Leggenda Minore

III - Virtù privilegiate

Lezione I

[1348] L'insigne seguace di Gesù Crocifisso, l'uomo di Dio Francesco, fin dagli inizi della sua conversione crocifiggeva la carne e le sue passioni con il rigore della disciplina e frenava i moti dei sensi con la legge della moderazione in maniera tanto severa che a stento prendeva il sostentamento indispensabile alla natura.

Nei tempi in cui era sano, a fatica e di raro si permetteva vivande cotte e, quando se le permetteva, qualche volta le rendeva amare col mescolarvi della cenere oppure, per lo più, le rendeva insipide col versarci liquor d'acqua.

Usò severa parchezza nel bere e tenne lontano il corpo dal vino, per poter applicare la mente alla luce della sapienza.

Siamo in grado di costatarlo con chiarezza da questo particolare: quando era tormentato dall'arsura della sete, a stento osava bere a sufficienza perfino l'acqua fresca.

Il più delle volte era la nuda terra il letto per il corpicciuolo stanco; guanciale, una pietra; e coperta era un vestito semplice, grinzoso ed ispido, giacché per esperienza sicura aveva imparato che i nemici maligni vengono messi in fuga dalle vesti dure e ruvide, mentre da quelle delicate e molli vengono animati a tentare con maggior baldanza.

Lezione II

[1349] Rigoroso nella disciplina, vigilava assai attentamente su se stesso e aveva cura speciale nel custodire quel tesoro inestimabile della castità, che noi portiamo nel fragile vaso del corpo: e anche il corpo egli si studiava di tenere con rispetto e santità, mediante l'integerrima purezza di tutto se stesso, carne e spirito.

Per questo agli inizi della sua conversione, nel tempo del gelo invernale, forte e fervente nello spirito, si immergeva per lo più in una fossa colma di ghiaccio o di neve, sia per rendersi perfettamente soggetto il nemico di casa, sia per preservare dal fuoco della concupiscenza la veste candida della purezza.

Con pratiche di questa specie incominciò anche ad apparire, nell'uso dei sensi, adorno di un pudore così luminoso e bello, che pareva aver conseguito ormai il pieno dominio della carne e stabilito con i suoi occhi il patto non solo di rifuggire da ogni sguardo sensuale, ma di astenersi totalmente da qualsiasi sguardo curioso o inutile.

Lezione III

[1350] Eppure, anche se aveva conquistato la purità del cuore e del corpo e si stava in certo modo avvicinando alla cima della santificazione, non cessava di purificare continuamente con là pioggia delle lacrime gli occhi dello spirito: bramava la purezza delle chiarità celesti e non si preoccupava che gli occhi del corpo si deteriorassero.

Infatti a causa del continuo piangere era incorso in una gravissima malattia di occhi.

Il medico cercava di persuaderlo ad astenersi dalle lacrime, se voleva sfuggire alla cecità; ma egli non accondiscese in alcun modo, affermando che preferiva perdere la luce della vista corporale che frenare le lacrime e reprimere, così, la devozione dello spirito, poiché con le lacrime l'occhio interiore diventa mondo e riesce a vedere Dio.

L'uomo a Dio devoto, pur in mezzo a quel fluire di lacrime, era sereno, per dir così, di una giocondità celeste, sia nel cuore sia nel volto: il nitore della coscienza santa lo inondava di tanta letizia che il suo spirito era di continuo rapito in Dio e sempre esultava per l'opera delle Sue mani.

Lezione IV

[1351] L'umiltà, custode e ornamento di tutte le virtù, si era giuridicamente impadronita dell'uomo di Dio.

Difatti, benché egli risplendesse per il privilegio di molte virtù, sembrava tuttavia che l'umiltà avesse conseguito un dominio particolare su di lui: minore di tutti i minori.

