Libro delle fondazioni

Capitolo 10

In cui si tratta della fondazione del monastero di Valladolid, monastero intitolato alla Concezione di Nostra Signora del Carmine.

1. Quattro o cinque mesi prima che si fondasse questo monastero di San Giuseppe di Malagón, un giovane e illustre cavaliere con cui mi trovai a parlare, mi disse che, se avessi voluto fondare un monastero in Valladolid, egli mi avrebbe dato molto volentieri una sua casa, che disponeva di un orto assai fertile ed esteso con annessa una gran vigna.

Voleva cederne subito la proprietà, che era di molto valore.

Io accettai, anche se non ero ben decisa a fondare il monastero in quel luogo, perché distava un quarto di lega dalla città.

Mi sembrò peraltro che, una volta presone possesso, ci saremmo potute trasferire in città; inoltre, poiché la sua offerta era fatta assai di buon animo, non volli opporre un rifiuto a un'opera così meritoria, né essere di ostacolo alla sua devozione.

2. Di lì a due mesi, più o meno, fu colpito da un male di tale rapido decorso da togliergli l'uso della parola prima che potesse fare una buona confessione, anche se manifestò con molti segni di chiedere perdono al Signore.

Morì in brevissimo tempo, molto lontano dal luogo dove io allora mi trovavo.

Il Signore mi disse che la sua salvezza era stata molto in pericolo e che aveva avuto misericordia di lui per il servizio reso a sua Madre con il dono di quella casa destinata a un monastero del suo Ordine.

Aggiunse che non sarebbe uscito dal purgatorio finché lì non si fosse celebrata la prima Messa; solo allora se ne sarebbe liberato.

Io avevo talmente presenti le grandi sofferenze di quest'anima che, sebbene desiderassi fondare un monastero a Toledo, per il momento vi rinunciai e mi adoperai, quanto più in fretta potei, a realizzare, in qualunque modo, la fondazione di Valladolid.

3. Tuttavia la cosa non poté farsi così presto come desideravo, perché mi vidi costretta a fermarmi parecchi giorni a San Giuseppe di Avila, ove ero priora, e in seguito a San Giuseppe di Medina del Campo, trovandomi a passare di là.

Un giorno, mentre stavo in orazione in quest'ultimo monastero, il Signore mi disse di affrettarmi, perché quell'anima soffriva molto.

Benché mancassi ancora di molte cose, partii subito e il giorno di san Lorenzo entrai a Valladolid.

Quando vidi la casa fui presa da grande angoscia perché mi resi conto che era una pazzia per le nostre religiose stabilirsi in quel luogo, senza dover incorrere in ingenti spese.

Inoltre, se il posto era molto attraente, grazie a quell'orto così delizioso, non poteva non essere malsano, per la vicinanza del fiume.

4. Pur essendo stanca, dovetti andare a Messa in un monastero del nostro Ordine, che era all'ingresso della città, ma tanto lontano da raddoppiarmi l'angoscia.

Tuttavia non dicevo nulla alle mie compagne per non scoraggiarle.

Anche se debole, avevo, peraltro, una certa fiducia che il Signore, il quale mi aveva esortato a fare quanto ho detto, mi avrebbe dato il suo aiuto.

Feci così venire in gran segretezza alcuni operai per cominciare il lavoro dei muri di cinta della clausura e per quanto altro occorreva.

Erano con noi Giuliano d'Avila, il sacerdote di cui ho parlato, e uno dei due frati che, come ho detto, volevano farsi scalzi, per conoscere il nostro modo di vivere in questi monasteri della Riforma.

Giuliano d'Avila si occupava di ottenere l'autorizzazione dell'Ordinario che, prima del mio arrivo, aveva già dato buone speranze.

Ma non si poté fare tutto tanto presto che, prima di aver ottenuto l'autorizzazione, non sopraggiungesse la domenica.

Ci fu permesso tuttavia di far celebrare la Messa nel luogo da noi destinato a servire da cappella e così non mancammo di parteciparvi.

5. Ero molto lontana dal pensare che quanto mi era stato detto di quell'anima dovesse compiersi allora.

Mi era stato riferito della « prima Messa » ed io ero persuasa che bisognava riferirsi a quella in cui sarebbe stato posto nella nostra cappella il santissimo Sacramento.

