Vita seconda

La vera letizia dello spirito

Capitolo LXXXVIII

La letizia spirituale e sua lode

Il male della malinconia

[709] 125. Questo Santo assicurava che la letizia spirituale è il rimedio più sicuro contro le mille insidie e astuzie del nemico.

Diceva infatti: « Il diavolo esulta soprattutto, quando può rapire al servo di Dio il gaudio dello spirito.

Egli porta della polvere, che cerca di gettare negli spiragli, per quanto piccoli della coscienza e così insudiciare il candore della mente e la mondezza della vita.

Ma - continuava - se la letizia di spirito riempie il cuore, inutilmente il serpente tenta di iniettare il suo veleno mortale.

I demoni non possono recare danno al servo di Cristo, quando lo vedono santamente giocondo.

Se invece l'animo è malinconico, desolato e piangente, con tutta facilità o viene sopraffatto dalla tristezza o è trasportato alle gioie frivole ».

Per questo il Santo cercava di rimanere sempre nel giubilo del cuore, di conservare l'unzione dello spirito e l'olio della letizia.

Evitava con la massima cura la malinconia, il peggiore di tutti i mali, tanto che correva il più presto possibile all'orazione, appena ne sentiva qualche cenno nel cuore.

« Il servo di Dio - spiegava - quando è turbato, come capita, da qualcosa, deve alzarsi subito per pregare, e perseverare davanti al Padre Sommo sino a che gli restituisca la gioia della sua salvezza.

Perché, se permane nella tristezza, crescerà quel male babilonese e, alla fine, genererà nel cuore una ruggine indelebile, se non verrà tolta con le lacrime.

Capitolo LXXXIX

Ascolta in Angelo suonare la cetra

[710] 126. Al tempo in cui soggiornava a Rieti per la cura degli occhi, chiamò un compagno che, prima d'essere religioso, era stato suonatore di cetra, e gli disse: « Fratello, i figli di questo mondo non comprendono i piani di Dio.

Perché anche gli strumenti musicali, che un tempo erano riservati alle lodi di Dio, sono stati usati dalla sensualità umana per soddisfare gli orecchi.

Io vorrei, fratello, che tu in segreto prendessi a prestito una cetra, e la portassi qui per dare a frate corpo, che è pieno di dolori, un po' di conforto con qualche bel verso ».

Gli rispose il frate: « Mi vergogno non poco, padre, per timore che pensino che io sono stato tentato da questa leggerezza ».

Il Santo allora tagliò corto: « Lasciamo andare allora, fratello.

È bene tralasciare molte cose perché sia salvo il buon nome ».

La notte seguente, mentre il Santo era sveglio e meditava su Dio, all'improvviso risuona una cetra con meravigliosa e soavissima melodia.

Non si vedeva persona, ma proprio dal continuo variare del suono, vicino o lontano si capiva che il citaredo andava e ritornava.

Con lo spirito rivolto a Dio, il Padre provò tanta soavità in quella melodia dolcissima, da credere di essere passato in un altro mondo.

Al mattino alzatosi, il Santo chiamò il frate e dopo avergli raccontato tutto per ordine, aggiunse: « Il Signore che consola gli afflitti, non mi ha lasciato senza consolazione.

Ed ecco che mentre non mi è stato possibile udire le cetre degli uomini, ne ho sentita una più soave ».

Capitolo XC

Quando il Santo era lieto di spirito, cantava in francese

[711] 127. A volte si comportava così.

Quando la dolcissima melodia dello spirito gli ferveva nel petto, si manifestava all'esterno con parole francesi, e la vena dell'ispirazione divina, che il suo orecchio percepiva furtivamente traboccava in giubilo alla maniera giullaresca.

Talora - come ho visto con i miei occhi - raccoglieva un legno da terra, e mentre lo teneva sul braccio sinistro, con la destra prendeva un archetto tenuto curvo da un filo e ve lo passava sopra accompagnandosi con movimenti adatti come fosse una viella, e cantava in francese le lodi del Signore.

Bene spesso tutta questa esultanza terminava in lacrime ed il giubilo si stemperava in compianto della passione del Signore.

Poi il Santo, in preda a continui e prolungati sospiri ed a rinnovati gemiti, dimentico di ciò che aveva in mano, rimaneva proteso verso il cielo.

Capitolo XCI

Riprende un Frate triste e gli insegna come debba comportarsi

[712] 128. Un giorno vide un suo compagno con una faccia triste e melanconica.

Sopportando la cosa a malincuore, gli disse: « Il servo di Dio non deve mostrarsi agli altri triste e rabbuiato, ma sempre sereno.

Ai tuoi peccati, riflettici nella tua stanza e alla presenza di Dio piangi e gemi.

Ma quando ritorni tra i frati, lascia la tristezza e conformati agli altri ».

E poco dopo: « Gli avversari della salvezza umana hanno molta invidia di me e siccome non riescono a turbarmi direttamente, tentano sempre di farlo attraverso i miei compagni ».

Amava poi tanto l'uomo pieno di letizia spirituale, che per ammonimento generale fece scrivere in un Capitolo queste parole: « Si guardino i frati di non mostrarsi tristi di fuori e rannuvolati come degli ipocriti, ma si mostrino lieti nel Signore, ilari e convenientemente graziosi ».

Capitolo XCII

Come si deve trattare il corpo perché non mormori

[713] 129. Il Santo disse pure una volta: « si deve provvedere a frate corpo con discrezione, perché non susciti una tempesta di malinconia.

E affinché non gli sia di peso vegliare e perseverare devotamente nella preghiera, gli si tolga l'occasione di mormorare.

Potrebbe infatti dire: - Vengo meno dalla fame, non posso portare il peso del tuo esercizio -.

Se poi, dopo aver consumato vitto sufficiente borbottasse, sappi che il giumento pigro ha bisogno degli sproni e l'asinello svogliato attende il pungolo ».

Fu questo l'unico insegnamento, nel quale la condotta del Padre non corrispose alle parole.

Perché soggiogava il suo corpo, assolutamente innocente, con flagelli e privazioni e gli moltiplicava le percosse senza motivo.

Infatti il calore dello spirito aveva talmente affinato il corpo, che come l'anima aveva sete di Dio, così ne era sitibonda in molteplici modi anche la sua carne santissima.

Indice