel paese non è più rispettato il diritto e non è più praticata la giustizia. "Andate pure a Betel e peccate! A Gàlgala e peccate ancora di più! Offrite ogni mattina i vostri sacrifici e ogni tre giorni le vostre decime. Offrite anche sacrifici di grazie con lievito e proclamate ad alta voce le offerte spontanee perché così vi piace di fare, o Israeliti, dice il Signore. Io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni; anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco i vostri doni e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: il suono delle tue arpe non posso sentirlo! Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne" ( Am 4,4-5; Am 5,21-24 ). Consapevole che non c'è Dio dove non esistono rapporti giusti e veritieri tra gli uomini e dove non sono riconosciute le esigenze di vita dei poveri, il profeta lancia accuse e minacce tremende contro gli oppressori. Si scaglia contro il lusso e la ricchezza sfrenata e avida. "Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Essi su letti d'avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell'arpa, si pareggiano a David negli strumenti musicali; bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l'orgia dei buontemponi" ( Am 6,1.4-7 ). Amos denuncia coloro che compiono parzialità e ingiustizie nei tribunali, dove i deboli non trovano ascolto. "Essi sono oppressori del giusto, incettatori di ricompense e respingono i poveri nel tribunale. Perciò il prudente in questo tempo tacerà, perché sarà un tempo di sventura" ( Am 5,12-13 ). Il profeta porta alla luce le frodi messe in atto nei rapporti economici. Con forza ed irruenza grida che ogni ingiustizia è venire meno alla fedeltà di Dio. "Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite: "Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo le misure e aumentando il siclo e usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano". Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: certo non dimenticherò mai le loro opere" ( Am 8,4-7 ). Ritrovare il volto di Dio, convertirsi a lui, significa cercare il bene, non il male. È possibile una vita piena, quale Dio vuole donare agli uomini, solo ristabilendo e rinsaldando nuovi rapporti di giustizia e di fraternità, secondo le esigenze divine. "Cercate il bene e non il male, se volete vivere, e così il Signore, Dio degli eserciti, sia con voi, come voi dite. Odiate il male e amate il bene e ristabilite nei tribunali il diritto; forse il Signore, Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe" ( Am 5,14-15 ). Chi si farà portatore della giustizia di Dio, così da fare del mondo la casa della fraternità, il luogo dove le cose necessarie alla vita vengono equamente distribuite e condivise, dove i diritti fondamentali di ciascuno sono riconosciuti, l'attenzione premurosa va verso i poveri, gli indifesi, gli esclusi dal banchetto della vita? La via dell'esperienza, guidata dalla preghiera d'Israele e dalla voce dei profeti, apre nuovi orizzonti alla nostra esistenza. Ma l'interrogativo rimane: qual è l'uomo capace di portare a compimento il disegno divino sulla creazione? chi ci donerà la giustizia di Dio e ci darà la forza di viverla pienamente? Incontrare Gesù Cristo: Gesù, modello di solidarietà Si è fatto povero Gesù guarda e utilizza le cose nel significato che avevano fin dal loro apparire ad opera del Creatore. Per lunghi anni, nel nascondimento del suo paese, a Nazareth, egli esercita il lavoro del carpentiere. Prende su di sé la dura fatica quotidiana che spetta a ciascuno, e mostra che in essa l'uomo è chiamato a diventare adulto e a realizzarsi in conformità al disegno della creazione. Il suo sguardo sulla realtà creata è così limpido e profondo, da portare alla luce l'amore provvidente di Dio che è in essa. Gli uccelli del cielo e i gigli del campo sono un invito a riconoscere la paterna bontà di Dio, che tutto ha creato e sostiene per farne dono alla vita dell'uomo. Le cose del mondo diventano così un appello a fidarsi totalmente di Dio, che per primo si mostra preoccupato dell'esistenza umana ( Mt 6,25-34 ). Accogliere il mondo come un dono divino, trasformarlo con fatica per la maturazione nostra e degli altri: ecco il progetto che Gesù riconsegna al nostro cuore e alle nostre mani. In un mondo innalzato a idolo dal peccato degli uomini, trasformato dall'egoismo in strumento di divisione e di sofferenza, ridotto a giungla di ingiustizie dalla sete di potere, Gesù è venuto a rendere presente il nuovo volto della giustizia di Dio. Già il suo stile di vita, il suo modo di interessarsi agli uomini che patiscono ingiustizia, l'attenzione rivolta all'uomo al di sopra di ogni cosa e di ogni interesse, sono il seme gettato da Dio per la ricostruzione di un mondo giusto e fraterno. Gesù, con i suoi gesti, ha impiantato nel cuore di un mondo dilaniato l'alba del regno di Dio. Nell'iniziare la sua missione di profeta definitivo del Regno, Gesù abbandona il suo paese, la sua casa, le sicurezze e i possessi che accompagnano una vita normale. Accetta, invece, la precarietà e l'insicurezza del Maestro continuamente in movimento sulle strade della Palestina. Un giorno potrà affermare, descrivendo il suo stile di vita, che "il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo" ( Lc 9,58 ). Gesù sceglie volontariamente la via della povertà e del distacco dai beni. E la stessa scelta egli chiede a quanti accettano di porsi al suo seguito. I primi quattro discepoli lasceranno il mestiere, le barche, la casa. Pietro potrà dire con verità, a nome di tutti: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito" ( Mc 10,28 ). L'abbandono radicale del possesso, come stile di vita, è assunto da Gesù, e da lui richiesto, perché c'è un progetto più grande a dominare la sua vita e la vita di quanti gli si affiancano. È il progetto del Regno, il disegno divino di un'umanità liberata dalle schiavitù del mondo e capace di aprirsi alla fraternità. Chi ha trovato questa perla preziosa ( Mt 13,45-46 ), è disposto a lasciare tutto: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" ( Mt 6,33 ). All'uomo che ha idolatrato il mondo e il suo possesso Gesù propone, con la sua vita, un'inversione di marcia: dare fiducia totale a Dio e costruire il suo mondo di giustizia e fraternità; subordinare a questo disegno l'ansia per la propria sicurezza, fino ad accettare una volontaria povertà. Per diventare discepoli Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: "Ti seguirò dovunque tu vada". Gesù gli rispose: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". A un altro disse: "Seguimi". E costui rispose: "Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre". Gesù replicò: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti: tu va' e annunzia il regno di Dio". Un altro disse: "Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa". Ma Gesù gli rispose: "Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio". ( Lc 9,57-62 ) "Beati voi poveri" Gesù non solo abbraccia la povertà, ma dà la sua preferenza ai poveri, a coloro che un mondo ingiusto ha privato di dignità, di considerazione, di possibilità di vita. Egli presenta questo atteggiamento come programma della sua missione profetica: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio" ( Lc 4,18 ). Fin dalla sua nascita sono mostrati accanto a lui i pastori, una categoria disprezzata da certi notabili del suo tempo. Nella sua missione raccoglie attorno a sé gente di poco conto agli occhi dei benpensanti: pubblicani, cioè i malvisti esattori delle tasse, e peccatrici segnate a dito da tutti. Non esita ad indicare, come esempio di amore del prossimo e di riconoscenza a Dio, un samaritano, appartenente a un popolo che i giudei del tempo tenevano lontano al pari dei pagani ( Lc 10,30-37; Lc 17,11-19 ). Accoglie al suo seguito alcune donne, in un mondo che relegava la donna in una condizione di inferiorità ( Lc 8,1-3 ). Vuole attorno a sé i bambini, che non contano e che non hanno diritti secondo la mentalità dell'epoca ( Lc 18,15-17 ). Questo continuo avvicinarsi di Gesù ai poveri, ai disprezzati, agli infelici della terra, è un segno che il regno di Dio si fa presente nel mondo. Dio, infatti, quando decide di costruire il mondo nuovo della sua giustizia, comincia con il ridare speranza a coloro che l'ingiustizia umana ha reso disperati; si fa difensore dei diritti di coloro ai quali gli uomini hanno strappato ogni diritto; accoglie quanti soffrono disprezzo ed emarginazione. Per questo Gesù può annunciare a nome di Dio che il Regno è dei poveri: "Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli" ( Lc 6,20-23 ). Questo capovolgimento di situazioni, di cui Dio ci dà il felice annuncio in Gesù, non troverà attuazione totale dentro questa nostra storia, confusa e spesso contraddittoria. Dio ne riserverà il pieno adempimento al tempo in cui instaurerà il suo Regno senza più ombre, al di là della storia. Ma, già da ora, i figli di questo Regno sanno che il mondo nuovo della giustizia cresce sulla base dell'accoglienza, del servizio, della speranza accordata agli "ultimi" della terra. Ancora una scelta di Gesù indica la strada che il Regno deve percorrere nel mondo: l'uomo e la sua vita bisognosa contano più di ogni altra realtà e di ogni altra legge. Un esempio significativo può darci la misura di questo orientamento di Gesù ( Mc 5,1-20 ). In un racconto, dalle tinte popolari, è mostrato Gesù che libera dalla potenza del male un uomo costretto a vivere nelle ombre della morte, tra i sepolcri. Nessuno, prima, lo aveva potuto aiutare. Gesù lo restituisce all'originaria dignità, libertà e pienezza di capacità. I suoi concittadini rimangono stupiti per questa prodigiosa trasformazione; ma, alla notizia che la ritrovata salvezza dell'uomo è costata l'ingente capitale d'una intera mandria di porci, allontanano dalla loro terra Gesù, il liberatore. L'uomo, rinato alla potenza della libertà, rimane in quel territorio, come segno ed annuncio che Dio opera meraviglie a favore della vita umana oppressa e schiava del male. Nel mondo nuovo, che viene con il regno di Dio, la libertà e la dignità dell'uomo contano più di ogni preoccupazione o legge economica. Tutto, strutture sociali e organizzazione del lavoro, economia e politica, deve essere finalizzato alla crescita dell'uomo. Dove l'uomo, piegato dalle schiavitù, si erige nella libertà, si rende presente la gloria di Dio e spunta la speranza di un'umanità giusta. La buona novella ai poveri Anche Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutti questi avvenimenti. Giovanni chiamò due di essi e li mandò a dire al Signore: "Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?". Venuti da lui, quegli uomini dissero: "Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?". In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: "Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella. E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!". ( Lc 7,18-23 ) Si può servire Dio e il denaro? Gesù ha espressioni roventi contro la ricchezza, che egli chiama, senza mezzi termini, disonesta, iniqua ( Lc 16,9 ). Essa è un reale pericolo, perché distoglie il cuore dell'uomo da Dio, così che occorre fare una scelta radicale: o Dio o la corsa sfrenata alla ricchezza. Un esempio tipico del potere che il possesso dei beni esercita sulla vita dell'uomo, chiudendolo alle esigenze di amore e di giustizia provenienti da Dio, è il rifiuto malinconico dell'uomo ricco a seguire Gesù ( Lc 18,18-23 ). Di fronte ad esso, Gesù non può che esprimersi duramente: "Quant'è difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio" ( Lc 18,24 ). Chiuso in se stesso, l'uomo ricco si gonfia di presunzione. Pensa che l'accumulo sfrenato dei beni sia l'unico modo per dare sicurezza e felicità alla vita. Ma il vuoto interiore e il vuoto ultimo della morte sono sempre in agguato, come per quell'uomo stolto che aveva stipato i suoi magazzini di ogni bene. "Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia - ammonisce Gesù -, perché anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni" ( Lc 12,15 ). Soprattutto, l'attaccamento alla ricchezza rischia di creare cuori insensibili, che si danno al lusso e all'ingordigia, incuranti dei poveri che, come Lazzaro nella parabola narrata da Gesù, sulla soglia delle case dei ricchi soffrono stenti e muoiono di piaghe e di fame ( Lc 16,19-31 ). La ricchezza ha il malvagio potere di chiudere gli uomini alle richieste dell'amore e di fornire loro false ed effimere sicurezze. Nel tentativo di smascherare questo idolo, il Vangelo assume una durezza estrema: "Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete" ( Lc 6,24-25 ). In un mondo che propone modelli di ricchezza e di potere come unica strada di riuscita nella vita, l'accusa di Gesù è di un'attualità sconvolgente. Essa mette in guardia contro i meccanismi di una società che tende a sfamare falsamente, con uno sfrenato consumo dei beni, i desideri profondi del cuore umano. Denuncia l'insensibilità di quegli individui e di quelle nazioni che, preoccupandosi esclusivamente del proprio prestigio e del proprio benessere, non offrono un concreto aiuto a quanti vivono di stenti e hanno davanti lo spettro di una morte per fame. La denuncia di Gesù si trasforma presto in proposta attiva: "Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma" ( Lc 12,33 ). I beni devono essere impiegati per costruire solidarietà, partecipazione, concreta fratellanza nella giustizia. Sono indicazioni semplici ed essenziali, che tuttavia diventano di estrema complessità quando si tratta di applicarle alla nostra vita di oggi, ai rapporti esistenti tra i ceti sociali, al divario economico che separa le nazioni. Chi si dispone a vivere oggi la parola di Gesù, deve saper leggere i segni del nostro tempo, per darsi da fare con tempestività ed intelligenza nell'aiuto concreto, nella solidarietà ai bisognosi, nell'appoggio a movimenti e proposte per una maggiore giustizia. A caratterizzare il nostro impegno deve essere lo stile della gratuità, secondo la parola di Gesù: "Quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti" ( Lc 14,13-14 ). Ogni impegno per un mondo più solidale, per rapporti più giusti, deve essere condotto senza pretesa di riconoscimenti e di ricompense umane. Solo questo incessante e disinteressato prodigarsi lascerà trasparire che stiamo edificando, nella pazienza e nell'attesa fiduciosa, i segni di un mondo nuovo dove regna Dio. La stoltezza del ricco Uno della folla gli disse: "Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità". Ma egli rispose: "O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi ?". E disse loro: "Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno é nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni". Disse poi una parabola: "La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio". ( Lc 12,13-21 ) Scheda: Gesù, pane per tutti L'ultimo gesto con il quale Gesù esprime la sua volontà di donazione di sé al Padre per gli uomini, alla vigilia della morte, è la cena finale con i discepoli. Nella notte in cui veniva tradito - racconta Paolo riportando un'antica tradizione - Gesù fece la preghiera di ringraziamento, prese il pane, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi". Lo stesso fece con il calice del vino ( 1 Cor 11,23-25 ). Non si capisce questo gesto se non lo si collega con i pasti mediante i quali, nella sua attività itinerante, Gesù ha voluto esprimere l'accoglienza verso i peccatori, condividendone la condizione di marginalità religiosa e sociale, e anticipando per loro la gioia del banchetto degli ultimi tempi ( Mc 2,15-20 ). In particolare la tradizione evangelica ha richiamato l'attenzione sulla continuità tra la cena di addio e il gesto prodigioso dei pani spezzati e distribuiti alla folla nel deserto. Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'". Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: "Questo luogo è solitario ed è ormai tardi; congedali perciò, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini, possano comprarsi da mangiare". Ma egli rispose: "Voi stessi date loro da mangiare". Gli dissero: "Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?" Ma egli replicò loro: "Quanti pani avete? Andate a vedere". E accertatisi, riferirono: "Cinque pani e due pesci". Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull'erba verde. E sedettero tutti a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta. Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono e si sfamarono, e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini. ( Mc 6,30-44 ) 1. Uno sguardo di compassione ( Mc 6,34 ) Il miracolo comincia di qui: Gesù si trova davanti una massa enorme di gente disorganizzata ed affamata, "come pecore senza pastore". La sua compassione è molto più di un sentimento umano: indica un atteggiamento messianico e richiama la preghiera di Mosè che, prima di morire, chiede a Dio un capo perché il popolo non diventi "un gregge senza pastore" ( Nm 27,17 ). In Gesù Dio compie la promessa di prendersi personalmente cura del suo popolo attraverso la guida del Messia "pastore", come preannunciato dal profeta Ezechiele ( Ez 34,23-24 ). 2. Anzitutto la parola ( Mc 6,34 ) La prima cosa che Gesù offre a questa folla, abbandonata a se stessa, non è il pane, ma la parola. Per venire incontro ai bisogni della gente, il primo servizio del vero pastore è aiutare le persone a cambiare se stesse e a diventare comunità. Occorre avere una comunità, con cui condividere il pane che si mangia. Il modo con cui Gesù esprime la sua pietà per la folla, istruendola, ci permette di riconoscere in lui l'unica vera guida, capace di fare di tutta quella gente dispersa una comunità. 3. Comprare o dare? ( Mc 6,35-38 ) Di fronte alla situazione di bisogno di migliaia di persone in un luogo isolato e senza scorte sufficienti per sfamarsi, i discepoli sembrano rassegnati e propongono a Gesù di congedare la folla, perché ognuno possa provvedersi da mangiare. Il maestro fa una proposta a sorpresa: "Voi stessi date loro da mangiare" ( Mc 6,37 ). I discepoli reagiscono ragionando in termini di mercato e fanno un calcolo approssimativo: per sfamare tanta gente ci vorrebbero duecento monete d'argento, quasi la paga annuale di un bracciante agricolo! Gesù propone un'altra soluzione: alla logica del "comprare", sostituisce quella del "dare". Quel poco pane e quei due pesci, messi a disposizione da un ragazzo, come precisa il quarto Vangelo ( Gv 6,9 ), basteranno per tutti, anzi ce ne sarà d'avanzo. 4. Un'assemblea conviviale ( Mc 6,39-40 ) Gesù associa i discepoli alla sua opera, invitandoli a far disporre la folla in gruppi di commensali: non è possibile mangiare senza entrare in un rapporto di comunione. Per Gesù, il popolo di Dio si costituisce nella fraterna comunione di mensa, segno di quella ritrovata unità che è frutto del regno di Dio, annunciato dalla predicazione del Vangelo e mostrato in azione nei segni miracolosi che l'accompagnano. 5. Come una Eucaristia ( Mc 6,41 ) Come un padre di famiglia ebreo, Gesù all'inizio del pasto pronunzia la preghiera di lode a Dio e spezza il pane per distribuirlo ai commensali. Ma, per far questo, chiama i discepoli a collaborare con lui, come li chiamerà poi a raccogliere i pezzi avanzati. In questo passaggio centrale del racconto, l'allusione ai gesti dell'Eucaristia è trasparente. 6. Dodici ceste sempre piene ( Mc 6,42-43 ) Il dono che Gesù offre, colma al di là di ogni misura: e pienezza di vita per l'uomo affamato. L'annotazione delle dodici ceste piene di resti non è una banalità. La comunità cristiana sa che il pane di vita, che è il Signore Gesù, è custodito dalla Chiesa per la fame di tutti coloro che cercano salvezza. In questa narrazione evangelica la comunità dei credenti si riconosce e, come in uno specchio, scopre ciò che essa è: popolo guidato da Gesù, vero pastore. Ancora oggi, nell'Eucaristia, la Chiesa si coglie come assemblea riunita dal suo Signore, per essere nutrita prima con il pane della Parola e poi con il pane del suo Corpo. Ma l'Eucaristia chiede di essere prolungata nella vita di comunione: se si abbandona la logica individualistica dell'avere, che spinge ognuno a pensare a sé, e ci si apre allo spirito del dono, nasce una nuova comunità. È la Chiesa del Signore. Vivere la comunione nella Chiesa: Edificare il Regno nella giustizia Lo Spirito chiama alla condivisione La prima comunità cristiana di Gerusalemme ci appare impegnata a sconfiggere la miseria e il bisogno al suo interno. Così la descrivono gli Atti degli apostoli, in un quadro ideale di vita evangelica: "Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno" ( At 2,44-45 ). I bisognosi e i poveri erano al centro di un movimento di attenzione e di aiuto concreto, che impegnava fortemente la vita e i beni dei credenti. Attraverso questo sforzo, la comunità cristiana non intendeva esprimere né un nuovo ideale politico né un modello sociale da ricalcare. Essa tentava di dare concretezza alla esperienza di nuova fraternità che lo Spirito aveva suscitato. Vivere come "un cuore solo e un'anima sola" ( At 4,32 ), condividendo tutto: questo era il dono che le era stato dato perché diventasse progetto di vita. L'indigenza e la miseria da una parte, ed il possesso esclusivo ed insensibile della ricchezza dall'altra, apparivano come realtà stridenti, che occorreva eliminare. Non ci poteva essere vera fraternità, se i beni necessari alla vita non erano accessibili a tutti. Le strade di una maggiore giustizia nella condivisione non sono mai state facili. Anche la prima comunità ha conosciuto esempi di sotterfugio e di meschinità, come quello di Anania e Saffira, i quali hanno tenuto per sé una parte dei beni che avevano dichiarato di voler mettere a disposizione dei bisognosi ( At 5,1-11 ). Ma né le difficoltà, né il persistere di infedeltà hanno mai distolto la Chiesa dal farsi attenta all'appello dello Spirito, che la sospinge verso nuove realizzazioni di giustizia. Lo Spirito ricorda incessantemente e rende vivo il dono e l'impegno per nuovi rapporti di fraternità, dono reso presente nella persona di Gesù. Nelle comunità di Gerusalemme, di Antiochia, di Corinto non mancavano difficoltà e problematiche analoghe a quelle che ancora oggi possono angustiare i credenti: situazioni quanto mai ardue di miseria, problema degli schiavi, povertà dei primi cristiani. Eppure, alle situazioni di bisogno e di disagio le comunità hanno risposto con la dedizione e la creatività che la fede sapeva ispirare. Questo impegno, che trova eco e testimonianza nelle lettere degli apostoli e di Paolo in particolare, non deve andare perduto, non tanto perché possa suggerirci soluzioni pratiche per problemi che sono di oggi, ma perché il confronto con la Chiesa delle origini ci stimola a fare nostri e a rivivere atteggiamenti che fanno parte dell'essere cristiani. Scelte di solidarietà e di amore ai poveri Giovanni Paolo II nell'indicare gli atteggiamenti e le scelte da assumere per testimoniare la salvezza, traccia la strada di più veri rapporti tra tutti gli uomini. Prioritarie sono le scelte della ricerca del bene comune, della solidarietà e, in particolare, dell'amore preferenziale per i poveri. "La solidarietà non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. Tale determinazione è fondata sulla salda convinzione che le cause che frenano il pieno sviluppo siano la brama del profitto e la sete del potere … Questi atteggiamenti e "strutture di peccato" si vincono solo - presupposto l'aiuto della grazia divina - con un atteggiamento diametralmente opposto: l'impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso evangelico, a "perdersi" a favore dell'altro invece di sfruttarlo, e a "servirlo" invece di opprimerlo per il proprio tornaconto … Opzione, o amore preferenziale per i poveri. È, questa, un'opzione, o una forma speciale di primato nell'esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la tradizione della Chiesa. Essa si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l'uso dei beni … La preoccupazione stimolante verso i poveri - i quali, secondo la significativa formula, sono"i poveri del Signore" - deve tradursi, a tutti i livelli, in atti concreti fino a giungere con decisione a una serie di necessarie riforme". ( Sollicitudo rei socialis, 38 e 42-43 ) Lievito e sale del mondo Il cristiano nel mondo si trova ogni giorno provocato da situazioni e bisogni concreti che sollecitano la sua decisione. Da una parte sentiamo che il lavoro è necessario per aiutarci ad esprimere e a far crescere certe nostre capacità e, insieme, per acquisire un giusto guadagno che permetta di vivere serenamente. Siamo così impegnati nello studio in vista di una professione. Ci appare poi di fondamentale importanza poter disporre di beni e di denaro, per superare ogni forma di dipendenza e godere di autonomia, e anche per avere del tempo libero da dedicare al riposo, alla festa. È inoltre inevitabile imbattersi in una serie di questioni sociali, che spingono a pronunciarsi e a partecipare. In una parola, il quotidiano e la storia ci occupano e ci preoccupano. D'altra parte il cristiano crede e spera in realtà che ancora non si sono pienamente manifestate in questo mondo. Spera in una libertà e in una giustizia profonde, in un amore che possa esprimersi senza limitazioni e in una pace non precaria. Spera, in base alla promessa di Dio, in una realizzazione di sé completa sotto tutti gli aspetti. La vita cristiana dentro il mondo è quindi carica di tensioni, contesa com'è tra gli impegni e i bisogni che la situazione sollecita e i valori definitivi in cui spera e dei quali occorre già pregustare i segni. La tentazione costante è di eliminare la fatica che questa tensione comporta. Così alcuni cristiani della comunità di Tessalonica, che credevano ormai vicino il mondo nuovo, disdegnavano il lavoro e l'impegno, e vivevano di sogni, facendo gravare sugli altri il peso del loro sostentamento. L'apostolo Paolo si mostra indignato contro di loro e pone in risalto come questo comportamento non sia conforme alle esigenze della vita cristiana: "Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione. A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace" ( 2 Ts 3,11-12 ). Il desiderio non immediatamente adempiuto che il mondo sia diverso, che il lavoro e la scuola abbiano subito un aspetto più umano, che i rapporti sociali manifestino il volto della solidarietà, non deve portare al rifiuto di queste realtà, al disinteresse verso questi impegni o all'attesa passiva che altri risolvano i problemi per noi. Fuggire dalla realtà, perché essa è dura e presenta lati oscuri, non aiuta né la maturazione personale né la trasformazione sociale. Il cristiano sa che il progetto di Dio gli chiede di prendere parte attiva, con fatica, agli impegni che la storia gli pone dinanzi. Viceversa, è sempre possibile che il cristiano, immergendosi nei doveri d'ogni giorno e nei problemi del sociale, dimentichi di orientare la propria vita ai grandi beni in cui spera e che è chiamato ad edificare. Allora il lavoro e la scuola, l'ideale professionale e la posizione sociale, la possibilità di guadagno e la stessa azione politica possono diventare piccoli idoli, per cui si è disposti a sacrificare tutto. Paolo mette in guardia da questo pericolo i cristiani di Corinto, ricordando loro: "Il tempo ormai si è fatto breve; d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!" ( 1 Cor 7,29-31 ). È necessario che il cristiano non si adagi nel mondo e non si lasci prendere completamente dalle sue preoccupazioni. Egli deve aver chiare davanti a sé le grandi realtà in cui spera. Per la loro costruzione si impegna e si dedica. La sua presenza nel mondo del lavoro e della scuola, l'uso dei beni e le possibilità culturali diventano luoghi e strumenti da assumere perché fioriscano sempre nuovi spazi di speranza, una maggiore giustizia e i segni della pace. Il cristiano nel mondo vive la parabola del lievito e del sale ( Mt 5,13-16 ): si immerge in tutte le realtà e gli impegni, per far lievitare la novità e dare a tutto il sapore che proviene dalla giustizia di Dio. Il "Vangelo del lavoro" È importante recuperare il senso umano dell'attività dell'uomo nella trasformazione del mondo alla luce del disegno di Dio sulla storia. È quanto ci aiuta a fare Giovanni Paolo II nell'enciclica dedicata ai problemi del lavoro. "L'uomo, creato a immagine di Dio, mediante il suo lavoro partecipa all'opera del Creatore, ed a misura delle proprie possibilità, in un certo senso, continua a svilupparla e la completa, avanzando sempre più nella scoperta delle risorse e dei valori racchiusi in tutto quanto il creato. Questa verità noi troviamo giù all'inizio stesso della Sacra Scrittura, nel libro della Genesi, dove l'opera stessa della creazione è presentata nella forma di un "lavoro" compiuto da Dio durante i "sei giorni", per "riposare" il settimo giorno … Questa descrizione della creazione, che troviamo già nel primo capitolo del libro della Genesi è, al tempo stesso, in un certo senso il primo "Vangelo del lavoro". Essa dimostra, infatti, in che cosa consista la sua dignità: insegna che l'uomo lavorando deve imitare Dio, suo Creatore, perché porta in sé - egli solo - il singolare elemento della somiglianza con lui. L'uomo deve imitare Dio sia lavorando come pure riposando, dato che Dio stesso ha voluto presentargli la propria opera creatrice sotto la forma del lavoro e del riposo … La coscienza che il lavoro umano sia una partecipazione all'opera di Dio, deve permeare - come insegna il Concilio - anche le "ordinarie attività quotidiane. Gli uomini e le donne, infatti, che per procurarsi il sostentamento per sé e per la famiglia, esercitano le proprie attività così da prestare anche conveniente servizio alla società, possono a buon diritto ritenere che col loro lavoro essi prolungano l'opera del Creatore, si rendono utili ai propri fratelli e danno un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia" ( Gaudium et spes, 34 ) ". ( Laborem exercens, 25 ) Per fare uguaglianza Un problema di particolare importanza, nello sforzo di edificare la solidarietà, è quello dell'uso e della destinazione dei beni. Anche in questo campo l'esperienza delle prime comunità cristiane ci fornisce un orientamento di notevole attualità. La Chiesa di Gerusalemme, soprattutto in seguito ad una pesante carestia, versava in una situazione di povertà e di necessità. La comunità cristiana di Corinto lancia per prima l'idea di una raccolta a favore dei fratelli poveri di Gerusalemme. Proprio scrivendo ai Corinzi, l'apostolo Paolo informa che anche le Chiese della Macedonia hanno voluto partecipare con generosità a questo progetto, nonostante si trovino anch'esse in stato di tribolazione e di necessità ( 2 Cor 8,1-15 ). Nell'andare incontro ai fratelli più poveri con una concreta disponibilità di beni, l'apostolo vede un'espressione visibile della benevolenza di Cristo. In quest'opera generosa i credenti mettono alla prova la sincerità del loro amore. Sono quindi esortati a dare con grandezza d'animo e con gioia ( 2 Cor 9,6-7 ). La misura del loro donare sia secondo le loro possibilità e il fine sia quello di creare uguaglianza: "Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza" ( 2 Cor 8,13 ). Questo gesto, poi, costruirà un nuovo rapporto di unità tra due mondi culturalmente lontani, quello greco e quello giudaico, e manifesterà i segni e i frutti della giustizia che Dio vuole tra gli uomini. Questa singolare iniziativa delle prime comunità cristiane e le motivazioni con cui Paolo l'appoggia mostrano la concezione del possesso e dell'uso dei beni che il cristiano deve avere. La proprietà non è un diritto assoluto di cui si possa disporre arbitrariamente e quindi egoisticamente. Le necessità in cui versano tanti fratelli diventano per il cristiano uno stimolo a dare con generosità, a creare nuovi legami di solidarietà, a tentare le strade, difficili ma feconde, di crescita nell'uguaglianza. La terra è un dono che Dio ha fatto all'intera umanità. Le sue risorse non possono essere privilegio di pochi e la loro utilizzazione deve tener conto delle generazioni future. L'attenzione al povero e la preoccupazione per il degrado ambientale sono due volti della medesima solidarietà. Il bisogno del fratello, di oggi e di domani, è il primo criterio che determina la misura del dono. Ciò vale soprattutto quando mancano o sono carenti le forme istituzionali di assistenza e di aiuto nei confronti di singole persone o categorie, che, nell'odierna società di massa, rischiano di essere dimenticate nei loro bisogni materiali e spirituali. Dovrà quindi esserci posto per iniziative spontanee e volontarie verso gli indigenti che ci circondano, cercando soprattutto di raggiungere quelle forme nuove di povertà che vanno emergendo e che si manifestano spesso in rapporto al lavoro, alla casa, alla sanità e alla solitudine. Dobbiamo però essere consapevoli che le strade che conducono alla giustizia passano anche attraverso forme più complesse di solidarietà. È difficile promuovere il bene di tutti e di ciascuno se non si giunge ad operare nelle istituzioni e negli ordinamenti della società. L'impegno nella vita sociale e specificamente nell'ambito politico fa parte del dovere di ogni cristiano che vuole essere fedele al comando del Signore di essere il servo di tutti. Si tratta di un servizio non facile, che richiede preparazione e competenza e che subisce forti tentazioni nell'esercizio del potere. Per questo occorre fin d'ora coltivare lo spirito di sincerità e di equità, la responsabilità e la dedizione al bene comune, la capacità di dialogo e la saggezza. Servire il bene comune Il Papa Paolo VI, in un documento del 1971, ha così sintetizzato alcuni fondamentali aspetti del significato che l'azione politica assume nella prospettiva di fede cristiana. "Prendere sul serio la politica nei suoi diversi livelli - locale, regionale, nazionale e mondiale - significa affermare il dovere dell'uomo, di ogni uomo, di riconoscere la realtà concreta e il valore della libertà di scelta che gli è offerta per cercare di realizzare insieme il bene della città, della nazione, dell'umanità. La politica è una maniera esigente - ma non è la sola - di vivere l'impegno cristiano al servizio degli altri … Pur riconoscendo l'autonomia della realtà politica, i cristiani, sollecitati ad entrare in questo campo di azione, si sforzeranno di raggiungere una coerenza tra le loro opzioni e il Vangelo e di dare, pur in mezzo ad un legittimo pluralismo, una testimonianza personale e collettiva della serietà della loro fede mediante un servizio efficiente e disinteressato agli uomini". ( Octogesima adveniens, 46 ) Attorno all'unico Pane I cristiani trovano la forza e la misura del condividere e del fare uguaglianza nel gesto sacramentale dell'Eucaristia. Paolo pone bene in risalto questo legame tra condivisione di beni ed Eucaristia in una dura ammonizione rivolta alla comunità di Corinto. In questa Chiesa la cena eucaristica era preceduta da un pasto comunitario, che doveva essere espressione di unità e di volontà di abolire le disuguaglianze e le divisioni sociali. Nel corso di esso i cristiani dovevano mostrarsi concretamente solidali verso i fratelli privi di ogni cosa. Purtroppo, invece, si verificavano abusi odiosi. Si formavano gruppi separati a seconda della condizione sociale, cosicché i ricchi gozzovigliavano e i poveri rimanevano affamati ( 1 Cor 11,17-34 ). Per Paolo questa situazione è estremamente grave: "Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è ubriaco" ( 1 Cor 11,20-21 ). Secondo l'apostolo, non essere disponibili a condividere i beni svuota di senso e di efficacia la stessa celebrazione eucaristica. Partecipando infatti all'unico pane e all'unico calice, che sono il corpo e il sangue di Cristo, i credenti sono resi capaci e impegnati a condividere tutto. Perpetuare egoisticamente disuguaglianze e differenze, chiudersi ai bisogni dei poveri e alle esigenze della giustizia è dunque rendersi indegni del corpo di Cristo ed esporsi a un giudizio di condanna: "Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore" ( 1 Cor 11,27 ). Queste esortazioni di Paolo sono un forte richiamo affinché le celebrazioni delle nostre Eucaristie domenicali diventino fonte di rinnovato impegno per la giustizia. E un vistoso controsenso cibarsi del corpo di Cristo nel banchetto eucaristico, mentre laceriamo il suo corpo vivo, che è la Chiesa, con insensibilità, chiusure ed ingiustizie, e perpetuiamo dolorose disuguaglianze. È necessario invece che, proprio all'interno dell'Eucaristia, rendiamo presenti i segni dell'attenzione ai poveri, della solidarietà verso chi è in particolari necessità, l'impegno per nuovi rapporti di uguaglianza. La confessione delle colpe, i doni dell'offerta, la preghiera di tutta la comunità devono evidenziare questa sete del condividere, a cui Cristo ci apre donando a tutti se stesso come pane di vita. Un momento dove l'unità della Chiesa si rende segno visibile, esperienza concreta è l'assemblea eucaristica domenicale, quando tutta la comunità è convocata per la lode e il ringraziamento al Padre nella memoria della Pasqua del Signore. Parteciparvi, per ogni cristiano, è un dovere, che lo impegna gravemente. Ogni domenica persone diverse, per famiglia, età, condizione sociale e culturale, esperienza ecclesiale, si ritrovano a formare un'unica assemblea liturgica. Nel suo piccolo, è il segno che Dio convoca tutti a formare una sola famiglia, un solo corpo. L'assemblea eucaristica di domenica in domenica, nell'attesa della venuta del Signore, con la forza della Parola e dello Spirito, si pone come seme e progetto di unità, per tutti gli uomini. Eucaristia e condivisione Non si può celebrare l'Eucaristia senza condividere con chi è nel bisogno i beni che possediamo. Il rendimento di grazie a Dio è indissolubilmente unito alla ricerca della giustizia. Di questo è consapevole la Chiesa fin dalle origini, come attesta San Giustino ( † circa 165 ) - il filosofo difensore della nuova fede di fronte al mondo pagano ed ebraico - in una delle più antiche descrizioni della celebrazione eucaristica domenicale. "Quelli che possiedono aiutano tutti i bisognosi e siamo sempre uniti gli uni con gli altri. Per tutti i beni che riceviamo ringraziamo il Signore dell'universo per il suo Figlio e lo Spirito Santo. E nel giorno chiamato "del sole" ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città e delle campagne, e si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei Profeti, finché il tempo lo consente. Poi, quando il lettore ha terminato, colui che presiede ci ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere … Terminata la preghiera vengono portati pane, vino ed acqua, e colui che presiede … innalza preghiere e rendimento di grazie ed il popolo acclama dicendo: "Amen". Si fa quindi la distribuzione a ciascuno degli alimenti consacrati, ed attraverso i diaconi se ne manda agli assenti. Quelli che hanno possibilità e tutti quelli che lo desiderano danno liberamente, ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso colui che presiede. Questi soccorre gli orfani, le vedove e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa; anche i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi. Ci prendiamo cura di chiunque sia nel bisogno". ( Prima Apologia, 67 ) Scheda: Il dono di Gesù ai suoi: il sacramento dell'Eucaristia 1. Celebrazione e vita "Rivolto ad Emerito dinanzi al tribunale, il proconsole domandò: "Nella tua casa sono state tenute riunioni contro gli editti imperiali?". Inondato dallo Spirito Santo Emerito rispose: "Nella mia casa abbiamo celebrato i misteri del Signore nel giorno domenicale". "Perché - domandò il proconsole - permettevi loro di entrare?". Rispose Emerito: "Perché sono miei fratelli e non potevo impedirlo … Non potevo - insistette Emerito - perché non possiamo vivere senza celebrare i misteri nel giorno del Signore"" ( dal Martirio dei Santi di Abitène - IV sec. ). "Non possiamo vivere senza celebrare …": le parole dei 49 martiri di Abitène tornano sconvolgenti e strane oggi, in un tempo in cui molte persone pensano di poter fare a meno di partecipare alla celebrazione dell'Eucaristia. Sono molti i fatti che non favoriscono una partecipazione alla celebrazione dell'Eucaristia nel giorno di domenica: le molte e frastornanti parole che diciamo, il ritmo febbrile della vita odierna, una diffusa mentalità tecnologica e produttivistica, il modo secolarizzato di pensare e di agire di molti adulti e giovani - forse amici e vicini -, l'incoerenza tra la pratica religiosa e lo stile di vita, una certa ripetitività dei gesti liturgici … Esistono anche domande più personali come queste: quale utilità è finora venuta alla mia vita dalla partecipazione alla celebrazione eucaristica? non è sufficiente ascoltare la parola di Dio e pregare in altri momenti più personali e spontanei? È necessario, però, porsi anche altri interrogativi: perché la Chiesa celebra l'Eucaristia e gli altri sacramenti? perché molti vi partecipano e fanno della celebrazione dell'Eucaristia il punto di riferimento centrale del loro impegno nella vita e nel mondo di oggi? Se desideri agire con maggiore responsabilità e libertà, al di là dei molti condizionamenti e difficoltà, devi saper scoprire le motivazioni e tradurre in convinzioni e scelte personali la realtà dell'Eucaristia, come Gesù Cristo l'ha voluta e l'ha donata e la Chiesa oggi la celebra per tutta l'umanità. 