Mentre il sacerdote veniva con la santa Eucaristia fra le mani dove noi dovevamo comunicarci e io mi appressavo a riceverla, mi apparve vicino al sacerdote il cavaliere di cui ho parlato, con volto splendente e pieno di gioia.

Mi ringraziò a mani giunte di quello che avevo fatto perché uscisse dal purgatorio; poi, la sua anima salì al cielo.

Certo, la prima volta che mi fu detto che egli era sulla via della salvezza, ero ben lontana dal pensarlo, anzi, provavo una gran pena, sembrandomi che avrebbe avuto bisogno di un'altra morte, dopo il genere di vita che aveva condotto.

Difatti, sebbene non gli mancassero buone qualità, era molto invischiato nelle cose del mondo.

Tuttavia, come aveva detto alle mie compagne, aveva sempre presente il pensiero della morte.

È davvero una cosa straordinaria quanto riesca gradito a nostro Signore qualunque servizio reso a sua Madre e quanto sia grande la sua misericordia.

Sia di tutto lodato e benedetto, egli che ricompensa con la vita eterna e con la gloria del paradiso la pochezza delle nostre opere e le rende grandi, nonostante il loro scarso valore!

6. Giunto dunque il giorno dell'Assunzione di nostra Signora, che cade il 15 agosto, nell'anno 1568, si prese possesso di questo monastero.

Ma vi restammo poco, perché ci ammalammo gravemente quasi tutte.

Lo seppe una signora del luogo, chiamata donna María de Mendoza, moglie del commendatore Cobos, madre del marchese di Camarasa, profondamente cristiana e di straordinaria carità ( come davano a vedere le sue generose elemosine ).

Avevo sperimentato la sua grande benevolenza prima ancora del nostro incontro, perché sorella del vescovo di Avila, che ci aveva favorito molto nella fondazione del primo monastero e in tutto quello che riguarda il nostro Ordine.

Dotata com'è di tanta carità, vedendo che lì non saremmo potute restare senza gravi inconvenienti, sia per l'insalubrità del luogo, sia anche per la distanza che rendeva difficile le elemosine, ci propose di cedere a lei quella casa, in cambio di un'altra.

E così fece, dandocene una che valeva molto più della prima, e fornendoci da allora fino ad oggi di tutto il necessario, cosa che farà per l'intero corso della sua vita.

7. Il giorno di san Biagio ci trasferimmo nel nuovo monastero con grande processione e devozione del popolo, devozione tuttora viva, perché il Signore usa grandi misericordie a questa casa, conducendovi anime di cui un giorno sarà messa in luce la santità a lode sua.

Egli si compiace con tali mezzi di rendere più grandi le sue opere e concedere grazie alle sue creature.

Vi entrò infatti una giovinetta, la quale diede ben a vedere che cosa sia il mondo, con il disprezzo che ella ne fece in così tenera età.

Mi è sembrato opportuno parlarne qui, a confusione di coloro che tanto lo amano, e a edificazione delle giovani alle quali il Signore farà dono di buoni desideri e sante ispirazioni, affinché li mettano in pratica.

8. In questa città risiede una signora, chiamata donna María de Acuña, sorella del conte di Buendía.

Sposatasi con l'Adelantado di Castiglia, rimase vedova in giovanissima età con un figlio e due figlie.

Cominciò a condurre una vita di tale santità e ad educare i figli in tanta virtù, da meritare che il Signore li chiamasse al suo servizio.

Mi sono sbagliata circa il numero dei figli: di figlie ne aveva tre.

La prima si fece subito religiosa; la seconda non si volle sposare e conduceva con sua madre una vita di grande edificazione; il figlio, fin da piccolo cominciò a capire che cosa fosse il mondo e come Dio lo chiamasse alla vita religiosa con tale invito che nessuno fu in grado d'impedirgli di ascoltarlo.

Sua madre ne era tanto contenta che, credo, l'aiutasse con la sua preghiera presso nostro Signore, pur non facendo trapelare nulla, a causa dei parenti.

In conclusione, quando Dio vuole per sé un'anima, le creature valgono poco a impedirlo.

Fu quanto avvenne qui, perché, dopo tre anni in cui si tentò di bloccare la decisione del giovane con ogni genere di esortazioni, egli entrò nella Compagnia di Gesù.

