Mercoledì, 5 giugno 2013

Nel sottosuolo dell'esistenza

Per le persone che vivono « nel sottosuolo dell'esistenza », in condizioni « al limite », e che hanno perso la speranza ha pregato Papa Francesco durante la messa di stamane, mercoledì 5 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Tra gli altri, hanno concelebrato il cardinale Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, e padre Anthony Ward, sottosegretario, che accompagnavano officiali e dipendenti del dicastero.

Tra i presenti, anche un gruppo della Biblioteca Apostolica Vaticana con il prefetto, monsignor Cesare Pasini.

L'invito a rivolgere il pensiero ai tanti che sperimentano situazioni di abbandono e « di sofferenza esistenziale » è stato suggerito dalle letture liturgiche.

Nella prima, tratta dal libro di Tobia ( Tb 3,1-11.16-17 ), il Papa ha individuato nelle esperienze di Tobia e di Sara le storie di due persone sofferenti, al limite della disperazione, in bilico tra la vita e la morte.

Entrambe sono in cerca di « una via d'uscita », che trovano lamentandosi.

« Non bestemmiano, ma si lamentano » ha puntualizzato il Santo Padre.

« Lamentarsi davanti a Dio non è peccato » ha affermato.

E subito dopo ha raccontato: « Un prete, che io conosco, una volta ha detto a una donna che si lamentava davanti a Dio per le sue calamità: Ma signora, quella è una forma di preghiera, vada avanti.

Il Signore sente, ascolta i nostri lamenti ».

Il Pontefice ha quindi ricordato l'esempio di Giobbe e di Geremia che, ha notato, « si lamentano anche con una maledizione: non al Signore, ma per quella situazione ».

Del resto, ha aggiunto, lamentarsi « è umano », anche perché « sono tante le persone in questo stato di sofferenza esistenziale ».

E facendo riferimento alla fotografia del bambino denutrito pubblicata ieri pomeriggio sulla prima pagina dell'Osservatore Romano, ha chiesto: « Quanti ce ne sono così?

Pensiamo alla Siria, ai rifugiati, a tutti questi? ».

E « pensiamo agli ospedali: quanti, con malattie terminali, soffrono questo? ».

La risposta è stata offerta da Papa Francesco riferendosi al terzo personaggio proposto nella liturgia odierna: la donna descritta nel brano evangelico ( Mc 12,18-27 ).

Rivolgendosi a Gesù i sadducei la presentavano, ha sottolineato il Santo Padre, come in « un laboratorio, tutto asettico, un caso di morale ».

Invece « quando noi parliamo di queste persone, che sono in situazioni al limite », dobbiamo farlo « con il cuore vicino a loro »; dobbiamo pensare « a questa gente, che soffre tanto, con il nostro cuore, con la nostra carne ».

E ha detto di non apprezzare « quando si parla di queste situazioni in maniera accademica e non umana », ricorrendo magari solo a statistiche.

« Nella Chiesa ci sono tante persone in questa situazione » e a chi chiede cosa si debba fare la risposta del Pontefice è « quello che dice Gesù: pregare, pregare per loro ».

Le persone che soffrono - ha spiegato - « devono entrare nel mio cuore, devono essere un'inquietudine per me.

Il mio fratello soffre, la mia sorella soffre; ecco il mistero della comunione dei santi.

Pregare: Signore guarda quello, piange, soffre.

Pregare, permettetemi di dirlo, con la carne ».

Pregare con la nostra carne, dunque, « non con le idee; pregare con il cuore » ha ribadito.

Infine il Pontefice ha messo in luce come nella prima lettura ci sia una « parolina che apre la porta alla speranza » e che può aiutare nella preghiera.

È l'espressione « nello stesso momento »: quando Tobia pregava, « nello stesso momento » Sara pregava; e « nello stesso momento » la preghiera di entrambi fu accolta davanti alla gloria di Dio.

« La preghiera - ha detto il Pontefice - arriva sempre alla gloria di Dio.

Sempre, quando è preghiera del cuore ».

Invece, quando si guarda alle situazioni di sofferenza solo come a « un caso di morale », essa « non arriva mai, perché non esce mai da noi stessi, non ci interessa, è un gioco intellettuale ».

Da qui l'invito a pensare ai sofferenti.

È una condizione che Gesù conosce bene, fino al limite estremo dell'abbandono sulla croce.

« Parliamo con Gesù oggi a messa - ha concluso Papa Francesco - di tutti questi fratelli e sorelle che soffrono tanto, che sono in questa situazione.

Perché la nostra preghiera arrivi e sia un po' di speranza per tutti noi ».