2. Gesù si dona allo spezzare del pane Una persona che avesse visto le prime comunità cristiane celebrare l'Eucaristia avrebbe probabilmente creduto che stessero semplicemente cenando. Intuizione stupenda di Gesù: quando vuole lasciarci il segno della sua presenza per i tempi futuri, sceglie il più sociale dei gesti umani: il pasto. Gesù, poi, sceglie un segno, lo "spezzare il pane", per cui non possiamo cenare con lui senza accettare di cenare e far famiglia con gli altri, che egli ha chiamato con noi. Ma c'è di più: nella cena di Gesù non si mangia un qualsiasi cibo, ma egli stesso si dona a noi come pane per la nostra vita. Gesù è presente realmente nel pane e nel vino eucaristici, per restare con noi e farsi nostro cibo. L'Eucaristia è il gesto con cui Gesù esprime la sua volontà di offrirsi al Padre e di donarsi agli uomini come pane che nutre per la vita eterna. La cena che Gesù sceglie come luogo della sua presenza tra i suoi è un pasto particolare; la cena pasquale. Chi partecipa alla cena con cui il popolo d'Israele celebra la Pasqua riconosce di far parte di un popolo che ha sperimentato e continuamente sperimenta di essere liberato dal Signore. Con quel gesto si rinnova l'alleanza di tutte le famiglie d'Israele con il Signore. Gesù inserisce il suo gesto in questa cena, per dirci che egli, vero agnello immolato sulla croce, viene a portare a tutta la famiglia umana il dono della liberazione totale dal male e a compiere l'alleanza, facendola "nuova" nell'effusione del suo sangue sulla croce ( Ger 31,31-34 ). Celebrando l'Eucaristia, noi ci uniamo, come popolo di Dio, in una piena solidarietà e rendiamo viva e attuale l'intera storia della salvezza di Dio con gli uomini, che culmina nella croce di Gesù e nella sua risurrezione. Nell'Eucaristia la Chiesa celebra il memoriale della passione e della risurrezione del Signore Gesù, il santo sacrificio che attualizza l'unico sacrificio di Cristo. Quando chi presiede la celebrazione eucaristica, dopo aver invocato l'azione dello Spirito, ripete le parole del Signore: "Questo è il mio corpo dato per voi", "Questo è il mio sangue versato per voi", Gesù rende presente, sotto i segni del pane e del vino, il suo dono d'amore, il suo passare attraverso la morte per giungere alla piena libertà, per unire per sempre in alleanza Dio e l'uomo. L'Eucaristia, mentre è il "cibo dei pellegrini", anticipa, nel segno, i nuovi cieli e la terra nuova che attendiamo. Quando celebriamo l'Eucaristia, la nostra vita, povera e fragile, si innesta in questo fiume di vita che è la vita stessa di Gesù donata per tutti gli uomini; il nostro piccolo "Amen" si unisce all'"Amen" con cui Cristo ha compiuto la volontà del Padre. Perché la libertà, la gratuità, la condivisione, la comunione non siano utopie o sterili volontarismi, devono nascere da questa sorgente e ad essa continuamente alimentarsi. 3. Imparare a celebrare per imparare a vievere È bastato che il segno della pace, un gesto comprensibile anche ai bambini piccoli, fosse reintrodotto tra i fedeli, perché i cristiani si accorgessero, dallo svolgersi del rito, che non si può fare la comunione senza essere in pace con i fratelli. Occorre riscoprire momenti e segni nella celebrazione, per capire quanto la nostra vita è coinvolta nell'Eucaristia. Il segno dell'assemblea L'Eucaristia si celebra insieme: il segno dello spezzare il pane rimanda ad una comunità, costituita da quelli che Dio ha chiamato ad essere fratelli nel Battesimo. È un'assemblea di peccatori; comincia con la dichiarazione di ciascuno: "Confesso a Dio Onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato …". Ma è anche un'assemblea che si lascia costruire sempre più in corpo di Cristo. Noi sentiamo il prete, dopo la consacrazione, pregare il Padre con questa parole: "A noi, che ci nutriamo del corpo e del sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito". La proclamazione della parola di Dio Ascoltando la Parola con la Chiesa, come i discepoli di Emmaus, prima di sedere a tavola col Signore, accettiamo che egli illumini la nostra vita con la parola delle Scritture, che ci annuncia il compimento della salvezza nella morte e risurrezione di Gesù. Riconosciamo sempre di più il vero volto di Dio, il suo progetto su di noi e sull'umanità. Tante volte l'Eucaristia non lascia alcun segno, non costruisce la nostra personalità, perché non c'è stata la fatica di questo ascolto di Gesù. Il dialogo nella celebrazione La nostra partecipazione all'Eucaristia è un frequente alternarsi di parola di Dio, di preghiera del celebrante e di espressioni dell'assemblea: l'invocazione del perdono, il Gloria, il salmo responsoriale, il Credo, la preghiera universale e alcune brevi espressioni, molto dense di significato, come quell'Amen con cui facciamo nostra la grande preghiera eucaristica. Ma il dialogo nel rito non ha senso se non è preceduto e seguito da un dialogo nella vita. La presentazione dei doni Il gesto rituale di un dono a Dio si accompagna con i doni alla famiglia di Dio. Eppure questo momento a volte viene trascurato, a volte gonfiato da sfilate allegoriche. La forma più abituale è la presentazione all'altare, insieme al pane e al vino, dei doni per i poveri e per la Chiesa, oppure il passaggio di un "cestino" per la raccolta delle offerte. In una comunità cristiana credibile, dove si conosce la limpidezza della gestione e la generosa attenzione ai poveri questo gesto non stona. La Chiesa da sempre aiuta i poveri. "Prese il pane, rese grazie, lo spezzò, e lo diede dicendo…" Nella celebrazione colui che presiede ripete i gesti di Gesù: la preparazione dei doni, la preghiera eucaristica, i riti di comunione. La preghiera eucaristica, con il rendimento di grazie nella memoria della morte e risurrezione di Gesù e con l'invocazione dello Spirito, fa del pane e del vino, secondo le parole del Signore, il suo corpo offerto e il sangue dell'alleanza: Gesù si fa presente nel suo passaggio da questo mondo al Padre per unire per sempre in alleanza Dio e gli uomini. Nei riti di comunione il pane spezzato e il vino vengono dati agli invitati alla mensa del Signore. Se il peccato grave non ci ha separati dal Padre e dai fratelli, partecipiamo al corpo e al sangue del Signore per diventare, liberi dall'egoismo, un'offerta viva e per approfondire la comunione d'amore con Dio e con gli uomini. Andate! L'assemblea eucaristica si raduna per sciogliersi. Hai partecipato all'unico Pane, sei diventato un solo corpo con tanti fratelli: ora esprimi la tua forza di vita diventando lievito dentro la famiglia, la scuola, il lavoro, il quartiere, il mondo. Il campo della missione non ha confini: il lievito non sa dove arriva la sua forza. Imparare a pregare "Chiedete e vi sarà dato" Ma quando si parla di preghiera, in genere si pensa a un insieme di domande, più o meno insistenti, talora esaudite, talora andate a vuoto. Sono ritenute una debolezza, tanto che qualcuno le interpreta come cedimenti in dignità e personalità. Non poche volte, poi, molti accompagnano la preghiera di domanda con simboli propiziatori, quasi magici, che le danno un carattere commerciale, fatto di meriti, costi, offerte e quindi alla fine di apprensione e pretesa di esaudimento. Per questo, in genere, si pensa che, anche nel migliore dei casi, questa sia la forma meno alta di preghiera. La preghiera di domanda è invece una forma essenziale della preghiera cristiana. I Vangeli sono ricchi di preghiere di domanda, sia di Gesù, sia rivolte a lui. Nella stessa celebrazione eucaristica la Chiesa ci offre un modello di preghiera di intercessione: anzitutto l'invocazione del dono dello Spirito, ma anche la richiesta di grazia e benedizione per i vivi e per i defunti, e poi la preghiera universale ( o dei fedeli ). In questa siamo invitati a pregare con Gesù per la Chiesa, per il mondo, per i poveri e per le necessità nostre e dell'assemblea. Se siamo capaci di andare oltre la concretezza e la episodicità di ogni domanda e scaviamo nel significato profondo del chiedere, scopriamo alcune cose importanti. Anzitutto, chi domanda ha un progetto nella sua vita, anche se non del tutto ben delineato, in cui colloca e ritiene che svolga un ruolo importante ciò che chiede. Poi, se la domanda è rivolta a Dio attraverso Gesù Cristo, allora è come se si dicesse a Dio: "Sii tu il custode del mio progetto, affido a te la possibilità che si sviluppi e arrivi a compimento, come si è compiuto nella vita, morte e risurrezione di Gesù". Se la preghiera di domanda è di un cristiano, abitato dallo Spirito - quindi in certo modo fatta nascere da lui -, allora si carica di un atteggiamento di abbandono filiale, di disponibilità: "Se tu sei il custode del mio progetto, che si fa concreto attraverso desideri, richieste di doni, proposte di cose semplici e quotidiane, accetto di far entrare il mio piccolo progetto nel tuo grande progetto del Regno, e quindi di assumere una destinazione e un significato nuovi per il dono che ti chiedo, e perciò anche, se necessario, un esaudimento diverso da quello che attendo". Chi non ha il coraggio di domandare, spesso è perché non ha progetti o si ritiene autosufficiente: esattamente l'opposto di quel che deve essere un cristiano. Ogni preghiera di domanda invece è possibile e doverosa, se è come quella accorata, insistente, decisa, ma piena di abbandono, di Gesù nell'orto del Getsemani ( Mc 14,36 ). Anzi, spesso solo domandando con insistenza capiamo fino in fondo l'importanza di ciò che chiediamo ( Lc 11,9-10 ). Per professare la fede Voi, chi dite che io sia? Signore Gesù, Dio con noi, tu sei la nostra giustizia! Gesù ha detto: Tutte le volte che avete fatto un gesto di amore a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. La sua Chiesa è segno della nuova creazione, perché cresca nel mondo il Regno della giustizia e della pace. Nell'Eucaristia lo Spirito Santo riunisce i credenti come un solo corpo e li rende capaci di mettere la loro vita a disposizione di tutti gli uomini. - Da dove veniamo? dove andiamo? "In principio Dio creò il cielo e la terra" ( Gn 1,1 ): Dio ha creato il mondo per manifestare e comunicare la sua gloria; e la gloria di Dio è che le sue creature abbiano parte alla sua verità, alla sua bontà e alla sua bellezza. - "Il Verbo si fece carne" ( Gv 1,14 ) Il Figlio di Dio si è fatto uomo per manifestarci l'amore di Dio e, riconciliati con lui, farci vivere nel mondo da figli di Dio. La Parola eterna del Padre ha posto la sua dimora tra noi: Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. - "Fate questo in memoria di me" ( 1 Cor 11,24-25 ) Memoriale della Pasqua del Signore, l'Eucaristia è fonte, cuore e culmine della vita della Chiesa: riunita nello Spirito Santo, la Chiesa ascolta la parola di Dio, fa memoria del sacrificio di Cristo, realmente presente nel pane e nel vino, e si nutre del suo Corpo e del suo Sangue in attesa della sua venuta. - "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli" ( Mt 5,3 ) Le Beatitudini annunciate da Gesù sono la risposta vera al desiderio di felicità che Dio ha posto nel nostro cuore. Esse riflettono il volto di Cristo e sono l'espressione piena della legge nuova che egli ci dona. Tu sei un Dio dal cuore senza confini Tu sei un Dio dal cuore senza confini, e non riservi le cose belle per te, ma ne fai dono a tutti noi: ci hai dato il mondo, i prodotti del nostro lavoro, la forza dell'intelligenza e della volontà. Ma proprio là dove viene spontaneo il grazie, nasce la domanda sofferta: se tu hai creato il mondo come dono per tutti, perché non tutti possono gustare il tuo dono? I poveri, gli affamati, gli oppressi sono tra noi; come pure gli egoisti, gli avari, i prepotenti, che non accettano di spartire i tuoi doni. Con la voce dei profeti tu denunci l'idolatria delle cose, che provoca ingiustizia. Ma soprattutto in Gesù, il Santo e il Giusto, la tua parola è giunta definitivamente a noi: è lui che ci fa scoprire il tuo progetto sulla creazione, rivela dove sta il supremo bene delle persone, sceglie i poveri e difende gli umili, realizza il Regno nella condivisione e nel servizio, dà la sua vita per noi e risorgendo apre orizzonti di vera giustizia tra gli uomini. Nella Chiesa, tu, o Padre, ci doni la grazia di partecipare alla trasformazione del mondo secondo giustizia. E perché diventiamo capaci di condividere il pane con i fratelli, ci fai condividere l'unico Pane, che è il corpo e il sangue del tuo Figlio. Fa' di noi persone giuste, Confrontarsi con i testimoni Marcello Candia Marcello Candia vive gran parte della sua vita tra i malati e i lebbrosi a Marituba ( Brasile ), dove si trasferisce nel 1964, dopo aver incontrato la miseria delle "favelas" anni prima, quando era alla guida della società industriale del padre. Muore a Milano nel 1983. Crescendo in una famiglia cristiana impara cosa è una fede vissuta nel quotidiano, soprattutto nell'amore ai fratelli più bisognosi. Ma verso i 50 anni sceglie di dedicare tutto se stesso agli altri: lascia la sua città, l'industria, la famiglia per fondare un ospedale ed un lebbrosario, dove poter vivere donando tutto se stesso al Signore nella persona dei poveri. Non si sente un eroe, ma solo un uomo che lavora e serve a nome della Chiesa. "E poi … ho pensato di dover fare di più. Sta scritto nei doveri del cristiano, me l'avevano spiegato fin da ragazzo: è la storia dei talenti, ognuno di noi ne ha. Per me i talenti volevano dire la posizione sociale, gli studi, la possibilità dei mezzi finanziari, l'esperienza della professione, tutto quello che avevo imparato a fare, a vedere, a capire. E dunque era tassativo: i talenti dovevano assolutamente diventare dieci. Il Vangelo non sbaglia. Il traffico dei talenti è una responsabilità di coscienza che abbiamo tutti. E siccome questa responsabilità io la sentivo bruciare, ho agito, ho dovuto agire, non avrei potuto che agire". "Occuparsi della povera gente dev'essere una scelta che insorge dal di dentro, che esce fuori come la vita, senza troppe riflessioni. O la forza sminuisce. E a cose fatte, ecco, te lo garantisco: si vede palesemente che il Signore ci viene incontro. Io ho sempre trovato della gran gente grata. Devo anche aggiungere che non l'ho certo fatto per questo. Non si devono sentire le cose che si fanno come una realizzazione di se stessi. Inorridivo quando qualcuno mi diceva: lei, costruendo l'ospedale S. Camillo e S. Luigi, si è realizzato. Io non volevo realizzarmi in niente. Le opere si fanno per amore di Dio, perché questo è motivo di vita su un piano di fede". Giorgio La Pira Essere "apostolo laico" nel mondo: è la scelta di Giorgio La Pira, professore universitario e uomo politico, nato a Pozzallo ( Ragusa ) nel 1904 e morto a Firenze nel 1977. A una estesa attività caritativa unisce un intenso impegno nella vita pubblica, che lo porta ad opporsi prima alla dittatura fascista e poi a dare il suo contributo alla rinascita del paese nella stesura della carta costituzionale dell'Italia libera. Sindaco di Firenze, con lui la città diviene crocevia di mille iniziative di pace: i grandi della terra, capi politici e religiosi, cristiani e non credenti, tutti restano confusi di fronte alla sua inquietante testimonianza di fede. Egli è convinto che la pace non è una parola priva di senso, ma un disegno reale di cui Dio ci chiama ad essere collaboratori, fino al suo compimento nella fine dei tempi. "Non siamo utopisti: siamo gli osservatori attenti, realisti, dei segni essenziali del nostro tempo; osservatori che vedono questi segni ed interpretano questo tempo nella luce teologale della fede, della speranza e dell'amore! Noi crediamo ( la nostra ipotesi di lavoro ) nella venuta di una epoca storica caratterizzata dalla unità e dalla pace ( e, quindi, dalla fioritura ) di tutti i popoli e tutte le nazioni della terra: nella trascrizione storica, cioè, dell'annuncio di speranza soprannaturale e storica dato - da lontano - dai profeti dell'Antico e del Nuovo Testamento … Ogni uomo, donna o ragazzo, vive oggi sotto una spada di Damocle nucleare sospesa al più tenue dei fili che può essere reciso da un momento all'altro da un incidente, per errore di calcolo, per un gesto di follia. Le armi di guerra devono essere eliminate prima che esse eliminino noi. Le generazioni nuove di tutti i popoli della terra alzano il loro sguardo pieno di speranza verso le nuove frontiere storiche del mondo - le frontiere della pace, dell'unità, della libertà, della elevazione spirituale e civile di tutte le genti - e s'impegnano di attraversarle insieme, di costruire insieme la nuova, universale, pacificata e fraterna casa degli uomini". Educarsi al servizio: Testimoniare donando la vita Servire nel volontariato Oggi, fin da giovani, è possibile esprimere la propria donazione agli altri nel volontariato: una scelta di vita per condividere le situazioni di emarginazione dei poveri e accompagnarli nel loro cammino di liberazione, attraverso un'azione continua e competente. Nel volontariato si esprime la carità evangelica come primato del dono e della gratuità, in contrasto con la mentalità oggi dominante del possedere e del consumare. Dalla scelta di farsi educatori degli altri giovani, dei ragazzi e dei fanciulli nasce quello che possiamo chiamare "volontariato educativo". Alla base ditale scelta sta la convinzione di dover dare in prima persona un contributo alla crescita delle nuove generazioni attraverso l'educazione. Per chi crede, poi, l'educazione è lo strumento con cui comunicare in profondità ai fratelli che crescono la forza viva del Vangelo. Tutti conosciamo il "volontariato socio-assistenziale", il servizio cioè dei poveri, dei malati e degli emarginati, mettendo a loro disposizione parte del nostro tempo e le nostre capacità. È una scelta importante, che educa a uno stile di vita in cui i più poveri "condizionano" tempo, abitudini, mentalità. Fare questa esperienza non da soli, ma in gruppo, aiuta ad approfondire le giuste modalità, a verificare e progettare. In questo ambito si inserisce la proposta dell'"anno di volontariato sociale", rivolta alle ragazze - ma anche ai giovani dispensati dal servizio militare - che vogliono offrire un anno o più della loro vita al servizio della società. E un servizio reso nella totale gratuità, nella condivisione di vita e in scelte concrete di liberazione e di promozione dell'uomo. È un'occasione unica per riflettere sulla propria vocazione, per meglio capire la volontà del Signore. Ai giovani è offerta anche la possibilità di vivere il volontariato sociale in un "servizio civile" in sostituzione del servizio militare, operando in strutture pubbliche o di pubblica utilità a favore della collettività. Il servizio civile, che per il cristiano è necessariamente collegato a motivazioni di solidarietà e condivisione, per sua natura è destinato a maturare oltre il periodo di leva, verso scelte permanenti di vita come servizio alla società. Va precisato che il servizio civile è realtà autonoma e legata a motivazioni diverse rispetto all'obiezione di coscienza al servizio militare. Quest'ultima si fonda sul riconoscimento del primato della coscienza, che giudica illecito ogni uso delle armi. E una scelta che nasce dalla convinzione profonda che ci sono altre strade per rimuovere le cause dei conflitti e che si deve ricercare la pacificazione attraverso il dialogo e una difesa non violenta dall'oppressore. La Chiesa è accanto evidentemente a tutti i giovani che ricercano la pace nella giustizia e nella libertà, anche a coloro quindi che scelgono di servire la nazione nell'esercito, per la salvaguardia della libertà dei popoli e del giusto ordinamento internazionale. E in questo orizzonte che la comunità cristiana attua il suo compito pedagogico per educare tutti i giovani - siano essi obiettori di coscienza o prestino servizio militare - a cultura di solidarietà, a stile di gratuità, a prassi di servizio. Il "volontariato internazionale" nasce dalla scelta di dedicare parte della propria vita a quei popoli delle zone del sottosviluppo, in cui esplodono le contraddizioni del mondo, creando situazioni di ingiustizia e di povertà, nella convinzione che la pace è frutto della solidarietà. Nell'impegno per i più poveri della terra, il volontariato internazionale promuove anche l'incontro tra i popoli, favorendo lo scambio di ricchezze culturali. Coscienza e impegno missionario Nel mese di ottobre la Chiesa invita le comunità ecclesiali a vivere un periodo di crescita nella sensibilità e nell'impegno verso il problema dell'annuncio del Vangelo a tutti gli uomini e a tutti i popoli. Ognuno, con il suo gruppo, è chiamato a sentire il respiro universale della Chiesa. Assumere una dimensione missionaria significa anzitutto sentirsi in missione sul fronte più vicino, quello della gente che incontriamo nei luoghi usuali della nostra esistenza: la scuola, il quartiere, la strada … Ogni persona che attende l'annuncio del Vangelo è destinatario della missione della Chiesa e ogni cristiano deve sentirsi missionario. Ma i confini della Chiesa sono grandi quanto il mondo, e la crescita del Vangelo tra i popoli più lontani, nelle situazioni umanamente più difficili, in povertà e precarietà di strutture, magari in mezzo a persecuzioni, ci riguarda tutti da vicino. In quei continenti e tra quei popoli in cui le comunità cristiane sono ancora piccola minoranza, oggi le Chiese hanno ancora bisogno di essere sostenute nell'annuncio, nella formazione dei ministri della comunità, nel servizio di promozione umana dell'ambiente sociale … Le iniziative che, soprattutto nel mese missionario, vengono prese per sensibilizzare a questi problemi, per offrire concreti contributi alla loro soluzione, aiutano a formare anche nelle nostre comunità una coscienza missionaria, il desiderio cioè di incontrare tutti gli uomini per dire loro, con le parole e con i fatti, che Gesù è il Salvatore di tutti. L'impegno missionario non si limita ovviamente ad un mese dell'anno. Il legame tra le nostre Chiese locali e quanti nel mondo vanno ad annunciare e testimoniare il Vangelo si può esprimere in tanti modi più stabili e continuativi. Un posto importante assumono al riguardo i gruppi missionari e i movimenti per il terzo mondo. Sono forme di impegno che possono giungere anche a scelte di vita e di servizio temporaneo o permanente. Invocare e costruire la pace Dal 1968, il primo giorno dell'anno si celebra in tutto il mondo la "giornata della pace": al centro della riflessione di tutti e della preghiera dei cristiani viene posto un tema particolare, suggerito dal messaggio che il Papa invia a tutti gli uomini di buona volontà. La giornata della pace è un momento importante per far crescere una profonda sensibilità verso uno dei problemi vitali della convivenza umana. Non può mancare la nostra presenza e il nostro impegno per far sì che in questa giornata si promuovano occasioni per l'ascolto e la preghiera, così che a tutti nel nostro ambiente giunga la parola di riflessione del Papa e tutti i credenti sentano il dovere di rivolgersi a Gesù, "Principe della pace" ( Is 9,5 ), per invocare il dono della sua pace per il mondo. Non basta però ascoltare e pregare il primo giorno dell'anno! L'impegno per la pace chiede anche uno sforzo di comprensione, e per capire ci vuole tempo: non basta un giorno e neppure un mese. Le situazioni nel mondo si evolvono continuamente ed esigono un'attenzione permanente. Se saremo sorretti da motivazioni giuste, allora la nostra preghiera non verrà meno e, soprattutto, saremo capaci non solo di parlare della pace ma anche di agire per la pace, secondo l'invito di Gesù: "Beati gli operatori di pace" ( Mt 5,9 ). Cap. 4 Liberi per amare Interrogare la vita: Orizzonti nuovi di libertà Per decidere da responsabili La vita non è una nave tranquilla che scivola da sola verso il porto della felicità. Su di essa, in ogni momento, siamo impegnati noi come timonieri, con la responsabilità di definire la rotta. A noi tocca decidere quale esperienza fare dell'amore, come affrontare i giorni della solitudine, che tipo di felicità ricercare, che senso dare ai nostri insuccessi, come investire le nostre qualità a favore della vita di tutti. Anche quando incrociamo le braccia e ci lasciamo portare dalla corrente, non smettiamo di essere noi i responsabili della nostra vita. Tante persone ci possono aiutare, nessuno ci può sostituire nel rischioso mestiere di vivere. Fin d'ora siamo protagonisti del nostro futuro. Nei giudizi e nelle decisioni di ogni giorno, stiamo progressivamente delineando il nostro volto di domani. Dalle amicizie e dalle simpatie che alimentiamo, da come siamo attenti ai bisogni degli altri, c'impegniamo nella scuola e guardiamo al lavoro, da come usiamo il nostro tempo e le cose, dai sogni che coltiviamo, stiamo di fatto già scegliendo un progetto per la nostra vita. Le nostre giornate sono un prezioso laboratorio, nel quale mettiamo a punto la formula per una vita veramente riuscita. È importante allora spingere a fondo le nostre scelte e domandarci: ci sentiamo davvero responsabili in prima persona del nostro futuro? Su quale progetto di uomo e di donna stiamo scommettendo la nostra vita? La vita è un cammino ed un esperimento continuo. I nostri pensieri, i nostri progetti hanno davanti a sé un lungo tempo di verifica. - Quali piani fai per il tuo futuro? - C'è qualcuno che continua a dirti che devi guardare oltre il presente e scoprire tutte le capacità di cui sei dotato, per inventare in maniera originale la tua vita: come giudichi questa sua insistenza? - C'è qualche progetto per la tua vita che non riesci a seguire? Questo accade per mancanza di idee o per incostanza nel metterle in opera? Voglia e paura di essere liberi Nessuna parola, forse, è così carica di risonanze come la parola "libertà". Essa è coinvolta in ogni momento della nostra vita e da essa dipende il futuro di ciascuno. Ci si scopre ogni giorno più gelosi della nostra libertà. Guai a chi vuole intromettersi nelle nostre decisioni, a chi tenta di introdursi nei nostri sentimenti! Non si sopportano leggi e imposizioni esterne, che sembrano soffocare e limitare impulsi e gioia di vivere. Ma, allo stesso tempo, la libertà è una forza dirompente, che può provocare incertezze, paure ed anche angoscia. Dove porterà questa libertà di cui si è appena cominciato a sillabare il nome? Spesso si avverte come la libertà rivendicata diventa pesante fardello di responsabilità, collocato su spalle ancor fragili. È forte la tentazione di consegnare la propria libertà nelle mani di altri: persone che ci proteggono, gruppi che offrono sicurezza e anonimato, modelli di vita diffusi, ideologie che dispensano dal pensare e dal decidere in maniera autonoma. È facile abdicare a quella libertà che, per altri versi, si desidera sovrana e senza compromessi! In taluni casi la paura della libertà diventa un rifiuto, che ha tutto il sapore della malattia: spinge all'isolamento e all'incapacità di comunicare, alimenta momenti di stanchezza e di nausea della vita, può consegnare perfino lo spirito ed il corpo a una lenta morte nella solitudine della droga e dell'alcool. Il sentimento della libertà corre così dall'ebbrezza alla delusione, dalla gioia forte di vivere al penoso lasciarsi andare, dalla rivendicazione di un'autonomia assoluta alla ricerca di protezioni rassicuranti. - Quali sono le esperienze più belle di libertà che stai vivendo? - In quali esperienze invece ti sei sentito ingannato e ti sei trovato deluso? - Quando devi decidere di fare qualcosa di importante ti senti sicuro? - Se sbagli cerchi subito di addossare la colpa a qualcun altro? Una avventura tutta nostra Assieme al fascino della libertà si sperimenta, prepotente, il bisogno di originalità. Non si è disposti a comportarsi da "satelliti", che percorrono in silenzio, senza capacità critiche, le orbite imposte dal "pianeta" degli adulti. Si vuole una "rotta" del tutto personale e uno spazio per potersi muovere liberamente nelle decisioni quotidiane. La libertà viene sentita come indipendenza, non disposta ad accettare limiti da nessuno. Pesano gli avvertimenti e i divieti imposti dai genitori e più in generale dagli adulti, i modi autoritari e la poca considerazione che si ottiene nella scuola o nell'ambiente di lavoro. Soprattutto irrita ciò che tende a imporsi come tradizione o come norma acquisita. L'esperienza di vita degli adulti, che viene proposta come regola di comportamento, non ci sembra tener conto delle particolari situazioni in cui si vive oggi. Allora si prova quasi gusto a fare affermazioni che incrinino le certezze dei "grandi", che vengono accusati volentieri di conformismo e di eccessiva sudditanza alle regole del gioco sociale. Da questi atteggiamenti non vanno esenti neppure le idee o i comportamenti religiosi, tanto più che sembrano protetti da un'autorità che non si può discutere. In particolare, questa revisione critica può diventare rifiuto di quelle norme morali che sembrano tarpare le ali al desiderio di esplorazione, alla libera espressione di impulsi e sentimenti. Sollecitati dall'atmosfera libertaria che si respira nell'ambiente attraverso discorsi, letture e modi di vita, si può anche arrivare a considerare queste norme come "tabù", tenuti in piedi da paure, frustrazioni o preconcetti. La voglia di essere liberi, poi, reclama il bisogno di spontaneità. Appaiono come libere solo le scelte e le decisioni avvertite come personali e che si gustano con immediatezza. Così alcune realtà, come l'amicizia, l'amore, l'appartenere ad un gruppo, l'aiuto a situazioni bisognose, che appagano subito anche emotivamente, sembrano valori per cui vale la pena impegnarsi. Altre invece, di meno immediata comprensione, come il dominio di sé, la capacità di sacrificio, la fedeltà ad un dovere o ad un impegno, la riflessione o la preghiera, si tende ad accantonarle. Quando il bisogno di spontaneità diventa incontrollato spontaneismo, allora si è portati a dire tra amici: io sono libero perché faccio quello che mi piace, quello che mi fa sentir bene; è inutile preoccuparsi del poi, è meglio cogliere le situazioni che si presentano. Si sfugge così ad ogni regola e ad ogni progetto stabile di libertà, lasciando che essa venga consumata giorno per giorno dalle occasioni che si offrono e dagli impulsi che nascono dentro di noi. Qualcuno vuol manipolare la nostra vita La libertà è un potenziale enorme, che può sprigionare energie di ogni genere e in qualsiasi direzione. Perciò essa è sempre esposta alla cattura e alla manipolazione. C'è chi ha grossi interessi e mezzi di persuasione, più o meno occulti, per pilotare e sfruttare il nostro bisogno di libertà e la nostra voglia di vivere e di godere. Il bisogno di originalità trova, così, una moda attenta e volubile. Al desiderio di godere e di stare insieme vengono offerte musiche confezionate, luoghi di ritrovo reclamizzati, punti di incontro quasi obbligati. Alla voglia di muoversi e di evadere viene risposto con il mito della moto, dell'auto. Si insinua l'idea che essere liberi, oggi, dipenda dalla disponibilità delle cose, dal loro continuo e svariato consumo. Questi modelli di vita possono diventare anche criteri di scelta del nostro futuro: la posizione ricca, comoda e prestigiosa attira come simbolo della "libertà delle cose", che il possesso sembra offrire. Ma la libertà, abbassata al livello delle cose, rischia di determinare nuove e più gravose schiavitù. L'originalità, ricercata nelle mode, rischia di intrupparci in un gregge anonimo. Il desiderio di veder sorgere un mondo diverso può essere catturato dalle rigide visioni del mondo e degli uomini proprie delle ideologie. Allora la libera e critica capacità di giudizio è asservita a valutazioni e a slogan prefabbricati. Ci si illude di affermare la libertà attraverso idee e azioni violente, che alimentano forti odî e fratture. Ma ci può essere libertà là dove non c'è spazio per la diversità e l'espressione libera degli altri, oppure là dove dell'altro non si tiene conto e ciascuno è libero di calpestarlo in nome dei propri presunti diritti o voleri? La gelosia della nostra libertà deve renderci critici ed attenti, contro ogni situazione che, in modo palese o nascosto, cerchi di manipolare l'ansia di rinnovamento e di vita. - Quanto sei libero nei confronti delle cose, del consumo, dell'apparire? - Sei dipendente, indipendente, incantato, non ti poni il problema, è un fatto automatico …? La libertà esiste davvero o è un sogno? Forse facciamo già i conti con dolorosi e urgenti interrogativi intorno alla libertà. Sentiamo addosso il freno del nostro passato, avvertiamo il peso del nostro ambiente, delle strutture in cui viviamo, dei condizionamenti a cui siamo esposti! Anche i sogni più belli, i valori più alti in cui crediamo e per i quali ci impegniamo, trovano sempre realizzazioni parziali e talvolta anche insoddisfacenti! Ma esiste davvero la libertà oppure è un sogno che si insegue invano o illusoriamente? Ed esiste una libertà per tutti? Quante persone handicappate, costrette ai limiti della sopravvivenza, in situazioni di sottocultura, impedite nell'esercizio delle libertà fondamentali! L'uomo può sentirsi libero di fronte alla prospettiva della sofferenza e della morte? Soprattutto occorre una mèta vera verso cui indirizzare la libertà. Si dovrebbe poter conoscere il traguardo per scegliere la strada. Battere sentieri occasionali ed improvvisati potrebbe essere pericoloso, perché su di essi va a giocarsi anche il senso della vita. - Conosci amici che non sono liberi di muoversi perché ammalati? Hai provato a dialogare con loro per capire se hanno acquistato una libertà più profonda? - Esistono esperienze della tua vita passata che ti pesano ancora oggi e non ti permettono di essere libero? - C'è un ideale che ti sta a cuore, verso cui orienti la tua libertà? Ascoltare Dio che parla: Sentieri di libertà Il Dio liberatore Il popolo di Israele ha riconosciuto, nella propria storia, che la liberazione e la libertà sono opera di un Dio amoroso e fedele, il quale interviene con potenza in favore di quanti ha amato e scelto. Al tempo stesso, ha compreso che un cammino di libertà vera e di vita piena è possibile solo là dove si ascolta e si pratica la parola di Dio liberatore. Così esprime questa fede: "Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -, ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri, il Signore vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha riscattati liberandovi dalla condizione di schiavi, dalla mano del faraone, re di Egitto. Riconoscete dunque che il Signore vostro Dio è Dio, il Dio fedele, che mantiene la sua alleanza e benevolenza per mille generazioni, con coloro che l'amano e osservano i suoi comandamenti; ma ripaga nella loro persona coloro che lo odiano, facendoli perire" ( Dt 7,7-10 ). La Bibbia ci ricorda come questo popolo, che aveva sperimentato il dono della liberazione e aveva conosciuto la parola capace di costruire la strada della libertà, ha costellato la propria storia anche di continue infedeltà. Venuto meno all'impegno profondo con Dio, che la libertà donata esige, si è trovato, a più riprese, a battere i sentieri umilianti e dolorosi della deportazione e della schiavitù. Un testimone scomodo Proprio in uno di questi momenti drammatici della storia d'Israele, si alza la voce del profeta Geremia a denunciare gli abusi di libertà compiuti dal popolo e poi a prospettare, nella speranza, una nuova liberazione ed una definitiva libertà interiore. Ancora giovane, nel 626 a.C., Geremia è chiamato da Dio a divenire suo profeta. Sul trono di Giuda regna Giosia, i cui tentativi di riforma religiosa avevano fatto sorgere tante speranze di rinascita, che si erano rivelate ben presto illusorie. Il regno di Giuda è piccola cosa nella lotta