Accogliere Cristo nei rifugiati

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Parte IV - La pastorale specifica dei rifugiati e di altre persone forzatamente sradicate

Aspetti particolari di questa pastorale

82. Accoglienza ecclesiale e integrazione nella Chiesa locale

L'accoglienza e l'ospitalità sono caratteristiche fondamentali del ministero pastorale, anche di quello tra i richiedenti asilo, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta.82

Esse garantiscono che guardiamo all'altro come persona e, se si tratta di un cristiano, come un fratello o una sorella nella fede, ed evitiamo che li consideriamo come un numero, un caso o un onere lavorativo.

L'accoglienza non è tanto un compito quanto un modo di vivere e di condividere.

83. Offrire ospitalità nasce dall'impegno di essere fedeli a Dio, di ascoltare la sua voce nelle Sacre Scritture e riconoscerlo nelle persone intorno a noi.

Con l'ospitalità lo straniero è accolto nella Chiesa locale, che deve essere luogo sicuro ove sentirsi rispettato, accettato e accolto con amicizia.

Tale accoglienza comporta un attento ascolto e una reciproca condivisione delle esperienze di vita.

Richiede un cuore aperto, la volontà di rendere la propria vita visibile all'altro, una generosa condivisione di tempo e risorse.

Si passa dal dare cose all'offrire tempo e amicizia, e soprattutto, al dare Cristo, nostro tesoro, agli altri, come un'umile e rispettosa proposta.

84. Una comunità ecclesiale che accoglie gli stranieri, tuttavia, è un "segno di contraddizione", un luogo ove gioia e dolore, lacrime e pace sono strettamente intrecciate.

Questo diviene particolarmente visibile in quelle società che sono ostili a coloro che vi sono accolti.

Nel corso degli anni ci sono stati innumerevoli esempi di altruismo e azioni eroiche da parte di membri delle Chiese locali, che hanno ricevuto persone forzatamente sradicate, alcuni anche a costo della propria vita e dei propri beni.

Offrire ospitalità significa ripensare e riformulare ripetutamente le priorità.

85. Sono necessari speranza, coraggio, amore e creatività perché la vita possa ricominciare.

Occorre, comunque, dare priorità a uno sforzo concertato non solo per offrire assistenza logistica e umanitaria ma, ancor più, uno specifico sostegno morale e spirituale.

Gli aspetti della spiritualità e della formazione devono, infatti, essere considerati parte integrante di una "vera e propria cultura dell'accoglienza" ( EMCC 39 ).

A questo riguardo la comunità Cristiana locale potrebbe essere di grande aiuto.

Là dove, in base a passate esperienze, possono verificarsi eventuali arrivi di rifugiati o sfollati, la Chiesa locale dev'essere prepararata ad affrontare tale sfida.

In realtà, "la Chiesa [ deve cercare ] … di essere presente con e tra la comunità dei rifugiati, accompagnandoli durante la loro fuga, il periodo del loro esilio, e nel loro ritorno alla propria comunità o al paese di reinsediamento".83

86. A questo riguardo è importante prendere in considerazione i diversi gruppi di rifugiati e di persone forzatamente sradicate:

cattolici in generale,

cattolici di rito Orientale,

coloro che appartengono ad altre Chiese e Comunità Ecclesiali,

coloro che seguono l'Islam e altre religioni in generale ( cfr EMCC 49-68 ).

87. Accogliere i rifugiati e altre persone forzatamente sradicate è un'importante espressione del Vangelo.

I nuovi arrivati, provenienti da una cultura non cristiana o a-religiosa, sono destinatari privilegiati di evangelizzazione, come nuovi poveri ai quali il Vangelo è testimoniato.

Il clero, gli operatori pastorali laici e la comunità Cristiana di accoglienza devono essere preparati e sensibilizzati a questo riguardo.

88. Inoltre, è importante ricordare che i rifugiati e altre persone forzatamente sradicate hanno un grande potenziale per l'evangelizzazione.

Essi potrebbero facilmente trovarsi in luoghi e in situazioni ove poter svolgere questa missione.

