Padri/Agostino/ContrGiulIn/Libro1.txt Opera incompiuta contro Giuliano Prefazione Contro gli eretici pelagiani, i quali dicono che Adamo sarebbe morto corporalmente anche se egli non avesse peccato e che il genere umano in lui non fu viziato - dal che segue che insistono nel sostenere che la morte e i morbi mortiferi e tutti i mali che vediamo sofferti anche dai bambini sarebbero esistiti pure nel paradiso, anche se nessuno avesse peccato -, io scrissi al conte Valerio un libro con il titolo Le nozze e la concupiscenza, perché avevo saputo essergli giunta la voce che i pelagiani ci accusavano di condannare le nozze. In sostanza, ragionando come mi è stato possibile, ho distinto in quell'opera il bene delle nozze dal male della concupiscenza carnale, del quale fa buon uso la pudicizia coniugale. Dopo che l'illustre uomo ora ricordato ebbe ricevuto quel libro, mi mandò in una cartella alcune sentenze stralciate da un'opera dell'eretico pelagiano Giuliano - dove con quattro libri gli parve bene di rispondere a quel mio unico libro che ho già detto d'aver scritto su Le nozze e la concupiscenza -, inviatagli da persona a me sconosciuta, la quale curò di stralciarle come volle dal primo libro di Giuliano: e a queste sentenze il medesimo Valerio chiese che io rispondessi quanto prima. E avvenne che sotto il medesimo titolo io scrissi anche un secondo libro, contro il quale Giuliano replicò scrivendo con eccessiva loquacità altri otto libri. È a questi che ora rispondo riportando le sue parole e facendo seguire alle medesime la mia risposta punto per punto, come la confutazione di esse mi è parso bene dovesse essere resa. Questo, dopo aver già confutato sufficientemente e apertamente, appena vennero nelle mie mani, i suoi primi quattro libri con sei miei. Libro I 1 - G. paga una sua promessa Giuliano. Sebbene impedito dalle grandi angosce che, al vedere lo stato della Chiesa in questo tempo, mi mette dentro l'animo in parte l'indignazione e in parte la compassione, non avevo rinunziato tuttavia a tener fede alla mia promessa, a curare cioè d'essere pure solvitore dopo essermi fatto debitore. Nei libri infatti che dettai per il nostro fratello vescovo Turbanzio, uomo di splendide virtù, contro gli scritti di Agostino, promisi che, se qualche ostacolo non fosse intervenuto a impedirmi lo studio, avrei affrontato sollecitamente tutti gli argomenti di coloro che, condividendo la sentenza dei manichei, difendessero la " traduce " del peccato, ossia il male naturale: dal quale mio proposito mi hanno distolto finora varie necessità che non potevo deludere. Agostino. Volesse il cielo che dopo quei tuoi scritti e dopo questi tuoi elogi con i quali dici Turbanzio uomo di splendide virtù, lo imitassi nell'essersi liberato dal vostro errore! Quanto a quei tuoi libri, essi hanno ricevuto risposta e ti è stato mostrato quali luminari cattolici, di chiarissima fama nel commentare le sante Scritture, tu tenti di offuscare con questa obbrobriosa calunnia, ossia chiamandoli manichei. 2 - Si lamenta G. di non aver potuto disporre di giudici equi Giuliano. Ma appena fu lecito respirare, il mio proposito era di mantenere le mie promesse in termini brevi al massimo quanto l'avesse consentito la natura stessa della questione, se tu, beatissimo padre Floro, non avessi voluto che io entrassi di nuovo in un impegno più laborioso. E poiché tu conti tanto per reverenza di santità che io stimerei sacrilego prestare ai tuoi comandi un'obbedienza pigra, hai ottenuto con facilità che io estendessi a vie più lunghe la brevità compendiosa che avevo scelta. Gradisci dunque l'opera intrapresa da me per tuo suggerimento. L'ho dedicata al tuo nome soprattutto con questo desiderio: che sotto il patrocinio di tanta autorità la mia penna scorresse più sicura e più ilare. Non fu dunque inopportuna la scelta che l'animo concepì della brevità, perché in quei quattro libri la verità della fede cattolica, per la quale e con la quale ci guadagniamo l'odio di un mondo che traballa, armata tanto d'invitti ragionamenti quanto di testimonianze fornite dalla legge sacra, aveva stritolato quasi tutte le invenzioni dei manichei proferite contro di noi dalla bocca di Agostino e non sarebbe rimasto quasi più nulla, se avessimo potuto valerci di giudici equi. Agostino. Contro i tuoi quattro libri ne furono scritti sei da me. Dopo appunto che nei primi due ho esposto i testi dei maestri cattolici - che tu fai manichei obiettando a me sotto questo crimine quello che essi impararono e insegnarono nella Chiesa cattolica -, ho contrapposto ciascuno degli altri quattro a ciascuno dei tuoi, confutando le tenebre della vostra eresia con la luce della verità cattolica, dal cui abbandono accecato tu sragioni e nei riguardi di una questione sulla quale non è mai stata sollevata nella Chiesa del Cristo nessuna controversia, tu, come novello eretico, cerchi giudici equi, quasi che non possano sembrarti giudici equi se non quelli che tu abbia ingannati con il vostro errore. Ma quale giudice potrai trovare migliore di Ambrogio? Di lui dice il tuo maestro Pelagio che nemmeno un nemico ne ha osato riprendere la fede e il purissimo senso circa le Scritture. Riterrebbe forse dunque Ambrogio con il suo purissimo senso circa le Scritture il dogma dell'impurissimo Manicheo quando dice: Noi nasciamo tutti sotto il peccato, perché è viziata la nostra origine stessa? Tu piuttosto giudica ora con quanto impuro senso biasimi questo dogma cattolico e non indugiare a correggerti secondo il giudizio di Ambrogio. 3 - Sacra Scrittura e ragione vanno d'accordo Giuliano. Avevo omesso tuttavia alcune testimonianze delle Scritture, con le quali costoro stimano che si possa provare qualcosa contro di noi, testimonianze che avevo promesso di spiegare successivamente per insegnare che le parole più ambigue della legge, solite ad esser fatte proprie dai nostri nemici, non possono recare pregiudizio alla verità evidente e vanno intese in conformità a ciò che è confermato da testimonianze assolutissime della Scrittura santa e da inoppugnabile ragione. Poiché, chiunque stima che per sanzione di legge divina si possa difendere ciò che non si può rivendicare per giustizia, costui apparisce da questo stesso fatto quanto sia interprete sprovveduto e profano della legge divina. Agostino. Piuttosto quello che dite voi, non si può difendere per nessuna ragione di giustizia. Perché la miseria del genere umano, alla quale non vediamo scampare nessuno dalla nascita alla morte, non si addice al giusto giudizio dell'Onnipotente, se non esiste il peccato originale. 4 - Impossibile negare l'equità di Dio con testi biblici Giuliano. Se infatti la legge divina è madre e maestra di giustizia, l'equità di Dio si può aiutare anche con i sussidi provenienti dalla legge divina, impugnare no. La natura delle cose dunque non consente all'ingiustizia di trovare un qualche appiglio nelle forze di quella Scrittura che ebbe questa sola ragione di esser promulgata: che si distruggesse l'iniquità con le sue testimonianze, con le sue istituzioni, con le sue minacce, con le sue punizioni. Agostino. Dalle testimonianze della Scrittura si dichiara che l'uomo è stato fatto simile alla vanità, che i suoi giorni passano come ombra. ( Sal 144,4 ) Che nasca in tale vanità, lo mostra non solo la verace Scrittura che lo compiange, ma anche la laboriosa e affannosa cura che cerca di educarlo. Nelle istituzioni della Scrittura si legge che va offerto un sacrificio espiatorio anche per la nascita di un bambino. ( Lv 12,6-8 ) Nelle minacce della Scrittura si legge che era destinata a perdersi l'anima del bambino non circonciso nell'ottavo giorno. ( Gen 17,14 ) Nelle punizioni della Scrittura si legge il comando di uccidere anche i bambini i cui genitori avessero provocato Dio a tanta collera da essere condannati allo sterminio bellico.- ( Gs 6,21; Gs 10,32 ) 5 - Bisogna spiegare i testi biblici che sembrano ambigui Giuliano. Dunque con la legge di Dio non si può far nulla contro Dio, autore della legge. La quale massima compendiosa basta certamente da sola ad escludere ogni obiezione che è solita farsi dagli erranti. Noi però, per insegnare quanto sia ricca la verità a cui crediamo, siamo abituati a dare la luce delle nostre spiegazioni anche a quei passi delle Scritture che, con l'ambiguità dell'eloquio, velano l'intellezione del loro sentire, perché, poste in chiaro, posseggano la dignità della loro origine e non siano estromesse dalla loro sacra genealogia come bastarde o degeneri. Agostino. Siete voi anzi che con l'ambiguità delle vostre perverse discussioni tentate di oscurare le luci delle Sacre Scritture, rifulgenti della certezza della verità. Che cosa infatti più luminoso di quanto ho detto or ora: L'uomo è stato fatto simile alla vanità, i suoi giorni passano come un'ombra? ( Sal 144,4 ) Il che certamente non accadrebbe se l'uomo continuasse ad essere a somiglianza di Dio, come fu creato. Che cosa infatti più luminoso di quanto si legge: Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita nel Cristo? ( 1 Cor 15,22 ) Che cosa più luminoso delle parole: Chi è mondo da ogni macchia? Nemmeno un bambino di un solo giorno di vita sulla terra, ( Gb 14,4-5 sec. LXX ) e di moltissimi altri passi che voi con vana loquacità cercate d'impigliare nelle vostre tenebre e di stornare al vostro senso perverso? 6 - I testi biblici sono esatti, perché divini Giuliano. Questo soltanto dunque pensavo d'ottenere ancora, secondo la nostra abitudine: liberare dalle interpretazioni dei traduciani le membra della legge divina che sottostavano a quell'onta, dimostrando che esse, essendo divine, erano giuste. Agostino. Con bocca offensiva chiami traduciani Cipriano, Ambrogio, Gregorio e tutti gli altri loro colleghi che confessano il peccato originale. Ma non c'è da meravigliarsi che i nuovi eretici impongano un nuovo nome ai cattolici dai quali escono: l'hanno fatto anche altri quando se ne sono ugualmente usciti. 7 - G. giustifica la lunghezza di questa sua opera Giuliano. Ma poiché tu hai proposto insistentemente, anzi hai imposto con la tua patria potestà che io replicassi al libro del trattatista " pèno ", recentemente recato al conte Valerio dall'accolito dei peccati di Agostino, Alipio, per questo motivo la risposta mi si è fatta più lunga. Agostino. Gran " péna " per te questo disputante " pèno ", e molto prima che voi nasceste fu preparato a gran " péna " della vostra eresia il " pèno " Cipriano. 8 - Insulti di G. ad A. Giuliano. Costui infatti ha dato ancora una volta del suo ingegno e della sua fede monumentali prove, che sono durissime a intendersi, difficilissime a spiegarsi, quasi orribili a udirsi, ma facilissime a confutarsi, degne di essere trafitte con la rabbia più accesa e mandate allo sterminio dell'oblio per rispetto dell'onestà. Agostino. Non giudicano come vuoi tu coloro che leggono. 9 - A. accusa G. di una nuova eresia Giuliano. Il suo primo libro dunque, l'unico che finora sia stato pubblicato prima di questo, c'incrimina di essere nuovi eretici, perché ci opponiamo all'opinione la quale, a guisa di sepolcro imbiancato, rivestito al di fuori secondo la sentenza del Vangelo d'immacolato candore, ma pieno all'interno di sporcizia e di putridume, ( Mt 23,27 ) con il pretesto di lodare il battesimo, vomita le sordidezze dei manichei e il peccato naturale per contaminare i sacramenti della Chiesa cattolica, finora puri. Agostino. Che siete nuovi eretici lo dimostra l'antica fede cattolica, che voi avete cominciato a combattere da poco tempo e che è stata predicata da illustrissimi maestri vissuti prima di noi. Non è poi necessario rispondere a tutte le tue accuse, le quali, più che accuse, sono villanie, scagliate da te con sfacciataggine spudorata e con linguaggio rivoltante non solo contro di me, ma pure contro Ambrogio, Ilario, Gregorio, Cipriano e altri celeberrimi dottori della Chiesa. 10 - Sospetti di G. sul conte Valerio Giuliano. Loda anche un personaggio potente per essersi opposto con la mole della sua dignità alle nostre petizioni, con le quali non reclamavamo nient'altro che si assegnassero giudici ad un affare tanto importante, perché gli atti risultanti surrettizi fossero piuttosto corretti che puniti da un nuovo esame, e per non averci permesso d'impetrare né tempo né luogo ad una discussione. Se quel personaggio, a cui dedica il libro, l'abbia fatto con la cattiveria che l'elogio attesta, sia lui stesso a giudicarlo. Quanto migliore tuttavia sia stata la nostra stima nei suoi riguardi lo manifesta l'inserzione onorifica del suo nome nel mio libro. Ma forse il libro di Agostino potrebbe contenere delle falsità sul suo patrono. Certo mostra fedelmente il desiderio di chi scrive: che si combatta con violenza feroce e con impotenza cieca contro la ragione, contro la fede, contro ogni santità di costumi e di dogmi. Agostino. Lungi dalle autorità cristiane dello Stato terreno dubitare dell'antica fede cattolica e offrire per questo ai suoi oppositori luogo e tempo per un esame. Piuttosto, sicure e fondate sulla fede cattolica, impongano a tali nemici della fede quali siete voi la disciplina della coercizione. Quello infatti che si fece per i donatisti lo costrinsero a fare le loro turbe violentissime, ignare di ciò che era accaduto prima e bisognose di essere informate. Dall'avere simili turbe vi tenga lontani Dio, e comunque grazie a Dio non le avete. 11 - La sporca coscienza di A. Giuliano. Ciò fatto nella prima parte del volume, è passato alla distinzione delle nozze e della concupiscenza, come aveva promesso nel titolo, e in tutto il resto dell'opera ha dato prova della sua arte e abilità. Soffocato infatti da un'ultima necessità tra la negazione delle confessioni e la confessione delle negazioni, ha messo in luce quali travagli soffrisse la sua sporca coscienza. Agostino. Insolentisci quanto puoi! Quale insolente infatti non lo può fare? 12 - Potevo tacere, ma ho scritto, perché si fa troppo tardi Giuliano. Alla sua prima opera ho risposto dunque in quattro libri con la forza ispiratami dalla verità, dopo aver doverosamente premesso che avrei tralasciato e quanto non appariva importante nei riguardi del suo dogma e quanto poteva farmi accusare come chiacchierone, se avessi inseguito tutte le questioni più stupide e vane. Benché, se mi fosse stato lecito osservare, come conveniva, questa regola di considerare non meritevoli nemmeno di confutazione le sue affermazioni apertamente sballate, sarebbero state da condannare con il disprezzo di un pubblico silenzio quasi tutte le sue invenzioni. Ma poiché, con questo affrettarsi di tutti gli eventi verso il peggio - il che è indizio che il mondo volge alla fine -, anche nella Chiesa di Dio ha preso il dominio la stoltezza e la corruzione, noi fungiamo da ambasciatori per il Cristo ( 2 Cor 5,20 ) e mettiamo virilmente tutte le nostre forze a difesa della religione cattolica, né ci dispiace di consegnare alle lettere i rimedi che abbiamo confezionati contro i veleni degli errori. Agostino. Voi siete stati partoriti dalla stoltezza e dalla corruzione, ma se la stoltezza e la corruzione avesse preso il dominio nella Chiesa, essa vi avrebbe tenuti certamente dentro di sé. 13 - Appello ai lettori Giuliano. Avevo senza dubbio dichiarato, come ho detto, che nella mia prima opera né avrei dissertato contro tutti i modi di difendere la " traduce ", né avrei replicato a tutte le affermazioni contenute in quel libro, ma avrei aggredito i punti in cui Agostino riponeva la sostanza e la forza del suo dogma. Che poi io abbia mantenuto fede a questa mia promessa lo riconoscerà chiunque legga l'una e l'altra opera, fosse anche un lettore maldisposto, purché sia soltanto un lettore diligente. Ora io, sicuro dell'onestà della mia coscienza, ed esorto e pungolo il nostro nemico perché, caso mai credesse trascurata da me qualcuna delle sue argomentazioni che egli stesso giudichi di qualche importanza, la metta in tavola e mi convinca reo di paura e di dolo. Agostino. Non credo che tu abbia reputato di nessuna importanza i punti che hai omessi; benché, anche se concedessi che tu abbia reputato così, non troverà che sia così il lettore, cattolico e intelligente, il quale, avuto tra mano quell'unico mio libro e avuti i tuoi quattro, li abbia letti diligentemente. 14 - Ho confutato tutto A. Giuliano. Certamente nell'esporre le testimonianze delle Scritture sono stato a volte più lungo e a volte più breve, ripromettendomi di farlo in modo esauriente nell'opera che seguirà. Nessuna peraltro delle argomentazioni e delle proposizioni di Agostino è rimasta qui senza confutazione; niente è stato mantenuto da me diversamente da come l'avevo promesso. Delle sue fantasticherie ho dimostrato che molte sono false, molte sono stolte, molte sono sacrileghe. Agostino. Questo, sì, lo dici, ma lo dici tu; chi legge e intende quello che legge, non lo dice, se non è pelagiano. 15 - Nessuna arroganza Giuliano. Per la quale nostra professione non dobbiamo temere d'essere accusati d'arroganza: non confessiamo infatti che la verità sia stata difesa dal mio ingegno, ma che l'insufficienza del nostro ingegno è stata aiutata dalle forze della verità. Agostino. Avresti detto eliminata la tua insufficienza, se tu avessi voluto dire il vero. 16 - A. mi accusa prima di avermi letto Giuliano. Poiché dunque risulta che tutto è stato adempiuto non diversamente da come ho detto, non finisce di stupirmi l'impudenza di un uomo che in questa sua recente opera accusa di falsità i miei libri e tuttavia dichiara che essi non gli erano venuti ancora tra le mani. È duro certamente che l'abitudine di peccare produca l'amore del peccato, ma nulla più duro di ciò che estingue il pudore; il che, sebbene risultasse dall'abitudine della malvagità, tuttavia i pericoli presenti l'hanno insegnato molto più di quanto poteva immaginare ciascuno di noi. Quando infatti avrei creduto che la fronte del Numida fosse diventata tanto dura fino al punto di confessare in una sola opera e in un solo contesto l'uno e l'altro: e che io ho detto il falso e che egli non ha letto ciò che io ho detto? Agostino. Se a farlo non sei stato tu, l'ha fatto colui che stralciò dai tuoi libri le proposizioni che pensò di dovere mandare al conte Valerio. Il che, non credendo io che l'avesse fatto mendacemente, attribuii allo scrittore quello che ho dovuto allo stralciatore. I tuoi libri appunto non li avevo letti ancora, ma i passi che costui aveva stralciati da essi li avevo letti. Se tu ti pensassi uomo, avvertendo la possibilità che ciò sia potuto accadere, non cercheresti in questa occasione una calunnia tanto odiosa per me. 17 - Stralci rivelatori Giuliano. Scrivendo infatti a Valerio e meravigliandosi che fosse studioso dei suoi libri, benché occupato dai sudori della vita militare, lo informa che gli erano state portate da Alipio alcune cartelle con questa soprascritta: Capitoli da un libro di Agostino, scritto da lui, contro i quali io ho stralciato da altri libri pochi testi. Qui vedo, continua Agostino, che colui che indirizzò alla tua Prestanza cotesti scritti li volle stralciare da non so quali libri per questa causa, per quanto ne penso io: il desiderio di una risposta più svelta che non facesse aspettare la tua istanza. Messomi poi a pensare quali siano cotesti libri, ho stimato d'individuarli in quelli che Giuliano menziona nella lettera mandata da lui a Roma e arrivata in copia nel medesimo tempo fino a me. In essa scrive appunto: Dicono pure che le nozze come si celebrano adesso non sono state istituite da Dio, e ciò si legge in un libro di Agostino, contro il quale ho risposto ora con quattro libri. E dopo tali parole Agostino conclude di nuovo per proprio conto: Da questi libri, credo, sono stati fatti cotesti stralci. Perciò sarebbe stato meglio forse che avessimo consacrato la nostra fatica a ribattere e confutare l'intera sua opera, sviluppata da lui in quattro volumi, se io pure non avessi voluto differire la mia risposta, come tu non hai differito l'invio degli scritti a cui rispondere. Qui dunque Agostino fa capire apertissimamente il suo sospetto che quegli estratti fossero stati raccolti alla rinfusa da una mia opera, ma ignorava i miei libri interi, ai quali tuttavia osa dire di aver potuto dare una risposta. Agostino. Perché non dovevo osarlo, dal momento che non dovevo certamente dubitare che tu in quei libri avevi detto delle falsità? Contro la verità infatti non potresti dire nient'altro che falsità. Né il mio animo mi ha ingannato: quei tuoi libri infatti li ho trovati poi, a leggerli, tali e quali avevo presentito che fossero prima di leggerli. 18 - Una lettera di G. a Roma Giuliano. Accenna pure ad una lettera che dice indirizzata da me a Roma, ma dalle sue parole non siamo riusciti a capire di quale scritto parli. Mandai, sì, su tali questioni, due lettere a Zosimo, vescovo allora di quella città, ma in un tempo in cui non avevo ancora iniziato i libri. Agostino. Questa lettera non era per Zosimo, ma per sedurre coloro che a Roma potessero essere sedotti da tale suasione. Ma se non la riconosci, ecco, non sia tua. Magari non fossero tuoi nemmeno quei libri, ma fossero alieni da te, perché per essi non diventassi tu alieno dalla verità. 