Commercio internazionale delle armi

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V. Verso la regolamentazione internazionale del trasferimento delle armi

Non basta controllare il trasferimento delle armi 1. Ogni regolamentazione del trasferimento delle armi, per quanto rigorosa sia, rimarrà senza effetto duraturo se gli stati non stabiliranno le condizioni politiche e sociali che permettano una riduzione radicale di questi trasferimenti. Bisogna lavorare effettivamente per aumentare i rapporti di fiducia tra gli stati e ciò faciliterà lo sviluppo di un regime internazionale di regolamentazione dei trasferimenti di armi. Si tratta di rendere inaccettabile ogni guerra e di raddrizzare gli interessi economici o sociali distorti. Il mezzo più efficace, che richiederà l'impegno risoluto e concorde di tutti, sarà quello di dare la priorità allo sviluppo integrale dell'uomo e della comunità umana: « Deve essere ben chiaro a ognuno che ciò che è in gioco è la vita stessa dei popoli poveri, è la pace civile nei paesi in via di sviluppo, ed è la pace del mondo ».30 2. Il principio direttivo determinante di qualsiasi regolamentazione del commercio delle armi è la ricerca di un mondo più rispettoso della dignità dell'uomo. Tutti compresi i governanti e i responsabili dell'industria degli armamenti devono impegnarsi al raggiungimento di questo scopo. L'opinione pubblica ha un ruolo particolare da svolgere: quello di essere la forza dinamica che talvolta sostiene e talvolta precede l'elaborazione di programmi e di regolamentazioni governative. Iniziative da sostenere 3. La consapevolezza delle conseguenze nefaste e dannose del trasferimento delle armi è aumentata notevolmente in questi ultimi anni. Attualmente, molti organismi internazionali e regionali sono investiti del problema. Bisogna sperare che le loro iniziative, appena all'inizio, imbocchino strade concrete ed efficaci. Questa dinamica attuale, per quanto fragile possa essere, va incoraggiata e intensificata. Non bisogna perdere lo slancio. 4. Nel luglio 1991, i sette paesi più industrializzati del mondo (G7) hanno riconosciuto l'importanza del contributo che essi possono dare allo sforzo per ridurre i pericoli provenienti dal trasferimento delle armi classiche.31 I cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza, che sono tra i primi esportatori di armi convenzionali, hanno avviato colloqui per elaborare princìpi direttivi comuni in materia.32 Queste discussioni devono essere allargate per includere altri paesi fornitori e anche stati destinatari,33 in vista dell'adozione di norme internazionali legalmente obbliganti e soggette a rigorose misure di verifica. 5. Senza attendere l'elaborazione di un tale codice di comportamento, gli organismi competenti potrebbero iniziare negoziati per limitare radicalmente o, meglio, interdire totalmente, i trasferimenti di alcune categorie di armi. Un punto di partenza potrebbe essere l'interdizione del trasferimento delle armi che hanno effetti traumatici eccessivi e perciò sono soggette alle leggi umanitarie.34 Tra queste, una particolare attenzione è dovuta alle mine disseminate che infliggono alle popolazioni civili danni inaccettabili anche molto tempo dopo la cessazione delle ostilità.35 Inoltre, i terreni minati rimangono spesso a lungo inutilizzati sia a causa del pericolo di esplosioni sia a causa dei costi elevati del loro sminamento. 6. La mancanza di dati sufficientemente affidabili e universali riguardo alla estensione reale dei trasferimenti di armi impedisce di conoscere a fondo le dimensioni del fenomeno, mentre la mancanza di un sistema standardizzato di informazione rende difficile qualsiasi paragone tra i dati forniti. Tuttavia, tali informazioni costituiscono la premessa per qualsiasi regolamentazione internazionale efficace: questa esige un clima di fiducia tra gli stati che può fondarsi soltanto su conoscenze esatte. Per tentare di colmare questa lacuna, l'assemblea generale delle Nazioni unite, nel 1991, ha chiesto al segretario generale di istituire « un registro universale e nondiscriminatorio delle armi classiche che includesse dati sui trasferimenti internazionali di armi e informazioni fornite dagli stati membri sulle loro dotazioni militari, sui loro acquisti legati alla produzione nazionale e sulla loro politica in materia ».36 La portata del registro è attualmente molto limitata, ma è già previsto il suo allargamento.37 Questo registro ha uno scopo molto specifico: creare la fiducia e aumentare la trasparenza.38 Esso non è costrittivo e perciò la sua riuscita dipende dalla volontà degli stati di fornire con precisione le informazioni richieste. 