Anche in questo caso, occorre sensibilizzarli e offrire loro la formazione necessaria, prima di tutto illuminandoli sul valore della testimonianza, ma non escludendo l'esplicito annuncio che tenga conto delle situazioni e circostanze, sempre nel pieno rispetto dell'altro.

89. Erigere le strutture pastorali necessarie

La Chiesa locale deve pertanto impegnarsi pastoralmente con le persone nella mobilità.84

Il suo interesse deve essere visibile nei servizi forniti da parrocchie territoriali o personali, da "missiones cum cura animarum", congregazioni religiose, organizzazioni caritative, movimenti ecclesiali, associazioni e nuove comunità.

Quando necessario, bisogna istituire specifiche strutture pastorali nazionali e/o diocesane/eparchiali.

90. Il ruolo del cappellano e quello dei religiosi e delle religiose sono essenziali e cruciali in questa pastorale specializzata tra i rifugiati e le persone forzatamente sradicate, sia essa svolta nei campi o, in misura crescente, in aree urbane.

Essi sono in prima linea in questa realtà odierna.

Le persone che sono a loro affidate hanno vissuto tanti momenti logoranti e devono continuare a confrontarsi con tale situazione, mentre il loro futuro non è sicuro.

Tutto ciò dà luogo a un compito pastorale impegnativo che richiede molto agli individui.

Pertanto, il ruolo di questa pastorale missionaria deve essere preso seriamente, ben considerato e apprezzato.

Esso ha bisogno di sostegno, affinché coloro che lo svolgono siano in grado di affrontare questa realtà pastorale ed essere creativi nel loro ministero.

La prassi della loro designazione e nomina dovrebbe tener conto di questi fattori.

91. Luogo di questa azione pastorale è innanzitutto e soprattutto la parrocchia,85 che può così vivere in modo nuovo e attuale la sua antica vocazione di essere "un'abitazione in cui l'ospite si sente a suo agio".86

Se necessario, si possono erigere parrocchie personali o "missiones cum cura animarum" – come precedentemente menzionato – per affrontare meglio le necessità pastorali delle persone forzatamente sradicate.87

Tuttavia, la responsabilità ultima spetta ai Vescovi diocesani/eparchiali,88 come sottolineato da Papa Benedetto XVI nella Deus caritas est ( n. 32 ): "Alla struttura episcopale della Chiesa, poi, corrisponde il fatto che, nelle Chiese particolari, i Vescovi quali successori degli Apostoli portino la prima responsabilità della realizzazione, anche nel presente, del programma indicato negli Atti degli Apostoli ( cfr At 2,42-44 ): la Chiesa in quanto famiglia di Dio deve essere, oggi come ieri, un luogo di aiuto vicendevole e al contempo un luogo di disponibilità a servire anche coloro che, fuori di essa, hanno bisogno di aiuto".

Infatti, nel rito dell'Ordinazione episcopale, l'ordinando è chiamato a promettere "espressamente di essere, nel nome del Signore, accogliente e misericordioso verso i poveri e verso tutti i bisognosi di conforto e di aiuto" ( ibid. ).

92. In base al giudizio dell'Ordinario del luogo, i campi di rifugiati più vasti possono costituire una parrocchia o una struttura pastorale territoriale simile.

Se i fedeli sono troppo pochi per tale struttura, essi potrebbero diventare membri di "succursali" o di "missiones cum cura animarum", anche con riferimento a una parrocchia territoriale vicina.89

93. La collaborazione tra le Chiese di partenza e quelle di arrivo è indispensabile.90

Il coordinamento delle attività pastorali cattoliche rivolte a queste persone deve essere fatto dalle Conferenze Episcopali o dalle strutture corrispondenti delle Chiese Orientali Cattoliche, di solito attraverso una speciale Commissione episcopale.

La Chiesa di partenza è pertanto esortata a tenersi in contatto con quei suoi membri che, per qualunque motivo, si trasferiscono altrove, mentre la Chiesa di accoglienza deve assumersi le sue responsabilità verso coloro che sono ormai diventati suoi membri.

Entrambe le Chiese locali sono chiamate a mantenere le loro specifiche responsabilità pastorali in uno spirito di comunione attiva ed espressa concretamente.91

94. Nelle Chiese locali in cui non esiste una Commissione episcopale per la pastorale dei migranti ( o della mobilità umana ), e per il momento non può essere istituita, si raccomanda la nomina di un Vescovo Promotore per questa pastorale specifica.