19 - G. accusa A. di leggerezza e di presunzione Giuliano. Ma si valga pure dell'indicazione della lettera, dalla quale apprese o finse che io con quattro volumi avessi sviluppato la risposta contro i nuovi manichei, giacché disdegna di riconoscersi nei vecchi. Perché dunque non si curò di apprendere le nostre obiezioni? Perché non si premurò di riconoscere con chi si sarebbe scontrato, ma, spinto da una leggerezza molto riprovevole, si buttò in una lotta della massima importanza con gli occhi bendati come un andàbata? Se ne giustifica dicendo d'aver voluto imitare con una risposta precipitosa la fretta del suo patrono nello spedirgli le schede. Come se non avesse potuto reclamare onestissimamente che gli fosse concesso del tempo per arrivare a leggere l'opera quando fosse stata pubblicata. È disonesto tra persone erudite mancare di ponderatezza nello scrivere e metterti a combattere contro ciò che non conosci per impazienza nel deliberare. Aggiungi che costui, mentre stava per muoverci l'accusa d'aver decurtato furbescamente i suoi testi, prestava fede a quegli estratti che sembrano messi insieme più verosimilmente dalla sua falsità e malignità che non dalla sprovveduta semplicità di qualcuno dei nostri. Ma questo, per qualsiasi animo e per opera di qualsiasi autore sia accaduto, giova tuttavia a noi in due modi: perché ha palesato ad un tempo e quanta leggerezza e quanta stoltezza si trovi in questo nemico della verità, il quale si è convinto di non poter tacere anche quando non avrebbe dovuto parlare e per poche sentenze incomplete, stralciate più che aggregate tra loro, e per giunta solo da un primo mio libro, è crollato così con le ossa rotte fino al punto da mobilitare contro di noi il risentimento del volgo con strilli davvero femminei. Il che apparirà meglio negli sviluppi della nostra discussione. Agostino. Perché ti adiri con me che i tuoi libri mi siano potuti arrivare troppo tardi o che nel ricercarli non sia riuscito a trovarli celermente? Comunque riguardo al contenuto della cartella mandatami, di chiunque fosse e quale che fosse, perché non apparisse uno scritto invincibile, io potevo e dovevo assolutamente esaminarlo con occhi tutti aperti e non bendati, e confutarlo senza indugi. Anche se non avessi mai potuto trovare i tuoi libri, era necessario che le proposizioni sembrate importanti a chi credette di doverle mandare a un così grosso personaggio, fossero confutate da me, per quanto potevo, perché nessuno rimanesse ingannato dalla loro lettura. Non mi obietteresti dunque quello che mi obietti, se non fossi tu piuttosto a parlare così, ad occhi certamente chiusi, per non dire spenti. In nessun modo poi diresti che noi mobilitiamo il risentimento del volgo contro di voi, se tu non ignorassi che alle masse cristiane di ambo i sessi non è nascosta la fede cattolica, che tenti di sovvertire. 20 - Soltanto i punti capitali Giuliano. Tuttavia avverto che anche qui, come abbiamo fatto nell'opera precedente, non riferirò tutte assolutamente le parole di Agostino, ma quei punti capitali che, una volta distrutti, trascinano nella rovina l'opinione del male naturale. Agostino. I punti omessi da te saranno forse raccolti da noi o da altri, perché apparisca per quale ragione tu li abbia omessi. 21 - G. non ha troncato i testi di A., questi invece i testi di G., senza confutarli Giuliano. Sebbene questo risulti pienamente ottenuto con la prima opera, tuttavia, poiché egli si è proposto ora di confutare alcune proposizioni di un solo mio libro e mi accusa, come ho già detto, di aver troncato in gran parte i suoi testi nel riferirli, dimostrerò prima che quanto egli riprende e non è stato fatto da me ed è stato fatto da lui sfacciatamente, ripetutamente, in questa medesima opera. Poi proverò che alle stesse sentenze, concise e brevi che frammischia dai miei libri pubblicati contro di lui, ha tanto poco saputo opporre solide risposte che quelle mie verità rimangono illese e costui arriva a dare insegnamenti ancora più chiaramente detestabili di quanto la nostra eloquenza aveva faticato a mettere in evidenza. Agostino. A questo ho già risposto sopra. 22 - Omissioni di G. nel riferire il pensiero di A. Giuliano. Attoniti dunque, ascoltiamo che cosa abbia scritto contro di me. Dice: Dal mio libro, che ho mandato a te e che ti è notissimo, ha preso questi punti e ha cercato di confutarli: " Vanno gridando astiosissimamente che noi condanniamo le nozze e l'opera divina con la quale Dio crea gli uomini da maschi e femmine, per il fatto che diciamo che quanti nascono da tale unione contraggono il peccato originale, e, quali che siano i genitori da cui nascono, non neghiamo che coloro che nascono siano ancora sotto il diavolo, se non rinascono nel Cristo ". Nel riferire queste mie parole costui ha omesso la testimonianza dell'Apostolo, che è stata da me interposta e dalla cui grande mole costui si sentiva schiacciato. Io infatti, dopo aver detto che i nati contraggono il peccato originale, ho aggiunto: " Di quel peccato l'Apostolo scrive: "A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui" ". ( Rm 5,12 ) Omesso, come abbiamo detto, questo testo, costui ha messo insieme tutte le altre proposizioni ricordate sopra. Egli sa infatti in quale senso il cuore dei fedeli cattolici sia solito intendere queste parole apostoliche omesse da lui e che, sebbene così schiette e fulgide di luce, i nuovi eretici tentano di oscurare e di corrompere con interpretazioni tenebrose e tortuose. Poi ha inserito le altre mie parole, dove ho detto: " Né si accorgono che, come non si può scusare il male degli adultèri e delle fornicazioni con il bene naturale che nasce da lì, così non si può accusare il bene delle nozze per il male originale che se ne contrae. Infatti, come è opera del diavolo il peccato, da qualsiasi parte lo contraggano i bambini, così è opera di Dio l'uomo, da chiunque nasca ". Anche qui ha omesso quei punti nei quali ha temuto di farsi sentire dagli orecchi dei cattolici. Infatti, prima di arrivare a quelle parole, più sopra era stato detto da noi così: " Perché dunque noi diciamo questa verità che è contenuta nell'antichissima e fermissima regola della fede cattolica, cotesti assertori di un dogma novello e perverso, i quali negano la presenza nei bambini d'ogni traccia di peccato da lavare con il lavacro della rigenerazione, per mancanza di fede o per mancanza di conoscenza ci calunniano come se condannassimo le nozze e come se dicessimo opera del diavolo l'opera di Dio, cioè l'uomo che nasce dalle nozze ". Omesso dunque questo nostro brano, seguono le nostre parole riferite da lui, come è stato scritto qui sopra. Fin quando persisterai, parlando così, nell'ingannare la semplicità degli animi religiosi e degli animi ignari? Fino a quale confine si protenderà la tua sconfinata impudenza? Per nulla, nello scrivere tali errori, hai avvertito la censura dei dotti, per nulla la paura del futuro giudizio, per nulla gli stessi documenti monumentali delle Lettere? Non vedi che la tua fallacia è già stata scoperta ed è tenuta prigioniera? Che cosa tu abbia scritto nella tua prima opera e che cosa nella seconda chi dei nostri pensi che lo ignori? Ho sentito infatti proprio il gusto e la convenienza di apostrofarti nei termini stessi con i quali l'eloquente console si scagliò contro un parricida pubblico. Agostino. Fai bene a indicarci, caso mai non ce ne fossimo accorti, che hai preso e applicato queste parole dalle invettive di Cicerone, ma noi non temiamo Giuliano quando lo vediamo diventato tulliano, anzi piuttosto ci doliamo che sia diventato insano quando vediamo che ha perduto il senso cristiano. Che cosa infatti più insano di negare ai bambini come medico il Cristo, dicendo che in essi non c'è la malattia che egli è venuto a sanare? Cicerone, inveendo contro un parricida della patria, difendeva la città che il suo re Romolo aveva fondata raggruppando peccatori da ogni parte; tu invece, nei riguardi di tanti bambini che muoiono senza il sacro battesimo, e gridi che non hanno nessun peccato e non permetti che entrino nella Città del Re ad immagine del quale sono stati creati. 23 - Reciproche accuse Giuliano. Fingi che io abbia tralasciato una testimonianza dell'Apostolo, la quale né può giovare a te, né è stata saltata da me, ma inserita nell'ordine stesso che tu le avevi dato e, come ricordata fedelmente nel primo libro, così commentata nel quarto, benché di corsa e brevemente. Non ho trascurato nemmeno di ricordare la Chiesa cattolica, che tu avevi ricordata con questo preciso scopo: che gli ingannati da te abbandonassero la fede cattolica e godessero, miserabili, della denominazione cattolica. E per quanto in quelle tue parole non ci fosse nessuna forza di argomentazione, da me tuttavia il senso capitale delle tue proposizioni non è stato proposto diversamente da come era stato disposto da te. Leggi i miei libri già pubblicati e osservando la fedele sincerità della mia risposta, che tu accusi di frode, dichiara subito che io dico la verità; ma quanto a te, se la tua abitudine te lo permette, arrossisci. Ma ora che ti ho dimostrato reo di inescusabile falsità, che, sempre turpe, diventa tuttavia più turpe ancora quando si arrampica sulla poltrona del censore e appioppa all'onestà altrui la propria deformità, rispondi: che cosa apportano alle sentenze dei manichei o il nome della Chiesa o le parole dell'Apostolo da accusarne l'omissione con risentimento tanto grande? Agostino. Ho già risposto più sopra a questa tua calunnia con la quale mi rinfacci il falso per non aver riferito integralmente le tue parole. Ma ciò che ha fatto quell'estrattore non me lo attribuiresti così volentieri, se tu non volessi essere corruttore di coloro che leggono questi tuoi scritti. 24 - G. ascrive ogni peccato alla volontà cattiva, non alla natura cattiva Giuliano. Questa è la grandissima differenza che c'è sempre stata tra i manichei e i cattolici, questo è il confine di vastissima dimensione che separa tra loro i dogmi delle persone pie e i dogmi delle persone empie, anzi questa è l'enorme montagna che divide le nostre sentenze quasi con l'altezza del cielo sulla terra: noi ascriviamo ogni peccato alla volontà cattiva, i manichei invece alla natura cattiva. I quali manichei, seguendo errori diversi, che sgorgano però dalla polla di cotesta sorgente, giungono per fatale conseguenza a pratiche sacrileghe e criminose; come al contrario i cattolici, movendo con una buona partenza e favoriti dal procedere su buone strade, sono portati al grado supremo della religione, che ragione e pietà presidiano. Tu dunque, tentando di asserire il male naturale, hai usurpato con intento profano, ma con risultato nullo, la testimonianza dell'Apostolo, riguardo al quale io dimostro che non ha ritenuto nulla della sentenza che tu cerchi di dare ad intendere, con questo medesimo argomento di prescrizione: in modi contraddittori tra loro tu e lo riconosci cattolico e stimi che le sue parole suffraghino Manicheo. Agostino. Se tu pensassi con cuore cristiano quali maestri cattolici asserisci suffragatori di Manicheo, maestri che nelle parole dell'Apostolo hanno inteso che i bambini contraggano il peccato originale, maestri che non lodano come sana, alla vostra maniera insana, la natura, ma le hanno piuttosto applicato la medicina cristiana per farla ritornare sana; se, dico, tu ci pensassi con cuore cristiano, ti vergogneresti, tremeresti, ammutoliresti. 25 - Tutte le eresie si appoggiano alle Sacre Scritture Giuliano. Non hanno fatto forse lo stesso, per tradizione del loro eresiarca, Adimanto e Fausto - del quale parli come di un tuo precettore nei libri delle tue Confessioni - rubando e tagliando o dai Vangeli o dalle Lettere degli Apostoli le sentenze più oscure per patrocinare con l'autorità dei nomi un dogma sacrilego? Quantunque, perché parlo dei manichei? Tutte assolutamente le eresie arginano con frasi e con sentenze delle Scritture le proprie invenzioni, con le quali sono uscite dall'orbita della pietà e della fede. Agostino. Costoro hanno tentato di volgere a favore del loro dogma sentenze oscure, voi con il vostro stesso dogma cercate di oscurare sentenze aperte. Che cosa infatti più aperto di quello che dice l'Apostolo: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e con il peccato la morte, e così ha raggiunto tutti gli uomini? ( Rm 5,12 ) La quale verità se il medesimo Apostolo fosse costretto a provare, porterebbe a testimonianza la stessa miseria del genere umano, che comincia dai vagiti dei bambini e arriva fino ai gemiti dei decrepiti. In nessun modo infatti una miseria così grave s'infliggerebbe sotto la cura dell'Onnipotente e del Giusto alla natura umana, se nei due progenitori non venisse cacciata fuori tutta quanta dalla felicità del paradiso in questa infelicità per il merito del peccato. 26 - Ma le Scritture rimangono fuori Giuliano. Ci sarà quindi forse per questo un dilemma: o si dimostreranno i Libri sacri autori di errori o la dignità delle Scritture espierà i crimini di quanti si perdono? Agostino. Questo ditelo per voi. 27 - Dio è giusto Giuliano. Si estingua dunque la libidine di commenti indisciplinati. Si creda che le parole non fanno nulla contro la manifesta giustizia di Dio. Le quali parole se sono di persone cui si deve venerazione, si difendano con spiegazioni conformi all'equità divina. Se sono invece parole proferite da un autore che non è da temere, si respingano anche senza spiegarle. Adesso dunque si discute del giusto giudizio di Dio, del quale si afferma: È un Dio verace e senza malizia; è giusto e retto il Signore Dio. ( Dt 32,4 ) E ancora: Giusto è il Signore, ama le cose giuste; il suo sguardo si posa sulla equità. ( Sal 11,8 ) E ancora: Sono giusti tutti i tuoi comandamenti. ( Sal 119,172 ) Innumerevoli sono i luoghi che nei sacri Volumi esaltano l'equità divina, della quale del resto non ha mai dubitato nessuno né dei pagani né degli eretici, eccettuati i manichei e i traduciani. Agostino. Da questa equità viene sui figli di Adamo dal giorno in cui escono dal seno materno un giogo pesante, ( Sir 40,1 ) la cui assoluta iniquità asserisce chi nega il peccato originale. 28 - Dio è necessariamente giusto Giuliano. È tanto insita infatti universalmente in tutti per dettato di natura la convinzione della giustizia di Dio da non essere dio chi non risulti non essere giusto. Quindi anche un uomo può essere giusto, ma Dio non può essere che giusto. Agostino. Dillo per te. 29 - Dio giudica giustissimamente Giuliano. Il quale Dio, essendo quest'unico vero Dio a cui noi crediamo e che veneriamo nella Trinità, è indubbiamente giustissimo verso tutti nel suo modo di giudicare. Agostino. Dillo per te e dimostra come sia giusto che nasca con tanto manifesta miseria o per tanto manifesta miseria chi non contrae il peccato originale. 30 - L'ingiustizia annullerebbe Dio Giuliano. Non si può pertanto dalle leggi di Dio provare e giustificare ciò che risulta ingiusto, tanto che, se fosse possibile, verrebbe a mancare tutta l'autenticità della sua divinità. Dimostrerà quindi che dalle sante Scritture ha conferma il dogma dell'ingiustizia chi potrà provare che possa essere privata della gloria della divinità la Trinità a cui crediamo. Agostino. Tu dici il vero, ma ditelo per voi che tramate di rapire al Cristo la gloria con la quale risana i piccoli. 31 - Inconciliabilità tra Dio e il peccato naturale Giuliano. Poiché ciò non lo sostiene nessuna ragione e nessuna pietà, una delle due: o insegna la possibilità e la giustizia che si imputi a chicchessia il peccato naturale o ritirati dalla contaminazione delle sante Scritture, dalle cui sentenze stimi sancito ciò che sei costretto a confessare iniquo. Agostino. Sbagliate: voi piuttosto siete costretti a confessare iniquo il grave giogo che grava sui bambini, se essi, come non hanno nessun peccato proprio, così non contraggono nessun peccato originale. 32 - A. peggiore di Manicheo Giuliano. Se non prenderai né l'una né l'altra decisione e asserisci di credere a questo Dio, dalle cui istituzioni stimi protetta l'ingiustizia, sappi che sei un nuovo Manicheo molto peggiore dell'antico, avendo tu un tale Dio quale era quello che Manicheo ha descritto come nemico del suo Dio. Agostino. Voi infierite contro i bambini peggio dei manichei. Questi appunto vogliono che sia sanata nel piccolo per mezzo del Cristo almeno l'anima, che reputano una particella di Dio; voi al contrario, dicendo che il bambino non ha nessun male né nell'anima né nella carne, non permettete che venga sanato dal Cristo in nessuna parte. E voi, egregi predicatori, predicate così Gesù da negare che sia Gesù dei bambini. Donde infatti abbia ricevuto questo nome leggetelo nel Vangelo ( Mt 1,21 ) e non vogliate rinnegare il Salvatore impedendogli di salvare i piccoli. 33 - Roba da donne plebee Giuliano. Quali ambiguità dunque, quali cuscini di bugie e di sciocchezze, come quelle che il profeta Ezechiele rinfaccia a Gerusalemme, rea di fornicazione, ( Ez 13,18 ) accosterai a me qui, perché vi riposino anime effeminate le quali, dopo aver mancato contro la divinità stessa per manifesto sacrilegio, conservano i nomi dei misteri? Rimossi tutti i giuochi di prestigio, rimosse le caterve di donne plebee da te spesso invocate a tuo patrocinio, insegna che è giusto ciò che t'industri d'affermare per mezzo delle Scritture sante. Agostino. Le caterve di donne plebee che tu irridi conoscono la fede cattolica così da confessare che il Salvatore salva i bambini, e per questo detestano l'errore dei pelagiani che lo negano. 34 - Non andiamo troppo per le lunghe! Giuliano. Perché dunque il discorso non dilaghi in infiniti volumi, si distingua qui e subito il genere, la specie, la differenza, il modo, la qualità delle cose di cui stiamo trattando, anzi ancora più sollecitamente si dica se ci siano, donde siano, dove siano, che cosa meritino e da chi. In questo modo non si vagherà a lungo per gli anfratti delle discussioni e apparirà certo ciò che è da ritenere. Agostino. Per questo è che contro un solo mio libro ne hai scritti otto: non hai voluto discutere a lungo con i tuoi compendi dialettici! 35 - Definizione della giustizia Giuliano. Il discorso si aggira dunque ora attorno al Creatore e alla creatura, cioè attorno a Dio e all'uomo: Dio giudica, l'uomo è giudicato. Vediamo perciò quale sia la natura della giustizia e della colpa. La giustizia, e come suole esser definita e come la possiamo intendere noi, è la virtù massima tra tutte le virtù - se gli stoici ci consentono di preferire una virtù ad un'altra -, che ha il compito di rendere diligentemente a ciascuno il suo senza frode, senza grazia. Agostino. Dimmi dunque per quale giustizia sia stato retribuito ai bambini il grave giogo di una miseria tanto grande e tanto manifesta; dimmi per quale giustizia un bambino sia adottato nel battesimo e un altro muoia senza questa adozione; per quale ragione non sia comune ad ambedue cotesto onore o l'esclusione da cotesto onore, essendo comune a loro la causa, sia buona che cattiva. Non lo dici, perché tu uomo più pelagiano che cristiano non t'intendi né della grazia di Dio né della giustizia di Dio. 36 - La quadrua "giogalità": prudenza, giustizia, fortezza, temperanza Giuliano. Che se Zenone non mi consentirà di chiamare virtù massima la giustizia, perché egli sostiene tra le virtù tale unione e unità da dire che dove ce n'è una sola ci sono tutte e dove ne manca una sola mancano tutte, e virtù vera è la virtù perfetta che si ottiene con questa quadrupla giogalità, anche in questo caso egli ci sarà di moltissimo aiuto con l'insegnarci che né la prudenza, né la fortezza, né la temperanza possono definirsi senza la giustizia. Secondo la quale verità pure l'Ecclesiaste dichiara: Uno sbaglio solo annienta un grande bene. ( Qo 9,18 ) Agostino. Ascolta il medesimo Ecclesiaste che dice: Vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole, ( Qo 1,2-3 ) eccetera? E dimmi anche perché l'uomo sia diventato simile alla vanità, ( Sal 144,4 ) lui che è stato fatto simile alla Verità. O forse ne eccettui i bambini, nei quali vediamo, con il crescere e con il migliorare, se vengono educati bene, decrescere la vanità così grande con la quale sono nati, senza liberarsene totalmente se non quando tutti i giorni della vanità siano passati come un'ombra? ( Sal 144,4 ) 37 - L'origine della giustizia Giuliano. Quindi questa augusta virtù, calcolatrice dei meriti di ciascuno, brilla, sì, ma a sprazzi, nelle opere della immagine di Dio, cioè dell'anima umana, secondo la limitatezza della stessa creatura e secondo le sue forze, e invece in Dio stesso, che è il creatore di tutte le cose che vengono dal nulla, rifulge con immenso e chiaro giro in eterno. L'origine della giustizia è la divinità, l'età della giustizia è l'eternità, e l'eternità ignara per ogni verso sia di finire sia d'aver cominciato. Come dunque il genere della giustizia - con il quale nome di genere nient'altro voglio intendere che l'origine - è Dio, così la specie della giustizia apparisce nella promulgazione delle leggi e negli effetti dei giudizi. Agostino. Se l'origine della giustizia è Dio, come confessi, per quale ragione non confessi che è da Dio che viene data all'uomo la giustizia e vuoi che la giustizia sia arbitrio della volontà umana piuttosto che dono di Dio, così da essere tu nel numero di coloro dei quali è detto: Ignorando la giustizia da Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio? ( Rm 10,3 ) Arrossite una buona volta, vi prego, e implorate la giustizia da Dio, che è l'origine della giustizia, come siete stati costretti a confessare. 