Ad Petri cathedram

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II

Dal conseguimento della verità, piena, integra, sincera, deve necessariamente scaturire l'unione delle menti, degli animi e delle azioni.

Infatti ogni contrasto e disaccordo trova la sua prima causa nel fatto che la verità o non è conosciuta o, peggio ancora, quantunque conosciuta, viene impugnata per i vantaggi che spesso si spera di ricavare da false opinioni, ovvero per quella biasimevole cecità che spinge gli uomini a giustificare i loro vizi e le cattive azioni.

È dunque necessario che tutti, sia i privati cittadini, sia coloro che hanno in mano le sorti dei popoli, amino sinceramente la verità se vogliono godere quella concordia e quella pace, dalle quali soltanto può derivare la vera prosperità pubblica e privata.

In modo particolare esortiamo a siffatta concordia e pace i supremi reggitori delle nazioni.

Posti al di sopra delle contese fra gli stati, Noi che abbracciamo tutti i popoli con pari carità e non siamo mossi da nessun intento di dominazione politica e da nessun desiderio di beni terrestri, nel parlare di un argomento così estremamente importante, crediamo di poter essere serenamente giudicati e ascoltati dagli uomini di ogni nazione.

Dio ha creato gli uomini non nemici, ma fratelli.

Ha dato loro la terra da coltivare con il lavoro e la fatica, perché tutti ne godano i frutti e ne traggano il necessario per il sostentamento e i bisogni della vita.

Le diverse nazioni altro non sono che comunità di uomini, cioè di fratelli, che devono tendere in unione fraterna, non solo al fine proprio di ciascuna, ma altresì al bene comune dell'intero consorzio umano.

Del resto il corso di questa vita mortale non deve essere considerato soltanto in se stesso o come avente finalità puramente edonistiche.

Esso, se conduce al dissolvimento del corpo dell'uomo, prepara e avvia altresì alla vita immortale, alla patria dove vivremo in eterno.

Tolta dall'animo dell'uomo questa dottrina, questa consolante speranza, crollano tutte le ragioni della vita.

Insorgono negli animi, fatalmente, le passioni, le lotte e le discordie, che nessun freno potrà efficacemente contenere.

Non splende più l'olivo della pace, ma divampa la fiamma della discordia.

La sorte dell'uomo diviene quasi simile a quella degli esseri privi di intelletto; anzi - e ciò è ancora peggio - abusando della ragione egli può precipitare negli abissi del male, cosa che purtroppo spesso avviene, e giungere, come già Caino, a macchiare la terra di sangue fraterno e di delitti.

Se si vuole quindi - e chi non dovrebbe volerlo? - ricondurre le umane azioni nel sentiero della giustizia è necessario anzitutto richiamare la ragione e l'animo a questi retti principi.

Se ci diciamo e siamo fratelli, se siamo chiamati ad una medesima sorte nella vita presente e nella futura, come è mai possibile che alcuno tratti gli altri da avversari e da nemici?

Perché invidiare gli altri, suscitare odio e rivolgere armi micidiali contro i fratelli?

Abbastanza si è combattuto fra gli uomini.

Troppi giovani nel fiore dell'età hanno versato il loro sangue.

Già troppi cimiteri di caduti in guerra esistono, e ci ammoniscono, con voce severa, a raggiungere una buona volta la concordia, l'unità, una giusta pace.

Pensi quindi ognuno, non a ciò che divide gli animi, ma a ciò che li può unire nella mutua comprensione e nella reciproca stima.

Soltanto se si cerca veramente la pace e non la guerra, come è doveroso, se si tende con comune e sincero sforzo alla fraterna concordia tra i popoli, soltanto allora, diciamo, sarà possibile armonizzare gli interessi e comporre felicemente tutte le divergenze.

E si potrà così addivenire di comune intesa e con mezzi opportuni a quella sospirata e concorde unione per cui i diritti di ogni singolo stato alla libertà, lungi dal venire conculcati da altri, sono invece del tutto posti al sicuro.