95. Un precedente tentativo di migliorare il coordinamento della risposta della Chiesa in Africa alla crisi dei rifugiati è stato il progetto chiamato "Pastori senza frontiere".

Esso si proponeva di formare "un gruppo di operatori pastorali qualificati pronti ad aiutare offrendo la loro competenza quando ce ne fosse bisogno".92

L'idea nasceva dalle parole di Papa Paolo VI che ispirarono la seguente affermazione nel documento Chiesa e Mobilità Umana: "La pastorale richiesta dalle persone nella mobilità è necessariamente una pastorale, per così dire, senza frontiere …

Strumenti idonei non possono essere trovati che nella solidale collaborazione tra le Chiese direttamente interessate" ( CMU 26 ).

96. Ospitando gran parte dei rifugiati e degli sfollati di oggi, ed essendo ancora giovane e carente di risorse finanziarie, la Chiesa in Africa deve ricevere uno speciale sostegno nella sua opera d'accoglienza.

Allo stesso tempo, il continente genera relativamente pochi migranti economici, ma sostiene i costi umani della migrazione forzata senza raccogliere tutti quei benefici che l'emigrazione, almeno in qualche misura, generalmente porta con sé.

97. Operatori pastorali e loro formazione

La situazione delle persone nella migrazione forzata chiama urgentemente sacerdoti, diaconi, religiosi e laici a prepararsi adeguatamente a questo apostolato specifico.

È opportuno anche che alcune persone consacrate si dedichino al ministero tra le persone nella mobilità umana, sia fuori che dentro i loro Paesi.93

98. In questo contesto vale la pena ripetere che è altamente auspicabile, se non essenziale, la presenza di operatori pastorali provenienti dalla Chiesa di partenza dei rifugiati e delle persone forzatamente sradicate, di cui conoscono lingua e cultura ( cfr EMCC 70 e 77 ).

Comunque, tra la popolazione sradicata possono già trovarsi alcuni catechisti, essi stessi sradicati.

Questo ha un grande valore perché essi possono offrire un importante contributo alla vita della comunità cristiana.

Le stesse persone sradicate possono essere veri operatori di testimonianza e di evangelizzazione, non soltanto per coloro che sono nella medesima situazione, ma anche per la popolazione locale.

99. Inoltre, a questo riguardo, "invece di auspicare la creazione di un corso speciale o di una disciplina ausiliaria, si dovrebbe raccomandare vivamente un coordinamento ed una maggiore sensibilizzazione delle varie discipline teologiche più direttamente interessate al fenomeno migratorio",94 poiché "non si tratta di una pastorale ordinaria, comune alla generalità dei fedeli, ma di una pastorale specifica, adatta alla situazione di sradicato".95

100. Sarebbe anche opportuno che la Chiesa locale d'arrivo desse particolare attenzione alla formazione continua di catechisti che sono essi stessi rifugiati o sfollati, specialmente durante lo spostamento in massa di persone, che può durare molti anni.

Ciò potrebbe rappresentare un prezioso contributo e una valida assistenza alle loro Chiese di origine, dove potrebbero riedificare le comunità cristiane, qualora decidessero di ritornarvi.

101. Questo ministero richiede chiaramente un'adeguata formazione di tutti coloro che hanno ricevuto il mandato di realizzarlo o che intendono riceverlo.96

È pertanto necessario che fin dall'inizio, nei seminari, "la formazione spirituale, teologica, giuridica e pastorale … sia sensibilizzata ai problemi sollevati nel campo della pastorale delle persone nella mobilità".97

102. Organizzazioni internazionali caritative cattoliche e Chiese locali

Le organizzazioni caritative cattoliche sono chiamate a essere presenti nelle situazioni di bisogno, in nome di Gesù Cristo, incarnando i "valori" necessari a orientare le loro azioni.

Esse devono esser guidate dal suo Spirito nel loro servizio, nel sacrificio, nell'opera di sensibilizzazione, nell'analisi, nella difesa e nel dialogo.