tra le potenti nazioni del tempo. Crolla l'impero assiro, si impone il potere dei Caldei e tutta la Palestina viene da essi sottomessa. In un continuo dramma interiore e con coraggio sprezzante dei pericoli, Geremia annuncia la disfatta e le sue cause. Ma il popolo e i suoi capi restano sordi. Geremia è oggetto di disprezzo e deve subire persecuzioni. Intanto l'opposizione al dominio straniero esplode in ribellione. Interviene allora Nabucodonosor, il re dei Caldei, che assedia e conquista Gerusalemme ( 597 a.C. ), e deporta a Babilonia un gruppo di persone socialmente influenti. I germi della ribellione non sono però estirpati. Sordi alle parole del profeta e stoltamente illusi dell'appoggio dell'Egitto, gli irriducibili del partito anti-caldeo si ribellano di nuovo, provocando un secondo intervento dei dominatori. L'assedio, questa volta, è preludio alla distruzione della città santa e ad una deportazione più consistente della prima ( 587 a.C. ). All'avvicinarsi della catastrofe, i responsabili della rivolta fuggono in Egitto, portando con loro Geremia, che fino all'ultimo li ha osteggiati, ma che al tempo stesso ha anche aperto orizzonti di speranza per il futuro del popolo. E in Egitto, presumibilmente, Geremia muore. Seguono ciò che è vano Con la voce di Geremia, Dio ricorda al popolo l'amore tenero con cui l'ha circondato nella liberazione dall'Egitto e nella marcia lungo il deserto. Fa presente come egli ha difeso la libertà di Israele dalle minacce degli altri popoli. "Va' e grida agli orecchi di Gerusalemme: Così dice il Signore: Mi ricordo di te, dell'affetto della tua giovinezza, dell'amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata. Israele era cosa sacra al Signore, la primizia del suo raccolto; quanti ne mangiavano dovevano pagarla, la sventura si abbatteva su di loro" ( Ger 2,2-3 ). Il profeta rammenta come la terra promessa sia stata donata quale spazio privilegiato di vita e di libertà. La libertà è un dono d'amore, che deve legare Israele in un totale servizio a Dio. Ma la risposta del popolo è stata insensata. Ha dimenticato presto il suo Dio per seguire altri dèi ingannatori, svuotando così di senso la propria vita. "Io vi ho condotti in una terra da giardino, perché ne mangiaste i frutti e i prodotti. Ma voi, appena entrati, avete contaminato la mia terra e avete reso il mio possesso un abominio" ( Ger 2,7 ). Gli stessi capi hanno preceduto ed indotto il popolo su questa falsa strada. Ed ecco, quasi gridata con dolore, la situazione a cui il popolo è andato incontro: "Il mio popolo ha commesso due iniquità: essi hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l'acqua" ( Ger 2,13 ). Senza la sorgente viva di Dio e della sua parola, la vita e la libertà sono realtà destinate a disseccarsi. Calpestano i più deboli Il dono della libertà non è per coloro che pretendono di onorare Dio solo con un culto esteriore. Il Dio della libertà esige l'appassionata adesione del cuore alla sua parola ed una coerente vita di giustizia tra gli uomini. La voce del profeta richiama a queste esigenze profonde un popolo che sta andando allo sbando, a causa di una condotta ingiusta, e che allo stesso tempo si sente stoltamente sicuro di sé, per la presenza del tempio e l'abbondare dei sacrifici esteriori. "Aggiungete pure i vostri olocausti ai vostri sacrifici e mangiatene la carne! In verità io non parlai né diedi comandi sull'olocausto e sul sacrificio ai vostri padri, quando li feci uscire dal paese di Egitto. Ma questo comandai loro: Ascoltate la mia voce! Allora io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; e camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici" ( Ger 7,21-23 ). L'ascolto della parola di Dio deve condurre ad una mentalità e ad un comportamento di vita, nei quali siano rispettate le libertà fondamentali del prossimo e particolarmente i diritti dei più deboli. Solo così si salva un'esistenza nella libertà. E serve a niente cercare di accaparrarsi Dio con false invocazioni, quando poi viene calpestata la vita dei poveri ( Ger 7,3-10 ). Nuovamente schiavi L'appello accorato del profeta non è accolto dal popolo. Egli è disprezzato e perseguitato. Il popolo, che persiste in una vita lontana da Dio mentre all'orizzonte si profila la minaccia di una invasione e della schiavitù, mostra di essere fuori di senno, incapace di cogliere la gravità di quell'ora tremenda. Con una condotta indegna si è condannato alla perdita della vita e della libertà. "Aspettavamo la pace, ma non c'è alcun bene; l'ora della salvezza, ed ecco il terrore" ( Ger 8,15 ). Sebbene la catastrofe incomba, c'è ancora chi si illude e illude gli altri su una libertà e su una salvezza che ormai sono divenute impossibili ( Ger 8,4-17 ). Sono i falsi profeti, che occorre smascherare. Hanno l'impudenza di dichiarare buona una condotta che si nutre di ingiustizie e di falsità. Annunciano felicità ad una vita che sta andando alla deriva. "Non ascoltate le parole dei profeti che profetizzano per voi; essi vi fanno credere cose vane, vi annunziano fantasie del loro cuore, non quanto viene dalla bocca del Signore. Essi dicono a coloro che disprezzano la parola del Signore: Voi avrete la pace! e a quanti seguono la caparbietà del loro cuore dicono: Non vi coglierà la sventura" ( Ger 23,16-17 ). Le false illusioni non hanno il potere di salvare la libertà. I miti inconsistenti hanno la forza di un momento e rendono più amara la schiavitù a cui una vita svuotata di valori va incontro. Il popolo conosce, in due successive riprese, la sofferenza della deportazione e della schiavitù. E quando sogna un ritorno immediato alla propria terra e alla libertà, il profeta, con realismo, si incarica di raccomandare una paziente attesa ed una fiduciosa preghiera, fino a quando Dio deciderà nuovamente di liberare il suo popolo ( Ger 29,4-14 ). La libertà perduta non può essere riconquistata a forza, ma deve essere attesa e accolta di nuovo come dono di Dio, che non abbandona mai la vita dei suoi figli. Il dono di un cuore nuovo Mentre per la durezza e l'infedeltà del popolo sembrava essersi spenta la luce della libertà, Dio fa brillare una speranza nuova e ancora una volta invita a mettersi in cammino. Gli esuli torneranno ad abitare il loro paese, gli schiavi diventeranno liberi. Dio opererà tutto ciò. "Ecco, li radunerò da tutti i paesi nei quali li ho dispersi nella mia ira, nel mio furore e nel mio grande sdegno; li farò tornare in questo luogo e li farò abitare tranquilli" ( Ger 32,37 ). Ma il semplice ritorno materiale alla terra della libertà non è sufficiente. Il popolo si troverebbe nuovamente esposto al pericolo di dimenticare, di non ascoltare la parola liberante del suo Dio. Ed ecco allora la pienezza della novità: la libertà si radicherà stabilmente nell'intimo dell'uomo perché Dio trasformerà il suo cuore. "Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato" ( Ger 31,33-34 ). Dio si farà dunque per sempre vicino all'uomo. Gli farà godere stabilmente i suoi benefici. E l'uomo avrà la definitiva possibilità di essere vicino a Dio. Sentirà come immediato e spontaneo il desiderio di rispondere al suo amore e di percorrere con slancio i sentieri tracciati dalla sua parola liberatrice. Il suo cuore, là dove egli decide tutto di se stesso e si progetta, sarà infatti reso capace, per la vicinanza di Dio, delle più ampie imprese di libertà e di autorealizzazione. Con queste promesse profetiche un'alba nuova di speranza si accende nella storia degli uomini: l'attesa che Dio si faccia definitivamente vicino al cuore degli uomini per donare ad essi la vera libertà, quella dell'amore pieno. Ma quando verrà il tempo? E chi si farà portatore di questo dono? Chi ci farà uomini liberi? La via della nostra esperienza, sorretta dalla parola dei profeti, suscita la domanda che sta al fondo della nostra ricerca: è possibile un progetto di vita autenticamente libera? dove incontrare colui che ha vissuto da uomo libero e può donarci la sua libertà? Incontrare Gesù Cristo: Gesù, libero nella fedeltà al Padre Nel nome di Gesù La prima comunità cristiana ha incontrato Gesù per risorto, vivo sempre, sottratto ai condizionamenti della storia, del male e della morte, e ce lo ha annunciato come "autore della vita" ( At 3,15 ). In Gesù ha riconosciuto colui che per primo ha percorso il cammino vero della vita, portandola alla realizzazione massima e definitiva. Egli ha aperto la strada a quanti accettano di incamminarsi con lui verso il traguardo di una vita piena nella libertà. Egli ha conquistato la libertà per tutti gli uomini. Per questo Pietro può affermare che: "In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" ( At 4,12 ). È nel nome di Gesù che l'uomo è liberato dalle proprie schiavitù e può vivere libero. Diventa dunque essenziale guardare alle orme di Gesù, uomo libero, e scoprire il segreto della sua piena libertà. Solidale con i peccatori Gesù inaugura la sua attività pubblica con un evento che la tradizione evangelica riconoscerà come decisivo per capire tutta la storia che segue: il battesimo al fiume Giordano ( Mc 1,9-11 ). Si tratta di un rito che indica la volontà di accogliere il messaggio di conversione predicato da Giovanni. Ma Gesù ha coscienza di essere senza peccato. Un giorno dirà: "Chi di voi può accusarmi di peccato?" ( Gv 8,46 ). Lo stesso Giovanni Battista riconosce che quel Galileo che gli sta davanti non ha alcun bisogno del suo battesimo ( Mt 3,13-15 ). Perché dunque Gesù, che è senza peccato, si sottopone a questo rito di purificazione? L'apostolo Paolo ci aiuta a trovare la risposta: Cristo non ha mai commesso peccato, ma ha accolto liberamente la volontà del Padre di portare il peso dell'umanità peccatrice ( 2 Cor 5,21 ). Rendendosi solidale con i peccatori, Gesù si comporta come il Servo del Signore, esaltato in un canto del libro del profeta Isaia per aver dato la propria vita come sacrificio per i peccati degli altri ( Is 52,13-53,12 ). Quella di Gesù è perciò una scelta di solidarietà con i peccatori, una scelta di cui il Padre si compiace, dichiarando che colui che si è fatto appena battezzare da Giovanni come uno dei tanti peccatori è in realtà il suo Figlio unigenito, il Messia ( Lc 3,21-22 ). Con il battesimo al Giordano, Gesù si dichiara disponibile a donare la sua vita come "l'agnello di Dio", colui che prende su di sé il peccato del mondo ( Gv 1,29 ) e si offre per la salvezza di tutti. In un mondo di ambiguità e di peccato questa scelta è sottoposta alla tentazione e al rischio di continui compromessi. Ma Gesù rifiuta i progetti devianti che gli sono proposti sulla strada della sua missione. Il Figlio prediletto In quei giorni Gesù venne da Nazareth di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì una voce dal cielo: "Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto". ( Mc 1,9-11 ) "Non di solo pane" Il suo orientamento deciso è espresso in forma di episodio drammatico nel racconto delle tentazioni. Non sfrutterà i miracoli per sé o per ostentare il suo potere, né percorrerà la strada della ricchezza e della potenza politica. L'appello alla parola di Dio, con il quale rigetta queste attese sbagliate, ci fa intravedere quale sarà il centro costante della sua attenzione: "Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai" ( Lc 4,8 ). Così, quando in un momento cruciale della sua missione in Galilea le folle vorranno proclamarlo re, egli si allontanerà ( Gv 6,14-15 ). Anche di fronte alla proclamazione di Pietro: "Tu sei il Cristo", impone il silenzio, per il pericolo che tale titolo possa suscitare attese di vittoria politica ( Mc 8,27-30 ). I progetti di gloria mondana non lo toccano; è molto più alto il progetto che muove la sua libertà. "Solo il Signore Dio tuo adorerai" Allora il diavolo gli disse: "Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane". Gesù gli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo". Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, gli disse: "Ti darà tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo". Gesù gli rispose: "Sta scritto: Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai". Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: "Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù … ". Gesù gli rispose: "È stato detto: Non tenterai il Signore Dio tuo". ( Lc 4,3-12 ) La buona notizia della liberazione All'inizio della sua predicazione, percorrendo i villaggi della Galilea, Gesù proclama: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo" ( Mc 1,15 ). Questo messaggio annuncia un evento che trasforma la storia. Dio si prende personalmente e pienamente cura della vita degli uomini: instaura su di essa il suo Regno liberatore. Le ansie, le sofferenze, gli interrogativi dell'uomo diventano un affare suo ed egli decide di dare ad essi una risposta che va al di là delle attese. Un giorno Gesù ritorna a Nazareth, il villaggio dove era cresciuto e aveva lavorato come carpentiere. È sabato, il giorno del riposo. Come al solito entra nella sinagoga, dove si raduna l'assemblea per pregare; si alza per fare la lettura della Bibbia e, preso il rotolo di Isaia, va a ritrovare il passo dove è riportata la profezia: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore" ( Lc 4,16-21 ). Questo è il "Vangelo", la bella notizia che si compie nella vicenda di Gesù: Dio ha finalmente dato alla storia la svolta decisiva; con Gesù il Regno della libertà e della pace si è fatto presente. I poveri e i perduti possono esultare, perché proprio a loro, attraverso l'amore di Gesù, Dio offre vita e salvezza ( Lc 6,20-26 ). " Ma io vi dico … " Un messaggio così sorprendente non poteva non suscitare forti reazioni nel mondo palestinese, segnato da tensioni e carico di pregiudizi. Per i farisei, rigidi cultori della tradizione dei padri, solo la pratica meticolosa della Legge mosaica avrebbe fatto decidere Dio a instaurare il suo Regno e a inviare il Messia. Tra i membri di questo movimento religioso c'era anche chi guardava con disprezzo i peccatori e il popolino ignorante della Legge. Il desiderio di una comunità pura discriminava anche quanti erano segnati nel corpo da handicap e malattie. L'ansia per un regno d'Israele, libero dall'oppressore, creava solchi profondi tra chi sosteneva l'opposizione violenta alle forze di occupazione e chi, in qualche misura, collaborava con esse. C'era anche chi, in nome di un nazionalismo esasperato, guardava ai popoli pagani come a gente da evitare. In questo clima, carico di polemiche e di tensioni, Gesù rende presente la novità dell'atteso regno di Dio con il gesto e la parola semplice di un perdono gratuito, offerto a tutti senza discriminazioni. Egli si fa amico dei pubblicani e dei peccatori. Siede a mensa con loro, dimostrando così che l'insperata comunione con Dio è offerta anche a loro. Soprattutto colpisce il modo di insegnare, così diverso da quello degli altri maestri di allora. La gente esprime il proprio stupore: "Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità" ( Mc 1,27 ). Egli infatti non si sente legato all'autorità dei grandi dottori della Legge, ad una tradizione ormai fissata: "Erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi" ( Mc 1,22 ). Ha persino l'ardire di affermare che la propria autorità di legislatore è superiore a quella del grande profeta Mosè: "Avete inteso che fu detto agli antichi … Ma io vi dico …" ( Mt 5,20-48 ). Gesù non accetta del tutto né ruoli né tradizioni precostituite. Ma la sua non è una contestazione volubile ed arbitraria. C'è un segreto profondo che guida la sua azione e fa emergere una libertà così inaspettata. "Amate i vostri nemici" "Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste". ( Mt 5,43-48 ) I gesti della liberazione Messaggero potente del regno di Dio, Gesù si china sulle miserie dell'uomo che con fiducia implora aiuto. I suoi lo ricorderanno come colui che è passato in mezzo agli uomini "beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui" ( At 10,38 ). Egli infatti restituisce alle sue piene facoltà la vita debilitata dalla malattia. Tocca e risana il lebbroso, emarginato dalla società del tempo a causa dell'impurità del suo male e lo riammette nella comunità degli uomini ( Mc 1,40-45 ). Riporta alla vita chi è stato sopraffatto dalla morte ( Lc 7,11-17 ), per annunciare che la vita umana sta per essere liberata da ogni male e che sta per nascere l'alba di un mondo nuovo ( Lc 11,20 ). La speranza di una liberazione totale comincia a compiersi: questo è il senso delle molte opere potenti e dei miracoli. Gesù non li compie mai per facilitare la propria esistenza, ma per rendere più liberi gli altri. C'è un gesto di Gesù, ampiamente testimoniato dai Vangeli, che mostra, con ancor più chiarezza ed efficacia, l'impegno di Dio per liberare l'uomo dal regno demoniaco del male e della morte: è il gesto del perdono. Ai peccatori, ripiegati su se stessi, impossibilitati a sperare nella salvezza, è ridonata fiducia, è aperto un nuovo spazio di vita. Così Gesù perdona una peccatrice, da tutti riconosciuta e condannata come tale, con una parola semplice ma piena di autorità: "Ti sono perdonati i tuoi peccati" ( Lc 7,48 ). Anche al paralitico, che attende la guarigione, offre la medesima parola liberatrice ( Mc 2,1-12 ). Il perdono di Dio, che Gesù dona in questi suoi gesti, è un evento che tende a rivoluzionare il corso della vita umana. Per l'uomo prigioniero del rimorso, della colpa, della chiusura si apre la possibilità della pace con se stesso e con gli altri. Al rischio di rimanere legato al proprio passato di peccatore senza speranza di uscirne, succede il dono di poter guardare ad un inizio nuovo di vita, ad un futuro pieno di possibilità insperate. L'uomo è così liberato fin nel suo intimo. I Demoni si sottomettono Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi … Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappia te però che il regno di Dio è vicino. Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città … Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato". I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: "Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome". Egli disse: "Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore". ( Lc 10,1-3.8-12.16-18 ) La forza della sua libertà Una così vasta e potente opera di liberazione trova spiegazione nel fatto che Gesù è una persona interiormente libera, fino in fondo. Egli è libero dalle ambiziose aspettative messianiche che tutti, intorno a lui, avrebbero voluto imporgli. Così si ritroverà tutto solo, sulla strada di un ideale nuovo e frainteso, quello di morire per amore, come il seme che dona la vita marcendo nella terra ( Gv 12,24 ). Gesù, come ogni uomo, soffre la lacerazione dell'intimo dissidio tra il vivere e il morire, ma lo vince e, nell'abbandono al Padre, è pienamente libero davanti alla morte. Quando l'ondata dei contrasti nei suoi confronti sale sempre di più, egli non indietreggia, ma resta fedele fino in fondo alla verità basilare della sua vita: egli è il Figlio di Dio, venuto a rendere gli uomini veramente liberi ( Gv 8,36 ). Qual è la forza che spiega una libertà così audace? È l'obbedienza alla volontà del Padre. Gesù stesso spiega così la sua scelta di andare incontro alla morte in croce: "Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo … Questo comando ho ricevuto dal Padre mio" ( Gv 10,17-18 ). Siamo ricondotti a quanto avevamo già intravisto nell'episodio della sua prima visita al tempio ( Lc 2,41-50 ). È la parola del Padre che fonda e sostiene la libertà di Gesù. Questo rapporto unico di fiducia tra il Padre e il Figlio si esprime soprattutto nella preghiera, anche nei momenti più dolorosi e tragici, come nell'agonia al Getsemani: "Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu" ( Mc 14,36 ). Ecco finalmente chiaro il segreto della libertà che Gesù ha svelato e realizzato anche per noi: fare sempre e totalmente la volontà del Padre è la libertà capace di amare e di servire fino all'estremo! Con questo atteggiamento Gesù vive anche il terribile momento della morte: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" ( Lc 23,46 ). Nella fiducia in Dio, suo Padre, Gesù conquista la libertà dall'ultima schiavitù umana, che è la morte, e porta a compimento la sua missione di Figlio dell'uomo, venuto "per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" ( Mc 10,45 ). Fare ciò che è gradito al Padre Disse Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora sa prete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite". A queste parole, molti credettero in lui. Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi … Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero" ( Gv 8,28-31.36 ) Morto per i peccatori Su Gesù, che agli uomini ha offerto la misericordiosa giustizia di Dio, viene pronunciata un'ingiusta condanna, e la sua sorte ultima è in tutto simile alla fine dei malfattori. Benché i suoi giudici, Pilato ed Erode, non abbiano trovato in lui nessuna colpa, viene decretata per lui l'infamante pena della crocifissione. La folla, addirittura, a Gesù preferisce Barabba, un ribelle omicida e violento ( Lc 23,13-25 ). Viene condotto alla morte assieme a due malfattori. Nel momento definitivo della sua vita, egli appare come il Giusto che si è reso solidale con i peccatori. Colui nel quale non poteva essere trovata iniquità alcuna si è caricato delle nostre iniquità e ne ha portato il peso, fino a rimanere schiacciato in una morte tremenda ( Is 53,1-6 ). Colui nel quale non c'era peccato ha assunto liberamente la sorte dolorosa del peccatore su di sé, facendo di essa l'espressione dell'amore e dell'obbedienza e aprendo così agli uomini la via della riconciliazione e della comunione filiale con Dio. Proprio mentre il male lo colpisce con violenza inaudita, Gesù porta a compimento, nella sua persona, quanto aveva proclamato: " Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato " ( Gv 14,31 ). Con uno sguardo intenso di amore egli perdona Pietro, che lo ha rinnegato ( Lc 22,54-62 ). Al ladrone pentito, che lo supplica, promette il suo regno ( Lc 23,39-43 ). Il senso ultimo della sua morte si rivela veramente come un dono di salvezza: egli è morto per i peccatori. La sua vita è stata offerta a Dio per la liberazione e la riconciliazione di tutti. Questo significato Gesù lo aveva espresso, e anticipatamente realizzato, nella cena di addio, quando nel pane spezzato aveva indicato il suo corpo dato per noi e nel calice il suo sangue versato come alleanza per un'umanità riconciliata ( Lc 22,19-20 ). Nella sua morte Gesù si rivela e si realizza come colui che, affidandosi totalmente al Padre suo, si apre in pienezza all'amore degli uomini, a cominciare dai suoi stessi nemici. In questa morte il comandamento di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze e di amare il prossimo come se stessi è portato a realizzazione piena: Gesù morendo può dire che "tutto è compiuto" ( Gv 19,30 ). " Padre, perdonali " Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù diceva: "Padre, perdona li, perché non sanno quello che fanno" … Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Noti sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!". Ma l'altro lo rimproverava: "Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male". E aggiunse: Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". Gli rispose: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso". Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fitto alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Detto questo spirò. ( Lc 23,33-34.39-46 ) Il compimento della libertà Al cammino portato a compimento da Gesù nella sua morte, Dio ha detto il suo "sì" definitivo nella risurrezione: "Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù … Dio l'ha risuscitato dai morti" ( At 3,13.15 ). Il regno di Dio, come misericordia e riconciliazione, è per sempre stabilito e fondato nel mistero della Pasqua. In forza dell'approvazione divina nella risurrezione, Gesù stesso è diventato la reale possibilità della nostra libertà. Nel suo sangue ci è offerta la riconciliazione e la comunione con l'amore di Dio e tra noi. Egli è il Vivente, perché vive dell'amore e della vita che il Padre gli dona e che egli accoglie nella sua umanità perfetta di Figlio. Egli è per noi l'Autore della vita, perché in grado di comunicarci nella sua pienezza di umanità filiale l'amore stesso del Padre. Questo amore personale accolto e donato è lo stesso Spirito di Dio. Per sempre vivo e glorioso presso il Padre, Gesù, il Signore del perdono e della pace, ha effuso il suo Spirito sul popolo di Dio raccolto da tutte le nazioni, perché potesse essere nel mondo il segno tangibile di un'esistenza condotta "per Cristo, con Cristo, in Cristo", nella libertà dell'amore. Si apre per noi la strada di una libertà nuova, segnata dalla grazia di poter amare filialmente Dio e fraternamente gli uomini. Dio ha glorificato il suo servo Gesù "Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino e avete ucciso l'autore della vita. Ma Dio l'ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni". ( At 3,13-15 ) Scheda: La passione di Gesù Quando si legge la storia della passione di Gesù, si è spesso tentati di prendere un particolare dal racconto di Matteo, uno da Marco, da Luca e da Giovanni, pensando così di poter avere tra le mani un quadro più completo dei fatti narrati. Procedendo in questo modo, si ottiene un racconto più lungo, solo materialmente più ricco. In realtà, ogni evangelista si è preoccupato più del significato religioso che della nuda materialità dei fatti. Il messaggio ( il Vangelo ) offertoci da ognuno degli autori ispirati è a noi accessibile solo se teniamo presenti le loro diverse prospettive. Nell'accostarci alla passione di Gesù, non resta pertanto che affidarci alla sapiente pedagogia della Chiesa, che da duemila anni ci invita a leggere il racconto della passione seguendo distintamente ognuna delle quattro redazioni evangeliche. Proviamo a seguire il filo del racconto di Marco ( Mc 14,32-15,41 ). 1. Al Getsemani ( Mc 14,32-42 ) Questo episodio può essere definito come "la passione interiore" del Messia, dove ci è rivelato ciò che egli ha provato nel suo animo. La scena è di una intensità drammatica: Gesù è spaventato e disorientato, barcolla sfinito e cade più volte al suolo. Mentre i racconti paralleli di Matteo e di Luca addolciscono la brutalità del momento, presentandoci Gesù in atteggiamento di adorazione, prostrato con la faccia a terra ( Mt 26,39 ) o in ginocchio ( Lc 22,41 ), Marco, con dure espressioni, accentua il contrasto del mistero di Cristo: Figlio di Dio, eppure abbandonato alla sofferenza. L'ora è giunta: Gesù vorrebbe vederla passare senza dover assaporare il calice amaro del dolore, ma si rimette alla volontà del Padre. Rivolgendosi a lui con estrema confidenza, lo chiama "Abbà", un termine che solo Marco, tra gli evangelisti, ci riporta nell'originale aramaico e che veniva usato nel linguaggio familiare da bambini e adulti per rivolgersi al padre terreno: "papà". Abbandonato dai discepoli, in particolare da Simone, Gesù supera la prova e, con fiducia rinnovata nel suo Dio-Abbà, va incontro al traditore. 2. L'arresto ( Mc 14,43-52 ) Anche in questo brano Marco ci presenta i fatti in modo scarno, con estrema sobrietà. Dietro le frasi si sente quasi il ritmo incalzante degli eventi: "E subito arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni". Giuda bacia Gesù: è il segnale. Gesù viene preso. Non dice nulla a Giuda, come pure rimane per lo più silenzioso per tutta la vicenda. Questo silenzio di Gesù è altrove esplicitamente rimarcato dall'evangelista ( Mc 14,61; Mc 15,5 ); nel resto del racconto Gesù parlerà solo tre volte: alle guardie, al sommo sacerdote, a Pilato ( Mc 14,48-49.62; Mc 15,2 ). L'ultima parola sarà il grido al Padre ( Mc 15,34 ). 3. Il processo giudaico ( Mc 14,53-72 ) La narrazione dell'evangelista è attraversata da forti contrasti: l'istruttoria, tesa a stabilire la colpevolezza dell'imputato, rivela la mancanza di obiettività nel processo; Gesù viene giudicato e condannato, ma in realtà sarà lui a giudicare gli uomini nel regno di Dio; mentre confessa coraggiosamente di essere il Messia, viene malmenato e trattato come un profeta da burla, e il più ardente dei discepoli lo rinnega. 4. Il processo romano ( Mc 15,1-20 ) Sotto l'amministrazione romana, il sinedrio, supremo tribunale giudaico, aveva il potere di trattare le cause capitali, ma non di eseguire la sentenza. Solo il procuratore poteva farlo. Finora a Gesù sono state mosse solo accuse di ordine religioso: opposizione al tempio, pretesa di rivestire il ruolo di giudice universale riservato solo a Dio. Ora, davanti a Pilato, le autorità giudaiche presentano Gesù come il pretendente al titolo di re dei Giudei, cioè come uno dei tanti rivoluzionari che miravano a scatenare la lotta di liberazione dai romani. Al centro del processo sta la regalità di Gesù. Il "re dei Giudei", - un titolo che in Marco incontriamo soltanto qui e sulla croce ( Mc 15,26 ) - è rifiutato dalla folla, sobillata dai capi dei sacerdoti, che gli preferisce un omicida, mentre è trattato dai Romani come un re da commedia. Ma per i credenti, che riconoscono nel Nazareno, percosso e schernito, il servo umile del Signore cantato da Isaia ( Is 50,6 ), è lui il vero re del mondo. 5. Il Calvario ( Mc 15,21-41 ) Il dramma della croce viene scandito in tre tempi, secondo le tre ore della preghiera giudaica: le nove, mezzogiorno, le tre del pomeriggio. Anche sulla croce Gesù prega e invoca il Padre, ma tutto sembra accentuare l'impressione della sua solitudine: egli è nel più totale abbandono. Le sue pretese risultano completamente smentite: come fa a dichiararsi capace di edificare un nuovo tempio e a presentarsi come Messia, se ora non riesce a salvare se stesso dalla morte imminente? Le tenebre si fanno più dense; viene il giorno del Signore, annunciato dai profeti ( Am 8,9; Gl 2,10 ), ma non è il giorno della liberazione e della vittoria. Per Gesù è l'ora della fine. Ma proprio nel momento del buio più fitto si squarcia finalmente il mistero della sua straordinaria vicenda: dalle tenebre scaturisce la luce. Quella che sembrava la disfatta più completa, si rivela come l'inizio di una storia nuova. La testimoniano i due segni presentati dall'evangelista. Il primo è quello del velo del tempio: si tratta della tenda del santuario, che segnava l'ultima barriera di fronte al "santo dei santi", la parte più intima del tempio, dove poteva entrare solo il sommo sacerdote una volta all'anno, nel giorno dell'Espiazione. Questo velo è lacerato: ormai, con la morte di Gesù, l'accesso a Dio è aperto a tutti, anche ai pagani, come risulta dal secondo segno, quello della professione di fede del centurione romano. L'ufficiale avrebbe avuto più di altri motivo di scandalizzarsi della morte di questo re dei Giudei; in realtà egli è il primo a riconoscere nel crocifisso il "Figlio di Dio", e questo proprio perché lo ha visto morire "in quel modo". Proprio perché ha rifiutato di salvare se stesso, Gesù ha salvato tutti. Con questa professione di fede siamo già orientati alla scoperta del mattino di Pasqua: la storia di Gesù non resta chiusa nel sepolcro scavato nella roccia, ma è aperta sulla nostra storia. Vivere la comunione nella Chiesa: Cristo ci ha liberati per la libertà La "stoltezza" della croce La nostra libertà vive un'ansia ed una inquietudine sconfinate: niente sembra appagarla. Gesù ci ha svelato che la mèta della libertà è riprodurre l'immagine stessa di Dio, poter vivere da figli suoi, pienamente amati. Quanto è difficile e per certi versi inspiegabile questo messaggio, lontano dalle idee di libertà che il nostro ambiente ci offre! L'apostolo Paolo traduce questa inspiegabilità chiamandola la "stoltezza" della croce ( 1 Cor 1,18-25 ). Agli occhi degli uomini appare segno di debolezza che la libertà vera si possa ottenere solo quando, sulle orme di Gesù crocifisso, si ha il coraggio di consegnare tutta la propria esistenza nelle mani di Dio Padre, per essere liberi di servire gli uomini. Ma ciò che appare stoltezza ad una logica "terrena", diventa per chi crede la vera sapienza e la vera forza della libertà! Le radici della libertà malata La cultura moderna ha gridato forte la completa autonomia dell'uomo: l'uomo deve essere finalmente consegnato alle proprie mani, senza svendere la forza della propria libertà alle paure, alle soggezioni, ai miti di un Dio che lo condiziona. La libertà non è tale se non è mia, si dichiara solennemente. La nostra è una cultura che ha proclamato: occorre uccidere l'immagine di un Dio-Padre perché possano crescere uomini adulti, perché la libertà non sia più alienata dai suoi problemi e bisogni reali. Questa morbosa gelosia per una libertà indipendente, che caratterizza il nostro mondo, non è una realtà del tutto nuova. In una malintesa espressione della libertà fonda le sue radici il primo peccato, il peccato originale. Secondo la visione biblica essa è la prima e più radicale tentazione dell'uomo: diventare come Dio, conoscitori del bene e del male ( Gn 3,5 ). Essa ha percorso tutta la storia umana. Paolo, dopo aver fatto un immenso affresco di questa storia, afferma che per tale pretesa autonomia "tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio" ( Rm 3,23 ). La nostra epoca sembra rinverdire, in forme nuove, una tensione che è antica quanto il mondo dell'uomo. L'Uomo in catene Il mistero del peccato, la sua origine e le sue conseguenze, vengono così illustrate dal vescovo Melitone di Sardi ( II sec. ): "L'uomo, che per sua natura è capace sia del bene che del male, come la zolla della terra che accoglie il seme buono e il seme cattivo, diede ascolto a un consigliere ostile e ingordo: mettendo mano all'albero trasgredì il precetto e disobbedì a Dio. E così si trovò gettato fuori in questo mondo come in un carcere di condannati … In questa situazione, chi si rallegrava era il peccato, il quale come complice della morte, le apriva la strada nell'anima degli uomini … Ogni carne cadeva sotto il peccato, ogni corpo sotto la morte, e ogni anima era scacciata dalla sua dimora di carne … L'uomo in catene era trascinato nell'ombra della morte, mentre il soffio della vita giaceva abbandonato. Ecco quale fu la ragione per cui il mistero della Pasqua si è compiuto nel corpo del Signore". ( Omelia sulla Pasqua, 48-56 ) Schiavi di se stessi Questa pretesa di autonomia assoluta è davvero la verità ultima sulla nostra libertà, oppure è una dolorosa illusione che sta alla radice dei malesseri e delle frustrazioni della vita? "Quelli che vivono secondo la carne - ci dice Paolo - pensano alle cose della carne" ( Rm 8,5 ). L'uomo che crede di bastare a se stesso diventa schiavo dei propri impulsi. La libertà che si pensa padrona di sé si rende presto schiava dell'egoismo sfrenato. La libertà appare degradata al livello degli istinti, in continua collisione con la libertà degli altri e quindi creatrice di fratture profonde, esposta ad essere dominata dalle realtà del mondo. È il peccato. Ne scaturisce "un uomo vecchio … che si corrompe dietro le passioni ingannatrici" ( Ef 4,22 ). Che cosa rimane di una libertà inebriata della propria autonomia? Continua Paolo: "se vivete secondo la carne, voi morirete" ( Rm 8,13 ). Non si tratta certo qui della morte fisica, ma di una morte ben più profonda ed angosciante. La libertà che fa perno su di sé, isolandosi da Dio, chiude anche alla gioiosa relazione con gli altri e con il mondo. Se ne prendiamo coscienza, si fa più forte in noi il senso del vuoto, dell'isolamento, della solitudine che assomiglia alla morte e ne anticipa l'angoscia già dentro la nostra vita. Gli altri ci possono stare attorno, possiamo avvertirne la presenza fisica e magari il chiasso assordante, ma al fondo sentiamo il dolore dell'incomunicabilità e dell'incapacità ad amare. "Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione" ( Gal 6,8 ). La morte ultima, con il terrore del nulla, del tutto-finito, del buio senza volti amici, sarà solo la conferma definitiva di quelle ombre di morte che una libertà arbitraria ha già prefigurato dentro la nostra vita. Il sogno di una libertà che si fa da sé ed è indipendente da tutto si rivela una grossa menzogna. Quando pretende di esserlo, diventa schiava del proprio egoismo e dei propri impulsi, si svende alle cose del mondo. La libertà autonoma, poi, non è libertà per tutti. Rischia di essere solo la libertà del più forte, di colui che ha cultura, mezzi, salute: diventa la libertà del superuomo, che inevitabilmente crea divisioni e discriminazioni. Alla fine la sapienza "terrena" che predica l'autonomia della libertà si manifesta come la più grave stoltezza umana. Solo chi ha il coraggio, che all'apparenza sembra debolezza, di rinunciare ad una libertà chiusa su se stessa comincia a vivere da uomo libero. Paolo ci invita ad affidare la nostra libertà a Cristo, perché solo "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi" ( Gal 5,1 ). Chiamati a libertà Cristo ci ha chiamati alla libertà, tracciando per noi i sentieri dell'amore e del servizio verso l'uomo. In questo modo egli ha smascherato i falsi miti di libertà creati dall'egoismo umano, e ci ha aperto gli occhi per denunciare tutte le schiavitù di cui l'uomo soffre. Nello stesso tempo, egli ci ha posto accanto a tutti gli uomini che lottano per la loro liberazione, per condividerne e illuminarne gli sforzi sinceri. "Il Cristo è la verità e la vita, che la predicazione evangelica a tutti svela, facendo a tutti ascoltare le parole di Cristo stesso: "Fate penitenza e credete al Vangelo" ( Mc 1,15 ). E poiché chi non crede è già condannato, le parole di Cristo sono insieme parole di condanna e di grazia, di morte e di vita. Soltanto facendo morire ciò che è vecchio possiamo giungere a una vita nuova. Ora nessuno di per se stesso e con le sue forze riesce a liberarsi dal peccato e ad elevarsi in alto, nessuno è in grado di affrancarsi dalla sua debolezza, dalla sua solitudine, o dalla sua schiavitù: tutti hanno bisogno di Cristo modello, maestro, liberatore, salvatore, vivificatore. Ed effettivamente nella storia degli uomini, anche temporale, il Vangelo è stato sempre fermento di libertà e di progresso, e si dimostra ininterrottamente fermento di fraternità, di unità, di pace". ( Ad gentes, 8 ) Lo Spirito è libertà All'uomo prigioniero di se stesso Paolo annuncia con gioia: "Non c'è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte" ( Rm 8,1-2 ). Gesù risorto, per sempre vivo presso Dio, si fa contemporaneo e presente ad ogni uomo attraverso lo Spirito. E lo Spirito la radice e la fonte della nostra libertà, perché "dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà" ( 2 Cor 3,17 ). Lo Spirito fa rivivere e mantiene salda dentro di noi la parola di Gesù. È questa Parola viva che ci apre la strada della libertà: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" ( Gv 8,31-32 ). Ed è ancora lui che opera efficacemente nel segno del Battesimo. Nello Spirito infatti siamo divenuti "figli", ad immagine di Gesù ( Gv 3,5 ). È passata l'angoscia di una libertà affidata a se stessa, facile preda di ogni tipo di schiavitù, ed è subentrata una libertà serena, che sa di non poter venire meno, perché è riposta nelle mani di Dio-Amore, che è fedele: "E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!". Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio" ( Rm 8,15-16 ). Ecco la libertà nuova, che scopre il suo fondamento al di fuori di sé. Essa si riconosce gioiosamente come un dono dello Spirito, e per la sua presenza si sente finalmente sicura delle proprie possibilità. Così la libertà non è più il sogno riservato solo ai forti e ai capaci. Anche là dove gravi handicap fisici e psichici, pesanti condizionamenti della storia e dell'ambiente, la stessa prospettiva ultima della morte possono far disperare della presenza e delle disponibilità della libertà, essa riemerge nella sua realtà più vera, come dono gratuito dell'amore di Dio. Alla potenza del suo dono non possono fare da argine neppure i più pesanti limiti umani. L'unico tragico argine può essere solo peccato, il rifiuto cosciente e libero dell'uomo. Certo questa radice della libertà è costretta sempre ad esprimersi entro le possibilità limitate della nostra storia. La pienezza della libertà senza barriere ci è possibile solo nella speranza. Ma le resistenze che troveremo, le realizzazioni sempre parziali che scaturiranno dal nostro impegno, non ci abbatteranno. Sono il banco di prova e di maturazione per la nostra fede e per la speranza nella libertà: "Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati" ( Rm 8,22-24 ). L'origine e il fine della libertà Troppe ideologie, sistemi e costumi di vita si propongono oggi come autentiche vie di liberazione dell'uomo. Come orientarsi? La Chiesa illumina questo nostro tempo richiamando l'uomo all'origine e al fine della libertà. "L'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà, quella libertà cui i nostri contemporanei tanto tengono e che ardentemente cercano, e a ragione. Spesso però la coltivano in malo modo, quasi sia lecito tutto purché piaccia, compreso il male. La vera libertà, invece, è nell'uomo segno altissimo dell'immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare l'uomo "in mano al suo consiglio". Perciò la dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali, e non per cieco impulso interno o per mera coazione esterna. Ma tale dignità l'uomo la ottiene quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine con libera scelta del bene, e si procura da sé e con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti". ( Gaudium et spes, 17 ) Liberi per servire L'uomo, liberato nella fede "da" egoistiche preoccupazioni per se stesso, liberato nella speranza "da" angosce ed ansie per i propri limiti, è finalmente libero "per" amare con totale dedizione. La libertà cristiana ci è stata donata per amare Dio al di sopra di tutto e per diventare protagonisti di liberazione per gli altri, nella pratica di un amore fraterno: "Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri" ( Gal 5,13 ). Alla libertà donata dalla presenza dello Spirito di Dio si aprono così gli orizzonti sempre nuovi dell'amore. Dobbiamo camminare "secondo lo Spirito" ( Gal 5,16 ), cioè "nella carità" ( Ef 5,2 ). Il dono battesimale dello Spirito che ci fa liberi si rafforza e si approfondisce nel sacramento della Confermazione, quando, in modo consapevole e adulto, rinnoviamo il nostro "sì" a Cristo e alla Chiesa. Allora siamo arricchiti di sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio ( Is 11,2 ). I doni dello Spirito che ci santificano sono forza dirompente, che fa scaturire in noi insospettate e creative energie di amore. E lo Spirito del Risorto non ci sospinge sui sentieri di un amore impulsivo, fatto di simpatie ed antipatie, di attrazioni e di repulsioni, bensì sulla strada maestra di quell'amore divino che era all'opera nell'esistenza di Gesù Cristo: "Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo" ( Gal 6,2 ). Cristo è la legge di quell'amore nel quale la libertà cristiana cresce e si edifica continuamente. In Cristo la vera libertà Giovanni Paolo II, nel suo insegnamento, ci ha abituati a vedere insieme ed intimamente unite libertà e verità: è in Cristo, verità dell'uomo, che possiamo scoprire il vero volto della libertà: "Gesù Cristo va incontro all'uomo di ogni epoca, anche della nostra epoca, con le stesse parole: "Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi" ( Gv 8,32 ). Queste parole racchiudono una fondamentale esigenza ed insieme un ammonimento: l'esigenza di un rapporto onesto nei riguardi della verità, come condizione di un'autentica libertà; e l'ammonimento, altresì, perché sia evitata qualsiasi libertà apparente, ogni libertà superficiale e unilaterale, ogni libertà che non penetri tutta la verità sull'uomo e sul mondo. Anche oggi, dopo duemila anni, il Cristo appare a noi come colui che porta all'uomo la libertà basata sulla verità". ( Redemptor hominis, 12 ) Scheda: Ecumenismo e dialogo L'amore, frutto dello Spirito, si manifesta nella comunione. Eppure le divisioni segnano da sempre la storia della Chiesa. Molte di esse hanno origini antiche: il rifiuto delle formule con cui i Concili di Efeso e di Calcedonia hanno espresso il mistero di Cristo; la frattura della comunione ecclesiale tra Chiese ortodosse e Chiesa cattolica nell'XI secolo; la Riforma protestante, da cui sono sorte nel tempo molte comunità e confessioni di fede; la particolare vicenda della comunione anglicana; in Italia, infine, la presenza rilevante della comunità valdese. La più intensa circolazione di uomini e di idee ci porta ogni giorno a contatto diretto con persone non cattoliche. Con molti di loro, appartenenti alle diverse Chiese e comunioni cristiane, condividiamo la fede in Cristo Gesù, il Battesimo, vincolo sacramentale di unità, e tanti doni di grazia. Constatare pertanto con dolore quante e quanto profonde siano le divisioni tra i credenti in Cristo sollecita l'ecumenismo, cioè l'impegno per la ricomposizione piena dell'unità. Condividiamo così i sentimenti di Cristo, il quale per questo ha pregato prima di morire per i suoi discepoli: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" ( Gv 17,21 ). L'ecumenismo non nasconde la diversità e non ricerca l'uniformità a tutti i costi. L'amore e la fedeltà alla verità, alla propria tradizione ecclesiale, alla fede ricevuta e professata nella propria comunità sono atteggiamenti essenziali nell'incontro con i fratelli. Ciascuno deve poi conoscere e apprezzare l'esperienza di fede dell'altro, accogliendo la come un valore che arricchisce anche la propria fede. In questa prospettiva si inserisce il dialogo, che aiuta a comprendere, ad abbattere i pregiudizi, a prendere coscienza di divisioni e diversità, ad avvicinare nella comune ricerca della verità. L'ecumenismo si nutre di conversione al Signore: siamo tutti peccatori davanti a lui; dobbiamo sempre crescere nell'accoglienza sincera della sua misericordia i Conversione significa anche assumere verso i fratelli atteggiamenti di ascolto, ricercare ciò che unisce, valorizzare osservazioni e critiche per purificare la nostra vita di fede. In questo cammino spirituale si deve ricercare l'accoglienza reciproca nel Signore, il comune servizio ai poveri, la costruzione della giustizia e della pace. L'ecumenismo è soprattutto preghiera: l'unità non è frutto di sforzi umani, ma dono che il Signore fa a coloro che si rendono disponibili ad accoglierlo. Il cammino ecumenico richiede impegno per rinnovare la propria comunità. Siamo chiamati a vivere in sempre maggiore fedeltà al Signore, nella comunione della nostra Chiesa, al cui servizio sono costituiti i pastori, il Papa per la Chiesa universale e il Vescovo per quella particolare. Un particolare legame unisce i cristiani agli ebrei, nostri "fratelli maggiori": anche noi siamo figli, nella fede, del padre Abramo. Nell'ambiente ebraico sono le radici del cristianesimo. Gesù è ebreo, così pure la sua e nostra madre Maria e gli apostoli. Cristiani ed ebrei leggiamo la Legge, i Profeti e gli Scritti come parola di Dio. Ci separa la fede in Gesù come Messia, ma ci unisce l'attesa per il "Dio che viene" i Dialogo, conoscenza e sincera stima devono legarci a questo popolo che, a causa di in giustificati pregiudizi, ha sofferto odi e persecuzioni, che non dobbiamo stancarci di condannare. Accanto a noi sono sempre più presenti persone di altre religioni: musulmani soprattutto - che adorano con noi un Dio unico, misericordioso e giusto -, ma anche seguaci di antiche religioni orientali. Ci sono poi i nuovi movimenti religiosi e le sette. Il riconoscimento di quanto di vero e di giusto c'è in una tradizione religiosa deve accompagnarsi alla convinta proclamazione del Cristo come pienezza della verità e unico Salvatore dell'uomo. Tale testimonianza va esercitata in un atteggiamento di dialogo, di accoglienza, di incontro nella preghiera rivolta all'unico Dio e di cooperazione nell'impegno per la giustizia e la solidarietà verso ogni uomo. Le mappe dell'amore L'apostolo Paolo, che si è lasciato afferrare in profondità dall'amore di Cristo, ha delineato in sintesi le mappe di questo amore. Esse possono aiutarci ad esplorare i nuovi territori della libertà aperti dall'amore cristiano. Dall'insieme risulta un quadro ricco di atteggiamenti da evitare e di orientamenti da favorire, in modo da far crescere una personalità equilibrata, interiormente libera ( 1 Cor 13,1-13 ). A chi vuole avventurarsi in questa crescita, coraggiosa e liberante, è proposto anzitutto di non cercare più se stesso e il proprio interesse, come Cristo che "non cercò di piacere a se stesso" ( Rm 15,3 ). Occorre collocarsi invece nella prospettiva di favorire l'interesse e la crescita degli altri. Se nasce veramente in noi l'amore per l'altro, allora lentamente scompaiono dal nostro animo e dalla nostra vita gli atteggiamenti che possono distanziarci e dividerci da lui. Non oseremo più vantare a dismisura le nostre doti, fino all'arroganza e al disprezzo. Non faremo pesare la nostra superiorità, di qualsiasi genere, al punto di creare rivalità. Non ci sentiremo rovinare l'animo da invidie o animosità, se negli altri si manifesteranno doti diverse dalle nostre. Godremo invece delle differenti ricchezze date a ciascuno, come fonte e stimolo continuo per una crescita più armoniosa. Avremo il massimo rispetto per tutto ciò che l'altro è e per ciò che egli manifesta: il suo corpo, i suoi sentimenti, le sue idee, la sua storia. Non avremo il coraggio di fargli torto o ingiustizia e tanto meno di fargli assaporare il frutto amaro del male. Gli andremo incontro invece con un capitale di amore che non si aspetta riconoscimenti e ricompense, disposti a rinunciare a diritti ed anche a subire ingiustizie, purché vinca la potenza dell'amore. Ma l'amore per l'altro deve arrivare ad investire anche l'estraneo, anche chi ha vistose carenze e addirittura chi ha commesso il male. A tutti la libertà dell'amore concede un grosso credito di fiducia, perché solo una fiducia gratuita è la forza che può far scaturire negli altri possibilità nuove di vita: la carità tutto crede. Chi si è incamminato sulla strada della libertà cristiana non è ingenuo di fronte al male. Egli sa vedere e giudicare con severità il male, senza scendere con esso a nessun compromesso. Non nutre rancore o odio contro chi gli ha fatto del male. Se lo subisce personalmente, si sforza di dimenticare, allo stesso modo con cui Dio dimentica il male degli uomini. Se il male cade su chi gli è contrario o nemico, non lo giudica una giusta vendetta e non ne gode. L'uomo della libertà non è settario; egli sa infatti riconoscere e ricercare ogni barlume di bene, anche in chi può apparire dall'altra parte della barricata, perché gioisce della verità dovunque essa si manifesti. A chi ha sbagliato e a chi erra offre continue possibilità di recupero e di ripresa, perché la carità tutto spera. Anche là dove il limite ed il male si mostrano recidivi e le speranze di ripresa sembrano spente, l'uomo della libertà non dichiara chiusa la partita, perché la carità tutto sopporta. Mite ed umile come Cristo, l'uomo della libertà diventa capace di un'accoglienza senza misura: egli è benevolo con tutti ( Col 3,12-14 ). Sa prendere l'iniziativa nei confronti degli altri, mostra generosità e si manifesta pronto a mettere a disposizione tutto ciò che gli appartiene. Ha sentimenti profondi di misericordia. Perciò è attento a cogliere le esigenze interiori e i bisogni esteriori degli altri. È capace di solidarietà e quindi sente come sue le sofferenze e le gioie altrui. A coloro che non contano, che sono deboli o poveri, presta il proprio servizio lieto e disinteressato. Chi si avvia sulle strade della libertà di Cristo troverà un senso vivo di gioia ed una profonda pace interiore, segno che Dio gli è vicino ed amico ( Gal 5,22 ). Egli diventerà comunicatore di gioia e costruttore di pace. Autoeducazione e dono sé Ai giovani Giovanni Paolo II rivolge l'invito a crescere nella verità e nella libertà: "In questo campo le parole di Cristo: "Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi", diventano un programma essenziale. I giovani hanno congenito il senso della verità. E la verità deve servire per la libertà: i giovani hanno anche spontaneo il desiderio della libertà. E che cosa significa essere liberi? Significa sa per usare la propria libertà nella verità - essere veramente liberi. Essere veramente liberi non significa affatto fare tutto ciò che mi piace, o ciò che ho voglia di fare. La libertà contiene in sé il criterio della verità, la disciplina della verità. Essere veramente liberi significa usare la propria libertà per ciò che è un vero bene. Continuando dunque: essere veramente liberi significa essere un uomo di retta coscienza, essere responsabile, essere un uomo per gli altri. Tutto questo costituisce il nucleo interiore stesso di ciò che chiamiamo educazione e, innanzitutto, di ciò che chiamiamo auto-educazione. Sì: auto-educazione! In fatti, una tale struttura interiore, dove "la verità ci fa liberi", non può essere costruita solamente dall'esterno. Ognuno deve costruirla dal di dentro - edificarla nella fatica, con perseveranza e pazienza". Il Papa dà anche l'orientamento finale alla crescita nella verità e nella libertà: la perfezione evangelica. Vivere nella totale obbedienza a Dio è la massima libertà. "Quando il giovane chiede: "Che cosa mi manca ancora?", Gesù lo fissa con amore, e questo amore trova qui un nuovo significato. L'uomo viene portato interiormente, per mano dello Spirito Santo, da una vita secondo i comandamenti ad una vita nella consapevolezza del dono, e lo sguardo pieno di amore di Cristo esprime questo passaggio interiore. E Gesù dice: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi". Sì, miei amati giovani amici! L'uomo, il cristiano è capace di vivere nella dimensione del dono. Anzi, questa dimensione non solo è superiore alla dimensione dei soli obblighi morali noti dai comandamenti, ma è anche più profonda di essa e più fondamentale. Essa testimonia una più piena espressione di quel progetto di vita, che costruiamo già nella giovinezza. La dimensione del dono crea anche il profilo maturo di ogni vocazione umana e cristiana". ( Lettera ai giovani nell'anno internazionale della gioventù, 31.3.1985, 13 e 8 ) Segni credibili di libertà Al fondo delle mappe dell'amore che Paolo ha con tanta acutezza disegnato, si delinea, con contorni visibili, la figura della Chiesa. L'uomo libero non nasce e non cresce nell'isolamento; ha bisogno di una comunità viva, che gli renda visibile l'amore di Dio per generarlo alla libertà dell'amore. Nella Chiesa, pur con i limiti e le manchevolezze che essa manifesta, si incontrano i segni visibili di quell'amore divino, che dà vita ed offre alla libertà possibilità di crescita. Le testimonianze di accoglienza, di solidarietà, di perdono, di servizio alla vita dei poveri e dei sofferenti che nella comunità cristiana affiorano, anche se spesso in mezzo ad incoerenze e debolezze, sono i segni più immediati e quotidiani con cui l'amore di Dio si fa trasparente. Dobbiamo farci attenti a riconoscere ed apprezzare questi gesti, non solo là dove essi si manifestano con realizzazioni straordinarie ed eroiche, ma anche là dove emergono con toni quotidiani: dentro i rapporti familiari, nella vita d'amicizia, nella solidarietà all'interno del mondo del lavoro e della scuola, attraverso i normali scambi di aiuto che le persone si offrono. Ma oltre alla testimonianza, nella comunità cristiana risuona la Parola che rende presente Cristo: è dimostrazione concreta dell'amore divino e appello continuo perché gli uomini si facciano servi gli uni degli altri. Ed è nella comunità cristiana che ci è dato di celebrare, nel segno dell'Eucaristia, l'esperienza più vera della nostra libertà. Nell'Eucaristia, infatti, la comunità cristiana celebra la vita che Cristo le ha donato nell'amore e ne rende visibile la fraterna condivisione tra gli uomini. C'è un periodo dell'anno liturgico in cui la Chiesa, quasi dimentica di quanta incoerenza porta ancora dentro di sé, celebra il bene che Dio ha operato in lei, cioè la libertà, la pace. È il tempo pasquale. Non è il tempo dopo Pasqua, ma il tempo di Pasqua, perché per la Chiesa la Pasqua è una festa lunga cinquanta giorni: l'ultimo giorno della festa è Pentecoste. La grazia del Battesimo e dell'Eucaristia hanno fatto germogliare una cosa nuova ( 2 Cor 5,17 ). Siamo così impressionati dal male che tante volte non ci ricordiamo di godere e di ringraziare per il bene che già vive in noi e tra noi, per la novità di vita che scaturisce dalla libertà di amare, che il Cristo ci ha donato. Il tempo di Pasqua ci richiama a questa coscienza e ci interroga: non ve ne accorgete? ( Is 43,18-19 ). La Chiesa è lo spazio visibile della libertà, il luogo dove questa nasce, cresce e si esercita. Ma nella comunità cristiana non matura una libertà da ghetto. Si edifica piuttosto una libertà che deve divenire luce e forza, per far crescere e portare a pienezza tutti gli sforzi che gli uomini, in vario modo, stanno compiendo alla ricerca di una vita finalmente libera. Così il cristiano si affianca, con la lucidità e la dedizione che gli sono proprie, ai tentativi, piccoli e grandi, di liberare l'uomo dalla povertà, dalla fame, dall'ignoranza, dall'ingiustizia e da tutto ciò che ne opprime la dignità. Si adopera nei movimenti, nelle strutture sociali ed educative perché si allarghino, per tutti, gli spazi e le possibilità di crescita della libertà. Soprattutto si fa difensore della libertà dei più deboli e di coloro che non possono difendersi da soli, del diritto alla vita e alla pienezza di vita di tutti: dal concepimento fino al termine naturale dell'esistenza. Compagno di viaggio, solidale ed attento con tutti quanti hanno sete di liberazione, egli continuerà a testimoniare la pienezza della libertà che viene da Dio e che si conquista ogni giorno attraverso l'amore. Gente santa Nella Pasqua del Signore è la radice della novità di vita che si manifesta nella comunità dei credenti. La Chiesa ne è consapevole e così si esprime nella preghiera liturgica: "È veramente cosa buona e giusta renderti grazie e innalzare a te l'inno di benedizione e di lode, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. Mirabile è l'opera da lui compiuta nel mistero pasquale: egli ci ha fatti passare dalla schiavitù del peccato e della morte alla gloria di proclamarci stirpe eletta, regale sacerdozio, gente santa, popolo di sua conquista, per annunziare al mondo la tua potenza, o Padre, che dalle tenebre ci hai chiamati allo splendore della tua luce". ( Messale Romano, Prefazio delle domeniche del tempo ordinario I ) Scheda: Il dono di una vita nuova: il sacramento del Battesimo 1. Essere cristiani: un dato o una scelta? Nella generalità dei casi ci siamo trovati ad essere cristiani, senza averlo deciso. I nostri genitori hanno pensato che fosse un bene per noi inserirci nella famiglia della Chiesa. Una volta questo non faceva problema. Oggi su questo dato ci si interroga: perché restare cristiani? cristiani si è o si diventa? Si tratta per ognuno di noi di scoprire personalmente il valore di un dono; si tratta di sperimentare che il fatto di essere cristiani e battezzati non è un peso, ma una condizione che ci rende più liberi. 2. Battesimo e progetto di vita battesimale Se si vuole rendere vitale l'esperienza del Battesimo, bisogna riscoprirne le ragioni e il significato e ricercare possibilità e prospettive che lo rendano più incisivo nella nostra storia personale. Chiamati ad essere liberi come figli di Dio Nel Battesimo Dio ci ha chiamati: ci ha invitati ad "immergerci" nella morte e risurrezione di Gesù, a lasciare quanto di negativo è attorno a noi e dentro di noi, per entrare in relazione filiale con lui, nostro Padre. Vivere, alla luce del Battesimo, è ribadire e approfondire costantemente la risposta a questo invito. La nostra personale risposta è una vita "secondo il Battesimo", che è vita nuova, partecipazione alla vita stessa di Dio, vittoria sempre rinnovata sul male e apertura alla libertà che si realizza nell'amore. Ogni giorno il Padre ci chiama a scoprire certezze e sicurezze vere, a orientarci sempre più decisamente a lui. Chiamate quotidiane, quelle di Dio, che esigono risposte quotidiane e generose, per entrare sempre più profondamente nella comunione con lui e radicare nel suo mistero d'amore ogni scelta e comportamento. Chiamati a vivere in Cristo Cristo ci appare come l'ideale perfetto della comunione con Dio e con i fratelli. Si è fidato del Padre, a lui si è affidato anche quando l'amore sembrava dovesse essere sconfitto dalla morte. Ha amato tanto gli uomini da donare loro la sua stessa vita; per loro si è sacrificato, convinto che solo così poteva realizzare la grande famiglia degli uomini: "Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" ( Gv 12,32 ). Cristo ci accoglie e conforma la nostra vita a lui; ci fa capaci di fidarci di Dio, di affidarci a lui, di condividere la nostra esistenza con tanti fratelli che, come noi e con noi, hanno scelto l'esaltante avventura di vivere per gli altri. Chiamati ad essere fratelli L'esistenza prospettata dal Battesimo comporta una sempre più piena partecipazione alla vita della comunità cristiana, in cui il Battesimo ci ha inserito. Attorno a noi vi sono tanti compagni di viaggio lungo il cammino della fede. Non possiamo restare chiusi, ignari di ciò che si muove attorno. Dobbiamo imparare a rendere la nostra vita una casa aperta e ospitale. Siamo nati con la potenzialità di diventare persone capaci di incontro, di confronto, di scambio e di dono. Il Battesimo ci spinge quotidianamente sulla strada del dono di noi stessi alla comunità e, con la comunità, ai fratelli tutti. Chiamati ad essere testimoni Il Battesimo è un dono che il Signore ci fa anche per gli altri: non un privilegio che isola, dunque, ma una responsabilità che apre al mondo. Se il Signore ci ha fatto conoscere il tesoro - cioè che Dio è nostro Padre e ci ama e che noi siamo fratelli -, questo tesoro non possiamo tenerlo per noi. Il cristiano è per sua natura testimone, missionario dell'amore di Dio. 3. Scelgo di essere cristiano Nel rito del Battesimo degli adulti, ancora oggi, il catecumeno rinuncia al peccato, professa la sua adesione di fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, manifestando così di accogliere l'invito di Dio che lo chiama a vivere una vita nuova. Poi il prete lo immerge nell'acqua ad indicare la partecipazione alla morte e alla risurrezione di Gesù, mentre le parole che pronuncia esprimono che colui che viene battezzato è inserito nell'opera del Padre che, per mezzo del Figlio, salva l'uomo con il dono dello Spirito di vita. Nel Battesimo dei bambini, fino al Concilio Vaticano II, i padrini e i genitori rinunciavano al peccato e professavano la fede al posto dei bambini, a nome loro. Oggi genitori e padrini rinunciano al peccato e professano la propria fede, la fede della Chiesa, nella quale il bambino è battezzato. Il Battesimo dei bambini è dunque un dono, che attende di essere accolto per crescere di giorno in giorno. Nella nostra vita tale accoglienza ha richiesto sempre maggiore coscienza e impegno: da quando abbiamo cominciato a pregare a quando abbiamo celebrato la prima Eucaristia con la comunione e a quando abbiamo chiesto e ricevuto il sacramento della Confermazione siamo stati progressivamente provocati a rinunciare al peccato, a professare la nostra fede, a immergere la nostra esistenza nel mistero d'amore della Trinità, tramite la partecipazione alla morte e alla risurrezione di Gesù. Ma non abbiamo mai scelto una volta per sempre: ogni volta che celebriamo l'Eucaristia, che accettiamo il corpo del Signore noi accogliamo nuovamente l'alleanza che ci fu offerta nel Battesimo, la confermiamo, la facciamo nostra ancora una volta. La confermiamo nel rito, per viverla nella vita. Imparare a pregare Noi ti lodiamo e ti benediciamo Contemplare, lodare, ringraziare il Signore è, senza dubbio, una preghiera difficile. Difficile perché chiede che fissiamo lo sguardo su Dio stesso, l'invisibile fonte di ogni bellezza e di ogni gioia. Difficile perché, se vogliamo impararla e gustarla fino in fondo, esige un vero cammino di purificazione, di distacco anche dal succedersi delle vicende della vita. Si pensa spesso che la preghiera di contemplazione, di lode e di ringraziamento sia legata a momenti belli, in qualche modo particolari della vita. Questo è vero solo in parte. Non si può aspettare una notte stellata, la visione di una meraviglia del creato, un evento felice per pregare. Tutta la vita è un dono. Se le vicende umane a volte la oscurano, essa non cessa di essere il segno grande dell'amore di Dio per noi. Occorre saper guardare e contemplare la grandezza di Dio nella nostra stessa fragilità e soprattutto nella capacità sempre nuova che egli ci dona di rinascere ad ogni nostro insuccesso. Il mondo che ci circonda è pieno di mistero. Tutto in questo mondo è di Dio, anche noi stessi: è lui il Creatore di tutto e il Signore della storia. Riconoscere la sua grandezza e il nostro essere creature, il suo amore e il nostro bisogno di essere salvati ci apre alla contemplazione del suo mistero. È lui tutto l'amore, la bellezza, la libertà, la vita che ci attrae, ci genera e ci sostiene. Di fronte al mistero, il cammino della preghiera si sviluppa lungo alcune tappe. Il nostro cuore si apre anzitutto allo stupore. Tutto ci parla di Dio: noi per primi, che ne siamo l'immagine, posta nel giardino della creazione per esserne custodi, secondo il disegno che egli vi ha iscritto. Il misterioso disegno della creazione e della storia induce alla lode: "Tua, o Signore, è la forza, tua è la gloria, tua la potenza!". Quello che noi siamo, quello che il Padre chiede che diveniamo è un progetto grande, in cui emerge con sempre maggiore chiarezza la nostra povertà, il nostro essere "piccoli", nelle sue mani. Dalla lode nasce la riconoscenza, il ringraziamento: dire grazie con la parola, ma soprattutto con la vita, permettendo al Signore di prenderne pieno possesso. Ringraziare è infatti questo: lasciarsi possedere, perché la vita che Dio ha creato cresca e sia sempre più sua. Ma anche nei momenti difficili della vita, quando ci avvolge il mistero del male, nel centro della nostra sofferenza, io non è lontano o estraneo: la presenza del suo amore redime ogni male, anche la morte, come egli ha mostrato nella croce del suo Figlio. Anche quando tutto crolla in noi o attorno a noi, c'è quindi un mistero da contemplare e una presenza d'amore per cui rendere lode e ringraziare. Per professare la fede Voi, chi dite che io sia? Signore Gesù, Salvatore del mondo, tu sei la nostra libertà! Gesù ha detto: Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. Nella sua Chiesa, lo Spirito Santo è la radice e la fonte della vera libertà, per fare di noi, distanti e divisi, un popolo solo, unito nel suo amore. Nel Battesimo siamo diventati uomini nuovi, chiamati ad essere, nel mondo, testimoni credibili della libertà dei figli di Dio. - "A immagine di Dio" ( Gen 1,27 ) Dio ha creato l'uomo a sua immagine, perché condivida in libertà la sua vita, nella conoscenza e nell'amore. Vocazione dell'uomo è accogliere l'amore che il Padre ha donato in Gesù e impegnarsi ad amare Dio e i fratelli, con la forza dello Spirito. - La Pasqua del Signore: "Noi crediamo … che Gesù è morto e risuscitato" ( 1 Ts 4,14 ) Gesù, Servo di Dio, solidale con le nostre infermità si è caricato dei nostri peccati, ha accettato nella libertà la passione e la morte per amore del Padre suo e degli uomini. Nella potenza dello Spirito il Padre lo ha risuscitato dai morti e lo ha costituito Signore e Salvatore del mondo. - Il peccato e la misericordia Il peccato è una trasgressione dell'amore vero, verso Dio e verso il prossimo: è amore di sé fino al rifiuto di Dio. Ma, "se riconosciamo i nostri peccati, [ Dio ] che è fedele e giusto ci perdonerà" ( 1 Gv 1,9 ). - Lo Spirito e la vita nuova Dio ha riversato nei nostri cuori il suo amore per mezzo dello Spirito Santo: principio della nostra vita nuova in Cristo. Nello Spirito possiamo invocare Dio come Padre e produrre frutti di amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di noi stessi. Tu sei un Dio pieno d'amore Tu sei un Dio pieno d'amore. Noi riconosciamo il dono grande che ci hai fatto: la libertà di amarti, da figli e non da schiavi. Ma quante ombre minacciano questo dono, dentro e fuori di noi, e quante forme di schiavitù nel mondo! Eppure, mentre scegliamo le vie che ci allontanano da te, tu non smetti di cercarci, come il pastore fa con la pecora perduta, il papà con il figlio fuggito da casa. È Gesù che ce lo ha detto, lui, veramente libero di fronte a ogni pregiudizio e perfino di fronte alla morte. La sua risurrezione ci ha svelato il segreto della libertà: la totale fiducia in te, o Padre. Nel Battesimo noi riceviamo lo Spirito di libertà che ci fa tuoi figli. Nella fede siamo liberati dalla preoccupazione di pensare soltanto a noi stessi, nella speranza siamo forti per non lasciarci paralizzare dalla paura di non riuscire e nel tuo amore diventiamo liberi per amare. Sentiamo il fascino di una Chiesa dove la libertà delle persone è rispettata, educata e resa operosa nel servire la vita di tutti. Questa è la tua volontà, o Dio amante della vita. Tu sei un Dio fedele. Confrontarsi con i testimoni Padre Massimiliano Kolbe Il 14 agosto 1941, vigilia della festa dell'Assunzione di Maria, muore nel lager di Auschwitz padre Massimiliano Kolbe. Ha offerto la propria vita in cambio di quella di un altro prigioniero: "Sono un sacerdote cattolico polacco; sono anziano; voglio morire al suo posto, perché ha moglie e figli". Dopo giorni di inaudite sofferenze in una cella, senza cibo e senza acqua, viene ucciso con una iniezione di acido fenico. Ha 47 anni. Il suo corpo è bruciato, come quello di tante vittime della disumana e aberrante follia nazista. Una morte eroica non si inventa, né accade per caso: è il punto di arrivo di una esistenza e l'esito delle sue motivazioni di fondo. Lo straordinario definitivo dono della sua vita, svela l'intimo orientamento che ha guidato padre Kolbe giorno per giorno: l'amore di Dio e del prossimo. Egli diventa capace di una libertà assoluta di fronte alla propria vita, perché tutta la sua vita è stata un'offerta di amore. Un rapporto profondo e tenero con Maria caratterizza l'esistenza di questo francescano. Con sette amici fonda la "Milizia dell'Immacolata": un gruppo di "cavalieri", uomini cioè che scelgono con libertà di appartenere a Maria, disposti a tutto, ad offrirsi senza riserve, a farsi santi sul serio, perché, con l'aiuto e la protezione dell'Immacolata, al maggior numero di persone possa giungere l'amore di Dio. Fonda giornali, apre stazioni radiofoniche, crea nuove forme di comunità fraterne: le "Città dell'Immacolata", in cui giovani e ragazzi, avvinti dall'ideale mariano, si dedicano alla diffusione del regno di Dio. Nella sua patria prima, poi anche in Giappone, egli vive unendo lavoro, ricorso alle tecniche moderne, preghiera, povertà, obbedienza. L'Immacolata e San Francesco lo introducono all'intimità con il mistero della Trinità. Poi viene la guerra, l'occupazione della Polonia, la prigionia nel campo di concentramento: è il n. 16670. Qui dove l'odio mostra il suo volto più mostruoso, egli è solito ripetere: "L'odio non è forza creativa. Soltanto l'amore crea". Vittorio Bachelet "Non si vince l'egoismo mostruoso che stronca la vita, se non con un supplemento d'amore, se non contrapponendo la capacità di dare la vita per il sostegno e la difesa degli inermi, degli innocenti, di chi vive in una insostenibile situazione di ingiustizia". Sono parole di Vittorio Bachelet, il vice-presidente del Consiglio superiore della magistratura, ucciso dalle Brigate Rosse il 12 febbraio 1980, negli anni in cui il terrorismo vuole scardinare in Italia le fondamenta stesse dello Stato. Sono parole che suonano quasi come una profezia. La sua morte riveste un valore emblematico: ucciso nell'università, mentre svolge la sua missione a servizio della cultura e dei giovani; ucciso perché servitore dello Stato, impegnato da sempre nella difesa degli ideali della vita democratica; ucciso perché uomo libero e forte, di una forza che sgorga da una fede profonda, maturata nel cammino dell'Azione Cattolica, di cui è stato presidente nazionale nel tempo del rinnovamento conciliare. Ecco come, in una situazione difficile della vita sociale del nostro Paese, nel 1947, afferma con chiarezza l'inscindibile legame tra libertà, verità e amore: "I cattolici combattono, devono combattere il male che è l'unica cosa che non possono amare; ma non possono combattere, essere nemici degli uomini, anche quando questi sono al servizio del male, anche quando combattono la verità, la giustizia, la carità, la Chiesa. E certamente questa, una delle leggi più singolari e difficili del cattolicesimo: difendere le proprie idee, i propri diritti che sono idee e diritti della Chiesa di Cristo; ma difenderli amando coloro che combattono per gli ideali opposti; coloro che vogliono opprimere o addirittura opprimono il cattolicesimo. I cattolici li devono amare - non basta che non li odino - e amare vuoi dire essere in ansia per la loro vita, aver a cuore il loro buon nome, saper pregare per loro, essere capaci di offrire in ogni momento un sorriso di pace". Educarsi al servizio: Insieme per servire Un cammino di liberazione interiore Il Signore vuole dei figli, non degli schiavi, uomini capaci di dire a lui un sì generoso. Nessuno come un cristiano, perciò, gioisce per la libertà delle persone. Nessuno più di lui avrà timore della schiavitù e la combatterà in tutte le sue forme: l'ignoranza, gli istinti egoistici, la dipendenza forzata da cose e persone, l'avidità di ricchezza e potenza; in una parola, la schiavitù del peccato e del male. E poiché la schiavitù è in agguato per tutti, continuo sarà l'impegno di liberazione. Il rifiuto consapevole di una vita schiava del peccato è il presupposto di ogni maturità cristiana e il fondamento di ogni altro processo di liberazione. Il giovane in ricerca di una forte identità cristiana, e che vuole vivere per l'effettiva liberazione dell'uomo e della storia da ogni condizionamento e da ogni limite, compie prima di tutto un serio cammino di liberazione interiore. L'impegno per la liberazione di tutti Da una vita alla ricerca della vera libertà scaturisce l'impegno per la libertà di tutti, soprattutto dei poveri. Liberarsi dai pregiudizi e rendersi disponibili ad interventi efficaci è l'inizio di un cammino di coinvolgimento nei problemi reali della gente, dei giovani anzitutto: la schiavitù della droga, i diversi fenomeni di devianza giovanile, gli abusi nel lavoro minorile … Ci sono tante iniziative di recupero, di reinserimento, di accoglienza, di difesa della vita, di promozione sociale. Sono luoghi in cui fiorisce l'amore: e, dove c'è amore, c'è libertà per chi lo riceve e per chi lo dona; perché dove è l'amore, lì c'è Dio. L'impegno a salvaguardia della libertà dell'uomo non è chiesto solo a chi opera in situazioni di frontiera. Ogni cristiano deve sentirsene responsabile. La Chiesa richiama con continuità l'attenzione e stimola l'azione dei credenti attorno a questioni emergenti, in circostanze particolari o in modo ricorrente, attraverso giornate o settimane dedicate ogni anno a singoli problemi. La giornata per la pace, la settimana per l'unità dei cristiani, la giornata delle migrazioni …: sono il segno della preoccupazione della Chiesa per situazioni e problemi che segnano in modo permanente la vita della comunità umana ed ecclesiale. In ciascuna di queste giornate siamo invitati a studiare, a capire, ad aiutare la crescita della coscienza dei problemi, a pregare, a metterci al servizio con gesti significativi. In queste occasioni si può avere una più immediata verifica dell'effettiva libertà da ogni interesse egoistico da parte dei singoli e dei gruppi. In esse viene offerta non solo un'occasione di maggiore esperienza di vita di Chiesa, ma la possibilità di sentirsi fin d'ora con la Chiesa in missione nel mondo. Su due di queste iniziative vogliamo richiamare l'attenzione. Una giornata per la difesa e l'accoglienza della vita Dio in cui crediamo è Dio "amante della vita" ( Sap 11,26 ). Alla vita, in tutta la sua pienezza di tempo e di eternità ci chiama il Signore Gesù. Eppure una mentalità di morte e di sfruttamento indiscriminato della persona umana svela i suoi drammatici segni nella nostra società. La vita, nelle sue diverse fasi, è minacciata e asservita a fini di consumo o di produttività. Essa è posta in pericolo e svenduta, in particolare nei popoli più poveri e nelle condizioni di esistenza più deboli: quelle del fanciullo, dell'anziano, del malato. C'è la tragedia dell'aborto: rifiuto della vita e atto di violenza totale contro la più indifesa delle persone umane. La vita, una volta concepita, è dal suo primo istante sacra e va