Coloro infatti che opprimono gli altri e li spogliano della loro libertà, non possono certamente apportare il loro contributo a questa unità.

E qui si presenta quanto mai opportuna l'affermazione del Nostro predecessore di f.m. Leone XIII:

« Per frenare l'ambizione, la cupidigia dei beni altrui, la rivalità, che sono i più validi incentivi alla guerra, nulla val meglio delle virtù cristiane, della giustizia in primo luogo ».5

Del resto, se le nazioni non arriveranno a questa unione fraterna, fondata necessariamente sulla giustizia e alimentata dalla carità, la situazione mondiale rimarrà assai grave.

Gli uomini sensati deplorano perciò giustamente una situazione così incerta, che lascia in dubbio se ci si avvii verso una pace solida e vera, oppure si corra con estrema cecità verso una nuova spaventosa guerra.

Con estrema cecità, abbiamo detto; se infatti - Dio non voglia! - dovesse scoppiare una nuova guerra, tale è la potenza delle armi mostruose dei nostri giorni che non rimarrebbe altro per tutti i popoli - vincitori e vinti - fuorché immensa strage e universale rovina.

Perciò supplichiamo tutti, ma specialmente i reggitori degli stati, di meditare su ciò attentamente davanti a Dio giudice, e di adoperare coraggiosamente ogni mezzo che possa condurre alla necessaria unione.

Questa unità di intenti che, come abbiamo detto, conferirà senza dubbio ad accrescere anche la prosperità di tutti i popoli, potrà essere restaurata allora soltanto quando, pacificati gli animi e salvaguardati i diritti di ognuno, risplenderà dovunque la libertà dovuta ai cittadini, alle nazioni, agli stati, alla chiesa.

È inoltre assolutamente necessario restaurare anche fra le varie classi sociali la stessa concordia che si desidera fra i popoli e le nazioni.

Se ciò non avverrà, si avranno, come già si vedono, vicendevoli odi e discordie, donde potranno nascere tumulti, dannosi rivolgimenti e talvolta anche eccidi, cui si aggiungerebbe il progressivo estenuarsi della ricchezza e la crisi della pubblica e privata economia.

Già il Nostro predecessore sopra menzionato giustamente osservava: « Dio volle che nella comunità dell'umano consorzio vi fosse disparità di classi, ma insieme amichevoli rapporti di equità tra le medesime ».6

Infatti « come nel corpo le varie membra si accordano insieme e formano quell'armonico temperamento che si chiama simmetria, allo stesso modo la natura esige che nella civile convivenza… le classi si integrino vicendevolmente e portino, collaborando fra di loro, a un giusto equilibrio.

Ognuna ha bisogno dell'altra: non può stare il capitale senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale.

La concordia produce la bellezza e l'ordine delle cose ».7

Chi osa quindi negare la disparità delle classi sociali, contraddice all'ordine stesso di natura.

Chi poi avversa questa amichevole e inderogabile cooperazione tra le classi stesse, tende senza dubbio a sconvolgere e a dividere l'umana società, con grave turbamento e danno del bene pubblico e privato.

Del resto, osservava sapientemente il Nostro predecessore Pio XII di f.m.:

« In un popolo degno di questo nome tutte le disuguaglianze che non derivano dall'arbitrio, ma dalla natura stessa delle cose, disuguaglianze di cultura, di averi, di posizione sociale, senza pregiudizio, ben inteso, della giustizia e carità reciproche, non sono affatto un ostacolo all'esistenza e al predominio di un autentico spirito di comunità e di fraternità ».8

Possono bensì le singole classi e le varie categorie di cittadini tutelare i propri diritti, purché ciò si faccia legittimamente e non con la violenza, senza invadere gli altrui diritti, anch'essi inderogabili.

Tutti sono fratelli; pertanto tutte le questioni devono comporsi amichevolmente con mutua fraterna carità.