Guidate dal Vangelo, esse dovrebbero tentare di costruire una società in cui ci siano pari opportunità, in cui scompaiano i pregiudizi sociali e siano una realtà il buon vicinato, la solidarietà, la cura reciproca e il rispetto dei diritti umani.

Questo dovrebbe realizzarsi dall'inizio dei progetti intrapresi in risposta alle varie esigenze fino al loro completamento.

Quando possibile e appropriato, queste organizzazioni di ispirazione cattolica sono incoraggiate a collaborare anche con le loro corrispondenti non-cattoliche.

In tutti i casi, è importante evitare di lasciare lacune una volta che i programmi siano terminati.

È perciò necessario stabilire come la Chiesa locale possa essere rafforzata in modo da poter essere in grado di affrontare le sfide future che sorgano da un certo grado di continuità di impegni.

A questo fine le organizzazioni caritative cattoliche dovrebbero sempre operare in stretta collaborazione con la struttura diocesana/eparchiale locale sotto la guida del Vescovo diocesano/eparchiale.

Per quanto riguarda le organizzazioni internazionali, i competenti Dicasteri della Santa Sede possono offrire consiglio e assistenza.

103. Nel campo della cooperazione, meritano speciale menzione le organizzazioni caritative cattoliche internazionali, in particolare la CCIM98 e il Sevizio dei Gesuiti per i Rifugiati/JRS, che sono impegnate nella pastorale e nelle attività di assistenza e sviluppo a sostegno della dignità umana e cristiana dei rifugiati e delle altre persone forzatamente sradicate.

I valori cristiani indubbiamente giocano un ruolo importante nel definire la loro identità, raggiungere i loro scopi e incoraggiarle a preservare ciò che le distingue.99

104. Nell'adempiere il loro compito di servizio, però, alcune istituzioni cattoliche sono spesso cresciute in dipendenza dal sostegno finanziario di fonti non-cattoliche.

Così facendo esse corrono il rischio di prestare attenzione solo alle opinioni dei donatori, permettendo loro di fissare le proprie politiche, facendosi guidare da loro piuttosto che dalla propria missione e mettendo così in discussione la propria identità.

In ogni caso, sarebbe anche appropriato che le agenzie, gli individui e i gruppi di finanziamento cattolici, nel decidere quali progetti sostenere, dessero priorità alle proposte presentate dalle istituzioni cattoliche.

"Il Vescovo diocesano deve evitare che gli organismi di carità che gli sono soggetti siano finanziati da enti o istituzioni che perseguono fini in contrasto con la dottrina della Chiesa.

Parimenti, per non dare scandalo ai fedeli, il Vescovo diocesano deve evitare che organismi caritativi accettino contributi per iniziative che, nella finalità o nei mezzi per raggiungerle, non corrispondano alla dottrina della Chiesa".100

Lo stesso comportamento dev'essere mantenuto dagli Istituti di vita consacrata e dalle Società di vita apostolica.

Le istituzioni cattoliche devono dare ai loro membri la necessaria formazione che li renda capaci di preservare la propria specifica identità.

Infatti, l'urgenza della formazione per gli operatori umanitari della Chiesa è sottolineata da Papa Benedetto XVI in Deus caritas est ( n. 31a ), evidenziando il bisogno di specifiche iniziative per rispondere a questa necessità.101

105. Poiché alcune Chiese locali mancano di risorse adeguate per la loro vita e attività ordinaria, l'improvviso arrivo di rifugiati o di movimenti di sfollati possono causare condizioni insostenibili.

Questo diventa ancor più cruciale quando la maggioranza di queste situazioni si protrae per anni, rendendo il costo del loro mantenimento superiore a ogni possibilità finanziaria.102

Ciò porta inevitabilmente a cercare assistenza presso organizzazioni umanitarie.

Per facilitare il loro compito, le organizzazioni cattoliche potrebbero considerare di operare congiuntamente quasi come un'unica agenzia che gestisce tutte le domande e fornisce appropriate informazioni.

Assieme potrebbero esaminare i progetti e individuare quale/i fra loro siano i donatori idonei, semplificando così le procedure.

106. La questione pastorale fondamentale, comunque, è di stabilire come la Chiesa possa esprimere autenticamente la carità, l'accoglienza e l'impegno apostolico.

