Specchio di perfezione

Parte terza - Della perfetta umiltà e obbedienza in lui e nei frati

39. Come si dimise dal superiorato e nominò ministro generale frate Pietro di Cattanio

[1725] 49. Per osservare la virtù della santa umiltà Francesco, pochi anni dopo la conversione, davanti ai fratelli raccolti in Capitolo si dimise dal superiorato dicendo: « Da questo momento io sono morto, per voi.

Ma ecco frate Pietro di Cattanio, al quale io e voi tutti dobbiamo obbedire ».

E prosternandosi in terra davanti a lui, gli promise obbedienza e rispetto.

I frati tutti si misero a piangere e alti gemiti strappava loro il profondo dolore, poiché si vedevano diventati orfani, in certo senso, di un Padre tanto amato.

Si rialzò il Santo e levando gli occhi al cielo, giungendo le mani, disse: « Signore, affido a te la famiglia che fino ad ora hai consegnato alla mia cura e che adesso, per la malattia che tu sai, dolcissimo Signore, non essendo più in grado di provvedervi, io affido ai ministri.

Essi dovranno render conto nel giorno del giudizio dinnanzi a te, Signore, se qualche frate, per loro negligenza, malesempio o correzione troppo aspra, si sia perduto ».

Da quel momento, Francesco rimase suddito fino alla morte, comportandosi in ogni cosa più umilmente d'ogni altro frate.

40. Come rinunciò anche ai suoi compagni, non volendo avere un compagno speciale

[1726] 50. Un'altra volta passò al suo vicario tutti i suoi compagni, dicendo: « Non voglio apparire un privilegiato, con questa prerogativa di potermi scegliere liberamente un compagno.

I fratelli mi accompagnino da luogo a luogo, come Dio li ispirerà ».

E soggiunse: « Ricordo di aver visto un cieco, il quale non aveva altra guida nel suo cammino che un cagnetto; bene, io non voglio apparire più privilegiato di quello ».

Questa fu sempre la sua gloria: che rinunciando a ogni apparenza di privilegio e di orgoglio, abitasse in lui la virtù di Cristo.

41. Come rinunciò alla guida dell'ordine a causa dei cattivi superiori

[1727] 51 Interrogato una volta da un frate, perché avesse allontanato così i frati dalla sua cura affidandoli ad altre mani, quasi non gli appartenessero, rispose: « Figlio mio, io amo i fratelli con tutto me stesso, e più ancora li amerei né mi renderei estraneo ad essi, se seguissero le mie orme.

Ma ci sono alcuni superiori che li attirano su altre strade, proponendo loro l'esempio degli antichi e poco tenendo conto dei miei ammaestramenti.

Ma che cosa e in che maniera essi agiscono, apparirà chiaramente alla fine ».

E poco dopo, essendo stato assalito da grave malattia con grande fervore di spirito si drizzò sul letto e disse ad alta voce: « Chi sono quelli che mi strappano dalle mani il mio Ordine e i miei fratelli?

Se potrò venire al Capitolo generale, mostrerò loro qual'è la mia volontà ».

42. Come umilmente procurava della carne per i frati malati e li ammoniva ad essere umili e pazienti

[1728] 52 Non si vergognava il beato Francesco di andare a procurarsi, negli spacci delle città, della carne per un fratello malato.

Tuttavia, esortava gli infermi a sopportare pazientemente le privazioni e a non lamentarsi, quando mancasse loro qualcosa.

Nella prima Regola fece scrivere: « Prego i miei fratelli che, nelle loro malattie, non siano insofferenti verso i fratelli né se la prendano con Dio, e neppure siano assillati dal desiderio di medicine né troppo bramino di alleviare i dolori a una carne che ben presto morrà ed è ostile all'anima.

Invece, ringrazino per ogni cosa e non desiderino che di essere nella condizione voluta da Dio.

Quelli che Dio ha predestinato alla vita eterna, ve li prepara con la sferza delle avversità e malattie, come ebbe a dire lui stesso: Quelli che io amo, li flagello e castigo ».

43. Dell'umile risposta data dai beati Francesco e Domenico, quando furono entrambi interrogati dal cardinale se volevano che i loro frati fossero prelati della Chiesa

[1729] 53 Trovandosi in Roma quei due splendidi astri dell'universo, Francesco e Domenico, incontrarono il vescovo di Ostia ( che in seguito diventò sommo pontefice ) e parlarono a gara cose stupende di Dio.

Il cardinale poi disse loro: « Nella Chiesa primitiva, pastori e prelati erano poveri, ardenti di carità e non di cupidigia.

Perché dunque non facciamo vescovi e prelati i vostri frati, che spiccano fra tutti per l'insegnamento e l'esempio? ».

Sorse tra i due Santi un'umile e devota contesa, non di prevenirsi, anzi con vicendevole deferenza invitandosi l'un l'altro a rispondere.

Vinse finalmente l'umiltà di Francesco a non rispondere per primo, e vinse anche Domenico che fu costretto per obbedienza a dire il suo parere per primo.

Disse dunque: « Messere, i miei frati sono già innalzati, se vogliono riconoscerlo; comunque, non permetterò mai, fin dove posso, che conseguano queste dignità ».

A sua volta Francesco, inchinandosi davanti al cardinale, disse: « Messere, i miei frati si chiamano minori affinché non presumano diventare maggiori.

La loro vocazione insegna loro a restare al livello comune e a seguire le orme dell'umiltà di Cristo, affinché in tal modo possano alla fine essere esaltati più che gli altri allo sguardo dei santi.

Se voi volete che producano frutto nella Chiesa di Dio, teneteli e conservateli nello stato voluto dalla loro vocazione; qualora salgano in alto, ricacciateli con forza in basso, e non permettete mai che essi ascendano a una qualunque prelatura ».

Queste furono le risposte dei due Santi.

Finite le quali il vescovo di Ostia restò profondamente edificato e ne ringraziò immensamente Dio.

Mentre i due si allontanavano insieme, Domenico chiese a Francesco che gli facesse il favore di donargli la corda di cui era cinto.

Francesco ricusò per umiltà, come Domenico chiedeva spinto da carità.

Vinse tuttavia la sincera devozione del chiedente, e così Domenico cinse la corda sotto la sua tonaca e da allora devotamente la portò: l'aveva ottenuta per insistenza di affetto.

Poi l'uno pose le mani fra quelle dell'altro, raccomandandosi dolcemente a vicenda con fervore.

Domenico disse a Francesco: « Vorrei, fratello Francesco, che il tuo e il mio divenissero un Ordine solo, e che noi vivessimo nella Chiesa sotto la stessa regola ».

Nel separarsi l'uno dall'altro, Domenico disse ai molti che erano presenti: « In verità vi dico, che tutti i religiosi dovrebbero imitare questo uomo santo, Francesco, tanta è la perfezione della sua santità ».

44. Come volle, per fondarli nell'umiltà, che i suoi frati servissero i lebbrosi

[1730] 54 Agli inizi della sua nuova vita, Francesco, con l'aiuto di Dio, da sapiente edificatore, mise le fondamenta di se stesso sopra salda roccia, vale a dire sulla profonda umiltà e povertà del Figlio di Dio, chiamando il suo l'Ordine dei frati minori a motivo della massima umiltà.

Perciò fin dall'avvio del suo movimento, volle che i frati dimorassero negli ospedali dei lebbrosi per servirli. e così ponessero il fondamento dell'umiltà.

Quando entravano nell'Ordine, nobili o no, tra le altre cose che venivano loro esposte, si diceva ch'era necessario servissero i lebbrosi e abitassero nelle loro case.

Prescrizione che si contiene nella prima Regola: « Non vogliate possedere nulla sotto il cielo, se non la santa povertà, in virtù della quale siete nutriti da Dio, in questo mondo, di cibi per il corpo e per lo spirito, e in futuro conseguirete l'eredità celeste ».

Così dunque, per sé e per gli altri, egli stabilì l'Ordine sulla più perfetta umiltà e povertà.

E pur essendo un alto prelato nella Chiesa di Dio, scelse e volle esser messo in disparte, non solo nella gerarchia ecclesiastica, ma anche in mezzo ai suoi fratelli.

Nel suo ideale e nel suo desiderio, questo umiliarsi è la più grande elevazione davanti a Dio e agli uomini.

45. Come voleva si attribuisse a Dio soltanto onore e gloria per tutte le buone parole e opere sue

[1731] 55 Avendo Francesco predicato al popolo di Terni in una piazza della città, finito il discorso, il vescovo del luogo, uomo prudente e di viva spiritualità, si alzò e disse alla gente: « Il Signore, fin da quando piantò e costruì la sua Chiesa, sempre la illuminò con santi uomini, che l'hanno onorata con la parola e l'esempio.

E ai nostri tempi, la rende luminosa per mezzo di questo poverello, umile e illetterato uomo, Francesco.

Per questo siete obbligati ad amare il Signore, a onorarlo, a sfuggire i peccati: invero, Dio non ha fatto una cosa simile per nessun'altra nazione ».

Pronunziate tali parole, il vescovo discese dal luogo dove aveva parlato e entrò nella cattedrale.

Francesco gli si avvicinò, gli fece l'inchino e cadendo ai suoi piedi esclamò: « Messer vescovo, vi dico sinceramente che nessun uomo mi ha fatto tanto onore sulla terra, quanto me ne avete fatto voi oggi; poiché gli altri dicono: – Questo è un santo! –, attribuendo così a me e non al Creatore la gloria e la santità.

Ma voi, quale uomo di gran discernimento, avete separato ciò che è prezioso da ciò che è vile ».

[1732] 56 Quando lo esaltavano e chiamavano santo, Francesco rispondeva: « Non sono ancora sicuro che non avrò figli e figlie!

Poiché in qualunque momento il Signore può riprendersi il tesoro che mi ha affidato.

E allora, che altro mi rimarrebbe se non il corpo e l'anima, che hanno anche i non credenti?

