Vita prima

Capitolo V

Il padre lo perseguita e lo tiene prigioniero

[336] 10. Mentre il servo dell'Altissimo. viveva in quel luogo, suo padre andava cercando ovunque, come un diligente esploratore, notizie del figlio.

Appena venne a conoscenza che Francesco dimorava in quel luogo e viveva in quella maniera, profondamente addolorato e colpito dal fatto inatteso, radunò vicini e amici e corse senza indugio dal servo di Dio.

Ma questi, che era ancora novizio nelle battaglie di Cristo, presentendo la loro venuta e sentendo le grida dei persecutori, si sottrasse alla loro ira, nascondendosi in un rifugio sotterraneo che si era preparato proprio in previsione di un simile pericolo.

In quella fossa, che era sotto la casa. ed era nota forse ad uno solo, rimase nascosto per un mese intero non osando uscire che per stretta necessità.

Mangiava nel buio del suo antro il cibo che di tanto in tanto gli veniva offerto, e ogni aiuto gli era dato nascostamente.

Con calde lacrime implorava Dio che lo liberasse dalle mani di chi perseguitava la sua anima ( Sal 109,31; Sal 142,7-8 ) e gli concedesse la grazia di compiere i suoi voti.

Nel digiuno e nel pianto invocava la clemenza del Salvatore e, diffidando di se stesso, poneva tutta la sua fiducia in Dio.

Benché chiuso in quel rifugio tenebroso, si sentiva inondato da indicibile gioia, mai provata fino allora.

Animato da questa fiamma interiore, decise di uscire dal suo nascondiglio ed esporsi indifeso alle ingiurie dei persecutori.

[337] 11. Si leva prontamente e di scatto, pieno di zelo e di letizia, si munisce dell'armatura necessaria per le battaglie del Signore: lo scudo della fede e un grande coraggio, e s'incammina verso la città, accusandosi, nel suo divino entusiasmo, di essersi attardato troppo per viltà.

[338] Tutti quelli che lo conoscevano, vedendolo riapparire e mettendo a confronto il suo stato attuale col passato, cominciarono a insultarlo, a chiamarlo mentecatto, a lanciargli contro pietre e fango.

Quell'aspetto, macerato dalla penitenza, e quell'atteggiamento tanto diverso dal solito, li inducevano a pensare che tutti i suoi atti fossero frutto di fame patita e di follia.

Ma poiché la pazienza val più dell'arroganza ( Qo 7,9 ), Francesco non si lasciava disanimare né sconfiggere da insulto alcuno e ringraziava Dio per quelle prove.

Invano l'iniquo perseguita l'uomo retto, perché quanto più questi è combattuto tanto maggiore è il trionfo della sua fortezza.

L'umiliazione, disse qualcuno, rende più intrepido il cuore generoso.

[339] 12. Quel vociare rumoroso e canzonatorio attorno a lui si diffondeva sempre di più per le vie e le piazze della città e il clamore degli scherzi rimbalzava di qua e di là toccando le orecchie di molti, finché giunse anche a quelle di suo padre.

Questi, udito gridare il nome del figlio e saputo che proprio contro di lui era diretto il dileggio dei cittadini, subito andò da Francesco, non per liberarlo, ma per rovinarlo.

Come il lupo assale la pecora, senza più alcun ritegno, con sguardo truce e minaccioso, afferrandolo con le mani, lo trascinò a casa.

E, inaccessibile ad ogni senso di pietà, lo tenne prigioniero per più giorni in un ambiente oscuro, cercando di piegarlo alla sua volontà, prima con parole, poi con percosse e catene.

Ma il giovane dalle stesse sofferenze traeva forza e risolutezza per realizzare il suo santo ideale.

Né la debilitante reclusione né i martellanti rimbrotti gli fecero mai perdere la pazienza.

[340] Il cristiano infatti ha il mandato di rallegrarsi nelle tribolazioni: neppure sotto i flagelli e le catene può abbandonare la sua linea di condotta e di spirito e lasciarsi sviare dal gregge di Cristo.

Non lo intimorisce il diluviare di molte acque ( Sal 32,6 ), lui, che in ogni angustia ha per rifugio il Figlio di Dio, il quale perché non riteniamo troppo pesante il giogo delle nostre sofferenze, ci mostra quanto sono assai più grandi quelle che egli ha sopportato per noi.

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