Dialogo della Divina Provvidenza

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Capitolo CXL

Qui, narrando Dio la providenzia sua verso de le sue creature in diversi altri modi, si lagna de la infedelitá d'esse sue creature.

Ed exponendo una figura del vecchio Testamento, dá una utile doctrina.

- Hotti narrato di questo caso particulare: ora ti ritorno al generale.

Tu non potresti mai vedere quanta è la ignoranzia dell'uomo.

Egli è senza veruno senno o cognoscimento, avendoselo tolto per sperare in sé e confidarsi nel suo proprio sapere.

O stolto uomo, e non vedi tu che il sapere tuo tu non l'hai da te, ma la mia bontá, che provide al tuo bisogno, te l'ha dato?

Chi tel mostra?

Quel che tu in te medesimo pruovi: che tale ora vuoli tu fare una cosa, che tu non la puoi fare né saprai fare.

Alcuna volta non avarai el tempo, e, se avarai el tempo, ti mancará el volere.

Tucto questo t'è dato da me per provedere a la salute tua, perché tu cognosca te non essere e abbi materia d'umiliarti e non d'insuperbire.

Unde in ogni cosa truovi mutazione e privazione, però che non stanno in tua libertá: solo la grazia mia è quella che è ferma e stabile, che non ti può essere tolta né mutata ( cioè di farti partire da essa grazia e tornare a la colpa ), se tu medesimo non te la muti.

Dunque, come puoi levare il capo contra la mia bontá?

Non puoi, se tu vuoli seguitare la ragione, né puoi sperare in te né confidarti del tuo sapere.

Ma, perché se' facto animale senza ragione, non vedi che ogni cosa si muta, excepto la grazia mia.

E perché non ti confidi di me, che so' el tuo Creatore? perché ti confidi in te.

E non so' Io fedele e leale a te?

Certo sí: e questo non t'è nascosto, però che continuamente l'hai per pruova.

O dolcissima e carissima figliuola, l'uomo non fu leale né fedele a me, trapassando l'obbedienzia che Io gli avevo imposta, per la quale cadde nella morte.

E Io fui fedele a lui, actenendoli quello per che Io l'avevo creato, volendogli dare il sommo ed etterno Bene.

E, per compire questa mia veritá, unii la Deitá mia, somma altezza, con la bassezza della sua umanitá, essendo ricomprato e restituito a grazia col mezzo del sangue de l'unigenito mio Figliuolo.

Sí che egli l'ha provato.

Ma e' pare che essi non credano che Io sia potente a poterli sovenire, forte a poterli aitare e difendere da' nemici loro, e sapiente per illuminarli l'occhio de l'intellecto loro, né che Io abbi clemenzia a voler lo' dare quello che è di necessitá a la salute loro, né sia ricco per poterli aricchire, né sia bello per poter lo' dare bellezza, né abbi cibo per dar lo' mangiare, né vestimento per rivestirli.

L'operazioni loro mi manifestano che essi nol credono: però che, se il credessero in veritá, sarebbe con opera di sancte e buone operazioni.

E nondimeno essi pruovano continuamente che Io so' forte, perché li conservo ne l'essere e difendoli da' nemici loro.

E veggono che neuno può ricalcitrare contra la potenzia e fortezza mia; ma essi nol veggono, ché nol vogliono vedere.

Con la mia sapienza Io ho ordinato e governo tucto quanto el mondo con tanto ordine, che veruna cosa vi manca e veruno ci può apponere.

Ne l'anima e nel corpo, in tucto ho proveduto; non costrecto a farlo da la volontá vostra, però che voi non eravate, ma solo da la mia clemenzia, costrecto da me medesimo, facendo el cielo e la terra e il mare e il fermamento; cioè il cielo, perché si movesse sopra di voi; l'aere, perché respiraste; el fuoco e l'acqua, per temperare contrario con contrario; el sole, perché non steste in tenebre; tucti facti e ordinati, perché sovengano a la necessitá dell'uomo.

El cielo adornato degli ucelli; la terra germina e' fructi, con molti animali, per la vita dell'uomo; el mare, adornato di pesci.

Ogni cosa ho facto con grandissimo ordine e providenzia.