Un confessore di questa signora mi riferì ch'ella gli aveva detto che mai nella sua vita aveva sentito in cuore tanta gioia come il giorno in cui suo figlio fece la sua professione.

9. Oh, Signore! Di quale insigne grazia voi favorite coloro cui date tali genitori, che amano i propri figli di un amore così vero da non volere per loro possessi, maggioraschi e ricchezze se non in quella beatitudine che non avrà fine!

Che pena vedere oggi il mondo in tanta miseria e cecità da far sì che i genitori fanno consistere il loro onore nell'aver sempre presente questo sterco dei beni terreni senza ricordarsi che, presto o tardi, devono tutti finire!

No, tutto ciò che ha fine non merita stima perché, per quanto possa durare, un giorno finirà.

Ma certi genitori, a spese dei loro poveri figli, vogliono mantenere le loro vanità ed hanno la gran temerità di togliere a Dio le anime che egli vuole per sé, privando esse stesse di un così grande bene.

Infatti, a prescindere dal fatto che sarà una felicità eterna quella a cui Dio li invita con lo stato religioso, non è forse un vantaggio inestimabile vedersi liberi dagli affanni e dalle leggi del mondo, peso tanto più grave quanto maggiori sono i beni mondani posseduti?

Aprite loro gli occhi, mio Dio; fate loro intendere quale sia l'amore a cui sono tenuti verso i propri figli, per non recare ad essi un così gran male e non dover udire le loro lagnanze alla vostra presenza, nel giorno del giudizio finale in cui, pur controvoglia, comprenderanno il valore di ogni cosa.

10. Quando, dunque, la misericordia di Dio fece lasciare il mondo a questo cavaliere, figli di donna María de Acuña ( egli si chiama don Antonio de Padilla ), all'età, più o meno, di diciassette anni, tutti i beni e i titoli restarono alla figlia maggiore, donna Luisa de Padilla, perché il conte di Buendía non ebbe figli e chi ereditava la contea e il titolo di Adelantado di Castiglia era don Antonio.

Siccome non riguarda il mio argomento, non dico quanto ebbe a soffrire da parte dei suoi parenti per riuscire nel suo scopo. Potrà bene immaginarlo chi sa quanto la gente del mondo desideri che non manchi discendenza al proprio casato.

11. Oh, Figlio dell'Eterno Padre, Gesù Cristo, nostro Signore, vero Re dell'universo!

Che cosa avete lasciato voi nel mondo?

Che cosa hanno potuto ereditare da voi i vostri discendenti?

Che cosa avete posseduto voi, mio Signore, se non sofferenze, dolore, ignominia, fino ad avere solo l'aiuto di un tronco d'albero per inghiottire l'amaro calice della morte?

Infine, mio Dio, se vogliamo essere vostri figli legittimi e non rinunziare alla vostra eredità, non dobbiamo rifuggire dalla sofferenza.

Il vostro stemma è fatto di cinque piaghe.

Su, dunque, figlie mie, questa deve essere la nostra insegna, se dobbiamo ereditare il suo regno: non con il riposo, non con i piaceri, non con gli onori, non con le ricchezze si deve guadagnare ciò ch'egli ha acquistato a prezzo di tanto sangue.

Oh, gente illustre, per amor di Dio, aprite gli occhi!

Considerate che i veri cavalieri di Gesù Cristo e i principi della sua Chiesa, un san Pietro, un san Paolo, non hanno seguito il cammino che seguite voi.

Credete forse che per voi il cammino debba essere un altro?

Non pensatelo davvero.

Osservate come il Signore cominci ad indicarvelo con l'esempio di persone così giovani come quelle di cui ora parliamo.

12. Ho visto qualche volta questo don Antonio e ho parlato con lui; avrebbe voluto possedere molto di più allo scopo di abbandonare tutto.

Fortunato giovane e fortunata giovinetta, per aver così ben meritato presso Dio, che nell'età in cui il mondo, generalmente, domina chi vi ha la sua dimora, essi lo hanno calpestato.

Benedetto sia colui che si è mostrato con loro tanto generoso!

