Libro delle fondazioni

Capitolo 31

Questo capitolo tratta della fondazione del monastero dedicato al glorioso San Giuseppe di Sant'Anna nella città di Burgos.

Vi si celebrò la prima Messa il 19 aprile nell'ottava di Pasqua del 1582.

1. Da più di sei anni alcuni padri della Compagnia di Gesù, religiosi esemplari, anziani, di gran dottrina e spiritualità, mi dicevano che si sarebbe reso un gran servizio a nostro Signore con la fondazione a Burgos di un monastero di questa santa Riforma, adducendomene varie ragioni che mi invogliavano a farlo.

Ma, per tutti i contrasti scatenatisi contro l'Ordine e le altre fondazioni, mi era stato impossibile occuparmene.

2. L'anno 1580, mentre ero a Valladolid, passò da lì l'arcivescovo di Burgos, di recente nomina in questa città e prima vescovo delle Canarie, in viaggio per la nuova sede.

Supplicai il vescovo di Palencia, don Alvaro de Mendoza, di chiedergli l'autorizzazione per la nuova fondazione di Burgos.

Ho già detto quanto egli appoggi il nostro Ordine: è stato il primo ad accettare il monastero di San Giuseppe di Avila, quando era lì vescovo.

Da allora ci ha sempre favorito molto, prendendo a cuore le cose del nostro Ordine come fossero sue proprie.

Rispose quindi che molto volentieri gliel'avrebbe chiesta, perché, sembrandogli che in queste case nostro Signore sia ben servito, ha molto piacere di vederne fondare di nuove.

3. L'arcivescovo non volle entrare in Valladolid: prese alloggio nel convento dei Girolamini, dove il vescovo di Palencia lo accolse con gran festa, pranzò con lui e gli diede una cintura o adempì non so quale cerimonia con cui era creato vescovo.

In tale circostanza gli chiese l'autorizzazione per me di fondare il monastero.

Egli rispose che l'avrebbe data assai volentieri: già nelle Canarie aveva desiderato e cercato di avere uno di questi monasteri, sapendo come nostro Signore vi fosse servito, perché nella sua città natale ve n'era uno, e mi conosceva bene.

Il vescovo mi disse quindi che potevo essere sicura dell'autorizzazione, visto che l'arcivescovo si era molto rallegrato di questo progetto, e siccome il Concilio non parla di permesso scritto, ma solo di gradimento da parte dell'Ordinario, si poteva ritenere come già data.

4. A proposito della fondazione di Palencia, trattata precedentemente, ho detto quanto fossi restia allora dal farne di nuove, per aver avuto una grave malattia giudicata mortale e dalla quale non mi ero ancora ristabilita.

Siccome però l'abbattimento fisico non suole farmi venir meno a ciò che reputo servizio di Dio, non mi spiego la causa della grande svogliatezza che si era impadronita di me.

Se si volesse attribuirla alle scarse possibilità di riuscita, meno ancora ne avevo avute in altre fondazioni.

Credo, dopo aver visto lo svolgimento degli avvenimenti, che fosse opera del demonio.

In via ordinaria, quando una fondazione deve costarmi particolare fatica, nostro Signore, conoscendo la mia grande miseria, mi aiuta sempre con parole e con opere, mentre ho notato che in quelle esenti da difficoltà, Sua Maestà non mi dà alcun avvertimento.

Così è stato in questa circostanza: conoscendo le sofferenze a cui si andava incontro, cominciò subito a farmi coraggio.

Sia lodato per tutto quello che fa!

Come ho già detto infatti, nella fondazione di Palencia per la quale si svolgevano trattative come per questa, a mo' di rimprovero mi chiese di che cosa temessi e quando mai mi avesse abbandonato.

Sono sempre lo stesso – egli disse –; non lasciar di fare queste due fondazioni.

Poiché ho già parlato precedentemente del coraggio che ricevetti da queste parole, non c'è motivo di ripeterlo qui.

Tutta la mia svogliatezza sparì all'istante, segno evidente che non ne era causa la malattia né la vecchiaia.

Così, come si è detto, cominciai a trattare di entrambe le fondazioni.

5. Mi parve meglio cominciare da quella di Palencia, sia per la maggior vicinanza di questa città, sia per l'inclemenza della stagione e il gran freddo di Burgos, sia, ancora, per far piacere all'ottimo vescovo di Palencia.

E così si fece, come già riferito.

Ho detto anche che, mentre ero là, mi fu proposta la fondazione di Soria e, poiché a Palencia si era fatto tutto, ritenni opportuno andarvi subito, per recarmi poi da lì a Burgos.

Il vescovo di Palencia giudicò conveniente informare di tutto l'arcivescovo e io lo supplicai d'interessarsene.

Così egli, dopo la mia partenza per Soria, gli mandò espressamente da lì, a questo solo fine, un canonico di nome Juan Alonso.

L'arcivescovo mi scrisse molto affettuosamente, dicendomi quanto desiderava vedermi arrivare, trattò della cosa con il canonico e scrisse a sua signoria rimettendosi a lui; se faceva qualche osservazione, era perché conosceva Burgos e sapeva come, per il nostro ingresso, fosse necessario il consenso della città.

6. Insomma, la conclusione era che io mi recassi sul posto e ne trattassi con la città; se questa mi negava il permesso, non gli avrebbe però potuto togliere la facoltà di concedermi il suo.

Ma, essendosi trovato ad Avila al tempo della fondazione del primo monastero e ricordandosi del grande turbamento e dei forti contrasti che erano insorti, voleva qui prevenirli.

Occorreva perciò che il monastero si fondasse con rendite o con il consenso della città.

Non era conveniente per me agire diversamente, e per questo me lo diceva.

7. Il vescovo la ritenne cosa fatta, e a ragione, visto che l'arcivescovo mi chiamava a Burgos.

Perciò, mi mandò a dire di andarvi, ma a me parve di notare nell'arcivescovo una certa mancanza di coraggio.

Gli scrissi per ringraziarlo dell'aiuto di cui mi favoriva, dicendogli però al tempo stesso che, a mio giudizio, sarebbe stato peggio procedere alla fondazione dopo il rifiuto della città, che farla senza prevenirla, se si voleva evitare di esporre sua signoria a più seri contrasti ( sembrava che prevedessi il poco aiuto che avrei trovato in lui, se fosse sorto qualche ostacolo ); aggiungevo che avrei fatto i passi necessari, ma che la cosa mi sembrava difficile, perché in tali circostanze c'è sempre diversità di opinioni.

Scrissi anche al vescovo di Palencia, pregandolo di concedermi una proroga, in considerazione del fatto che l'estate volgeva al termine e che le mie infermità erano troppe per affrontare il soggiorno in una città così fredda come Burgos.

Non affacciai alcun dubbio sull'arcivescovo, perché egli era già spiacente di vedere che, dopo essersi dimostrato così ben disposto, sollevasse tante difficoltà e, sapendoli amici, non volevo suscitare alcuna discordia fra loro.