Ciò consentirebbe alle comunità locali di soddisfare l'insieme dei bisogni dei rifugiati e delle persone forzatamente sradicate, di sostenere l'impegno pastorale e piccoli progetti di assistenza sociale, di formare adeguatamente operatori pastorali, di appoggiare strutture pastorali specifiche e di sollecitare interventi preventivi nei conflitti insorgenti.

Una condivisione di risorse, in base a queste esigenze, può richiedere nella Chiesa un aggiornamento degli attuali programmi di assistenza sociale.

Entrambi i passi, innovativi e tradizionali, sono necessari per permettere alla Chiesa locale di far fronte a questa sfida dell'amore cristiano.

107. Coinvolgimento dei laici

L'impegno cristiano dei laici è fondamentale per realizzare la missione della Chiesa nelle varie situazioni socio culturali attuali.103

Questo presuppone che i fedeli laici ricevano formazione e istruzione adeguate per potersi impegnare con competenza in analisi sociali, che sono un importante strumento per tradurre i valori del Vangelo in azioni concrete, in un contesto che è in continua e, a volte, molto rapida trasformazione.

Ispirati dalle Sacre Scritture, dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa, essi saranno sensibili alla situazione del loro prossimo, specialmente dei bisognosi, e compiranno di conseguenza atti di carità per alleviarne le sofferenze.

Questo richiede un processo continuo di conversione che li porterà più vicini gli uni agli altri e, allo stesso tempo, li guiderà ad un rapporto più profondo con Dio.104

108. Occorre dare risposte adeguate alle necessità dei rifugiati e delle altre persone forzatamente sradicate, contrastando comportamenti di discriminazione, xenofobia o razzismo esistenti105 e promuovendo politiche che salvaguardino, rafforzino e proteggano i loro diritti.106

Attraverso l'impegno dei fedeli laici, sorgeranno nuovi rapporti tra la Chiesa e la società, cresceranno e si rafforzeranno contatti anche con le comunità religiose non cristiane107 e si svilupperà la collaborazione tra la Chiesa di provenienza e quella di accoglienza.

109. Il coinvolgimento dei laici è necessario anche per il servizio della liturgia e della pietà popolare ( cfr EMCC 44-48 ).

Partecipando allo svolgersi dell'anno liturgico, alla celebrazione dei sacramenti e prendendo parte ad altre attività e servizi liturgici a loro familiari, i rifugiati e le altre persone forzatamente sradicate troveranno la forza necessaria per sopportare la dura prova dello sradicamento e cresceranno nel vivere il mistero pasquale di Cristo, rassicurati che "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno" ( Rm 8,28 ).

110. Cooperazione ecumenica e interreligiosa

Per rispondere alle esigenze del mondo contemporaneo è importante che i cristiani diano insieme testimonianza del profondo impegno a rendere presente il Regno di Dio.108

Questo potrebbe compiersi attraverso un'azione e collaborazione comuni che dovrebbero portarli più vicini gli uni agli altri e rinnovare il loro servizio in risposta alle sfide della sofferenza e dell'oppressione.

"In questa unione nella missione, di cui decide soprattutto Cristo stesso, tutti i cristiani debbono scoprire ciò che già li unisce, ancor prima che si realizzi la loro piena comunione.

Questa è l'unione apostolica e missionaria …

Grazie a questa unione possiamo insieme avvicinarci al magnifico patrimonio dello spirito umano, che si è manifestato in tutte le religioni".109

L'azione comune e la cooperazione con le diverse Chiese e comunità ecclesiali,110 così come gli sforzi congiunti con coloro che professano altre religioni, potrebbero dar luogo alla preparazione di appelli sempre più urgenti a favore dei rifugiati e delle altre persone forzatamente sradicate.

111. Papa Giovanni Paolo II ha esplicitamente ribadito questo ai membri del Consiglio della CCIM, definendo l'"anima" dell'agire dell'istituzione a favore dei migranti e dei rifugiati come "un concetto di dignità umana basata sulla verità della persona umana, creata a immagine di Dio ( cfr Gen 1,26 ), una verità che illumina tutta la Dottrina Sociale della Chiesa".