13. Quando la sorella maggiore si vide in possesso di tutti gli averi, li disprezzò come aveva fatto suo fratello, perché fin da bambina si era dedicata tanto all'orazione – proprio dove il Signore dà luce per intendere la verità – da non averne, come lui, alcuna stima.

Oh, Dio mio, a quante fatiche, tormenti, processi e anche con quale rischio della vita e dell'onore, si sarebbero esposti molti per assicurarsi quest'eredità!

Essi, invece, ebbero a soffrire non poco per ottenere di spogliarsene.

Così va il mondo, le cui follie ci sarebbero bene evidenti se non fossimo ciechi.

Di tutto cuore, per liberarsi di quest'eredità la giovinetta ne fece rinuncia in favore di sua sorella, l'ultima che restasse in casa, dell'età di dieci o undici anni.

Subito, perché non si estinguesse la miserabile gloria del casato, i parenti stabilirono di far sposare questa fanciulla con uno zio, fratello di suo padre.

Ottenuta la dispensa dal Papa, si celebrarono gli sponsali.

14. Ma il Signore non volle che la figlia di una tale madre e la sorella di tali fratelli avesse, diversamente da loro, gli occhi chiusi alla verità.

Avvenne, pertanto, quello che ora dirò.

Quando la ragazza cominciava a disporre di vestiti e di ornamenti mondani che, adeguati al suo rango, avrebbero dovuto allettare una fanciulla di tenera età come la sua, e non erano trascorsi ancora due mesi dal suo fidanzamento, il Signore prese ad illuminarla, pur senza che allora ella se ne accorgesse.

Dopo aver trascorso una giornata molto felice con il suo promesso sposo, che ella amava con un trasporto superiore a quanto comportasse la sua età, si sentiva presa da una gran tristezza costatando come quel giorno fosse ormai passato e pensando che così sarebbero passati anche tutti gli altri.

Oh, grandezza di Dio! Dalla stessa gioia provata nei piaceri fugaci di questo mondo fu tratta a detestarli.

La sua tristezza era così profonda che non riusciva a nasconderla al suo fidanzato, né sapeva quale ne fosse la causa né cosa dirgli, quando gliene chiedeva il motivo.

15.Nel frattempo al fidanzato capitò di essere obbligato a fare un viaggio per recarsi assai lontano dalla città.

Ella ne soffrì molto, perché lo amava profondamente.

Ma subito il Signore le scoprì la causa della sua pena: cioè la sua anima cominciava a propendere per ciò che non avrà fine.

Prese infatti a considerare come i suoi fratelli si fossero aggrappati al partito più sicuro, lasciando lei fra i pericoli del mondo.

Questo, da una parte; dall'altra l'affliggeva il pensiero che la sua situazione era senza rimedio, non essendo venuto ancora a sua conoscenza – come poi seppe, dietro sua richiesta – che, pur essendo fidanzata, poteva ugualmente abbracciare la vita religiosa.

Ma, soprattutto, l'amore che aveva per il suo promesso sposo le impediva di prendere una tale decisione, ragion per cui viveva in grande angoscia.

16. Siccome però il Signore la voleva per sé, le tolse a poco a poco questo amore e le fece crescere il desiderio di abbandonare tutto.

In quel tempo era animata solo dal desiderio di salvarsi e di cercare i mezzi migliori a tal fine.

Le sembrava infatti che, invischiata di più nelle cose del mondo, si sarebbe dimenticata di adoperarsi per quelle eterne.

Questa la saggezza che Dio le infondeva nell'anima per la quale, pur in così tenera età, si sentiva spinta a cercare il modo d'impossessarsi di ciò che è eterno.

Anima felice che così presto si liberò della cecità nella quale muoiono tanti vecchi!

Non appena si sentì padrona del suo volere, decise di impiegarlo tutto al servizio di Dio.

Fino a quel momento aveva taciuto; da allora cominciò a parlarne con sua sorella.

Questa, credendola una fanciullaggine, cercava di dissuaderla dicendole, fra l'altro, che si poteva salvare anche nello stato matrimoniale.

Per tutta risposta la giovinetta le chiese perché lei vi avesse rinunciato.

Così passarono alcuni giorni, durante i quali il suo desiderio non faceva che aumentare.

A sua madre, tuttavia, non osava dire nulla, e forse era proprio lei, con le sue sante preghiere, a suscitarle quelle lotte.

Indice