Lasciai dunque Soria per recarmi ad Avila ben lontana, per il momento, dall'idea di ripartirne assai presto.

Il mio ritorno al monastero di San Giuseppe di Avila era urgente per varie ragioni.

8. C'era nella città di Burgos una santa vedova di nome Catalina de Tolosa, nativa della Biscaglia.

Se volessi dirne le virtù, così per quanto riguarda la penitenza, come per quanto riguarda l'orazione, le grandi elemosine, la carità, il grande ingegno e il coraggio, mi dilungherei troppo.

Da quattro anni, mi pare, aveva fatto entrare due sue figlie nel nostro monastero della Concezione a Valladolid; altre due ne fece entrare in quello di Palencia, di cui aveva atteso la fondazione, conducendovele prima che io ne partissi.

9. Tutt'e quattro hanno avuto la riuscita che meritava l'essere figlie di tale madre: sembrano infatti proprio angeli: Catalina diede loro una buona dote e fece ogni cosa in modo perfetto, data l'estrema sua compitezza: adempie a tutto con grande precisione, e può farlo, perché ricca.

Quando venne a Palencia, eravamo così certe dell'autorizzazione dell'arcivescovo, che non sembrava dovesse sorgere alcun intoppo.

La pregai quindi di cercarmi una casa in affitto, per prenderne possesso, e di farvi mettere a mie spese grate e ruota.

Non mi passava neanche per la mente che dovesse spendere del suo, ma solo anticiparmi il denaro che poi le avrei rimborsato.

Ella ne aveva così vivo desiderio, che soffrì moltissimo della dilazione di quest'opera.

Così, mentre avevo fatto ritorno, come ho detto, ad Avila, lontana dal pensare di occuparmi per il momento di quella faccenda, ella non rimase in ozio; anzi, ritenendo che tutto dipendesse dall'avere il consenso della città, senza dirmi nulla, cominciò a darsi da fare per averlo.

10. Aveva come vicine di casa due persone di nobili natali e gran serve di Dio, madre e figlia, che desideravano molto la fondazione.

La madre si chiamava donna María Manrique, e aveva un figlio consigliere comunale di nome don Alonso de Santo Domingo Manrique; la figlia si chiamava donna Catalina.

Entrambe trattarono della cosa con don Alonso, pregandolo di far richiesta del consenso alla municipalità.

Egli parlò con Catalina de Tolosa, chiedendole quali garanzie potesse offrire da parte nostra, perché senza alcun impegno formale non c'era da aspettarsi un consenso.

Gli rispose che ella si sarebbe assunto l'obbligo di darci una casa, se ne fossimo state prive, e di provvedere al nostro mantenimento, come effettivamente fece.

Stese poi un'istanza che firmò col suo nome.

Don Alonso si adoperò con tanta abilità a questo scopo che ottenne il consenso di tutti i consiglieri e portò egli stesso l'autorizzazione scritta all'arcivescovo, il quale assentì.

Subito dopo l'inizio delle trattative Catalina mi scrisse che stava negoziando quest'affare.

Ma io non presi la cosa sul serio, sapendo quanto sia difficile l'accettazione dei monasteri poveri.

E, poiché ignoravo né mi passava lontanamente per la mente che ella si fosse assunta l'impegno di fare quel che realmente fece, mi sembrava che ci fosse bisogno di ben altro.

11. Ciò nonostante, un giorno dell'ottava di san Martino, mentre raccomandavo questa faccenda al Signore, mi chiesi cosa si poteva fare se la città avesse dato il suo consenso.

Che andassi a Burgos con quel freddo e tutti quei malanni a cui il freddo è assai nocivo, mi sembrava impossibile; era anche una temerità, a mio giudizio, affrontare un così lungo viaggio, appena arrivata da quello tanto faticoso – come ho detto – di ritorno da Soria, né il padre provinciale me l'avrebbe permesso.

Reputavo che poteva ben andarci la priora di Palencia perché, essendo tutto liscio, non c'era ormai molto da fare.

Mentre facevo queste considerazioni ed ero fermamente decisa a non partire, mi sentii dire dal Signore le seguenti parole dalle quali capii che il consenso era ormai dato: Non badare al freddo, perché io sono il vero calore.

Il demonio impiega tutte le sue forze per impedire quella fondazione: impiega tu le tue, da parte mia, per farla.

Recati lì di persona, perché la tua presenza sarà molto utile.

12. Questo mi fece subito cambiare parere; infatti, anche se talvolta la mia natura è riluttante ad affrontare la sofferenza, non così la mia volontà, decisa a sopportare qualunque patimento per amore di un Dio così grande.

Perciò gli dico di non badare a tali miei sentimenti di debolezza e di ordinarmi tutto quello che gli piace, giacché, con il suo aiuto, non mancherò di obbedirgli.

In quel periodo nevicava e faceva freddo.

Ma ciò che più mi rende vile è la mia poca salute: se l'avessi buona, credo che tutto mi sembrerebbe nulla.

Il cattivo stato della mia salute mi ha accompagnato per quasi tutto il tempo di questa fondazione.

Il freddo è stato così lieve, almeno quello che ho sentito io che, a dire il vero, non ne ho sofferto più di quando stavo a Toledo: il Signore ha adempiuto perfettamente la parola data a questo riguardo.

13. Pochi giorni dopo mi portarono l'autorizzazione della città con lettere di Catalina de Tolosa e della sua amica donna Catalina in cui mi mettevano fretta, perché temevano il sorgere di qualche contrarietà; infatti i Vittoriani avevano fondato in quel momento un convento; già da tempo, inoltre, i carmelitani calzati cercavano di fare altrettanto; infine erano venuti i basiliani.

Ciò costituiva per noi una seria difficoltà.

C'era da restare stupiti del fatto che ci fossimo trovati in tanti – contemporaneamente – a prendere la stessa iniziativa.

C'era anche da lodare nostro Signore per la grande carità di Burgos nell'accordare molto volentieri a tutti l'autorizzazione, benché non godesse della prosperità di un tempo.

Io avevo sempre sentito lodare la carità dei suoi abitanti, ma non pensavo che arrivasse a tanto.

Gli uni favorivano un Ordine, gli altri un altro; l'arcivescovo però, preoccupato di eventuali inconvenienti, cercava d'impedire queste fondazioni nel timore che fossero di pregiudizio agli Ordini mendicanti ai quali, poi, poteva riuscire difficile mantenersi.

Forse erano questi stessi a ricorrere a lui, o si trattava di espedienti del demonio, per impedire il gran bene che Dio riversa su quei luoghi dove stabilisce molti monasteri, essendo così potente da mantenerli tutti, siano pochi o molti.

14. Per questo motivo, dunque, le due sante donne mi facevano tanta premura che io, seguendo il mio impulso, sarei partita immediatamente, se non avessi avuto da sbrigare alcuni affari.

