Leggenda dei tre compagni

La cosidetta Leggenda dei tre compagni è la più importante delle biografie non ufficiali di Francesco, cioè delle Vite del Santo non scritte su commissione e dietro controllo papale o della classe dirigente dell'Ordine francescano.

La sua denominazione è dovuta alla sua attribuzione a Leone Rufino e Angelo, attestata dalla Lettera di Greccio dell'11 agosto 1246, che nella tradizione manoscritta fa da premessa ai 18 capitoli che la compongono, ma che con essi non sembra avere molto a che fare ( cfr. Introduzione ).

Questa Leggenda costituisce in ogni caso un testo di alta religiosità, e, "il suo valore sta nella rappresentazione della primitiva fraternità francescana, nel largo spazio fatto all'operato dei compagni del Santo, seguendo e raccogliendo, soprattutto, la tradizione assisiate, al punto che meglio di ogni altra potrebbe meritare l'appellativo di Leggenda assisana.

Il processo evolutivo del tema della conformità del Poverello con Cristo, accennato già nelle opere di Tommaso da Celano e portato a maturazione di coscienza da Bonaventura, è qui assolutamente centrale per la valutazione spirituale del Santo.

ll rapporto di Francesco con Cristo, la continuità dei suoi incontri con lui, l'adeguarsi della sua vita a quella di Cristo per merito di doni particolari come quello delle stimmate, conferiscono all'opera una linearità quasi unica " ( Introduzione ).

È da escludere perciò che sia da riconoscere in questo scritto, dalle caratteristiche unitarie e cronologiche, il famoso " florilegio " messo insieme a più mani e inviato dai tre compagni di Greccio che sottoscrissero la lettera del 1246.

Questa conclusione non pregiudica tuttavia, in alcun modo, il significato e l'importanza di questa Leggenda scritta nel periodo post-bonaventuriano, anche se è difficile stabilire se prima o dopo quella dell'Anonimo perugino con la quale ha notevoli affinità.

La traduzione offerta è stata condotta sull'edizione critica curata da Th. Desbonnets, Legenda trium sociorum. Edition critique, in AFH, LXVII (1974), pp. 38 -144.

[1394] Queste sono alcune memorie, scritte da tre compagni del beato Francesco, sulla vita e condotta di lui mentre era nel mondo, sulla meravigliosa e perfetta sua conversione, sulla perfezione dell'origine e del fondamento dell'Ordine in lui e nei primi frati.

Capitolo I

Della nascita di Francesco

Delle sue stranezze e prodigalità e come arrivò a generosità e affetto verso i poveri

[1395] 2. Francesco fu oriundo di Assisi, nella valle di Spoleto Nacque durante un'assenza del padre, e la madre gli mise nome Giovanni; ma, tornato il padre dal suo viaggio in Francia, cominciò a chiamare Francesco il suo figlio.

[1396] Arrivato alla giovinezza, vivido com'era di intelligenza, prese a esercitare la professione paterna, il commercio di stoffe, ma con stile completamente diverso.

Francesco era tanto più allegro e generoso, gli piaceva godersela e cantare, andando a zonzo per Assisi giorno e notte con una brigata di amici, spendendo in festini e divertimenti tutto il denaro che guadagnava o di cui poteva impossessarsi.

A più riprese, i genitori lo rimbeccavano per il suo esagerato scialare, quasi fosse rampollo di un gran principe anziché figlio di commercianti.

Ma siccome in casa erano ricchi e lo amavano teneramente, lasciavano correre, non volendolo contristare per quelle ragazzate.

La madre, quando sentiva i vicini parlare della prodigalità del giovane, rispondeva: "Che ne pensate del mio ragazzo?

Sarà un figlio di Dio, per sua grazia".

Non era spendaccione soltanto in pranzi e divertimenti, ma passava ogni limite anche nel vestirsi.

Si faceva confezionare abiti più sontuosi che alla sua condizione sociale non si convenisse e, nella ricerca dell'originalità, arrivava a cucire insieme nello stesso indumento stoffe preziose e panni grossolani.

3. Per indole, era gentile nel comportamento e nel conversare.

E seguendo un proposito nato da convinzione, a nessuno rivolgeva parole ingiuriose o sporche; anzi, pur essendo un ragazzo brillante e dissipato, era deciso a non rispondere a chi attaccava discorsi lascivi.

Così la fama di lui si era diffusa in quasi tutta la zona, e molti che lo conoscevano, predicevano che avrebbe compiuto qualcosa di grande.

[1397] Queste virtù spontanee furono come gradini che lo elevarono fino a dire a se stesso: " Tu sei generoso e cortese verso persone da cui non ricevi niente, se non una effimera vuota simpatia; ebbene, è giusto che sia altrettanto generoso e gentile con i poveri, per amore di Dio, che contraccambia tanto largamente ".

Da quel giorno incontrava volentieri i poveri e distribuiva loro elemosine in abbondanza, infatti benché fosse commerciante, aveva il debole di sperperare le ricchezze.

Un giorno che stava nel suo negozio, tutto intento a vendere delle stoffe, si fece avanti un povero a chiedergli la elemosina per amore di Dio

Preso dalla cupidigia del guadagno e dalla preoccupazione di concludere l'affare, egli ricusò l'elemosina al mendicante, che se ne uscì

Subito però come folgorato dalla grazia divina, rinfacciò a se stesso quel gesto villano, pensando: "Se quel povero ti avesse domandato un aiuto a nome di un grande conte o barone, lo avresti di sicuro accontentato.

A maggior ragione avresti dovuto farlo per riguardo al re dei re e al Signore di tutti".

Dopo questa esperienza, prese risoluzione in cuor suo di non negare mai più nulla di quanto gli venisse domandato in nome di un Signore così grande.

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