7. Secondo un'altra raccomandazione dell'assemblea generale delle Nazioni unite, gli stati sono invitati ad accordare un'attenzione prioritaria alla eliminazione del commercio illecito di tutti i tipi di armi e di materiale militare, commercio legato ai conflitti, alle attività mercenarie, al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di droga e ad altre attività destabilizzanti.39 Questo commercio illecito non può essere arginato senza la ferma determinazione di tutti i governanti, l'industria degli armamenti e coloro che hanno accesso a importanti depositi di armi di rifiutare le armi ai protagonisti della violenza. Non deve essere risparmiato nessuno sforzo per bloccare questo trasferimento nefasto. Ogni misura, per quanto minima, per bloccare la libera circolazione delle armi perderà gran parte della sua efficacia finché esisteranno importanti depositi di armi non ben sorvegliati e mezzi finanziari, di provenienza spesso dubbiosa, sufficienti per acquistarle. L'istituzione di misure di sorveglianza e di controllo a livello regionale, almeno per i depositi di armi destinati alla distruzione, potrebbe essere un mezzo per assicurarsi che non cadano in mano di altri. Nello stesso modo, una più grande trasparenza nei trasferimenti dei fondi internazionali aiuterebbe a bloccare i fondi destinati all'acquisto di armi. Similmente, è necessario che cessi l'anomalia per cui alcuni stati operano controlli rigorosi sul trasferimento delle armi pesanti senza preoccuparsi molto della vendita delle armi leggere e individuali. Il problema della quasi libera circolazione di queste armi deve fin d'ora diventare parte integrante di qualsiasi considerazione sul commercio di armi.40 8. Altre organizzazioni governative internazionali stanno studiando l'effetto dell'acquisto delle armi sull'economia dei paesi destinatari, spesso del terzo mondo.41 Queste stesse organizzazioni offrono a questi paesi la loro competenza per aiutarli a rivedere le loro priorità di bilancio, lasciando ai governi stessi qualsiasi decisione in materia. Benché tale approccio sia da incoraggiare, esso corre il rischio di essere considerato come discriminatorio. Per assicurarne meglio il successo, bisognerebbe che gli stati esportatori dessero prova della loro volontà di diminuire le loro vendite. 9. Nessuna di queste iniziative internazionali appena iniziate e ve ne sono anche altre42 ha carattere obbligatorio. Tutte dipendono per la loro realizzazione dalla volontà politica di ciascun governo. Sfortunatamente, e malgrado le dichiarazioni d'intenti contrarie,43 una grande quantità di armi sofisticate continua a essere trasferita verso alcune regioni fortemente instabili. Così pure, sono stati fatti tentativi per aprire nuovi mercati. Tuttavia, non si devono sottovalutare queste prime iniziative. Al contrario, bisogna fare uno sforzo concertato per consolidarle fino a che non si giunga a formare un sistema integrato di misure sempre più restrittive. Le organizzazioni non governative, molte delle quali si interessano alla limitazione e alla eliminazione dei trasferimenti di armi, possono contribuire grandemente a questo sforzo, non soltanto sostenendolo ma anche anticipandolo con proprie iniziative e mediante il loro ruolo educativo sull'opinione pubblica. Verso strutture internazionali di pace 10. Attualmente, spetta a ciascuno stato assicurare la difesa del proprio territorio. Perciò la limitazione dei trasferimenti di armi è