Pensavo infatti, vedendole tanto impegnate in questa faccenda, quanto più di loro io fossi obbligata a non far sfuggire un'occasione così favorevole.

Le parole che avevo udite lasciavano intendere gravi difficoltà.

Io non potevo sapere da chi né da che parte dovessero sorgere: Catalina de Tolosa mi aveva scritto di aver già sicura la casa – che era quella abitata da lei – per la presa di possesso; la città non presentava ostacoli, l'arcivescovo nemmeno.

Non riuscivo a capire da chi dovevano venirmi contrasti per opera del demonio, perché non potevo certo dubitare che le parole rivoltemi a questo riguardo non venissero da Dio.

15. Infine, Sua Maestà dà certo più luce ai superiori che agli altri.

Quando, in seguito alle parole che avevo udito, scrissi al padre provinciale per sapere se dovevo intraprendere questo viaggio, egli non vi si oppose, ma mi chiese se avessi l'autorizzazione scritta del vescovo.

Inviai lettere a Burgos per informarmene.

Mi risposero che egli era stato messo al corrente delle trattative intercorse per avere il consenso della città e che ne era rimasto soddisfatto.

Questo, insieme a tutto quanto aveva sempre detto nei riguardi di tale fondazione, permetteva di non avere motivi di dubbio.

16. Il padre provinciale volle accompagnarci nel viaggio per questa fondazione, sia perché era più libero da occupazioni, avendo finito di predicare l'avvento, sia perché voleva visitare il monastero di Soria che non aveva rivisto da quando era stato fondato, tanto più che la deviazione era di poco conto.

Oltre a ciò, giudicando la mia vita ancora di qualche utilità, si proponeva in quel viaggio di aver cura della mia salute, essendo il tempo assai inclemente e io molto vecchia e malata.

Fu senza dubbio una disposizione di Dio, perché le strade erano così cattive, a causa della caduta di piogge torrenziali, che egli e i suoi compagni ci furono ben necessari per sapere dove passare ed averne aiuto a tirar fuori i carri dai pantani, specialmente da Palencia a Burgos: era stata, certo, una grande imprudenza mettersi in viaggio in quel momento.

È vero però che il Signore mi aveva detto di non esitare a procedere in esso, esortandomi a non temere, perché egli sarebbe stato con noi.

Anche se allora non feci parola di questo al provinciale, mi era di gran consolazione pensarci nelle grandi difficoltà e nei gravi pericoli in cui ci venimmo a trovare, specialmente in un tratto presso Burgos che chiamano i pontones.

La pioggia era caduta in grande quantità e l'acqua del fiume in molti punti raggiungeva tale altezza da superare il livello dei ponti, che non si vedevano più, né si sapeva dove passare; dappertutto acqua, e anche molto profonda, da una parte e dall'altra.

In conclusione, era una gran temerità tentare quel passaggio, specialmente con carri di cui bastava il minimo scarto perché tutto andasse perduto.

Uno di essi, infatti, corse serio pericolo di affondare.

17. In una locanda incontrata poco prima avevamo preso una guida che conosceva quel passaggio; ma, comunque, questo è assai pericoloso.

Alloggiare in qualche posto era, poi, un problema.

Non si poteva, infatti, avanzare a tappe regolari con tali pessime strade.

Quasi di continuo i carri affondavano tanto nel fango che, per tirarli fuori, bisognava staccare le bestie dall'uno e attaccarle all'altro.

I padri che ci accompagnavano dovettero sobbarcarsi a una grande fatica, essendoci capitati carrettieri giovani e poco attenti.

La presenza del padre provinciale ci era di grande sollievo, perché aveva cura di tutto.

È di un carattere così tranquillo che non sembra turbarsi di nulla.

Rendeva facili le cose più difficili, anche se non fu così al passaggio dei pontones, ove non potette evitare di temere molto.

Effettivamente, vedersi in mezzo a quell'enorme quantità d'acqua, senza strada né imbarcazione, nonostante tutto l'incoraggiamento che nostro Signore mi aveva dato, fece temere anche me.

Quale sarà stata, dunque, la paura delle mie compagne?

Eravamo otto: due dovevano ripartire con me, cinque restare a Burgos: quattro religiose coriste e una conversa.

Credo di non aver detto ancora come si chiami il padre provinciale.

È fra Girolamo Graziano della Madre di Dio, di cui ho già fatto menzione altre volte.

Soffrivo di un acuto mal di gola che mi ero presa durante il viaggio per Valladolid e continuavo ad avere la febbre.

Mangiare mi faceva sentire gran dolore.

Tali sofferenze m'impedirono di godere, come avrei voluto, delle peripezie del viaggio.

Questo male mi dura tuttora che siamo alla fine di giugno; benché sia meno violento, mi dà sempre molta sofferenza.

Tutte le mie compagne continuarono il viaggio allegramente: passato il pericolo, provavano gusto a parlarne.

È gran cosa soffrire per obbedienza, allorché si è in essa tanto radicati quanto queste religiose!

18. Dopo un viaggio così cattivo, arrivammo a Burgos attraverso il gran fiume che s'incontra prima d'entrarvi.

Il padre volle che ci recassimo anzitutto a visitare il santo Crocifisso per raccomandargli la faccenda e per attendere lì la notte, essendo arrivate presto.

Era di venerdì, il giorno seguente alla Conversione di san Paolo, 26 gennaio.

Il nostro fermo proposito consisteva nel realizzare subito la fondazione.

Avevo con me molte lettere del canonico Salinas ( del quale ho già parlato nella fondazione di Palencia e che qui non ebbe meno da fare, essendo nato nel luogo e da ragguardevole famiglia ) dirette a sollecitare vivamente da parenti e amici il loro appoggio per la nostra causa.

19. Essi non mancarono di farlo; subito, fin dall'indomani, vennero tutti a trovarmi, e in commissione, per dirmi che non erano pentiti di quanto avevano promesso e che si rallegravano molto del mio arrivo: vedessi io in che cosa potevano servirmi.

Siccome, se avevamo qualche timore, era proprio da parte della città, ci sembrò appianato ogni ostacolo.

Senza il diluvio di pioggia sotto il quale giungemmo alla casa della buona Catalina de Tolosa, avremmo provveduto a informare il vescovo del nostro arrivo, prima che lo sapesse da chiunque altro, affinché si potesse celebrare subito la prima Messa, come faccio nella maggior parte delle fondazioni, ma dovemmo rinunciarvi per la ragione anzidetta.

20. Quella notte riposammo assai bene, per tutte le comodità offerteci da questa santa donna.

La sua sollecitudine però mi costò cara; c'era un gran fuoco acceso per asciugare l'acqua e, benché fosse in un camino, mi fece così male che il giorno dopo non potevo alzare la testa, tanto che parlavo sdraiata a quelli che venivano a vedermi, attraverso una finestra con la grata, coperta da un velo.

