Commento al Vangelo di S. Giovanni

Omelia 115

Il mio regno non è di questo mondo. ( Gv 18,33-40 )

Non è di questo mondo, perché in questo mondo è peregrinante.

Sino alla fine del mondo sono mischiati insieme il grano e la zizzania.

Alla fine del mondo, quando la messe sarà matura, i mietitori purificheranno il regno da tutti gli scandali, il che non avrebbe senso se il regno non fosse in questo mondo.

1 - In questo discorso dobbiamo vedere e commentare ciò che Pilato disse a Cristo e ciò che Cristo rispose a Pilato.

Dopo aver detto ai Giudei: Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge, e dopo che essi ebbero risposto: A noi non è permesso mettere a morte nessuno, Pilato entrò di nuovo nel pretorio, chiamò Gesù e gli disse: Tu sei il re dei Giudei?

Gesù rispose: Dici questo da te, oppure altri te l'hanno detto sul conto mio?

Il Signore sapeva bene ciò che domandava a Pilato e sapeva ciò che gli avrebbe risposto Pilato; tuttavia volle che parlasse, non perché avesse bisogno di apprendere, ma perché fosse scritto quanto voleva che giungesse a nostra conoscenza.

Pilato rispose: Sono io forse giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che hai fatto?

Rispose Gesù: Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi combatterebbero per me, affinché non fossi consegnato ai Giudei; ora invece il mio regno non è di quaggiù ( Gv 18,31.33-36 ).

È questo che il buon Maestro ha voluto che noi sapessimo; ma prima bisognava dimostrare quanto fosse infondata l'opinione che del suo regno avevano sia i gentili che i Giudei, dai quali Pilato l'aveva appresa.

Essi ritenevano che fosse reo di morte per aver preteso un regno che non gli apparteneva; oppure perché sia i Romani che i Giudei dovevano prendere misure contro il suo regno perché avverso a loro, in quanto i regnanti di solito sono gelosi di quanti potrebbero regnare al loro posto.

Il Signore avrebbe potuto rispondere subito alla prima domanda del procuratore: Tu sei il re dei Giudei?, dicendo: il mio regno non è di questo mondo.

Ma egli, chiedendo a sua volta se quanto Pilato domandava, lo diceva da sé oppure l'avesse sentito dire da altri, volle dimostrare, attraverso la risposta di Pilato, che erano i Giudei a formulare tale accusa contro di lui.

Egli mostra così la vanità dei pensieri degli uomini ( Sal 94,11 ), che ben conosceva, e rispondendo loro, Giudei e gentili insieme, in modo più esplicito e diretto, dopo la reazione di Pilato dice: Il mio regno non è di questo mondo.

Se avesse risposto così alla prima domanda di Pilato, poteva sembrare che egli rispondesse non anche ai Giudei ma ai soli gentili, come se fossero solo questi ad avere di lui una tale opinione.

Ma dal momento che risponde: Sono io forse giudeo?

La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me, Pilato allontana da sé il sospetto che fosse stato proprio lui a dire che Gesù aveva affermato di essere il re dei Giudei, dimostrando che lo aveva sentito dire dai Giudei.

Dicendo poi: Che hai fatto?, lascia intendere abbastanza chiaramente che quel fatto gli veniva imputato come un delitto; come a dire: Se non sei re, che hai fatto per essere consegnato a me?

Quasi non fosse strano che venisse consegnato al giudice per essere punito, chi diceva di essere re; qualora poi non l'avesse detto, sarebbe dovuto sembrare strano che fosse compito del Giudice chiedergli cos'altro avesse fatto di male per meritare di essere consegnato a lui.

2 - [ Nel regno del Figlio diletto ]

Ascoltate dunque, Giudei e gentili; ascoltate, circoncisi e incirconcisi; ascoltate, regni tutti della terra: Io non intralcio la vostra sovranità in questo mondo: Il mio regno non è di questo mondo.

Non lasciatevi prendere dall'assurdo timore di Erode che, alla notizia della nascita di Cristo, si allarmò, e per poter colpire lui uccise tanti bambini ( Mt 2,3.16 ), mostrandosi così crudele più nella paura che nella rabbia.

