Un apostolo di Gesù Crocifisso

Durissima prova

Dobbiamo ancora trattenerci a Vercelli per poco.

Luigi Musso forse credeva che il suo soggiorno colà non dovesse finire tanto presto, tanto più quando credette d'aver trovato una sistemazione definitiva.

Morto nel 1884 Mons. Miglione, egli aveva trovato nuovo impiego come cuoco nella famiglia dei Conti Arborio Mella, ove rimase fino al 1889.

Ma egli desiderava collocarsi definitivamente e stabilmente e gli parve una vera fortuna quando poté entrare come capo cuoco nel Collegio Dal Pozzo.

Ma era proprio là che l'attendeva una dura prova, e un dolore gravissimo.

Egli era il capo cuoco e con lui erano altri servi.

Nel suo zelo di far del bene egli cercò di istillare buoni sentimenti nel cuore di tutti; forse avrà anche pensato di poter formare con quel compagni un gruppo di buoni cristiani e di infervorarli alle pratiche di pietà.

E subito cominciò con l'esempio e poi con le esortazioni.

Rivolgeva le sue cure specialmente al più giovani.

Nelle ore libere questi radunava nella sua camera per farli pregare e per istruirli nel catechismo.

Uno di questi, Averone detto « il Biondin » fu del tutto acquistato al bene dal Servo di Dio, lo seguì, lo comprese e lo stimò come suo maestro.

L'esattezza con cui il Musso adempiva i suoi doveri nel collegio, l'esemplarità della vita, l'amore alla giustizia dimostrata nel suo ufficio per cui mai volle approfittare anche minimamente della fiducia dei superiori per suo interesse personale, lo indicarono subito come un uomo incorruttibile.

Ma queste stesse virtù sono per se stesse rimprovero a chi ne è privo e possono anche diventare cause di danno a chi le possiede, tanto più se esse vengono a turbare abitudini riprovevoli, ma inveterate.

Se pertanto la vita esemplare del Musso era già uno dei servi, molto meno loro piacquero le osservazioni e le rimostranze sue contro azioni, sotterfugi e altre marachelle loro.

Si cominciò dunque a mormorare contro di lui, tacciandolo di tirchio, di esagerato, di importuno e di censore non autorizzato.

Il Musso non badò e continuò a non soddisfare ai capricci loro.

Cessarono quindi certi disordini a danno del collegio e cessarono anche per i conservi certi maneggi poco corretti e le altre libertà di prima.

Si sa che l'astio quando comincia a prender piede raramente si ferma a parole, ma va accendendosi.

Nel caso nostro vi era pericolo ( almeno lo potevano temere i colpevoli ) che il Musso svelasse ai superiori come erano le cose.

Meglio era prevenire il pericolo accusando l'innocente e così disfarsi per sempre di lui.

Ma il difficile era trovare il capo d'accusa.

Il Musso in breve si era fatto conoscere da tutti come un esemplare di proibita in tutto; impossibile quindi intaccarlo da questo lato.

La malvagità sa trovare sempre ciò che può colpire anche un innocente.

La calunnia è la sua arma.

Chi nel caso nostro per primo l'abbia escogitata non si può sapere, ma fu accettata da tutti i nemici di Luigi Musso.

Il « Biondin », ossia l'Averone che, abbiamo detto, seguiva gli insegnamenti del Musso e non faceva lega coi nemici di lui, servi di pretesto.

Lo si sapeva il perché andava nelle ore libere nella camera sua, ove davanti all'altarino pregava col suo maestro e poi ne ascoltava la parola buona sulle verità della religione.

Si sapeva tutto, ma erano decisi di disfarsi dell'importuno.

Ed eccoli i nemici del Musso insinuare prima sospetti su quelle riunioni.

Solite forme: mezzi sorrisi, tentennamenti di capo, mezze parole, frizzi e intanto l'insinuazione prende corpo e diventa accusa e l'accusa è portata ai dirigenti del Collegio.

La colpa denunziata era gravissima, e appunto per questo si sarebbe dovuto appurare.

L'inchiesta non era difficile e, se fosse stata fatta, la verità non avrebbe tardato a palesarsi.

Si preferì invece la via più comoda, ma non conforme alla giustizia.

Senza entrare in merito dell'accusa, il Musso fu licenziato dal Collegio.

Ragioni prudenziali possono aver consigliato una simile soluzione e noi non vogliamo giudicare le intenzioni; ma non possiamo neppure non far rilevare che il povero cuoco usciva dal Collegio almeno con un grande sospetto di gravissima colpa e senza che avesse avuto modo di difendersi e di chiarire la sua condotta.

Forse parve cosa così di poca importanza la persona di un cuoco che non valeva la pena di preoccuparsi troppo della sua fama.

Il povero, perché non sorretto dalla forza delle ricchezze, degli onori, delle condizioni privilegiate della società, raramente è tenuto in considerazione dal mondo.

Chi si preoccupa di far valere i suoi diritti?

E neppure il Musso vi pensò. C'erto sentì la ferita.

Era stato colpito nella parte più delicata dell'anima sua, proprio in quella virtù a lui così cara e che aveva coltivato con tanta cura e che cercava di far amare da tutti, specialmente dal giovani.

Ma egli era già avanzato sulla via della santità e conosceva le vie del Signore, le prove che Egli permette ai suoi servi per purificarli, irrobustirli e sapeva anche che dopo la prova verrà la carezza, la difesa, che compensano ad usura i dolori momentanei.

Oggi noi possiamo vedere chiaramente i disegni di Dio.

Quella prova venne a rompere i legami che avrebbero tenuto forse per sempre fisso a Vercelli il Servo di Dio, destinato invece dalla Divina Provvidenza a lavorare in altri campi.

La difesa del suo onore è immediata, perché nessuno penserà più a lui una volta scomparso dal Collegio, né i Superiori che non credettero con tutta probabilità all'accusa ( i registri del Collegio che non danno alcuna motivazione del licenziamento, - simili licenziamenti erano usuali e frequenti - lasciano supporre con molto fondamento così ) né i pochi che erano a conoscenza di essa, ossia i suoi accusatori stessi, molto meno Averone e qualcun altro che ne erano stati il pretesto.

Ma non basterà la difesa dell'oblio, né quella che indirettamente verrà data al Servo di Dio in tutta la sua vita con tali esempi di virtù, che non permetteranno di pensare che anche un momento di debolezza abbia potuto offuscare il suo candore e la sua innocenza.

La difesa verrà nel modo più solenne.

Dio conserva in vita i testimoni più sicuri del fatto doloroso.

Il « Biondin » già prima del processo per la beatificazione di F. Leopoldo e poi nel processo stesso svelò ogni cosa e difese l'innocenza del Servo di Dio durante la sua permanenza al Collegio Del Pozzo e con lui un altro pure testimonio oculare.

La grave calunnia non servì se non a mettere bene e definitivamente in luce la liliale anima di Luigi Musso prima di rendersi Religioso.

È proprio qui il caso di applicare il detto che le ombre di un quadro servono a farne risaltare le luci.

Luce piena sulla sua purezza, luce piena sulla sua fortezza d'animo, su l'eroica carità, che perdona, che sa soffrire lietamente, sulla sua fede e abbandono in Dio.

Quasi tutti i Santi dovettero attraversare la via delle calunnie e l'averla attraversata con tanta magnanimità anche il nostro Servo di Dio è prova che anche egli appartiene all'eletta schiera degli eroi della santità.

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