Ciò fu per me assai increscioso, perché quel giorno bisognava a ogni costo trattare i nostri affari.

21. Fin dalla mattina il padre provinciale andò a chiedere la benedizione dell'illustrissimo: era tutto quello che, a quanto credevamo, ci restasse da fare.

Lo trovò così alterato e sdegnato perché ero venuta senza il suo permesso come se non me lo avesse mai dato né mai si fosse avviata quella fondazione.

Le sue parole al padre provinciale furono pertanto di estrema irritazione a mio riguardo.

Pur avendo ammesso di avermi ordinato di venire, disse che io sola dovevo trattare della cosa, ma venire con tante monache! …

Dio ci liberi dalla contrarietà che ne aveva!

Serviva a poco dirgli che già, com'egli aveva voluto, l'affare era concluso con la città, che non si doveva dar corso ad altre trattative, ma solo fondare il monastero, e che il vescovo di Palencia, al quale avevo chiesto se potevo partire senza farlo sapere a sua signoria, mi aveva risposto che non c'era motivo di preavvertirlo, visto che ne aveva già espresso il desiderio.

Tutto si svolse esattamente così, perché Dio voleva la fondazione del monastero, come lo stesso arcivescovo ora riconosce.

Se infatti gli avessimo fatto sapere candidamente del nostro arrivo, ci avrebbe detto di non venire.

Congedò il padre provinciale dicendogli che se non avevamo rendite e casa propria, non ci avrebbe dato in nessun modo l'autorizzazione e che potevamo ben tornarcene subito indietro.

Con quelle strade così buone e con quel tempo così bello!

22. Oh, com'è vero, mio Signore, che, non appena vi si rende un servizio, voi lo ripagate con una gran tribolazione!

E che ricompensa preziosa sarebbe questa per coloro che vi amano davvero, se ne comprendessero subito il valore!

Ma noi allora non avremmo voluto questo guadagno, perché sembrava rendere impossibile ogni nostro piano.

L'arcivescovo esigeva di più: che quanto era destinato a servire per la rendita e l'acquisto della casa non doveva essere preso dalla dote delle religiose.

Essendo tale condizione inammissibile nei tempi attuali, appariva chiaro che non c'era via d'uscita: non a me, però, sicurissima com'ero sempre che tutto sarebbe tornato a nostro profitto, che erano intralci del demonio per impedire la fondazione e che Dio sarebbe riuscito a farne effettuare l'esecuzione.

Il padre provinciale ritornò tutto allegro con queste notizie, non rimanendone, per il momento, affatto turbato.

Fu una provvidenza di Dio affinché non s'irritasse con me per non essermi procurata l'autorizzazione scritta, com'egli mi aveva detto.

23. Ho già detto prima che erano stati da me i parenti e gli amici del canonico Salinas, dopo aver ricevuto le sue lettere.

Ritornarono subito e furono di avviso che si chiedesse all'arcivescovo il permesso di celebrare la Messa in casa, essendo indecoroso che noi andassimo per le strade scalze con tutto quel fango, mentre in casa c'era una stanza particolarmente adatta allo scopo.

Era stata adibita a cappella dai padri della Compagnia di Gesù, appena venuti a Burgos, restando destinata a quest'uso per più di dieci anni.

Ci sembrava pertanto che non potessero esserci difficoltà per far lì la presa di possesso fino all'acquisto di una casa.

Ma non riuscimmo ad ottenere dall'arcivescovo il permesso di ascoltarvi la Messa, nonostante che i due canonici si fossero recati da lui a fargliene istanza.

Tutto quello che si poté ottenere fu che, assicurataci la rendita, la fondazione si facesse in quel luogo fino all'acquisto di una casa, e che a tal fine c'impegnassimo su cauzione a comprarne una e ad andare via da quella in cui eravamo.

Trovammo subito chi ci aiutò.

Gli amici del canonico Salinas si offrirono a far loro da garanti e Catalina de Tolosa, da parte sua, ad assicurare la rendita della fondazione.

24. Per stabilire quanto, come e da chi dovesse provvedersi a tutto ciò, passarono, credo, più di tre settimane, e in tutto questo tempo non ascoltammo la Messa che nei giorni festivi, di prima mattina.

Intanto la febbre non mi lasciava ed io stavo molto male.

Ma Catalina de Tolosa provvide così bene a tutto, desiderosa com'era di prodigarsi per gli altri.

Ha un cuore così grande che ci nutrì per un mese, come se fosse stata la madre di ognuna di noi, tenendoci con sé in una stanza appartata.

Il padre provinciale alloggiava con i suoi compagni in casa di un amico, suo ex condiscepolo, il dottor Manso, allora canonico teologo della cattedrale.

Benché contrariato per quell'indugio, non sapeva decidersi a lasciarci.

25. Una volta sistemata la questione dei garanti e della rendita, l'arcivescovo ci mandò dal vicario che doveva sbrigare subito la pratica.

Ma il demonio non lasciava certo di correre ai ripari.

Dopo che tutto era stato attentamente considerato, pensavamo ormai che non ci fosse più nessun motivo d'indugio: era trascorso quasi un mese per riuscire a ottenere dall'arcivescovo l'approvazione di quanto si era convenuto.

Ma il vicario m'inviò un memoriale in cui si diceva che l'autorizzazione non sarebbe stata rilasciata fino a quando non avessimo una casa propria, perché l'arcivescovo non voleva più che la fondazione si facesse in quella dove stavamo, essendo umida e in una strada troppo rumorosa.

Presentava inoltre non so quali intralci e difficoltà per la sicurezza della rendita come se si desse inizio allora alle trattative.

Ci raccomandava, infine, di stare zitte, perché, dopo tutto, la casa doveva essere di gradimento dell'arcivescovo.

26. Fu grande, di fronte a ciò, il turbamento del padre provinciale e di tutte noi, perché si sa ormai quanto tempo ci voglia per l'acquisto di un locale adatto a un monastero, ed egli provava una viva contrarietà nel vederci uscire per la Messa.

Anche se la chiesa non era lontana e l'ascoltassimo in una cappella dove non ci vedeva nessuno, per sua reverenza e per noi era una grandissima pena il prolungarsi di questa situazione.

Da allora, credo, egli fu del parere di farci ripartire.

Io però non potevo rassegnarmi a questa soluzione, ricordando la raccomandazione del Signore di adoperarmi a questo scopo da parte sua: ero così certa che il monastero si sarebbe fondato, da non soffrire quasi di nessuna contraddizione.

La mia sola pena era data da quella del padre provinciale; mi rincresceva molto che egli fosse venuto con noi, non sapendo quanto i suoi amici ci sarebbero stati utili, come dirò in seguito.