38 - Differenza, modo, qualità della giustizia Giuliano. Nella differenza poi della giustizia possiamo intendere non irragionevolmente la sua diversa applicazione secondo l'opportunità dei tempi. Per esempio nel Vecchio Testamento si comandava di offrire animali in sacrificio. Farlo apparteneva allora al rispetto della legge, ora al contrario serve all'autorità della giustizia il comando di evitarli, come allora serviva il comando di offrirli. Il modo poi o lo stato della giustizia consiste o nel fatto che non impone a nessuno più di quello che comportano le sue forze o nel fatto che non reprime la misericordia. Per qualità della giustizia s'intende invece il dolce sapore che la giustizia ha per le anime pie. Indubbiamente dunque esiste la giustizia, senza la quale non esiste la divinità, e se non esistesse la giustizia, non esisterebbe Dio; ma Dio esiste e perciò esiste senza dubbio la giustizia. Altro poi non è che la virtù capace di contenere tutto e di rendere a ciascuno il suo senza frode, senza grazia. Ma la giustizia si trova massimamente nel profondo della divinità. Agostino. Hai definito la giustizia la virtù capace di contenere tutto e di rendere a ciascuno il suo senza frode, senza grazia. Per questo vediamo che essa corrispose senza frode il denaro a coloro che avevano lavorato tutto il giorno nell'opera della vigna: questo era piaciuto ad essi, questo aveva convenuto il padrone, per questa mercede non potevano negare d'essere stati ingaggiati. ( Mt 20,1-10 ) Ma dimmi, ti prego, a coloro che in quell'opera furono occupati un'ora soltanto come diede altrettanto senza grazia? O forse aveva perduto la giustizia? Frènati dunque piuttosto! La giustizia divina appunto non froda nessuno, ma la grazia divina dona molti benefici senza che siano meritati. Quanto poi alla ragione per cui doni a chi in un modo e a chi in un altro, vedi quello che tu aggiungi di seguito. Dici appunto benissimo che la giustizia si trova massimamente nel profondo della divinità. In tale profondo sta la spiegazione che non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia. ( Rm 9,16 ) In tale profondo sta il segreto perché quel bambino è onorevolmente adottato per mezzo del lavacro della rigenerazione e l'altro è lasciato alla ignominia di non essere ammesso al Regno, pur mancando da parte dell'arbitrio della volontà il merito d'ambedue per l'una sorte e per l'altra. 39 - Miseria e misericordia Giuliano. La giustizia poi merita la testimonianza, come dal suo autore, così pure e dai buoni e dai cattivi, per il diritto che ha di beneficare i buoni e di condannare i cattivi. Quando però la giustizia consente per sua natura alla misericordia d'essere liberale verso coloro che non meritano nulla né di bene né di male, non ne rimane offesa in nessun modo, perché anche il fatto che Dio sia clemente verso la sua creatura, se nulla lo costringe alla severità, è una grande dimensione della giustizia. Agostino. Considera almeno il nome di misericordia e vedi da dove sia stata chiamata così. Che bisogno c'è dunque di misericordia dove non c'è nessuna miseria? Ora, se dite che nei bambini non esiste nessuna miseria, venite a negare che verso di essi si debba mostrare misericordia; se dite che c'è qualche miseria, indicate in essi un merito cattivo. Infatti sotto un Dio giusto nessuno può essere misero senza meritarlo. Ecco, due bambini dormono: uno di essi spira battezzato, l'altro spira non battezzato. Con quale di essi dici che Dio è stato clemente? Se con uno solo, indica il merito cattivo dell'altro tu che neghi l'esistenza del peccato originale. Se con ambedue, indica un qualsiasi merito buono nel battezzato tu che neghi la grazia, non essendo qui di mezzo nessuna preferenza di persone, e dimmi anche, se puoi, perché non abbia voluto adottarli entrambi Dio, che certamente li ha creati entrambi a sua immagine. O forse Dio è giusto così da non essere onnipotente, se ha voluto e non ha potuto? Qui è sicuro che a nessuno dei due bambini mancò la volontà, perché non attribuiate al merito della volontà umana l'impedimento della potenza divina; in questo caso certamente a nessuno dei due Dio può dire: Io ho voluto e tu non hai voluto. O se un infante non vuole perché piange quando si battezza, allora si abbandonino ambedue, perché ambedue piangendo mostrano di non volere. E tuttavia l'uno è preso e l'altro è abbandonato, perché è grande la grazia di Dio ed è verace la giustizia di Dio. Ma per quale ragione l'uno piuttosto che l'altro? È un segreto degli imperscrutabili giudizi di Dio. ( Rm 11,33 ) 40 - Giustizia e compassione Giuliano. Gli uomini infatti, che Dio ha creati perché ha voluto, nemmeno li condanna se non è disprezzato da essi. Se Dio, non disprezzato dagli uomini, li fa migliori con la consacrazione del battesimo, egli da una parte non patisce nessun detrimento di giustizia e dall'altra si adorna della munificenza della compassione. Agostino. Se Dio condanna solo dopo che è stato disprezzato, dimmi che Dio disprezza la sua immagine solo dopo essere stato disprezzato da lei. Se non osi dirlo, dimmi perché mai Dio disprezzi quei bambini che non adotta e dai quali non lo troverai disprezzato se non li trovi presenti in Adamo, dove troverai ad un tempo che tutti dovrebbero essere disprezzati per giustizia, ma che non tutti sono disprezzati per ineffabile e imperscrutabile grazia. 41 - I deboli scelti da Dio Giuliano. Dopo aver dunque spiegato le precedenti distinzioni sulla giustizia, discutiamo quale sia la definizione del peccato. Ciò che cerchiamo mi è offerto in verità abbondantemente dagli scritti tanto dei filosofi, quanto di coloro che sono stati cattolici. Ma temo che tu contesti e che, se io convocherò il senato dei filosofi, tu accenda subito contro di noi i seggiolai e ogni sorta di popolino. Agostino. Sei oltraggioso verso i deboli del mondo che Dio ha scelti per confondere i forti. ( 1 Cor 1,27 ) I deboli stessi confondono del resto coloro che confidano nella propria forza. ( Sal 49,7 ) E qui che dirò: Siete voi? Mentre io taccio in modo assoluto, voi apparite, perché non tacete. 42 - G. o bugiardo o sfacciato Giuliano. Vociferando con le femmine, con tutti i portatori, con i tribuni, per mezzo dei quali il tuo collega Alipio recò da poco tempo ottanta o più cavalli carichi di tutta l'Africa. Agostino. Tu o calunni o non sai quello che dici, e perciò parli così o da bugiardo o da sfacciato. Chi più malvagio di te, se ti sei inventato da te tutto questo? Chi più stolto di te, se hai creduto a coloro che l'hanno inventato? Ma che tu l'abbia osato anche scrivere, né ti abbia preso il timore che i tuoi libri giungessero in quei luoghi che accolsero il mio collega Alipio dove passò o arrivò per terra e per mare e dove non si possono leggere le tue fandonie senza irriderti o peggio senza detestarti, a quale non dico impudenza, ma demenza, è pari? 43 - A. non disprezza i dotti Giuliano. Tu non ti arrendi per nulla alle sentenze degli eruditi per aggiungere, come conviene al tuo modo d'intendere, l'affermazione dell'Apostolo che Dio ha dimostrata stolta la sapienza di questo mondo. ( 1 Cor 1,20 ) Quanto ai nostri scrittori, possono essere disprezzati da te senza timore, perché non riconosci ad essi nessuna autorità. Agostino. Sei tu che li disprezzi, perché al loro insegnamento sulla esistenza del peccato originale ti opponi tanto da incriminarli per giunta come manichei, facendo il nome mio e indicando costoro. 44 - Una definizione agostiniana del peccato Giuliano. E allora? Mi arrenderò completamente a te e a questo punto rinunzierò a tutti quelli che mi potrebbero aiutare, contentandomi della definizione che a indizio della bontà della natura è sfuggita dalla bocca della tua Onestà, dopo che ti sei separato dai manichei. Nel libro dunque che ha per titolo Le due anime o Contro le due anime parli così: Aspetta, lascia che prima definiamo il peccato. Il peccato è la volontà di commettere o di continuare ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi. Per quanto, se non è libero, non si può nemmeno dire che sia volontà; ma ho preferito una definizione più grossolana ad un'altra più scrupolosa. Agostino. Qui è stato definito il peccato che è solamente peccato e non quello che è anche pena del peccato. Quando si cercava l'origine del male, si doveva trattare appunto di quel peccato che fu commesso dal primo uomo prima d'ogni male dell'uomo. Ma tu o non puoi intendere o non vuoi. 45 - È oro questa definizione di A. Giuliano. O lucente oro nello sterco! Che cosa di più vero, che cosa di più completo avrebbe potuto dire qualsiasi ortodosso? Tu affermi: Il peccato è la volontà di commettere o di continuare ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi. Lo dimostra l'Ecclesiastico dicendo: Dio da principio creò l'uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio volere. Pose dinanzi a lui la vita e la morte, l'acqua e il fuoco; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. ( Sir 15,14.17-18 ) E per mezzo di Isaia dice Dio: Se sarete docili e mi ascolterete, mangerete i frutti della terra. Ma se vi ostinate e non mi ascolterete, sarete divorati dalla spada. ( Is 1,19-20 ) E l'Apostolo: Ritornate in voi come conviene, e non peccate. ( 1 Cor 15,34 ) E altrove: Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. ( Gal 6,7-8 ) Agostino. Queste testimonianze valgono per la volontà con la quale ciascuno fa quello che vuole, perché tale volontà, se non si ha, si chieda a Colui che opera in noi anche il volere; ( Fil 2,13 ) se invece si ha, si compiano le opere della giustizia e si rendano grazie a Colui che ha suscitato tale volontà. 46 - La volontà è il motore Giuliano. La volontà è dunque il motore dell'animo che ha in suo diritto o di decorrere a sinistra per azioni deplorevoli o di tendere a destra per azioni eccelse. Agostino. Perché allora è scritto: Non deviare né a destra né a sinistra? ( Pr 4,27 ) 47 - Origine, specie, differenza, modo, qualità del peccato Giuliano. Motore però dell'animo di colui che per l'età può usare già del giudizio della ragione e al quale, quando gli si mostra la punizione e la gloria o per il verso opposto il comodo e la voluttà, si offre un aiuto e, per così dire, un'opportunità, non si impone la necessità di un'alternativa. Questa volontà dunque che sceglie alternativamente ha nel libero arbitrio l'origine della sua possibilità, ma riceve da sé l'esistenza dello stesso agire, né c'è volontà in nessun modo prima che voglia, né può volere prima di poter anche non volere, né ha le due scelte, cioè il volere e il non volere, nella parte del peccato, prima che acquisti l'uso di ragione. Messi insieme questi elementi, apparisce verissima la tua definizione: Il peccato è la volontà di continuare o di commettere ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi. Ordunque risulta che questo peccato, del quale si è messo in chiaro che non è nulla al di fuori della volontà, ha ricevuto il suo genere, ossia la sua stessa origine, dall'appetito proprio della persona. La specie del peccato si trova immediatamente in ciascuno di coloro che si dicono individui ( atomi ). La differenza poi sta e nella varietà delle colpe e nelle modalità dei tempi. Il modo del peccato è la stessa mancanza di modo ( misura ): perché, se il modo consiste nel servire chi devi servire, colui che trascura questo dovere pecca per trasgressione del modo vero. Qui tuttavia si potrebbe dire con sottigliezza che il modo del peccato sta nel fatto che nessuno manca più di quanto può; se infatti si pecca al di là delle forze si pecca con volontà inefficace e questo stesso peccato ha potuto essere fatto solo con la volontà. La qualità poi del peccato è quella che manifesta l'amarezza che il vizio veicola con sé o per sconvenienza o per sofferenza. Esiste dunque il peccato; perché, se non esistesse, nemmeno tu andresti dietro agli errori. Ma il peccato non è altro che la volontà deviante dal sentiero sul quale si deve mantenere e dal quale è libero non deflettere. Il peccato poi viene dall'appetito di comportamenti non concessi, e non si trova altrove che in quella persona la quale ed ebbe la volontà cattiva e poté non averla. Agostino. È proprio ad Adamo che guardava quella nostra definizione che ti è piaciuta, quando dicevo: Il peccato è la volontà di conservare o di conseguire ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi. Adamo appunto, quando peccò, non aveva dentro di sé assolutamente nessun male che lo urgesse contro la sua volontà ad operare il male e per cui potesse dire: Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio, ( Rm 7,19 ) e quindi peccando egli fece ciò che la giustizia vietava e da cui gli sarebbe stato libero astenersi. Infatti per colui che dice: Io compio il male che non voglio non è libero astenersene. E perciò, se distingui queste tre realtà e sai che altro è il peccato, altro è la pena del peccato, altro le due realtà insieme, cioè un tal peccato che sia per se stesso anche pena del peccato, allora capisci quale delle tre realtà convenga a quella definizione, dove il peccato è la volontà di fare ciò che la giustizia vieta e da cui sarebbe libero astenersi. In questo modo infatti è stato definito il peccato, non la pena del peccato, non l'insieme delle due realtà. Hanno poi questi generi anche le loro specie, delle quali sarebbe lungo ora discutere. Certo, se si cercano esempi di questi tre generi, ci si fa incontro in Adamo senza nessun nodo di controversia l'esempio del primo genere. Molti sono appunto i mali che gli uomini fanno e dai quali sarebbe per loro libero astenersi, ma per nessuno è tanto libero quanto lo era per Adamo, che davanti al suo Dio, dal quale era stato creato retto, stava assolutamente puro da qualsiasi vizio. Un esempio del secondo genere, dove c'è soltanto la pena del peccato, si ha nel male dove non si agisce sotto nessun aspetto, ma solamente si patisce, come quando chi ha peccato è ucciso per il suo delitto o è colpito da qualche altra pena corporale. Invece il terzo genere dove lo stesso peccato è anche pena del peccato si può cogliere in colui che dice: Io compio il male che non voglio. A questo terzo genere appartengono anche tutte le cattive azioni che si fanno per ignoranza, credendole non cattive o perfino credendole buone. Infatti la cecità del cuore, se non fosse un peccato, si rimprovererebbe ingiustamente e invece si rimprovera giustamente dove si dice: Fariseo cieco! ( Mt 23,26 ) e in tantissimi altri passi della parola di Dio. E per altro, se la medesima cecità non fosse pena del peccato, non si direbbe: La loro malizia li ha accecati. ( Sap 2,21 ) E se questo non venisse da un giudizio di Dio, non leggeremmo: Si offuschino i loro occhi perché non vedano, sfibra per sempre i loro fianchi. ( Sal 69,24 ) Ora, chi è cieco nel cuore per sua volontà, quando nessuno vuol essere cieco nemmeno nel corpo? Perciò il peccato originale non appartiene né al peccato che abbiamo messo al primo posto, dove il peccato è la volontà di operare il male da cui è libero astenersi: altrimenti il peccato originale non si troverebbe nei bambini che non hanno ancora l'uso dell'arbitrio della volontà; né il peccato originale appartiene alla pena del peccato che abbiamo ricordata al secondo posto: ora infatti trattiamo del peccato e non della pena, che non è peccato, benché segua per merito del peccato. La qual pena la patiscono, è vero, anche i bambini, perché c'è in loro un corpo morto per il peccato; ( Rm 8,10 ) tuttavia non è peccato la stessa morte del corpo o qualsiasi altra sofferenza corporale. Ma appartiene il peccato originale a questo terzo genere, dove il peccato è tale peccato da essere per se stesso anche pena del peccato. Il qual peccato originale è già presente, sì, nei bambini quando nascono, ma comincia ad apparire in essi quando crescono e diventa necessaria a loro la sapienza, perché sono insipienti, e la continenza, perché bramano i mali. Tuttavia l'origine anche del peccato originale discende dalla volontà di colui che ha peccato. Esisteva infatti Adamo e in lui esistevamo noi tutti; perì Adamo ed in lui sono periti tutti. 48 - Per quale ragione A. insegna il peccato naturale? Giuliano. Il peccato poi merita e l'esecrazione da parte degli onesti e la legittima condanna da parte di quella giustizia, che è qui tutta la causa della nostra discussione. Rimossi dunque tutti i sipari, porta finalmente alla piena luce la ragione per cui insegui l'esistenza del peccato naturale. Certamente nessuna delle conclusioni raccolte più sopra è stata falsa, né sulla lode della giustizia divina, né sulla definizione della colpa. Ebbene dimostra come queste due realtà possano sussistere nei bambini: se non c'è nessun peccato senza la volontà, se non c'è nessuna volontà dove non c'è l'esplicito esercizio della libertà, se non c'è libertà dove non c'è facoltà di scelta per mezzo della ragione, per quale mostruosità si troverebbe il peccato nei bambini che non hanno l'uso di ragione? Perciò né facoltà di scelta, né quindi volontà, né, poste queste premesse irrefutabili, alcun peccato di sorta. Schiacciato dunque da questi massi, vediamo da che parte sei uscito fuori. Tu dici: I bambini non sono oppressi da nessun peccato proprio, ma sono oppressi da un peccato altrui. Non è venuto ancora in luce il male di questo tuo modo di sentire. Noi infatti sospettiamo che tu abbia tirato fuori queste affermazioni in odio a qualcuno di cui, da oratore punico, volevi esprimere la malvagità. Presso qual giudice dunque un delitto esterno prese a gravare su una innocenza illibata? Chi è stato quel nemico barbarico, così crudele, così truce, così dimentico di Dio e della equità, da condannare gli innocenti come rei? Noi lodiamo in assoluto la tua genialità. Splende la tua erudizione. Non avresti potuto introdurre la maschera di non so quale giudice, ancora peggio di non so quale tiranno, degno dell'odio del genere umano, in altro miglior modo che giurando che egli non ha risparmiato non solo quelli che non avevano peccato, ma pure quelli che non avevano nemmeno potuto peccare. Suole appunto la buona coscienza di un animo sospettoso faticare a difendersi, per la paura di aver mancato, dato che la possibilità almeno di mancare l'aveva; ma è assolutamente scagionato da colpa chi è difeso dalla stessa impossibilità del fatto. Manifesta dunque chi è cotesto giustiziere d'innocenti. Tu rispondendo: Dio, certo ci hai spaventato l'animo, ma poiché è appena credibile un sacrilegio così enorme, noi rimaniamo incerti sul senso delle tue parole. Sappiamo infatti che il nome di Dio si può usare ambiguamente: Ci sono molti déi e molti signori, ma per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale proviene tutto, e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose. ( 1 Cor 8,5-6 ) Quale Dio dunque metti sotto accusa? Tu, sacerdote religiosissimo e retore dottissimo, esali qui un fetore più soffocante e orrido di quello della valle dell'Ansante e del pozzo dell'Averno, anzi qualcosa di più scellerato di ciò che aveva commesso in questi luoghi il culto degli idoli. Dio, tu dici, quello stesso che dimostra il suo amore verso di noi, ( Rm 5,8 ) quello stesso che ci ha amati e non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi; ( Rm 8,32 ) lui stesso giudica così e lui stesso è il persecutore dei nascenti, lui stesso consegna ai fuochi eterni per la loro cattiva volontà i bambini che egli sa non aver potuto avere né volontà buona né volontà cattiva. Dopo dunque questa sentenza così assurda, così sacrilega, così funesta, se disponessimo di giudici sani, non dovrei nient'altro ricavarne che la tua esecrazione. Infatti con giusta e lodevole severità stimerei indegno di discutere uno come te che ti sei tanto allontanato dalla religione, dalla erudizione, perfino dai sentimenti comuni, da ritenere facinoroso il tuo Signore, come ha fatto appena qualche barbarie. Agostino. Non è gran cosa che tu veda i bambini sprovvisti di volontà propria per scegliere il bene o il male. Vorrei che tu vedessi quello che vide lo scrittore che, scrivendo agli Ebrei, dice che Levi, figlio d'Israele, era nei lombi del suo padre Abramo, quando questi pagò le decime, e perciò le pagò anche Levi in Abramo. ( Eb 7,9-10 ) Se tu avessi per questo fatto occhio cristiano, vedresti con la fede, se non lo potessi vedere con l'intelligenza, che nei lombi di Adamo erano presenti tutti quelli che sarebbero nati da lui in forza della concupiscenza carnale; vedresti che dopo il peccato dal quale gli fu annunziata la sua nudità, egli la sentì, la guardò, la soffrì con rossore, la coprì. Per questo Ambrogio, mio dottore, lodato eccellentemente anche dalla bocca del tuo dottore, scrive: Ciò che è ancora più grave è che per questa sua interpretazione Adamo si cinse in quella parte del corpo dove avrebbe dovuto cingersi piuttosto con il frutto della castità. Si dice infatti che nei lombi, tenuti coperti da noi, risiedano certi semi della generazione. E quindi fece male Adamo a coprire con inutili foglie quella parte dove indicare non il frutto futuro della generazione, bensì certi suoi peccati. Giustamente scrive anche quello che ho ricordato poco sopra: Esisteva Adamo ed in lui esistevamo noi tutti. Perì Adamo e in lui sono periti tutti. Poiché tu non vedi questa verità, abbai cieco contro di me; ma, checché tu dica contro di me, lo dici indubbiamente anche contro lo stesso Ambrogio. Dio voglia dunque che con lui mi sia comune il premio, così come da te ricevo comune con lui l'oltraggio. Cos'è che gridi e dici: Se disponessimo di giudici sani, non dovrei ricavare nient'altro che la tua esecrazione? Potrei forse agire verso di te con più larghezza, con più beneficenza, con più liberalità di quanta ne mostro costituendo come giudice tra noi lo stesso personaggio sul quale abbiamo già il giudizio del tuo dottore Pelagio? Ecco, è presente colui che tra gli scrittori di lingua latina rifulse come un fiore stupendo, colui del quale nemmeno uno dei nemici ha osato criticare la fede e l'interpretazione purissima delle Scritture. Così Pelagio ha giudicato Ambrogio. Che cosa dunque ha giudicato Ambrogio della causa che è in discussione tra noi? Ho già riportato più sopra le sue sentenze sul peccato originale, prive di qualsiasi oscurità o ambiguità; ma, se fosse poco, ascolta ancora. Dice: Nasciamo tutti sotto il peccato, perché è viziata la nostra origine. Che rispondi a queste parole? Pelagio ha fatto di Ambrogio quelle splendide lodi, Ambrogio ha pronunciato per me contro di te queste manifeste sentenze. Sii tu a criticare uno del quale il tuo maestro dice che nemmeno un nemico ha osato criticarlo. E tu che cerchi giudici sani nega che sia sano costui per confessarti insano in modo assoluto. Ma tu, uomo piissimo, t'indigni perché diciamo che i bambini non rinati, se muoiono prima dell'arbitrio della propria volontà, sono condannati a causa di peccati altrui da Colui che mostra la sua carità verso di noi, ( Rm 5,8 ) da Colui che ci ha amati e non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi, ( Rm 8,32 ) quasi che di lui non si querelino ancora più gravemente gli stolti e gli ignoranti che ti somigliano, i quali dicono: Perché mai Dio crea coloro dei quali ha previsto che sarebbero stati empi e meritevoli di condanna? Perché mai li fa poi vivere fino a che giungono ad una dannabile empietà, mentre li potrebbe togliere da questa vita prima che diventino tali, se egli ama le anime, se mostra la sua carità verso di noi, se non ha risparmiato il suo Figlio, ma l'ha dato per tutti noi? Se rispondiamo a costoro: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? ( Rm 9,20 ) Imperscrutabili sono i suoi giudizi, ( Rm 11,33 ) essi invece di quietarsi, si arrabbiano. Ma il Signore conosce i suoi. ( 2 Tm 2,19 ) Se dunque vuoi valerti di giudici sani, ascolta un giudice sano particolarmente lodato dal tuo dottore. Egli dice: Esisteva Adamo ed in lui esistevamo noi tutti. Perì Adamo ed in lui sono periti tutti. Ma tu dici: Per peccati altrui non sarebbero dovuti perire davvero! Sono peccati altrui, ma sono peccati paterni e quindi sono peccati anche nostri per diritto d'inseminazione e di germinazione. Chi libera da questa perdizione se non Colui che è venuto a cercare ciò che era perduto? ( Lc 19,10 ) In tutti quelli che libera abbracciamo dunque la misericordia, in quelli invece che non libera riconosciamo un giudizio certamente occultissimo, ma senza alcun dubbio giustissimo. 