E certo secondo il criterio con cui lui stesso si giudicava, dichiarandosi il più grande peccatore, egli era proprio e soltanto un piccolo e sudicio vaso di creta: in realtà, invece, era un vaso eletto di santità, fulgido e adorno di molteplici virtù e di grazia, consacrato dalla purezza.

Si studiava di essere spregevole agli occhi propri ed altrui; di ripulire, confessandoli in pubblico, le macchie in lui nascoste e di celare nel segreto del cuore i doni del Datore supremo: non voleva in alcun modo che venisse rivelato, per averne gloria, quanto poteva essere occasione di rovina.

Piuttosto, per compiere ogni giustizia nella realizzazione dell'umiltà perfetta, si impegnò a rimanere soggetto non solo ai superiori, ma anche agli inferiori, a tal punto che aveva l'abitudine di promettere obbedienza anche al compagno di viaggio, fosse stato anche il più semplice.

In questo modo egli non comandava autoritariamente, alla maniera di un prelato; ma, alla maniera di un ministro e di un servo, obbediva per umiltà anche ai sudditi.

Lezione V

[1352] Perfetto seguace di Cristo, si studiò pure di prendersi in isposa con amore eterno la eccelsa povertà, compagna della santa umiltà, e per essa non soltanto lasciò il padre e la madre, ma distribuì ai poveri tutto quanto poté avere.

Nessuno fu tanto avido di oro quanto costui della povertà; nessuno, più preoccupato di custodire un tesoro, quanto costui di custodire la pietra preziosa del Vangelo.

Difatti, dai tempi della fondazione dell'Ordine fino alla morte, lo si vide, ricco di tonaca, corda e mutande, gloriarsi della penuria e godere dell'indigenza.

Se gli capitava d'incontrare qualcuno che, all'abito esterno, sembrava più povero di lui, immediatamente rimproverava se stesso e si incitava ad essere come lui, come se, nella gara per la povertà, temesse di essere vinto su questo punto, perché meno nobile di spirito.

A tutte le cose caduche aveva preferito la povertà, in quanto è pegno dell'eredità eterna, e riteneva un niente le ricchezze ingannevoli: un feudo concesso per un momento amava la povertà a preferenza delle grandi ricchezze e. in essa, desiderava superare tutti gli altri, lui che dalla povertà aveva imparato a ritenersi inferiore a tutti.

Lezione VI

[1353] Attraverso l'amore per l'altissima povertà, l'uomo di Dio divenne così florido e ricco di santa semplicità che, pur non avendo assolutamente nulla di proprio tra le cose del mondo, sembrava il possessore di tutti i beni, poiché possedeva l'Autore stesso di questo mondo.

Infatti con l'acutezza della colomba, cioè con la penetrazione che è propria della mente semplice, e con lo sguardo puro della riflessione, egli riportava tutte le cose al Sommo Artefice e in tutte riconosceva, amava e lodava lo stesso Fattore.

E così avveniva, per dono della clemenza celeste, che egli possedeva tutte le cose in Dio e Dio in tutte le cose.

Inoltre, in considerazione della prima origine di tutte le cose, chiamava tutte le creature, per quanto modeste, col nome di fratello e di sorella, considerando che, insieme con lui, provenivano da un unico Principio.

Abbracciava, però, più appassionatamente e con maggiore dolcezza quelle che per somiglianza naturale rappresentano la pia mansuetudine di Cristo e la raffigurano per il significato loro attribuito dalla Scrittura.

A causa di questo, avveniva, per l'influsso della potenza soprannaturale, che gli animali si sentivano attratti verso di lui come da un senso di pietà; ma anche gli esseri insensibili obbedivano al suo cenno, come se quell'uomo santo, in quanto semplice e retto, fosse già stato ristabilito nello stato di innocenza.

Lezione VII

[1354] La Fonte della Misericordia aveva riversato nel servo del Signore anche una dolce compassione, con tale abbondanza e pienezza che egli, nel sollevare le miserie delle persone miserevoli, pareva portare in sé un cuore di madre.