Mentre eravamo in questa afflizione, assai grande per le mie compagne ( ma di questo non mi preoccupavo, presa com'ero da quella del padre provinciale ), senza che mi trovassi in orazione, nostro Signore mi disse queste parole: Ora, Teresa, tieni duro.

Ciò mi incoraggiò a insistere con il padre provinciale ( e Sua Maestà doveva certo ispirarlo ad acconsentire ) perché ripartisse lui e ci lasciasse sole: era ormai vicina la quaresima e aveva l'impegno di andare a predicare.

27. Egli e i suoi amici ci fecero dare qualche stanza nell'ospedale della Concezione, dove si conservava il santissimo Sacramento e si celebrava la Messa ogni giorno.

Questo gli fu di qualche sollievo, ma per riuscirvi dovette penare molto.

Un comodo appartamento, di cui l'ospedale disponeva, era stato preso in affitto da una vedova della città, la quale non solo non ce lo volle prestare ( benché non dovesse occuparlo se non da lì a sei mesi ), ma fu molto spiacente che ci avessero dato, sotto il tetto, in soffitta alcune stanze di cui una era in comunicazione con il suo appartamento.

Così non si accontentò di chiuderla a chiave dall'esterno, ma la fece inchiodare dall'interno.

Oltre a questo, i confratelli pensarono che noi intendessimo appropriarci dell'ospedale, sospetto privo d'ogni fondamento, ma Dio voleva farci acquistare maggior merito.

Fecero così promettere al padre provinciale e a me, davanti a un notaio, che, non appena ci avessero detto di andarcene, lo avremmo subito fatto.

28. Questo impegno mi costò più d'ogni altra cosa, perché nutrivo timori circa la vedova, la quale, essendo ricca e di famiglia ragguardevole, ci avrebbe al suo primo capriccio costrette ad andar via.

Ma il padre provinciale, che era più accorto di me, volle che si facesse quanto richiedevano, affinché vi potessimo entrare al più presto.

Non ci davano altro che due stanze e una cucina.

Ma l'amministratore dell'ospedale, Hernando de Matanza, gran servo di Dio, ce ne assegnò altre due perché ci servissero come parlatorio.

Ci faceva molta carità, come la fa a tutti, specialmente ai poveri.

Altrettanto generosa assistenza ci prodigò Francisco de Cuevas, direttore capo del servizio postale cittadino, che godeva di molta autorità nell'ospedale.

Egli, in tutte le occasioni che gli si sono offerte, non ha mai tralasciato di favorirci.

29. Ho riferito i nomi di questi nostri primi benefattori perché è giusto che le religiose presenti e future li ricordino nelle loro preghiere.

Tale ricordo si deve soprattutto ai fondatori, anche se la mia prima intenzione non fu quella di dare questo titolo a Catalina de Tolosa, anzi neppure mi passò per la mente.

L'ha resa meritevole di questo titolo la sua santa vita di fronte a nostro Signore, il quale dispose le cose in modo che non si può negarglielo.

Oltre, infatti, a pagare la casa, quando non sapevamo come fare, è impossibile dire quanta sofferenza le abbiano procurato tutti gli intralci dell'arcivescovo.

Il solo pensiero che la fondazione non riuscisse l'affliggeva molto; inoltre, non si stancava mai di aiutarci.

30. L'ospedale era molto lontano dalla sua casa, eppure veniva a trovarci quasi ogni giorno con grande affetto e ci mandava tutto quello di cui avevamo bisogno, nonostante le incessanti critiche di cui era oggetto, tali che, se non avesse avuto il coraggio che ha, l'avrebbero indotta a lasciar perdere tutto.

Ero angosciata nel vedere quello che soffriva, perché, se anche il più delle volte ella non lo lasciava trapelare, altre volte non poteva dissimularlo, specialmente quando la toccavano nella coscienza.

È così retta che, per quante occasioni di risentimento le abbiano dato varie persone, non ho mai udito da lei una parola che fosse offesa a Dio.

Le dicevano che sarebbe andata all'inferno e che era incomprensibile come potesse fare quel che faceva, avendo figli.

Eppure si regolava in tutto secondo il parere di uomini dotti, né io, anche se ella avesse voluto agire altrimenti, avrei consentito, per nessuna cosa al mondo, che facesse ciò che non le era lecito, a costo di rinunciare alla fondazione di mille monasteri, nonché di uno.

Ma siccome le trattative erano segrete, non mi meraviglio di quel che si pensava.

Ella rispondeva con la saggezza di cui è ampiamente dotata.

Si comportava in modo tale che era evidente come Dio le insegnasse a sapersi destreggiare per accontentare gli uni e sopportare gli altri e le desse il coraggio di resistere a tutto.

Quanto più coraggio, di fronte a grandi cose, hanno i servi di Dio che non le persone nobili, forti solo del loro casato!

Del resto, a questa donna non manca nobiltà di sangue, discendendo ella da antenati illustri.

31. Tornando dunque a quel che dicevo, il padre provinciale, quando ci ebbe sistemate dove, stando in clausura, potevamo ascoltare la Messa, trovò il coraggio di partire per Valladolid, città in cui doveva predicare, sia pure molto afflitto di non scorgere nell'arcivescovo alcun indizio che lasciasse sperare nella concessione dell'autorizzazione.

Benché io lo inducessi a nutrire fiducia, non riusciva a darmi ascolto.

Certo, aveva buone ragioni per diffidare, ragioni che qui non è il caso di dire.

Se egli, inoltre, aveva poca speranza, i suoi amici ne avevano ancor meno e contribuivano a scoraggiarlo.

Io mi sentii sollevata alla sua partenza, perché – come ho detto – la mia maggior pena era data dalla sua.

Ci lasciò l'ordine di cercare la casa perché ne disponessimo in proprio, cosa assai difficile, non essendosene fino allora trovata una che potesse convenirci.

I nostri amici, specialmente i due del padre provinciale, rimasero ancora più impegnati nei nostri riguardi, e stabilirono di comune accordo di non far più parola della cosa all'arcivescovo, finché non avessimo la casa.

Quest'ultimo diceva sempre che desiderava più d'ogni altro questa fondazione, e credo che fosse sincero essendo così buon cristiano da non poter dire nulla contro la verità.

Tuttavia le sue azioni non lo rivelavano perché pretendeva cose apparentemente impossibili nei confronti delle nostre risorse.

Era questa la trama ordita dal demonio perché la fondazione non si facesse; ma, o Signore, com'è evidente la vostra potenza!

Servendovi, infatti, degli stessi mezzi con cui il demonio cercava d'impedire quest'opera, avete trovato il modo per farla meglio riuscire.

Siate per sempre benedetto!

32. Dalla vigilia di San Mattia, in cui entrammo nell'ospedale, fino alla vigilia di San Giuseppe, passammo tutto il tempo in trattative per l'una o l'altra casa.

C'erano sempre tanti inconvenienti, che nessuna di quelle poste in vendita ci offriva la possibilità di acquistarla.