49 - A. a confronto di Manicheo Giuliano. Che un dio della luce abbia combattuto con il principe delle tenebre l'ha inventato e l'ha creduto Manicheo, ed ha aggiunto che la sostanza del dio della luce è tenuta prigioniera in questo orbe. Si sforza però di scusare tanta infelicità con la tinta della pietà, affermando che quel dio ha combattuto come un buon cittadino per la patria, e perciò ha gettato via le membra per non perdere i regni. Tu che avevi imparato questi insegnamenti, guarda quanto tu abbia progredito abbandonandoli almeno temporaneamente. Tu dici: Dio non soffrì la necessità di una guerra, ma si lasciò prendere dall'iniquità del giudizio, né sottostà a tenebrosi nemici, ma a crimini palesi; non ha infine spezzettato la sua sostanza, ma ha violato l'eterna giustizia. Chi sia per questo il peggiore di voi due lo lascio stimare agli altri. Comunque questo è limpido: voi tornate ad una sola nefanda opinione. Infatti da una parte Manicheo appioppa al suo dio l'iniquità, quando annunzia che condannerà nell'ultimo giorno le sue membra abbandonate da lui stesso; tu a tua volta asserisci l'infelicità di Dio, perché egli ha rovinato la gloria che gli era riconosciuta e perseguitando l'innocenza creata da lui ha perduto la giustizia per cui era santissimo. Tanto dunque a questo dio che tu porti sulla scena è superiore il dio che aveva fantasticato il tuo maestro, quanto l'essere stato vinto in battaglia da un nemico è più scusabile che essere stato vinto da un vizio. Agostino. Se ti piace l'innocenza dei bambini, allontana da loro, se puoi, il giogo pesante che grava sui figli di Adamo dal giorno della loro nascita dal grembo materno. ( Sir 40,1 ) Ma reputo che la Scrittura, dove ciò è stato detto, conoscesse meglio di te che cosa fosse l'innocenza della creatura e che cosa fosse la giustizia del Creatore. Ora, chi non vede che, se i bambini avessero l'innocenza come la predichi tu, non ci sarebbe la giustizia da parte di Dio nel loro giogo pesante? Poiché dunque nel loro giogo pesante c'è la giustizia divina, non esiste in essi tale innocenza quale la predichi tu. A meno che a te, affannato in questa questione, non possa correre in qualche modo in soccorso un dio giusto, sì, ma debole, il quale non poté correre in soccorso dalle sue immagini per impedire che fossero schiacciate innocenti dalla miseria di un grave giogo, e tu dica che lo volle certamente, essendo giusto, ma non lo poté, non essendo onnipotente, e tu esca da queste strettoie con la perdita del " capo " della fede, con la quale nel Simbolo confessiamo di credere prima di tutto in Dio Padre onnipotente. Quindi il tuo dio nei tanti e tanto grandi mali che i bambini patiscono perderà o la giustizia o l'onnipotenza o la stessa cura delle vicende umane. Ma qualunque sia di queste affermazioni l'affermazione che farai, vedi quello che sarai. 50 - Il Dio dei Patriarchi, Profeti, Apostoli, primogeniti, martiri Giuliano. Togliti dunque di mezzo alle Chiese con tale tuo dio. Non è lui il Dio a cui hanno creduto i Patriarchi, a cui i Profeti, a cui gli Apostoli; il Dio in cui ha sperato e spera la Chiesa dei primogeniti iscritti nei cieli; ( Eb 12,23 ) non è lui il Dio che la creatura ragionevole crede suo giudice e che lo Spirito Santo preannuncia pronto a giudicare con giustizia a suo tempo. Nessun saggio avrebbe mai versato il suo sangue per un tale Signore: né infatti meritava l'affetto della dilezione così da imporre l'onere di affrontare per lui la passione. Infine cotesto dio che tiri fuori, se esistesse da qualche parte, si dimostrerebbe un reo, non un dio, un giudicando dal mio vero Dio e non un giudice chiamato a giudicare al posto di Dio. Quindi, perché tu conosca i primi fondamenti della fede, il Dio nostro, il Dio della Chiesa cattolica, è ignoto a noi nella sua sostanza e parimenti è lontano dai nostri occhi; nessuno tra gli uomini l'ha mai visto né lo può vedere; ( 1 Tm 6,16 ) come eterno senza inizio, così santo e giusto senza vizio; onnipotentissimo, giustissimo, misericordiosissimo; tutto e solo splendore di virtù; creatore di tutte le cose che non esistevano, governatore delle cose che esistono, esaminatore nell'ultimo giorno di quanti sono e saranno e sono stati; rivoluzionatore della terra, del cielo e di tutti insieme gli elementi; rianimatore delle ceneri e restitutore dei corpi; realizzatore di tutti questi suddetti eventi per solo amore di giustizia. Agostino. Se tu onori il Dio dei Patriarchi, perché non credi che la circoncisione dell'ottavo giorno, comandata da Abramo, fu una prefigurazione della rigenerazione nel Cristo? Se tu infatti ci credessi, vedresti che l'anima di un bambino non circonciso nell'ottavo giorno ( Gen 17,12-14 ) non avrebbe potuto giustamente essere eliminata dal suo popolo senza esser stata coinvolta in qualche peccato. Se tu onori il Dio dei Profeti, perché non credi in quello che Dio ha ripetuto tante volte per mezzo di loro: Castigherò la colpa dei padri nei figli? ( Es 34,7; Ger 32,18 ) Se tu onori il Dio degli apostoli, perché non credi che il corpo è morto a causa del peccato? ( Rm 8,10 ) Se onori il Dio in cui ha sperato e spera la Chiesa dei primogeniti iscritti nei cieli, ( Eb 12,23 ) perché non credi che i bambini battezzandi sono liberati dal potere delle tenebre, ( Col 1,13 ) dato che la Chiesa li essuffla e li esorcizza proprio perché sia espulsa da loro la potestà delle tenebre? Quel Dio poi che la creatura ragionevole, presente nei santi e nei fedeli di lui, spera come giudice, leggi a noi quale terzo posto, oltre al regno per i buoni e al supplizio per i cattivi, abbia preparato e promesso ai tuoi innocenti non rigenerati. Come fai poi a dire che nessun saggio verserebbe il sangue per il Signore che noi onoriamo, se l'ha onorato e ha versato il suo sangue per lui il gloriosissimo Cipriano, che in questa discussione vi soffoca dicendo che il bambino nato carnalmente da Adamo contrae per la prima natività il contagio dell'antica morte? Reo non vedi piuttosto te che bestemmi questo Dio dei santi martiri? Tu dici che onori un Dio onnipotentissimo, giustissimo, misericordiosissimo, ma lui stesso è l'onnipotentissimo che il giogo grave da cui sono schiacciati i figli di Adamo dal giorno della loro nascita, ( Sir 40,1 ) lo può senza dubbio togliere, anzi far sì che non siano assolutamente gravati da nessun giogo simile; ma lui stesso è giustissimo e in nessun modo imporrebbe quel giogo o permetterebbe d'imporlo, se non trovasse nei bambini i peccati con i quali sono nati e il cui reato sciogliere nei rinati egli medesimo misericordiosissimo. Se dunque ti dilettasse la divina giustizia, vedresti certamente come venga da essa, incominciando non ingiustamente dai bambini, la miseria umana che è nota a tutti e nella quale si trascorre questa vita dai primi pianti dei nascenti fino agli ultimi aneliti dei morenti, con la promessa della felicità solamente per i santi e per i fedeli, ma nell'altra vita. 51 - Per amore del vero Dio Giuliano. Quindi per amore di questo mio Dio, che ogni creatura e santa Scrittura mi fa conoscere quale io lo credo, ho detto che farei meglio se non ti reputassi degno nemmeno di discutere per mezzo di libri. Ma poiché a me principalmente è stato imposto, da personaggi santi, confessori del nostro tempo, questo compito di esaminare che cosa abbiano di ponderatezza e di ragionevolezza i tuoi scritti, è stato opportuno dimostrare prima di tutto che tu non credi a quel Dio che nella Chiesa dei cattolici è stato sempre predicato e sarà predicato fino alla fine, dovunque essa esisterà. Agostino. Sono stato io piuttosto a dimostrare che tu non hai dimostrato ciò che dici d'aver dimostrato e, se non sei cieco ad oltranza, io ho evidenziato che credo a quel Dio che è sempre stato predicato dalla Chiesa dei cattolici. 52 - Non sono nemico della grazia di Dio Giuliano. Ma adesso esaminerò per conseguenza logica con quali testimonianze tu tenti d'affermare ciò che la fede delle persone pie sconfigge. Siccome però ho stabilito di replicare al tuo secondo libro, portato da Alipio, per non creare confusione nella serie della corrispondenza, resta ancora da rispondere a pochi punti, prima che il discorso arrivi a quella testimonianza dell'Apostolo, dalla quale ti sembra di essere protetto al massimo. A quelle tue parole dunque che ho già riferite sopra tu aggiungi queste che seguono: Pertanto nel brano da lui saltato gli ha fatto paura la nostra denuncia: " Negano la presenza nei bambini d'ogni traccia di peccato da lavare con il lavacro della rigenerazione ", perché la nostra denunzia trova consenzienti tutti i petti fedeli della Chiesa cattolica, richiama per così dire a chiara voce la stessa fede tramandata e fondata fino dall'antichità e la solleva fortissimamente contro di loro. Tutti infatti corrono alla Chiesa con i loro bambini non per altro motivo che questo: il peccato originale tratto per la generazione della prima natività si espii in essi per la rigenerazione della seconda natività. Ritorna poi alle nostre parole precedenti e non so perché le ripeta: "Diciamo che quanti nascono da tale unione contraggono il peccato originale e di essi, quali che siano i genitori da cui nascono, non neghiamo che siano ancora sotto il diavolo, se non rinascono nel Cristo". Queste nostre parole le aveva riportate anche poco prima. Poi soggiunge quello che abbiamo detto del Cristo: "Non volle nascere dalla medesima unione dei due sessi". Ma anche qui ha omesso ciò che io ho messo: "Perché liberati per la sua grazia dal potere delle tenebre, siano trasferiti nel Regno di Colui che non volle nascere dalla medesima unione dei due sessi". Osserva ti prego, le nostre parole che ha evitate come nemico dichiarato della grazia di Dio, venuta per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Sa infatti che è ingiustissimo ed empio al sommo grado escludere i piccoli da quella sentenza con cui l'Apostolo ha detto di Dio Padre: "Il quale ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto". ( Col 1,13 ) Per questo senza dubbio ha preferito omettere piuttosto che mettere coteste parole. O uomo impudente più di tutti gli altri, sarei forse nemico della grazia di Dio io che nel mio primo libro, dal quale tu hai rapinato cotesti estratti, avulsi dal loro contesto, per cianciare qualcosa senza ragione, ho condannato con professione pura e piena la bocca tua, madida ancora dei misteri dei manichei, e la bocca dei tuoi? Agostino. Sei dunque deciso a ricorrere alle ingiurie per avere causa vinta? Dimmi di quali miei ti vanti d'aver condannato la bocca insieme alla mia. Sei pronto a dire: Dei tuoi manichei, ma da uomo maledico, non da uomo veridico. Io infatti e detesto i manichei con i loro ausiliari, tra i quali tu ambisci il principato, e redarguisco entrambi per mezzo della verità cattolica con l'aiuto e con il soccorso del Signore Dio nostro. Ma ti mostrerò io i miei, che tu accusi in me tanto più maliziosamente quanto più astutamente. In questa causa infatti, dove si fa la questione del peccato originale, per cui mi stimi degno degli oltraggi più atroci chiamandomi manicheo, è mio Cipriano, il quale, pur asserendo che il bambino non ha commesso nessun peccato, non ha tuttavia taciuto che ha contratto da Adamo il contagio del peccato con la sua prima natività. Mio è Ilario, il quale, commentando le parole del Salmo: Possa io vivere e darti lode, ( Sal 119,175 ) osserva: Non si sente vivo in questa vita colui che appunto aveva detto: "Ecco, nelle colpe sono stato concepito e nei peccati mi ha partorito mia madre". ( Sal 51,7 ) Sa di essere nato sotto l'origine del peccato e sotto la legge del peccato. Mio è Ambrogio, eccellentissimamente lodato dal tuo maestro. Egli dice: Noi uomini nasciamo tutti sotto il peccato, essendo viziata la nostra stessa origine, come hai letto nelle parole di Davide: "Ecco nelle colpe sono stato concepito e nei peccati mi ha partorito mia madre". Per questo era corpo di morte la carne di Paolo. Mio è Gregorio, che parlando del battesimo dice: Venera la natività che ti ha liberato dai vincoli della natività terrena. Mio è Basilio, che trattando del digiuno dice: Poiché non digiunammo, decademmo dal paradiso. Diamoci al digiuno per ritornarci. Mio è Giovanni Costantinopolitano, che dice: Adamo commise quel grande peccato e condannò tutto insieme il genere umano. Tutti questi e tanti altri, che sentono come loro e che sarebbe lungo ricordare, sono miei: se li riconosci sono anche tuoi, ma per me dottori, per te bocciatori. Come hai fatto dunque a condannare la bocca mia e la bocca dei miei, quando sei piuttosto tu stesso ad essere condannato dalla bocca concordissima e veracissima di costoro che tu costati essere miei? È mai possibile che a cotesti astri della Città di Dio tu con mente tenebrosissima, con faccia impudentissima, con lingua procacissima osi rinfacciare il crimine di Manicheo? Se poi non osi, perché non osi di rinfacciarlo a me per nessun'altra ragione se non perché dico ciò che dicono costoro, ai quali non osi rinfacciarlo? 53 - La grazia del battesimo è necessaria anche ai bambini, ma non come vuole A. Giuliano. Io infatti in quel libro, dopo aver affermato essere Dio autore del cielo e della terra e di tutte le cose ivi contenute e quindi anche degli uomini, per i quali tutte le cose sono state fatte, ho posto la seguente successione di parole: Non mi sfugge - scrivo - che mentre diciamo questo, si è sentito il dovere di disseminare sul conto nostro che noi non reputiamo necessaria ai bambini la grazia del Cristo. Il che offende giustamente e fortemente le popolazioni cristiane. Questo va bene, se tuttavia non ci ritenessero autori di tale tesi di per sé sacrilega: in tal modo infatti non incorrerebbero nel crimine di credere il falso nei riguardi dei loro fratelli e si dimostrerebbero zelanti nell'amore della fede. Dobbiamo dunque munire questa posizione contro l'assalto della falsità e dobbiamo cucire la bocca degli oppositori con una breve confessione. Quindi noi riconosciamo tanto l'utilità della grazia battesimale a tutte le età da colpire con anatema eterno tutti coloro che non la reputano necessaria anche ai bambini. Ma noi crediamo sovrabbondante di doni spirituali questa grazia, la quale, pingue di molti benefici e degna di venerazione per le virtù che l'adornano, con la sua efficacia, larga tanto di rimedi quanto di benefici, provvede da sola a tutte le specie di bisogni e a tutte le diversità di condizioni degli uomini. Essa, quando si applica, non è necessario cambiarla secondo le diverse cause, perché da se stessa dispensa i suoi doni in corrispondenza alla capacità di coloro che accedono. Come infatti alle arti in genere non accade di subire anch'esse o detrimenti o incrementi secondo la diversità delle materie che prendono ad elaborare, ma rimanendo sempre le medesime e invariate, si ornano di molteplici effetti, così anche "l'unica fede e l'unico battesimo", ( Ef 4,5 ) per usare il linguaggio dell'Apostolo, si moltiplicano e si dilatano nei loro doni senza cambiare tuttavia negli ordini dei misteri. Ma questa grazia che lava le macchie dell'iniquità non avversa la giustizia, né fa i peccati ma ce ne purga; questa grazia che assolve i rei non calunnia gli innocenti. Il Cristo infatti, che è redentore della sua creatura, accumula non larghezza continua i benefici attorno alla sua immagine e gli uomini che creandoli aveva fatto buoni li fa migliori rinnovandoli e adottandoli. Merita quindi l'esecrazione di tutti i buoni chi crede di dover negare ad alcuni questa grazia per la quale si dà il perdono ai rei, l'illuminazione spirituale, l'adozione a figli di Dio, la cittadinanza della Gerusalemme celeste, la santificazione, la promozione a membra del Cristo e ai mortali il possesso del Regno dei cieli. Agostino. Di tutti questi benefici della grazia divina che hai ricordati quello che hai messo per primo, il perdono che per essa si dà ai rei, tu non lo vuoi estendere ai bambini, perché neghi che traggano da Adamo un qualche reato. Per quale ragione allora Dio nega tutti gli altri benefici ai molti bambini che a quell'età muoiono senza questa grazia? Per quale ragione, chiedo, non si dà a loro l'illuminazione spirituale, l'adozione a figli di Dio, la cittadinanza della Gerusalemme celeste, la santificazione, la promozione a membra del Cristo, il possesso del Regno dei cieli? Questi doni, così numerosi e così necessari, li negherebbe a così tante sue immagini, che non hanno secondo voi nessun peccato, un Dio che ha in mano il sommo potere, quando da questa beneficenza non sono impediti i bambini da volontà contraria? Certamente per spazzare via da voi l'odiosità della diceria che voi neghiate ai bambini la grazia del battesimo, tu hai detto che merita l'esecrazione di tutti i buoni chi crede di dover negare a qualcuno cotesta grazia. Non la negherebbe dunque l'equità dell'onnipotente Dio agli innumerevoli bambini che muoiono senza di essa sotto la sua onnipotenza, se essi non meritassero nulla di male nel suo occulto giudizio. Tutti quelli che per grazia e non per debito sono liberati dalla condanna, dovuta a tutti i discendenti di Adamo, non si glorino nei propri meriti, ma nel Signore. Se voi dunque volete togliervi da dosso l'onta che vi ha resi detestabili per la Chiesa cattolica, lasciate che il Cristo sia Gesù per i bambini. Non lo sarà affatto, se ad essi non conferirà quel beneficio a causa del quale ha ricevuto un tale nome, cioè se non li salverà dai loro peccati. ( Mt 1,21 ) Per sottrarvi dunque all'ostilità dei Cristiani, della quale vi lagnate, decidetevi a dire di cotesta grazia quello che ha detto il cattolico Gregorio, dotto e dottore: Venera la natività, per la quale sei stato liberato dai vincoli della natività terrena. In nessun modo dunque voi confessate l'appartenenza ai piccoli di questa grazia finché negate che essi per la natività celeste siano liberati dai vincoli della natività terrena. 54 - La grazia del battesimo è uguale per tutti, ma diversi i suoi effetti nei singoli Giuliano. Poiché ho fatto la difesa delle verità ora esposte, per quanto lo comportava sul momento l'occasione presente, torniamo al punto da cui è cominciata la nostra digressione, sempre pronti a parlare ulteriormente di questo stesso tema ogni volta che sarà opportuno. Ecco con quanta luminosa confessione riprovai e coloro che negavano il battesimo ai bambini e voi che con il pregiudizio del battesimo osate macchiare la giustizia di Dio, protestando che io non ritengo altro che questo: i misteri istituiti vanno somministrati a tutte le età con le medesime parole con le quali sono stati tramandati, né devono essere mutati secondo la varietà delle cause; ma il peccatore da cattivo diventa perfettamente buono, mentre l'innocente che non ha nessun male di volontà propria da buono diventa migliore, cioè ottimo, di modo che ambedue per la loro consacrazione passano certamente tra le membra del Cristo, ma il peccatore colto nella vita cattiva, l'innocente nella natura buona. Il primo infatti ha corrotto con un cattivo comportamento l'innocenza che aveva ricevuta alla sua nascita, il secondo invece, senza lode e senza colpa da parte della sua volontà, possiede solamente quello che ha ricevuto da Dio creatore e, più che felice della sua limpida primavera, non ha potuto viziare la bontà della sua semplicità, senza aver nessun merito dai suoi atti, ma conservando solamente quello di cui è venuto in possesso per la degnazione del suo così grande creatore. Agostino. Perché dunque su di lui un giogo pesante fin dal giorno della sua nascita dal grembo materno? ( Sir 40,1 ) Perché tanta corruttibilità del corpo da esserne appesantita la sua anima? ( Sap 9,15 ) Perché tanta ottusità di mente che la sua tardità debba istruirsi anche a suon di nerbate? Fino a quando, o Giuliano, sarai duro di cuore? Fino a quando amerai la vanità e cercherai la falsità, ( Sal 4,3 ) come fulcro della vostra eresia? Se nessuno avesse peccato, se la natura umana fosse rimasta nella innocenza in cui fu creata, l'uomo anche nel paradiso nascerebbe forse a questa miseria, per tacere d'altro? 