Il mio regno - dice il Signore - non è di questo mondo.

Che volete di più? Venite nel regno che non è di questo mondo; venite credendo, e non vogliate diventare crudeli per paura.

È vero che in una profezia, Cristo, riferendosi a Dio Padre, dice: Da lui io sono stato costituito re sopra Sion, il suo monte santo ( Sal 2,6 ), ma questo monte e quella Sion, di cui parla, non sono di questo mondo.

Quale è infatti il suo regno se non i credenti in lui, a proposito dei quali dice: Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo? anche se egli voleva che essi rimanessero nel mondo, e per questo chiese al Padre: Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal male ( Gv 17,16 ).

Ecco perché anche qui non dice: Il mio regno non è in questo mondo, ma dice: Il mio regno non è di questo mondo.

E dopo aver provato la sua affermazione col dire: Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi combatterebbero per me, affinché non fossi consegnato ai Giudei, non dice: Ora il mio regno non si trova quaggiù, ma dice: il mio regno non è di quaggiù.

Il suo regno infatti è quaggiù fino alla fine dei secoli, portando mescolata nel suo grembo la zizzania fino al momento della mietitura, che avverrà appunto alla fine dei tempi, quando verranno i mietitori, cioè gli angeli, a togliere via dal suo regno tutti gli scandali ( Mt 13,38-41 ).

E questo non potrebbe certo avvenire, se il suo regno non fosse qui in terra.

Tuttavia, esso non è di quaggiù, perché è peregrinante nel mondo.

È precisamente agli appartenenti al suo regno che egli si riferisce quando dice: Voi non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo ( Gv 15,19 ).

Erano dunque del mondo, quando ancora non facevano parte del suo regno, e appartenevano al principe del mondo.

È quindi del mondo tutto ciò che di umano è stato sì creato dal vero Dio, ma che è stato generato dalla stirpe corrotta e dannata di Adamo; è diventato però regno di Dio, e non è più di questo mondo, tutto ciò che in Cristo è stato rigenerato.

È in questo modo che Dio ci ha sottratti al potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio dell'amor suo ( Col 1,13 ).

Ed è appunto di questo regno che egli dice: Il mio regno non è di questo mondo, e anche: Il mio regno non è di quaggiù.

3 - Gli disse allora Pilato: Dunque tu sei re? Rispose Gesù: Tu lo dici, io sono re ( Gv 18,37 ).

Il Signore non esita a dichiararsi re, ma la sua espressione: tu lo dici, è così misurata che non nega di essere re ( re, si intende, di un regno che non è di questo mondo ), ma neppure afferma di esserlo in quanto ciò potrebbe far pensare che il suo regno sia di questo mondo.

Tale infatti lo considerava Pilato che gli aveva chiesto: Dunque tu sei re? Gesù risponde: Tu lo dici, io sono re.

Usa l'espressione: Tu lo dici, come a dire: Tu hai una mentalità carnale e perciò non puoi esprimerti che così.

4 - E prosegue: Io per questo sono nato, e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità ( Gv 18,37 ).

Non dobbiamo considerare lunga la sillaba del pronome, là dove dice: per questo sono nato, come se avesse voluto dire: sono nato in questa condizione; ma dobbiamo considerarla breve, cioè come se avesse detto: per questo sono nato, come appunto poi dice: per questo sono venuto nel mondo.

Nel testo greco, infatti, questa espressione non è affatto ambigua.

Risulta quindi chiaramente che il Signore parla qui della sua nascita temporale mediante la quale, essendosi incarnato, è venuto nel mondo; non della sua nascita senza principio, per cui è Dio, per mezzo del quale il Padre ha creato il mondo.

Egli afferma di essere nato per questo, e di essere venuto nel mondo, nascendo dalla Vergine, per questo, per rendere cioè testimonianza alla verità.

Ma, siccome la fede non è di tutti ( 2 Ts 3,2 ), soggiunge: Chiunque è dalla parte della verità, ascolta la mia voce ( Gv 18,37 ).