protetta con la massima cura. L'aborto è il segno, per l'uomo d'oggi, della sua schiavitù più grande: la paura della vita, l'incapacità di amarla, conseguenza del rifiuto della provvidenza amorosa di Dio. La Chiesa ci invita ogni anno a celebrare la "giornata per la vita": per sconfiggere questa mentalità e porre gesti alternativi di amore e di accoglienza; per capire gli aspetti del problema, senza dimenticare la drammaticità della situazione in cui si trova chi vi è coinvolto; per combattere la dominante cultura "antivita" e mostrare la comunità cristiana operosamente vicina ad ogni vita che trova difficoltà ad essere accettata. Incontro e preghiera per l'unità e il dialogo Ogni anno dal 18 al 25 gennaio tutte le Chiese e le comunità cristiane disperse nel mondo celebrano la "settimana di preghiera per l'unità dei cristiani", per promuovere riflessione, conoscenza reciproca, dialogo, incontro e preghiera per l'unità di tutti i credenti in Cristo. Lo scandalo della divisione dei cristiani è uno dei segni anti-evangelici che più colpiscono l'uomo contemporaneo. D'altra parte, la perfetta unità in Cristo è punto di partenza, perché dono del Signore, ma anche traguardo sempre rinnovato nella vita di ogni cristiano, dei gruppi di cristiani, delle Chiese. Nel nostro paese la settimana è preceduta da una giornata, il 17 gennaio, dedicata al dialogo tra cristiani ed ebrei. Con essa si vuole sottolineare come un legame particolare unisce i credenti in Cristo al popolo dell'alleanza, verso il quale i cristiani sono debitori di tanti doni spirituali. In mezzo a noi sono poi presenti persone di altre religioni: occorre sforzarsi di conoscere usi, tradizioni, fedi di questi nostri fratelli e di accoglierli con amicizia, aiutandoli non solo per le necessità materiali e sociali, ma anche per quelle religiose e spirituali. Cap. 5 Chiamati a seguire Gesù Interrogare la vita: Progetti stabili La ricerca della propria vocazione Che senso ha la vita? Da questa domanda ha preso avvio il nostro cammino di ricerca. Per trovare una risposta ci siamo messi sulle orme di Gesù, l'autore della vita. Egli ci ha insegnato un progetto, che è il desiderio di Dio per la felicità degli uomini: il regno di Dio. Chiamati a vivere da figli, di fronte al volto di un Dio che è Padre, abbiamo scoperto il segreto della nostra libertà. Essa non è indipendenza e spontaneità senza limiti. La libertà nasce dalla coscienza che il Padre ci ama, ci libera dal peccato, dalla solitudine dell'egoismo e dalla angoscia della morte, per renderci capaci di servire. Servire il regno di Dio è la direzione che deve prendere la libertà. E il Regno è amore, comunione, giustizia, verità, vita e pace per tutti gli uomini. Nel segno del Battesimo questa libertà ci è stata donata, e si è aperta davanti a noi la possibilità di gustarla e viverla ogni giorno. Lo Spirito di Dio è sempre con noi, per guidarci sulla strada del servizio del Regno. C'è una chiamata, una vocazione comune a tutti, radicata nel nostro Battesimo: vivere nella libertà dei figli di Dio. Essa però ha davanti a sé strade diverse su cui realizzarsi. Quale sarà il cammino di vita sul quale potremo dare un personale e stabile contributo alla crescita del Regno? Siamo chiamati ad una ricerca seria ed impegnativa. Ognuno fin da ora scopre dentro di sé qualità, pro pensioni, aspirazioni. Sono talenti da investire. L'incontro con gli altri e la varietà delle esperienze possono illuminare ancora di più questo patrimonio vivo e farci intravedere scelte per il futuro. A mano a mano che si cresce, nasce infatti il bisogno di dare un volto stabile al proprio domani, indirizzandosi verso un determinato lavoro e scegliendo uno stato di vita. Non si tratta di decidere già ora. Fin da oggi, però, è bene misurarsi con queste prospettive future, per sfuggire al pericolo di vivere alla giornata, senza una mèta per cui impegnarsi. - Cosa ti viene in mente quando senti parlare di vocazione? - Ci sono nella tua vita orientamenti certi per il futuro? - Quali sono le incertezze che ti pesano di più? Una scelta difficile Di fronte a un impegno che vuole investire tutta la vita ci sembra di non avere le forze, di non essere capaci di calcolare tutte le eventualità, di sentir morire dentro di noi la libertà. Le difficoltà che accompagnano una scelta di un certo peso nella vita sono esperienza di tutti gli uomini, ma nella situazione attuale diventano spesso drammatiche. La nostra società non ci aiuta a scegliere. Per i nostri genitori trovare una collocazione e una strada da seguire, in un mondo che aveva proposte precise e spesso univoche, non era così traumatico. Un adolescente vedeva che tutto attorno a sé convergeva verso un ideale condiviso, aveva un riferimento comunemente accettato; sapeva che tipo di uomo odi donna poteva diventare e vi si incamminava con consapevolezza. All'inizio ci poteva essere qualche esitazione, ma presto ci si indirizzava verso una scelta di vita. I modelli esistevano, chiari e universalmente accolti: moglie, marito, prete, missionario, suora …; e poi il tipo di lavoro: professionista, operaio, impiegato … Oggi, invece, l'adolescente non ha di fronte a sé una chiara prospettiva che spinga a crescere, e spesso si attarda in scelte parziali e provvisorie. Non lo aiuta la disoccupazione che per molti accompagna la fine degli studi: diventa difficile allora ipotizzare un futuro da poter scegliere o attrezzarsi di sufficiente forza per accettare anche le sconfitte. Non lo aiuta il consumismo che domina la nostra società. Esso, ancor prima di essere proposta di cose da consumare, da godere, è il tentativo sottile di spegnere ogni desiderio, di chiudere ogni domanda. Nel consumismo non c'è da scegliere, è prefissata la risposta ad ogni esigenza, le esigenze sono selezionate e indotte, ci sono risposte di superficie a domande che portano dentro una invocazione più profonda. E poi non ci è facile scegliere, perché siamo abituati a vedere le cose una dopo l'altra o una vicina all'altra; la scelta, invece, è opera di sintesi, non di accostamento. - Quando, da solo o con gli amici, pensi al tuo futuro, chi immagini di essere? - Provati a inventare quello che ti piacerebbe essere fra una decina d'anni: quali motivi porti per sostenere le tue decisioni? - C'è posto nei tuoi pensieri per quello che nella vita irrompe senza preavvisi e ti costringe a fare scelte diverse da quanto hai già programmato? I segni lungo il cammino Nel nostro cammino di ricerca di una vocazione stabile di vita, Dio non è assente. Egli ci educa pazientemente con tanti segni, rispettosi della nostra libertà, ma anche carichi di efficacia. La sua parola illumina ed orienta le nostre scelte. I bisogni dei nostri fratelli ci interpellano. La comunità cristiana ci pone accanto modelli di vita e di impegno. Lo Spirito del Signore è con noi per darci lucidità, forza e coraggio nelle decisioni. Tocca a noi non essere ciechi di fronte a questi segni e non chiudere il cuore agli impegni generosi. Sulla nostra strada potremo incontrare persone esperte ed illuminate che ci aiutano. Tanti uomini e donne ci hanno già preceduto nell'impresa di scoprire la loro vocazione a servizio di Dio e dei fratelli. Ce ne dà testimonianza la parola di Dio, ce ne parla l'esperienza viva della Chiesa, dove lo Spirito suscita sempre nuove vocazioni. Perché non porsi fin d'ora in ascolto di queste realtà, per illuminare i sentieri della nostra ricerca? - A quali modelli ispiri la tua vita? - Quali difficoltà si presentano su quei tratti di strada che hai già deciso di fare? Ti fai accompagnare da qualcuno? - In che modo la fede orienta le tue scelte verso il futuro? Ascoltare Dio che parla: La vocazione di Mosè Chiamati da Dio Nella storia d'Israele Dio ha sempre suscitato uomini disponibili a lui, per guidare il suo popolo alle sorgenti della vita e della libertà. Ha voluto aver bisogno degli uomini per la sua opera di salvezza. Le persone che Dio chiama non presentano sempre qualità eccezionali. Sono di provenienza sociale e culturale la più diversa. Anche le esperienze che hanno alle spalle non si assomigliano. In loro possiamo perfino trovare difetti, momenti di resistenza e di pigrizia. Hanno però tratti comuni. Si sono lasciati affascinare da Dio e dalla sua parola. Non senza fatica, si sono aperti alla ricerca e all'ascolto di Dio. Da lui si sono fatti illuminare per guardare i problemi e le necessità del popolo. Hanno messo con generosità la loro vita al servizio dei fratelli, per aiutarli a fare esperienza di Dio e della sua salvezza. In mezzo alle difficoltà hanno mantenuto la fiduciosa certezza che Dio era con loro e non li abbandonava mai. In dialogo con Dio È questa anche l'esperienza di Mosè. La Bibbia lo presenta come un giovane ebreo, educato nella cultura e nella sapienza dell'antico Egitto. Mostra subito la sua indole generosa e il desiderio di libertà, quando colpisce una guardia egiziana che maltratta i suoi fratelli sottoposti a lavori gravosi. I suoi interventi senza progetto, l'incomprensione dei suoi e la paura del faraone gli fanno sperimentare il senso del fallimento. Si ritira nel deserto del Sinai a fare il pastore ( Es 2,11-22 ). I suoi sogni sembrano spenti. Ma è nel deserto che Dio lo attende e lo afferra, per rilanciarlo nella grande avventura della liberazione del suo popolo. Ed egli non rifiuta. Mosè si lascia attrarre da un segno straordinario: presso il monte di Dio, un roveto arde senza consumarsi! Non è un uomo superficiale e distratto. È capace di farsi attento, di meravigliarsi. È un uomo in ricerca: "Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?" ( Es 3,3 ). La disponibilità di Mosè si trova di fronte a un evento inatteso. Dio gli si fa presente e gli parla. Lo chiama personalmente e amorosamente per nome. E Mosè non sfugge, non si chiude nella paura e nell'incertezza. Accetta il dialogo che Dio gli offre, anche se non sa ancora dove questo lo condurrà. Dichiara già da ora, con un semplice "Eccomi!", la sua apertura generosa e totale ( Es 3,4 ). L'uomo che, come Mosè, incontra Dio si trova in preda a due sentimenti contrastanti. Avverte di trovarsi di fronte ad un mistero che è più grande di lui. Con Dio non si può trattare come con un uomo. Occorre tanta povertà e umiltà per poterlo ascoltare: è necessario togliersi i sandali e velarsi la faccia! Quando però ci poniamo sinceramente in ascolto, ci accorgiamo che Dio non è un Dio lontano. Era già presente nella nostra storia e nella nostra vita. Lavorava per noi e assieme a noi. Le nostre esperienze passate mostrano l'impronta amorosa della sua azione. Mosè conosce Dio proprio così, come colui che era già all'opera nella storia dei suoi padri ( Es 3,5-6 ). Al lavoro con Dio Quando Dio parla al cuore dell'uomo, non è semplicemente per dargli un po' di gioia e di consolazione interiore. Egli vuole comunicargli il suo modo di guardare agli uomini. Desidera imprimergli nell'animo il progetto di liberazione e di vita che egli vuole attuare per quanti soffrono, sono schiavi e conoscono solo la disperazione. A Mosè Dio dice: "Ho osservato la miseria del mio popolo … conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo … per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso … Il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l'oppressione …" ( Es 3,7-9 ). L'incontro con Dio, se è autentico, apre gli occhi sulle necessità dei fratelli, ci coinvolge a progettare la vita e il mondo come lui lo vuole. La chiamata a collaborare al progetto di Dio si fa allora forte ed urgente. E un comando che sale persuasivo dal profondo dell'esistenza. Mosè lo sente: "Ora va'! Io ti mando … Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo …" ( Es 3,10 ). Si tratta di uscire dal deserto della propria apatia, dalla pigrizia di una vita abitudinaria. Occorre andare incontro ai fratelli, schiacciati da tante schiavitù, e ridare loro fiducia. È l'ora di rimboccarsi coraggiosamente le maniche, per realizzare insieme il progetto di Dio. "Io sarò con te!" La paura però non è ancora vinta. Ciò che Dio chiede, quando chiama un uomo, appare sempre troppo grande alla debolezza delle forze umane. Si è portati, forse, dopo un primo entusiasmo, a chiedersi: perché proprio me? che cosa ho io di particolare? non è sproporzionato e troppo ideale ciò che Dio mi propone? Sono le obiezioni, piene di paura, che Mosè stesso fa al suo Dio: "Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti? " ( Es 3,11 ). Chi misura la chiamata di Dio solo sulle sue forze, non partirà mai: resterà seduto sul ciglio della strada, combattuto tra sogni e paure. Mosè è partito. Ha affrontato ciò che pareva umanamente impossibile perché si è fidato della promessa divina: "Io sarò con te!" ( Es 3,12 ). Dio non abbandona chi ha chiamato. La sua potenza è a disposizione della nostra debolezza. Egli non farà mancare i segni della sua presenza sul cammino impegnativo al quale ci ha avviato. E il segno più bello è quello che ha dato a Mosè: "Quando tu avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo monte" ( Es 3,12 ). Quando, per la generosità della nostra risposta e per la forza della nostra testimonianza, altri uomini, insieme a noi, troveranno la strada della libertà e scopriranno il Dio della vita, avremo il segno più consolante che Dio è con noi. Non sappiamo ancora su quali sentieri Dio ci chiamerà a servire il suo progetto, ma l'esperienza di Mosè, uguale a quella di tante vocazioni, può già orientare con serietà la nostra ricerca. "Io ti mando" Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: "Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?". Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: "Mosè, Mosè!". Rispose: "Eccomi!". Riprese: "Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!". E disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe". Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: "Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo. Ora dunque il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto l'oppressione con cui gli Egiziani li tormentano. Ora va'! Io ti mando dal faraone. Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!". Mosè disse a Dio: "Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?". Rispose: "Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo monte". ( Es 3,1-12 ) Incontrare Gesù Cristo: " Maestro, dove abiti? " Una sola cosa con il Padre Il Vangelo di Giovanni ci presenta Gesù come colui Che è chiamato e mandato dal Padre agli uomini, per rivelare e donare loro la vita di Dio. Gesù è stato consacrato e inviato dal Padre nel mondo, perché gli uomini camminino nella luce, abbiano la vita. Egli dice loro con fedeltà la parole del Padre, mostra loro le sue opere. Dà gloria al Padre, accogliendo la croce e manifestando così l'amore di Dio per il mondo. Il Padre alla fine lo glorificherà, rivelando che Gesù è il servo obbediente e fedele, colui che ha realizzato in pienezza il suo progetto di amore e di vita. D'ora in poi, coloro che saranno chiamati a mettersi al servizio del disegno di Dio non potranno che collocarsi sulle orme di Gesù, per entrare in amicizia con lui e condividerne la vita e il destino. "Rimanete in me" L'incontro tra Gesù e i suoi primi discepoli può essere d'esempio per la storia di ogni vocazione ( Gv 1,35-51 ). Gesù passa. Non ci viene detto né dove né perché. Ancora oggi egli può passare accanto a noi. Non possiamo prevedere né il momento, né il luogo, né il modo di questa sua presenza decisiva per la nostra vita. È dunque importante che si mantenga un cuore aperto e disponibile, per non sciupare spiragli di luce che possono improvvisamente aprirsi nelle nostre giornate. L'incontro con Gesù può avvenire in diversi modi. Per Filippo, ad esempio, c'è un comando preciso di Gesù stesso: "Seguimi" ( Gv 1,43 ). Può accadere che, ad un certo momento della nostra maturazione, nasca nel nostro cuore un imperativo urgente, da non trascurare: collocare Gesù al centro delle nostre scelte. Nella maggior parte dei casi però, a favorire il nostro contatto con Gesù, sarà la testimonianza di altre persone. Per i primi due discepoli, è la voce di Giovanni il Battista. Per Simone è l'invito pressante di suo fratello Andrea. Per Natanaèle è una specie di ragionamento, che gli viene proposto dal suo amico Filippo. Attorno a noi si muovono persone, adulti o giovani, che, in modo più o meno profondo, hanno scoperto il Cristo come realtà decisiva. Essi ce lo mostrano con la vita e con la parola, perché anche noi ne facciamo esperienza. Per ciascuno i tempi e le forme dell'incontro con Gesù sono differenti. I due discepoli, che alla scuola del Battista hanno cercato salvezza e libertà per la loro vita, lasciano le loro certezze non appena intuiscono che Gesù è l'agnello di Dio, il vero salvatore e liberatore. Simone sembra lasciarsi convincere con semplicità dalla testimonianza decisa del fratello. Natanaèle, invece, ha bisogno di discutere, di ricercare, di vedere i segni. Ciascuno di noi ha dentro di sé domande di vita, bisogno di conoscenze, desiderio di esperienze vive, a cui Gesù deve poter o dare risposta per far breccia nel nostro cuore. Non abbiamo fretta: cerchiamo i sentieri più adatti alla nostra persona e percorriamoli con disponibilità e pazienza. Dall'incontro con Gesù nasce una esigenza nuova. "Maestro, dove abiti?" ( Gv 1,38 ), chiedono i primi discepoli. Nessuna curiosità, nessun interrogativo superfluo! C'è solo il desiderio di entrare in amicizia, quasi in intimità, con questa persona. Gesù risponde: "Venite e vedrete" ( Gv 1,39 ); così come più tardi Filippo inviterà Natanaèle: "Vieni e vedi" ( Gv 1,46 ). Restare con Gesù, percorrere la strada delle nostre giornate alla sua presenza, nel confronto con lui, fino a vedere quanto la sua persona può essere decisiva nel trasformare la nostra vita: è un'amicizia che cresce pazientemente nel colloquio, nel confronto, nella gioia di sentirsi vicini. Al termine di questo cammino, Gesù potrà fare un invito ancora più sconvolgente. Non dirà: "Rimanete presso di me", ma: "Rimanete in me e io in voi" ( Gv 15,4 ). Nascerà una presenza e un amore reciproco, che renderanno la nostra vita simile a quella di Gesù, capace di produrre scelte come le sue: "Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto … Rimanete nel mio amore" ( Gv 15,5.9 ). Chi incontra Gesù, può attendersi sempre che il suo destino ne risulti trasformato. "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa ( che vuol dire Pietro )" ( Gv 1,42 ). E un mutamento di nome, che significa un cambiamento di futuro, una missione nuova. Maturerà lentamente, non senza resistenze e tradimenti, questa nuova vocazione di Pietro. Ma subito Gesù gli pone innanzi il compito che lo attende, di primo testimone e di guida dei discepoli del Signore. L'incontro si è già trasformato in chiamata a servizio di una comunità. Anche per gli altri discepoli l'aver trovato Gesù non rimane un fatto sterile. È suggestiva questa scena, dove chi ha avvicinato Gesù sente di doverlo dire ad altri, di invitare altri a fare esperienza di questo incontro. Il contatto con Gesù spinge ad andare verso gli uomini, per portare l'annuncio e la testimonianza su di lui. La luce non può restare nascosta. Una scoperta così decisiva non può rimanere nel segreto del cuore. Si diventa necessariamente missionari ( 1 Gv 1,1-4 ). "Venite e vedrete" Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!". E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: "Che cercate?". Gli risposero: "Rabbì ( che significa maestro ), dove abiti?". Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia ( che significa il Cristo )" e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa ( che vuol dire Pietro )". Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: "Seguimi". Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nàzaret". Natanaèle esclamò: "Da Nàzaret può mai venire qualcosa di buono?". Filippo gli rispose: "Vieni e vedi". Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: "Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità". Natanaèle gli domandò: "Come mi conosci?". Gli rispose Gesù: "Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico". Gli replicò Natanaèle: "Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!". Gli rispose Gesù: "Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!". Poi gli disse: "In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo". ( Gv 1,35-51 ) Sulla via della croce Nella prossimità della sua morte, durante un banchetto che ha la tristezza e la solennità dell'addio, Gesù rivolge una chiamata definitiva ai suoi discepoli. Egli compie un gesto che vuol essere un riassunto di tutta la sua vita e l'anticipazione del significato della sua croce. Si china, come uno schiavo davanti al padrone, per lavare i piedi ai discepoli. In ogni parola e in ogni gesto l'esistenza di Gesù è stata un servizio per la vita degli uomini. La sua morte diventerà il dono ed il servizio totale. Ma ecco l'esigenza nuova che deve segnare la vita dei discepoli: "Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica" ( Gv 13,12-17 ). Sulle orme del Maestro, anche la vita del discepolo deve diventare dono generoso, servizio pieno ai fratelli. Nel mettere a disposizione tutto se stesso, egli troverà la beatitudine, la gioia profonda che solo Dio può offrire. Non è un programma di vita facile. Esige un continuo cambiamento di mentalità, uno sforzo rinnovato per superare se stessi. Pietro intuisce che questa strada è dura e umanamente inconcepibile e tenta di resistere a Gesù: "Non mi laverai mai i piedi!". Ma Gesù lo avverte: "Se non ti laverò, non avrai parte con me" ( Gv 13,8 ). L'amore per il Maestro, il desiderio di essergli vicino e di condividerne la sorte, gli permette di superare le difficoltà e l'istintivo rifiuto: "Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!" ( Gv 13,9 ). Ci sarà anche chi opporrà il proprio no deciso a questa radicale richiesta di Cristo. Mettere la propria vita al servizio degli altri può apparire una scelta insensata, una decisione da persone deboli. Meglio pensare a se stessi, alla proprie cose, alla propria affermazione. Gesù sa che il suo esempio può incontrare cuori chiusi: "Voi siete mondi, ma non tutti". Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: "Non tutti siete mondi " ( Gv 13,10-11 ). Eppure egli non desiste dall'indicarci e dall'aprirci questo cammino di donazione, perché esso è il cammino di Dio per la vita del mondo. Chi accetterà questo progetto per la propria vita, continuerà a rendere presente nella storia Gesù, servo di Dio e degli uomini. Gli presterà voce, mani, cuore perché possa ancora amare in modo visibile gli uomini di tutti i tempi. Gesù potrà dire davvero: "Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me" ( Gv 13,20 ). Quanti sono chiamati da Gesù sulla sua strada non dovranno mai dimenticare la figura del "servo", che egli ci ha lasciato come testamento supremo. Li amò sino alla fine Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. ( Gv 13,1-5 ) Scheda: "Eccomi, sono la serva del Signore" Il volto di Dio, quale emerge nella Bibbia, è vitalità irresistibile, presenza attiva ed efficace: "Io-sono" è il suo nome, e un roveto che brucia e non si consuma è il simbolo della sua misteriosa identità ( Es 3 ). A differenza degli idoli che "hanno bocca e non parlano" ( Sal 115,5 ) il Dio di Israele parla, chiama, convoca, si comunica; non si estranea in una gelida infinità, ma si fa vicinanza e tenerezza. Dopo avere in passato parlato molte volte e in molti modi al popolo eletto ( Eb 1,1 ), quando giunge il tempo stabilito manda suo Figlio, "nato da donna" ( Gal 4,4 ). La donna è Maria. Ecco come l'evangelista Luca narra l'annuncio della nascita di Gesù. Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te". A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine". Allora Maria disse all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo" Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio". Allora Maria disse: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto". E l'angelo partì da lei. ( Lc 1,26-38 ) Quasi in filigrana, si intravedono due modelli letterari utilizzati da Luca: il primo è quello di un racconto di vocazione, quale è possibile incontrare, ad esempio, nella chiamata di Gedeone ( Gdc 6,11-24 ); l'altro riprende lo schema biblico dell'annuncio di una nascita meravigliosa, come si può vedere nell'annuncio della nascita di Sansone ( Gdc 13,2-7 ) o in quello della nascita del Battista ( Lc 1,11-22 ). In questi racconti si ripete uno schema fisso: l'apparizione di un angelo; il timore, la paura, il dubbio con cui reagisce la persona alla quale l'angelo si rivolge; il messaggio dell'angelo, che costituisce il centro del racconto; l'obiezione, sollevata dalla persona interpellata, sulla impossibilità naturale della nascita annunciata; l'offerta, da parte dell'angelo, di un segno dell'intervento di Dio. Attraverso questi elementi l'evangelista struttura l'annuncio a Maria, mettendo in evidenza le componenti di ogni storia di vocazione. 1. L'incontro ( Lc 1,26-28 ) La scena si svolge in un insignificante villaggio della Galilea; la protagonista è una ragazza vergine e povera, promessa sposa di un falegname. Il saluto dell'angelo, "Rallegrati!", è un invito alla gioia perché sono arrivati i tempi messianici. Maria, "ricolmata di grazia", ne è il segno. Il Signore è con lei: l'amore premuroso e benevolo di Dio manifesta in lei il disegno di beneficare il suo popolo. 2. Il timore ( Lc 1,29 ) La reazione di Maria ad un incontro tanto imprevedibile è quella del credente quando fa l'esperienza della visita di Dio e della irruzione del suo Spirito nella propria vita. Maria è fortemente impressionata, il suo sconcerto però non diventa agitazione convulsa, ma si traduce in ricerca attenta e in umile riflessione sul senso di quanto sta avvenendo. 3. Il messaggio ( Lc 1,30-33 ) L'angelo invita Maria a non temere, perché è stata scelta dalla benevolenza divina a rappresentare tutto il popolo e a diventare la madre del Messia annunciato e atteso in Israele. Questo bambino che nascerà da lei è Dio che salva, il centro di tutta la storia; è lo stesso Figlio di Dio, che si fa uomo per portare all'umanità il Regno promesso. Dal rapporto con lui si illumina e prende significato la vita di Maria, come pure la vita di ogni uomo e donna in ogni tempo. 4. La domanda ( Lc 1,34 ) La risposta della Vergine è l'esclamazione di meraviglia e di sorpresa di chi non comprende come si possa realizzare, secondo la logica della natura, un progetto tanto grande. La fede non risparmia al discepolo il senso di smarrimento di fronte ad un mistero che sempre lo supera, e nel cammino del discernimento della propria vocazione il credente può incontrare momenti di oscurità e di incertezza. Ma se non pretende di capire tutto e subito, e la sua preghiera si fa umile invocazione di aiuto, Dio comincia a rivelarsi, lasciando al chiamato di attendere nella fede il giorno di una comprensione più piena. 5. Il consenso ( Lc 1,35-38 ) La mèta a cui Dio chiama non solo è al di là di ogni umana aspettativa, ma supera anche le fragili forze della creatura. Dio però non lascia l'uomo alle sue povere possibilità, ma gli fa dono dello Spirito e viene in suo aiuto, con segni che rischiarano il cammino, come è per Maria la notizia della maternità inaspettata di Elisabetta. L'umile ragazza di Nazareth è così chiamata ad uscire dal suo piccolo mondo di promessa sposa e a mettersi a disposizione del disegno di Dio. La risposta filiale di Maria è il "sì" della creatura che accoglie con stupore e gioia grande la Vita che è Gesù e accetta di diventare corresponsabile con Dio di una storia nuova. È il "sì" della fede libera ed ubbidiente al Signore che si manifesta. Lo riconoscerà Elisabetta quando proclamerà Maria beata per essersi fidata ed affidata alla parola di Dio: "Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" ( Lc 1,45 ). Così comincia per la Vergine di Nazareth la rischiosa avventura della fede. Il cammino, che si dischiude sugli infiniti orizzonti del regno di Dio, sarà lungo e sofferto, ma il Signore è con Maria da sempre. Sempre l'aiuterà con il suo Spirito ad avanzare e a procedere sulla strada della fede, per poter precedere e guidare l'intera comunità dei credenti incontro al suo Signore. Vivere la comunione nella Chiesa: Ricchezza di doni Fermenti di vita nelle prime comunità Dalla Pasqua di Gesù nasce la comunità cristiana, che riconosce come sua unica legge quella che il suo Signore le ha lasciato: l'amore che si fa servizio. Lo Spirito suscita in essa modi sempre nuovi, nei quali questo stile di servizio si specifica e si concretizza. È soprattutto il servizio della Parola e della comunione che, per impulso dello Spirito Santo e sotto la spinta delle situazioni storiche, dà vita a forme nuove di impegno stabile. Ne danno testimonianza gli Atti degli apostoli e le lettere di Paolo. A Gerusalemme la comunità cristiana cresce. Molti credenti provengono dalla cultura del mondo greco. Nella distribuzione dei beni e nel servizio della mensa comune, le vedove di questo gruppo vengono trascurate. Il servizio della carità rischia di venir meno. Su proposta dei Dodici, vengono scelti sette uomini, pieni di Spirito Santo, perché assolvano a questo nuovo ministero. Qualcuno di loro farà anche opera di evangelizzazione presso coloro che sono di lingua greca ( At 6,1-10 ). Ad Antiochia c'è una comunità vivace, guidata da un gruppo di "profeti" e "dottori", persone cioè che consolano e istruiscono i fratelli nella fede. Durante una celebrazione liturgica, lo Spirito suggerisce di mettere a parte Saulo e Barnaba per l'impegno missionario a cui sono stati destinati. Da questa Chiesa essi saranno inviati e sostenuti nell'opera di evangelizzazione, che li porterà attraverso tante città pagane. Lo Spirito suscita quindi missionari del Vangelo ( At 13,1-3 ). Nelle Chiese che Paolo fonda durante i suoi viaggi, istituisce dei "presbiteri" perché siano guide delle loro comunità ( At 14,23 ). A Mileto, dove ha radunato i presbiteri di Efeso, Paolo traccia, in un discorso che sa di testamento, i compiti di questi nuovi ministri: proteggere la fede dei credenti affidati alla loro cura pastorale, annunciare ad essi tutta intera la volontà di Dio, agire con disinteresse, prestare grande attenzione ai più deboli. Nascono così i responsabili delle comunità cristiane locali ( At 20,17-35 ). Nel fermento di vita delle prime Chiese, troviamo anche la testimonianza di una coppia di sposi: Aquila e sua moglie Priscilla. Possono essere un modello vivo di coniugi cristiani. Sono inseriti nella vita sociale del loro tempo. Per la loro origine giudaica, si ritrovano perseguitati, scacciati, pellegrini nel mondo. Fanno il mestiere di tessitori di tende ( At 18,1-4 ). Il lavoro è la trama della loro vita quotidiana ma anche uno strumento di solidarietà e condivisione. La loro casa è aperta ai fratelli nella fede, e presso di loro si raduna la comunità cristiana locale. Si fanno catechisti di un futuro evangelizzatore, Apollo, e divengono collaboratori dell'apostolo Paolo ( At 18,24-28 ). Per la loro dedizione al Vangelo, corrono rischi gravi e subiscono persecuzione ( Rm 16,3-5 ). Nella sua esortazione alla comunità di Roma, come già era avvenuto per quella di Corinto ( 1 Cor 12,4-11 ), Paolo lascia intravedere una grande ricchezza di doni che lo Spirito suscita e che servono alla crescita della Chiesa. C'è il profeta che sa leggere la vita e i segni della storia alla luce della fede. C'è chi è chiamato a fare il catechista, nell'insegnamento della parola di Dio o nell'esortazione ad un serio impegno morale. Qualcuno ha il dono di presiedere e di organizzare la comunità. Altri si fanno attenti al servizio dei poveri, alla raccolta di aiuti, all'impegno generoso verso gli ammalati e i bisognosi. Per ognuno c'è una grazia ed una responsabilità da esercitare, nel rispetto degli altri e per la crescita di tutti ( Rm 12,3-8 ). Quale impressione di vivacità ci lasciano le testimonianze di queste prime comunità cristiane! Lo Spirito che le anima fa rivivere in esse, con tanti e vari ministeri e doni, il servizio di salvezza e di vita che Cristo ha reso e rende agli uomini. Ciascuno dei battezzati è sollecitato da questo stesso Spirito a trovare e a realizzare con generosità la propria specifica vocazione di servizio. Lo Spirito agisce ancora La lunga esperienza della Chiesa conferma che essa vive e si edifica nella varietà e complementarietà di ministeri e di doni. È in essi che si attua e si fa concreta la grande e comune vocazione battesimale alla santità e al servizio del Regno. Lo Spirito non ha mai lasciato mancare alla sua Chiesa la presenza visibile di Cristo-capo, attraverso ministri ordinati per l'annuncio della Parola, la presidenza dell'Eucaristia e della comunione ecclesiale. Ha fatto fiorire continuamente un'abbondanza di doni, testimoniata da diverse forme di vita consacrata e dalla varietà dei carismi laicali. Ha mantenuto viva la dimensione missionaria della Chiesa, suscitando persone disponibili all'annuncio del Vangelo e al suo incontro con le varie culture. Ha illuminato sempre più chiaramente il valore sacramentale della vita matrimoniale dei credenti. A tutti i battezzati lo Spirito ha permesso di scoprire, nelle diverse condizioni di vita, anche quelle umanamente più sfavorevoli, una possibilità di maturazione cristiana e di vocazione al servizio del Regno. Nella ricerca sulla nostra vocazione non possiamo trascurare di interrogarci su quelle strade che rendono presenti aspetti essenziali del mistero di Cristo e della Chiesa: la vocazione al matrimonio, alla vita religiosa, al ministero ordinato. Vocazione all'apostolato Il Concilio Vaticano II chiede ad ogni credente di operare attivamente per la venuta del regno di Dio. Questa è la vocazione fondamentale di ciascuno: "rendere partecipi tutti gli uomini della salvezza operata dalla redenzione e per mezzo di essa ordinare effettivamente il mondo intero a Cristo". Così si esprime il decreto conciliare sull'apostolato dei laici: "La vocazione cristiana è per sua natura anche vocazione all'apostolato. Come nella compagine di un corpo vivente non vi è membro alcuno che si comporti in maniera del tutto passiva, ma insieme con la vita del corpo ne partecipa anche l'attività, così nel corpo di Cristo, che è la Chiesa, "tutto il corpo … secondo l'energia propria ad ogni singolo membro … contribuisce alla crescita del corpo stesso" ( Ef 4,16 ). Anzi in questo corpo è tanta l'armonia e la compattezza delle membra, che un membro, il quale non operasse per la crescita del corpo secondo la propria energia, dovrebbe dirsi inutile per la Chiesa e per se stesso. C'è nella Chiesa diversità di ministero ma unità di missione. Gli apostoli ed i loro successori hanno avuto da Cristo l'ufficio di insegnare, reggere e santificare in suo nome e con la sua autorità. Ma anche i laici, essendo partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, all'interno della missione di tutto il popolo di Dio hanno il proprio compito nella Chiesa e nel mondo". ( Apostolicam actuositatem, 2 ) Due in una carne sola Molti pensano che la strada del matrimonio e della famiglia non sia una vocazione, ma una scelta guidata da sentimenti e da interessi privati. I cristiani, invece, alla luce della parola di Dio, scoprono nella vita matrimoniale il culmine di un progetto, che Dio ha tracciato fin dalla creazione. L'essere uomo e donna, l'attrattiva che questo comporta, costituiscono già un appello di Dio a diventare "una carne sola", a costruire cioè una comunità di vita. È un cammino lungo e affascinante quello che Dio apre con questa prima chiamata: uscire dalla solitudine, per l'incontro dell'amore, fino ad arrivare gradualmente a condividere tutta la vita. Su questo cammino, però, il peccato dell'uomo innalza barriere di diffidenza, di incomprensione, di egoismo. C'è sempre in agguato la tentazione di trasformare l'amore in desiderio di possesso e di dominio della persona amata. L'amore di Cristo per la sua Chiesa - ci dice Paolo - è la luce e la realizzazione piena di quel progetto di comunione di vita, a cui l'uomo e la donna sono chiamati: "I due formeranno una sola carne. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa" ( Ef 5,31-32 ). Soltanto accogliendo Cristo, come modello e forza del proprio amore, un uomo e una donna trovano la strada per edificare insieme "una sola vita". Guardando a questo grandioso piano di Dio, l'uomo e la donna credenti consacrano il loro amore con uno speciale sacramento. Con questo segno essi proclamano che è Cristo a sostenere, guidare ed accompagnare l'esperienza del loro amore, in ogni momento della vita. Essi trasmettono l'uno all'altro l'amore con cui Cristo ama la sua Chiesa e accolgono la chiamata a diventare, di fronte alla comunità cristiana e al mondo, un segno concreto ditale amore. Il matrimonio diventa così strumento di salvezza per gli sposi e dono di Cristo alla Chiesa. L'amore, che in esso si manifesta, realizza e svela l'amore infinito di Dio e la vocazione dì tutti gli uomini alla comunione, come pure la vera natura della Chiesa. Questa realtà, celebrata nel sacramento, diventa programma di vita. Essa esige un amore unico, indiviso e fedele. Domanda la capacità di donarsi totalmente nel corpo e nello spirito. Apre ad un amore fecondo, che genera ed educa nuovi figli di Dio. Diventa amore accogliente verso tutti i fratelli che sono nel bisogno. Una famiglia cristiana si costruisce in tal modo come "piccola Chiesa". In essa il progetto di Dio sulla vita è accolto con riconoscenza e fatto crescere con responsabilità. I genitori annunciano il Vangelo ai loro figli e insieme a loro maturano nella fede. Nelle prove e difficoltà della vita ci si sostiene, uniti nella speranza. Nel vivere insieme giorno per giorno, si impara l'amore cristiano e ci si rende disponibili agli altri. È un ideale troppo alto? L'esistenza di famiglie divise, le crescenti difficoltà della coppia lo possono far ritenere tale. Qualcuno, perplesso o impaurito, rischia di rinunciare in partenza a traguardi così impegnativi … Ma la posta in gioco è grande e decisiva per la nostra vita: occorre una preparazione adeguata. Essa comincia da lontano, con un'educazione seria della propria sessualità ed affettività. La parola di Dio, la grazia dei sacramenti ed un sincero impegno di vita cristiana debbono accompagnarci in questo cammino, illuminando le zone oscure dell'egoismo e aprendoci ad atteggiamenti di donazione e generosità. In particolare, il fidanzamento è tempo di grazia se vissuto come la palestra dell'amore vero, nel segno del rispetto, del dialogo, della fatica di conoscersi, della dedizione sincera. E in ogni passo ci sostiene la fiducia e la preghiera a Dio, che non abbandona mai coloro che chiama sulle sue strade. Sposi cristiani Tertulliano, uno scrittore cristiano nato a Cartagine verso il 160, così descrive la vita di una coppia cristiana: "Come descrivere la felicità di quel matrimonio che la Chiesa sigilla, l'offerta eucaristica conferma, la benedizione garantisce, gli angeli annunciano in cielo, il Padre approva? Quale giogo è mai quello di due fedeli uniti in un'unica speranza, in un solo desiderio, in un unico rispetto, in un unico servizio! Essi sono fratelli l'uno per l'altro e si servono reciprocamente; nessuna distinzione fra carne e spirito. Anzi sono veramente due in una carne sola, e dove la carne è una è uno anche lo spirito. Pregano insieme, insieme si inginocchiano, insieme digiunano; si ammaestrano l'un l'altro, si esortano l'un l'altro, insieme si sostengono. Sono uguali nella Chiesa di Dio, uguali al banchetto di Dio, uguali nelle angustie uguali nelle persecuzioni, uguali nelle consolazioni. Nessuno ha segreti per l'altro, nessuno evita l'altro, nessuno è per l'altro di peso. Visitano liberamente i malati, danno sostentamento ai poveri. Le elemosine sono fatte con libertà e i sacrifici senza conflitti le incombenza quotidiane non conoscono impedimenti. Il segno di croce non si fa di il saluto non causa non la si deve dare in silenzio. Tra di loro risuonano salmi e inni; insieme lodano il Signore, meglio che possono. Cristo vede queste cose e se ne rallegra, invia loro la sua pace. Dove vi è una tale coppia, là anch'egli si trova, e dove è lui non vi è posto per il male". ( Alla moglie, II, 8,6-8 ) Testimoni del Regno futuro Accanto a quanti, con il loro amore sponsale, vivono l'amore di Cristo per la Chiesa e ne sono segno, ci sono persone che, mosse dallo Spirito, nel dono della propria esistenza a Dio e ai fratelli, si impegnano a testimoniare il primato del regno di Dio già in mezzo a noi e anticipano la condizione del suo compimento nel mondo futuro. Sono i religiosi e i laici consacrati. Costoro, uomini e donne, sacerdoti e no, scelgono di mantenere il cuore libero dai legami di questo mondo, perché sia lo spazio dedicato totalmente a Dio e alle necessità di tutti. Perciò si fanno più da vicino imitatori di Gesù, colui che è tutto dedicato al Padre per poter servire in piena libertà i suoi fratelli. Le preghiere della liturgia, nella Messa per le vocazioni religiose e in quella per i religiosi, riassumono bene l'essenziale di questa vocazione: "Padre santo, che chiami i tuoi figli all'amore perfetto, e inviti alcuni a seguire più da vicino le orme del Cristo tuo Figlio, dona a coloro che hai scelto per essere interamente tuoi, di manifestarsi alla Chiesa e al mondo come segno visibile del tuo Regno … Fa' che i tuoi figli che si sono consacrati a te, abbandonando ogni cosa per seguire Cristo casto, povero e obbediente, con piena fedeltà servano te, nostro Padre e la comunità dei fratelli". Per realizzare tutto questo, i religiosi rinunciano al possesso individuale dei beni, per condividerli insieme agli altri fratelli e metterli al servizio di tutti gli uomini. Vivono così la povertà evangelica, come segno della relatività delle cose di fronte all'assoluto del regno di Dio. Non si sposano, restano liberi dal legame con una persona per essere di Dio con cuore indiviso e di tutti con disponibilità piena. Percorrono così la via della verginità evangelica, per essere segno del futuro compimento del Regno. Mettono a disposizione della Chiesa tutte le loro energie e i loro doni, la loro volontà, per essere pienamente servi di Dio e dei fratelli. È la via dell'obbedienza, come segno della sottomissione di Gesù alla volontà del Padre, per l'avvento del suo Regno. Povertà, verginità per il Regno e obbedienza: più che rinunzie, sono scelte positive e appassionate di valori essenziali, per amore di Dio, della Chiesa e di tutta l'umanità. I religiosi e le religiose le vivono insieme, in comunità che sono per i cristiani richiamo insistente all'unità e alla fraternità nella Chiesa. La vita religiosa ha trovato nella storia forme diverse di realizzazione. Conosciamo i grandi ordini e congregazioni religiose. Forse anche nella nostra comunità cristiana vivono e offrono la loro testimonianza uomini e donne consacrate a Dio in una determinata famiglia religiosa, ciascuna con un particolare carisma di servizio. Lo scopriamo guardando la loro vita consacrata ai poveri, agli ammalati, agli emarginati, spesa nel campo educativo e nell'impegno della predicazione. Ci sono però anche comunità che non prestano un immediato servizio ai fratelli e si dedicano completamente alla lode di Dio. Sono gli ordini contemplativi. La mentalità efficientistica di oggi rischia di considerarli inutili. Eppure rendono un servizio insostituibile. Essi provocano e richiamano tutti noi, tentati dall'attivismo e dall'autosufficienza, a ciò che è essenziale: cercare Dio con tutto il cuore e con tutte le forze. In mezzo a noi vivono anche persone consacrate al Signore nella Chiesa per il Regno, che conducono però una vita come tutti gli altri laici. Esse, anche quando vivono da sole, fanno parte di comunità chiamate "istituti secolari". Sono uomini e donne che hanno assunto l'impegno di essere cristiani il più coerentemente possibile, operando tra i fratelli laici, senza peraltro manifestare la propria consacrazione se non attraverso uno stile di vita tipicamente evangelico. La loro vocazione è un apostolato, soprattutto di testimonianza, che svolgono rimanendo all'interno delle strutture e degli ambienti sociali che sono comuni a tutti. È facile la vita consacrata? È una strada per tutti? Nel mondo di oggi che presenta il miraggio del possesso, l'esaltazione dell'indipendenza, e non comprende il valore di un cuore casto, l'impegno della vita consacrata è andare controcorrente. Eppure Dio chiama ancora animi generosi a testimoniare l'assolutezza del suo amore e la novità del suo Regno. Il mondo ha oggi particolare bisogno di vedere incarnate, in persone vive, l'essenza e la radicalità del messaggio evangelico. "Quello che bramo realizzare" Il cammino di Francesco di Assisi verso la piena fedeltà al Vangelo, nella vocazione a cui il Signore lo chiama, è accompagnato da segni, incontri, momenti di intensa preghiera. Decisivo è il confronto con la Parola, come ci testimoniano i suoi antichi biografi. "Un giorno, mentre ascoltava la Messa, Francesco udì le istruzioni date da Cristo quando inviò i suoi discepoli a predicare: che cioè per strada non dovevano portare né oro, né argento, né pane, né bastone, né calzature, né veste di ricambio. Comprese meglio queste consegne dopo, facendosi spiegare il brano dal sacerdote. Allora, raggiante di gioia, esclamò: "È proprio quello che bramo realizzare con tutte le mie forze!". E fissando nella memoria quelle direttive, s'impegnò ad eseguirle lietamente. Senza por tempo in mezzo, si sbarazzò di tutto quello che possedeva di doppio, e inoltre del bastone, delle calzature, della borsa e della bisaccia. Si confezionò una tonaca misera e grossolana e, in luogo della cinghia di pelle, strinse i fianchi con una corda. Mise tutto il suo entusiasmo a bene intendere e realizzare i suggerimenti della nuova grazia. Ispirato da Dio, cominciò ad annunziare la perfezione del Vangelo, predicando a tutti la penitenza, con semplicità". ( Leggenda dei tre compagni, VIII ) Come Gesù Pastore Ad animare le nostre comunità cristiane c'è un prete. La sua figura ci è familiare, con le sue doti e i suoi limiti, con la sua ricchezza umana e con le sue povertà. E uomo tra gli uomini, fratello tra fratelli credenti. Eppure lo sentiamo impegnato ad annunciarci il Vangelo di Dio, lo vediamo presiedere le nostre celebrazioni eucaristiche e concedere il perdono nel nome di Cristo. È apparentemente solo, ma si fa presente nella vita di tante persone: giovani e adulti, famiglie e gruppi, ammalati e poveri. Educa alla fede, rafforza nella speranza, stimola all'impegno nella carità. Qual è il significato della sua presenza? Che cosa caratterizza la sua testimonianza e la sua missione? Cristo, che è il Capo e il Salvatore della sua Chiesa, vuole rimanere presente in essa e continuare ad esercitarvi la sua azione di salvezza. Non vuole farlo però in modo invisibile, ma in modo umano. Per questo associa a sé degli uomini che egli chiama con particolare amore e che, con il sacramento dell'Ordine, configura a sé, pastore e guida del suo popolo. Egli, che si è fatto servo di tutti rivelando la parola di Dio, offrendo la sua vita perché il mondo abbia la vita, raccogliendo gli uomini in unità nella Chiesa, vuole che questo suo servizio sia visibile in ogni tempo attraverso il ministero ordinato. La pienezza del sacramento dell'Ordine è donata al vescovo, successore degli apostoli, pastore della Chiesa particolare. A lui è affidato il servizio di presiedere e guidare il popolo di Dio, attraverso l'insegnamento della Parola, i gesti che santificano, il governo della comunità. I vescovi sono uniti tra loro come in un unico corpo, attorno e sotto la guida del vescovo di Roma, il Papa, che garantisce l'unità della fede e della carità per tutte le Chiese disperse nel mondo. I presbiteri vivono in stretta comunione con il loro vescovo e, in forza dell'Ordine sacro, sono configurati a Cristo pastore e inviati in mezzo ai fedeli come primi e diretti collaboratori del ministero episcopale. La figura e la missione del prete sono delineate nelle parole che il vescovo pronuncia all'inizio della liturgia dell'ordinazione di un presbitero: "Noi stiamo per elevare all'ordine dei presbiteri questo nostro fratello, perché al servizio di Cristo maestro, sacerdote e pastore cooperi a edificare il corpo di Cristo, che è la Chiesa, in popolo dì Dio e tempio santo dello Spirito. Egli sarà infatti configurato a Cristo sommo ed eterno sacerdote, ossia sarà consacrato come vero sacerdote del Nuovo Testamento, e a questo titolo, che lo unisce nel sacerdozio al suo vescovo, sarà predicatore del Vangelo, pastore del popolo di Dio, e presiederà le azioni di culto, specialmente nella celebrazione del sacrificio del Signore". A significare e a rendere concreti la propria configurazione a Cristo e il dono di sé ai fratelli, il prete si impegna a vivere nel celibato, rinunciando a una propria famiglia in vista di una paternità spirituale che non ha limiti. A questa identità e funzione del prete deve corrispondere uno stile e un progetto di vita. Se egli è annunciatore della parola di Dio nel nome di Cristo, deve diventarne il primo ascoltatore, attento e disponibile. Non è il padrone della Parola, ma l'amministratore fedele. Sa di portare un tesoro grande nel vaso fragile della sua povera umanità. Aiuta i suoi fratelli a divenire testimoni del Vangelo nei diversi ambienti e nelle differenti condizioni di vita: ecco la sua presenza animatrice tra i catechisti, tra i genitori, primi educatori della fede dei figli, tra quanti, in varie forme, vogliono servire il Vangelo. Se concede il perdono nel nome di Cristo, deve educarsi alla misericordia stessa di Gesù e farsi strumento di riconciliazione tra gli uomini. Poiché presiede l'Eucaristia, è chiamato a vivere più da vicino ciò che celebra. La morte di Gesù deve entrare nella sua vita, per dargli la forza di essere offerta d'amore a Dio, a totale servizio dei fratelli. il pane eucaristico che spezza gli chiede di saper condividere con tutti ciò che egli è e quanto possiede. Se, nel nome di Cristo, guida ed edifica la comunità cristiana, deve farsi uomo della comunione. Con la sua azione educatrice riconosce e stimola i doni che Dio concede a ciascuno e ai singoli gruppi. Esorta tutti a mettere questi doni a servizio della crescita della comunità. Non spadroneggia su quanti Dio gli ha affidato e non assorbe in sé i compiti che Dio ha concesso ad altri. Lo scopo del suo servizio di guida è di rendere tutti protagonisti nella Chiesa, in particolare i più poveri e i più deboli. Nelle tensioni e di fronte al pericolo di divisioni, il prete richiama i singoli e i gruppi al desiderio dell'unità, al primato della carità di Cristo, al di là di ogni diversità. È un compito grande questo! Talvolta la debolezza umana può offuscare la trasparenza della testimonianza. "Ci ha scelti lui - confessa un prete dei nostri tempi, don Primo Mazzolari - e ci ha scelto così, come siamo … Chiunque ci guardi e come ci guardi, ha sempre dei motivi per trovarci indegni … Con la nostra statura di piccoli uomini facciamo la prospettiva all'infinito". Come nasce la vocazione ad essere prete? Non da calcoli o da desideri umani. Essa è dono dell'amore di Cristo, ma i suoi inizi possono avere radici lontane: la testimonianza di un prete, l'apertura ai bisogni della comunità cristiana, un impulso generoso alla dedizione verso i fratelli … Nulla va lasciato perdere, mascherandosi dietro la paura: Dio chiama proprio me? Tutto va tenuto vivo nel cuore, vagliando la proprie doti, consigliandosi con persone esperte. La vocazione può crescere nell'impegno a conoscere e ad amare Cristo, nella maturazione di un profondo senso della Chiesa. Il lungo cammino di studio e di preparazione non deve spaventare: ogni grande impresa esige pazienza e coraggio. Alla fine, l'imposizione della mani da parte del vescovo riconoscerà definitivamente questo grande dono di Dio per la sua Chiesa. La propria vita per il gregge Vescovi e presbiteri devono essere una sola cosa con Gesù, il buon pastore, che ha amato il suo gregge fino al dono della vita. Così insegna s Tommaso d'Aquino ( 1225-1274 ). "Io sono il buon pastore" ( Gv 10,11 ). A Cristo compete chiaramente di essere pastore. Infatti, come il comune gregge viene guidato e pascolato dal pastore, così i fedeli sono ristorati da Cristo con un cibo spirituale, con il suo corpo e il suo sangue … Ma siccome Cristo ha detto che il pastore entra per la porta e che egli è la porta, mentre qui dice di essere il pastore, ne segue che egli entra attraverso se stesso … perché rivela se stesso e per se stesso conosce il Padre … Nessuno dice di sé di essere la porta. Questo, Cristo lo riservò solo per se stesso. Mentre partecipò ad altri il compito di essere pastori … "Vi darò, dice la Scrittura, pastori secondo il mio cuore ( Ger 3,15 ). Sebbene, infatti, i capi della Chiesa, che sono suoi figli, tutti siano pastori, tuttavia dice di esserlo lui in modo singolare: "Io sono il buon pastore", allo scopo di introdurre con dolcezza la virtù della carità. Non si può essere infatti buon pastore se non diventando una cosa sola con Cristo e suoi membri mediante la carità. La carità è il primo dovere del buon pastore, perciò dice: "Il buon pastore offre la vita per le pecore" ( Gv 10,11 ). Infatti c'è differenza tra il buono e il cattivo pastore: il buon pastore ha di mira il vantaggio del gregge, mentre il cattivo il proprio. Nei guardiani delle pecore non si esige che, per essere giudicati buoni, espongano la propria vita per la salvezza del gregge. Ma siccome la salvezza del gregge spirituale ha maggior peso della vita corporale del pastore, quando incombe il pericolo del gregge ogni pastore spirituale deve affrontare il sacrificio della vita corporale. Questo dice il Signore: "Il buon pastore offre la sua vita per le sue pecore". Egli consacra a loro la sua persona nell'esercizio dell'autorità e della carità. Si esigono tutte e due le cose che gli ubbidiscano e che le ami. Infatti la prima senza la seconda non è sufficiente. Cristo ci ha dato l'esempio di questo insegnamento: "Se Cristo ha dato la sua vita per noi, anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli" ( 1 Gv 3,16 )". ( Esposizione su Giovanni, 10,3 ) Animare il servizio Recentemente si è rinnovata nelle nostre Chiese locali la possibilità di ordinare diaconi permanenti alcuni uomini, celibi o sposati. Il ministero del diaconato viene affidato a coloro che ne hanno la vocazione e porta con sé compiti di servizio e di animazione della comunità cristiana consoni. Col ripristino del diaconato permanente, la Chiesa ha colto un suggerimento dello Spirito per inserire nell'attività apostolica forze vive che consentano alle comunità cristiane una maggiore fecondità pastorale. Il diacono, in forza del sacramento dell'Ordine, entra a far parte della gerarchia della Chiesa quale diretto collaboratore del vescovo e del suo presbiterio nel proclamare la parola di Dio, nel servizio liturgico e nella carità. Ha il compito specifico di far risaltare, nella testimonianza della sua vita e nel suo ministero, un impegno stabile di servizio secondo lo spirito del Vangelo, sul modello di Gesù, operando nei diversi ambienti e comunità, ai fini della promozione umana, personale e sociale, cristianamente ispirata. Perché il diacono sia formato a condurre una vita evangelica e a compiere con capacità e generosità i doveri propri di questo ministero, si richiede un'adeguata preparazione spirituale, dottrinale e pastorale. Testimoni del Vangelo tra i popoli Una forma di vocazione che, per la sua bellezza e grandezza, colloca chi la vive con sincerità nel cuore del piano di Dio, è la vocazione missionaria. È la chiamata che Dio fa al cristiano di portare il Vangelo sino ai confini del mondo, come Gesù ha comandato ai primi discepoli ( Mc 16,15 ). Mettendo in pratica alla lettera il comando del Maestro, i missionari lasciano tutto, anche la patria, le persone care, per andare incontro, con lo stesso amore e ardore di Gesù, a coloro che non hanno ancora ricevuto la bella notizia della salvezza. È quanto avviene ormai da venti secoli. indimenticabili figure di missionari sono davanti ai nostri occhi: S. Paolo, S. Patrizio, S. Francesco Saverio, S. Francesca Cabrini. Questa vocazione non è riservata ai preti, ai religiosi, a persone particolari. Dio l'apre ad ogni cristiano, perché ogni discepolo di Gesù è chiamato all'eroismo e ha ricevuto qualità per fare cose grandi per il Vangelo. Per questo, oggi in particolare, assieme a sacerdoti e religiosi si trovano missionari laici, coppie di sposi, giovani che annunciano la fede e si dispongono al servizio dell'uomo nei paesi più poveri del mondo. E avviene anche che le giovani comunità nate con il lavoro missionario, in Africa in Asia e altrove, a loro volta inviano i loro missionari. In questo modo il Signore manifesta che la vocazione missionaria è la vocazione di ogni cristiano e che una comunità senza i suoi missionari, o senza almeno una partecipazione attiva di tutti i suoi membri al lavoro missionario, è una comunità addormentata o malata. Molti adolescenti e giovani sono affascinati da questa vocazione. E se il Signore chiamasse anche qualcuno di noi? "Mandati dove vuoi, magari anche in India" L'ansia apostolica di portare ad ogni uomo l'annuncio del Vangelo risuona con particolare vigore in questa pagina dì Francesco Saverio, il grande missionario del XVI secolo, evangelizzatore dell'Oriente. "Moltissimi, in questi luoghi, non si fanno ora cristiani solamente perché manca chi li faccia cristiani. Molto spesso mi viene in mente di percorrere le Università d'Europa, specialmente quella di Parigi, e di mettermi a gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste parole: Ahimè, quale gran numero di anime, per colpa vostra, viene escluso dal cielo e cacciato all'inferno! Oh! se costoro, come si occupano di lettere, così si dessero pensiero anche di questo, onde poter rendere conto a Dio della scienza e dei talenti ricevuti! In verità moltissimi di costoro, turbati a questo pensiero, dandosi alla meditazione delle cose divine, si disporrebbero ad ascoltare quanto il Signore dice al loro cuore, e, messe da parte le loro brame e gli affari umani, si metterebbero totalmente a disposizione della volontà di Dio. Griderebbero certo dal profondo del loro cuore: "Signore, eccomi; che cosa vuoi che io faccia?" ( At 9,6 volg. ). Mandami dove vuoi, magari anche in India". ( Lettera a Sant'Ignazio, 15 gennaio 1544 ) Per tutti un invito Se la vocazione al sacerdozio, alla vita consacrata, al matrimonio sono le vie maggiormente seguite, esse non sono però le uniche. Dio chiama anche a tante altre forme di vita. La Chiesa e il cammino della storia ci rendono sempre più consapevoli delle molteplici vie volute dal Signore. Una vocazione divina esiste anche per coloro che non possono o non vogliono sposarsi e che d'altra parte non sentono di essere chiamati alla vita sacerdotale e religiosa. Pensiamo a quanti sono in condizioni di handicap fisico o psichico, a chiunque si sente diverso e forse ingiustamente emarginato. Ma una riflessione simile, seppure le condizioni siano differenti, può essere fatta anche per chi è celibe o nubile, per chi è rimasto vedovo. Per tutti esiste un invito alla cena del Regno; tutti ricevono da Dio doni specifici per vivere la propria fede cristiana, per essere segno e servizio nella Chiesa e nella società. Scegliere con lo stile di Gesù Capacità di interpretare la realtà e lucidità nello scegliere sono lo zaino che occorre sempre portare in spalla quando si intraprende con decisione il cammino della vita. Ma soprattutto occorre avere una spiritualità centrata sull'amore di Gesù, vero ed unico Signore della vita; una spiritualità fatta di ricerca, disponibilità e paziente attesa. È necessario un costante desiderio di realizzare la presenza di Gesù nella nostra vita. Egli, oggi, qui, con queste situazioni umane e con questi uomini, come si comporterebbe? Cosa sceglierebbe? Porsi queste domande servirà a vivere con gli stessi sentimenti ed atteggiamenti di lui e garantire così al nostro agire la stessa pura intenzione di Gesù. Egli non farebbe mai scelte di donazione di sé con animo polemico o cattivo verso qualcuno: soffrirebbe, certo, ma agirebbe sempre e comunque con amore. Non cercherebbe la frenesia dell'azione, tanto per sentirsi utile o importante: agirebbe sempre e comunque solo per amore. Comprendere lo stile di vita di Gesù ci farà scoprire la responsabilità di scegliere e di agire. La semplicità e la massima disponibilità a tutto sono la trama indispensabile per ogni disegno. Ci farà capire anche il senso della croce: il sacrificio di sé per il regno di Dio non è un cammino facile. Scopriremo che occorre serietà e costanza per liberarci da ogni legame che impedisce il dono di noi stessi. Nella vita di un giovane ci sono alcuni momenti che possono risultare decisivi per il futuro: la scelta del lavoro, del tipo di studio; il giorno in cui si decide se dare seguito serio e responsabilizzante ad un amore che è nato … Sono momenti che esigono una scelta consapevole e motivata. Richiedono soprattutto che ogni scelta venga fatta alla luce dei segni con cui il Signore ci indica la strada, senza nulla precludere per il nostro futuro. Il Signore sa trovare il tempo e il modo per chiedere ad un uomo o ad una donna di consacrargli la vita con totale libertà; sa anche guidare la ricerca della persona con cui condividere la nostra esistenza, senza impazienze o scelte affrettate. Può essere duro, in alcuni momenti avere questa disponibilità: certo, non è facile vivere la solitudine con dignità e serenamente in attesa del giorno più vero e responsabilizzante, ma non c e nulla di più dolce e sorprendente che lasciarsi guidare dal Signore, rispettando i suoi tempi, in attesa che la nostra maturità ci permetta di accogliere le sue proposte, anche le più impegnative. "Colloca il tuo cuore in Cristo" Chiara di Assisi conoscere la strada della sequela di Gesù e della adesione alla volontà del Padre: è la contemplazione di Cristo e la piena conformazione a lui Su questa strada Chiara indirizza la discepola Agnese di Praga in una lettera in cui scrive: "Gioisci anche tu nel Signore sempre, o carissima. Non permettere che nessun'ombra di mestizia avvolga il tuo cuore, o signora in Cristo dilettissima, gioia degli angeli e corona delle tue sorelle. Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell'eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria, colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza, e trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nella immagine della divinità di Lui. Allora anche tu proverai ciò che è riservato ai soli suoi amici, e gusterai la segreta dolcezza che Dio medesimo ha riservato fin dall'inizio per coloro che lo amano. Senza concedere neppure uno sguardo alle seduzioni, che in questo mondo fallace ed irrequieto tendono lacci ai ciechi che vi attaccano il loro cuore, con tutta te stessa ama Colui che per amor tuo tutto si è donato". ( Lettera terza a Santa Agnese da Praga ) Scheda: Lo Spirito per la missione: il sacramento della Confermazione 1. Bisogno di luce e di forza La vita cresce attraverso il ricevere e il donare. Se guardiamo alle esperienze, seppur limitate, della nostra esistenza, ci accorgiamo che siamo cresciuti e abbiamo assunto una determinata fisionomia interiore perché intorno a noi c'è stato chi ci ha accolto, stimolato, donato qualcosa di significativo: la famiglia, la scuola, gli amici, le esperienze di incontri, l'ambiente della comunità cristiana, il clima del paese o del quartiere. Senza questo contributo di doni non saremmo quello che siamo. Non sempre abbiamo preso coscienza della ricchezza di quanto ci è stato offerto. Spesso abbiamo ricevuto senza accorgercene, senza un'assunzione personale dei valori e degli atteggiamenti che ci venivano trasmessi, senza quindi una presa di posizione decisa di fronte ad essi. Ci sono però momenti particolarmente importanti nella vita, in cui dentro di noi si fa luce sulle esperienze positive che ci vengono donate. Sono i momenti in cui ciascuno è chiamato a fare delle scelte, ad assumere con decisione un proprio progetto di vita che lentamente maturerà, a realizzare questo orientamento secondo le proprie qualità e caratteristiche, a donare ad altri quello che si è ricevuto ed accolto. È il momento della responsabilità che apre alla maturità. È in questa situazione di vita, chiamata a farsi responsabile e matura, che si innesta l'azione salvifica di Cristo attraverso la Chiesa con il sacramento della Confermazione. 2. Lo Spirito per la testimonianza profetica C'è un avvenimento nell'esistenza storica di Gesù che i racconti evangelici sottolineano come particolarmente significativo: il suo Battesimo al Giordano. Qui lo Spirito discende su Gesù, consacrandolo come Messia e abilitandolo alla missione profetica di annuncio e realizzazione del regno di Dio. L'evangelista Luca rende in modo chiaro il significato di questo evento quando, subito dopo, ci narra di Gesù che nella sinagoga di Nazareth applica a sé le parole del profeta Isaia: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio…" ( Lc 4,18 ). Dal momento del Battesimo l'esistenza di Gesù, sotto l'impulso e la forza dello Spirito, è tutta dedicata all'annuncio e al compimento dei segni della salvezza che Dio vuole donare agli uomini. Quando Gesù sarà esaltato alla destra del Padre, nella piena comunione con lui, lo Spirito che aveva sostenuto la sua missione profetica sarà effuso sulla Chiesa ( At 2,33 ). Nella Pentecoste il dono dello Spirito renderà la prima comunità una comunità profetica, capace di annunciare in parole e gesti le meraviglie di Dio a tutti gli uomini e in tutte le lingue ( At 2,1-13 ). Lo Spirito che ha sostenuto e fortificato Gesù nella sua missione di salvezza e ha accompagnato e reso possibile fin dagli inizi la missione della Chiesa è lo stesso Spirito che è donato a ciascun credente, perché sia reso forte e capace di rendere testimonianza a tutti di ciò che Dio opera per lui. 3. Il dono dello Spirito nella confermazione Lo Spirito ci è già stato donato nel Battesimo. Questo dono ci ha aperto la possibilità di iniziare una vita nuova, fatta di fiducia filiale in Dio Padre e di amore fraterno verso gli uomini. Ci ha allora accolto la comunità cristiana, luogo visibile privilegiato per maturare questa crescita. In essa, attraverso l'ascolto della Parola, i segni della salvezza e le positive esperienze di amore, abbiamo potuto conoscere e accogliere i doni di Dio per la nostra vita. Nel sacramento della Confermazione lo Spirito ci viene offerto come luce e forza, perché la nuova vita si rafforzi, sia assunta con decisione e responsabilità come progetto stabile, venga testimoniata e donata agli altri. Per la forza dello Spirito che ci viene donato, la missione di Cristo continua ora nella nostra vita e nella nostra azione. L'unzione con l'olio consacrato e l'imposizione delle mani da parte del vescovo sono il segno di questo rafforzamento e di questa nuova responsabilità. La comunità cristiana, che ci aveva accolto come un grembo materno per favorire lo sviluppo della nostra vita nuova, ora ci riconosce come corresponsabili della sua missione di impegno e di testimonianza. Essa, che è strumento efficace di vita e di pace per tutti gli uomini, lo diventa ora anche grazie alla coerenza della nostra vita e del nostro agire. Questa corresponsabilità va però esercitata nella diversità dei doni e dei servizi che fanno ricca la vita della Chiesa e la rendono capace di molteplici forme di testimonianza e di missione nel mondo. La Confermazione introduce in un cammino di scoperta dei doni specifici che noi possiamo mettere a servizio della crescita della comunità e del mondo. In tutti i confermati lo Spirito rinnova una tensione missionaria: essere non solo buoni, ma testimoni del Signore risorto nelle forme più varie, spesso umili e nascoste. La testimonianza cristiana sarà fatta non solo da parole, ma dal progetto della nostra vita, inserita nella storia degli uomini; come lievito, come seme. Imparare a pregare Discernimento e offerta "Che devo fare, Signore?". Questa è stata la domanda di Paolo di Tarso sulla strada di Damasco ( At 22,10 ); è stata la preghiera insistente di Francesco di Assisi nel momento in cui stava scoprendo una nuova e più vera possibilità di vita. È la domanda di ogni adolescente che vuole fare della sua vita qualcosa di bello per Dio e per i fratelli. Occorre allora intraprendere un cammino di ricerca, nella fondata fiducia che Dio si lascia sempre trovare da chi lo cerca con cuore sincero ( Sal 14,18 ). Questo cammino di ricerca richiede di "guardarsi dentro", per scoprire i talenti che il Signore ha donato ( attitudini, doti, tendenze ) e domandare allo Spirito d'amore di aiutarci ad investire questo capitale di bene non per il nostro tornaconto, ma per servire il regno di Dio. Richiede anche di "guardare attorno", tra gli amici, gli adulti, le persone vicine e lontane per scorgere modelli credibili di vita piena e per rintracciare situazioni di dolore che domandano di mettere in gioco la nostra vita. E, infine, richiede di "guardare avanti", all'unico Maestro e Signore, colui che ci invita a seguirlo sulla strada della croce, che porta a rischiare la vita per amore. Lo Spirito che prega in noi ci porta, allora, a ridire la preghiera dell'offerta senza ritorni: "Eccomi!". È la preghiera di Gesù che con noi e attraverso noi continua ad offrirsi al Padre: "Ecco, io vengo a fare la tua volontà" ( Eb 10,9 ). Più concretamente, la disponibilità a giocare la propria vita per il regno di Dio richiede di essere educata attraverso varie esperienze spirituali, che vanno fedelmente coltivate. Innanzitutto c'è la partecipazione all'assemblea eucaristica, dove la comunione all'offerta di Gesù al Padre per gli uomini alimenta la nostra disponibilità per Dio e per i fratelli, e dove fiorisce lo Spirito con i suoi carismi. Occorre poi seguire un cammino di preghiera quotidiana, scandito dalla lettura attenta e docile della parola di Dio ( "lectio divina", "meditazione" ) e da una umile e serena revisione del proprio comportamento ( "esame di coscienza" ). Senza una lenta assimilazione dei criteri di Dio, quali ci vengono rivelati nella Scrittura e soprattutto nella storia di Gesù, senza un quotidiano confronto con lo stile di vita incarnato dal Maestro, non è possibile imparare a cogliere nella nostra vita i segni di cui il Signore si serve per comunicarci i suoi messaggi. Un valido aiuto per un cammino di ricerca nella fede è offerto anche dall'esperienza del dialogo con il "padre spirituale", un prete amico e competente nella vita dello spirito che, attraverso incontri personali, aiuta a chiare ciò che forse si avverte in modo confuso e a discernere in modo personalizzato il progetto di salvezza del Padre. Da non trascurare, infine, è la possibilità di un tempo prolungato di riflessione e di preghiera, quale è l'esperienza degli "esercizi spirituali". Si tratta di una serie di attività spirituali, condotte in raccoglimento per alcuni giorni, finalizzate a ritrovare se stessi e a maturare disposizioni di apertura alla chiamata del Signore. Per professare la fede Voi, chi dite che io sia? Signore Gesù, guida e maestro, tu sei la nostra via! Gesù ha detto: Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me. La sua Chiesa è una comunità di discepoli, colmi del dono dello Spirito e obbedienti alla volontà del Padre. A ciascuno è data una vocazione particolare, per vivere, in modo unico e irripetibile, la chiamata al regno di Dio. - Parola di Dio per noi Con eventi e parole Dio ha comunicato all'uomo il suo mistero, fino alla rivelazione piena nel suo Figlio Gesù Cristo, Parola definitiva del Padre. Tutte le parole della Sacra Scrittura, che ha Dio per autore, dicono l'unica Parola che è Gesù Cristo. Per questo la Chiesa venera la Sacra Scrittura e incessantemente si nutre di essa. - Il Mistero della Pasqua nei sacramenti della Chiesa I sacramenti sono l'azione salvifica di Cristo nella Chiesa e per la Chiesa. Segni efficaci della grazia, ci donano la vita divina: con essi l'esistenza dei cristiani nasce e cresce ( sacramenti dell'iniziazione cristiana: Battesimo, Confermazione, Eucaristia ), riceve la guarigione ( Penitenza, Unzione degli infermi ), il dono della comunione e della missione ( Ordine e Matrimonio ). - Discepoli di Cristo Il Signore Gesù ci invita a diventare suoi discepoli, cioè a seguirlo sul cammino della croce e a osservare la sua parola. Egli ci ha dato l'esempio e un comandamento nuovo: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" ( Gv 15,12 ). Tu sei un Dio fedele Tu sei un Dio fedele. Dopo averci dato il progetto del tuo Regno non ci abbandoni, ma pensi a un compito per ciascuno di noi. È bello sapere che la vita non è una corsa alla cieca e che tu, o Dio, chiami anche me, proprio me, con le mie capacità e i miei limiti. Tu hai fiducia in me e attendi. Ora è il tempo della risposta: dire sì alla vita, dire sì a Gesù per essere suoi discepoli nella Chiesa, dire sì ad una specifica vocazione. Qual è, o Signore, la strada che mi proponi? Costruire una famiglia, scegliere la vita religiosa, diventare prete, andare missionario …? Di che cosa ha bisogno, oggi, la tua Chiesa, Signore? Aiutaci tu a vivere la vita come vocazione, in dialogo con te. Donaci un cuore grande e generoso per accogliere anche le vocazioni più impegnative. Confrontarsi con i testimoni Edith Stein La vita di Edith Stein è una continua ricerca della verità. Nata in Slesia nel 1891, da una famiglia ebrea, la verità la cerca anzitutto negli studi filosofici, ma anche nell'impegno sociale. C'è un periodo della sua vita in cui si dichiara atea, ma non cessa di cercare e la sua ricerca la conduce vicina al cattolicesimo, fino a che, il 1 gennaio 1922, riceve il Battesimo. Non cessa il suo cammino nella fede e la sua ricerca vocazionale. Si nutre del catechismo, del messale e degli scritti di S. Teresa d'Avila. Partecipa quotidianamente all'Eucaristia. Desiderosa di maggiore contemplazione, diventa carmelitana. Perseguitata dal nazismo, in quanto ebrea, deportata ad Auschwitz insieme alla sorella; viene uccisa, nella camera a gas, il 9 agosto 1942. "Il cuore dell'uomo racchiude un grande potenziale nascosto, un germe di vita, che però rischia di essere soffocato nella sua crescita da rovi ed erbacce … Le potenze virtuali che portiamo in noi hanno bisogno di rivolgersi verso una luce che le guidi sicura, verso una forza che le liberi e permetta loro di fiorire. Sono la luce e la forza della grazia divina". "Nel tempo che ha immediatamente preceduto e seguito la mia conversione, desideravo condurre vita religiosa, ossia lasciare da parte gli eventi della terra per occuparmi unicamente delle cose di Dio. A poco a poco tuttavia ho capito che altro al mondo ci era richiesto e che anche in una vita contemplativa ogni legame esterno non deve venir troncato … Mi apparve infatti che, più una persona è attirata verso Dio, più deve uscire da se stessa per andare verso il mondo, al fine di portarvi l'amore divino". "Grande distanza corre tra l'essere soddisfatti di sé ritenendosi "buon cattolico" che "fa il suo dovere", e l'abbandono totale del Figlio di Dio, che ha affidato la propria vita al Padre e cammina con Lui, mano nella mano, tutto aspettando da Lui, con la semplicità del bambino e l'umiltà del pubblicano. Una volta che l'anima ha percorso quella distanza, non può più tornare indietro". Pier Giorgio Frassati Pier Giorgio Frassati muore a soli 24 anni nel 1925, a Torino: un giovane che pratica lo sci, l'alpinismo e l'equitazione, ma che sa scegliere con coraggio la povertà, sa vivere nella purezza e in una grande carità. Impegnato nella vita ecclesiale, nella "Gioventù Cattolica", affronta seriamente l'università e vive con attenzione le vicende sociali del tempo, manifestando un particolare impegno nel servizio dei poveri. "Noi, avvicinando i poveri, a poco a poco veniamo ad essere i loro confidenti ed i consiglieri nei momenti più terribili; facciamo penetrare in loro le parole consolatrici che ci vengono suggerite dalla fede e tante volte riusciamo, non per merito nostro, a portare sulla retta via gente che, non per cattiveria, s'era allontanata. Gesù Cristo ha promesso che tutto quello che noi faremo ai poveri per amor suo egli lo considererà come fatto a se stesso. Non vogliate negare a Gesù questo amore. Ognuno di voi sa che base fondamentale della nostra religione è la carità … Lo so che questa via è erta e difficile e piena di spine, mentre l'altra a prima vista parrebbe più bella e più facile e più soddisfacente, ma se noi potessimo scandagliare l'interno di coloro che disgraziatamente seguono le vie perverse del mondo, noi vedremmo che mai in loro v'è la serenità che proviene da chi ha affrontato mille difficoltà e rinunciato ad un piacere materiale per seguire la legge di Dio". Altrettanto decisa è la sua partecipazione alle