55 - Anche i bambini sono Giuliano. Quell'età dei bambini, come esalta la misericordia del Cristo se rinnovata, cioè promossa in virtù del mistero rinnovatore, così prova l'iniquità del giudice e l'infamia della giustizia, se accusata o aggravata. Agostino. In riferimento a quale vecchiaia si dice rinnovata, mentre è nuova per nascita? Labbra bugiarde sono coteste. Se vuoi riconoscere la vecchiaia in riferimento alla quale i bambini sono rinnovati dalla grazia cristiana, ascolta fedelmente quello che dice l'uomo di Dio, il vescovo di Autun, che fu una volta giudice con il vescovo romano Melchiade e condannò l'eretico Donato. Costui infatti parlando del battesimo cristiano dichiara: Che esso sia dunque nella Chiesa la principale indulgenza non sfugge a nessuno. Lì deponiamo tutto il peso dell'antico peccato e distruggiamo le remote colpe della nostra ignoranza; lì ci spogliamo pure dell'uomo vecchio con le sue congenite colpe. Non senti forse? Non le cattive azioni perpetrate successivamente, ma anche le colpe congenite dell'uomo vecchio. Che forse era manicheo quel Reticio? Come si fa dunque a non accusarvi di menzogna, quando dite che nella rigenerazione cristiana i bambini sono rinnovati, se non volete riconoscere i mali che il peso dell'antico peccato ha resi congeniti nell'uomo vecchio? Se poi quell'età aggravata dimostra, come dici tu, l'iniquità del giudice, non è forse aggravata dal giogo che pesa sui figli di Adamo? E tuttavia questo non rende iniquo Dio, e perciò è aggravata giustamente. Ma non c'è nessun merito cattivo di questa età, se non c'è il peccato originale. 56 - L'esorcismo dei battezzandi Giuliano. Non dunque dall'unità del sacramento si dimostra rea l'infanzia, ma dalla verità del giudizio non si prova nient'altro che la sua innocenza. Agostino. Tu che credi di aver trovato perché l'infanzia si battezzi, spiega perché si esorcizzi. Certamente è stata ritenuta grande e invincibile la sentenza del vostro fondatore Pelagio dove dice: Se il peccato di Adamo nuoce anche a coloro che non peccano, dunque anche la giustizia del Cristo giova pure a coloro che non credono. Che dite dunque dei bambini quando si battezzano? Credono o non credono? Se dite: " Non credono ", per quale ragione non giova ad essi, anche se non credono, la giustizia del Cristo per possedere il Regno dei cieli? Oppure, se giova ad essi, come siete costretti a confessare, allora il peccato di Adamo nuoce ad essi che non hanno ancora la volontà di peccare, come la giustizia del Cristo giova ad essi che non hanno ancora la volontà per credere. Se poi dite: " Credono per mezzo di altri ", così hanno anche peccato a causa di un altro. E poiché è vero che credono per mezzo di altri - per questo infatti in tutta la Chiesa sono chiamati anche fedeli -, certamente vanno compresi in quell'affermazione del Signore: Ma chi non crederà sarà condannato. ( Mc 16,16 ) Saranno dunque condannati se non credono per mezzo di altri, non potendo credere da se stessi. Ma non potrebbero per nessuna ragione essere condannati giustamente, se non nascessero sotto il peccato e quindi sotto il potere del principe del peccato. È per questo dunque che sono anche essufflati. Allontanate da loro la vostra vanità ingannatrice: lasciate che i bambini vadano a Gesù, ( Mc 10,14; Mt 19,14; Lc 18,16 ) che salva il suo popolo - nel quale sono compresi certamente anch'essi - dai suoi peccati. ( Mt 1,21 ) 57 - Nessuna contraddizione in Dio, se perdona i peccati propri e imputa i peccati altrui Giuliano. Benché, ad indugiarmi nella spiegazione dello stato dei bambini me lo impone la conseguenza della ragione che non consente di separare realtà congiunte per loro legge. Del resto sarebbe più facile il danno dei nascenti, se non fosse compromessa da essi la stessa maestà di Dio. Scusa quindi Dio e accusa il bambino: si insegni che è giusto quanto fa colui che non può essere Dio senza la giustizia ed ogni persona accetti il castigo. Ma ora, le realtà che tu reputi congiunte senza sacrilegio, sono in forte contrasto reciproco tra loro. Dici infatti: dal momento che anche i bambini sono iniziati con i medesimi ed unici misteri con i quali sono iniziati gli idolatri e i parricidi, questa può essere la prova che sono colpevoli tutti, e aggiungi un particolare ancora molto più assurdo: l'istitutore del sacramento di cui trattiamo imputa ai bambini innocenti i peccati altrui. Questa è la ripugnanza di cui dicevo: non sta nella natura delle cose che in un medesimo momento Dio sia così misericordioso da condonare i peccati propri a chiunque li confessi e sia tanto crudele da imporre a chi è innocente i peccati altrui. Di queste due affermazioni se concedi l'una, togli assolutamente l'altra. Se Dio dona venia ai rei, non calunnia gli innocenti; se calunnia gli innocenti, non perdonerà mai ai colpevoli. Agostino. Sei tu piuttosto a giudicare ingiusto Dio, sembrandoti ingiusto che egli punisca nei figli i peccati dei padri: il che spesso e attesta di farlo con le parole e lo mostra con i fatti. Sei tu, ripeto, a giudicare ingiusto Dio, perché, vedendo sotto la sua onnipotente provvidenza i bambini schiacciati da un pesante giogo di miseria, sostieni che essi non hanno nessun peccato, accusando insieme e Dio e la Chiesa: Dio certamente, se sono gravati e afflitti senza che se lo meritino; la Chiesa, se si insufflano, benché siano fuori dal diritto del potere del diavolo. Dove hai sognato poi che noi equipariamo i peccati originali dei bambini ai peccati degli idolatri e dei parricidi? Tuttavia però la remissione dei peccati, di cui sono stati dotati i misteri, è vera in tutti i peccati: nei più gravi e nei meno gravi, nei più numerosi e nei meno numerosi e in ciascuno di essi; ma dove i peccati sono nulli, come voi dite nei bambini, la remissione è falsa. Sono poi altrui i peccati originali, perché in essi è nullo l'arbitrio della nostra volontà, così tuttavia da risultare essi anche nostri a causa del contagio della origine. Cos'è dunque quello che strilli e dici, che Dio non può e rimettere ai grandi i peccati propri e imputare ai piccoli i peccati altrui? Non vuoi tener conto del fatto che solamente ai rinati nel Cristo li rimette gli uni e gli altri, ma ai non rinati nel Cristo non li rimette né gli uni né gli altri? Anche gli stessi sacramenti della grazia divina sono infatti nascosti ai sapienti e agli intelligenti e rivelati ai piccoli. ( Mt 11,25 ) Oh, se tu fossi tra questi e non confidassi sulle tue forze come un grande, intenderesti sicuramente che ai bambini l'ingiustizia del primo uomo è imputata per subire il castigo con lo stesso criterio con il quale quando sono stati rigenerati si è imputata ad essi la giustizia del secondo uomo per ottenere il regno dei cieli, sebbene si costati che con la volontà e con l'attività personale non hanno imitato né Adamo nel male, né il Cristo nel bene. 58 - Osceno, maledico Giuliano. Nulla dunque ho tralasciato nelle tue parole, per paura, come tu dici. Che cosa infatti avrei potuto temere nelle prove monumentali di un ingegno così elegante, se non forse questo soltanto: l'orrore che soffro per l'assalto della tua oscenità? Agostino. Se tu pagassi queste ingiurie, ti direi prodigo. Sono gratis a tua disposizione, e perché non dovresti goderne, se ne pasci il tuo maledico animo? 59 - Una banda di malvagi quella che crede nel peccato originale? Giuliano. Per breve tempo dunque ascoltami contro le affermazioni che hai fatte. Non sono " petti fedeli " della Chiesa cattolica quelli che la tua denunzia convoca in causa, se contraddicono la pietà e la ragione. E l'una e l'altra colpa commettono, perché né hanno una buona stima dell'equità di Dio, né intendono la sapienza e la ricchezza dei misteri che accusano. Non è questa la fede fondata e tramandata dall'antichità. È soltanto la fede delle bande dei malvagi, ispirata dal diavolo, propalata da Manicheo, celebrata da Marcione, da Fausto, da Adimanto e da tutti i loro satelliti, e vomitata da te stesso sull'Italia: il che ci fa gemere gravemente. Agostino. Con quale bocca, con quale faccia dici una banda di malvagi il consenso di tanti cattolici, che prima di noi furono dottori delle Chiese? Quasi però che, se nel concilio di vescovi, che non per motivi salutari, ma per iattanza, dite doversi radunare per le vostre questioni, sedessero i vescovi che ho ricordati sopra, per non citarne altri - quali Cipriano, Ilario, Ambrogio, Gregorio, Basilio, Giovanni Costantinopolitano - trovereste facilmente tra i vescovi di oggi alcuni che, lungi da poterli preferire, potreste equiparare a quelli nella dottrina ecclesiastica tramandata dall'antichità. Quando dunque costoro contro di voi pronunziano sul peccato originale aperte e chiare sentenze, sia quelle riferite da me poco fa, sia tantissime altre, ardite forse voi chiamare " banda di malvagi " il consenso di costoro nella verità cattolica? E pensate come contraddire costoro e non piuttosto dove fuggire, se non volete consentire a loro? Ma poiché hai detto che io ho vomitato sull'Italia quello che vi fa gemere, ti ributto in faccia il medesimo vescovo d'Italia Ambrogio, lodato dal tuo dottore. Dice: Noi uomini nasciamo tutti sotto il peccato, essendo viziata la nostra origine, come leggi in Davide: " Ecco, nelle colpe sono stato concepito e nei peccati mi ha partorito mia madre ". ( Sal 51,7 ) Per questo la carne di Paolo era corpo di morte, come si esprime egli stesso: " Chi mi libererà da questo corpo di morte? ". ( Rm 7,24 ) Ma la carne del Cristo ha condannato il peccato, che nascendo non ha sentito, che morendo ha crocifisso, perché nella nostra carne, dove prima c'era la sporcizia a causa del peccato, ci fosse la giustificazione mediante la grazia. Questa è la fede che io dico fondata e tramandata dall'antichità. Tu contraddici e non ti accorgi a chi ti opponi. Puoi forse dire che ad Ambrogio fu ispirata dal diavolo? È forse manicheo costui? È costui forse Marcione, Fausto, Adimanto? Certamente no, ma molto dissimile e contrarissimo a loro. Te lo dica con certezza Pelagio chi è costui. È quello, proprio quello, di cui nemmeno un nemico ha osato riprovare la fede e il senso purissimo nelle Scritture. Che c'è, Giuliano? Dove ti vedi? Quello di cui nemmeno un nemico ha osato riprovare la fede, è questa fede che aveva: la fede che tu riprovi tanto da attribuirla ad una banda di malvagi. Ecco, non è la fede di malvagi, ma è la fede di Ambrogio. Poiché è vera, poiché è sana, poiché è fondata e tramandata fin dall'antichità, come ho detto, questa è anche la fede mia. Non io l'ho vomitata sull'Italia - il che vi fa gemere, dite - ma piuttosto da codesto vescovo d'Italia che la predicava e la insegnava, io ho ricevuto il lavacro della rigenerazione. Poiché questa fede è la fede cattolica, e tuttavia non è la tua fede, tu dunque dove sei? Vedilo, ti prego, e torna. Ti giova vedere, non stravedere. Ti desideriamo ritornato, non rovinato. 60 - Consenso o contagio Giuliano. Non c'è niente di peccato nell'uomo, se non c'è niente di volontà personale o di consenso: in questo consente con me senza esitazione il genere umano, anche se ha una goccia appena di sapienza. Ora, tu concedi che nei bambini non c'è stato niente di volontà personale: non io, ma la ragione conclude che niente dunque c'è in essi di peccato. La ragione quindi per cui si portano alla Chiesa non è assolutamente che siano infamati, anzi che infamino Dio; ma si portano perché lodino Dio, che protestano autore e dei beni naturali e dei doni spirituali. Agostino. Non si infamano i bambini quando si essufflano, ma si liberano dal potere delle tenebre; né infamano Dio, ma del medesimo Dio dal quale sono nati come creatore hanno bisogno come salvatore. Perciò rinascendo sono trasferiti da Adamo al Cristo. Dove poi dici: Non c'è niente di peccato nell'uomo, se non c'è niente di volontà personale o di consenso, diresti più completamente il vero, se aggiungessi: O di contagio. 61 - Il peccato originale sarebbe imperdonabile Giuliano. Il peccato originale poi, se si contrae per la generazione della prima natività, può condannare, sì, le nozze istituite da Dio, ma non si può togliere ai bambini, perché ciò che è congenito dura fino alla fine di colui che per l'efficacia dei princìpi se lo porta dentro. Agostino. Non condanna le nozze, perché esse non ne sono la causa; ed è tolto da quell'Onnipotente che poté nascere uomo anche senza di esso. 62 - È tutto logico Giuliano. Non ti muoviamo pertanto nessuna calunnia, se rischi di condannare le nozze e di dire opera del diavolo l'uomo che nasce da esse. Né lo rinfacciamo in cattiva fede, né lo raccogliamo per ignoranza, ma intuiamo prontamente e semplicemente quale sia l'effetto delle sentenze conseguenziali. Mai infatti le nozze corporali sono senza mescolanza. Tu dici che quanti nascono da tale mescolanza appartengono al diavolo: senza dubbio dichiari che le nozze appartengono al diritto del demonio. Agostino. Diciamo noi forse che nel paradiso le nozze sarebbero potute essere senza mescolanza corporale, se nessuno avesse peccato? Ma non vi sarebbe stato il male, di cui adesso fa buon uso la pudicizia coniugale. Quel male viene poi dalla ferita che ha inferta l'astuzia diabolica. Per questo, si condanna come rea la propaggine dei mortali. Per questo, chi nasce è sotto il principe dei peccatori, finché non rinasca nel Cristo, il quale non ebbe assolutamente nessun peccato ed è il solo che sciolga il nodo della morte, perché tra i mortali fu l'unico libero. 63 - Diabolica la natura umana Giuliano. Dici che si trae il peccato dalla condizione della natura tu che vuoi che questo male sia dipeso dalla volontà del primo uomo. Rimando per ora la risposta che ti dovrà convincere che mentisci senza pudore. Ma per quanto spetta al punto presente, ne concludo, e credo alla sapienza che ragiona, che tu evidentemente senza esitazione definisca diabolica la natura. Perché, se è nella natura o viene dalla natura ciò per cui l'uomo è posseduto dal diavolo, è irrefutabilmente del diavolo ciò per cui il diavolo ha potuto rivendicare a sé l'immagine di Dio. Anzi non è nemmeno immagine di Dio una natura che è per nascita nel regno del diavolo. Agostino. Tu " credi ", ma alla stoltezza che suppone, non alla sapienza che ragiona. Lascia che i bambini siano liberati dal potere delle tenebre, perché siano trasferiti nel Regno del Cristo. Dicendo infatti che non hanno il contagio dell'antico delitto ed escludendoli così dalla misericordia del Salvatore, che salva il suo popolo dai suoi peccati ( Mt 1,21 ) e per questo è stato chiamato Gesù, non ottieni altro che su loro incomba l'ira di Dio, della quale parlò Giobbe dicendo: L'uomo, nato da donna, breve di giorni e sazio d'ira, come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l'ombra e mai si ferma. Tu sopra un tale essere tieni aperti i tuoi occhi e lo chiami a giudizio presso di te? Chi può infatti essere mondo da immondezze? Nemmeno uno, anche se la sua vita sulla terra fosse di un giorno soltanto. ( Gb 14,1-5 sec. LXX ) Ma evidentemente, uomo misericordioso come sei, hai compassione dell'immagine di Dio e temi di dire che nasca carnalmente sotto il peccato. O quanto è crudele cotesta tua vana misericordia, che nega ai bambini la misericordia del loro Salvatore, il quale è venuto a cercare ciò che era perduto! ( Lc 19,10 ) Per quelle immondezze dunque, senza le quali l'uomo di Dio dice che non c'è nessuno, anche se di un giorno soltanto fosse la sua vita sulla terra, il diavolo rivendica a sé l'immagine di Dio; non per la sostanza che Dio ha creata. La natura infatti è stata viziata e non è un vizio. Ma tu dici: Non è nemmeno immagine di Dio una natura che è per sua nascita nel regno del diavolo. Che replicheresti se un altro ti dicesse: Non è immagine di Dio una natura che, senza esser rea di nessun peccato, non entra tuttavia nel Regno di Dio? Non è vero che non avrai che cosa rispondere, se non vorrai rispondere vanamente? E certo, l'uomo è immagine di Dio, perché è stato fatto a somiglianza di Dio. ( Gen 1,26; Gen 5,1 ) Per quale ragione dunque è stato fatto simile anche ad un soffio vano, per cui i suoi giorni passano come un'ombra? ( Sal 144,4 ) Non vorrai infatti escludere i bambini da questo soffio vano, atteso che i loro giorni passano come un'ombra. Infine li escluderai anche forse dai viventi? Ascolta dunque colui che dice nel Salmo: Vedi, in pochi palmi hai misurato i miei giorni e la mia esistenza davanti a te è un nulla. Solo un soffio vano è ogni uomo che vive. ( Sal 39,6 ) Ebbene, pur essendo ogni uomo che vive immagine di Dio, dimmi donde ogni uomo che vive sia anche un soffio vano. Ma che cosa sarai in grado di dire tu che non vuoi riconoscere che il primo fatto viene dalla creazione di Dio e che il secondo fatto è accaduto per la condizione del peccato? Permettete, vi preghiamo, che l'uomo vivente, che è stato fatto a somiglianza di Dio, sia liberato dal potere delle tenebre, sotto il quale è diventato simile ad un soffio vano: ora sia liberato però provvisoriamente dall'obbligazione del reato, ma dopo questa vita corruttibile sia liberato definitivamente anche da ogni vanità. 64 - Faccia da imbroglione Giuliano. Perciò, se leggerai la mia opera, cesserai di meravigliarti che io sia ritornato alle tue parole che avevo già riportate sopra. Avevo appunto promesso di dimostrare dai tuoi scritti come tu, tra l'empietà che avevi bevuta e l'ostilità che ne temevi, avevi detto ugualmente l'uno e l'altro: e quello che sono soliti asserire i cattolici, e quello che sono soliti asserire i manichei. Tale è pertanto nel tuo scritto l'ordine delle parole, corrispondente al tuo capitolo, del quale adesso con faccia da imbroglione hai mentito che sia stato interpolato. So di aver fatto grandi promesse: dimostrare cioè con i testi dell'avversario e che è giusto che si condannino quanti negano essere gli uomini opera di Dio e che costui stesso che lo confessa non fa altro che confermare essere patrimonio del diavolo tutto quello che procede dalla fecondità delle nozze. Con questo metodo infatti l'opinione dei manichei sarà distrutta anche per le leggi del suo patrocinio. Ma l'hanno messo in evidenza tutte le prime pagine del suo libro. Dice infatti che sono opera di Dio gli uomini che nascono dalle nozze, cioè da maschi e femmine. Con la quale sentenza butta all'aria tutto quello che intendeva ottenere e consente con noi che diciamo empi quanti osano negare tale verità. Risolta è dunque una parte. Mi resta da dimostrare che egli sostiene quanto aveva testé impugnato. Detto ciò, io sono ritornato di nuovo sul passo del tuo capitolo dove avevi scritto: Diciamo che quanti nascono da tale unione contraggono il peccato originale, e di essi, quali che siano i genitori da cui nascono, non neghiamo che siano ancora sotto il diavolo, se non rinascono nel Cristo e, liberati per la sua grazia dal potere delle tenebre, sono trasferiti nel regno di Colui che non volle nascere dalla medesima unione dei due sessi. Perché dunque reputi sufficiente a poter essere scusato dall'errore dei manichei il fatto che hai osato inserire una sentenza, contro la quale lottavi con tutte le forze del tuo ingegno? Ciò non serve a patrocinio del tuo errore, ma a testimonianza della tua singolare stoltezza nel credere, alla maniera di Callifonte, che virtù e vizi, giustizia e iniquità in forza del tuo discorrere possano scendere a patti tra loro. Rispetto poi a quello che dice l'Apostolo: Ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, ( Col 1,13 ) leggi il quarto libro della mia opera e allora ti si farà chiaro il pensiero del Maestro delle Genti. Agostino. Al tuo quarto libro è stato risposto con il sesto dei nostri. Adesso ancora più di prima io esorto a leggere quei tuoi libri e i miei coloro che vogliono sapere quanto tu in essi abbia deviato dalla verità e da quanta verità sia stato confutato. Riguardo poi al fascicolo nel quale furono riportati alcuni brani dei tuoi libri, sei libero d'imputare a me quello che fece chi lo mandò alla persona che lo mandò a me. Costui riportò appunto in quel fascicolo ciò che volle dalla tua opera e tralasciò ciò che volle; sul quale argomento ti ho già risposto sopra brevemente e sufficientemente. Perché tenti di nasconderti con le tue oscurità contro le affermazioni esplicite dell'Apostolo? A lode di Dio egli dice: Ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, ( Col 1,13 ) e tu dici che ciò è stato detto da lui con esclusione dei bambini. Se dunque i piccoli non sono liberati dal potere delle tenebre, vuol dire che non sono morti; se non sono morti, vuol dire che non è morto per loro il Cristo. Tu invece confessi che anche per loro è morto il Cristo, e l'Apostolo dice lo stesso: Uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. ( 2 Cor 5,14 ) Questa conclusione dell'Apostolo è inattaccabile e perciò, poiché è morto anche per i bambini, logicamente anche i bambini sono morti. Ora, il Cristo è morto per ridurre all'impotenza colui che della morte aveva il potere, cioè il diavolo. ( Eb 2,14 ) Lascia pertanto che i bambini per vivere siano liberati dal potere delle