Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone XLVII

I. Il fiore del campo, del giardino o del talamo

1. Io sono fiore del campo e giglio delle valli ( Ct 2,1 ).

Penso che questo sia detto riguardo ai fiori di cui la sposa dice essere adorno il talamo.

Affinché non attribuisca a sé quei fiori che adornano e rendono grazioso il letto, lo sposo viene a dire che lui è il fiore del campo, e i fiori non nascono dal talamo, ma nel campo, ed essere suo dono e sua partecipazione tutto quello che splende ed esala grato odore.

Perché nessuno possa rimproverare la sposa dicendole: Che cosa hai tu che non abbia ricevuto?

E se lo hai ricevuto, perché ti vanti quasi non l’avessi ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ).

Così il geloso amante e ugualmente benigno educatore dimostra con bontà e degnazione alla sua diletta a chi debba attribuire la bellezza e il soave profumo del letto di cui si gloriava.

Io sono il fiore del campo, dice; da me proviene quello di cui ti vanti.

Molto salutarmente siamo ammoniti da questo passo che non bisogna affatto gloriarsi o, se uno si gloria, si glorii nel Signore.

Questo secondo la lettera; e ora scrutiamo, con l’aiuto di colui del quale parliamo, quale senso spirituale vi si nasconda.

2. E per prima cosa nota come un fiore possa trovarsi in tre posti: nel campo, nel giardino o sul talamo.

Così ti sarà più facile capire perché lo Sposo abbia scelto di chiamarsi fiore del campo.

Nel campo, come nel giardino, il fiore nasce, non così sul talamo.

Manda profumo e fa bella figura su di esso, ma non sta diritto come sta nel campo o nel giardino, ma piuttosto giace, essendovi stato portato, non nato.

E per questo occorre curarlo spesso, e mettere sempre nuovi fiori, perché non mantengono a lungo il profumo né la bellezza.

E se, come ho detto nel precedente sermone, per letto fiorito si intende la coscienza adorna di buone opere, vedi chiaramente come, per mantenere la similitudine, non basta operare il bene una volta o l’altra, ma occorre sempre aggiungere nuove opere buone, affinché, seminando con abbondanza, tu abbia anche a mietere con abbondanza.

Diversamente il fiore dell’opera buona appassisce e marcisce, e in breve tempo perde la bellezza e il vigore, se non venga seguito ripetutamente e continuamente da nuovi atti di pietà.

Questo riguardo al fiore sul talamo.

3. Non così nel giardino, e neppure similmente nel campo.

Una volta prodotti, infatti, i fiori provvedono da sé per mantenersi nella loro freschezza.

Ma sono ancora differenti tra di loro quelli del giardino e quelli del campo: nel giardino c’è bisogno della mano e dell’arte: dell’uomo, il campo invece da se stesso produce i fiori naturalmente, senza l’aiuto e la cura dell’uomo.

Hai già indovinato qual è quel campo non solcato da aratro, né scavato dalla zappa, né ingrassato da concime, né seminato da mano di uomo, e pure abbellito da quel nobile fiore sul quale sappiamo che ha riposato lo Spirito del Signore?

Ecco, dice, il profumo del figlio mio è come odore di un campo pieno di frutti benedetto dal Signore ( Gen 27,27 ).

Quel fiore di campo non aveva ancora rivestito la sua bellezza, e già esalava il suo profumo, quando lo presenti in spirito il santo vecchio Patriarca, cadente nel corpo e impedito nella vista, ma dall’odorato fino, quando pieno di gaudio, usci in quella esclamazione.

Non volle pertanto lo Sposo chiamarsi fiore del talamo, essendo egli sempre fresco, e neanche fiore di giardino, perché non fosse creduto generato per operar di uomo.

Giustamente invece e in modo convenientissimo: « Io sono fiore del campo », dice, lui che spuntò senza concorso di uomo, ed in seguito non fu guasto da alcuna corruzione, affinché si adempisse quanto era stato predetto: Non lascerai che il tuo santo veda la corruzione ( Sal 16,10 ).