vicende sociali e politiche, dove la carità cristiana diventa impegno a servizio del grande ideale della giustizia. "I fortunati di questo mondo sono dunque ammoniti: le ricchezze non li salvano dal dolore. Esse, per la felicità futura, più che giovare, nuocciono. I ricchi debbono tremare, pensando alle minacce straordinariamente severe di Gesù Cristo: dell'uso dei loro beni dovranno un giorno rendere rigorosissimo conto al Dio giudice … Soddisfatte le proprie necessità, è dovere soccorrere col superfluo ai bisognosi". Don Antonio Seghezzi Don Antonio Seghezzi, prete bergamasco, ha un solo desiderio: essere "totalmente e splendidamente prete". Inizia il suo servizio nella cura pastorale dei giovani, per poi dedicarsi all'insegnamento in seminario; quindi è chiamato come cappellano all'assistenza spirituale dei soldati nella guerra di Abissinia; viene infine nominato assistente dei giovani di Azione Cattolica della diocesi e svolge con dedizione questo compito, fino a quando viene deportato nel campo di concentramento di Dachau. È un prete entusiasta della sua vocazione: "La vocazione è come innamorarsi: si sogna, si ama, si crede al bello, si vuole diventare felici". Vive nel dono quotidiano di sé al Signore, pienamente disponibile a fare ciò che il Signore chiede ora per ora: "io sono tutto un dono", è solito dire. "Quando ami Gesù, caro fratello … riesci meglio a vedere più serenamente la vita … Ricorda che il Signore sa che ci sei. Abbi molta fiducia in lui … È la dolcissima bontà del Signore che ti fa fiorire … Chiamalo di continuo come se fossi innamorato e … cerca nel tuo cuore ogni più bella parola e ogni più forte sospiro … So che il Signore ci ama e allora che cosa ci manca? … L'adolescenza è la primavera che reclama i suoi diritti, ma sopra del corpo c'è lo spirito che è più nobile e che è il motore e la guida. Se la guida non ha occhi buoni che cosa succede? … Fa sante comunioni … Unisciti a lui. Egli ti trasformerà … ti porterà alla maturità spirituale. La vita ti sarà tanto più bella quanto più vedrai in ogni ora un mezzo per avvicinarti sempre più al Signore dolcissimo che è tutto … Rallegrati nel Signore sempre … fa' che ognuno che vede te pensi a lui". Muore nel campo di concentramento a 38 anni, il 21 maggio 1945, consumato dalle sofferenze, sostenuto dall'Eucaristia. Nei giorni più difficili della prigionia scrive: "Signore fammi essere al di sopra di tutte le lotte. Fa' che dovunque e sempre io sia sempre in lotta solo per te". Simona Romagnoli Giungere a 19 anni avendo percorso un cammino di vera maturità nella fede: è l'esperienza di Simona Romagnoli, una ragazza di Ostra, nelle Marche, con tanta voglia di vivere, una grande capacità di comunicare e un profondo desiderio di incontro con tutti. Colpita da tumore a 16 anni, muore nel 1975. Sperimenta tutte le gioie, le speranze, le amicizie della giovinezza. Il dolore le dà in più la certezza che in lei vive il Signore che offre la vita per amore. La sua vita è un vero inno di gioia per la scoperta degli altri e del mondo. Gli altri danno gioia nelle ore della solitudine ma soprattutto sono la manifestazione della presenza del Signore e dell'amore che anima la comunità. "Carissimo R., in questo momento sento più vivo il desiderio di vederti e di parlarti di tutto quello che sta avvenendo in me. Scopro giorno dopo giorno che è per me più importante di tutto questa comunione col Padre attraverso i fratelli, sento che non posso più farne a meno e che l'unica cosa veramente importante per la mia vita è realizzarmi in questo senso". Non contano, per Simona, solo gli altri; essi sono il segno e l'immagine di un altro: il grande Amico. "Ho pensato che non era giusto che tutto questo accadesse a me, per un momento non sono riuscita ad accettarmi in quello stato, mi sono sentita sola con il mio male e con il mio corpo giovane tutto tagliato. Poi ho capito che tutto quello che avevo provato e pensato era stato ingiusto, era il più grande torto che avessi potuto fare a lui, a voi che mi volete bene e mi state vicini, e a me stessa". Anche nella malattia Simona vede una strada nella quale incontrare il Signore e una chiamata a vivere per lui. "L'unica cosa che può ricompensarci di una mancanza è la fede nel Signore, è l'abbandono totale a lui. Lui mi è venuto a cercare, mi ha voluta nuovamente e mi ha dato la grazia di poterlo scegliere di nuovo". Educarsi al servizio: Eccomi manda me La ricerca della propria vocazione Il Signore non ti ha creato per riempire un posto in più nella platea di quanti osservano da lontano la vita senza esserne attori e interpreti. Egli chiama ciascuno ad essere unico ed Irripetibile. "Signore, cosa vuoi che io faccia?": dovrebbe essere la domanda più frequente sulle nostre labbra. Essa si lega all'innato senso di fantasia, di gratuità e di fraternità presente nell'età giovanile. Cosa fare della tua vita? Il gruppo potrà certo aiutare, ma è necessario cercare e suscitare la disponibilità degli adulti, chiedere orientamenti soprattutto a coloro che vivono una vita significativa e che fanno esperienza concreta dell'amore dei fratelli. È opportuno individuare chi può aiutare a capire e a scegliere, chi può essere degno della nostra fiducia fino ad affidargli molto di noi in certi momenti. È la guida spirituale: un prete, un monaco o una monaca, un religioso o una suora, ma anche un laico, un uomo o una donna di fede provata e di vita dal grande respiro, capace di ascoltare e di suggerire, di leggere tra le righe talvolta confuse dell'esistenza giovanile e di dare prospettiva alle inclinazioni nascoste. È qualcuno che deve saper aiutare a sperimentare l'appoggio rassicurante di Dio e la sua esigente chiamata, l'amore fedele della Chiesa, la serenità che lo Spirito dona nel prendere decisioni importanti. Come il Signore ci chiama a vivere l'amore e il servizio nella nostra vita? il Signore normalmente non chiama ad uscire dalla quotidianità, ma a concepire la famiglia, il lavoro, la vita sociale come l'ambito e il mezzo privilegiato dell'amore vissuto. Essere cristiani non significa svolgere un qualche servizio all'interno della comunità ecclesiale, ma vivere al servizio del regno di Dio nella storia, con lo spirito del Vangelo. Dio chiama a servire la vita degli uomini con grande generosità, a vedere nel lavoro una stabile occasione di servizio allo sviluppo e uno strumento con cui far crescere la dignità umana, la giustizia e i rapporti di pace. Dio chiede onestà a tutta prova, rinuncia alla ricchezza e al potere, spirito di donazione e vera competenza. Il Signore chiama a vivere l'amore anche in altri modi, che egli ritiene indispensabili alla Chiesa ed alla stessa umanità: sono le vocazioni particolari che egli propone ad alcuni chiedendo il dono di sé nel ministero del prete, nel servizio del diacono, nella vita consacrata come monaco, come religioso o come consacrato nel mondo, nella evangelizzazione dei popoli, nella scelta di incarnarsi in situazioni di estrema povertà e di condividerle. Il Signore può aver pensato anche a te per una di queste scelte. Pregare per le vocazioni Con la "giornata delle vocazioni" ogni comunità è invitata a riscoprire la comune vocazione di ogni battezzato e a valorizzare singole proposte di vita per i suoi figli, nell'ascolto della parola di Dio e nella preghiera. La celebrazione della giornata è, inoltre, un'occasione unica per far emergere i doni che Dio diffonde in una comunità di credenti, attraverso i quali egli incarna la sua presenza amorosa tra gli uomini: famiglie che vivono una vita di coppia secondo un modello di significativa apertura; persone che vivono con coerenza e radicalità il proprio servizio a Dio e al Regno nella professione; giovani che stanno donando a Dio la propria vita nel cammino verso la consacrazione religiosa o il presbiterato; gruppi presenti nella comunità con profetica vivacità e spirito di servizio. Cap. 6 Aperti alla speranza Interrogare la vita: Imparare a sperare Il censimento dei sogni Davanti a noi si è delineato un progetto di vita, che sembra avere l'incanto del sogno. Scoprire un nuovo volto della vita, gustare l'amore e far rifiorire la pace, guardare al mondo con cuore riconoscente ed edificarlo nella giustizia, trovare la strada della libertà nell'aiuto a crescere insieme, secondo il dono di ciascuno: non è troppo bello per essere vero e possibile? Vale sempre la pena che nella vita ci sia spazio per un censimento dei sogni. Molti giovani sono stati diffidati dal sognare; quanti hanno ceduto si sono trovati superati dalla storia: fatti a lungo aspettare, sono stati lasciati da parte, sconfitti dallo scoraggiamento o dal solito richiamo all'adattamento, camuffato di sano realismo. Altri, invece, si sono imposti per il coraggio e la coerenza della loro vita. Si sogna un mondo di pace, senza armi, senza barriere. Non ci si adatta a pensare che sia sempre stato così, o a credere che qualcuno abbia inventato la clava per una necessità scritta nel suo statuto di uomo. Non si vuole accettare che il mitra o il missile nucleare siano un esito ineluttabile della natura umana. Si sogna un mondo di giustizia, dove al più debole sia garantita la stessa possibilità di vita del più forte. Si sogna un rapporto di amore, in cui la vita trovi piena realizzazione, dove l'altro non sia strumento, ma compagno di crescita e di scoperta di possibilità nuove. Si sogna un mondo di fratelli, in cui razze e culture siano esperienze originali e necessarie per sprigionare la ricchezza dell'uomo, la sua creatività e capacità di trasformare la terra, la sua ricerca di infinito. Si sogna un'aria pura, l'acqua limpida, il mare trasparente, la montagna pulita, la città vivibile, la convivenza gioiosa, perché nessuno ci toglie la certezza che il Creatore ha dato il massimo di fiducia e di abilità all'uomo per ridisegnare con fedeltà e novità la sua creazione. Si sogna un mondo che rispetti ogni forma di vita, un'accoglienza entusiasta e generosa dell'uomo fin dal suo primo segreto affacciarsi all'esistenza, un sostegno per i più piccoli, per chi sperimenta su di sé, nella sofferenza, gli esiti impazziti delle distorsioni in cui l'uomo ha costretto la vita, in cui la debolezza umana con inganno ci ha tratti, in cui per un mistero insondabile molte persone si trovano a dover conquistare la gioia di vivere. Si sogna, spesso in maniera ingenua. I sogni non sono la realtà, ma portano dentro le sue immagini e le sue promesse, le sue prospettive e le sue possibilità. - Quali sono i desideri che coltivi più frequentemente dentro di te? - Confrontali con quelli dei tuoi amici e tenta di leggere tra le righe il progetto di vita che vorresti realizzare. - Per quale di questi desideri ti occorre maggior speranza? Perché? Dove si spegne la speranza Se ci lasciassimo prendere dall'entusiasmo, saremmo portati a sottoscrivere i nostri sogni subito. Sotto l'impulso dei desideri più profondi, ci sentiamo forse di gridare che questi sono i valori per i quali vale la pena di vivere, le grandi novità che ogni uomo attende per la propria esistenza. Ma la realtà non è troppo diversa e distante da questo progetto ideale? La concretezza della vita quotidiana, con i suoi problemi e le sue sconfitte, il mondo intorno a noi, con le sue zone oscure e i suoi spazi ristretti, le tante incertezze che vediamo disseminate sul nostro cammino: troppe cose cospirano insieme per tarpare le ali al sogno di una vita piena e realizzata. Sono in molti a voler far morire nel nostro cuore la speranza. Talora è il soffice e strisciante incitamento a volare basso, ad accontentarsi del piccolo cabotaggio, a cercare le nostre piccole soddisfazioni oggi senza pensare alle grandi prospettive di domani, a circoscrivere la vita tra i quattro amici della compagnia o le assordanti provocazioni dei mass-media. Spesso la stessa sessualità - la forza più dirompente che ci apre agli altri e che semina nel cuore la voglia di amare - viene inquinata inesperienze egoistiche contrabbandate per libertà o per il massimo della spontaneità, viene banalizzata nei linguaggi e in comportamenti massificati. Vissuta non all'altezza del suo progetto, ci spegne il futuro e ci fissa all'immediato. Accade pure che la nostra fame di novità, di coinvolgimento, di sperimentazione venga troppe volte incanalata nell'effimero, nella spettacolarizzazione della vita, nell'"usa e getta". Molti si servono di tante nostre energie per farsi il loro futuro di soldi o di potere. E si affaccia pure, nella mente di non pochi nostri coetanei, il disgusto di questa vita, la disperata constatazione che il sogno è troppo distante e che non vale la pena di lottare per realizzarlo. Il mondo diventa insopportabile e non una casa da ornare perché tutti vivano la festa della vita. - Esistono esperienze che tarpano i tuoi sogni? - C'è qualche esperienza o persona nella tua vita che immancabilmente ti spegne i desideri, che sopra le tue domande mette una pietra? - Hai conosciuto qualche amico disperato? Quale ne era il motivo? La ricerca appassionata di segni di speranza La distanza tra una proposta di vita dagli orizzonti sconfinati e la povertà del nostro presente è colmabile solo con un atteggiamento di grande speranza. Soltanto chi spera fortemente è capace di muovere i passi verso mète che ancora non si intravedono e di anticipare realtà che ancora non sono germogliate. Ma se la speranza non ha fondamento, diventa parente stretta dell'illusione. Coltivare illusioni, seppur belle, è pericoloso. È un cammino che può condurre, presto o tardi, all'abisso della disperazione. È doveroso allora chiedersi: su cosa si fonda la nostra speranza di un futuro diverso e di una vita pienamente nuova? Talvolta la speranza in un futuro nuovo e in una esistenza riuscita è sostenuta da un ingenuo ottimismo. Si spera, quasi ad occhi chiusi, che le circostanze della vita ci portino ad incontrare la persona giusta da amare, ci permettano di vivere in pace, ci facciano trovare la strada della realizzazione dei nostri desideri. È come se la speranza si reggesse sulla certezza che presto o tardi la fortuna ci toccherà da vicino. È un sentimento inconscio, dalle tinte certamente infantili, ma che non è raro. Su queste basi la speranza diventa precaria. Chi non si ostina ad essere cieco, vede quanto la vita sia ambivalente. Essa è portatrice sì di realtà soddisfacenti, ma spesso presenta ostacoli, situazioni dolorose e deludenti. È ingenuo affidare ad essa, fatalisticamente, la speranza della propria riuscita. In altri casi, la speranza sembra poggiare tutte le sue possibilità sulle capacità dell'uomo: è lui l'unico protagonista del proprio futuro; sta nelle sue mani, nella sua ragione e nel suo cuore costruire le vie dell'amore, della pace e della giustizia; alla sua unica responsabilità è consegnato il progetto di una vita che soddisfi! Certo, anche questo sogno è avvincente, ma anch'esso di limitato respiro e di scarso realismo. Questo tipo di speranza, infatti, esclude già in partenza quanti, al cammino della vita, si avviano sotto il peso di handicap, limiti e condizionamenti gravi. Ma, anche coloro che si ritengono capaci e forti, non possono non tener conto degli imprevisti, degli errori, delle sconfitte, del limite del nostro essere uomini. Sperare negli eventi della vita o nelle sole capacità dell'uomo per edificare un'esistenza piena e un mondo nuovo, significa scommettere una posta troppo grande su basi precarie e fragili. La vita e le forze umane si arresteranno inevitabilmente sulla soglia della morte. E questa soglia ha il potere di inghiottire e di annullare ogni sogno e ogni realizzazione parziale della vita. Sembra assurdo: ciò che è più caro all'uomo, ciò che sembra più suo, cioè una vita piena ed un mondo felice, non è in suo potere. Egli è costretto a sperare che un mistero gli si sveli, che un dono gli venga offerto. Chi potrà confermare e rendere certa questa sua immensa speranza? - Quali sono i segni di speranza che trovi attorno a te nella tua giornata? - Di fronte a una grave sofferenza di un amico, sei capace di offrire ragioni che danno speranza? Un dono da invocare con l'impegno di tutta la vita Se sperare è attendere un dono, allora dobbiamo sostenere la nostra speranza. C'è bisogno di una ricerca umile e attenta, pronta a cogliere i segni di bontà, di giustizia, di amore, disseminati nella vita e nella storia. Sulla base di questi segni, la speranza si dilaterà, per attendere e per preparare realizzazioni più grandi. Non solo a Dio nulla è impossibile, ma fa credito su di noi; vuole far vivere la speranza, ma non senza di noi; investe sulle nostre energie, affida all'uomo il suo futuro e gli dà la possibilità di anticiparlo sempre di più. Deve crescere in noi la consapevolezza di quanto è nelle nostre possibilità, ancor prima della fatica di un impegno con cui misurarci. Chi spera, non si adagia mai. Ad ogni conquista, vede aprirsi orizzonti nuovi su cui affacciarsi e verso i quali camminare. Nelle delusioni non si sente sconfitto. Sa che le vicende della vita non possono distruggere il dono di immensa felicità che attende. Nei momenti di oscurità e di sofferenza, guarda con maggior lucidità i grandi traguardi della vita su cui ha puntato. Occorre essere pazienti. Un dono non si può pretendere nel modo e al tempo da noi fissato. Esso viene quando e come vuole. Voler forzare i momenti, volerlo programmare, significa distruggerlo. Chi spera, è capace di attendere e di invocare il dono della vita. Si prepara seriamente e si dà da fare per poterlo accogliere. - Percorrere il cammino di una speranza solida e serena, non è facile. Chi ce ne può mostrare il tracciato, dandoci luce e forza per giungere alla mèta? Ascoltare Dio che parla: Il Dio della promessa Un popolo, una terra e la libertà La speranza nell'adempimento delle promesse di Dio guida Israele nella sua storia. Tutta il cammino di Israele può essere riletto come una storia di speranze, che continuamente allargano il proprio orizzonte e definiscono con sempre maggior chiarezza i propri contenuti. Il Dio della promessa ha suscitato queste speranze, intervenendo con gesti di salvezza e con le parole profetiche da lui ispirate. È un cammino questo che inizia con la promessa di una terra e di un popolo al nomade Abramo: "Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò dite un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione … in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra" ( Gen 12,1-3 ). In Abramo e nella sua discendenza la parola della promessa mette in movimento la storia di un popolo e con esso la storia dell'intera umanità. Abramo, nella sua obbedienza alla promessa, resta per sempre il simbolo della fede ( Gal 3,6-9 ) e la figura di coloro che sperano contro ogni speranza ( Rm 4,18 ). Quando questa promessa sembra svanire nella schiavitù dell'Egitto, Dio suscita per il suo popolo un liberatore, Mosè. A lui Dio affida un nuovo orizzonte di speranza, riaccendendo l'attesa della terra: "Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele" ( Es 3,7-8 ). Nell'esodo dall'Egitto Dio apre al suo popolo il cammino della libertà ( Es 15,1-21 ). Questa esperienza di liberazione mantiene viva in Israele la speranza in un Dio salvatore e liberatore dei singoli e del popolo. Ogni uomo giusto, nella morsa della sofferenza, può invocarlo con fiducia per essere liberato: "Ma io confido in te, Signore; dico: "Tu sei il mio Dio, nelle tue mani sono i miei giorni". Liberami dalla mano dei miei nemici, dalla stretta dei miei persecutori: fa' splendere il tuo volto sul tuo servo, salvami nella tua misericordia" ( Sal 31,15-17 ). E quando giunge la tragedia dell'esilio, la parola profetica annuncia con forza a Israele un nuovo intervento liberatore di Dio: "Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare; poiché io sono il Signore tuo Dio, il Santo di Israele, il tuo salvatore" ( Is 43,1-3 ). Promessa di comunione e di alleanza Con il dono dell'alleanza Dio ha aperto al suo popolo la possibilità di entrare in comunione con lui e gli ha offerto la legge della vita: "Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me. Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli" ( Es 19,4-5 ). Nei momenti più oscuri della storia di Israele, quando Israele nella sua infedeltà sembra vanificare questa offerta e quando esilio e schiavitù sembrano aver distrutto le speranze del popolo, Dio per bocca dei profeti fa nascere una speranza nuova: l'attesa di una nuova liberazione, di un'alleanza eterna, di un amore e di uno spirito rinnovati: "Farò con loro un'alleanza di pace che sarà un'alleanza eterna. Li stabilirò e li moltiplicherò e porrò il mio santuario in mezzo a loro per sempre. In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo" ( Ez 37,1-14 ). Soprattutto, in questo tempo si accende la promessa che Dio regnerà un giorno sul mondo degli uomini, mutando la loro vita e instaurando definitivamente la sua giustizia: "Il Signore sarà re di tutta la terra e ci sarà il Signore soltanto" ( Zc 14,9 ). L'attesa del Messia La speranza più alta che i profeti hanno mantenuto viva è quella del Messia, che Dio invierà per portare salvezza al popolo negli ultimi tempi. Questa figura è descritta con i tratti del Re ideale, discendente di Davide, che aprirà un'era di pace: "Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito ai consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore … Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia, cintura dei suoi fianchi la fedeltà" ( Is 11,1-2.5 ). La speranza messianica in altri casi prende corpo nel Profeta che annuncia la salvezza definitiva di Dio: "Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri … a promulgare l'anno di misericordia del Signore" ( Is 61,1-2 ). L'apocalittica parla del "Figlio dell'uomo" trascendente, che instaurerà un regno universale ed eterno: "Ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno" ( Dn 7,13-14 ). La speranza messianica ha tenuto viva l'attesa nel tempo che ha preceduto la venuta di Gesù. In essa sarà possibile rileggere l'opera e la figura di Cristo quale pieno e insperato compimento delle promesse divine. Incontrare Gesù Cristo: " Nulla è impossibile a Dio " Colei che ha detto "sì" Una donna, figlia ed immagine del popolo di Israele, accoglie in sé il compimento di tutte le speranze di salvezza e lo offre al mondo: è Maria. L'umile vergine di Nazareth da sempre è stata scelta e amata da Dio e ha trovato grazia presso di lui. Il figlio che le è promesso instaurerà per sempre il regno di Dio atteso: "Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine" ( Lc 1,31-33 ). L'annuncio dell'angelo comunica il dono di sé che Dio fa all'umanità. Il carattere assolutamente gratuito di questo dono si manifesta nel modo stesso con cui si realizza: il Figlio di Dio si fa uomo non per opera dell'uomo. Maria diventerà Madre del Figlio di Dio restando per sempre vergine, perché ciò che è generato in lei è opera dello Spirito Santo. In forza di questo dono e per il suo legame unico col Figlio Gesù, sarà la "tutta santa", preservata totalmente dal peccato di origine e da ogni peccato personale. La realizzazione della grande speranza dipende ora dal "sì" di questa donna. Essa lo pronuncerà con un'apertura totale: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" ( Lc 1,38 ). La sua disponibilità è piena, nonostante esistano oscurità e umane difficoltà sul modo con cui Dio realizzerà il progetto che ha su di lei. Il suo sperare "contro ogni speranza" ( Rm 4,18 ), perché "nulla è impossibile a Dio" ( Lc 1,37 ), la rende modello per ogni credente, figura e realizzazione perfetta della comunità dei credenti, Madre della Chiesa. Essa merita davvero l'elogio di Elisabetta: "Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" ( Lc 1,45 ). L'atteggiamento di tutta la sua vita, aperta alla fiducia e alla speranza in Dio, è espresso nel gioioso canto del "Magnificat". Dio è capace di iniziative impensabili. Ha fatto grandi cose in lei, umile schiava del Signore, facendola madre del suo Figlio e mostrandone la grandezza a tutte le generazioni. È un Dio che tutto può. La sua azione sconvolge i disegni umani. I poveri, che pongono in lui la loro speranza, non resteranno delusi. Coloro che per il mondo non contano troveranno in lui dignità e vita. A quanti sperano solo in se stessi e si fidano esclusivamente delle proprie capacità e del proprio potere, mostrerà quanto è vuota la loro vita. In questo Dio si può aver fiducia, perché è fedele. Non dimentica le sue promesse. Si china con misericordia sugli uomini e interviene con potenza nella loro storia. Maria, che a questo Dio ha detto il suo "sì" generoso, ha potuto accogliere e donare al mondo Gesù, speranza di vita per ogni uomo. La benevolenza di Dio per lei e la sua comunione al mistero di Cristo la renderanno pienamente partecipe alla fine della sua esistenza della risurrezione del suo Figlio: assunta in cielo, Maria diviene per la Chiesa segno di conforto e di speranza, immagine del compimento verso cui la Chiesa è in cammino. L'inno di grazie al Dio fedele "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre". ( Lc 1,46-55 ) Oggi l'attesa si compie Quando Gesù inizia il suo ministero abbiamo la piena conferma che il Dio della speranza è un Dio fedele. I suoi gesti e la sua parola infatti proclamano che non è più tempo di attesa ma di realtà: "E giunto a voi il regno di Dio" ( Lc 11,20 ). Dio mette a disposizione dell'uomo la vita. Questa novità assoluta non giunge al mondo in modo clamoroso, con trasformazioni totali ed improvvise. Essa è come un seme piccolo, gettato sul terreno del mondo. Dove trova cuori liberi e generosi comincia a produrre i suoi frutti di trasformazione ( Mc 4,14-20 ). Non bisogna scoraggiarsi se all'inizio i segni di novità sono poveri. Il seme di Dio cresce insensibilmente, ma ha in sé la forza sconvolgente per giungere fino alla maturazione piena ( Mc 4,26-29 ). Gesù ha assicurato che un giorno il Regno verrà con la sua potenza. Allora la vita, donataci da Dio, esploderà in tutta la sua ricchezza e il mondo sarà definitivamente nuovo ( Ap 21,1-5 ). Ma già da ora è possibile crescere, sperare e invocare con fiduciosa certezza: "Venga il tuo Regno" ( Mt 6,10 )! Il Regno è all'opera Tutto il ministero di Gesù si muove nell'orizzonte del regno di Dio che già viene ed è all'opera. Gesù ha coscienza che questo annuncio di speranza giunge agli uomini e mette le radici nel mondo attraverso la sua persona e la sua azione. Egli si fa l'uomo della speranza e della novità divina. Da chi è portatore di un progetto così grandioso si attenderebbero programmi precisi di trasformazione, piani ben delineati per cancellare tutte le deturpazioni della vita umana. Se invece osserviamo Gesù mentre si muove tra là gente, si ha un'impressione ben diversa. È l'incontro concreto con vite umane bisognose, con uomini segnati dal peso di schiavitù e sofferenze a strappargli parole di speranza e insperati gesti prodigiosi ( Mc 5,21-43 ). I poveri lo ascoltano, i peccatori gli si avvicinano, le folle disorientate Io seguono, i malati lo supplicano, lo toccano, gli vengono portati davanti: un mondo carico di male, lontano dal progetto di Dio, lo interpella, lo spinge a compassione ( Mc 6,53-56 ). A nessuno, di quanti si collocano sul suo cammino e gli aprono l'abisso della loro miseria, oppone un rifiuto. A tutti offre un segno della novità di vita che Dio si appresta a donare agli uomini. Una sola condizione chiede a questi uomini segnati da tante forme di disperazione: che si aprano alla fiducia e sperino nell'impossibile di Dio ( Mc 7,24-30 ). Al padre che, affranto, gli presenta il figlio posseduto da uno spirito muto e lo invoca: "Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci", Gesù risponde in modo significativo: "Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede" ( Mc 9,22-23 ). La speranza fiduciosa che nulla è impossibile a Dio, è la porta attraverso la quale la potenza del Regno entra nella vita umana e vi imprime i segni nuovi della liberazione, del perdono, della salvezza. Gesù ha fatto nascere i segni della novità e della speranza, avvicinando la potenza di Dio alla miseria dell'uomo e aprendo la miseria dell'uomo alla fede nell'"impossibile" di Dio. La speranza del Regno Diceva: "Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura". Diceva: "A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra". ( Mc 4,26-32 ) "Dov'è, o morte, la tua vittoria?" Messaggero e portatore del Regno, Gesù ha dovuto affrontare il momento dell'oscurità e la tentazione della delusione. Egli aveva tutto operato in funzione del mondo nuovo che stava per venire. La sua stessa persona era totalmente legata a questa causa. Il Regno veniva per mezzo di lui. Ma, mentre sale a Gerusalemme, Gesù manifesta ai suoi discepoli la chiara coscienza che il Padre gli chiede una fedeltà fino alla morte ( Mc 10,32-34 ). Domanda a lui di marcire, come la semente gettata nella terra ( Gv 12,24 ). È la grande prova. Come avrebbe potuto giungere agli uomini la pienezza del Regno proprio nella sconfitta e nella morte di colui che era venuto a portarlo? Gesù soffre con angoscia indicibile questo dramma. La lotta interiore del Getsemani ne è la più chiara testimonianza. La morte che gli era davanti non è solo il momento tragico del dolore fisico e morale, ma è anche il tunnel oscuro dentro il quale sembra spegnersi la luce del mondo nuovo, che egli aveva acceso. È il punto zero della speranza. Per questo dalla bocca di Gesù esce l'invocazione: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice!". Ma, proprio nell'ora delle tenebre più dense, Gesù lancia la propria fiducia e la propria speranza al di là dell'abisso della morte: "Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà" ( Lc 22,42 ). Si affida totalmente all'amore e alla potenza di suo Padre ed è sicuro, pur nell'angoscia, che il Padre gli donerà, in modo nuovo, quel Regno per il quale egli muore. La risurrezione conferma la speranza sconfinata di Gesù. Essa rivela che anche nelle delusioni, nelle sconfitte, nel dolore e persino nel nulla della morte è lecito attendere e sperare. Per quanti si abbandonano fiduciosamente a lui, Dio Padre è capace di creare, attraverso le esperienze più oscure, l'alba di una nuova vita. È l'annuncio sconvolgente che l'apostolo Paolo trasformerà in augurio per ogni credente: "Possa ( Dio ) davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l'efficacia della sua forza che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli" ( Ef 1,18-20 ). Inno a Cristo Ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili, troni, dominazioni, principati e potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, riappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli. E anche voi, che un tempo eravate stranieri e nemici con la mente intenta alle opere cattive che facevate, ora egli vi ha riconciliati per mezzo della morte del suo corpo di carne, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili al suo cospetto: purché restiate fondati e fermi nella fede e non vi lasciate allontanare dalla speranza promessa nel vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunziato ad ogni creatura sotto il cielo e di cui io, Paolo, sono diventato ministro. ( Col 1,12-23 ) Fondamento della nostra speranza La nostra speranza ha il suo fondamento su ciò che già ci è stato rivelato e donato nella risurrezione di Gesù. Ma questo evento centrale della speranza cristiana è per noi raggiungibile solo nella fede, una fede che si radica però nella originaria esperienza e testimonianza apostolica. Diamo uno sguardo a questa testimonianza per scoprire i motivi di credibilità della nostra fede. Fin dagli inizi la comunità apostolica ha annunciato l'evento della risurrezione di Gesù come centrale e fondamentale per la fede cristiana: "Se Cristo non è risorto, vana è la nostra predicazione e vana è la vostra fede" ( 1 Cor 15,14 ). Lo ha fatto con una ricchezza di linguaggi e di formule, di cui è ricco il Nuovo Testamento, che evidenzia l'importanza e la profondità di questo evento. L'annuncio è sempre accompagnato dalla menzione di "testimoni": Pietro, i Dodici, Paolo e altri ( 1 Cor 15,3-5 ). Pur essendo la risurrezione un evento misteriosamente trascendente, in quanto ingresso dell'umanità di Cristo nella gloria del Padre, essa è storicamente attestata dai discepoli che hanno realmente incontrato il Signore e trova nella tomba vuota un segno di conferma. L'incontro del Risorto con i discepoli non è frutto di una illusione odi una esaltazione. I testimoni insistono su una esperienza visiva : il Risorto si è "fatto vedere", è apparso loro. Non dobbiamo però pensare ad una visione accessibile a tutti. La presenza del Risorto a queste persone è continuamente sottolineata come un "dono" ed una "rivelazione" ( Gal 1,15-16 ) fatta a "testimoni prescelti da Dio" ( At 10,41 ). Nei racconti evangelici di questi incontri cogliamo come i testimoni si siano aperti faticosamente al riconoscimento di Gesù risorto. Dalla sensazione di avere davanti a sé, un fantasma, dalla condizione di dubbio e di paura sono giunti alla convinzione gioiosa che colui che si mostrava a loro vivente era lo stesso Gesù che avevano seguito, che avevano visto crocifisso; e, alla fine, è nata in loro la fede pasquale ( Lc 24,36-43; Gv 20,19-28 ). Questo riconoscimento e questa fede riguardano anche la corporeità del Risorto. Gesù è risorto e vivente nella sua corporeità, una corporeità diversa, che non è più sottomessa al limite, alla sofferenza e alla corruzione della morte ( 1 Cor 15,42-44 ). Questi testimoni, quindi, hanno visto e hanno creduto ( Gv 20,29 ). Attraverso l'esperienza dell'incontro con il Risorto, la loro fede si è dischiusa, sotto l'azione interiore dello Spirito, e si è consolidata nella comprensione delle Scritture. Essi ce l'hanno annunciata e testimoniata, e sulla loro testimonianza siamo chiamati ad aprirci alla fede. Per noi valgono queste parole di Gesù: "Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!" ( Gv 20,29 ). Di questo voi siete testimoni Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: "Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho". Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: "Avete qui qualche cosa da mangiare?". Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: "Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi". Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse: "Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscita re dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti dall'alto". ( Lc 24,36-49 ) Il Verbo della vita Quando la fede pasquale ha potuto illuminare in pienezza il mistero della persona di Gesù, allora è divenuta chiara anche la radice ultima della nostra speranza. L'evangelista Giovanni ci permette di contemplarla nell'inno che introduce il suo Vangelo: "Il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità" ( Gv 1,1.14 ). Nella storia era accaduto ciò che nessun uomo poteva e osava sperare. Il Figlio di Dio, la sua Parola creatrice e vivente, si era fatto uno di noi. Egli ci aveva svelato la potenza divina e la sua benevolenza nei nostri confronti. Dio aveva davvero fatto l'impossibile a favore degli uomini. D'ora in poi egli sarebbe per sempre rimasto accanto a loro e avrebbe offerto loro la possibilità di partecipare alla sua stessa vita: "A quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati" ( Gv 1,12-13 ). La fede nel Figlio di Dio, divenuto uomo, apriva la speranza inaudita che gli uomini potessero vivere come figli di Dio. È questa la novità del Vangelo di Gesù: partecipare, mediante lui, alla stessa vita d'amore che dall'eternità unisce il Padre e il Figlio nello Spirito. Vivere la comunione nella Chiesa: Il " si " di dio e l'" amen " dell'uomo La garanzia dello Spirito Tutte le speranze che si muovono nella direzione di Gesù sono state da Dio dichiarate autentiche: "il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timòteo, non fu "sì" e "no" ma in lui c'è stato il "sì". E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute "sì". Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria. È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l'unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori" ( 2 Cor 1,19-22 ). In Cristo possiamo finalmente giudicare quali sono le attese vere e quelle false. Siamo in grado di valutare i desideri realizzabili e quelli destinati alla frustrazione e alla delusione completa. Dio però non si limita ad indicare la strada che la nostra speranza può percorrere. Egli offre ai nostri cuori, deboli e timorosi, la potenza del suo Spirito. Lo Spirito ci rassicura che non siamo più soli. Mentre, con fatica, muoviamo i passi verso i grandi traguardi della speranza, Dio è con noi, diventa la nostra forza e ci fa già pregustare la gioia della realizzazione piena. La paura del futuro, gli ostacoli che incontreremo, gli imprevisti della vita, persino il peccato, non riescono più a disarmarci e a farci incrociare le braccia. Anche quando l'ombra della morte ci minaccia e, nella malattia, incontriamo il dolore, Dio non ci abbandona: attraverso la Chiesa, nell'Unzione degli infermi, egli dona forza e sollievo a chi è nella sofferenza, a chi si avvicina al termine di questa vita, perché l'angoscia e il male siano vinti e non venga meno la speranza. Il Dio che ha detto "sì" al progetto umano costruito in Gesù, non ci abbandonerà in nessun momento della nostra crescita. Con l'apostolo Paolo, siamo sicuri di poter gridare: "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?… Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore" ( Rm 8,31.38-39 ). Gesù Cristo il vivente ha sconfitto la morte La Chiesa, nel tempo di Pasqua, invoca dal Padre il dono dello Spirito, nella certezza che la vittoria di Cristo sui peccato e sulla morte è I inizio di un mondo nuovo, in cui poter vivere, nella libertà, o la pienezza dell'amore. "O Padre, che nel giorno del Signore raduni il tuo popolo per celebrare colui che è il Primo e l'Ultimo, il Vivente che ha sconfitto la morte donaci la forza del tuo Spirito, perché spezzati i vincoli del male, ti rendiamo il libero sevizio della nostra obbedienza e del nostro amore, per regnare con Cristo nella gloria". ( Messale Romano, II domenica di Pasqua, Colletta anno C ) Il nostro futuro nelle scelte di oggi Dio ci ha rivelato in Gesù un grandioso progetto di vita. Con il dono del suo Spirito ci ha offerto la forza per realizzarlo. Se ci lasciamo guidare dallo Spirito di Dio, abbiamo già la capacità di vivere come suoi figli. Scopriremo fin d'ora le vie della vita e della pace: "I desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace" ( Rm 8,6 ). Gusteremo nella nostra giornata terrena, i frutti di questo Spirito: "amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" ( Gal 5,22 ). Vedremo la nostra vita assomigliare sempre più a quella di Cristo, il nostro cuore assumere i suoi stessi sentimenti ( Fil 2,5 ). Saremo già creature nuove. Il rischio più grave è che ci sia in noi l'atteggiamento del "già visto": credere d'aver già conosciuto Gesù, d'aver già provato che cosa voglia dire accoglierlo. C'è un tempo dell'anno liturgico in cui la Chiesa ci invita ad educarci all'attesa e all'accoglienza. È il tempo d'Avvento e di Natale, in cui si celebra la venuta del Signore nel passato e ci si apre all'attesa della sua venuta futura e finale. Ciò che abbiamo conosciuto di lui è così poco, che ogni nuovo incontro, ogni nuova venuta sarà una sorpresa, come scoprirlo nuovamente; sempre, per tutta la vita. Fino al giorno in cui lo vedremo faccia a faccia. Il cielo, che speriamo come luogo della nostra realizzazione piena, è cominciato a fiorire su questa terra. Certo, questa assoluta novità di vita noi la sperimentiamo nei limiti di una storia ancora carica di debolezze, esposta al dolore e alla morte, sotto l'influenza del peccato e delle sue disastrose conseguenze personali e sociali. Il peso di questi condizionamenti potrà a volte crearci momenti di oscurità e di difficoltà, ma non dovrà farci disperare. Nella luminosità della fede, abbiamo la certezza di costruire, già dentro questo mondo opaco e passeggero, qualcosa che durerà per sempre. Ogni passo mosso su questo cammino non sarà l'ultimo. Ogni realizzazione resterà aperta ad altri esperimenti e tentativi. I tratti però di quello che sarà l'esito definitivo della nostra vita si vanno già delineando attraverso le nostre scelte di oggi: "Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male" ( 2 Cor 5,10 ). Alla libertà umana è misteriosamente possibile anche rifiutarsi al grandioso progetto di Dio, per vivere i propri miopi e vani progetti. È possibile chiudersi alla potenza divina dello Spirito, per affidarsi orgogliosamente alle proprie capacità deboli e limitate. Il peccato radicale di costruirei la vita da soli, chiudendoci a Dio e agli altri, di edificarla con le nostre mani, senza la forza dell'amore che viene da Dio e dai fratelli, ci espone al pericolo della morte. Le scelte di peccato rendono vana già da ora la possibilità di una vita piena e gioiosa. Al di là di una maschera superficiale, emerge l'egoismo, la divisione, l'ingiustizia, la schiavitù interiore, l'ombra della solitudine estrema. Possiamo già accorgerci che non aprirsi all'amore è votare la nostra esistenza a una morte, che può alla fine diventare eterna. "Chi non rimane in me - dice il Signore - viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano" ( Gv 15,6 ). Alla fine della vita l'incontro con il Signore svelerà a ciascuno la verità sulla propria vita: sarà il giudizio su come avremo amato lui e i fratelli ( Mt 25,31-46 ). La speranza di vita manifestatasi in Gesù e aperta dal dono dello Spirito ha reso il nostro tempo e le nostre decisioni cariche di possibilità e di conseguenze eterne. Essere in tutto graditi al Signore È Gesù il senso ultimo della storia. Verso la sua persona e il suo avvento alla fine dei tempi va orientata la vita di ogni uomo: sudi lui occorre confrontarsi nelle scelte di ogni giorno. "Uniti a Cristo nella Chiesa e segnati dal sigillo dello Spirito Santo "che è caparra della nostra eredità" ( Ef 1,14 ), con verità siamo chiamati, e lo siamo, figli di Dio, ma non siamo ancora apparsi con Cristo nella gloria, nella quale saremo simili a Dio, perché lo vedremo qual è. Pertanto, "finché abitiamo in questo corpo siamo esuli lontani dal Signore" ( 2 Cor 5,6 ) e avendo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi e bramiamo di essere con Cristo. Dalla stessa carità siamo spronati a vivere più intensamente per lui, che per noi è morto e risuscitato. E per questo ci sforziamo di essere in tutto graditi al Signore e indossiamo l'armatura di Dio per potere star saldi contro gli agguati del diavolo e tener fronte nel giorno cattivo. Siccome poi non conosciamo né il giorno né l'ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l'unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati fra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove "ci sarà pianto e stridore di denti" ( Mt 22,23 ). Prima infatti di regnare con Cristo glorioso, noi tutti compariremo "davanti al tribunale di Cristo, perché ciascuno ritrovi ciò che avrà fatto quando era nel suo corpo, sia in bene che in male" ( 2 Cor 5,10 ), e alla fine del mondo "ne usciranno, chi ha operato il bene a risurrezione di vita, e chi ha operato il male a risurrezione di condanna" ( Gv 5,29 )". ( Lumen gentium, 48 ) Scheda: Le ultime realtà Il paradiso e l'inferno, il compimento ultimo e la perdizione definitiva dell'esistenza umana: sono realtà che toccano da vicino la nostra vita. Per questo talvolta la fantasia si è accesa nel tentativo di dare colori precisi à questi ultimi quadri della vita. Di essi però non abbiamo esperienza diretta e quindi ci vengono a mancare le parole adatte a descriverli. Dobbiamo ricorrere al linguaggio dei simboli, usati con varietà e ricchezza dalla parola di Dio. Vogliamo ricordare almeno alcuni dei simboli e delle espressioni più significative. Il banchetto nuziale che Dio ci prepara ( Mt 22,1-14 ). Il banchetto evoca l'idea della festa e della comunione amichevole tra gli uomini che insieme gustano la bellezza delle cose. Le nozze richiamano l'incontro di un amore che si fa pieno e gioioso. La visione di Dio faccia a faccia ( 1 Cor 3,12 ). È come giungere a vedere una persona che ci ha sempre amati e che sempre abbiamo atteso di incontrare. Sarà uno sguardo che farà vibrare tutto il nostro essere sui toni dell'amore e ci donerà la pienezza della pace. La "vita eterna" ( Gv 10,28 ). Abbiamo esperienza di una vita povera, minacciata, fragile. Non si tratta di pensare questo tipo di vita, prolungato all'infinito. L'eternità è caratteristica propria di Dio. La nostra vita sarà colmata dalla sua pienezza e dalla sua perfezione. La "vittoria" ( Ap 3,5 ). L'esistenza attuale è come una competizione, una lotta, una prova. Chi rimarrà fedele, ne uscirà vincitore. Dio allora ci svelerà veramente chi siamo, ci darà un voltò nuovo ed un nome definitivo. "Un nuovo cielo e una nuova terra" ( Ap 21,1 ). Tutto il male sarà per sempre sconfitto. Avverrà la riconciliazione piena tra Dio e gli uomini, degli uomini tra loro, dell'umanità con il mondo trasfigurato. Sarà la pace vera e totale. Non sempre il tempo della vita basta a farci raggiungere una sintonia piena con il Signore. La bontà di Dio ci dona allora un altro spazio di purificazione, il purgatorio, fino a prepararci alla perfetta comunione del cielo. L'inferno è la massima infelicità per l'uomo. Anche in questo caso la Bibbia si esprime con immagini. Il "fuoco eterno" ( Mt 25,41 ) esprime con realismo la condizione di dolore e distruzione in cui giace l'uomo per sempre lontano da Dio. Il "pianto e stridore di denti" ( Mt 8,12 ), oltre che il dolore, evoca lo stato di rabbia e di impotenza per la felicità definitivamente perduta. Le "tenebre esteriori" ( Mt 22,13 ) fanno pensare al cuore umano che cerca, nel suo intimo, la luce di Dio e la casa del Padre ed invece ne rimane per sempre escluso, prigioniero del mondo solitario che con il suo egoismo peccaminoso si è creato. La "seconda morte" ( Ap 2,11 ), la morte eterna, ci fa comprendere come la lontananza definitiva dal Dio della vita sia per l'uomo la perdita irrimediabile di tutti i doni che potevano costituire la sua felicità piena. Paradiso e inferno non devono farci pensare ad un Dio giudice terribile, e alla nostra sorte eterna come qualcosa che incombe paurosamente su di noi. Dio in Gesù Cristo ha mostrato definitivamente a noi un volto benevolo. Egli opera instancabilmente per la nostra salvezza e realizzazione piena. Solo la chiusura cosciente e totale dell'uomo, fermo nel proprio peccato, può impedire il ritorno alla casa del Padre e l'accesso al gioioso banchetto della vita. Cristo in noi, speranza di gloria Gesù Cristo risorto è il fondamento ultimo della nostra speranza. Egli ha aperto anche per noi la realizzazione di una vita piena, al di là della morte. "Cristo è risuscitato dai morii, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo" ( 1 Cor 15,20-22 ). Dobbiamo avere il coraggio di spingere lo sguardo della speranza al di là dell'oscurità della morte, perché - ci avverte l'apostolo Paolo - "se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini" ( 1 Cor 15,19 ). La comunione al corpo e al sangue eucaristico è, secondo la promessa di Gesù, pegno di risurrezione nell'ultimo giorno ( Gv 6,56 ). Lo Spirito che Dio ci ha donato, è già l'anticipazione di questa realizzazione finale: "Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi" ( Rm 8,11 ). Gesù Cristo risorto è anche il modello della nostra vita oltre la morte. Saremo trasformati a sua immagine, parteciperemo alla sua gloria. Attraverso di lui la luce piena e l'amore infinito di Dio si comunicheranno alla nostra persona senza più limitazioni, per farla partecipe della stessa vita e gloria divina. Talvolta, incuriositi, vorremmo forse sapere di più sulla nostra condizione oltre la morte. Dobbiamo essere coscienti che ci troviamo a parlare di una realtà della quale non abbiamo avuto ancora esperienza diretta e, quindi, ci è possibile solo una descrizione in negativo. Se ora la nostra corporeità è limitata dalla debolezza, dall'influenza del male, del dolore e della. morte, allora tutte queste cose non ci saranno più. Se ora il nostro rapporto con gli altri e con il mondo è ancora ristretto ed opaco, allora sarà pieno e luminoso. Paolo parla in questa maniera della trasformazione che avviene nei risorti: "Si semina ( un corpo ) corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale" ( 1 Cor 15,42-44 ). È possibile già intravedere come, nella risurrezione, Dio farà esplodere e porterà ad una pienezza impensata tutte le potenzialità di vita, che egli aveva posto nel cuore dell'uomo, quando l'aveva creato. Sarà davvero come una nuova nascita. A questo traguardo, di cui Dio ci ha spalancato l'accesso, l'uomo è chiamato a giungere attraverso l'oscura prova della morte. In quest'ultima, decisiva esperienza ogni persona, quasi riassumendo tutti i tentativi della propria vita, presenterà la sua disponibilità totale ad aprirsi all'amore di Dio la sua definitiva chiusura in se stesso. L'incontro senza più veli e maschere con Dio, nella morte, illuminerà come giudizio tutta la nostra esistenza. Allora sarà chiaro a ciascuno, senza equivoci, che cosa è stata realmente la stia vita: se un tentativo riuscito di maturare l'amore, o una prova per sempre fallita nell'isolamento e nell'egoismo radicale. La scena evangelica del giudizio finale è particolarmente significativa: a quanti hanno saputo riconoscere Cristo, vivendo l'amore, sarà aperta la partecipazione alla sua vita e alla sua gloria; quanti l'avranno rifiutato, chiudendosi all'amore, vedranno fissato il loro volto eterno in una dolorosa e totale incapacità di comunione con Dio e con i fratelli ( Mt 25,31-46 ). Passa l'aspetto di questo mondo Il cammino nel tempo è orientato verso un compimento in cui il bene fatto in questa vita verrà purificato e trasfigurato nella pienezza del regno di Dio. "Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l'umanità, e non sappiano il modo con cui sarà trasformato l'universo. Passa certamente l'aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però, dalla rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini. Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato nella debolezza e nella corruzione rivestirà l'incorruzione; e restando la carità con i suoi frutti, sarà liberata della schiavitù della vanità tutta quella realtà che Dio ha creato appunto per l'uomo … Qui sulla terra il Regno è già presente, in mistero; ma con la venuta dal Signore, giungerà a perfezione". ( Gaudium et spes, 39 ) Nella comunione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo Non conosciamo quando verrà l'ultima sera della storia e non sappiamo il modo in cui verrà trasformato l'universo, ma la risurrezione di Gesù ci assicura che la mèta ultima del nostro cammino non è l'abisso spento del nulla, e l'amore di Dio datoci in dono è la garanzia della gioia perfetta che ci attende alla festa senza fine dei cieli nuovi e della nuova terra. Solo allora vedremo Dio come egli è ( 1 Gv 3,2 ), ma già ora abbiamo, nella fede, un'invincibile certezza: il segreto più intimo della sua vita è l'amore e il nome grande e sublime che Gesù ci ha comunicato di lui è "Padre e Figlio e Spirito Santo" ( Mt 28,19 ). Di fronte alla luminosa profondità di questo mistero, non si dà atteggiamento più rispettoso del silenzio adorante della fede. Ma, pur nell'umile consapevolezza della nostra povertà, dobbiamo ricordare che "noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato" ( 1 Cor 2,2 ). Perciò, grazie alla luce dello Spirito che ci spalanca l'orizzonte sul mondo di Dio, osiamo balbettare qualche sillaba della verità più alta e più santa che ci sia stata rivelata. Al principio di tutto c'è il Padre, sorgente eternamente giovane della vita. Egli ha dato origine all'universo per effondere il suo amore su tutte le creature. E, quando l'uomo ha rifiutato la sua amicizia, ha tanto amato il mondo da mandare a noi il Figlio, ce lo ha consegnato sulla croce e lo ha risuscitato per la nostra salvezza. Ma Dio Padre non è amore solo a partire dalla creazione del mondo; alla scuola di Gesù e della sua parola, abbiamo imparato che egli è amore per se stesso, da sempre. Egli non si ripiega su di sé, ma, nell'apertura più totale e con gratuità feconda, genera il Figlio, l'eterno amato. Per questo il suo nome è "Padre", perché inizio assoluto di un amore che non trattiene la sovrabbondante ricchezza del suo essere, ma ne fa dono radicale e irrevocabile al Figlio diletto. Questo Figlio diletto si è fatto uomo per la nostra salvezza. Nato da Maria e battezzato nello Spirito al Giordano, Gesù nei giorni della sua vita mortale è passato beneficando e sanando tutti coloro che erano prigionieri del male. Prima di stendere le braccia sulla croce, in segno di perenne alleanza fra il cielo e la terra, si è offerto al Padre e ha reso lode al suo amore perenne e invincibile: "Tu ( Padre ) mi hai amato prima della creazione del mondo" ( Gv 17,24 ). Risuscitato da morte, Gesù ci ha fatto partecipi del suo dono più grande, lo Spirito Santo, e così l'Amore in persona nel quale il Padre e il Figlio sono legati dall'eternità viene comunicato alla Chiesa e il regno di Dio comincia a germinare lungo i solchi di un mondo rinnovato. Un mistero così sfolgorante di luce attrae e concentra l'attenzione stupita del credente: davvero "Dio è amore", solo amore ( 1 Gv 4,8.16 ). Il Padre è la sovrabbondante gratuità dell'amore che genera vita. Il Figlio è la totale gratitudine dell'amore che raccoglie e ricambia. L'intima realtà di Dio non consiste nel possedere e nell'essere posseduti, ma nel limpido dono di sé reciprocamente offerto e ricevuto. Ogni persona divina vive per l'altra, ed è se stessa proprio perché si apre e si dà. Lo Spirito è lo stesso amore donato dal Padre, accolto e ridonato dal Figlio; uscendo completamente da se stessi, il Padre e il Figlio si incontrano nello Spirito e attraverso di lui si aprono alla storia. "Trinità" è il termine usato dalla Chiesa fin dai primi secoli per dire questa verità della fede cristiana. Con questa parola si vuole affermare che noi crediamo in un solo Dio ( monoteismo ), ma non in un Dio solitario. Il Padre e il Figlio e lo Spirito costituiscono la comunione piena e beata di tre persone uguali, distinte, unite: uguali, senza differenze e senza subordinazioni; distinte, ma non separate e distanti; fuse nell'amore al punto di formare una sola "natura" divina, perfettamente una e indivisa, ma non confusa, anonima e indeterminata. Credere e cercare Questa preghiera chiude i libri che Sant'Agostino ( 354-430 ) dedica alla Trinità, invocando memoria, comprensione e amore del mistero di Dio. "Signore nostro Dio, crediamo in te, Padre e Figlio e Spirito Santo. Perché la Verità non avrebbe detto: "Andate, battezzate tutte le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo", se tu non fossi Trinità. Né avresti ordinato, Signore Dio, che fossimo battezzati nel nome di chi non fosse Signore Dio. E una voce divina non avrebbe detto: "Ascolta, Israele, il Signore Dio tuo è un unico Dio", se tu non fossi Trinità in tal modo da essere un solo Signore e Dio. E se tu Dio Padre fossi e fossi pure il Figlio tu" Verbo, Gesù Cristo e il vostro dono lo Spirito Santo, non leggeremmo nelle Sacre Scritture Dio ha mandato il suo Figlio né tu, o Unigenito diresti dello Spirito Santo: "Colui che il Padre manderà nel mio nome" e "Colui che io manderò da presso il Padre" Dirigendo il mio slancio secondo quanto regola della fede, per quanto ho potuto, per quanto tu mi hai concesso di potere, ti ho cercato e ho desiderato vedere con l'intelligenza ciò che ho creduto, e ho molto disputato e molto faticato. Signore, mio Dio, mia unica speranza, esaudiscimi e fa' sì che non cessi di cercarti per stanchezza ma cerchi sempre il tuo volto con ardore. Dammi tu la forza di cercare, tu che hai fatto si di essere trovato e mi hai dato la speranza di trovarti con una conoscenza sempre più perfetta. Davanti a te sta la mia forza e la mia debolezza. conserva quella, guarisci questa. Davanti a te sta la mia scienza e la mia ignoranza: dove mi hai aperto ricevimi dentro, dove mi hai chiuso aprimi quando busso. Fa' che mi ricordi di te, che comprenda te, che ami te. Aumenta in me questi doni, fino a quando tu mi abbia cambiato interamente". ( La Trinità XV, 28.51 ) Vedremo il suo volto Sorgente e mèta del peregrinare della storia, la Santa Trinità è anche il modello dal quale la Chiesa, sostenuta dallo Spirito, si fa continuamente plasmare per essere ogni giorno di più immagine trasparente dell'unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. È questa immagine che essa realizza come comunità viva di persone pienamente uguali nella dignità del comune Battesimo, originali nella loro irripetibile identità, unite nel vivere con "un solo cuore e un'anima sola" ( At 4,32 ), in cammino verso un giorno senza tramonto, quando l'amore della Trinità sarà "tutto in tutti" ( 1 Cor 15,28 ). Mentre muoviamo i nostri passi dentro la frammentarietà e il velo della storia umana, non dimentichiamo mai di rivolgere lo sguardo e l'attesa al futuro pieno che ci è aperto, alla città celeste dove cresce l'albero della vera vita: "Il trono di Dio e dell'Agnello sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non avranno bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli" ( Ap 22,3-5 ). "Vieni, Signore Gesù" "Maranà tha: vieni, o Signore!" ( 1 Cor 16,22; Ap 22,20 ): è l'invocazione, in lingua aramaica - la lingua di Gesù -, dei primi cristiani. Nasce dal cuore di chi è consapevole che la storia è in cammino verso un futuro di pienezza: l'incontro definitivo dell'umanità con il suo Signore. "O Cristo, stella radiosa del mattino, incarnazione dell'infinito amore, salvezza sempre invocata e sempre attesa, tutta la Chiesa ora ti grida come la sposa pronta per le nozze: vieni Signore Gesù, unica speranza del mondo". ( Messale Romano, Collette per le ferie del tempo ordinario, 34 ) Per professare la fede Voi, chi dite che io sia? Signore Gesù, risorto e vivente per sempre, tu sei la nostra speranza! Gesù ha detto: Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo. I discepoli di Cristo non sono tristi come coloro che non hanno speranza. Essi credono che la morte e risurrezione del Signore è principio e garanzia della vita per sempre. - "Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" Gesù Cristo d introduce nel mistero di Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, unico Dio in tre persone. Il Dio che dobbiamo riconoscere e benedire è il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che in Cristo ci ha predestinati a essere suoi figli e in lui ci ha donato lo Spirito di adozione, pegno della nostra eredità e salvezza. - Maria, Madre di Cristo e Madre della Chiesa Maria, piena dì grazia e sempre Vergine, è la Madre del Figlio di Dio fatto uomo. Per la sua singolare collaborazione all'opera della salvezza, è divenuta Madre e modello della Chiesa. Nella sua assunzione al cielo, anticipa la risurrezione di tutti i credenti. - La vita eterna Coloro che credono e vivono in Cristo risorgeranno un giorno a sua immagine. Nella comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito, e nella beata comunità dei Santi godranno la pienezza della vita. Nel definitivo compimento del Regno, tutta la creazione sarà ricapitolata in Cristo. - Preghiamo La preghiera è comunione con la Trinità: adoriamo il Padre, nello Spirito e nella Verità che è Cristo. Con la lode, la benedizione e il ringraziamento riconosciamo il disegno divino di salvezza. Con la domanda e l'intercessione ci disponiamo ad accogliere i beni della salvezza. Nulla potrà mai separarci da te Al termine di questo nostro cammino di fede, riconosciamo o Dio il tuo costante impegno per la nostra giovane vita. Noi vogliamo rispondere con il nostro impegno coraggioso e generoso di crescere uomini nuovi, come Gesù ci ha insegnato. Non possiamo tacere, davanti a te, il nostro timore: che ne sarà del nostro futuro? Risponderà alla nostra buona volontà di oggi? Ancora una volta è Gesù, morto e risorto, il garante e la nostra guida. Egli ha saputo dire "sì" a te, Padre, anche nei momenti cruciali della sua missione, e tu, amandolo e sostenendolo come Figlio diletto, hai mostrato di essere un Dio sempre fedele alle promesse. Una grande speranza vive nel nostro cuore, sostenuta dallo Spirito che ci hai donato. Né la vita né la morte, né ogni altra "potenza" potrà mai separarci da te, che ci attendi come Padre buono al termine del nostro viaggio. Ne siamo così certi, che il domani inizia già oggi con la fedeltà al Vangelo di Gesù, nelle piccole e grandi scelte quotidiane. Non una conclusione La gioia di un incontro Le porte dell'adolescenza stanno per chiudersi alle nostre spalle e stiamo per entrare nel pieno della giovinezza. Ci siamo avventurati sulle strade di questa stagione della vita con tante esitazioni nel cuore e pieni di interrogativi, forse anche già segnati dalla stanchezza e dalla delusione. Come i due discepoli di Emmaus ( Lc 24,13-35 ) abbiamo magari creduto di seguire Gesù perché anche noi siamo entrati con lui in Gerusalemme. Ma non abbiamo avuto il coraggio di seguirlo fino in fondo, fin sul Calvario. Siamo rimasti nella città, fatta di piccole cose, comode e a portata di mano; persino di una religione accogliente e accomodante. Poi ci siamo accorti di aver perso il contatto con lui; ci siamo meravigliati che egli ci abbia "lasciato"; quella città non ci ha più soddisfatto. Delusi, abbiamo pensato di tornare indietro, a vivere nel villaggio. Su questa strada il Signore risorto si è fatto nostro compagno di viaggio, spronandoci a non soffocare le mille domande della vita, a uscir fuori da ogni apatia. Si è accostato a noi, camminando al nostro fianco, illuminando i nostri dubbi, rilanciando le nostre attese, spingendoci fuori da noi stessi: tiene troppo a ciascuno di noi per perderci e sopportare di vederci lontani. La sua parola ci ha guidato nella ricerca e ha fatto nascere in noi la speranza. Tra tante parole che ci assediano e distraggono, pretendendo di donare felicità, abbiamo finalmente incontrato la Parola che conosce la nostra verità: è Gesù la Parola che ci ha creati e ci ha liberati. È lui la Parola di verità che sa dirci dove risiede la gioia della vita: la vera libertà è servire nell'amore. La parola pronunciata da Gesù risuona per noi nelle pagine della Scrittura che la Chiesa ci offre. Essa ha spezzato le tenebre del cammino, ha saputo penetrare in noi fino a farci vedere la realtà in modo nuovo, fino a scoprire che l'estraneo che cammina al nostro fianco è un fratello con cui condividere la vita. Il nostro cuore si è aperto all'accoglienza dello sconosciuto viandante, sotto le cui sembianze si nasconde Gesù. Dalla verità è nato l'amore. "Resta con noi Signore", gli abbiamo detto, invitandolo a realizzare stabilmente una luminosa novità in tutta la nostra esistenza. Abbiamo capito che vivere ha senso solo se lui prende possesso della nostra casa: ogni angolo ne viene illuminato, ogni istante diventa tempo di grazia. Potremo dialogare con lui nella preghiera, contemplarlo nel silenzio, capire la sua volontà. Gesù, poi, si è seduto alla nostra mensa, per condividere il cibo che dà forza nel cammino. Lì abbiamo scoperto che questo cibo è lui steso, la sua vita donata per noi. Il pane spezzato e condiviso è segno della vita di Gesù che si lascia condividere, perché anche noi, vivendo di lui, diventiamo capaci di lasciarci condividere dagli altri. Questa vita ci viene comunicata nel pane e nel vino che sono il suo corpo e il suo sangue, come pure negli altri segni della salvezza che accompagnano l'esistenza del cristiano dalla nascita alla morte. Infine, anche noi, come i due discepoli di Emmaus, abbiamo appreso che la scoperta di Gesù non può restare chiusa nei nostri cuori. C'è bisogno di una comunità in cui celebrare la gioia della vita ritrovata e in cui confermarsi nella fede, grazie alla reciproca testimonianza delle grandi cose che lo Spirito di Dio opera in noi. C'è bisogno anche di gridare a tutti la nostra felicità, svelando la verità che abbiamo incontrato, perché tutti possano sperimentare la stessa libertà, la libertà di amare. In cammino…. Il nuovo cammino dei discepoli di Emmaus verso Gerusalemme, verso la comunità e verso il servizio, inizia nella notte. Non c'è più paura però nel loro cuore, perché la vita che hanno scoperto non è un percorso nella notte. Non mancheranno momenti di disorientamento, ma in loro c'è la certezza che l'esperienza fatta ha un valore indistruttibile e irrinunciabile. Molte cose cambieranno ora anche nella nostra vita. Dovremo affrontare problemi nuovi e incontreremo anche difficoltà impreviste. I passi compiuti in questi anni ci danno una speranza certa, perché abbiamo incontrato Qualcuno che è la stessa vita. In certi momenti ci sentiremo più soli, senza più gli amici con cui finora abbiamo condiviso ogni esperienza, senza il gruppo che ci ha sostenuto, senza le abitudini che ci hanno rassicurato. Lavoro, viaggi, università, nuovi luoghi di vita, nuove conoscenze e magari nuovi amici: tutto esige una fede non più sostenuta da altri, una coerenza frutto di maturità personale, una costanza che non faccia venir meno nel tempo le scelte. Il cammino fatto si prolunga, in forme diverse, nel cammino che dobbiamo fare. Avremo però sempre ancora bisogno della Parola che illumina, del Pane che nutre, del fratello con cui condividere l'Amore. Abbiamo una grande certezza: Dio è un Padre che ci ama e che ci chiama ad amarlo per essere veramente liberi. È una certezza che non può più abbandonarci, mentre ci avviamo verso nuove esperienze e nuove scelte. Gesù, il Figlio di Dio fatto nostro fratello, ci accompagna con la forza del suo Spirito, riempiendo la nostra vita del suo amore, così come accadde a Maria, sua Madre: basta dire "sì" ogni giorno al suo disegno di pace per l'umanità. "Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" ( Gv 15,16 ) Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa Nel nome di Gesù rendiamo ragione della speranza che è in noi Abbiamo incontrato Gesù, l'Amico forte e fedele: abbiamo conosciuto la strada della nostra vita. Tutto è partito da quel giorno, quando Dio consacrò Gesù di Nazareth in Spirito Santo e potenza. Gesù si mise allora in cammino per le vie della sua patria, la Palestina, beneficando e risanando coloro che erano sotto il potere del diavolo, quanti erano prigionieri del male. Dio era con lui; lo chiamava: "Figlio amatissimo". E Gesù era sempre con Dio; lo chiamava: "Padre mio". Gesù amava appassionatamente la vita, quella dei fiori e degli animali, ma soprattutto la vita degli uomini, a partire dagli ultimi, i poveri, ai quali diceva: "Vostro è il regno di Dio". Di questo Regno mostrava i segni: alle folle affamate offriva il pane della vita; ai malati e ai sofferenti ridonava la salute, il sorriso, la gioia di stare insieme; ai peccatori, come Zaccheo, assicurava il perdono di Dio. A tutti disse la Verità. Da tutti, anche da curiosi e nemici, si lasciò avvicinare e interrogare. Per tutti diede la "buona notizia", il Vangelo: "Il regno di Dio è arrivato in mezzo a voi, il Padre mio è Padre vostro e io sono il vostro fratello Gesù". Ma anche Gesù incontrò il rifiuto degli uomini, conobbe il dolore e l'ingiustizia. Porteremo per sempre nel cuore il dramma della sua vita. Alcuni lo avversarono, per tutto il tempo della sua missione e alla fine, con sentenza ingiusta, lo uccisero appendendolo alla croce. Allora anche i suoi amici lo abbandonarono. Restò sua Madre, Maria, donna coraggiosa e fedele. Le tenebre avvolsero il mondo. Era morto il nostro Maestro, il nostro Amico più vero. Ne parlavano insieme sconsolati due discepoli che andavano a Emmaus. Tutto sembrava finito, così come tramonta un sogno e un ideale. Ma ecco il fatto nuovo e splendido, mai capitato nella storia dell'uomo: Dio risuscitò Gesù, lo costituì Signore e Salvatore di tutti. Lo Spirito del Signore risorto, dono del Padre, rese gli apostoli testimoni coraggiosi del Vangelo, fino ai confini del mondo. Essi annunciarono a tutti gli uomini che Gesù, nostro Signore, è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione. Questa parola di speranza ha percorso i secoli ed è giunta a noi. Noi siamo certi che Gesù è vivo sempre, egli è il Figlio del Dio vivente, l'Emmanuele, il Dio con noi. Dallo Spirito e dall'acqua siamo rinati nel Battesimo, figli di Dio e fratelli tra noi, nella famiglia del Padre, la Chiesa. Nella Confermazione, lo stesso Spirito ci ha trasformati, con i suoi doni, in audaci e lieti annunziatori del Vangelo, inserendoci nella missione della Chiesa. Nella Chiesa vive e risuona la parola di Gesù, che illumina il nostro progetto di vita. Convocati da questa Parola attorno alla mensa del Signore, celebriamo l'Eucaristia, memoriale della Pasqua. E, quando con il peccato chiudiamo il cuore alla vita, la Chiesa ci offre il perdono del Padre, che apre sentieri di pace. Noi apparteniamo alla Chiesa: membra del corpo di Cristo, assumiamo sempre più il suo volto, per essere come lui servitori degli uomini nostri fratelli. Siamo popolo di Dio, in cammino nel tempo, per far fiorire nel mondo la libertà, la giustizia e la pace, verso i nuovi cieli e la nuova terra che il Padre ci donerà. Quale sarà il nostro futuro? Umanamente non lo sappiamo. Anche per noi la vita sarà gioia e dolore. Ma, nella memoria incancellabile del Maestro e con la promessa della sua venuta, cresciamo giorno dopo giorno, forti nella fede e sereni nella speranza. "Io ho scelto voi; vi ho chiamati amici. Ecco: in sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo". È la sua ultima parola. Ed è la prima della nostra giovane vita. La professione di fede: Credo Ogni domenica nella celebrazione eucaristica professiamo la nostra fede con il Simbolo dei Concili di Nicea ( 325 ) e di Costantinopoli ( 381 ) Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. Credo la chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen. e con il Simbolo degli Apostoli, l'antico Simbolo battesimale della Chiesa di Roma Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen. Il segno della Croce Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Il segno della croce evoca e professa con le parole e con il gesto i due misteri principali della fede. 1. Unità e Trinità di Dio. 2. Incarnazione, passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. I Sacramenti Il Battesimo, la Confermazione, l'Eucaristia, la Penitenza, l'Unzione degli infermi, l'Ordine, il Matrimonio: sono i sette sacramenti della Chiesa, mediante i quali ci viene donata la vita divina. Il comandamento di Gesù e il decagolo Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli. Il comando nuovo di Gesù porta a compimento l'antica alleanza, espressa nelle dieci parole della Legge: Io sono il Signore, tuo Dio: 1. Non avrai altro dio fuori di me. 2. Non nominare il nome di Dio invano. 3. Ricordati di santificare le feste. 4. Onora tuo padre e tua madre. 5. Non uccidere. 6. Non commettere atti impuri. 7. Non rubare. 8. Non dire falsa testimonianza. 9. Non desiderare la donna d'altri. 10. Non desiderare la roba d'altri. La carità riassume tutti i comandamenti: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, e con tutta la tua mente. Amerai il tuo prossimo come te stesso. Le tre virtù teologali "Queste le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!" ( 1 Cor 13,13 ). Fede, speranza e carità sono le virtù, i principi della vita nuova, che Dio dona ai suoi figli, perché vivano in amicizia e comunione con lui. I Novissimi "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano" ( 1 Cor 2,9 ). Le realtà ultime, i "novissimi" , della nostra vita e della storia umana sono: morte, giudizio, inferno e paradiso. La nostra speranza La risurrezione di Gesù apre ai credenti la speranza della vita eterna e svela il nostro fine ultimo. Dio ci ha creati perché possiamo conoscerlo, amarlo come Padre, servirlo nei fratelli e vivere con lui in una beatitudine senza fine. I Libri della Bibbia "Impara nelle parole di Dio il cuore di Dio" ( S. Gregorio Magno ) L'Antico testamento Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, Giosuè, Giudici, Rut, 1 Samuele, 2 Samuele, 1 Re, 2 Re, 1 Cronache, 2 Cronache, Esdra, Neemia, Tobia, Giuditta, Ester, 1 Maccabei, 2 Maccabei, Giobbe, Salmi, Proverbi, Qoèlet, Cantico dei cantici, Sapienza, Siracide, Isaia, Geremia, Lamentazioni, Baruc, Ezechiele, Daniele, Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia. Il Nuovo Testamento Matteo, Marco, Luca, Giovanni, Atti degli Apostoli, Romani, 1 Corinzi, 2 Corinzi, Galati, Efesini, Filippesi, Colossesi, 1 Tessalonicesi, 2 Tessalonicesi, 1 Timoteo, 2 Timoteo, Tito, Filemone, Ebrei, Giacomo, 1 Pietro, 2 Pietro, 1 Giovanni, 2 Giovanni, 3 Giovanni, Giuda, Apocalisse. I Documenti del Concilio Vaticano II "Un dono di Dio per la Chiesa e per il mondo" ( Sinodo dei Vescovi, 1985 ) Costituzioni Sacrosanctum Concilium ( sulla sacra Liturgia ), Lumen gentium ( sulla Chiesa ), Dei Verbum ( sulla divina Rivelazione ), Gaudium et spes ( sulla Chiesa nel mondo contemporaneo ) Decreti Inter mirifica ( sui mezzi dì comunicazione sociale ), Orientalium Ecclesiarum ( sulle Chiese Orientali Cattoliche ), Unitatis redintegratio ( sull'ecumenismo ), Christus Dominus ( sull'ufficio pastorale dei vescovi nella Chiesa ), Perfectae caritatis ( sul rinnovamento della vita religiosa ), Optatam totius ( sulla formazione sacerdotale ), Apostolicam actuositatem ( sull'apostolato dei laici ), Ad gentes divinitus ( sull'attività missionaria della Chiesa ), Presbyterorum ordinis ( sul ministero e la vita dei presbiteri ) Dichiarazioni Gravissimum educationis ( sull'educazione cristiana ), Nostra aetate ( sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane ), Dignitatis humanae ( sulla libertà religiosa ) Padre nostro Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Gloria Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Come era nel principio, e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen. Ave Maria Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Amen. Salve Regina Salve Regina, madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra, salve. A te ricorriamo, esuli figli di Eva; a te sospiriamo, gementi e piangenti in questa valle di lacrime. Orsù dunque, avvocata nostra, rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi. E mostraci, dopo questo esilio, Gesù, il frutto benedetto del tuo seno. O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria. Angelo di Dio Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me che ti fui affidato dalla pietà celeste. Amen. L'eterno riposo L'eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Amen. Atto di fede Mio Dio, perché sei verità infallibile, credo fermamente tutto quello che tu hai rivelato e la santa Chiesa ci propone a credere. Ed espressamente credo in te, unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte, Padre, Figlio e Spirito Santo. E credo in Gesù Cristo, Figlio di Dio, incarnato e morto per noi, il quale darà a ciascuno, secondo i meriti, il premio o la pena eterna. Conforme a questa fede voglio sempre vivere. Signore, accresci la mia fede. Atto di speranza Mio Dio, spero dalla tua bontà, per le tue promesse e per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore, la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere, che io debbo e voglio fare. Signore, che io possa goderti in eterno. Atto di carità Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, perché sei bene infinito e nostra eterna felicità; e per amor tuo amo il prossimo come me stesso, e perdono le offese ricevute. Signore, che io ti ami sempre più. Atto di dolore Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi, e molto più perché ho offeso te, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa. Propongo con il tuo santo aiuto di non offenderti mai più e di fuggire le occasioni prossime di peccato. Signore, misericordia, perdonami. Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato. ( Sal 51,3 ) O Dio, abbi pietà di me peccatore. ( Lc 18,14 ) Preghiera del mattino Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questa notte. Ti offro le azioni della giornata: fa' che siano tutte secondo la tua santa volontà per la maggior tua gloria. Preservami dal peccato e da ogni male. La tua grazia sia sempre con me e con tutti i miei cari. Amen. Preghiera della sera Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questo giorno. Perdonami il male oggi commesso, e se qualche bene ho compiuto, accettalo. Custodiscimi nel riposo e liberami dai pericoli. La tua grazia sia sempre con me e con tutti i miei cari. Amen. Signore Gesù Cristo Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l'opera dello Spirito Santo morendo hai dato la vita al mondo, liberami da ogni colpa e da ogni male, fa' che sia sempre fedele alla tua legge e non sia mai separato da te.