Anzi, sono convinto che se il Signore avesse largito tanti benefici a un qualunque delinquente o non credente quanti ne ha conferiti a me, quelli sarebbero più fedeli che io non sia.

[1733] 57 E come in una pittura su tavola, raffigurante il Signore o la beata Vergine, si onora il Signore e la beata Vergine, non già il legno o la pittura in sé; così il servo di Dio è una pittura di Dio, nella quale è onorato Dio per il suo beneficio.

Il servo nulla deve attribuire a se stesso, poiché in confronto a Dio è meno che legno e pittura.

Nulla è completamente puro, e perciò a Dio solo va dato onore e gloria, a noi vergogna e tribolazione, finché viviamo tra le miserie di questa vita ».

46. Come volle, fino alla morte, avere come guardiano uno dei suoi compagni, e vivere subordinato

[1734] 58 Volendo vivere in perfetta umiltà e soggezione fino alla morte, parecchio tempo prima del suo trapasso disse al ministro generale: « Vorrei che tu trasmetta l'autorità che hai su di me a uno dei miei compagni, affinché gli obbedisca al tuo posto.

Per il vantaggio che mi reca la virtù dell'obbedienza, voglio che essa resti sempre con me, in vita e in morte ».

Così fino alla sua morte, ebbe come guardiano uno dei compagni e gli obbediva in luogo del ministro generale.

Una volta disse ai compagni: « Questa grazia, tra altre, mi ha fatto il Signore: che obbedirei con lo stesso slancio a un novizio entrato oggi stesso nell'Ordine, come a chi sia primo e più anziano nella nostra fraternità, se mi fosse assegnato come guardiano.

Il suddito deve considerare il suo superiore non come un uomo, ma come Dio, per amor del quale si è a lui sottomesso ».

Disse poi: « Non c'è superiore in tutto il mondo che tanto sia temuto dai sudditi, quanto il Signore farebbe che fossi temuto io dai miei fratelli, se lo volessi.

Ma il Signore mi ha donato questa grazia, di voler essere contento di tutto, come il più piccolo nell'Ordine ».

E vedemmo questo con i nostri occhi, noi che siamo vissuti con lui.

Se talora alcuni frati non avevano soddisfatto alle sue necessità o gli avevano rivolto parole da cui un uomo suole sentirsi ferito, Francesco andava subito a pregare e, tornando, non voleva ricordarsi di nessun torto.

E mai diceva: « Il tale non mi ha soddisfatto, quell'altro mi ha detto questa parola ».

Perseverando in questo spirito, quanto più si avvicinava alla morte, tanto più era sollecito nel pensare in che modo potesse vivere e morire in ogni umiltà e povertà e nella perfezione di tutte le virtù.

47. Del perfetto modo di obbedire da lui insegnato

[1735] 59 Diceva il Padre santissimo ai suoi frati: « Carissimi fratelli, obbedite al comando alla prima parola, non aspettate che vi si ripeta l'ordine.

Non avanzate a pretesto l'impossibilità, poiché anche se io vi comandassi qualcosa di superiore alle vostre forze, la santa obbedienza supplirà ».

48. Come paragonava il perfetto obbediente a un cadavere

[1736] 60 Un'altra volta sedendo tra i suoi compagni sospirava: « C'è appena qualche religioso al mondo, che obbedisca bene al suo prelato ».

Subito i compagni domandarono: « Padre, di' a noi qual è perfetta e somma obbedienza ».

In risposta, il Santo si mise a descrivere il vero e perfetto obbediente, paragonandolo a un morto: « Prendi un corpo esanime e mettilo dove ti piace.

Se lo muovi, vedrai che non rilutta, se lo lasci fermo, lui non mormora; lo butti via di là, lui non reagisce.

Lo assidi in cattedra, e lui invece che guardare in su, ciondola il capo giù; lo avvolgi nella porpora, si fa ancora più pallido.

L'autentico obbediente, se lo sposti, non chiede il perché, non si cura dove venga messo, non insiste per essere inviato altrove.

Promosso a una carica, conserva la Sua umiltà solita; più lo si onora, più si ritiene indegno ».

Francesco diceva sacre le obbedienze ingiunte con spontanea schiettezza, non quelle richieste.

Riteneva somma obbedienza, non inquinata dalla carne e dal sangue, quella di recarsi per ispirazione divina tra gli infedeli per salvare le anime o per desiderio del martirio.

Chiedere tale obbedienza egli giudicava fosse molto gradito a Dio.

49. Come è pericoloso sia dare ordini in maniera precipitosa, sia non obbedire al comando

[1737] 61 Il padre santo era convinto che raramente bisogna comandare per obbedienza, poiché non si deve scoccare immediatamente il dardo, che va usato come ultima risorsa.

Diceva: « Non bisogna mettere subito mano alla spada! ».

E aggiungeva: « Chi non obbedisce senza indugi al precetto dell'obbedienza, è uno che non ha timore di Dio né rispetto per gli uomini, a meno che non abbia un motivo evidente per tardare ».

Niente di più vero, giacché l'autorità del comando in un superiore irragionevole che altro è, se non una spada nella mano di un pazzo?

E d'altra parte, cos'è più desolante di un religioso che trascuri o disprezzi l'obbedienza?

50. Come ai frati che volevano persuaderlo a chiedere il privilegio per poter predicare liberamente

[1738] 62 Alcuni frati dissero al beato Francesco: « Padre, non vedi che i vescovi a volte non ci permettono di predicare e ci fanno stare per più giorni senza far nulla in una città, prima di autorizzarci ad annunziare la parola del Signore?

Meglio sarebbe che tu impetrassi dal signor Papa un privilegio su questo punto: si tratta della salvezza delle anime ».

Egli rispose loro rimproverandoli duramente: « Voi, frati minori, non conoscete la volontà di Dio e non permettete che io converta il mondo nel modo stabilito da Dio.

Io voglio convertire per primi i prelati a mezzo della santa umiltà e riverenza; essi, vedendo la nostra santa vita e il nostro umile rispetto verso di loro, vi pregheranno di predicare e convertire il popolo, e lo inviteranno alla vostra predicazione molto meglio che con questi privilegi, che vi trascinano alla superbia.

E se starete lontani da ogni cupidigia e avrete convinto il popolo a soddisfare ai suoi doveri verso le chiese, i vescovi vi pregheranno di ascoltare le confessioni della loro gente, sebbene di ciò non dobbiate curarvi, poiché se sono veramente convertiti troveranno con facilità dei confessori.

Io voglio da Dio questo privilegio per me: di non avere dall'uomo privilegio alcuno, fuorché di portare a tutti rispetto e, in ossequio alla santa Regola, convertire gli uomini più con l'esempio che con le parole ».

51. Come si riconciliavano i frati di quel tempo, quando uno avesse rattristato l'altro

[1739] 63 Affermava san Francesco che i frati minori erano stati inviati dal Signore in questi ultimi tempi, affinché dessero esempi di luce a quanti erano avvolti nella caligine dei peccati.

Diceva di percepire profumi soavissimi e di esser inebriato dall'emanazione di un unguento prezioso, allorché udiva le meraviglie compiute da tanti santi frati sparsi nel mondo.

Un giorno capitò che un frate, alla presenza di un nobiluomo dell'isola di Cipro, scagliò delle ingiurie contro un altro frate.

Quando il primo vide amareggiato colui verso il quale aveva inveito, se la prese subito contro se stesso, accattò un pezzo di sterco d'asino, se lo cacciò in bocca e lo morse dicendo: « Mastichi sterco la lingua che ha sprizzato sul fratello il veleno della rabbia ».

Quel nobile, a tale scena, restò attonito e fortemente edificato; e in seguito mise se stesso e le sue cose a disposizione dei frati.

[1740] 64 Era abitudine comune che, quando qualche fratello ingiuriasse o contristasse un altro, immediatamente si gettava a terra baciando i piedi dell'offeso e domandava umilmente perdono.

E il padre santo esultava quando sentiva che i suoi figli sapevano offrire simili esempi di santità e colmava di commoventi benedizioni quelli che, con la parola e con l'esempio, inducevano i peccatori all'amore di Cristo.

Essendo riboccante di zelo verso le anime, voleva che i suoi figli somigliassero pienamente a lui.

52. Come Cristo si lamentò con frate Leone, compagno di san Francesco, dell'ingratitudine e dell'orgoglio dei frati

[1741] 65 Il Signore nostro Gesù Cristo parlò una volta a frate Leone, compagno di san Francesco: « Frate Leone, ho da lamentarmi dei frati ».

Domandò Leone: « Per quale motivo, Signore? ».

E il Signore: « Per tre cose: perché non sono riconoscenti dei benefici che così largamente e generosamente riverso su di loro, che, come tu sai, non seminano e non mietono.

E perché tutto il giorno lo passano a mormorare e senza far niente.

Perché spesso si provocano l'un l'altro all'ira, e non tornano all'amore reciproco né perdonano le ingiurie ricevute ».

53. Come umilmente e sinceramente rispose a un dottore dell'ordine dei predicatori, che lo interrogava su un passo della scrittura

[1742] 66 Mentre dimorava presso Siena, venne a lui un dottore in teologia, dell'Ordine dei Predicatori persona umile e di profonda spiritualità.

Essendosi intrattenuto con Francesco su parole del Signore, il maestro lo interrogò sul passo di Ezechiele: Se non smascheri all'empio la sua empietà, chiederò conto a te dell'anima di lui.

Disse: « Conosco molti, o padre buono, che vivono in peccato mortale, e ai quali non denuncio il loro stato perverso.

Dovrò io rendere conto della loro perdizione? ».

Francesco rispose umilmente di essere ignorante, e che gli conveniva piuttosto farsi ammaestrare anziché commentare questa frase biblica.

Il maestro insistette: « Fratello, effettivamente ho udito la spiegazione di queste parole data da alcuni specialisti; eppure, sarei felice di sentire la tua opinione in proposito ».

Allora Francesco disse: « Se il passo va inteso in generale, io lo spiegherei così.