Secondo il Papa questa è "una visione profondamente religiosa, condivisa non solo da altri cristiani, ma anche da numerosi seguaci di altre grandi religioni del mondo".111

Egli li ha quindi esortati a non stancarsi nella ricerca di nuove modalità di cooperazione ecumenica e interreligiosa, che sono oggi più necessarie che mai.

112. Cooperare non significa certamente andare contro la propria fede o coscienza.

In realtà, per rimanere autentiche e credibili, le comunità cristiane devono prendere Gesù Cristo come loro costante punto di riferimento.

"Se siamo ripartiti davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi: … ( Mt 25,35-36).

Questa pagina non è un semplice invito alla carità: è una pagina di cristologia, che proietta un fascio di luce sul mistero di Cristo".112

113. Pastorale dei richiedenti asilo e degli apolidi nei centri di detenzione

Sempre più spesso i richiedenti asilo e gli apolidi sono detenuti in zone delimitate, che comprendono prigioni, campi chiusi, strutture di detenzione o zone di transito aeroportuali, dove la libertà è considerevolmente ridotta.

La detenzione è frequentemente applicata come strumento di asilo o di politica migratoria.

Le persone confinate in situazioni simili alla detenzione sono destinatarie della sollecitudine dei cappellani e degli operatori pastorali.113

114. La Chiesa locale, di cui fanno parte le cappellanie dei porti, quelle degli aeroporti, i cappellani delle prigioni o situazioni simili alla detenzione, ha la responsabilità primaria della cura pastorale dei rifugiati.114

Questo certamente implica cooperazione con i vari componenti della Chiesa locale, specialmente quando è necessario adempiere altri compiti e responsabilità nei confronti dei diversi destinatari della sollecitudine pastorale.

115. In effetti, in queste situazioni pastorali i membri della cappellania cattolica fanno molto per quanti sono detenuti nelle strutture riservate alla migrazione.

Essi li visitano regolarmente e cercano di capire in quale modo aiutarli, specialmente per ciò che concerne le loro necessità fondamentali.

Li ascoltano e danno loro consigli, cosa più importante di quanto comunemente si percepisca.

Rispondono poi alle esigenze pastorali e sacramentali dei cattolici e anche alle richieste spirituali di altri cristiani, in linea con le norme cattoliche per la cooperazione ecumenica.

Cercano di avere buone relazioni con il personale addetto alla sicurezza, cosa essenziale per essere in grado di offrire un aiuto adeguato a queste persone nel bisogno.

Essi possono anche cooperare con altri organismi presenti al fine di assistere richiedenti asilo e apolidi.

116. Per i cappellani è necessario avere adeguata preparazione e capacità di affrontare le istanze di una tale pastorale, in modo da poter gestire efficacemente la situazione delle persone in stato di detenzione.

La materia ha bisogno di essere più ampiamente conosciuta al fine di ottenere un impegno comune e ciò richiede maggiore sensibilizzazione e formazione appropriata.

117. Un aspetto importante nell'affrontare le necessità di quanti sono nei centri di detenzione è la collaborazione tra i membri della cappellania ( sia cattolici che appartenenti ad altre Chiese e Comunità ecclesiali ) e tutti gli altri operatori ( assistenti sociali, avvocati, personale medico e paramedico, interpreti, mediatori culturali, ecc. ) che lavorano in queste aree.

Un'altra forma efficace di collaborazione è la formazione di una rete tra cappellanie di diversi Paesi.

