16 luglio 2017

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Gesù, quando parlava, usava un linguaggio semplice e si serviva anche di immagini, che erano esempi tratti dalla vita quotidiana, in modo da poter essere compreso facilmente da tutti.

Per questo lo ascoltavano volentieri e apprezzavano il suo messaggio che arrivava dritto nel loro cuore; e non era quel linguaggio complicato da comprendere, quello che usavano i dottori della Legge del tempo, che non si capiva bene ma che era pieno di rigidità e allontanava la gente.

E con questo linguaggio Gesù faceva capire il mistero del Regno di Dio; non era una teologia complicata.

E un esempio è quello che oggi porta il Vangelo: la parabola del seminatore.

Il seminatore è Gesù.

Notiamo che, con questa immagine, Egli si presenta come uno che non si impone, ma si propone; non ci attira conquistandoci, ma donandosi: butta il seme.

Egli sparge con pazienza e generosità la sua Parola, che non è una gabbia o una trappola, ma un seme che può portare frutto.

E come può portare frutto?

Se noi lo accogliamo.

Perciò la parabola riguarda soprattutto noi: parla infatti del terreno più che del seminatore.

Gesù effettua, per così dire, una "radiografia spirituale" del nostro cuore, che è il terreno sul quale cade il seme della Parola.

Il nostro cuore, come un terreno, può essere buono e allora la Parola porta frutto – e tanto – ma può essere anche duro, impermeabile.

Ciò avviene quando sentiamo la Parola, ma essa ci rimbalza addosso, proprio come su una strada: non entra.

Tra il terreno buono e la strada, l'asfalto – se noi buttiamo un seme sui "sanpietrini" non cresce niente – ci sono però due terreni intermedi che, in diverse misure, possiamo avere in noi.

Il primo, dice Gesù, è quello sassoso.

Proviamo a immaginarlo: un terreno sassoso è un terreno « dove non c'è molta terra » ( cfr v. 5 ), per cui il seme germoglia, ma non riesce a mettere radici profonde.

Così è il cuore superficiale, che accoglie il Signore, vuole pregare, amare e testimoniare, ma non persevera, si stanca e non "decolla" mai.

È un cuore senza spessore, dove i sassi della pigrizia prevalgono sulla terra buona, dove l'amore è incostante e passeggero.

Ma chi accoglie il Signore solo quando gli va, non porta frutto.

C'è poi l'ultimo terreno, quello spinoso, pieno di rovi che soffocano le piante buone.

Che cosa rappresentano questi rovi?

« La preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza » ( v. 22 ), così dice Gesù, esplicitamente.

I rovi sono i vizi che fanno a pugni con Dio, che ne soffocano la presenza: anzitutto gli idoli della ricchezza mondana, il vivere avidamente, per sé stessi, per l'avere e per il potere.

Se coltiviamo questi rovi, soffochiamo la crescita di Dio in noi.

Ciascuno può riconoscere i suoi piccoli o grandi rovi, i vizi che abitano nel suo cuore, quegli arbusti più o meno radicati che non piacciono a Dio e impediscono di avere il cuore pulito.

Occorre strapparli via, altrimenti la Parola non porterà frutto, il seme non si svilupperà.

Cari fratelli e sorelle, Gesù ci invita oggi a guardarci dentro: a ringraziare per il nostro terreno buono e a lavorare sui terreni non ancora buoni.

Chiediamoci se il nostro cuore è aperto ad accogliere con fede il seme della Parola di Dio.

Chiediamoci se i nostri sassi della pigrizia sono ancora numerosi e grandi; individuiamo e chiamiamo per nome i rovi dei vizi.

Troviamo il coraggio di fare una bella bonifica del terreno, una bella bonifica del nostro cuore, portando al Signore nella Confessione e nella preghiera i nostri sassi e i nostri rovi.

Così facendo, Gesù, buon seminatore, sarà felice di compiere un lavoro aggiuntivo: purificare il nostro cuore, togliendo i sassi e le spine che soffocano la Parola.

La Madre di Dio, che oggi ricordiamo col titolo di Beata Vergine del monte Carmelo, insuperabile nell'accogliere la Parola di Dio e nel metterla in pratica ( cfr Lc 8,21 ), ci aiuti a purificare il cuore e a custodirvi la presenza del Signore.