tenebre. Che significa poi l'accusa che mi fai di seguire la prassi o l'errore di Callifonte, dicendo che io reputo di poter far scendere a patti fra loro virtù e vizi, giustizia e iniquità in forza del mio discorrere? Lungi certamente da me averlo nel cuore o persuaderlo con la parola; ma mi congratulo che tu abbia capito così bene cotesto filosofo. Avendo egli infatti riposto il bene dell'uomo nella virtù dell'animo e nel piacere del corpo, tu dici che ha voluto conciliare virtù e vizi, e quindi, com'era conveniente, hai giudicato che è vizio la brama della voluttà carnale. È dunque vizio la libidine che tu lodi. In qualche modo dunque la verità ha fatto capolino nei tuoi sentimenti così che hai abbandonato per un poco la causa della tua protetta e hai detto ciò che diciamo noi. 65 - Le nozze non sono solo un miscuglio di sessi Giuliano. Ho dunque arguito e giustamente arguito fioca e fiacca variazione quella per cui era avvenuto che tu e premettessi di non condannare le nozze e, per la mescolanza di maschio e femmina, la quale evidentemente viene dalla creazione e dalla natura delle nozze, nella quale anzi soltanto - per quanto riguarda il nostro conflitto - c'è la verità delle nozze, dicessi che gli uomini sono trascritti nei diritti del diavolo. Agostino. Se nella sola mescolanza di maschio e femmina c'è la verità delle nozze, allora la medesima verità è degli adultèri e delle nozze, perché in ambedue i casi c'è cotesta mescolanza di ambedue i sessi. Che se questa è una madornale assurdità, vuol dire che non nella sola mescolanza di maschio e femmina c'è la verità delle nozze, come tu deliri, sebbene senza di essa le nozze non possono propagare i figli. Ma ci sono altri beni che appartengono propriamente alle nozze e le distinguono dagli adultèri, come la fede del letto coniugale e la cura di procreare figli ordinatamente e, massima differenza, il buon uso del male, ossia il buon uso della concupiscenza della carne, che è un male di cui gli adùlteri usano male. 66 - Primate della nazione pelagiana Giuliano. La quale mescolanza ti sei sforzato di far credere così esecrabile da voler far intendere che il Cristo, non per lo splendore di tale segno, ma per la condanna del congiungimento dei sessi, abbia voluto nascere da madre vergine. Che cosa dunque ha potuto mai dirsi da chiunque di più improprio e di più impudente di questo: hai come separato con questi vessilli due re in lotta tra loro per il possesso dell'umanità e i loro due regni così da attribuire al diavolo tutto quello che abbiano prodotto le nozze e a Dio quello soltanto che abbia partorito la Vergine? Che altro è nei riguardi di Dio fecondatore della Vergine, e mostrarlo bisognosissimo per la mancanza di una sua parte e negare che il medesimo sia il creatore di coloro che provengono dalle nozze degli uomini? Ne tenga dunque l'autografo il lettore diligente delle tue parole e sappia che tu, discepolo fedele dei manichei e primate della nazione traduciana, altro non hai condannato che la mescolanza del legittimo coniugio. Agostino. Non hai i sensi allenati nel separare il bene dal male. La natura e la sostanza, sia degli uomini, sia degli angeli, buoni o cattivi, sussiste per creazione di Dio, ma ai vizi delle nature e delle sostanze, vizi che i manichei dicono essere nature e sostanze, mentre la verità nega che lo siano, Dio, giusto e onnipotente, permette di esistere per sua disposizione giudiziaria, e questi stessi vizi sono mali che non possono esistere se non venendo da nature buone e inerendo a nature buone. In potere poi del diavolo tutte le creature che gli sottostanno per giudizio di Dio, ci sono così da non uscire dal potere di Dio, sotto il quale è costituito il diavolo stesso. Poiché dunque tutti gli angeli e tutti gli uomini sono sotto il potere di Dio, è vana la tua loquacità con la quale dici che Dio e il diavolo si sono divisi tra loro i sudditi da avere ciascuno sotto la propria potestà. Contro chi però tu vomiti coteste infamie di cui t'ingrassi, avvertilo per un istante. Ecco, è presente il famoso Ambrogio: riguardo a ciò contro cui inveisci vedi che cosa ti dica: Come avrebbe potuto essere giusto lui solo scrive in mezzo a tutta la generazione deviante, se non fosse stato minimamente tenuto dalla legge della generazione colpevole essendo nato dalla Vergine? Ascolta ancora, ascolta e morditi la lingua proterva umiliando la fronte: Non varcò infatti il coito virile le parti segrete della vulva verginale, ma un seme immacolato nell'utero inviolabile infuse lo Spirito Santo. Il solo infatti totalmente santo tra i nati da donna è stato il Signore Gesù, che per la novità di un patto senza macchia non sentì i contagi della corruzione terrena e li respinse con maestà celeste. Ti avvedi, vero, chi abbia detto ciò che dico io? Ti avvedi contro chi tu dica tutto quello che dici contro di me? Se per questo io sono discepolo di Manicheo, lo è anche lui. Ma non lo è lui, che ha detto queste verità prima di noi; non lo è dunque chiunque le dica. Ma eretico manifesto è chiunque contraddica questo antico dogma cattolico. 67 - Un corpo pieno di peccati Giuliano. Ma passiamo subito agli altri punti. Scrivendo pertanto di me, dopo quelle tue parole che ho inserite sopra, aggiungi queste che seguono: Dopo queste parole mette quel nostro passo dove abbiamo detto: "Infatti questa vergognosa concupiscenza, che viene lodata senza un minimo di vergogna da cotesti svergognati, non esisterebbe se antecedentemente l'uomo non avesse peccato; le nozze viceversa esisterebbero anche se nessuno avesse peccato: avverrebbe appunto senza cotesto morbo nel corpo di quella vita l'inseminazione dei figli". Fino qui ha riferito costui le mie parole. Ha temuto infatti ciò che io ho aggiunto: "Lo può nel corpo di quella vita, che ora non può avvenire senza cotesto morbo nel corpo di questa morte". E a questo punto, non a terminare, ma a troncare la mia sentenza in qualche modo, lo ha spaventato la famosa testimonianza dell'Apostolo dove dice: " Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore ". ( Rm 7,24-25 ) Non esisteva infatti il corpo di questa morte nel paradiso prima del peccato, e per questo abbiamo detto: "Nel corpo di quella vita", che esisteva nel paradiso, "senza questo morbo si sarebbe potuta fare l'inseminazione dei figli, che ora non può avvenire senza cotesto morbo nel corpo di questa morte". Tu mantieni davvero e certo con particolare coerenza in questa tua opera, la tua consuetudine di non dire nulla di vero, dal momento che agisci contro la verità. Ma ai numerosi peccati della tua erudizione potrebbe bastare appena una moltitudine di correzioni. Perciò qui osserverò brevemente per ora che tu mentisci; io invece, e almeno dopo questa opera lo capirai, non sono avvezzo a mentire. Per te dunque rivendica tutto il possesso di questo vizio, perché tu possa udire dal Vangelo, e certo non ingiustamente,che tu sei bugiardo fin da principio come anche il tuo padre; ( Gv 8,44 ) o quello al cui dominio dici di essere appartenuto nascendo o l'altro secondario che ti iniziò con eleganti sacramenti, che tuttavia non si possono nominare in mezzo a persone oneste. Tutto questo dunque io l'ho pubblicato nella mia prima opera e tu fingi che lo abbia omesso: e con quanta verità e luce di discussione sia stato provato lo potrai confessare tu stesso, se leggerai le penultime parti del mio primo volume. Non è stata dunque troncata la tua sentenza, ma è stata distrutta tutta intera con una valida risposta. Ma ora ascolta brevemente. Ciò che l'Apostolo dice con queste parole: Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, non lo riferisce alla mortalità del nostro corpo, che la carne degli animali ha ricevuta per legge di natura, ma alla consuetudine di peccare. Dal quale reato dopo l'incarnazione del Cristo è liberato per mezzo della nuova alleanza chiunque sia passato agli amori della virtù. Ivi dunque, parlando in persona dei Giudei, che anche dopo l'interdizione della Legge sacra erravano per la cupidigia dei piaceri, mostra che in tale stato c'è un un'unica soluzione: che credessero al Cristo. Paolo prescriveva i rimedi per i peccati futuri così da concedere il perdono dei peccati passati. Né incombeva sui rei con la minaccia del castigo, ma quanti accorrevano li accoglieva liberalissimamente al caldo del suo seno, senza soffocare i depressi dal terrore, ma rinfrancando con benignità i ravveduti. La quale benignità l'aveva sperimentata lui stesso che diceva: Questa parola è sicura e degna di esser da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia: perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me tutta la sua pazienza, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. ( 1 Tm 1,15-16 ) E perché tu intendessi che ciò si riferisce alla vita cattiva degli uomini e non alla loro natura, con il rischio di credere che in relazione all'avvento del Cristo Paolo dichiarasse peccatori anche i bambini, dice: Ha voluto dimostrare in me tutta la sua pazienza. Ma la pazienza di Dio è quella di cui parla ai Romani: Non riconosci che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? Tu però con la tua durezza e con il tuo cuore impenitente accumuli collera su di te per il giorno dell'ira. ( Rm 2,4-5 ) Si esercita dunque la pazienza di Dio quando lei aspetta non a breve termine la conversione umana. Nei bambini invece non può apparire la pazienza divina. Se infatti esistessero dei peccati di natura che il Salvatore imputasse ai bambini, certo sarebbe falso dirlo paziente, ma con tutta certezza si direbbe crudele. Ma Dio non può essere se non pio e giusto, e lo è il mio Dio Gesù Cristo, del quale hanno sperimentato la pazienza sia Paolo per lungo tempo persecutore, sia altri, in persona dei quali egli parla, attesi lungamente, sebbene liberati tardivamente. E perciò dall'Apostolo è condannata la vita degli uomini, non la loro natura. Raccomandando dunque ai Giudei questa grazia, perché la legge punisce i peccatori e non ha l'efficacia misericordiosa del battesimo, dove una breve confessione purga azioni delittuose, indica a loro il dovere di ricorrere al Cristo, d'implorare il soccorso di cotesta sua indulgenza e di avvertire che la legge morale minaccia sventure, la grazia invece efficacemente e prontamente medica. Corpo di morte ha detto pertanto i peccati, non la carne. Se infatti avesse parlato della miseria delle membra, che tu stimi esserci capitata a causa del peccato, l'avrebbe chiamata più esattamente morte del corpo che corpo di morte. Ma perché tu sappia che secondo la consuetudine delle Scritture i peccati si dicono membra, leggi [ la Lettera ] ai Colossesi dove l'Apostolo stesso dice: Mortificate le vostre membra terrene: la fornicazione, l'impurità e l'avarizia che è una idolatria: cose tutte che attirano l'ira di Dio su coloro che disobbediscono. Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi. ( Col 3,5-7 ) Ecco come chiama membra le azioni che dichiara peccati. Lo stesso corpo del peccato si ha qui nella [ Lettera ] ai Romani: Il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato e non fossimo più schiavi del peccato. ( Rm 6,6 ) Nello stesso senso dunque esclama, impersonando i Giudei, come abbiamo detto: Sono uno sventurato! Chi mi libererà dal corpo di questa morte? ( Rm 7,24 ) Ossia: Chi mi libererà dal reato dei miei peccati che ho commessi, mentre potevo evitarli, e che la severità della legge non condona, ma punisce? Chi mi potrà affrancare da queste membra, cioè da questi vizi che, imitando i cattivi, ho messi insieme così da costruirmi un corpo pieno di peccato? Chi, dico? E, quasi colpito dalla voce della realtà stessa, risponde: La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,25 ) La grazia di Dio che porta ai fedeli il dono della giustizia senza le opere, secondo quello che dice Davide: Beati coloro ai quali sono state rimesse le colpe e coperti i peccati. Beato l'uomo a cui il Signore non imputa il peccato. ( Sal 32,1-2 ) Dio dunque, che fa beato l'uomo, è beato anche lui stesso, giustizia sempiterna, con la quale non condona se non il peccato che aveva il diritto d'imputare. Ma non avrebbe potuto avere il diritto d'imputarlo, se quegli a cui si imputa non l'avesse potuto anche evitare. Nessuno però può evitare le realtà naturali. Nessuno dunque può assolutamente avere un peccato per necessità di natura. Basti averlo detto brevemente. Agostino. Ti sei ingegnato davvero con le tue disquisizioni a volgere al vostro senso le parole dell'Apostolo: Chi mi libererà dal corpo di questa morte? Ma che non lo potevi, lo vide meglio di te, colui che mandò il fascicolo a quell'illustre personaggio. Egli perciò, ricordando le mie parole, omise le tue, perché non si ridesse della tua aspettata e partorita risposta. Chi potrebbe infatti non ridere di una risposta, di cui non so se abbiate potuto convincervi, e tuttavia avete pensato di doverne convincere altri: l'Apostolo avrebbe impersonato il Giudeo che non è ancora stabilito sotto la grazia del Cristo e dice: Sono uno sventurato! Chi mi libererà dal corpo di questa morte? la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,24-25 ) Ma è proprio vero che è Giudeo e non ancora cristiano chi dice: La grazia di Dio mi libererà per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore? Ma lascio andare questo. Chi però potrebbe sopportare l'interpretazione che un uomo, parlando dei suoi peccati passati perché gli vengono rimessi per mezzo della grazia del Cristo che lo perdoni, dica: Chi mi libererà dal corpo di questa morte? quando apparisce limpidamente da dove sia giunto a queste parole? Ecco, le sue parole sono nei nostri orecchi: vediamo dunque se si confessi sventurato per quello che ha fatto volente o per quello che fa nolente. Grida costui: Non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto io faccio. ( Rm 7,15 ) Grida: Non sono più io che lo opero, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non faccio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio. ( Rm 7,17-19 ) Non dice: " Ho fatto "; ma: Faccio. Non dice: " Non sono stato io che l'ho operato ", ma: Non sono più io che lo opero. Non dice: " Ho agito "; ma: Agisco, e: " Non quello che voglio ", ma quello che non voglio. Infine gode secondo l'uomo interiore della dilezione della legge di Dio, ma vede nelle sue membra un'altra legge che muove guerra alla legge della sua mente, e da questa legge è spinto non a fare il bene che vuole, ma a fare il male che non vuole. È per questo che esclama: Sono uno sventurato! Chi mi libererà dal corpo di questa morte? ( Rm 7,24 ) E tu contro la verità più chiara chiudi gli occhi e spieghi il suo gemito non come è patente a tutti, ma come è piacente a te, commentando le parole: Chi mi libererà dal corpo di questa morte? nel senso: " Chi mi libererà dal reato dei peccati che ho commessi "? Costui dice: Il male che non voglio io faccio, e tu dici: " Che ho commessi ". Forse fino a tal punto delle persone che leggono questi scritti disperi che preferiscano ascoltare lui piuttosto che te e credere a lui piuttosto che a te? Lascia chiedere a costui la grazia di Dio non solo per essere assolto perché ha peccato, ma anche per essere aiutato a non peccare. Ed è quello che fa in questo caso. Se dice: il male che non voglio, io faccio, non ha motivo di dire: Rimetti a noi i nostri debiti, ma di dire: Non c'indurre in tentazione. ( Mt 6,12-13 ) Come dice però l'apostolo Giacomo: Ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza che l'attrae e lo seduce. ( Gc 1,14 ) Questo è il male di cui egli dice: So che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene. ( Rm 7,18 ) Questo male è nel corpo di questa morte. Questo male non esisteva nel paradiso prima del peccato, perché questa carne non era ancora il corpo di questa morte, alla quale si dirà da ultimo: Dov'è, o morte, la tua vittoria? ( 1 Cor 15,54-55 ) Ma lo si dirà quando questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale si sarà vestito d'immortalità. ( 1 Cor 15,53-54 ) Per ora invece è corpo di questa morte, perché il medesimo Apostolo ha detto: Il corpo è morto a causa del peccato. ( Rm 8,10 ) Ascolta gli intenditori cattolici dell'Apostolo. Accogli, non le mie parole, ma quelle di coloro con i quali io accolgo le tue ingiurie. Ascolta non Pelagio, ma Ambrogio. Anche la carne di Paolo scrive era corpo di morte, come egli stesso attesta: " Chi mi libererà dal corpo di questa morte? ". Ascolta, non Celestio, ma Gregorio: Dentro di noi stessi, dice, siamo assaliti dai nostri vizi e dalle nostre passioni. Giorno e notte ci pungono gli speroni brucianti del corpo di questa bassezza e del corpo di questa morte, provocati dovunque, a volte segretamente, a volte anche palesemente, e innervositi dall'attrazione dei piaceri materiali, mentre questo fango schifoso nel quale ci troviamo esala con ogni abbondanza il fetore della sua lordura, e per giunta anche la legge del peccato, la quale è nelle nostre membra, fa guerra alla legge dello spirito. Tu abbaiando a queste stelle della città celeste scrivi: Corpo di morte ha detto i peccati, non la carne, e neghi che l'Apostolo abbia voluto riferirsi alla mortalità del nostro corpo, mortalità che la carne degli animali, così ti esprimi, ha ricevuta per legge di natura. Tu infatti ritieni proprio quello che Pelagio nel processo palestinese condannò con cuore finto: che cioè Adamo fu creato mortale, di modo che sarebbe morto sia che peccasse, sia che non peccasse. E così, opponendoti a questi personaggi e ad altri loro compagni nella fede sana, a tanti e a tanto grandi dottori, sei costretto a riempire il paradiso, anche se nessuno avesse peccato, del dolore delle partorienti, della fatica dei nascenti, dei gemiti dei languenti, dei funerali di quelli che muoiono, della mestizia di quelli che piangono. Che c'è da meravigliarsi allora che siate andati fuori da questo paradiso che è la Chiesa, quando quel paradiso, dal quale andarono fuori coloro che peccando ci mandarono in coteste miserie, lo avete fatto quale non osa immaginarlo, non dico nessuno dei Cristiani, ma nemmeno qualcuno degli uomini, se non è un pazzo? 68 - La tua mamma bevitrice Giuliano. Nella prima opera infatti la discussione è stata più ampia. Del resto nemmeno tu sei chiaro nel dire quale morte tu voglia far intendere, quando dici che nel paradiso prima del peccato non c'era il corpo della morte, perché nei libri che dedicasti al nome di Marcellino hai confessato che Adamo fu creato mortale. Quanto all'affermazione aggiunta da te che l'istituto delle nozze è un morbo, si può accettare pacificamente, se lo dici soltanto dei tuoi genitori. Forse infatti puoi essere consapevole di qualche morbo occulto della tua mamma, della quale nei libri delle Confessioni hai informato che era stata chiamata, per usare la tua stessa parola, meribibula [ bevitrice di vino ]. Per il resto nel matrimonio dei santi e nel matrimonio di tutte le persone oneste non c'è assolutamente nessun morbo. Perché anche l'Apostolo non concesse per rimedio un morbo, quando premuniva le persone della Chiesa dal morbo della fornicazione per mezzo dell'onestà delle nozze. E come il modo di sentire dell'Apostolo abbia completamente ridotto a zero la tua sfrontatezza e il tuo dogma, è mostrato nella penultima parte del mio primo volume, ed è stato spiegato pure in tutto il corpo della risposta stessa, come ha suggerito l'opportunità dei contesti. Agostino. In nessun altro caso come in questo è apparso così evidente il tuo dolo e la tua coscienza condannata dalla scienza. Tu sai infatti, tu sai benissimo, perché è tanto manifesto da non poterlo ignorare chi ha letto quei libri: tu sai che nei libri pubblicati da me per Marcellino io ho agito con forza contro la vostra eresia, che cominciava già a sorgere allora, perché non si credesse che Adamo sarebbe morto, anche se non avesse peccato. Ma poiché io lo dicevo mortale nel senso che poteva morire, atteso che avrebbe potuto peccare, tu a coloro che non hanno letto e forse non leggeranno quei libri hai voluto insinuare con velata insidia, caso mai leggessero questi tuoi scritti, che io abbia detto: Adamo fu creato mortale, di modo che sarebbe morto, sia che peccasse, sia che non peccasse. Di questo infatti si trattava con voi, qui sta tutta la controversia tra noi e voi: noi diciamo che Adamo, se non avesse peccato, non avrebbe sofferto la morte del corpo; voi invece dite che sarebbe ugualmente morto, tanto se avesse peccato, quanto se non avesse peccato. Perché dunque fingi d'ignorare quale morte io voglia fare intendere quando dico che nel paradiso prima del peccato non c'era il corpo della morte, mentre sai ciò che ho fatto in quei libri e con quale esplicitezza e chiarezza l'ho fatto, spiegando che Dio non avrebbe detto al peccatore nel punirlo: Polvere sei e polvere tornerai ( Gen 3,19 ) - e chi non intende che l'abbia detto della morte del corpo? - se Adamo avesse dovuto tornare in polvere, cioè morire, almeno con il corpo, anche senza aver commesso nessuna iniquità? A credere poi di dover insultare anche mia madre, che non ti ha fatto nulla di male e contro di te non ha mai avuto alcuna discussione, sei stato vinto dalla libidine della maldicenza, senza aver timore di quello che è scritto: Neppure i maldicenti erediteranno il regno di Dio. ( 1 Cor 6,10 ) Ma che c'è da meravigliarsi se ti mostri nemico anche di lei, quando sei nemico della grazia di Dio, per la quale ho detto mia madre liberata da quel suo vizio di fanciullezza? Io al contrario tengo in onore i tuoi genitori come Cristiani cattolici e mi rallegro con essi che siano morti prima di vederti eretico. Quanto poi all'istituto delle nozze, noi non diciamo che