È doveroso riconoscere, e ciò è di buon auspicio, che, da qualche tempo, si assiste in molte parti ad una situazione meno tesa fra le varie categorie sociali, come già osservava il Nostro immediato predecessore parlando ai cattolici di Germania:

« La tremenda catastrofe che si è abbattuta su di voi, ha arrecato il beneficio che in cospicui ceti, fattisi liberi da pregiudizi e dall'egoismo dei gruppi, i contrasti delle classi sono in gran parte appianati, e gli uomini si sono maggiormente avvicinati gli uni agli altri.

La miseria comune fu ed è un'amara, ma salutare, maestra di disciplina ».9

In realtà oggi sono alquanto attenuate le distanze fra le classi, le quali non possono più ridursi a un dualismo di blocchi contrapposti fondato esclusivamente sul rapporto capitale e lavoro.

Si delinea invece una sempre maggiore molteplicità di gruppi e, in seno ai gruppi stessi, una crescente apertura, per cui i più preparati e i più idonei hanno la possibilità di accedere anche alle posizioni più elevate.

Per quanto poi riguarda più direttamente il mondo del lavoro, è consolante pensare a quei movimenti sorti recentemente, che intendono ricomporre le relazioni umane nell'ambito dell'impresa su un piano più elevato di quello economico.

Molto cammino però resta da percorrere.

Giacché esistono ancora troppe sperequazioni, troppi motivi di attrito tra settore e settore, a causa talora anche di una concezione imperfetta o non giusta del diritto di proprietà, dovuta alle tenaci resistenze dell'egoismo e dell'individualismo.

A ciò si aggiunge il doloroso fenomeno della disoccupazione, per cui molti sono oppressi da gravi angustie, fenomeno che, almeno momentaneamente, i rapidi progressi della tecnica moderna nel campo della produzione, potrebbero ancor più aggravare.

Argomento questo, che faceva dire con rammarico al Nostro predecessore Pio XI di f.m.: « Vediamo forzati all'inerzia e poi ridotti all'indigenza anche estrema con le loro famiglie tanti e tanti onesti e volonterosi lavoratori, di null'altro più desiderosi che di guadagnarsi onestamente, con il sudore della fronte, secondo il mandato divino, il pane quotidiano che invocano ogni giorno dal Padre celeste.

I loro gemiti commuovono il Nostro cuore paterno e Ci fanno ripetere, con la medesima tenerezza di commiserazione, la parola uscita già dal cuore amorevolissimo del divino Maestro sopra la folla languente di fame: "Ho compassione di questo popolo" ( Mc 8,2 ) ».10

Se dunque si vuole e si cerca - e tutti debbono volerla e cercarla - la desiderata armonia tra le classi, unendo insieme gli sforzi pubblici e privati e aiutando le coraggiose iniziative, bisogna adoperarsi nel miglior modo possibile affinché tutti, anche quelli della più umile condizione, possano con il lavoro e il sudore della loro fronte procurarsi il necessario per vivere e provvedere sicuramente e onestamente all'avvenire per sé e per i propri cari.

Tanto più che ai giorni nostri si vanno ormai diffondendo parecchie confortevoli condizioni di vita, dalle quali non è lecito escludere le categorie meno abbienti.

Vivamente esortiamo poi tutti coloro sui quali gravano le maggiori responsabilità in seno all'impresa, e da cui qualche volta dipende anche la vita degli operai, a non valutare il lavoratore soltanto dal punto di vista economico, a non limitarsi al riconoscimento dei suoi diritti, in ordine alla giusta mercede, ma a rispettare altresì la dignità della sua persona e a considerarlo anzi come fratello.

Si adoperino inoltre affinché gli operai, partecipando sempre più in congrua misura ai frutti dell'impresa, si sentano non estranei ad essa, ma cointeressati alla sua vita e ai suoi sviluppi.

Questo diciamo, spinti dal desiderio che si attui una sempre maggiore armonia fra i vicendevoli diritti e doveri delle categorie che compongono il mondo del lavoro, e affinché le relative organizzazioni professionali « non siano intese come un'arma esclusivamente rivolta ad una guerra difensiva e offensiva, che provoca reazioni e rappresaglie, non come una fiumana che dilaga e divide, ma come un ponte che unisce ».11

Soprattutto però si deve provvedere perché ai felici sviluppi raggiunti sul piano economico corrisponda un non minore progresso nel campo dei valori spirituali, come è richiesto dalla dignità stessa dei cristiani, anzi dalla stessa dignità di uomini.