Il servo di Dio deve talmente ardere e risplendere di vita e santità in se stesso, da biasimare con la luminosità dell'esempio e con la lingua di un santo comportamento, tutti i malvagi.

In tal modo, secondo me, lo splendore di lui e il profumo della sua reputazione svelerà a tutti le loro iniquità ».

Il dottore si accomiatò molto edificato, e disse ai Compagni di Francesco: « Fratelli miei, la teologia di quest'uomo, attinta a purità e contemplazione, è aquila che vola; mentre la nostra scienza striscia col ventre a terra ».

54. Della umiltà e pace che i frati devono avere con gli ecclesistici

[1743] 67 Sebbene Francesco volesse che i suoi figli fossero in pace con tutti gli uomini e si facessero piccoli davanti a tutti, tuttavia insegnò loro con la parola e mostrò con l'esempio ad essere umili soprattutto verso il clero.

Diceva: « Noi siamo stati inviati in aiuto al clero per la salvezza delle anime.

E se loro hanno delle lacune, tocca a noi supplirvi.

Sappiate che ognuno riceverà dal Signore la mercede a misura del suo lavoro, non in rapporto al grado.

Miei fratelli, la cosa più gradita a Dio è la conquista delle anime, e noi possiamo più agevolmente conseguire questo fine vivendo in pace col clero, anziché in discordia.

Se poi osano impedire la salvezza dei popoli, spetta a Dio vendicarsi, sarà lui a ripagarli come meritano, al momento opportuno.

Siate perciò sottomessi ai prelati affinché, per quanto sta in voi, non abbia a destarsi una riprovevole gelosia.

Se voi vi sarete comportati da figli della pace, conquisterete a Dio il clero e il popolo, e questo è ben più gradito al Signore che conquistare il popolo scandalizzando il clero.

Ricoprite, quindi, i loro sbagli, supplite alle loro deficienze; e quando avrete agito così, siate ancora più umili ».

55. Come acquistò umilmente la Chiesa di Santa Maria degli Angeli dall'abate di San Benedetto in Assisi e volle che i frati vi abitini swmpre e vivani in umiltà

[1744] 68 Vedendo il beato Francesco che il Signore voleva moltiplicare il numero dei frati, disse loro: « Carissimi fratelli e figlioli miei, vedo che il Signore ci vuole moltiplicare!

Mi sembra perciò saggio e religioso che acquistiamo una chiesa dal vescovo, o dai canonici di San Rufino o dall'abate di San Benedetto.

Ivi i fratelli potranno recitare le ore liturgiche e lì presso avere una piccola casetta poverella, costruita di fango e vimini, dove riposare e lavorare.

Il luogo dove stiamo ora non è conveniente né sufficiente ai frati, adesso che il Signore ci sta moltiplicando; tra l'altro, non abbiamo una chiesa dove poter dire l'ufficio.

Se poi qualche frate venisse a morte, non sarebbe dignitoso sotterrarlo qui e nemmeno in una chiesa del clero secolare ».

I frati approvarono tutte queste parole.

Andò Francesco dal vescovo di Assisi e gli riferì quanto sopra.

Gli rispose: « Francesco, non ho nessuna chiesa che sia in mio potere cedervi ».

La stessa cosa dissero i canonici.

Allora si recò dall'abate benedettino del monte Subasio, ed espose a lui la stessa richiesta.

L'abate, mosso da compassione, dopo aver tenuto consiglio con i suoi monaci guidato dalla grazia e volontà divina, concesse al beato Francesco e ai suoi frati la chiesa della Beata Maria della Porziuncola, che era la più piccola e povera chiesa che avevano.

E disse l'abate: « Ecco, fratello, abbiamo esaudito la tua richiesta.

Se il Signore moltiplicherà il vostro gruppo, vogliamo che questo luogo sia a capo di tutte le vostre chiese ».

Francesco e i suoi frati furono d'accordo su questa condizione.

Il Santo fu molto felice per il posto concesso ai frati, soprattutto perché la chiesa era dedicata alla Madre di Cristo, ed era così piccola e povera, e inoltre perché era denominata Porziuncola, quasi preconizzando che sarebbe capo e madre dei poveri frati minori.

Si chiamava con quell'appellativo fin da tempi remoti, alludendo alla modesta estensione della proprietà.

Francesco era solito dire: « Per questo ha voluto il Signore che ai frati non fosse ceduta nessun'altra chiesa, e che i primi frati non erigessero una chiesa nuova e non avessero che quella.

Con l'arrivo dei frati minori si è realizzata una profezia ».

E sebbene fosse piccola e diroccata, tuttavia per lungo tempo gli abitanti di Assisi e di tutta quella zona ebbero gran devozione a quella chiesa.

Oggi le sono ancor più affezionati, e l'attaccamento cresce ogni giorno.

Da quando i frati si stabilirono colà, il Signore quasi quotidianamente moltiplicava il loro numero, e la loro buona fama si sparse mirabilmente per tutta la valle Spoletana e per molte parti del mondo.

In antico era chiamata Santa Maria degli Angeli perché, come si dice, vi furono spesso uditi canti angelici.

L'abate e i monaci avevano concesso la chiesa a Francesco e ai suoi frati per pura generosità; ma il Santo da saggio ed esperto costruttore che vuole fondare la propria casa, cioè l'Ordine, sulla salda roccia della totale povertà, mandava ogni anno a quell'abate e ai monaci un canestro di piccoli pesci, chiamati lasche, in segno di grande umiltà e povertà, come ad attestare che i frati non avevano in proprietà nessun luogo e non intendevano dimorare in alcun posto che non fosse sotto il dominio altrui, e quindi non avessero facoltà di alienarlo.

Quando dunque i frati portavano annualmente ai monaci quei pesciolini, i monaci, in omaggio all'umiltà di Francesco che compiva quel gesto di sua spontanea volontà, ricambiavano il dono con una giara di olio.

[1745] 69 Noi, che siamo vissuti con il beato Francesco, attestiamo che egli affermò, parlando di quella chiesa, come gli era stato rivelato che, per le molte prerogative largite ivi dal Signore, la beata Vergine amava affettuosamente questa fra tutte le altre chiese del mondo.

E per questo motivo, il Santo aveva massima riverenza e devozione verso la chiesetta e, affinché i frati sempre ne conservassero in cuore la memoria, alla sua morte fece scrivere nel Testamento che i frati condividessero il suo attaccamento.

Infatti, vicino ormai a morire, davanti al ministro generale e ad altri fratelli dettò: « Ordino che il luogo di Santa Maria della Porziuncola sia lasciato per testamento ai frati, in modo che sia da loro tenuto nella massima devozione e riverenza ».

I nostri antichi frati eseguirono questa volontà.

Sebbene questo luogo sia già santo e prediletto da Cristo e dalla Vergine gloriosa, tuttavia i frati incentivavano quel carattere di santità pregando ininterrottamente e conservando il silenzio giorno e notte.

Se talvolta parlavano, nei limiti stabiliti dalla legge del silenzio, lo facevano invariabilmente con la più viva devozione, trattando solo di argomenti concernenti la gloria di Dio e la salvezza delle anime.

Se accadeva che qualcuno cominciasse a dire parole oziose e inutili, benché ciò succedesse di raro, veniva immediatamente corretto da un fratello.

Mortificavano la loro carne con molti digiuni, con veglie numerose, patendo il freddo a causa degli indumenti insufficienti, lavorando con le proprie mani.

Molte volte, per non stare in ozio, aiutavano i poveri contadini nelle fatiche dei campi, e venivano retribuiti con del pane offerto per amore di Dio.

Con queste e altre virtù santificavano quel luogo e mantenevano nella santità se stessi.

Ma più tardi, per il via vai di frati e di secolari che vi affluivano più numerosi del consueto, e perché i frati sono più freddi nell'orazione e nelle opere virtuose, e hanno minore ritegno nel proferire parole oziose e chiacchiere sulle novità di questo mondo, questo luogo non viene più tenuto in quella riverenza e devozione, come si era fatto fino allora e come si vorrebbe.

Come Francesco ebbe detto quelle parole, acceso subitamente da grande fervore concluse: « Voglio pertanto che questo luogo sia sempre sotto il diretto potere del ministro generale e servo, affinché egli abbia la più gran cura e preoccupazione nel provvedere ivi una fraternità buona e santa.

Che i chierici siano scelti fra i migliori, i più santi e virtuosi dei fratelli, coloro che sanno dire meglio l'ufficio liturgico, in maniera che non solo i secolari, ma anche gli altri frati vedano e ascoltino volentieri e con gran devozione.

Voglio ancora che i fratelli laici siano scelti, per loro servizio, fra gli uomini santi, discreti, umili e virtuosi.

Voglio altresì che nessuna persona e nessun frate entri in questa fraternità, ad eccezione del ministro generale e dei suoi assistenti.

Ed essi non parlino con nessuna persona, se non con i frati addetti al loro servizio e con il ministro generale quando venga a visitarli.

E i fratelli laici siano obbligati a non dire loro parole oziose e a non riferire le novità di questo mondo e insomma nulla che non sia utile alle anime loro.

E voglio fermamente che nessuno entri in questo luogo, così che i frati ivi dimoranti meglio conservino la loro purità e santità, e nulla si faccia o dica di inutile, ma tutto il luogo rifulga di purezza e santità, in inni e lodi al Signore.

E quando qualcuno dei frati migrerà al Signore, voglio che al suo posto sia inviato dal ministro generale un altro fratello, dovunque dimori.

Ché se le altre comunità si allontanano da purità e onestà, voglio che questo luogo benedetto rimanga sempre specchio e buon esempio dell'intero Ordine, come un candelabro sempre ardente e luminoso dinanzi al trono di Dio e alla beata Vergine.

E a motivo di ciò, il Signore sia misericordioso verso le mancanze e colpe di tutti i frati, e protegga questo Ordine, sua piccola pianta ».