sia un morbo, consistendo nel giacere insieme per procreare figli e non per saziare la libidine, che tu neghi sia un morbo, mentre confessi che contro di essa è stato previsto il rimedio delle nozze. Certamente infatti perché non si pratichi la fornicazione, il rimedio delle nozze contraddice, si oppone, resiste alla libidine che tu lodi. Di modo che, se la libidine oltrepassa quel limite che le è stato imposto per la procreazione dei figli, chi cede alla libidine nel coniuge pecchi almeno venialmente. Ai coniugi infatti parlava l'Apostolo quando, dopo aver detto: Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione, soggiunge subito: Questo però vi dico per venia, non per comando. ( 1 Cor 7,5-6 ) Di questo male pertanto la sola a far buon uso con l'intenzione di propagare la prole è la pudicizia coniugale. A questo male si cede venialmente nel coniuge, quando si cede non per la prole, ma solo per la voluttà carnale. A questo male si resiste per non soddisfare la bramosia di una voluttà riprovevole. Questo male abita nel corpo di questa morte, ed è per il suo muoversi inopportuno, anche quando manca il consenso della mente, che si dice: Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene. ( Rm 7,18 ) Questo male non c'era nel corpo di quella vita, dove la libidine o non esisteva affatto perché obbedivano alla volontà anche le membra genitali, o non si muoveva assolutamente mai contro l'arbitrio della volontà. Di questo male, insorto improvvisamente, sentirono vergogna i progenitori, ( Gen 3,7 ) che prima di peccare erano nudi, ma non ne provavano vergogna. ( Gen 2,25 ) Di questo male hai sparso le lodi impudentemente anche con quei quattro libri tuoi, ai quali sono stato costretto a rispondere con sei libri miei. 69 - Ritorni al tuo passato manicheo Giuliano. Ma per arrivare a tale confessione della miseria umana e della grazia divina, l'Apostolo aveva detto sopra: Nelle mie membra vedo un'altra legge che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato. ( Rm 7,23 ) Dopo tali parole ha esclamato: Chi mi libererà dal corpo di questa morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,24-25 ) Risulta bene per le premesse poste da te che l'Apostolo ha soggiunto: Sono uno sventurato! Chi mi libererà dal corpo di questa morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. Ma presentemente non facciamo la questione se l'Apostolo l'abbia detto, bensì la questione con quale fede, con quale senso, con quale ragione l'abbia detto. Egli infatti chiamava legge insita nelle membra, ribelle ai santi consigli per consuetudine di cattive azioni e ancora agli inizi dell'emendamento, l'abitudine cattiva, che anche dagli eruditi del mondo si suole dire seconda natura. Poco prima infatti, chiamando in causa per rimproverarli coloro ai quali parlava, aveva detto: Parlo con esempi umani, a causa della debolezza della vostra carne. Come avete messo le vostre membra a servizio della impurità e della iniquità a pro dell'iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione. ( Rm 6,19 ) E per mostrare che non chiamava carne questo corpo che ha le sue radici nei semi, ma chiamava carne impropriamente i vizi, circa due capitoli dopo soggiunge: Quando eravamo nella carne, le passioni peccaminose, stimolate dalla legge, si scatenavano nelle nostre membra al fine di portare frutti per la morte. ( Rm 7,5 ) Dice: Quando eravamo nella carne, quasi che al tempo in cui discuteva non fosse nella carne. Ma chi conosce le Scritture, riconosce questo genere di elocuzione. Perciò dove la comunanza delle parole ingenera questione, si adoperi la regola della ragione per riportare sulla sua livella quanto sembri che si sia abbassato. Del resto, Fausto, vescovo dei manichei, tuo maestro, è di questa testimonianza dell'Apostolo che soprattutto si avvale contro di noi, dicendo che con questi ragionamenti, della legge cioè che abita nelle membra in opposizione al consiglio della mente, nient'altro è stato significato da lui che la natura cattiva. Quindi niente di meno doveva essere fatto da te che intendere questo passo nel modo in cui viene esposto dai manichei, così che, imboccando tu il medesimo vicolo storto di Fausto, la tua non sembra una discussione, ma una restituzione del passato. Agostino. Ti risponda non il manicheo Fausto, ma il cattolico Gregorio, dotto e dottore. Egli, non agli inizi dell'emendamento, come dici tu, non chiamava legge insita nelle membra, ribelle ai santi consigli per abitudine di malvagie azioni, la consuetudine cattiva, che anche dagli eruditi si suole dire seconda natura; ma la legge del peccato, che è nelle nostre membra in guerra con la legge della mente l'attribuiva a questo nostro corpo mortale e terreno, scrivendo in modo pacifico ed aperto: La legge del peccato, che è nelle nostre membra, muove guerra alla legge dello spirito, mentre si studia di rendere sua schiava l'immagine regale che sta dentro di noi, e di cedere alla legge del peccato come sue spoglie tutte le ricchezze che tale immagine ha versate in noi per il beneficio di quella divina e prima creazione. Perciò, dice, forse qualcuno appena, governandosi con lunga e rigida filosofia e ritornando un poco alla volta alla nobiltà della sua anima, potrà richiamare e rivolgere a Dio la natura della luce che è in lui, congiunta a questo umile e tenebroso loto. O almeno, agendo con il soccorso della misericordia di Dio, si richiamerà ugualmente alla luce e al loto, se tuttavia con lunga e assidua meditazione si abitua a guardare sempre in alto e ad innalzare con freni ancora più forti la materia che lo abbassa e lo appesantisce. Questo diceva il beato Gregorio, non agli inizi del suo emendamento, ma già vescovo, volendo esporre o piuttosto, trattandosi di verità risapute, ricordare in quale e quanta lotta contro i vizi interni si trovino i santi a causa del corpo che aggrava l'anima. La quale lotta certamente non ci sarebbe stata in quel luogo di pace beata, cioè nel paradiso delle sante delizie, se nessuno avesse peccato. Ivi infatti non ci sarebbe il corpo di questa morte, la cui corruttibilità aggrava l'anima, ma il corpo di quella vita, nella quale la carne non concupirebbe contro lo spirito così da rendere necessario allo spirito di concupire contro la carne, ( Gal 5,17 ) ma la natura umana si allieterebbe della felice concordia di entrambi. Se dunque tu volessi espugnare e non aiutare i manichei, che introducono un'altra natura e sostanza del male, certamente non negheresti con quelli che ti hanno ingannato queste miserie della vita umana, che sono manifeste a tutti e cominciano dai bambini, ma con i fedeli cattolici e con i più chiari dottori diresti da dove sia precipitata in esse la nostra natura, che all'origine fu istituita nella beatitudine. 70 - Il peccato originale è una scusa originale Giuliano. Riassumendo dunque quanto abbiamo fatto: né io ho defraudato i tuoi scritti, né tu hai apportato alcunché su cui, ben lungi dal provarlo con la testimonianza delle Scritture, abbia riversato almeno uno sbiadito colore di pietà. Né l'Apostolo intese dire quello che tu pensi, né diversa era nel paradiso la condizione della mescolanza dei sessi da quella che si pratica adesso nei matrimoni o da quella di cui Dio ci ha fatto conoscere l'istituzione da parte sua, sia con la stessa creazione dei sessi e la qualità delle membra, sia con la ripetuta benedizione. Alla fine di tutto risplende questa verità: tutti coloro che sono ingannati da te, meritano più indignazione che compassione, perché a scusa dei propri crimini che commettono per cattiva volontà, infamano dietro tua istigazione la natività per non correggere l'attività. Agostino. Attività pia è in questa vita onorare Dio e per mezzo della sua grazia combattere contro i vizi interni e non cedere ad essi, quando eccitano e spingono a comportamenti illeciti, e chiedere con religiosa pietà il perdono se si cede e l'aiuto divino per non cedere. Nel paradiso al contrario, se nessuno avesse peccato, non ci sarebbe l'attività pia di espugnare i vizi, perché il permanere della felicità consisterebbe nel non avere vizi. Ma non è indizio di persone che combattono fedelmente contro i vizi l'esaltazione impudente dei vizi che voi fate frequentemente. Ed è proprio vero, o Giuliano, che Ambrogio quando diceva: Noi uomini nasciamo tutti sotto il peccato, essendo viziata la nostra stessa origine, o lo diceva dietro mia istigazione, o infamava la natività per non correggere l'attività? O forse Gregorio quando diceva: Venera la natività che ti ha liberato dai vincoli della natività terrena, o quando parlando del Cristo o parlando dello Spirito Santo diceva: Per mezzo di lui si cancellano le macchie della prima natività, attraverso le quali noi siamo concepiti nelle iniquità e le nostre madri ci hanno generati nei delitti; o Ilario, quando diceva del re Davide: Sa di essere nato sotto l'origine del peccato e sotto la legge del peccato, costoro infamavano la natività per non correggere l'attività? Oserai forse convincere il tuo cuore che l'attività dei pelagiani è preferita all'attività di costoro? Perdonate: non crederemmo mai che voi viviate meglio di loro, nemmeno se non amaste la concupiscenza della carne così da volerla collocare anche nel paradiso prima del peccato, tale e quale si trova ad essere ora che concupisce contro lo spirito. Poiché, se, come dici, Non era diversa la condizione nel paradiso della mescolanza dei sessi da quella che si pratica adesso nei matrimoni, vuol dire che c'era là anche prima del peccato la libidine della carne, senza la quale non possono attualmente mescolarsi i due sessi. Se dunque non volete che in quella beatitudine le membra genitali, non ancora pudende, nel compiere la loro opera di seminare la prole, potessero obbedire senza libidine alla volontà umana, torno ancora a domandarvi quale crediate fosse allora la medesima libidine. Certamente, quando era necessaria, seguiva la volontà. Ma forse anche quando non era necessaria per la propagazione dei figli, stimolava tuttavia l'animo e lo spingeva o a tutti gli accoppiamenti condannabili o a tutti gli accoppiamenti veniali con il coniuge? Se infatti era tale e quale è adesso, faceva senza dubbio così, sia che le si resistesse per temperanza, sia che le si cedesse per intemperanza. E allora l'uomo era costretto o a servire alla libidine peccando o a contrastarla con intima guerra. La prima di queste ipotesi, se avete sensibilità umana, la sentite in disaccordo con l'onestà; la seconda con la pace di quella felicità. Resta dunque che la libidine, se esisteva nel paradiso, era talmente sottomessa alla volontà da non trarre al peccato la mente retta e quieta, né da provocarla al combattimento, e da non spingere né a peccare né a battagliare lo spirito che obbediva a Dio e godeva di Dio. E poiché adesso la concupiscenza non è così, ma appetisce avidamente e non temperatamente gli stessi comportamenti leciti, in quelli poi illeciti o umilia lo spirito o concupisce contro lo spirito, riconoscete il male contratto dalla natura viziata nella sua integrità. Del qual male fa buon uso per l'ufficio di propagare la castità dei coniugi; dal qual male si trae il vincolo della colpa della generazione da sciogliere con la rigenerazione. 71 - L'iter del primo peccato Giuliano. Ma basta su questo; ora affronterò le questioni che seguono. Nel corpo dunque di questa morte, quale esso non era certamente nel paradiso prima del peccato, un'altra legge nelle nostre membra muove guerra alla legge della nostra mente, perché, anche quando non vogliamo, anche quando non acconsentiamo, né le offriamo le nostre membra per soddisfare ciò che desidera, tuttavia abita nelle nostre membra e sollecita la mente che resiste e si oppone, provocando un conflitto, il quale, sebbene non sia condannabile in quanto non attua l'iniquità, è tuttavia miserabile in quanto è senza tranquillità. Che sia naturale la voluttà di tutti i sensi lo insegna la testimonianza universale. Che poi questa voluttà e concupiscenza sia esistita nel paradiso prima del peccato lo mette in evidenza il fatto che la via al delitto passò attraverso la concupiscenza, la quale dopo aver eccitato gli occhi con la bellezza del pomo accese anche il prurito della speranza di un giocondo sapore. Non poté quindi questa concupiscenza, che pecca quando non tiene la sua misura ed è invece una disposizione naturale e innocente quando sta nel limite della concessione, non poté, dico, essere frutto del peccato, perché si dice che essa fu occasione del peccato non certo per suo vizio, ma per vizio della volontà. Leggi anche su questo argomento il mio secondo libro e troverai che quanto diciamo può convincere anche il tuo animo. Riguardo poi a quello che hai esposto quasi con un pizzico di acume: la legge del peccato è, sì, nelle nostre membra, ma essa ha il peccato quando acconsentiamo e invece suscita soltanto lotta quando non acconsentiamo e manifesta la nostra miseria turbando la pace, quale persona prudente non si accorgerà che è contraddittorio? Se infatti la legge del peccato, cioè il peccato e la necessità del peccato, è inserita nelle membra nostre per natura, che giova non prestarle il consenso, quando è inevitabile subire il castigo per il fatto stesso della sua presenza? Oppure, se c'è, sì, la legge del peccato, ma essa non pecca quando io non le acconsento, inestimabile allora è la potenza della volontà umana che, se l'assurdità ci consente di dire così, costringe lo stesso peccato a non peccare. Ma si ritorna alla insostenibilità del tuo modo di parlare: perché se non pecca non è nemmeno legge del peccato, se è legge del peccato pecca; se poi pecca soltanto perché esiste, in che modo le si può impedire di peccare dal momento che è impossibile far sì che il peccare si distacchi da lei? Agostino. Al tuo secondo libro ho risposto con il quarto dei miei e ho dimostrato che hai parlato a vuoto; ma giudichino i lettori se si debba risposta a chi arriva a tanta insania che, mentre confessa che il peccato è un male, dice che la concupiscenza dei peccati è un bene. E tuttavia siamo costretti a rispondere non volendo abbandonare le persone meno pronte d'intelligenza alle quali siano potuti arrivare questi libri. Che è dunque quello che dici senza sapere quello che tu dica? Forse che anche nel paradiso, prima dei veleni del serpente malconsigliante, prima che la volontà umana fosse corrotta da un discorso sacrilego, c'era già la libidine di un cibo illecito? E, ancora più intollerabile a sentirsi dire, provocava al male senza essere mala? E vedevano quegli esseri umani il frutto dell'albero proibito e la concupiscenza lo concupiva, ma, perché non lo mangiassero, la concupiscenza dello spirito lottava contro la concupiscenza della carne, e vivevano in quel luogo di tanta beatitudine senza possedere in se stessi la pace della mente e del corpo? Non siete dementi a tal punto da crederlo, non siete impudenti a tal punto da dirlo. Cercate allora di capire e non vogliate frastornare con vana loquacità coloro che capiscono. La prima a muoversi fu la volontà cattiva che credette al subdolo serpente, e la seguì la concupiscenza cattiva che agognò il cibo illecito. Non ci fu dunque nel paradiso una qualsiasi cupidigia che si sia opposta ad una qualsiasi volontà, ma piuttosto una cupidigia depravata si mise a servizio di una volontà depravata. E quindi, sebbene fossero già ambedue cattive, tuttavia fu la volontà a condurre la cupidità e non la cupidità a condurre la volontà; la cupidità non precedette la volontà, né resisté alla volontà. Infine, se prima della consumazione del peccato, la volontà si fosse rivoltata all'illecito operare, senza nessuna fatica si sarebbe sedata l'illecita cupidità. Parlando di questo il beato Ambrogio dice: La carne, ritornando alla fonte del suo vigore, riconosce la sua nutrice e, deposto l'ardire della ribellione, si aggioga all'arbitrio dell'anima che la governa. Tale era la carne nel momento in cui le fu concesso di abitare nei luoghi segreti del paradiso, prima che, infettata dal veleno del serpente pestifero, conoscesse la sacrilega fame e per golosità trascurasse il ricordo dei precetti divini, iscritti nei sensi dell'anima. Da qui è tradizione che sia nato il peccato, facendogli da genitori il corpo e l'anima: mentre la natura del corpo è tentata, l'anima sana compatisce malamente il corpo. Se l'anima avesse frenato l'ingordigia del corpo, l'origine del peccato sarebbe stata estinta sul nascere. Non vedi come Ambrogio, dottore cattolico e ricco di sapienza cristiana, ha già chiamato fame sacrilega la stessa concupiscenza dell'illecito cibo, che tu asserisci innocente se non si lascia ad essa di fare quello che desidera? E tuttavia se l'anima, correggendo appunto la volontà, avesse frenato cotesta ingordigia del corpo, sarebbe stata estinta sul nascere l'origine del peccato, come dice Ambrogio. Ma poiché, per non aver represso l'appetito del cibo illecito, si arrivò alla consumazione del peccato, non fu estinta l'origine del peccato, bensì dilagò nei posteri, e la discordia che ne seguì tra la carne e lo spirito fu tanto grande da convertirsi in natura a causa della prevaricazione del primo uomo, come dice in un altro passo il medesimo dottore. Tu però contro tutto questo dici che a te insegna la testimonianza universale che è naturale la voluttà di tutti i sensi. Come se nel corpo, non di questa morte ma di quella vita, non potesse essere la voluttà di tutti i sensi così sufficiente alla natura da non esservi assolutamente concupiscenze illecite per somma concordia dell'animo e della carne verso i diritti della virtù. Oh quanto grandemente sbagli tu nel congetturare dalla presente corruttibilità e infermità della natura le sante delizie del paradiso e quella beatitudine! Altra era quell'immortalità dove l'uomo poteva non morire, altra è l'attuale mortalità dove l'uomo non può che morire, altra sarà la somma immortalità dove l'uomo non potrà morire. Che litighi della concupiscenza litigante, cioè della legge che nelle membra alterca con la legge della mente? Si dice legge del peccato perché persuade ai peccati e li comanda, per così dire; e si pecca senza scusanti se con la mente ci si mette a suo servizio. Si dice peccato perché è stata causata dal peccato e appetisce di peccare. Il suo reato è stato sciolto dalla rigenerazione, il suo conflitto è stato lasciato in essere per esercitazione. È un male chiaramente. Non con le forze della nostra volontà, come credi tu, gli resistiamo, senza l'aiuto divino. Questo male va debellato, non va negato; lo dobbiamo sconfiggere, non difendere. Infine, se gli acconsenti riconosci che è un male peccando, se gli resisti riconosci che è un male lottando. 