Infine mi parlarono della casa di un gentiluomo – che era in vendita da vari giorni – e, nonostante la ricerca di un alloggio da parte di tanti Ordini, piacque a Dio che a nessuno di essi tale casa sembrasse adatta.

Ora sono tutti stupiti del loro rifiuto e qualcuno ne è anche assai pentito.

A me ne era stato parlato bene da due persone, ma erano tante quelle che ne dicevano male, che ero ormai lontana dal pensarci, persuasa che non ci convenisse.

33. Anche il licenziato Aguiar, amico del nostro padre provinciale, si adoperava con grande zelo per trovarci una casa.

Un giorno mi informò d'averne viste varie, ma che non ce n'era una adatta in tutta la città, né realmente pareva possibile trovarla, in base alle notizie che mi venivano date.

Mi ricordai, allora, di questa che era stata, come ho detto, già esclusa da noi e pensai che, malgrado fosse così scadente come mi dicevano, poteva servirci in quel frangente, visto che poi si poteva sempre vendere.

Chiesi, quindi, al licenziato Aguiar di farmi il piacere d'andarla a vedere.

34. Non gli parve una cattiva idea; non l'aveva mai vista e volle subito andarvi nonostante che la giornata fosse assai burrascosa e fredda.

L'occupava un inquilino, il quale aveva poca voglia di vederla vendere e non volle fargliela visitare.

Ma, per la sua posizione e per quello che di essa aveva potuto scorgere, ne rimase assai soddisfatto.

Ci decidemmo, così, a trattarne subito l'acquisto.

Il proprietario in quel momento era assente, ma aveva dato la procura per effettuarne la vendita a un sacerdote, gran servo di Dio, al quale Sua Maestà ispirò il desiderio di aderire alla nostra richiesta e trattare con noi con tutta la benevolenza possibile.

35. Restammo d'accordo che andassi a vederla.

Ne rimasi soddisfatta a tal punto che, quand'anche ci avessero chiesto il doppio di quanto sapevo avevano chiesto per darcela, mi sarebbe sembrato di ottenerla a buon mercato.

Non era, del resto, una valutazione esagerata, perché due anni prima ne era stato offerto proprio il doppio al padrone e non aveva voluto venderla.

Il giorno dopo vennero lì senza indugio il sacerdote e il licenziato, il quale, vedendo il prezzo di cui l'altro si contentava, avrebbe voluto subito stringere i tempi.

Ma alcuni amici che avevo informato della cosa mi avevano detto che a quel prezzo pagavo cinquecento ducati più del suo valore.

Lo dissi al licenziato, il quale, però, riteneva che l'avremmo pagata a buon prezzo, dando quello che ci si chiedeva; a me sembrava lo stesso; da parte mia non avrei avuto esitazioni, giudicandola come regalata, ma, trattandosi di denari dell'Ordine, mi sorgevano scrupoli.

Questa riunione avveniva la vigilia della festa del nostro glorioso san Giuseppe, prima della Messa.

Io dissi a quei signori che, finita la Messa, ci saremmo riuniti di nuovo per prendere una decisione.

36. Il licenziato, che è molto avveduto, si rese chiaramente conto che se la cosa si fosse divulgata, o avremmo dovuto pagare di più o rinunziare all'acquisto.

Si adoperò, perciò, ad evitare perdite di tempo e si fece promettere dal sacerdote che sarebbe tornato lì dopo la Messa.

Noi andammo a raccomandare la cosa al Signore, il quale mi disse: È il denaro a farti esitare?

Compresi, così, che quella casa ci conveniva.

Le consorelle avevano pregato molto san Giuseppe di farci avere una casa per il giorno della sua festa e, pur non potendosi sperare che ciò avvenisse così presto, furono esaudite.

Tutti mi chiesero con insistenza di concludere l'affare, e lo si fece subito, perché il licenziato trovò alla porta un notaio che parve inviato lì per disposizione del Signore.

Lo condusse da me, mi disse che bisognava concludere e chiamò un testimone.

Chiusa allora la porta della sala affinché non trapelasse nulla al di fuori ( poiché era questa la sua paura ), la vendita fu conclusa con tutte le formalità necessarie, la vigilia della festa – ripeto – del glorioso san Giuseppe, per la lodevole sollecitudine e l'accortezza di questo buon amico.

37. Nessuno avrebbe immaginato che la casa sarebbe stata venduta a così buon prezzo.

Perciò, appena la notizia dell'acquisto cominciò a divulgarsi, vennero fuori da ogni parte compratori affermando che il sacerdote l'aveva data per nulla e che bisognava rescindere il contratto, trattandosi di un evidente inganno.

Quel buon sacerdote non ebbe poco da soffrire.

Avvisarono subito i proprietari della casa che – come ho detto – erano un illustre gentiluomo e sua moglie, anch'ella di ottima famiglia.

Ma essi si rallegrarono tanto di vedere la loro casa diventare un monastero, che diedero tutto per ben fatto, benché ormai non potessero agire altrimenti.

Il giorno dopo si stesero gli atti notarili e si pagò il terzo della casa, senza discostarsi d'un punto dalle richieste del sacerdote.

Alcune particolari imposizioni non convenute prima rendevano onerose le clausole del contratto, ma per compiacerlo accondiscendemmo.

38. Potrà sembrare fuori luogo il fatto che m'indugi tanto a raccontare l'acquisto di tale casa.

Ma, in verità, quelli che seguirono l'affare nei minimi particolari non videro in esso nulla meno di un miracolo, sia per l'esiguità del prezzo, sia per quella specie d'accecamento che aveva impedito a tutti i religiosi, dopo averla vista, di comprarla.

E, come se la casa, prima, non fosse mai esistita a Burgos, quelli che la vedevano ne restavano stupiti: biasimavano coloro che non l'avevano voluta e li chiamavano pazzi.

Era stata rifiutata da una comunità di religiose in cerca di una casa: anzi, da due comunità, una di recente fondazione l'altra venuta da fuori in seguito all'incendio della propria dimora.

Inoltre, poco prima, anche una persona ricca, intesa a fondare un monastero, dopo averla vista, l'aveva lasciata perdere: tutti ne sono ora assai pentiti.

39. Il gran parlare che se ne fece in città fu tale che costatammo quanto avesse avuto ragione il licenziato di voler mantenere segrete le trattative e di darsi ogni premura per la conclusione di esse.

Possiamo in verità dire che, dopo Dio, dobbiamo a lui la casa.

Un sapiente accorgimento è d'immenso aiuto a tutto.

Tale fu quello del licenziato.

Dio gl'ispirò così benevola disposizione verso di noi da essere lo strumento di cui la Provvidenza si servì per porre fine a quest'opera.

Si dedicò più d'un mese ad aiutarci, suggerendo espedienti per sistemare convenientemente la casa senza troppa spesa.

Sembrava proprio che il Signore l'avesse riservata a sé, perché quasi tutto vi si trovava già fatto.