Che gioverebbe infatti al lavoratore conseguire miglioramenti economici in misura sempre più larga e raggiungere un tenore di vita più elevato, se malauguratamente avesse a perdere o a trascurare i superiori beni dello spirito?

Le prospettive a cui si mira potranno realizzarsi soltanto con la piena attuazione della dottrina sociale della chiesa, e se tutti « procureranno di alimentare in sé e accendere negli altri, nei grandi e nei piccoli, la carità, signora e regina di tutte le virtù.

Poiché la desiderata salvezza deve essere principalmente frutto di una grande effusione di carità; quella carità cristiana che compendia in sé tutto l'evangelo, e che, pronta sempre a sacrificarsi per il prossimo, è il più sicuro antidoto contro l'orgoglio e l'egoismo del secolo, e di cui san Paolo tratteggiò i divini lineamenti con quelle parole: "La carità è longanime, è benigna, non ricerca il proprio tornaconto, tutto soffre, tutto sopporta" » ( 1 Cor 13,4-7 ).12

Infine alla stessa concordia alla quale abbiamo invitato i popoli, i loro capi, le classi sociali, invitiamo pure, con animo paterno, tutte le famiglie, perché la cerchino e la consolidino.

Se infatti non c'è pace, unità e concordia nelle famiglie, come potrà aversi nella società civile?

Questa ordinata e armonica unione che deve sempre regnare tra le pareti domestiche nasce dal vincolo indissolubile e dalla santità propria del matrimonio cristiano, e coopera per tanta parte all'ordine, al progresso e al benessere dell'intera società civile.

Il padre, capo della famiglia, abbia tra i suoi quasi la rappresentanza di Dio e preceda gli altri non solo con l'autorità, ma anche con l'esempio di una vita integra.

La madre, con la gentilezza dell'animo e con le virtù domestiche, sia buona e affettuosa con il marito, e insieme con lui guidi con fortezza e soavità i figli, preziosissimo dono di Dio, e li educhi a una vita onesta e religiosa.

I figli siano sempre obbedienti, come è doveroso, ai genitori, li amino, siano loro non solo di conforto ma, se necessario, anche di aiuto.

Spiri tra le pareti domestiche quella carità di cui ardeva la sacra famiglia di Nazaret.

Vi fioriscano tutte le virtù cristiane, domini l'unione dei cuori, e rifulga l'esempio di una vita onesta.

Non sia mai - ne preghiamo ardentemente Dio - che venga turbata una così bella, soave e necessaria concordia; quando l'istituto cristiano della famiglia vacilla, quando vengono respinti o negletti i comandi del divino Redentore su questo punto, allora possono crollare i fondamenti stessi della civile convivenza, che viene posta in serio pericolo, con danni incalcolabili per tutti i cittadini.

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5 Epist. Praeclara gratulationis: Acta Leonis XIII 14 ( 1894 ), p. 210
6 Epist. Permoti Nos: Acta Leonis Xlll 15 ( 1895 ), p. 259
7 Leone XIII, Rerum novarum 11
8 Radiomessaggio Natalizio 1944: Discorsi e radiomessaggi di S.S. Pio X11, vol. VI, p. 239; AAS 37 ( 1945 ), p. 14
9 Radiomessaggio al 73° Congresso dei cattolici tedeschi: Discorsi e radiomessaggi di S. S. Pio X11, vol. XI, p. 189; AAS 41 ( 1949 ), p. 460
10 AAS 23 ( 1931 ), pp. 393-394; EE 5/810
11 « per un solido ordine sociale »: Discorsi e radiomessaggi di S. S. Pio XII, vol. VII, p. 350
12 Epist. Inter graves: Acta Leonis XIII 11 ( 1891 ), pp. 143-144