Reconciliatio et paenitentia

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Seconda parte - L'amore più grande del peccato

Il dramma dell'uomo

13 Come scrive l'apostolo san Giovanni, « se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi.

Se riconosciamo i nostri peccati, Egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati ». ( 1 Gv 1,8s )

Queste parole ispirate, scritte agli albori della Chiesa, avviano meglio di qualsiasi altra espressione umana quel discorso sul peccato, che è strettamente connesso con quello sulla riconciliazione.

Esse colgono il problema del peccato nel suo orizzonte antropologico, in quanto parte integrante della verità sull'uomo, ma lo inseriscono subito nell'orizzonte divino, nel quale il peccato è confrontato con la verità dell'amore divino, giusto, generoso e fedele, che si manifesta soprattutto col perdono e la redenzione.

Perciò, lo stesso san Giovanni scrive poco oltre che « qualunque cosa ( il nostro cuore ) ci rimproveri, Dio è più grande del nostro cuore ». ( 1 Gv 3,20 )25

Riconoscere il proprio peccato, anzi - andando ancora più a fondo nella considerazione della propria personalità - riconoscersi peccatore, capace di peccato e portato al peccato, è il principio indispensabile del ritorno a Dio.

È l'esperienza esemplare di Davide, che dopo « aver fatto male agli occhi del Signore », rimproverato dal profeta Nathan, ( 2 Sam 11-12 ) esclama: « Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi.

Contro di te, contro te solo ho peccato; quello che è male ai tuoi occhi io l'ho fatto ». ( Sal 51,5s )

Del resto, Gesù mette sulla bocca e nel cuore del figliol prodigo quelle significative parole: « Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te ». ( Lc 15,18.21 )

In realtà, riconciliarsi con Dio suppone e include il distaccarsi con lucidità e determinazione dal peccato, in cui si è caduti.

Suppone e include, dunque, il fare penitenza nel senso più completo del termine: pentirsi, manifestare il pentimento, assumere l'atteggiamento concreto del pentito, che è quello di chi si mette sulla via del ritorno al padre.

Questa è una legge generale, che ciascuno deve seguire nella situazione particolare in cui si trova.

Il discorso sul peccato e sulla conversione, infatti, non può essere svolto solo in termini astratti.

Nella condizione concreta dell'uomo peccatore, in cui non può esservi conversione senza riconoscimento del proprio peccato, il ministero di riconciliazione della Chiesa interviene in ogni caso con una finalità schiettamente penitenziale, cioè per riportare l'uomo al « cognoscimento di sé », secondo l'espressione di santa Caterina da Siena,26 al distacco dal male, al ristabilimento dell'amicizia con Dio, al riordinamento interiore, alla nuova conversione ecclesiale.

Anzi, oltre l'ambito della Chiesa e dei credenti, il messaggio e il ministero della penitenza sono rivolti a tutti gli uomini, perché tutti hanno bisogno di conversione e di riconciliazione. ( Rm 3,23-26 )

Per adempiere adeguatamente tale ministero penitenziale, è necessario anche valutare, con gli « occhi illuminati » ( Ef 1,18 ) della fede, le conseguenze del peccato, che sono motivo di divisione e di rottura non solo all'interno di ogni uomo, ma anche nelle varie cerchie in cui egli vive: familiare, ambientale, professionale, sociale, come tante volte si può sperimentalmente constatare, a conferma della pagina biblica riguardante la città di Babele e la sua torre. ( Gen 11,1-9 )

Intenti a costruire ciò che doveva essere ad un tempo simbolo e focolare di unità, quegli uomini si ritrovarono più dispersi di prima, confusi nel linguaggio, divisi tra loro, incapaci di consenso e di convergenza.

Perché fallì l'ambizioso progetto? Perché « si affaticarono invano i costruttori »? ( Sal 127,1 )

Perché gli uomini avevano posto quale segno e garanzia dell'auspicata unità soltanto un'opera delle loro mani, dimentichi dell'azione del Signore.

Essi avevano puntato sulla sola dimensione orizzontale del lavoro e della vita sociale, noncuranti di quella verticale, per la quale si sarebbero trovati radicati in Dio, loro Creatore e Signore, e protesi verso di lui come fine ultimo del loro cammino.

Ora si può dire che il dramma dell'uomo d'oggi, come dell'uomo di tutti i tempi, consista proprio nel suo carattere babelico.

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25 Il riferimento da me fatto a questo brano nel discorso all'Udienza generale del 14 Marzo 1984: Insegnamenti VII, 1 ( 1984 ), 683
26 Lettere, Firenze 1970,1, pp. 3 s.; Il Dialogo della Divina Provvidenza, Roma 1980, passim