56. Dell'umile riverenza che mostrava verso le chiese, scopandole e ripulendole

[1746] 70 Mentre stava presso Santa Maria della Porziuncola e i frati erano ancora pochi Francesco andava per i villaggi e le chiese dei dintorni di Assisi, annunziando e predicando agli uomini che facessero penitenza.

Portava con sé una scopa per pulire le chiese sudicie.

Ci soffriva molto quando vedeva una chiesa non linda come avrebbe voluto.

E perciò, finita la predica, faceva riunire in disparte, per non essere udito dalla gente i preti che erano presenti, e parlava loro della salvezza delle anime e soprattutto che fossero solleciti nel conservare pulite le chiese e tutta la suppellettile che si adopera per celebrare i divini misteri.

57. Del contadino che lo trovò mentre scopava una chiesa e come, convertitosi entrò nell'ordine e fu un santo frate

[1747] 71 Andato nella chiesa d'un villaggio del contado di Assisi, Francesco cominciò a scoparla e pulirla umilmente.

Se ne sparse tosto la voce per tutto il villaggio, poiché la gente lo vedeva volentieri e ancor più volentieri lo ascoltava.

Venuto a sapere la cosa un contadino di mirabile semplicità, di nome Giovanni, che stava arando il suo campo, andò difilato da Francesco e lo trovò a scopare la chiesa con tutta umiltà e devozione.

E gli disse: « Fratello dammi la scopa, voglio aiutarti ».

Gliela prese dalle mani e finì le pulizie.

Poi sedettero insieme.

Disse il contadino: « Fratello, è già gran tempo che ho volontà di servire Dio, specialmente dopo aver udito parlare di te e dei tuoi frati; ma non sapevo come venire con te.

Ora però, dal momento che è piaciuto a Dio che ti vedessi, voglio fare tutto quello che piacerà a te ».

Il beato Francesco, considerando il fervore di quell'uomo, esultò nel Signore, specie perché a quel tempo aveva pochi frati e gli sembrava che quello, per la sua semplice purità, sarebbe un buon religioso.

Gli rispose dunque: « Fratello, se vuoi far parte della nostra vita e della nostra fraternità, bisogna che tu ti espropri di tutte le cose che possiedi onestamente, e le dia ai poveri, secondo la prescrizione del Vangelo.

La stessa cosa hanno fatto tutti i miei frati che l'hanno potuto ».

Sentito questo, Giovanni si recò subito nel campo dove aveva lasciato i buoi, li sciolse, e ne condusse uno davanti a Francesco, e gli disse: « Fratello, per tanti anni ho lavorato per mio padre e i miei di casa, e sebbene la mia parte di eredità sia ben piccola, voglio che tu riceva questo bue da me e lo doni ai poveri nel modo che ti piacerà ».

Vedendo i genitori e i fratelli ( questi erano ancora piccoli ) che Giovanni voleva abbandonarli, cominciarono tutti a piangere così forte e a innalzare voci così lamentose, che Francesco ne fu mosso a pietà.

Era una famiglia numerosa e miserabile.

Francesco disse loro: « Preparate del cibo per tutti, mangeremo insieme, e non piangete, poiché vi renderò felici ».

Quelli subito apparecchiarono la mensa e tutti insieme mangiarono con grande allegria.

Finito che ebbero di mangiare, Francesco disse: « Questo vostro figlio vuole servire Dio, e di ciò non dovete contristarvi, ma essere contenti.

Infatti, state per avere un grande onore e un gran vantaggio per le vostre anime, non solo davanti a Dio ma anche davanti alla gente, poiché Dio sarà onorato da uno del vostro sangue e tutti i nostri frati saranno vostri figli e vostri fratelli.

Io non posso e non devo ridarvi vostro figlio, perché è creatura di Dio e lui intende servire il suo Creatore, un servire che è regnare.

Ma, a vostro conforto, io voglio che egli ceda a voi, che siete poveri, questo bue che gli appartiene; sebbene, secondo il Vangelo, dovesse darlo ad altri ».

E quelli furono consolati dalle parole di Francesco, specialmente perché venne loro lasciato il bue, poiché erano molto poveri.

A Francesco piaceva immensamente la pura e santa semplicità in sé e negli altri; così rivestì del saio Giovanni e lo conduceva in giro con sé come compagno.

Era questi di tale semplicità, che si faceva un dovere di imitare tutto quello che faceva Francesco.

Quando il Santo stava in qualche luogo in una chiesa in preghiera, Giovanni voleva osservarlo, per uniformarsi fedelmente a tutti i suoi atti e gesti.

Se Francesco piegava le ginocchia o alzava le mani al cielo, o sputava o sospirava, anche lui faceva lo stesso.

Quando Francesco se ne accorse cominciò gaiamente a rimproverarlo di tanta semplicità.

Giovanni gli rispose: « Fratello, ho promesso di fare tutto quello che fai tu, e perciò bisogna che io mi uniformi a te in ogni cosa ».

Vedendo in lui tale purezza e semplicità, Francesco ne era ammirato e straordinariamente felice.

Giovanni faceva tali progressi nella virtù, che Francesco e tutti gli altri frati erano stupiti di quella perfezione.

E dopo breve tempo, Giovanni morì in questo santo slancio di virtù.

E Francesco, quando in seguito narrava la vita di lui con grande gioia di mente e di cuore, non lo chiamava « frate Giovanni », ma « santo Giovanni ».

58. Come punì se stesso, mangiando nella scodella di un lebbroso perchè gli aveva fatto vergogna

[1748] 72 Di ritorno alla chiesa della Porziuncola, Francesco trovò fratello Giacomo il semplice in compagnia di un lebbroso devastato dalle ulceri.

Era stato lui ad affidargli quel lebbroso e tutti gli altri che incontrasse, perché si sentiva come il medico di quei poveretti e toccava, ripuliva, curava le loro piaghe senza nausea.

A quei tempi i frati dimoravano nei lebbrosari.

Disse Francesco a Giacomo con tono quasi di rimprovero: « Non dovresti condurre fuori dal loro ospedale questi cristiani, perché non è conveniente né per te né per loro! ».

Voleva, sì, che li servisse, ma non che menasse fuori dal lebbrosario quelli che erano coperti di piaghe, poiché la gente ne aveva orrore.

Ma Giacomo era così ingenuo, che li accompagnava dall'ospedale fino alla chiesa della Porziuncola, come avrebbe fatto con dei frati.

Francesco soleva chiamare i lebbrosi « fratelli cristiani ».

Ma subito Francesco si pentì delle parole che aveva proferito, pensando che il lebbroso era stato umiliato per il rimprovero rivolto al fratello Giacomo.

E però, volendo dare soddisfazione a Dio e al lebbroso, confessò la sua colpa a frate Pietro di Cattanio, allora ministro generale, e aggiunse: « Voglio che tu approvi la penitenza che ho scelto di fare per questo peccato, e che non mi contraddica ».

Rispose Pietro: « Fratello, fa'quello che ti piace ».

Egli aveva tanta venerazione e timore, che non osava contraddire Francesco, sebbene spesso ne restasse afflitto.

Allora Francesco disse: « Questa sia la mia penitenza: che io mangi con il fratello cristiano nella stessa scodella ».

E sedette a mensa con il lebbroso e gli altri frati, e tra Francesco e il lebbroso fu posto un unico piatto.

Era quell'infermo tutto piaghe, faceva ribrezzo, specie per le dita contratte e sanguinolente, con le quali tirava su i bocconi dal piatto; e quando vi immergeva le mani, ne colava sangue e pus.

Vedendo questa scena, frate Pietro e gli altri ne furono profondamente contristati, ma non osavano dir nulla, per timore e riverenza verso il santo padre.

Chi scrive questo episodio, ha visto la scena e ne è testimone.

59. Come mise in fuga i demoni con parole di umiltà

[1749] 73 Una volta andò Francesco alla chiesa di San Pietro di Bovara, presso il castello di Trevi, nella valle Spoletana, e con lui c'era frate Pacifico, che al secolo veniva chiamato: « Re dei versi », uomo nobile, cortese e maestro nell'arte del canto.

Quella chiesa era abbandonata.

Disse Francesco a frate Pacifico: « Torna pure al lebbrosario poiché stanotte voglio rimanere qui da solo.

Tornerai da me domani di buon'ora ».

Essendo rimasto solo e avendo recitato compieta e altre orazioni, voleva riposarsi e dormire, ma non vi riuscì.

La sua anima cominciò ad aver paura, il suo corpo a tremare, avvolto da suggestioni diaboliche.

Il Santo uscì di chiesa e si fece il segno della croce, dicendo: « Da parte di Dio onnipotente, io vi ingiungo, o demoni, che esercitiate sul mio corpo il potere concesso a voi dal Signore Gesù Cristo, poiché sono pronto a sopportare qualunque cosa.

Essendo il mio corpo il peggior nemico che io abbia, prendete pure vendetta del mio peggiore nemico ».

E tosto quelle suggestioni cessarono del tutto, e tornato al luogo ove s'era messo a giacere, dormì in pace.

60. Della visione contemplata da frate Pacifico in cui udì che il trono di Lucifero era riservato all'umile Francesco

[1750] 74 Sul far del mattino frate Pacifico tornò a lui.

Francesco stava allora in orazione davanti all'altare, e Pacifico si pose ad aspettarlo fuori del coro, in preghiera dinnanzi al Crocifisso.

E messosi a pregare, fu elevato e rapito in cielo, – se con il corpo o fuori del corpo, solo Dio lo sa, – e vide in cielo molti troni, fra i quali uno più alto e glorioso di tutti, fulgente e adorno d'ogni sorta di pietre preziose.

Ammirandone la bellezza, cominciò a pensare fra di sé di chi fosse quel trono.

E subito uscì una voce: « Questo fu il trono di Lucifero, e in luogo di lui vi si assiderà l'umile Francesco ».

Tornato in sé, ecco uscire verso di lui Francesco.

Pacifico gli cadde ai piedi con le braccia strette a croce.