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82 Cfr EMCC, n. 16: "Per questo la propria collocazione geografica nel mondo non è poi così importante per i cristiani e il senso dell'ospitalità è loro connaturale".
Vedi anche ibid., n. 30: Il Magistero sottolinea "una vasta gamma di valori e comportamenti ( l'ospitalità, la solidarietà, la condivisione ) e la necessità di rigettare ogni sentimento e manifestazione di xenofobia e razzismo da parte di chi li riceve"
83 Pont. Cons. Migranti, Pastoral Care of Refugees in Eastern, Central and Southern Africa: A Consultative Meeting, Lusaka, 5-9 gennaio 1993, Città del Vaticano 1993, 134
84 "La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza" ( Dce, n. 25 )
85 Cfr Giovanni Paolo II, GMMR 1999, n. 6: "Dalla missione propria di ogni comunità parrocchiale e dal significato che essa riveste all'interno della società, emerge l'importanza che la parrocchia ha nell'accoglienza dello straniero, nell'integrazione dei battezzati di culture differenti e nel dialogo con i credenti di altre religioni.
Per la comunità parrocchiale non è, questa, una facoltativa attività di supplenza, ma un dovere inerente al suo compito istituzionale".
Cfr EMCC n. 89, e n. 24
86 Giovanni Paolo II, GMMR 1999, n. 6;
cfr ID., GMMR 2002, n. 4;
ID., GMMR 2003, n. 3
87 Cfr EMCC nn. 24, 26, 54-55, e 91
88 Cfr Christus Dominus, n. 18
e EMCC n. 70
89 Cfr EMCC nn. 90-95, che può essere applicato, mutatis mutandis, alla pastorale per i rifugiati e gli sfollati
90 Cfr Ibid., n. 70
91 Cfr CMU, n. 19, l.c., 367-368
e EMCC, Ordinamento giuridico-pastorale, Art 16
92 Pont. Cons. Migranti, Tre Consultazioni nel 1998 per una più coordinata risposta pastorale della Chiesa in Africa alla presente crisi dei rifugiati: I testi ufficiali con commento, Città del Vaticano 1999, 28
93 Cfr Congr. Istituti di Vita Consacrata – Pont. Cons. Migranti, Lettera Congiunta alle Superiore e ai Superiori Generali degli Istituti di Vita Consacrata, delle Società di Vita Apostolica e degli Istituti Secolari sull'impegno pastorale nei confronti di migranti, rifugiati e altre persone coinvolte nei drammi della mobilità umana, 13 maggio 2005: POM 99 (2005) 143-149
94 Congr. Educazione Cattolica, Lettera Circolare La Pastorale della mobilità nella formazione dei futuri sacerdoti, indirizzata agli Ordinari locali e ai Rettori dei loro seminari sull'inserimento della pastorale per la mobilità umana nella formazione dei futuri sacerdoti, n. 3, Città del Vaticano 1986.
Vedi anche EMCC n. 71;
Congr. Educazione Cattolica e Pont. Cons. Migranti, Lettera congiunta sulla pastorale dei migranti nella formazione di futuri sacerdoti e diaconi permanenti, 3 dicembre 2005, AAS XCVIII (2006) 70-71
95 Giovanni Paolo II, GMMR 1990, n. 10;
cfr EMCC n. 77
96 Cfr Congr. Evang. Popoli - Pont. Cons. Migranti, Lettera Congiunta ai Diocesani Ordinari sulla Pastorale della Mobilità Umana, 13 ottobre 2005: POM 99 (2005) 114
97 97 CMU, n. 33, l.c., 375;
cfr EMCC n. 71
98 Cfr EMCC n. 33: "Tra le principali Organizzazioni cattoliche dedite all'assistenza ai migranti e rifugiati non possiamo dimenticare, in questo contesto, la costituzione, nel 1951, della Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni.
Il sostegno che, in questi primi cinquant'anni, la Commissione ha offerto a Governi e Organismi internazionali, con spirito cristiano, e il suo contributo originale, nel ricercare soluzioni durature per i migranti e i rifugiati in tutto il mondo costituiscono un grande sue merito …
Non possiamo infine dimenticare il grande impegno delle varie Caritas e di altri Organismi di carità e solidarietà, nel servizio anche dei migranti e dei rifugiati";
cfr ibid., n. 86,
99 Cfr Dce, n. 31: "Quanti operano nelle Istituzioni caritative della Chiesa devono distinguersi per il fatto che non si limitano ad eseguire in modo abile la cosa conveniente al momento, ma si dedicano all'altro con le attenzioni suggerite dal cuore, in modo che questi sperimenti la loro ricchezza di umanità. Perciò, oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la « formazione del cuore »: occorre condurli a quell'incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l'amore e apra il loro animo all'altro"