Tant'è vero che, appena la vidi e la trovai in ogni particolare come se fosse stata costruita così per noi, pensando alla rapidità con cui era stata ultimata, mi sembrava di sognare.

Nostro Signore ci ha ben ricompensato di quello che avevamo sofferto, portandoci in un tale luogo di delizie, perché davvero non si può darne altro giudizio, così per il giardino, come per il panorama e le acque.

Sia egli per sempre benedetto! Amen.

40. L'arcivescovo fu presto avvertito di tutto e si rallegrò molto di una conclusione così felice, ritenendo che la sua insistenza ne fosse stata la causa, e in questo aveva perfettamente ragione.

Io gli scrissi che ero lieta di saperlo soddisfatto e che mi sarei affrettata a sistemare la casa, affinché egli potesse adempiere i nostri desideri.

Fatto questo, mi sbrigai a trasferirmi lì, essendo stata avvertita che voleva ritardare il trasloco fino a quando non si fossero espletate non so quali formalità.

Inoltre, benché dalla casa non fosse ancora andato via l'inquilino, che ci diede a sua volta non poco filo da torcere perché si riuscisse a metterlo fuori, prendemmo alloggio in un appartamento.

Mi vennero subito a dire che l'arcivescovo era assai contrariato a causa di ciò.

Feci del mio meglio per ammansirlo giacché, siccome è buono, anche se va in collera, l'inquietudine gli passa presto.

S'irritò anche nel sapere che avevamo grate e ruota, ritenendo che io avessi voluto strafare di mia iniziativa.

Gli scrissi che non era stata tale la mia intenzione, ma che tutte le case di raccoglimento ne disponevano e che, anzi, per non dare nell'occhio, non avevo neanche osato porre sulla porta una croce, il che era vero.

Peraltro, nonostante tutta la benevolenza che ci attestava, non si riusciva ad ottenere la sua autorizzazione.

41. Venne a vedere la casa, ne rimase molto soddisfatto e si dimostrò assai gentile, ma non ancora intenzionato ad accordarmi l'autorizzazione, anche se ci diede maggiori speranze: si trattava di dover stipulare ancora non so quali scritture con Catalina de Tolosa.

Si temeva molto che non l'avrebbe concessa, ma il dottor Manso che, come ho detto, è l'altro amico del padre provinciale e strettamente legato all'arcivescovo, non si lasciava sfuggire occasione per ricordargli la cosa e sollecitarlo insistentemente a darci l'autorizzazione.

Gli dispiaceva molto vederci nella situazione in cui eravamo, perché anche in questa casa, nonostante vi fosse una cappella che serviva prima a celebrarvi la Messa per i proprietari, l'arcivescovo non ci volle mai permettere di fare altrettanto: dovevamo uscire i giorni festivi e le domeniche ad ascoltarla in una chiesa che, per fortuna, era vicina.

Tale situazione durò dal nostro trasferimento in questa casa fino a che si fondò il monastero, cioè circa un mese.

Tutti i teologi dicevano che era un motivo sufficiente per far celebrare la Messa lì e lo riteneva tale anche l'arcivescovo, che è molto dotto.

Ma la ragione di tutto questo non sembra fosse altra che la volontà di nostro Signore di farci soffrire.

Da parte mia, mi adattavo alla meglio, ma una consorella, quando si vedeva in istrada, tremava dalla pena che ne aveva.

42. Per la firma degli atti notarili vi furono molte difficoltà, perché ora si accontentavano dei garanti, ora volevano il denaro, e così via, seccature su seccature.

La colpa di questo non era tanto dell'arcivescovo quanto di un suo vicario che ci fece una gran guerra.

E se allora Dio non gli avesse fatto intraprendere un viaggio, in modo che il suo posto fu affidato ad un altro, non ne saremmo mai venute a capo.

Oh! Quanto ebbe a patire allora Catalina de Tolosa!

È cosa da non dirsi.

Sopportava tutto con una pazienza che mi sbalordiva, e non si stancava di provvedere ai nostri bisogni.

Diede tutto il mobilio necessario per arredare la nostra dimora, letti e molte altre cose di cui la sua casa era abbondantemente provvista: in poche parole, tutto quello che ci occorreva; preferiva mancare lei di qualche cosa, piuttosto che ne mancassimo noi.

Altre fondatrici di nostri monasteri ci hanno dato beni più grandi, ma nessuna ha sofferto per noi la decima parte di quello che ha sofferto lei.

Se non avesse avuto figli, ci avrebbe dato tutte le sostanze di cui poteva disporre.

Desiderava tanto vedere compiuta quest'opera che le sembrava poco tutto quello che faceva a tal fine.

43. Quando vidi che le cose andavano per le lunghe, scrissi al vescovo di Palencia supplicandolo di tornare a sollecitare l'arcivescovo con una lettera.

Egli era irritatissimo con lui, considerando come fatto a sé tutto quello che faceva a noi, mentre, con nostra meraviglia, l'arcivescovo era persuaso di non farci il minimo torto.

Supplicai, dunque, il vescovo di Palencia di scrivergli dicendogli che, poiché avevamo una casa e ottemperavamo ai suoi ordini, ci concedesse finalmente l'autorizzazione.

M'inviò una lettera aperta per l'arcivescovo di tal tenore che, se gliel'avessimo consegnata, avremmo rovinato tutto.

Il dottor Manso, che era il mio confessore e il mio consigliere, mi disse, infatti, di non farlo.

Benché di tono assai cortese, essa conteneva alcune verità che, considerato il carattere dell'arcivescovo, sarebbero bastate ad irritarlo, tanto più che era già incollerito per certe cose che il vescovo gli aveva mandato a dire, nonostante che fino allora fossero molto amici.

E l'arcivescovo mi disse che se la morte di nostro Signore aveva reso amici quelli che prima non lo erano, io, invece, avevo reso nemici loro due.

Gli risposi che da questo poteva vedere chi fossi.

Ma, per quanto mi è dato giudicarne, avevo posto particolare attenzione perché non sorgessero screzi fra loro.

44. Ricorsi di nuovo al vescovo di Palencia per supplicarlo, con le migliori ragioni che seppi trovare, di scrivere all'arcivescovo un'altra lettera più amichevole, dicendogli che si trattava del servizio di Dio.

Egli fece quanto gli chiesi, e non fu poco; vi acconsentì, visto che si trattava di rendere un servizio a Dio e di far piacere a me – cosa a cui non è mai venuto meno –, compiendo uno sforzo di volontà.

Mi scrisse, però, che quanto aveva fatto per il nostro Ordine non era nulla in confronto a quello che gli era costato l'invio di quella lettera.

Era scritta in modo tale, e il dottor Manso seppe presentarla così bene, che l'arcivescovo decise di darci l'autorizzazione.

Si servì, per farcela avere, del buon Hernando de Matanza, che venne da noi pieno di gioia.