Considerandolo come già in cielo, assiso su quel trono, gli disse: « Padre, perdonami, e prega il Signore che abbia pietà di me e rimetta i miei peccati ».

Francesco tese la mano e lo tirò su, e comprese che nella preghiera aveva avuto una visione.

Appariva infatti tutto trasfigurato e parlava a Francesco, non come a uno vivente nella carne, ma quasi già regnante in cielo.

Poiché Pacifico non voleva raccontare al Santo la visione, cominciò a parlare di argomenti del tutto estranei e tra l'altro domandò: « Fratello, che pensi di te stesso? ».

Rispose Francesco: « Mi sembra di essere più peccatore di chiunque altro al mondo ».

Immediatamente all'anima di Pacifico fu detto: « Da ciò puoi conoscere che la visione risponde a verità.

Come Lucifero venne cacciato da quel trono per la sua superbia, così Francesco meriterà per la sua umiltà di essere esaltato e di assidervisi ».

61. Come si fece trascinare nudo, con la corda al collo, davanti al popolo

[1751] 75 Un'altra volta, essendo un po'migliorato da una gravissima malattia, gli parve di aver mangiato qualcosa di speciale durante quella infermità, sebbene si fosse nutrito scarsamente.

Levatosi un giorno, pur non interamente riavutosi dalla febbre quartana, fece convocare il popolo di Assisi in piazza per la predica.

Finito il discorso, comandò al popolo che nessuno si movesse di là fino ai suo ritorno.

Entrato nella cattedrale di San Rufino con molti fratelli, fra cui Pietro di Cattanio ch'era stato canonico di quella chiesa e poi eletto ministro generale da san Francesco, ordinò allo stesso Pietro, in nome dell'obbedienza, di fare senza contrasto quanto stava per dirgli.

Frate Pietro rispose: « Fratello, non posso e non devo volere e fare di me e di te che quello che ti piace ».

Allora Francesco si spogliò della tonaca e ordinò di trascinarlo nudo, con una corda legata al collo, alla presenza del popolo, fino al posto dove aveva predicato.

A un altro frate comandò di procurarsi una scodella piena di cenere e di salire al luogo dove aveva predicato e, quando l'avessero trascinato colà gettargliela in faccia.

Ma questi non obbedì, per la troppa compassione e pietà che provava verso il Santo.

E frate Pietro afferrando la corda legata al collo di lui, se lo trascinava dietro secondo l'ordine ricevuto, ma piangendo ad alta voce, mentre gli altri frati gli facevano coro con lacrime di compassione e di amarezza.

Quando fu così trascinato nudo, davanti al popolo, al luogo dove aveva predicato, il Santo disse: « Voi e tutti quelli che seguendo il mio esempio lasciano il mondo ed entrano nell'Ordine, credete che io sia un uomo santo.

Ma confesso a Dio e a voi che durante questa mia infermità ho mangiato carne e brodo di carne ».

Quasi tutti cominciarono a piangere, toccati da viva compassione, specie perché era d'inverno e faceva freddo intenso, e non era ancora guarito dalla febbre quartana.

Si battevano il petto e si accusavano: « Se per una necessità giusta ed evidente questo santo uomo si dichiara in colpa, sottomettendo il suo corpo a tale scempio, lui che ben sappiamo condurre una vita santa e che vediamo vivo in un corpo che gli è quasi premorto a causa della durissima astinenza ed austerità: cosa faremo noi miserabili, che tutto il tempo della nostra vita siamo vissuti e continuiamo a vivere secondo il desiderio della carne? ».

62. Come voleva che fosse noto a tutti quando il suo corpo riceveva dei trattamenti speciali

[1752] 76 Facendo la quaresima di san Martino in un romitaggio, prese dei cibi conditi con lardo, a causa delle sue malattie per le quali l'olio era dannoso.

Finita la quaresima, mentre predicava a una grande folla, disse esordendo: « Voi siete venuti a me con gran devozione, credendo che io sia un sant'uomo; ma confesso a Dio e a voi, che durante questa quaresima ho mangiato cibi conditi con lardo ».

Quasi sempre, anche quando andava a mensa presso qualche secolare, oppure quando i frati gli cucinavano una portata delicata per alleviare i suoi disturbi, subito Francesco, alla presenza della gente o dei frati che non sapevano la cosa, diceva: « Ho mangiato questo cibo », perché non voleva nascondere agli uomini quello che era manifesto a Dio.

Similmente, ogni volta che davanti a qualsiasi religioso o secolare egli aveva dei moti di orgoglio, vanità o altro vizio, lo confessava davanti a loro senza por tempo di mezzo, nudamente senza celar nulla.

Disse una volta ai suoi compagni: « Negli eremitaggi e negli altri luoghi ove dimoro, io voglio vivere come se tutti gli uomini mi vedessero.

Poiché se credono che io sia un santo e non facessi la vita che si conviene a un santo sarei un ipocrita ».

Uno dei compagni, che era suo guardiano, impietosito per la sua malattia di milza e di stomaco, volle cucire all'interno della sua tonaca un pezzo di pelle di volpe.

Francesco ribatté: « Se vuoi che io porti una pelle di volpe sotto la mia veste, fa' in modo che sia messo anche di fuori un pezzo di quella pelle, così che tutti conoscano da ciò che tengo anche al di dentro una pelle di volpe ».

Così volle fosse fatto, ma poco la portò, sebbene gli fosse molto necessaria.

63. Come si accusò immediatamente della vanità provata nel fare un'elemosina

[1753] 77 Mentre camminava per Assisi, una povera vecchia gli chiese l'elemosina per amore di Dio.

Ed egli le diede subito il mantello che portava sulle spalle.

E senza indugio confessò, dinanzi a quelli che lo seguivano, come ne aveva provato un senso di vanità.

Noi, che siamo vissuti con lui, abbiamo visto e udito tanti altri esempi, simili a questo, della profonda umiltà di lui, e non possiamo narrarli tutti a voce o in scritto.

Era suo ideale e sua passione di non essere ipocrita davanti a Dio.

E sebbene spesso, per le sue malattie, gli fosse necessaria qualche pietanza, tuttavia pensava di dovere mostrare sempre il buon esempio ai fratelli e agli altri, e perciò sopportava pazientemente ogni indigenza, per togliere a tutti il pretesto di mormorare.

64. Come descrisse in se stesso lo stato di perfetta umiltà

[1754] 78 Avvicinandosi il tempo del Capitolo, Francesco disse al suo compagno: « Non mi sembrerebbe di essere frate minore, se non fossi nello stato d'animo che sto per dirti.

Ecco, i fratelli m'invitano al Capitolo con grande affetto e, commosso da questa bontà, vado con loro.

Riunitici, mi pregano di annunziar loro la parola di Dio e di predicare.

Mi alzo e mi metto a parlare secondo mi ha ispirato lo Spirito Santo.

Finito il sermone, supponiamo che tutti mi gridino dietro: – Non vogliamo che tu abbia potere sopra di noi; non hai l'eloquenza che ci vuole, sei troppo semplice e incolto.

Ci vergogniamo di avere un superiore così alla buona e scadente.

E quindi d'ora innanzi non avere la pretesa di esser chiamato nostro superiore –.

E così mi cacciano con vituperio e disprezzo.

Ebbene, non sarei un autentico frate minore, se non fossi sereno quando mi umiliano e mi scacciano non volendomi loro superiore, come quando mi venerano ed onorano, dal momento che in entrambi i casi si realizzano egualmente il vantaggio e l'utilità loro.

Se ho goduto quando mi esaltano e mi onorano per il loro bene e sospinti da devozione ( e questo trattamento può essere pericoloso per la mia anima ), tanto più devo esser felice per il vantaggio e il bene della mia anima allorché mi disprezzano, dove il profitto per il mio spirito è sicuro ».

65. Come volle andare umilmente in terre lontane, come vi aveva mandato altri frati, e come insegnò loro ad andare per il mondo con umiltà e devozione

[1755] 79 Finito il Capitolo nel quale molti frati furono inviati in terre oltremare, Francesco, restato con alcuni, disse: « Fratelli carissimi, bisogna che io sia modello ed esempio a tutti i frati.

Se dunque li ho mandati in regioni lontane a sopportare travagli e umiliazioni, fame e sete e altre avversità, è giusto, e la santa umiltà lo richiede che vada io pure in qualche terra lontana, affinché i fratelli affrontino più pazienti le difficoltà, quando sentono che io sopporto le stesse traversie.

Andate dunque e pregate il Signore, affinché mi conceda di scegliere la regione che sia maggiormente a sua lode, a vantaggio delle anime ed a buon esempio per il nostro Ordine ».

Era abitudine del santo padre, quando era in procinto di partire alla volta di qualche terra, di pregare prima il Signore e di mandare dei fratelli a pregare, affinché il Signore lo ispirasse a dirigersi dove più piacesse a Lui.

Quei frati si ritirarono a pregare; e, finita l'orazione, tornarono a lui.

Francesco tutto giulivo disse loro: « In nome del Signore nostro Gesù Cristo e della gloriosa vergine Maria madre di lui, e di tutti i santi: scelgo la terra di Francia, nella quale vive gente cattolica, soprattutto perché i francesi, fra gli altri cattolici, mostrano gran riverenza al corpo di Cristo, cosa a me gratissima, e quindi mi troverò ben felice in mezzo a loro ».

[1756] 80 Così ardente amore e devozione nutriva Francesco per il corpo di Cristo, che avrebbe voluto scrivere nella Regola che i frati, nelle province in cui dimoravano, avessero cura e zelo grande di questo sacramento, ed esortassero i sacerdoti a conservare l'Eucaristia in luogo adatto e decoroso, e qualora il clero si mostrasse negligente, vi sopperissero i frati.

Era sua volontà altresì di aggiungere nella Regola che dovunque i frati trovassero i nomi del Signore e le parole della consacrazione eucaristica non custodite con amore, le raccogliessero per riporle in luogo decoroso, onorando così il Signore nelle parole pronunziate da lui.