100 Cfr Benedetto XVI, Motu Proprio, Intima Ecclesiae natura, art. 10 §3, 11 novembre 2012
101 Da giugno 2008, il Pontificio Consiglio Cor Unum ha organizzato Esercizi Spirituali per Vescovi e altre persone responsabili per le istituzioni caritative della Chiesa nei diversi continenti.
Questo si sta parimenti facendo a livello della Chiesa locale e all'interno delle istituzioni stesse
102 Cfr Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Christifideles Laici, n. 26, 30 dicembre 1988: "Molte parrocchie, sia in regioni urbanizzate sia in territorio missionario, non possono funzionare con pienezza effettiva per la mancanza di mezzi materiali o di uomini ordinati, o anche per l'eccessiva estensione geografica e per la speciale condizione di alcuni cristiani ( come, per esempio, gli esuli e gli emigranti )"
103 Cfr Giovanni Paolo II, GMMR 1987, n. 1: "La partecipazione dei laici alla missione della Chiesa, nelle diverse situazioni socio-culturali del momento ha rappresentato, fin dalle origini, una delle vie più feconde per la proposta di salvezza integrale portata da Cristo.";
EMCC nn. 86-88 e il suo Ordinamento Giuridico Pastorale, Capitolo I, l.c., 813
104 Cfr Giovanni Paolo II, GMMR 1999, n. 4: "La carità nel suo duplice volto di amore per Dio e per i fratelli, è la sintesi della vita morale del credente. Essa ha in Dio la sua scaturigine ed il suo approdo"
105 Cfr Benedetto XVI, Angelus, 24 dicembre 2006: "L'impegno corrispondente è quello di superare sempre più i preconcetti e i pregiudizi, abbattere le barriere ed eliminare i contrasti che dividono, o peggio, contrappongono gli individui e i popoli, per costruire insieme un mondo di giustizia e di pace"
106 Cfr Giovanni Paolo II, GMMR 1999, n. 6: "La cattolicità non si manifesta solamente nella comunione fraterna dei battezzati, ma si esprime anche nell'ospitalità assicurata allo straniero, quale che sia la sua appartenenza religiosa, nel rifiuto di ogni esclusione o discriminazione razziale, e nel riconoscimento della dignità personale di ciascuno con il conseguente impegno di promuoverne i diritti inalienabili"
107 Cfr EMMC nn. 59-68.
Il n. 59 afferma: "Anche per gli immigrati non cristiani la Chiesa si impegna nella promozione umana e nella testimonianza della carità, che ha già di per sé un valore evangelizzatore, atto ad aprire i cuori all'annuncio esplicito del Vangelo, fatto con la dovuta cristiana prudenza e totale rispetto della libertà.
I migranti di diversa religione vanno sostenuti, comunque, per quanto possibile, affinché conservino la dimensione trascendente della vita.
La Chiesa è dunque chiamata a entrare in dialogo con essi, « dialogo [ che ] deve essere condotto e attuato con la convinzione che la Chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza » ( Redemptoris Missio 55;
cfr anche Pastores Gregis, 68 )"
108 Cfr Pont. Cons. Unità Cristiani, Direttorio per l'Applicazione dei Principi e delle Norme sull'Ecumenismo, n. 162, 25 marzo 1993: "I cristiani non possono chiudere il cuore al forte appello che sale dalle necessità dell'umanità nel mondo contemporaneo.
Il contributo che essi possono dare in ogni campo della vita umana in cui si manifesta il bisogno di salvezza è più efficace quando lo danno tutti insieme e quando si vede che sono uniti nell'operare.
Essi, quindi, desidereranno compiere insieme tutto ciò che è consentito dalla loro fede".
Questa prospettiva è articolata nell'EMCC, nn. 56-58
109 Giovanni Paolo II, Enciclica Redemptor Hominis, n. 12, 4 marzo 1979
110 Cfr Congr. Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Jesus, n. 17, 6 agosto 2000;
ID., Note sull'Espressione 'Sorelle Chiese', 30 giugno 2000
111 Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea della Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni, n. 4 ( CCIM/ICMC ) 2001, 12 novembre 2001
112 ID, Lettera Apostolica Novo millennio ineunte, n. 49, 6 gennaio 2001
113 Pont. Cons. Migranti, Direttive per la Pastorale Cattolica dell'Aviazione Civile, 14 marzo 1995
114 Rifugiati, n. 26