inseparabile da un problema più vasto: come garantire in un altro modo la sicurezza necessaria alla pace? Affinché tutti possano godere del bene comune della pace, la Santa Sede ha riconosciuto da lungo tempo la necessità di poteri pubblici aventi competenza mondiale istituiti « di comune accordo e non imposti con la forza ».44 Fintantoché esisterà il pericolo della guerra, questa autorità dovrà essere munita di forze sufficienti.45 Benché questa autorità non esista ancora, si possono già constatare alcuni elementi precursori.46 11. Gli appelli di aiuto sempre più numerosi e pressanti lanciati al consiglio di sicurezza delle Nazioni unite fanno parte di questa tendenza verso il riconoscimento dell'importanza di misure collettive per il mantenimento o il ristabilimento della pace. A misura che si delinea più nettamente il campo di azione delle forze di pace delle Nazioni unite ed è necessario e urgente determinarlo meglio si dovrà accordare un'attenzione sistematica alle possibili modalità di interventi preventivi. Non c'è dubbio, infatti, che sia meglio prevenire i conflitti che cercare di farli cessare. Per fermare la spirale della violenza, bisognerebbe preconizzare, tra gli altri, il ricorso obbligatorio e tempestivo a negoziati o a mediazioni. A questo scopo, potrebbero essere rafforzati i poteri della corte di giustizia internazionale e potrebbero essere rese costrittive le sue decisioni concernenti le controversie tra stati e popoli. Rimane da chiedersi come mettere fine ai conflitti interni là dove l'autorità pubblica si è dissolta. Sarebbe necessario che le istanze internazionali riflettessero sui limiti, in simili casi, della sovranità dello stato quando è venuta meno la sua legittima autorità e su ciò che si può fare per ristabilire questa autorità mediante mezzi democratici. 12. In tutti i continenti esistono organizzazioni regionali. La loro finalità potrebbe essere allargata in funzione dei bisogni specifici della regione, per inglobare tutto ciò che concerne il mantenimento della pace. Questa progressiva istituzione di sistemi regionali o sottoregionali di cooperazione e di sicurezza potrebbe costituire una solida base per misure simili a livello internazionale. La garanzia della sicurezza a livello regionale e non bisogna trascurare la sicurezza politica e sociale dovrebbe condurre a una riduzione delle armi e quindi del loro trasferimento. Questo risultato avrebbe necessariamente ripercussioni a livello internazionale. 13. Esiste ormai un numero considerevole di trattati, di convenzioni e di accordi internazionali e regionali sul disarmo, muniti di rigorose misure di verifica. Messi in rapporto organico gli uni con gli altri, potrebbero diventare parte integrante di un sistema di sicurezza internazionale che ora è soltanto in germe, ma la cui necessità si fa sempre più sentire.47 Fare opera di pace 14. Nel mondo d'oggi, è urgente che l'insieme degli stati affrontino direttamente e risolutamente il problema della regolamentazione del trasferimento delle armi. Ogni sforzo di cooperazione tra gli stati deve necessariamente prendere in considerazione vari ambiti, perché la sicurezza, finora assicurata dalle armi, non si riduce unicamente ai concetti militari. 15. È in gioco lo sviluppo integrale di tutti i popoli: « Occorre riconoscere che l'arresto degli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione e, a maggiore ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse a un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull'equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità ».48 16. in questo contesto che deve inserirsi ogni sforzo per la regolamentazione rigorosa e la diminuzione radicale del trasferimento delle armi convenzionali. Il problema è complesso, e alcuni potrebbero sentirsi paralizzati davanti alla sua ampiezza. Tuttavia, tutti senza eccezioni sono chiamati a costruire la pace. Tutti, perciò, devono portare il loro contributo, anche se minimo, perché ne va della pace. Roma, 1o maggio 1994

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