E sebbene queste prescrizioni non fossero accolte nel testo della Regola, perché i ministri non vedevano di buon occhio far carico ai frati di queste direttive, tuttavia nel suo Testamento e in altri suoi scritti volle esprimere ai frati la sua volontà sull'argomento.

Una volta volle mandare alcuni frati per tutte le province, a portare molte pissidi belle e splendenti, affinché dovunque trovassero il corpo del Signore conservato in modo sconveniente, lo collocassero con onore in quelle pissidi.

E anche volle mandare altri frati per tutte le regioni con molti e buoni ferri da ostie, per fare delle particole belle e pure.

[1757] 81 Dopo aver scelto i frati che intendeva condurre con sé, Francesco disse loro: « In nome di Dio, andate a due a due con umiltà e modestia, osservando il silenzio dal mattino fino all'ora terza, pregando Dio nei vostri cuori, non pronunziando tra voi parole oziose e inutili.

Pur essendo in cammino, il vostro comportamento sia umile e dignitoso come se foste in un romitorio o in una cella.

Poiché, dovunque siamo e andiamo, noi abbiamo la cella sempre con noi: fratello corpo è la nostra cella, e l'anima è l'eremita che vi abita per pregare il Signore e meditare su lui.

Se l'anima non è in tranquillità nella sua celletta, di ben poco giovamento è quella fabbricata con le mani ».

[1758] 82 Arrivato a Firenze, Francesco v'incontrò messer Ugo vescovo di Ostia, che fu poi papa Gregorio.

Questi, avendo udito che Francesco intendeva recarsi in Francia, glielo proibì, dicendo: « Fratello, non voglio che tu vada di là dai monti, poiché molti prelati ne approfitterebbero per contrastare il tuo movimento alla curia romana.

Io e altri cardinali, che amiamo il tuo Ordine, lo proteggeremo e aiuteremo più agevolmente, se tu rimani nei limiti di questa provincia ».

Gli rispose Francesco: « Messere, è per me grande vergogna, l'aver mandato altri miei fratelli in terre lontane, e io rimanere qua, non partecipando alle tribolazioni che essi patiranno per il Signore ».

Il cardinale gli replicò quasi rimproverandolo: « É perché hai inviato i tuoi frati così lontano a morire di fame e a sopportare chissà quali altre tribolazioni? ».

Con grande fervore e ispirazione profetica Francesco ribatté « Messere, credete voi che Dio abbia suscitato i frati soltanto per queste regioni?

Ma io vi dico in verità, che Dio ha scelto e mandato i frati per il bene e la salvezza delle anime di tutti gli uomini del mondo: non solo nei paesi dei cristiani, ma anche in quelli dei non credenti essi saranno accolti e conquisteranno molte anime ».

Rimase stupito il vescovo di Ostia da tali parole, affermando che ciò era vero.

Tuttavia non permise al Santo di recarsi in Francia.

E il beato Francesco vi mandò Pacifico insieme con altri frati.

Lui se ne tornò invece alla valle Spoletana.

66. Come insegnò ad alcuni frati a conquistare le anime di certi briganti con l'amore e l'umiltà

[1759] 83 In un eremitaggio di frati, posto sopra Borgo San Sepolcro ( 66 ), venivano ogni tanto dei briganti a chiedere pane.

Costoro stavano nascosti nelle selve e depredavano i passanti.

Alcuni frati sostenevano che non era bene far loro l'elemosina, altri al contrario lo facevano per compassione, sperando di indurli a penitenza.

Francesco venne a passare di là, e i frati lo interrogarono se fosse bene far l'elemosina ai briganti.

Rispose: « Se farete come vi dirò, confido nel Signore che conquisterete le loro anime.

Andate dunque, acquistate del buon pane e buon vino, recatelo a quelli nei boschi dove stanno, e chiamateli: – Fratelli briganti, venite a noi che siamo vostri fratelli e vi portiamo buon pane e buon vino! –.

Essi verranno subito.

Voi allora stenderete per terra una tovaglia, vi disporrete sopra il pane e il vino, e li servirete umilmente e lietamente, finché abbiano mangiato.

Dopo il pasto, parlate loro le parole del Signore, e infine fate loro questa prima richiesta per amor di Dio: che vi promettano di non percuotere né danneggiare alcuno nella persona.

Poiché, se domandate tutte le cose in una volta, non vi daranno ascolto, invece, vinti dalla vostra umiltà e affetto, subito accondiscenderanno alla vostra proposta.

Un altro giorno, grati di questa loro promessa, recate loro con il pane e il vino, anche uova e cacio, e serviteli finché abbiano mangiato.

Dopo il pasto, direte: – Ma perché state in questi posti tutto il giorno a morire di fame e sopportare tanti disagi, facendo il male col pensiero e con le azioni, a causa delle quali perdete le vostre anime, se non vi convertite a Dio?

Meglio che serviate il Signore e lui vi darà in questa vita le cose necessarie al corpo, e alla fine salverà le vostre anime.

– Allora il Signore li ispirerà a ravvedersi, grazie all'umiltà e gentilezza che voi gli avrete mostrato ».

I frati eseguirono ogni cosa secondo l'istruzione ricevuta da Francesco.

E i briganti, per bontà e misericordia di Dio ascoltarono ed eseguirono alla lettera, punto per punto, quanto i frati avevano loro richiesto.

Anzi, toccati da tanta umiltà e benevolenza, cominciarono a loro volta a servirli, portando sulle loro spalle la legna fino all'eremitaggio.

Alcuni di loro entrarono infine nell'Ordine, gli altri confessarono i loro peccati e fecero penitenza delle colpe commesse, promettendo ai frati di voler vivere d'allora in poi del proprio lavoro e mai più commettere quei misfatti.

67. Come, fustigato dai demoni, capì che era più gradito a Dio ch'egli abitasse in luoghi poveri e umili, anziché con i cardinali

[1760] 84 Una volta il beato Francesco si portò a Roma per incontrare il cardinale di Ostia.

Rimasto alcuni giorni con lui, andò a render visita a messer Leone cardinale, molto devoto a Francesco.

Si era d'inverno, stagione non adatta a viaggiare a piedi, per causa del freddo, del vento e delle piogge.

Per cui il cardinale lo pregò di sostare qualche giorno da lui, ricevendo il cibo come un mendicante insieme agli altri poveri che quotidianamente mangiavano alla sua mensa.

Disse questo, perché sapeva che Francesco voleva sempre esser ricevuto come un qualunque poverello, dove era ospitato, sebbene il Papa e i cardinali lo accogliessero con viva devozione e rispetto, venerandolo come santo.

Aggiunse il cardinale: « Ti assegnerò una buona casa appartata, dove potrai pregare e prendere i pasti quando vorrai ».

Allora frate Angelo Tancredi, uno dei primi dodici frati che abitava con quel cardinale, disse a Francesco: « Fratello, qui vicino sorge una torre assai spaziosa e fuori mano, dove potrai dimorare come in un eremo ».

Il Santo andò a vederla e gli piacque, e tornato dal cardinale gli disse: « Messere, forse rimarrò presso di voi alcuni giorni ».

Il cardinale ne fu molto felice.

Andò quindi frate Angelo e preparò nella torre una celletta per Francesco e il suo compagno.

E perché il Santo non voleva discendere di là per recarsi dal cardinale, per tutto il tempo che rimarrebbe là né voleva che alcuno entrasse da lui, Angelo promise e dispose di portare ogni giorno il cibo a lui e al compagno.

Francesco si ritirò con il compagno nella torre.

Calata la notte, mentre si disponeva a dormire, vennero i demoni e gli diedero una forte dose di fustigate.

Francesco chiamò il compagno: « Fratello, gli disse, i demoni mi hanno battuto molto duramente.

Rimani vicino a me, ho paura di star solo ».

Il compagno quella notte rimase vicino a lui, che tremava tutto come preso dalla febbre; tutte quelle ore le trascorsero svegli.

Francesco parlava con il compagno: « Perché i demoni mi hanno pestato, e perché il Signore ha dato loro il potere di nuocermi? ».

E soggiunse: « I demoni sono i castaldi del Signore.

Come il podestà manda il suo castaldo a punire chi ha commesso un'infrazione, così il Signore, per mezzo dei suoi agenti, cioè i demoni che in questo mondo sono al suo servizio, sferza e castiga quelli che ama.

Anche il perfetto religioso molte volte pecca per ignoranza; così, quando non conosce la sua colpa, viene battuto dal diavolo, affinché osservi diligentemente e consideri in quali cose ha mancato esteriormente e interiormente.

Nulla lascia impunito il Signore, durante questa vita, in quelli ch'egli ama di vero amore.

Io veramente, per grazia e misericordia di Dio, non ho coscienza di aver commesso mancanze che non abbia riparato per mezzo della confessione e dell'ammenda.

E certo il Signore mi ha fatto questo dono per sua misericordia: che di tutte le cose nelle quali io possa piacergli o dispiacergli, nelle orazioni prendo chiara cognizione.

Ma può essere che, per mezzo dei suoi giustizieri, egli mi abbia ora castigato perché, sebbene messer cardinale ben volentieri mi usi riguardi e al mio corpo sia necessario godere questo ristoro, i miei frati però che vanno per il mondo sopportando fame e molte tribolazioni, e gli altri frati che abitano negli eremitaggi e in piccole case, udendo che io rimango presso messer cardinale, potranno aver occasione di protestare, dicendo: – Noi sopportiamo tante avversità, e lui gode i suoi agi!

Io invece sono tenuto a dare sempre loro il buon esempio, e proprio per questo sono stato dato loro.

I frati sono più edificati quando abito in mezzo a loro in luoghi poveri, che non quando sto altrove; e con maggior pazienza sopportano le loro tribolazioni, quando odono che io pure sopporto gli stessi travagli ».

E invero il grande e costante impegno del nostro padre fu di offrire sempre a tutti il buon esempio, non dando occasione agli altri frati di mormorare di lui.