La ascolta, s'intende, con l'udito interiore, cioè obbedisce alla mia voce: e questo è come dire che crede in me.

Rendendo testimonianza alla verità, Cristo rende testimonianza a se stesso; è proprio lui che afferma: Io sono la verità ( Gv 14,6 ), e in un altro passo: Io rendo testimonianza a me stesso ( Gv 8,18 ).

Dicendo ora: Chiunque è dalla parte della verità, ascolta la mia voce, vuole sottolineare la grazia con la quale egli, secondo il suo disegno, ci chiama.

A proposito di questo disegno l'Apostolo dice: Noi sappiamo che a quelli che amano Dio, tutto coopera per il bene, a quelli cioè che sono stati chiamati secondo il disegno di Dio ( Rm 8,28 ); cioè secondo il disegno di colui che chiama, non di coloro che sono chiamati.

L'Apostolo esprime questo concetto ancor più chiaramente quando dice: Collabora al Vangelo con la forza di Dio.

È lui infatti che ci ha salvati e ci ha chiamati con la sua santa vocazione, non in base alle nostre opere ma secondo il suo proposito e la sua grazia ( 2 Tm 1,8-9 ).

Se infatti consideriamo la natura nella quale siamo stati creati, chi non è dalla verità, dato che è la verità che ha creato tutti gli uomini?

Ma non a tutti la verità concede di ascoltarla, nel senso di obbedire alla verità e di credere in essa: certo senza alcun merito precedente, altrimenti la grazia non sarebbe più grazia.

Se il Signore avesse detto: Chiunque ascolta la mia voce, è dalla verità; si poteva pensare che uno è dalla verità per il fatto che obbedisce alla verità.

Ma egli non dice così, bensì: Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce.

Non è, costui, dalla verità perché ascolta la sua voce, ma ascolta la sua voce perché è dalla verità, avendogli la verità stessa concesso questa grazia.

E che altro vuol dire questo, se non che è per grazia di Cristo che si crede in Cristo?

5 - Gli dice Pilato: Che cosa è la verità?

E non aspetta la risposta; ma detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: Io non trovo in lui nessun motivo di condanna.

Ma è per voi consuetudine che io vi rilasci qualcuno in occasione della Pasqua.

Volete che vi rilasci il re dei Giudei?

Credo che quando Pilato rivolse al Signore la domanda: Che cosa è la verità?, gli sia subito venuta in mente la consuetudine dei Giudei secondo la quale si era soliti rilasciare ad essi un condannato in occasione della Pasqua; e forse per questo motivo non aspettò che Gesù gli rispondesse che cosa fosse la verità, preoccupato com'era di non perder tempo, dato che si era ricordato di quell'usanza con cui avrebbe potuto rilasciarlo cogliendo l'occasione della Pasqua.

Che seriamente volesse liberare Gesù, è evidente.

Tuttavia non riuscì a levarsi dalla mente l'idea che Gesù era il re dei Giudei, come se la Verità stessa, sulla cui natura egli aveva interrogato il Signore, avesse fissato nel suo cuore, come poi nel titolo della croce, questo dato di fatto.

Ma, udite queste parole, i Giudei si misero a gridare di nuovo: Non costui, ma Barabba! Barabba era un brigante ( Gv 18,38-40 ).

Non vi rimproveriamo, o Giudei, per l'usanza che avete di liberare un malfattore in occasione della Pasqua, ma per il fatto che volete uccidere un innocente.

E, tuttavia, se ciò non fosse avvenuto, non ci sarebbe stata la vera Pasqua.

Nel loro errore i Giudei possedevano l'ombra della verità e, per mirabile disposizione della divina sapienza, servendosi di uomini caduti nell'errore, si compì la verità di quell'ombra, allorché Cristo come una pecora fu immolato affinché si realizzasse la vera Pasqua.

Seguono gli oltraggi e i maltrattamenti inflitti a Cristo da parte di Pilato e della sua coorte, di cui ci occuperemo in un altro discorso.

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