Dialogo della Divina Provvidenza

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Capitolo CLXIV

Distinczione di due obedienzie, cioè di quella de’ religiosi e di quella che si rende ad alcuna persona fuore de la religione.

- Sí come decto t’ho, egli ve la lassòe per regola e per doctrina, dandovela come chiave con che poteste aprire per giognere al fine vostro.

Egli ve la lassò per comandamento nella generale obbedienzia.

Egli ve ne consiglia, consigliandovi se voi volete andare alla grande perfeczione e passare per lo sportello strecto, come decto è, de l’ordine.

E anco di quegli che non hanno ordine e nondimeno sonno nella navicella della perfeczione ( ciò sonno quelli che observano la perfeczione de’ consigli fuore de l’ordine ) hanno rifiutato le ricchezze e le pompe del mondo actuali e mentali e observano la continenzia: chi sta in stato virginale e chi ne l’odore della continenzia, essendo privati della virginitá.

Essi observano l’obbedienzia sottomectendosi, sí come in un altro luogo Io ti dixi, ad alcuna creatura, alla quale s’ingegnano, con perfecta obbedienzia, obbedirle infino alla morte.

E se tu mi dimandassi quale è di maggiore merito, o quegli che sta ne l’ordine o questi, Io ti rispondo che ’l merito de l’obbedienzia non è misurato ne l’acto né nel luogo né in cui, piú in buono che in gattivo, piú in secolare che in religioso; ma, secondo la misura de l’amore che ha l’obbediente, con questa misura gli è misurato.

Ché al vero obbediente la inperfeczione del prelato gattivo non gli nuoce: anco alcuna volta gli giuova, perché con la persecuzione e con pesi indiscreti della grave obbedienzia acquista la virtú de l’obbedienzia e la pazienzia sua sorella.

Né il luogo inperfecto non gli nuoce.

Inperfecto, dico, ché piú perfecta e piú ferma e stabile cosa è la religione che veruno altro stato: e però ti pongo inperfecto il luogo di questi che hanno la chiave piccola de l’obbedienzia, observando i consigli fuore de l’ordine; ma non ti pongo inperfecta né di meno merito la loro obbedienzia, perché ogni obbedienzia, come decto è, e ogni altra virtú è misurata con la virtú de l’amore.

È ben vero che in molte altre cose, sí per lo voto che egli fa nelle mani del prelato suo e sí perché sostiene piú, piú e meglio gli è provata la obbedienzia ne l’ordine che fuore de l’ordine; però che ogni acto corporale gli è legato a questo giogo e non si può sciogliere, quando egli vuole, senza colpa di peccato mortale, perché è approvato dalla sancta Chiesa e facto voto.

Ma questi non è cosí: egli s’è legato volontariamente, per amore che egli ha all’obbedienzia, ma non con voto solempne; unde, senza colpa di peccato mortale, si potrebbe partire dall’obbedienzia di quella creatura, avendo legiptime cagioni che per lo suo difecto egli non si partisse.

Ma, se si partisse per suo difetto, non sarebbe senza gravissima colpa: non però obligato a peccato mortale, propriamente, per quello partire.

Sai tu quanto ha da l’uno a l’altro?

Quanto da colui che tolle l’altrui, a quello che ha prestato e poi ritolle quello che per amore aveva donato, con intenzione però di non richiederlo, ma carta non ne fa affermativamente.

Ma quelli ha donato e tractane la carta nella professione, unde nelle mani del prelato renunzia a se medesimo e promecte d’observare obbedienzia e continenzia e povertá volontaria.

E il prelato promecte a lui, se egli observa infino alla morte, di darli vita etterna.

Sí che in observanzia, in luogo e in modo, quella è piú perfecta, e questa è meno perfecta: quella è piú sicura, e, cadendo, è piú acto a rilevarsi perché ha piú aiuto; e questa è piú dubbiosa e meno sicura, e piú acto, s’egli viene caduto, a voltare il capo a dietro, perché non si sente legato per voto facto in professione, come sta il relegioso prima che sia professo, che infino alla professione si può partire, ma poi no.

Ma il merito, t’ho decto e dico, che egli è dato secondo la misura de l’amore del vero obbediente, acciò che ogniuno, in qualunque stato egli si sia, possa perfectamente avere il merito, avendolo posto solo ne l’amore. Cui chiamo in uno stato e cui in uno altro, secondo che ciascuno è acto a ricevare; ma ogniuno s’empie con questa misura decta de l’amore.

Se il secolare ama piú che il religioso, piú riceve; e cosí il religioso piú che ’l secolare, e cosí tucti gli altri.

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