Per questo, sano o malato, soffrì tante e così grandi pene, che tutti i fratelli che venissero a saperlo, – come noi che siamo vissuti con lui fino al giorno della sua morte, – ogni volta che leggessero o richiamassero alla memoria tali cose, non potrebbero trattenere le lacrime, e con maggior pazienza e letizia sopporterebbero ogni tribolazione e angustia.

Di primissimo mattino Francesco discese dalla torre, andò dal cardinale a raccontargli cosa gli era accaduto e di cui aveva conversato con il compagno, e concluse: « Gli uomini pensano che io sia un santo, ed ecco i demoni mi hanno cacciato dal mio ritiro! ».

Il cardinale fu pieno di gioia nel vederlo, tuttavia, conoscendone la santità e venerandolo, non osò opporsi quando non volle restare più da lui.

Così, preso commiato, Francesco ritornò all'eremitaggio di Fonte Colombo, presso Rieti.

68. Come rimproverò i frati che volevano seguire la via della loro sapienza e scienza, e predisse loro la riforma dell'ordine e il ritorno allo stato primitivo

[1761] 85 Trovandosi Francesco al Capitolo generale presso Santa Maria della Porziuncola, capitolo chiamato delle stuoie, perché non essendovi abitazioni, gli unici rifugi erano fatti con stuoie, e vi furono presenti cinquemila frati; in quell'occasione, dunque, molti frati colti e dotti si recarono dal cardinale di Ostia, che stava colà, e gli dissero: « Messere, vogliamo che voi persuadiate frate Francesco a seguire il consiglio dei frati istruiti, e consenta talvolta di essere guidato da loro ».

E citavano la Regola di san Benedetto, quelle di Agostino e Bernardo, che insegnano a menar vita religiosa in questa e quella maniera.

Tutte queste cose riferì il cardinale a Francesco, in tono di ammonizione.

Il Santo, senza risponder nulla, lo prese per mano e lo condusse tra i frati riuniti a Capitolo, e così parlò ad essi nel fervore e nella virtù dello Spirito Santo: « Fratelli miei, fratelli miei! Il Signore mi ha chiamato per la via della semplicità e dell'umiltà, e questa via mi mostrò veramente per me e per quelli che intendono credermi e imitarmi.

Di conseguenza, voglio che non mi si parli di nessuna Regola né di san Benedetto, né di sant'Agostino, né di san Bernardo, né di alcun altro ideale e maniera di vita diverso da quello che dal Signore mi è stato misericordiosamente rivelato e concesso.

Il Signore mi ha detto che io dovevo essere come un novello pazzo in questo mondo, e non ci ha voluto condurre per altra via che quella di questa scienza.

Dio vi confonderà proprio per mezzo della vostra scienza e sapienza.

Io confido nei castaldi del Signore, e per loro mezzo Dio vi punirà.

E allora tornerete al vostro stato, lo vogliate o no, con vostra vergogna ».

Molto rimase trasecolato il cardinale, e niente rispose; e i fratelli furono pieni di grande timore.

69. Come predisse che la scienza sarebbe stata occasione di rovina dell'ordine, e come proibì a uno dei compagni di darsi allo studio della predicazione

[1762] 86 Molto penava Francesco quando, trascurando la virtù, si andava in cerca della scienza che gonfia, soprattutto se un frate non perdurava nella vocazione cui era stato chiamato da principio.

Diceva: « I miei frati che sono presi dalla curiosità di sapere, si troveranno a mani vuote nel giorno della tribolazione.

Perciò vorrei che essi piuttosto si rinvigorissero nella virtù.

E quando il tempo della tribolazione verrà, avessero con sé nell'angoscia il Signore.

La tribolazione certamente verrà, e i libri, che non serviranno allora a niente, saranno gettati dalla finestra ».

Non diceva questo perché gli dispiacesse la lettura della sacra Bibbia, ma per distogliere tutti dalla superflua preoccupazione di imparare.

Voleva infatti che i frati fossero buoni e caritatevoli, anziché assetati di sapere e arroganti.

Presentiva che sarebbero venuti fra non molto i tempi nei quali prevedeva che un sapere orgoglioso sarebbe causa di rovina.

Per cui, dopo la sua morte, apparendo a un certo compagno troppo assillato dallo studio della predicazione, gliene fece rimprovero e proibizione, e gli comandò che studiasse di avanzare sulla via dell'umiltà e della semplicità.

70. Come quelli che entreranno nell'Ordine nel tempo della tribolazione futura saranno benedetti, e coloro che saranno sottoposti alla prova saranno migliori di chi li ha preceduti

[1763] 87 Diceva Francesco: « Verrà tempo in cui, per i malesempi dei cattivi frati, quest'Ordine amato da Dio avrà così sinistra reputazione che ci si vergognerà di uscire in pubblico.

Ma quelli che allora entreranno nell'Ordine, saranno guidati unicamente dalla virtù dello Spirito Santo, la carne e il sangue non lasceranno macchia alcuna su di loro, e saranno veramente benedetti dal Signore.

Anche se nessuna opera meritoria verrà compiuta da essi, tuttavia, poiché si raffredderà lo spirito di carità che anima i santi ad agire con fervore, saranno assaliti da tentazioni immense; e quelli che usciranno vincitori da queste prove, saranno migliori di coloro che li precedettero.

Guai però a coloro che, facendo applausi a se stessi, per il solo aspetto ed apparenza di pratica religiosa, confidando nella propria istruzione e sapere, saranno trovati oziosi, vale a dire inattivi nell'esercizio delle opere virtuose, nella via della croce e della penitenza, nella pura osservanza del Vangelo, che sono obbligati a seguire in purità e semplicità, in forza della loro professione!

Questi non resisteranno con vigore alle tentazioni, che il Signore permetterà per purificare gli eletti.

Ma quelli che saranno messi alla prova e l'avranno superata, riceveranno la corona della vita, a guadagnare la quale attualmente li incita la malizia dei reprobi ».

71. Come rispose a un compagno che gli domandava perché non reprimesse gli abusi che avvenivano nell'Ordine ai suoi tempi

[1764] 88 Un compagno disse un giorno al beato Francesco: « Perdonami, Padre. Quanto ti voglio dire è stato già notato da molti ».

E seguitò: « Tu sai come una volta, per grazia di Dio, tutto l'Ordine era fiorente di pura perfezione.

Tutti i fratelli con vibrante fervore e zelo osservavano in ogni cosa la santa povertà, in angusti edifici e modesti utensili, poveri libri e rozze vesti, e nell'adempiere a questo ideale erano accomunati da una sola volontà e dallo stesso slancio; erano gelosi nell'osservanza di quanto si riferisce alla purezza della fede, alla nostra vocazione, al buon esempio.

Da uomini veramente apostolici ed evangelici, erano unanimi nell'amore di Dio e del prossimo.

Da poco tempo in qua, invece, questa purità e perfezione ha cominciato ad alterarsi, sebbene molti adducano a scusa il gran numero dei frati, dicendo che per questo non possono più essere praticate tali virtù.

Molti frati, anzi, sono giunti a tanta cecità che sono convinti che il popolo sia meglio edificato e convertito a devozione da questo comportamento, anziché dal fervore primitivo.

E pensano addirittura che questo stile di vita sia più conveniente, e hanno in disprezzo la via della santa semplicità e povertà, che pure fu il principio e il fondamento del nostro Ordine.

Constatando questo sviamento, crediamo fermamente che esso ti dispiaccia tuttavia, siamo molto stupiti, che, dispiacendoti simili abusi tu li sopporti e non li corregga ».

Gli rispose il beato Francesco: « Il Signore ti perdoni, fratello.

Perché vuoi essermi contrario e avverso, implicandomi in cose che non si riferiscono al mio dovere?

Fin tanto che ebbi la carica di guidare i frati, essi restarono saldi nella loro vocazione e nell'impegno assunto.

Fin dal principio della mia nuova vita, sono stato sempre malato, eppure con il mio debole zelo, con l'esempio e con le esortazioni riuscivo a sostenere i fratelli.

Dopo che vidi che il Signore moltiplicava il loro numero, ed essi per tiepidezza e inerzia spirituale cominciavano a deviare dalla strada dritta e sicura per la quale erano soliti camminare e, avanzando per la via larga che mena alla morte, non erano appassionati alla loro vocazione, agli impegni assunti e al buon esempio; né intendevano abbandonare il cammino pericoloso e mortale che avevano preso, nonostante le mie ammonizioni e l'esempio che loro continuamente davo, affidai la guida dell'Ordine a Dio e ai ministri.

Quando rinunciai all'incarico di governare i frati, io mi scusai davanti a loro nel Capitolo generale, adducendo la ragione delle mie infermità; però, se i frati volessero camminare secondo la mia volontà, non vorrei, per consolazione e utilità di loro stessi, che avessero altro ministro se non me fino al giorno della mia morte.

Il suddito fedele e buono sa intendere e seguire la volontà, senza che al prelato sia necessaria per ben governare una cura assillante.

Inoltre, io sarei così felice della bontà dei frati per il loro e mio profitto, che, anche giacendo infermo, non esiterei a soddisfarli.

Il mio ufficio di guida è infatti soltanto spirituale, e consiste nel reprimere i difetti, correggerli ed emendarli.

Dal momento però che non riesco a raddrizzarli e migliorarli con le ammonizioni, esortazioni ed esempio, non voglio diventare giustiziere nel punirli e flagellarli, come fanno i governanti di questo mondo.

Io confido nel Signore che i nemici invisibili, che sono i suoi castaldi al servizio suo per punire in questo e nell'altro mondo, fin da ora faranno vendetta di quelli che trasgrediscono i comandi di Dio e le promesse della loro professione.

Essi li faranno castigare dagli uomini di questo mondo, con vergogna e rossore, di modo che tornino alla loro vocazione e ai loro impegni.

