Laborem exercens

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Diritti degli uomini del lavoro

23 Il lavoro e il problema dell'emigrazione

Occorre, infine, pronunciarsi almeno sommariamente sul tema della cosiddetta emigrazione per lavoro.

Questo è un fenomeno antico, ma che tuttavia si ripete di continuo ed ha, anche oggi, grandi dimensioni per le complicazioni della vita contemporanea.

L'uomo ha il diritto di lasciare il proprio Paese d'origine per vari motivi - come anche di ritornarvi - e di cercare migliori condizioni di vita in un altro Paese.

Questo fatto, certamente, non è privo di difficoltà di varia natura; prima di tutto, esso costituisce, in genere, una perdita per il Paese dal quale si emigra.

Si allontana un uomo e insieme un membro di una grande comunità, ch'è unita dalla storia, dalla tradizione, dalla cultura, per iniziare una vita in mezzo ad un'altra società, unita da un'altra cultura e molto spesso anche da un'altra lingua.

Viene a mancare in tale caso un soggetto di lavoro, il quale con lo sforzo del proprio pensiero o delle proprie mani potrebbe contribuire all'aumento del bene comune nel proprio Paese; ed ecco, questo sforzo, questo contributo viene dato ad un'altra società, la quale, in un certo senso ne ha diritto minore che non la patria d'origine.

E tuttavia, anche se l'emigrazione è sotto certi aspetti un male, in determinate circostanze questo è, come si dice, un male necessario.

Si deve far di tutto - e certamente molto si fa a questo scopo - perché questo male in senso materiale non comporti maggiori danni in senso morale, anzi perché, in quanto possibile, esso porti perfino un bene nella vita personale, familiare e sociale dell'emigrato, per quanto riguarda sia il Paese nel quale arriva, sia la patria che lascia.

In questo settore moltissimo dipende da una giusta legislazione, in particolare quando si tratta dei diritti dell'uomo del lavoro.

E s'intende che un tale problema entra nel contesto delle presenti considerazioni, soprattutto da questo punto di vista.

La cosa più importante è che l'uomo, il quale lavora fuori del suo Paese natio tanto come emigrato permanente quanto come lavoratore stagionale, non sia svantaggiato nell'ambito dei diritti riguardanti il lavoro in confronto agli altri lavoratori di quella determinata società.

L'emigrazione per lavoro non può in nessun modo diventare un'occasione di sfruttamento finanziario o sociale.

Per quanto riguarda il rapporto di lavoro col lavoratore immigrato, devono valere gli stessi criteri che valgono per ogni altro lavoratore in quella società.

Il valore del lavoro deve essere misurato con lo stesso metro, e non con riguardo alla diversa nazionalità, religione o razza.

A maggior ragione non può essere sfruttata una situazione di costrizione, nella quale si trova l'emigrato.

Tutte queste circostanze devono categoricamente cedere - naturalmente dopo aver preso in considerazione le speciali qualifiche - di fronte al fondamentale valore del lavoro, il quale è collegato con la dignità della persona umana.

Ancora una volta va ripetuto il fondamentale principio: la gerarchia dei valori, il senso profondo del lavoro stesso esigono che sia il capitale in funzione del lavoro, e non il lavoro in funzione del capitale.

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