Quel giorno le consorelle erano molto più afflitte di quanto non lo fossero mai state e la buona Catalina de Tolosa era in tale stato che non si riusciva a consolarla.

Sembrava che nostro Signore volesse aumentare le nostre angosce proprio quando doveva riempirci di gioia.

Perfino io, infatti, che non avevo mai perduto la fiducia, la notte prima mi sentivo assai scoraggiata.

Sia eternamente benedetto il nome di Dio e sia egli lodato per tutti i secoli! Amen.

45. L'arcivescovo diede al dottor Manso il permesso di celebrare l'indomani la Messa e di porre il santissimo Sacramento.

Fu dunque lui a celebrare la prima Messa.

Quella solenne fu celebrata, con gran concorso di musicanti venuti di loro iniziativa, dal padre priore del convento di San Paolo, dell'Ordine dei domenicani, ai quali il nostro Ordine è stato sempre molto obbligato, come anche ai padri della Compagnia di Gesù.

Tutti i nostri amici erano felici, e si può dire che fosse piena di gioia l'intera città, cui aveva fatto molta pena il vederci in quella situazione; l'operato dell'arcivescovo era giudicato così male che, a volte, mi affliggeva più il modo con cui se ne parlava che tutto il resto.

La gioia della buona Catalina de Tolosa e delle consorelle era talmente grande che m'ispirava devozione e dicevo a Dio: « Signore, che altro vogliono queste vostre serve, se non di potervi servire e di vedersi raccolte in clausura per voi in una casa dalla quale non dovranno più uscire? ».

46. Non si potrà mai capire, a meno d'averne fatto esperienza, la gioia che si prova in queste fondazioni quando ci si ritrova in clausura, dove non possono entrare le persone del mondo.

Per molto, infatti, che le amiamo, tale affetto non è sufficiente a toglierci la grande felicità di vederci sole.

Mi sembra che sia come quando si traggono dal fiume nella rete molti pesci, che non possono vivere se non vengono di nuovo gettati in acqua: avviene ugualmente delle anime abituate a stare nelle vive acque del loro Sposo, che – tolte da lì e tratte nelle reti delle cose del mondo – effettivamente non vivono più finché non si vedono di nuovo nel loro elemento.

Ciò è quanto ho sempre notato in queste consorelle e di cui ho fatto io stessa esperienza.

Le religiose che dovessero sentire in sé il desiderio di uscir fuori da qui per stare fra secolari o di trattare spesso con loro, temano di non aver mai incontrato quell'acqua viva di cui il Signore parlava alla samaritana e che lo Sposo si sia loro nascosto, ben a ragione, visto che esse non godono di stare con lui.

Ho paura che ciò provenga da due motivi: o che non abbiano abbracciato la vita religiosa soltanto per lui, o che – dopo averla abbracciata – non abbiano capito quale straordinaria grazia Dio abbia concesso loro, scegliendole per sé e liberandole dallo star soggette ad un uomo, che spesso fa perdere ad esse la vita.

Dio voglia, inoltre, che non sia così anche dell'anima!

47. Oh, mio Sposo, vero Dio e vero uomo!

Com'è possibile tenere in poco conto la grazia di appartenervi?

Rendiamogli lode, sorelle mie, per avercela concessa, e non cessiamo mai di magnificare un così gran Re e Signore che ci tiene preparato un regno senza fine in cambio di piccole sofferenze che domani cesseranno di esistere e che, d'altronde, sono alleviate da mille gioie.

Sia egli per sempre benedetto! Amen. Amen.

48. Alcuni giorni dopo la fondazione del monastero, parve al padre provinciale e a me che nei riguardi della rendita assegnataci da Catalina de Tolosa ci fossero alcuni inconvenienti dai quali poteva provenire a noi il pericolo di una causa giudiziaria e a lei quello di qualche dispiacere.

Preferimmo pertanto confidare in Dio anziché esporci al rischio di procurarle la benché minima sofferenza.

Sia per questo, sia per varie altre ragioni, rinunziammo, alla presenza di un notaio, con il consenso del padre provinciale, alla donazione che ci aveva fatto, restituendogliene tutti gli atti legali.

Ciò avvenne in gran segreto affinché l'arcivescovo non venisse a saperlo e non lo giudicasse un danno.

In realtà, il peso di questa decisione era gravoso per la nostra casa.

Quando infatti si sa che il monastero è senza rendite, non c'è motivo di temere, perché tutti lo aiutano, ma far credere che il nostro fosse provvisto di rendite era certo pericoloso.

Nel nostro caso significava esporre le monache al rischio di mancare del necessario, almeno nei primi tempi, in quanto per il futuro Catalina de Tolosa vi aveva posto rimedio.

Due sue figlie, infatti, che dovevano quell'anno professare nel nostro monastero di Palencia, nel momento di pronunciare i voti avevano rinunziato ai loro beni in favore della madre, ed ella aveva fatto annullare quell'opzione e volgere la rinuncia in favore del monastero di Burgos.

A un'altra figlia che ha voluto prendere l'abito qui da noi lascerà la legittima, che le spetta da parte del padre e della madre, il che equivale alla rendita che ella ci aveva dato.

L'unico inconveniente è che per ora la comunità non ne gode.

Ma io ho sempre avuto la convinzione che le religiose non mancheranno di nulla perché il Signore, che procura elemosine ad altri monasteri senza rendite, saprà ispirare la carità anche a favore di questo, o vi provvederà in un altro modo.

Tuttavia, siccome nessun altro monastero era stato eretto in queste condizioni, a volte supplicavo il Signore affinché, avendone voluto la fondazione, volesse anche disporre le cose in modo da rimediare a quella difficile circostanza, non facendo mancare le religiose del necessario.

E non avevo voglia di partire da lì fino a quando non vi entrasse qualche novizia.

49. Mentre un giorno stavo pensando a questo, dopo la comunione, il Signore mi disse: Di che temi?

È cosa ormai finita; puoi ben andartene, facendomi così intendere che il necessario alle religiose non sarebbe mancato.

Fu tale la sicurezza ispiratami da queste parole che non sentii più alcuna preoccupazione, come se le lasciassi con un'ottima rendita.

Preparai subito la mia partenza, perché mi pareva che ormai lì non facessi altro che godere di quella casa, tanto di mio gusto, mentre altrove, sia pure a costo di pene maggiori, potevo essere più utile.

L'arcivescovo di Burgos e il vescovo di Palencia restarono grandi amici.

Subito, infatti, l'arcivescovo ci dimostrò molta benevolenza e diede l'abito alla figlia di Catalina de Tolosa e a un'altra novizia che entrò poco dopo.

Finora non ci sono mancati donativi da parte di varie persone, né certamente nostro Signore lascerà patire le sue spose, se lo servono come sono obbligate a fare.

Sua Maestà ne dia loro la grazia per la sua grande misericordia e bontà.

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