II. Ancora diversamente sullo stesso argomento, e perché in particolare si definisce fiore del campo

4. Ma se vi piace, ecco un’altra ragione da non disprezzare, come penso.

Non è certo senza una ragione che dal Saggio viene descritto il molteplice spirito, perché sotto una unica corteccia della lettera molte volte sono nascoste molte intelligenze della sapienza.

Cosi, secondo la divisione predetta dei vari fiori, si può intendere per un fiore la verginità, un fiore il martirio, un fiore la buona azione: nel giardino la verginità, nel campo il martirio, l’opera buona sul talamo.

E bene si colloca nel giardino la verginità, alla quale è familiare la verecondia che rifugge dal pubblico, ama il nascondimento e sottostà alla disciplina.

E poi nel giardino il fiore è al chiuso, mentre è esposto nel campo, ed è sparso sul talamo.

Così hai l’orto chiuso, il fonte sigillato ( Ct 4,12 ).

Questo significa la difesa del pudore nella vergine, e la custodia di una inviolata santità, a condizione che la vergine sia davvero santa di corpo e di spirito.

Bene pure il martirio e significato nel fiore del campo, perché i martiri sono esposti al ludibrio di tutti, fatti spettacolo agli angeli e agli uomini.

Non è forse di essi quella voce del salmo: Siamo divenuti l’obbrobrio dei nostri vicini, scherno e ludibrio di chi ci sta intorno ( Sal 79,4 ).

Sta bene pure la buona azione come fiore sul talamo; essa infatti dona quiete e sicurezza alla coscienza.

Dopo un’opera buona si riposa più sicuramente nella contemplazione, e con tanta maggior fiducia uno si appresta a intuire ed investigare le cose sublimi, quanto più è conscio di non aver mancato alle opere di carità per amore della propria quiete.

5. Il Signore Gesù è, in qualche modo, tutte queste cose.

Egli è il fiore di giardino, generato vergine da un virgulto vergine.

Egli è anche fiore di campo, martire, corona dei martiri, modello di martirio.

Egli è stato condotto fuori della città, ha sofferto la sua passione fuori dell’accampamento, fu innalzato sulla croce, alla vista di tutti, disprezzato da tutti.

Egli è ancora il fiore del talamo, specchio ed esempio di ogni beneficenza, come egli stesso dichiarò ai Giudei: Ho compiuto molte opere buone tra di voi ( Gv 10,32 ).

Se dunque il Signore è tutte queste tre cose, per quale ragione dei tre ha preferito chiamare se stesso « Fiore del campo »?

Certamente per incoraggiare la sposa a sopportare con pazienza la persecuzione che prevedeva essere per lei imminente, in quanto voleva piamente vivere in Cristo.

Egli si professa più volentieri di essere quello in cui più desidera avere degli imitatori; ed è questo che ha detto altre volte: la sposa brama sempre la quiete, ed egli sprona alla fatica, dicendole chiaro che nel regno dei cieli è necessario entrare attraverso molte tribolazioni.

Per questo quando, dopo essersi unita come sposa la novella Chiesa, si disponeva a tornare al Padre, le diceva: Viene l’ora in cui chiunque vi uccide crederà di rendere culto a Dio ( Gv 16,2 ); e ancora: Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi ( Gv 15,20 ).

Puoi anche tu trovare nel Vangelo molti passi simili che si riferiscono ai mali da soffrire.

6. Io sono il fiore del campo e il giglio delle valli.

Mentre dunque la sposa mostra il letto, lo Sposo la richiama al campo, invitandola al lavoro.

E non pensa che vi sia qualche cosa più adatta a persuaderla a ingaggiare la lotta, che di proporre se stesso come modello di combattimento o come premio di esso.

Io sono fiore di campo.

Da queste parole si comprende in verità l’una e l’altra cosa, quale sia cioè il modello del combattente e quale la gloria del trionfante.

Signore Gesù, tu sei per me tutte e due queste cose, e specchio nella sofferenza e prezzo di colui che patisce.

L’una cosa e l’altra sono di sprone e invitano con forza.