Poi che Io ebbi facta ogni cosa buona e perfecta, Io creai la creatura razionale a la imagine e similitudine mia, e missila in questo giardino.

El quale giardino, per lo peccato di Adam, germinoe spine, dove in prima ci erano fiori odoriferi di innocenzia e di grandissima soavitá.

Ogni cosa era obbediente a l'uomo; ma, per la colpa e disobbedienzia commessa, trovò ribellione in sé e in tucte le creature.

Insalvatichí el mondo e l'uomo, el quale uomo è un altro mondo.

Ma io providi che, mandando nel mondo la mia Veritá, Verbo incarnato, gli tolse il salvaticume, trassene le spine del peccato originale e fecilo uno giardino inaffiato del sangue di Cristo crocifixo, piantandovi le piante de' septe doni dello Spirito sancto e traendone il peccato mortale.

E questo fu doppo la morte de l'unigenito mio Figliuolo, ché inanzi no.

Sí come fu figurato nel vecchio Testamento, quando fu pregato Eliseo che risuscitasse quel giovano che era morto.

Eliseo non andò, ma mandò Giezzi col bastone suo, dicendo che egli el ponesse sopra 'l dosso del garzone.

Andando Giezzi e facendo quello che Eliseo gli disse, non el risuscitò però.

Vedendo Eliseo che egli non era risuscitato, andò egli con la propria persona e conformossi tucto col garzone con tucte le membra sue, e spirò aciando septe volte nella bocca sua.

E il garzone respirò septe volte, in segno che egli era resuscitato.

Questo fu figurato per Moisé, che Io mandai col bastone della legge sopra el morto de l'umana generazione, el quale per questa legge non aveva vita.

Mandai el Verbo de l'unigenito mio Figliuolo ( el quale fu figurato per Eliseo ), che si conformò con questo figliuolo morto, per l'unione della natura divina unita con la natura vostra umana.

Con tucte le membra si uní questa natura divina, cioè con la potenzia mia, con la sapienzia del mio Figliuolo e con la clemenzia dello Spirito sancto, tucto me, Dio, abisso di Trinitá, conformato e unito con la natura vostra umana.

Doppo questa unione fece l'altra il dolce e amoroso Verbo, correndo come inamorato a l'obrobriosa morte della croce.

Ine si distese.

E doppo questa unione donò e' septe doni dello Spirito sancto a questo figliuolo morto, aciando nella bocca del desiderio de l'anima, tollendole la morte nel sancto baptesmo.

Egli spira in segno che egli ha vita, gittando fuore di sé e' septe peccati mortali.

Sí che egli è facto giardino adornato di dolci e soavi fructi.

È vero che l'ortolano di questo giardino, cioè il libero arbitrio, el può insalvatichire e dimesticare secondo che li piace.

Se egli ci semina il veleno de l'amore proprio di sé, unde nascono e' septe principali peccati e tucti gli altri che procedono da questi, esso facto ne caccia e' septe doni dello Spirito sancto e privasi d'ogni virtú.

Ine non è fortezza, ché egli è indebilito; non v'è temperanzia né prudenzia, ché egli ha perduto el lume col quale usava la ragione; non v'è fede né speranza né giustizia, però che egli è facto ingiusto, spera in sé e crede con fede morta a se medesimo, fidasi delle creature e non di me suo Creatore; non v'è caritá né pietá veruna, perché se l'ha tolta con l'amore della propria fragilitá: è facto crudele a sé, unde non può essere pietoso al proximo suo.

Privato è d'ogni bene e caduto in sommo male.

E unde riavará la vita? da questo medesimo Eliseo, Verbo incarnato, unigenito mio Figliuolo.

In che modo? che questo ortolano divella queste spine della colpa con odio ( ché, se non si odiasse, non ne le trarrebbe mai ), e con amore corra a conformarsi con la doctrina della mia Veritá, innaffiandola col Sangue.

El quale Sangue gli è gictato sopra el capo suo dal ministro, andando a la confessione con contrizione di cuore e dispiacimento della colpa, e con satisfaczione e con proponimento di none offendere piú.

Per questo modo può dimesticare questo giardino de l'anima mentre che vive: ché, passata questa vita, non ha piú rimedio veruno, sí come in piú altri luoghi Io t'ho narrato.

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