Gli era connaturale anche la clemenza, che la pietà di Cristo, infusa dall'alto, raddoppiava.

E così, per i malati e per i poveri, egli si sentiva struggere l'anima ed offriva l'affetto, quando non poteva offrire la mano.

Ciò, perché qualunque forma di penuria o di privazione scorgesse in qualcuno, con la dolcezza del suo cuore pietoso la riferiva a Cristo.

In tutti quanti i poveri intravedeva il volto di Cristo e, perciò, se gli veniva dato qualcosa di necessario per vivere, quando li incontrava non soltanto generosamente l'offriva a loro, ma giudicava pure che a loro si doveva restituire, come se appunto a loro appartenesse.

Non la perdonava assolutamente a nulla: mantelli, tonache, libri e perfino la suppellettile dell'altare: se appena lo poteva, tutto donava ai bisognosi a bramava anche di spendere tutto se stesso, per realizzare appieno il dovere della pietà perfetta.

Lezione VIII

[1355] Lo zelo per la salvezza dei fratelli, che si sprigionava dal fuoco della carità, trapassò come spada affilata e fiammeggiante le intime fibre di Francesco, a tal punto che quest'uomo appariva tutto gelosia, acceso da uno zelo bruciante, tormentato dalle pene della compassione.

Quando vedeva che le anime redente dal sangue prezioso di Cristo venivano insozzate dalla bruttura del peccato, Si sentiva trapassato da un dolore straordinario e trafìggente; le compiangeva con una commiserazione così tenera che ogni giorno le partoriva in Cristo, come una madre.

Da qui il suo accanimento nella preghiera, quel correre dovunque a predicare, quell'eccesso nel dare l'esempio: perché non si riteneva amico di Cristo, se non curava teneramente le anime che egli ha redento.

Per questa ragione, benché l'innocente sua carne, che già si assoggettava spontaneamente allo spirito, non avesse alcun bisogno di flagello, egli le moltiplicava i castighi e i pesi, in vista dell'esempio: in vista degli altri obbligava se stesso a percorrere duri cammini, per seguire perfettamente le orme di Colui che, per la salvezza degli altri, consegnò la sua vita alla morte.

Lezione IX

[1356] Quanto, poi, al fervore della carità perfetta, da cui l'amico dello Sposo si sentiva trasportato in Dio, ognuno può costatarlo da questo soprattutto: egli bramava ardentemente di immolarsi con la fiamma del martirio, ostia viva, a Dio.

Tre volte, per tale cagione, egli intraprese il cammino verso i paesi degli infedeli; ma le prime due volte ne fu impedito da disposizione divina.

Finalmente la terza volta, dopo aver provato molti oltraggi, catene, percosse e fatiche innumerevoli, con la guida di Dio venne condotto al cospetto del Soldano di Babilonia: là predicò il Vangelo di Cristo, con una manifestazione così efficace di spirito e di potenza che lo stesso Soldano ne fu ammirato e, diventato mansueto per divina disposizione, lo ascoltò con benevolenza.

In realtà, egli notò in lui fervore di spirito, costanza d'animo, disprezzo della vita presente, efficacia nella Parola di Dio e concepì verso di lui tanta devozione che lo stimò degno di molto onore, gli offrì doni preziosi e lo invitò insistentemente a prolungare il soggiorno presso di lui.

Ma quel vero spregiatore di se stesso e del mondo rifiutò come fango tutte le cose offerte e, costatando che non poteva conseguire quanto si era proposto, dopo avere fatto schiettamente tutto ciò che poteva fare per ottenerlo, tornò tra i paesi cristiani come una rivelazione gli aveva suggerito.

E così avvenne che l'amico di Cristo cercasse con tutte le forze di morire per Lui e non potesse assolutamente riuscirvi.

In tal modo, da una parte non gli mancò il merito del martirio desiderato, e, dall'altra, venne risparmiato per essere, più tardi insignito di un privilegio singolare.

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