Tu addestri le mie mani alla battaglia, con l’esempio della tua fortezza, tu incoroni il mio capo, dopo la vittoria, con la presenza della tua maestà; sia perché ti vedo lottare, sia perché ti attendo quando mi coronerai, quando sarai tu la mia corona, con entrambe le cose mi leghi a te come con doppia fune irresistibile.

Trascinami dietro a te ( Ct 1,3 ): ti seguo volentieri, e più volentieri ancora godo di te.

Se sei così buono, o Signore, per quelli che ti seguono, quale sarai per quelli che ti raggiungono?

Io fiore del campo: chi mi ama venga al campo, non ricusi di ingaggiare la battaglia con me e per me, affinché possa dire: Ho combattuto la buona battaglia ( 2 Tm 4,7 ).

III. Perché si dice fiore delle convalli, e a quale opera di Dio dobbiamo attendere

7. E poiché non i superbi o gli arroganti, ma piuttosto gli umili che non sanno presumere di se stessi, sono idonei al martirio, aggiunge di essere anche « giglio delle valli » cioè corona degli umili, designando con l’eminenza di questo fiore la speciale gloria della loro futura esaltazione.

Questa avverrà quando ogni valle sarà ricolmata e ogni montagna e collina sarà spianata, e allora quel candore della vita eterna apparirà, giglio veramente non dei colli, ma delle valli.

Il giusto germoglierà come giglio, dice ( Os 14,6 ).

Quale giusto, se non l’umile?

E poi quando il Signore si chinava sotto le mani del servo Giovanni Battista, e questi tremava davanti alla maestà, Lascia, disse, così conviene che noi adempiamo ogni giustizia ( Mt 3,15 ), facendo consistere la perfezione della giustizia nella perfezione dell’umiltà.

Il giusto dunque è umile, il giusto è valle.

E se saremo trovati umili germoglieremo anche noi come gigli, e fioriremo in eterno davanti al Signore.

E non si manifesterà veramente « giglio delle valli » quando trasformerà il nostro umile corpo per conformarlo al suo corpo glorioso?

Non dice « il nostro corpo », ma « il corpo della nostra umiltà », per significare che solo gli umili saranno illuminati dal meraviglioso ed eterno candore di questo giglio.

Ciò sia detto per il fatto che lo Sposo si è chiamato « fiore » dei colli e « giglio delle valli ».

8. E ormai sarebbe anche buona cosa sentire che cosa lo Sposo dica, di conseguenza, della sua diletta; ma l’ora non lo permette.

Secondo la nostra Regola infatti, non è lecito anteporre nulla all’opus Dei, con questo nome il nostro padre Benedetto volle indicare le solenni lodi che ogni giorno si rendono a Dio nell’oratorio, per indicarci chiaramente quanto egli ci voglia intenti a questa opera.

Perciò vi esorto, dilettissimi, a perseverare sempre puramente e strenuamente alle divine lodi; strenuamente, vale a dire che stiate davanti al Signore con alacrità e insieme con, riverenza, non pigri, non sonnolenti, non sbadigliando, non risparmiando la voce, senza troncare a metà le parole, non saltandone delle intere, non con voci rotte o flebili, o biascicando con voce nasale, ma con voce e con affetto virile, come conviene a chi canta le parole dello Spirito Santo; con purezza poi, di modo che, mentre salmeggiate non pensiate ad altro che a ciò che cantate.

E non dico solo di evitare i vani pensieri e quelli oziosi, ma anche quelli che i fratelli incaricati dei vari servizi sono costretti ad avere di frequenza per le comuni necessità.

E non consiglierei neppure di fermarsi su quei pensieri che poco prima, seduti nel chiostro, e intenti alla lettura vi sono venuti alla mente, o quelli che: riportate freschi dalla mia viva voce in questo auditorio dello Spirito Santo.

Sono cose salutari, ma non si ripensano salutarmente durante le salmodie.

Lo Spirito Santo infatti non accetta come cosa gradita quanto gli puoi offrire di diverso da ciò che devi, trascurando quello che è tuo dovere di offrire.

Possiamo noi fare sempre la sua volontà per sua ispirazione e per la grazia e misericordia dello sposo della Chiesa Gesù Cristo nostro Signore, che è benedetto nei secoli.

Amen.

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