E fino al giorno della mia morte, io non smetterò di ammaestrare i frati con l'esempio e con le azioni a seguire il cammino mostratomi dal Signore, quel cammino che ho additato con la parola e l'esempio.

Così saranno senza scusa davanti a Dio, e io non sarò obbligato, più tardi, a render conto di loro alla presenza del Signore ».

72. Frate Leone, compagno e confessore di San Francesco scrisse a frate Corrado da Offida le parole che seguono, dicendo di averle raccolte dalla bocca di Francesco.

Parole che lo stesso Corrado riferì presso San Damiano vicino alla città di Assisi

[1765] 89 San Francesco stava in orazione davanti all'abside della chiesa di Santa Maria degli Angeli, con le mani tese in alto, invocando Cristo affinché avesse misericordia del popolo nella gran tribolazione che stava per abbattersi.

E il Signore rispose: « Francesco, se vuoi che io abbia pietà del popolo cristiano, fa'che il tuo Ordine permanga nello stato in cui fu stabilito, poiché non mi resta che esso in tutto il mondo.

E ti prometto che, per amore tuo e del tuo Ordine, non lascerò che al mondo sopravvenga alcuna tribolazione.

Ma dico a te che essi si ritrarranno dalla via in cui li ho messi.

E m'inciteranno a tale ira, che insorgerò contro di loro e chiamerò i demoni e darò a questi il potere che vorranno.

E i demoni provocheranno tanto scandalo tra i frati e il mondo, che nessuno vi sarà che osi portare il tuo saio se non nelle selve.

E quando il mondo perderà la fiducia nel tuo Ordine, non rimarrà più alcuna luce, poiché io ho posto i frati come luce del mondo ».

E san Francesco disse: « Di che vivranno i miei fratelli che abiteranno le selve? ».

Disse Cristo: « Io li nutrirò, come nutrii i figli d'Israele nel deserto, facendo piovere la manna.

Questi frati saranno buoni, e allora l'Ordine tornerà alla sua condizione originaria, in cui fu fondato e cominciato ».

73. Come dalle preghiere e lacrime degli umili semplici fratelli sono convertite quelle anime che sembrano convertirsi per la scienza e predicazione degli altri

[1766] 90 Il padre santo non voleva che i suoi frati fossero avidi del sapere e dei libri, ma voleva e insisteva che si sforzassero di stabilirsi sul fondamento della santa umiltà, e a seguire la pura semplicità, la santa orazione e la nostra signora povertà: su queste fondamenta costruirono i primi santi frati.

Diceva che questa sola era la via sicura alla salvezza propria e alla edificazione degli altri, poiché Cristo, che noi siamo chiamati a imitare, ci mostrò e prescrisse questo ideale con la parola e l'esempio.

Ma il beato padre, prevedendo il futuro, conosceva per virtù dello Spirito Santo, e sovente ripeteva ai fratelli « che molti, col pretesto di migliorare il prossimo, dimenticheranno la loro vocazione di santa umiltà, pura semplicità, orazione e devozione e povertà.

Finiranno con l'illudersi di esser maggiormente imbevuti e colmi di devozione, di essere ardenti e illuminati dall'amore e conoscenza di Dio, mentre nel loro intimo saranno freddi e vuoti.

Così non potranno più tornare alla primitiva vocazione, avendo perduto in studi falsi e vani il loro tempo.

E temo che verrà loro tolto quanto suppongono di possedere, poiché trascurarono completamente ciò che era loro offerto: di conservare cioè e seguire la loro vocazione ».

Diceva ancora: « Vi sono molti frati, che pongono ogni loro sforzo e impegno nell'acquistare la scienza, trascurando la loro vocazione, uscendo con la mente e con la vita dalla via dell'umiltà e della santa orazione.

Quando hanno predicato al popolo, venendo a sapere che alcuni sono rimasti edificati o convertiti a penitenza, si gonfiano e inorgogliscono della fatica e guadagno altrui quasi fosse opera loro.

Invece, essi hanno predicato per loro condanna e perdita, e nulla hanno operato se non come strumenti di quei buoni, per mezzo dei quali il Signore ha in verità acquistato un tale frutto.

Coloro che questi immaginano di aver edificato e convertito grazie alla loro scienza e predicazione, in realtà il Signore ha edificato e convertito con le orazioni e lacrime dei santi, poveri, umili, semplici frati, per quanto costoro ignorino per lo più tale cosa, giacché Dio non vuole che lo sappiano e ne siano incitati a insuperbire.

Questi sono i miei frati cavalieri della Tavola rotonda, che si appartano in luoghi disabitati e remoti per abbandonarsi con più amore all'orazione e alla meditazione, piangendo i peccati propri e altrui, vivendo in semplicità e umiltà.

La loro santità è nota a Dio, e talvolta ignota ai fratelli e agli altri uomini.

Quando le loro anime saranno presentate dagli angeli al Signore, Dio mostrerà loro il frutto e la ricompensa delle loro opere: le molte anime, cioè, salvate dai loro esempi, orazioni e lacrime.

E dirà loro: – Figli miei diletti, tante e tali anime sono state salvate a mezzo delle vostre preghiere, pianto ed esempio; e poiché foste fedeli nel poco vi farò padroni di molto!

Altri predicarono e operarono con parole di cultura e sapere, ma sono stato io a maturare il frutto della salvezza per i vostri meriti.

Ricevete dunque la ricompensa delle fatiche di quelli e il frutto dei vostri meriti, il regno eterno, che avete conquistato con l'ardore dell'umiltà e della semplicità, con la violenza delle vostre orazioni e lacrime –.

Così, portando i loro covoni, vale a dire i frutti e le ricompense della loro santa umiltà e semplicità, entreranno lieti ed esultanti nella felicità del Signore.

Ma quelli che si preoccupano solo di sapere e di mostrare agli altri la via della salvezza, senza nulla operare per salvarsi loro, arriveranno nudi e a mani vuote dinanzi al tribunale di Cristo, non recando che i covoni della vergogna, della delusione e della amarezza.

Allora la verità della santa umiltà e semplicità, della santa orazione e povertà, in cui consiste il nostro ideale, sarà esaltata, glorificata, magnificata.

Una verità alla quale quelli che furono rigonfi di sapere, recarono pregiudizio con la loro vita, i vuoti discorsi, le prediche della loro vana sapienza, dicendo che quella verità era falsità, e perseguitando crudelmente come ciechi quelli che camminavano nella verità.

Allora l'errore e la falsità delle opinioni da loro seguite e predicate come verità, e attraverso le quali essi fecero precipitare molti nella fossa della cecità, si riveleranno dolore, confusione e vergogna.

Ed essi, insieme con le loro opinioni tenebrose, saranno immersi nelle tenebre in compagnia degli spiriti maligni ».

[1767] 91 Commentando quel detto: La sterile partorì molti figli, mentre quella che aveva molti figli diventò sterile, Francesco era solito dire: « Sterile è il buon religioso, semplice, umile povero e disprezzato, tenuto a vile e buttato in un canto, il quale però edifica incessantemente gli altri con le sante orazioni e virtù e li partorisce con i suoi gemiti dolorosi ».

Queste parole amava spesso ripetere davanti ai ministri e agli altri frati, specialmente durante i Capitoli generali.

74. Come voleva e insegnava che prelati e predicatori devono esercitarsi nell'orazione e nelle opere di umiltà

[1768] 92 Fedele servo e imitatore perfetto di Cristo, Francesco, sentendosi completamente trasformato in Cristo per virtù della santa umiltà, desiderava nei suoi fratelli l'umiltà sopra tutte le altre virtù, e li incoraggiava senza sosta e affettuosamente, con le parole e l'esempio, ad amare questa grazia, desiderarla, acquistarla e conservarla.

Ammoniva specialmente i ministri e i predicatori, inducendoli a dedicarsi a opere di umiltà.

Soggiungeva che, a causa delle cariche di governo e gli impegni di predicazione, non dovevano trascurare la santa devota orazione né omettere di andare all'elemosina, né di dedicarsi al lavoro manuale e compiere altri servizi, come tutti gli altri frati, per il buon esempio e il profitto delle anime proprie e altrui.

Diceva: « Molto sono edificati i frati sudditi, quando i loro ministri e predicatori si dedicano all'orazione e si danno di buona voglia a servizi umili e bassi.

Altrimenti non possono, senza vergogna e pregiudizio e condanna, ammonire intorno a queste cose gli altri fratelli.

Bisogna, secondo l'esempio del Signore, prima fare e poi insegnare, o meglio fare e insegnare nello stesso tempo ».

75. Come indicò ai frati, umiliandosi, il modo di conoscere quando egli era servo di Dio e quando no

[1769] 93 Il beato Francesco convocò una volta molti frati e disse loro: « Ho pregato il Signore che si degnasse mostrarmi quando sono servo di lui e quando no.

Poiché niente altro vorrei, che essere suo servo.

Il Signore benignissimo mi rispose: – Potrai conoscere che sei veramente mio servo, quando tu pensi, dici e fai cose sante! –.

Perciò ho chiamato voi, fratelli, e vi ho rivelato questo per potere vergognarmi davanti a voi, allorché mi vedrete mancare in una o tutte queste cose ».

76. Come volle che tutti i frati si dedicassero talora a lavori manuali

[1770] 94 Diceva che quelli che attendono svogliati a un lavoro umile in casa, saranno rigettati ben presto dalla bocca del Signore.

Nessuno poteva mostrarsi in ozio dinanzi a lui, senza che tosto lo sferzasse con parole mordenti.

E lui, modello di ogni perfezione, lavorava umilmente con le sue mani, non permettendo che venisse sciupato un solo attimo del prezioso dono del tempo.

Diceva: « Voglio che tutti i miei frati lavorino e si esercitino umilmente in lavori onesti, affinché noi siamo di minor peso alla gente, e cuore e lingua non vagabondino nell'ozio.

Chi non conosce un mestiere, lo impari ».

Secondo lui, la ricompensa del lavoro non doveva essere a disposizione del lavoratore, bensì del guardiano o della comunità.

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