72 - La concupiscenza è peccato per la sua stessa presenza Giuliano. Oppure che giova la moderazione della concupiscenza, se l'accusa la sua stessa presenza? Vedi dunque dove si spingano i tuoi acumi! Primo a dire che la natura pecca senza la volontà, e ciò è impossibile. Secondo a dire che la concupiscenza è peccato e non pecca, cioè che una medesima cosa è e non è. Infine a dire che la concupiscenza quando turba la pace è miserabile, né è punita per tanto crimine d'aver distrutto la quiete; quando invece porta a compimento una iniquità è condannabile. Ma la legge del peccato, come per se stessa merita un castigo, così scusa la volontà dell'uomo. Perché una legge e costringente e naturale e mai desistente non può certo essere vinta dalla volontà, e nessuno è reo di ciò che non ha potuto evitare. Ma non pecca nemmeno la stessa legge del peccato, perché non ha potuto fare altro. Dio però ascrive a reato l'inevitabile, né a fare questo male così grave è costretto da qualcuno. Tutti assolti quindi, si trova in colpa Dio soltanto, che con strano ardire imputa agli altri la necessità, mentre egli fa il male senza necessità. Brava la tua sapienza, o nobilissimo disputatore, che con i passaggi della dialettica punica per raccomandare i doni hai rovinato i giudizi, per simulare la grazia hai rovesciato la giustizia, per infamare la natura hai incriminato il Creatore degli uomini, e l'hai incriminato tanto da far apparire il tuo Dio più colpevole non solo di un qualche peccatore, ma della stessa legge del peccato. E dopo tutto questo rechi la più volgare offesa a sacerdoti cattolici dicendo che negano la grazia del Cristo, del quale difendono l'equità; noi lodiamo, sì, la clemenza dei rimedi, ma salva rimanendo la giustizia delle leggi. Agostino. Magari riconoscessi i sacerdoti cattolici, che, molto tempo prima che voi cominciaste ad esistere, dissero che la natura umana è stata viziata dalla concupiscenza della carne, concupiscente contro lo spirito, sebbene anche lo spirito concupisca contro la carne, concupiscenza intesa come legge del peccato che resiste alla legge dello spirito dopo il peccato commesso nel paradiso. Nessuno quindi nasce attualmente senza la concupiscenza. Contro di essa combatte lo spirito nei santi per vivere in maniera giusta, lottando contro di essa fino a quando non esisterà più, una volta che sia stata ristabilita perfettamente la salute dell'uomo e riportata la carne all'accordo più completo con lo spirito. Dice Ambrogio che per la prevaricazione del primo uomo il dissenso tra la carne e lo spirito si è convertito in natura. Tale dissenso è descritto da Cipriano, un punico nel quale, come penso, non osi canzonare la dialettica punica che hai canzonata in me, in questi termini: Tra la carne e lo spirito c'è battaglia e scontro quotidiano per discordia reciproca, in modo che non facciamo le stesse azioni che vogliamo, cercando lo spirito i beni celesti e divini, concupendo la carne i beni terreni e mondani. Perciò preghiamo che tra loro due si stabilisca la concordia per intervento e aiuto di Dio, perché, compiendosi la volontà di Dio e nello spirito e nella carne, sia salva l'anima che per mezzo di Dio è rinata. È una verità che apertamente e manifestamente dichiara con la sua voce l'Apostolo dicendo: " La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne: queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste ". Tale concordia tra la carne e lo spirito, che Cipriano ci esorta a desiderare e a chiedere con l'orazione al Signore, tu non ammetti che esistesse nemmeno nel paradiso prima del peccato. O se vi esisteva, per quale ragione non confessi che andò perduta quando la natura rimase viziata per la prevaricazione del primo uomo, e alla beata pace dell'anima e del corpo successe una ben misera discordia? E ti indigni con noi come se recassimo offesa a sacerdoti cattolici, cioè a voi, con il nostro ragionare, perché diciamo che negate la grazia del Cristo, mentre siete voi che nella maniera più impudente e volgare offendete cotesti sacerdoti veramente cattolici con le parole che vomitate con furore sfrenato contro di me, perché seguo e difendo la fede di costoro. L'Apostolo dice: Camminate secondo lo spirito e non sarete portati a soddisfare le concupiscenze della carne. ( Gal 5,16 ) Domando: Perché le evoca se non esistono? Perché vieta di soddisfarle se sono buone? Ma spiega ancora quali concupiscenze siano, dicendo: La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne: queste cose si oppongono a vicenda, cosicché voi non fate quello che vorreste. ( Gal 5,17 ) A chi diceva: Non fate quello che vorreste? Lo diceva forse, secondo la vostra mirabile intelligenza, ai Giudei che non vivevano ancora sotto la legge del Cristo, e non a coloro ai quali aveva domandato: È per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver creduto alla predicazione? ( Gal 3,2 ) Dei fedeli cristiani diceva pertanto che non facevano quello che avrebbero voluto, concupiscendo la carne contro lo spirito. Per quale ragione questo, se non perché avrebbero voluto che la loro parte inferiore collimasse con la parte superiore, cioè che la carne collimasse con lo spirito, e non riuscivano a fare quello che avrebbero voluto, e restava ad essi di non acconsentire a quel vizio e allo spirito restava di concupire contro la carne? Ma anche se fosse stato vero in essi quello che pensate voi, che per una cattiva abitudine vivessero malamente, pur senza volerlo, cos'è che dici allora: La natura non può peccare senza la volontà, quando confessi che costoro peccavano senza volerlo? Per qual ragione poi la concupiscenza della carne sia stata detta peccato o legge del peccato, l'abbiamo già detto sopra. Che se è cosa buona non acconsentire alla concupiscenza per azioni illecite, certamente la concupiscenza è per se stessa un male, perché fa concupire azioni illecite, anche se non si fanno per mancanza di consenso e per mancanza di effettuazione. Quanto poi ai giudizi di Dio, a sovvertirli siete voi che dite che le miserie del genere umano, le quali cominciano dai bambini, accadono senza nessun merito di peccato. Né voi domandate il dono di Dio per non cadere in tentazione, ( Mt 26,41 ) cioè per non peccare. Confidate infatti nella vostra forza, e una delle due: o la cecità non vi fa vedere o la stoltezza non vi fa dolere d'essere stati denunziati e condannati da quel Salmo santo. ( Sal 49,7 ) 73 - Ti ho risposto integralmente Giuliano. Ma proseguiamo subito, passando alle nostre parole che per confutarle Agostino ha prese dalla prefazione. Scrive Agostino: Mi basta avere avvertito che costui si è proposto di confutare i miei testi con questo metodo: interrompere in alcuni casi le mie sentenze togliendo le parti intermedie, decurtarle in altri casi non riferendo le parti estreme. E mi basta aver indicato sufficientemente la ragione per cui costui abbia fatto così. Adesso vediamo che cosa abbia opposto di suo alle affermazioni nostre, poste da lui come ha voluto. Fanno ormai seguito infatti le sue parole e prima, come accenna colui che ti ha mandato il fascicolo, questi ha trascritto una parte della prefazione, certamente di quei libri dai quali ha fatto i pochi stralci. Ecco il contenuto della prefazione: "Fratello beatissimo" scrive "dottori del nostro tempo e autori di una nefanda sedizione che ferve ancora hanno decretato di giungere ad infamare e a rovinare attraverso la distruzione di tutta la Chiesa uomini che li irritano con i loro studi, non comprendendo quanto onore abbiano conferito a personaggi la cui gloria hanno dimostrata indistruttibile, a meno che non si distrugga la religione cattolica. Se qualcuno infatti dice o che negli uomini esiste il libero arbitrio o che Dio è il creatore di coloro che nascono, è chiamato celestiano e pelagiano. Per non essere dunque chiamati eretici, diventano manichei, e per paura di una infamia falsa incorrono in un crimine vero, a guisa di quegli animali che per spingerli nelle reti si accerchiano da ogni parte con ventagli di penne: incapaci di ragionare, si cacciano dentro ad una morte sicura per una paura vana". Conosco le mie parole, ma non riferite da te integralmente. E, sebbene la sostanza della controversia non stia in esse, perché fanno parte della prefazione, tuttavia, perché sia chiara la tua leggerezza, l'indirizzo beatissimo fratello non si trova in quel luogo, ma subito nella prima riga del libro. Ancora, dopo le parole: Ad infamare e a rovinare uomini che li irritano con i loro santi studi, ho aggiunto: Poiché altra via non si offriva, hanno decretato di giungere attraverso la distruzione di tutta la Chiesa. Dopo di che ho detto pure: Il confessore del libero arbitrio e il confessore di Dio creatore è chiamato celestiano e pelagiano. Spaventati da questo iniquo discorso, per togliersi di dosso un tale odioso nome, i semplici abbandonano anche la fede sana, pronti a credere senza ombra di dubbio e che negli uomini non esista il libero arbitrio e che Dio non sia il creatore di coloro che nascono, rinunziando così ad ambedue le verità che prima avevano affermate. Ma tutto questo è stato tralasciato da te. Dopo di che ci sono le parole che tu hai riportate: e non sarà un'opera difficile provare quanto siano sicuramente vere e quanto inoppugnabili. Né io dunque ho riportato alcunché di meno dalle tue parole, né tu hai riportato nemmeno il mio primo capitolo nell'ordine che io gli ho dato. Lo sottolineo proprio perché risulti la gravità dello scrittore punico. Agostino. Colui che dai tuoi libri estrasse i brani che volle e li trasmise a leggere a chi volle, fu lui stesso a fare ciò che tu imputi a me, né altro penso creda anche tu stesso. Né difatti nel mio medesimo libro, contro il quale tu abbai, io ho premesso una introduzione per dire a quale fascicolo fossi stato spinto a rispondere. Ma tu vai in cerca di che cosa dire dileggiando, perché senti di non dire nulla di valido ragionando. Sebbene, anche in quelle mie parole che ora poni davanti a te per confutarle avresti potuto avvertire quello che io dico. Non avrei detto infatti: Non sta così come parli tu, chiunque tu sii che l'hai detto, se fossi stato certo che eri stato tu a dirlo e non colui che mandò a chi volle lo scritto che volle, e che io avevo intrapreso a confutare dopo che mi era stato trasmesso. Ma rendo grazie a Dio che all'intera tua opera, dalla quale costui scelse quello che volle e come gli piacque, io, con l'aiuto del Signore, ho risposto in tal modo da sbaragliare tutti i macchinamenti eretti da te, nuovo eretico, contro l'antichissima fede cattolica. 74 - Ti ho già risposto Giuliano. Ascoltiamo dunque come tu abbia replicato contro queste mie parole: Non sta così come parli tu, chiunque tu sii che l'hai detto; non sta così; molto inganni o mediti d'ingannare: noi non neghiamo il libero arbitrio, ma è la Verità che dice: " Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero ". ( Gv 8,36 ) Questo Liberatore voi lo negate agli schiavi ai quali attribuite una falsa libertà. Infatti, " uno è schiavo di chi l'ha vinto ", ( 2 Pt 2,19 ) come dice la Scrittura e nessuno, se non mediante la grazia del Liberatore, è sciolto da questo vincolo di schiavitù, da cui non è immune nessun uomo. Appunto " a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui ". Amplissima è la dignità del nostro compito, come sta a indicare sia la stessa considerazione e stima degli interessi che difendiamo, sia anche la vostra paura. Voi, combattendo contro il sangue dei nostri con profusione di denaro, con elargizione di eredità, con invio di cavalli, con sedizione di popoli, con corruzione di magistrati, per un verso vi vergognate di professare la vostra fede che noi aggrediamo, e per un altro verso ricorrete alle parole della nostra sentenza dalla quale avete deviato. Agostino. O calunni scientemente, se lo dici mentendo; o lo credi, non sapendo che dire, con persone che mentiscono. Ma ormai basti quello che ho già risposto per questi argomenti alla tua falsità o anche alla tua malignità. 75 - Non è questione di appellativi Giuliano. È infatti tanto sacrilego ciò che ha intrapreso la vergognosa prevaricazione di Babilonia da negare voi quanto obiettiamo noi, ed è tanto santo ciò che crediamo noi da desiderare voi di nascondervi alla sua ombra, pur con mente perversa. Infatti, nel cercare di esprimere tutto quello che era contenuto nelle membra sparse della vostra discussione e nel sintetizzare in breve la sostanza della questione per mettere in luce quanta e quale essa fosse senza fumo e nebbie, io ho detto che voi negate il libero arbitrio e la creazione divina di coloro che nascono, e che noi al contrario difendiamo ambedue queste verità. Per questo voi avete sollevato agli occhi di persone ignare un chiasso inutile di nomi di personaggi cattolici che si affaticano con noi a pro della fede cattolica difesa da noi. Sicché quanti temevano d'essere chiamati celestiani da voi abbandonavano la dignità della fede celestiale e quanti paventavano d'essere chiamati pelagiani da voi si precipitavano nel pelago dei manichei, ed ogni ignorante credeva di non potersi chiamare cristiano se i traduciani l'avessero chiamato pelagiano, mentre all'inverso i sapienti stabilivano che ognuno deve sostenere qualsiasi odiosità e ingiuria di nomi piuttosto che abbandonare la fede cattolica. Ma perché non ti glori nemmeno di questo modo di offendere come di un'invenzione del vostro ingegno, ricordatevi che noi siamo abituati a ricevere proprio da tutti gli eretici diversi appellativi. Nel sinodo di Rimini rifulse però fin troppo che cosa di scellerato possa ottenere presso animi plumbei o l'ambiguità di una parola o la minaccia di un nuovo vocabolo. Infatti quando sotto un imperatore ariano, un uomo di grande carattere e di sanissima fede, Atanasio, vescovo di Alessandria, si oppose quasi al mondo intero, caduto dalla fede degli Apostoli, e a tempi spietati, e fu per questo costretto all'esilio, di seicentocinquanta vescovi se ne trovarono appena sette, si racconta, ai quali fossero più cari i precetti di Dio che quelli del re, che cioè né approvarono la condanna di Atanasio, né rinnegarono la professione della Trinità. Ebbene, tutta quella moltitudine di vigliacchi, a parte il timore delle ingiustizie, fu ingannata soprattutto o dalla minaccia di un nome, ossia di essere chiamata atanasiana, o dall'astuzia dell'interrogazione. Agostino. A chiamare atanasiani, oppure omousiani i cattolici sono gli ariani e non anche gli altri eretici. Voi invece, non solo dai cattolici, ma pure da eretici che non sono simili a voi e da eretici che dissentono da voi siete chiamati pelagiani, come gli ariani sono chiamati ariani non solo dalla Cattolica, ma anche dalle eresie. Al contrario voi soli date a noi l'appellativo di traduciani, come gli ariani l'appellativo di omousiani, come i donatisti l'appellativo di macariani, come i manichei l'appellativo di farisei, e come tutti gli altri eretici dànno a noi diversi appellativi. 76 - Voi, fabbricatori di frodi Giuliano. Infatti gli ariani che allora spadroneggiavano proposero: " Volete seguire l'omousios o il Cristo "? Costoro, quasi si trattasse di un personaggio ecclesiastico, risposero immediatamente che seguivano il Cristo e ripudiarono l'Omousios. E così uscirono esultanti come se credessero al Cristo che avevano già rinnegato negando che fosse omousios, ossia dell'unica sostanza del Padre. Altrettanto anche voi adesso, fabbricatori di frodi, atterrite gli orecchi delle persone ignare perché, se non vogliono essere asperse del nome di uomini che si affaticano a pro della fede, neghino e il libero arbitrio e la creazione divina degli uomini. Questa dunque risulta l'obiezione fatta da me in quel passo, e la presente discussione renderà palese quanto non l'abbia fatta falsamente. Tu rispondesti dunque in questo modo: Noi non neghiamo il libero arbitrio e nient'altro aggiungesti di tuo. Sarebbe stato logico che tu completassi senza tergiversazione la tua sentenza e, dopo aver premesso che non negavi la libertà dell'arbitrio, aggiungessi: Ma confessiamo che la libertà dell'arbitrio data da Dio rimane nella natura umana. Agostino. In che modo rimane la libertà in coloro che per essere liberati dalla schiavitù che li ha avvinti al peccato, vincitore su di loro, hanno bisogno della grazia divina, se non nel senso che sono liberi anch'essi, ma dalla giustizia, come dice l'Apostolo: Quando eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia? ( Rm 6,20 ) 77 - Cominciamo a discutere dalle definizioni e distinzioni Giuliano. Con questo tuo discorrere avevi infatti compiuto qualcosa, contro cui se tu in seguito avessi parlato, saresti potuto apparire troppo imprudente; se invece avessi parlato in modo coerente, saresti potuto apparire almeno in ritardo un poco più corretto. Adesso al contrario dici che io inganno, mentre ciò che ho obiettato lo provo per mezzo di te, e tu subito mentisci in ciò che credi di aver messo in piedi sapientemente. Dici appunto: Noi non neghiamo il libero arbitrio e poi fai seguire la testimonianza del Vangelo: Se il Figlio vi farà liberi, dice la Verità, sarete liberi davvero. ( Gv 8,36 ) Poiché consta che ciò in quel luogo non fu proferito dal Signore nostro Gesù in riferimento al libero arbitrio, rimandando per poco l'esposizione di tale sentenza, spieghiamo con definizioni e con distinzioni che cosa ritenga ciascuno di noi due. Secondo appunto la disciplina di tutti i dotti, l'inizio di una discussione si deve prendere dalla definizione. Agostino. Allora gli Apostoli, che non presero gli inizi delle loro discussioni dalla definizione, non erano dotti? Eppure erano Dottori delle Genti e disprezzatori di quei tali dottori di cui ti piace vantarti. Tenterai certamente di travolgere alla tua sentenza la frase del Signore: Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero, ma come essa non ti segua apparirà appena comincerai a tentarlo. 78 - La definizione della libertà Giuliano. Come dice Cicerone, ogni disputa che si faccia ragionando su un qualche argomento deve partire dalla definizione, perché si capisca di che cosa si discute. Anche noi dunque, come sopra abbiamo dissertato sulla definizione della giustizia e del peccato, adesso vediamo altresì quale definizione competa alla libertà dell'arbitrio, perché sia chiaro chi concordi con tale definizione e chi discordi da essa. La libertà dell'arbitrio, con la quale l'uomo è stato emancipato da Dio, consiste nella possibilità di commettere il peccato e di astenersi dal peccato. Agostino. Dici essere stato l'uomo emancipato da Dio e non tieni conto del fatto che con l'emancipato si agisce così che egli non sia nella famiglia del padre. 79 - Il libero arbitrio è l'arbitrio liberato Giuliano. L'uomo infatti fu creato animale ragionevole, mortale, capace di virtù e di vizio, in grado per possibilità concessagli o di osservare i comandamenti di Dio o di trasgredirli; in grado di rispettare il diritto della società umana per il magistero della natura, libero di fare volontariamente l'una o l'altra scelta: e in questo sta essenzialmente il peccato e la giustizia. Infatti quando l'uomo per sua virtù a favore dei bisognosi spreme qualcosa o dalle fonti della sua misericordia o dalle mammelle della giustizia, a fare questo esteriormente è già quella stessa giustizia che una volontà santa ha concepita e partorita interiormente. Agostino. Se la volontà abbia concepito di suo la giustizia è quanto si discute con voi che, ignorando la giustizia di Dio, volete stabilire la vostra. ( Rm 10,3 ) Certamente una volontà santa concepisce la giustizia con una santa riflessione, della quale è scritto: La buona riflessione ti custodirà. ( Pr 2,12 sec. LXX ) Ma l'Apostolo dice: Non che da noi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio. ( 2 Cor 3,5 ) Se capite questo, capirete che nient'altro è l'arbitrio lodevolmente libero se non l'arbitrio liberato da Dio per mezzo della sua grazia. 80 - L'interno e l'esterno della volontà Giuliano. Così pure all'inverso, quando qualcuno è stato o iniquo o crudele stabilendo di agire malamente a danno di altri, l'operazione con la quale nuoce ad altri esce fuori dalla nequizia che la cattiva volontà ha seminata e generata dentro. Quando però manca alla forza della volontà segreta la facoltà di erompere fuori contro il prossimo, la natura della benignità o della malignità ha tuttavia ricevuto soddisfazione al di dentro della stessa e sola volontà, che abbia fatto qualcosa o di buono o di cattivo, con non un breve impulso, ma con riflessione e desiderio. Agostino. Se, come capisci che la volontà anche con il solo pensare può dare compimento alla natura o della benignità o della malignità, allo stesso modo capisci ciò che dice l'Apostolo parlando del pensare buono e santo, che noi non siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, potrai essere corretto e accogliere umile la grazia, di cui la superbia ti ha fatto nemico, perché tu vuoi essere tra quelli che confidano nella propria forza ( Sal 49,7 ) e non tra quelli che dicono: Ti amo, o Signore, mia forza. ( Sal 18,2 ) 81 - Il più libero è Dio Giuliano. È buona dunque la possibilità e del bene e del male, perché poter fare il bene è l'atrio della virtù e poter fare il male è testimonianza di libertà. Agostino. Dunque non è libero Dio, del quale è detto: Non può rinnegare se stesso, ( 2 Tm 2,13 ) e del quale anche tu hai scritto: Dio non può essere che giusto, e in un altro passo: Ma Dio non può essere se non pio e giusto. 82 - Dopo il peccato originale la libertà si ricupera per liberazione Giuliano. Mette dunque l'uomo in grado di avere il proprio bene quella stessa dote che gli consente di poter fare il male. Perciò tutta la pienezza della giustizia divina è così interessata con questa libertà degli uomini che riconoscere l'una possibilità è conoscerle ambedue. Ne consegue che le viola entrambe chi ne viola una. Si rispetti quindi anche la libertà dell'arbitrio umano come si rispetta l'equità divina. Questo è il modo d'intendere il libero arbitrio che ha soggiogato alla verità ecclesiastica e l'opinione dei fati e i calcoli dei Caldei e le fantasie dei manichei. Questo è il modo d'intendere che, insieme a quelli ora enumerati, dimostra estranei al Cristo anche voi. La libertà dell'arbitrio è quindi la possibilità o di commettere il peccato o di evitarlo; possibilità che, immune da necessità cogente, ha naturalmente in suo diritto la scelta di seguire o la parte di coloro che risorgono, cioè di seguire gli ardui e aspri sentieri delle virtù, o le depressioni e le paludi delle voluttà. Agostino. L'uomo, finché stette nella volontà buona del libero arbitrio, non aveva bisogno della grazia che lo sollevasse, come se non potesse risorgere da se stesso. Adesso invece nella sua rovina è libero dalla giustizia e schiavo del peccato, né può essere schiavo della giustizia e libero dal dominio del peccato se non quando il Signore l'abbia liberato. 83 - La fortezza dei cristiani e dei pagani è libertà Giuliano. Per concludere brevemente su tale argomento, la possibilità vigila su questo soltanto: che l'uomo non sia spinto da nessuno al peccato, o non sia distolto dal peccato per schiavitù di volontà. La quale volontà che non possa essere fatta schiava, se non vuole arrendersi da se stessa, lo attesta la fortezza, i cui muscoli si sono assiduamente coperti di gloria nel disprezzare i dolori e in mezzo ai pagani e in mezzo ai Cristiani. Agostino. È proprio questo che fa la vostra eresia: voi aggiungete qui anche i pagani, perché non si creda che i Cristiani abbiano potuto fare o abbiano fatto con la grazia di Dio l'opera della pia fortezza, che è propria dei Cristiani e non comune a Cristiani e pagani. Udite dunque e intendete bene: la fortezza dei pagani la fa l'ambizione mondana, la fortezza dei Cristiani la fa la carità divina, la quale è stata riversata nei nostri cuori, non per mezzo dell'arbitrio della volontà che viene da noi, ma per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 ) 84 - In due modi ci libera Gesù: perdonando e ispirando Giuliano. Se dunque la libertà dell'arbitrio, come ha fatto capire la ragione, caccia via le necessità, perché o buono o cattivo non sia nessuno che non abbia la libertà del contrario, come mai tu o hai confessato il libero arbitrio, pronto ad usare una testimonianza tale che si addice agli schiavi, o hai introdotto tale testimonianza dopo aver confessato il libero arbitrio? Tu dici infatti: Noi non neghiamo il libero arbitrio, ma " se il Figlio vi farà liberi ", dice la Verità, " sarete liberi davvero ". ( Gv 8,36 ) È manifesto che in quel luogo il Cristo rivolgeva le sue parole ad una coscienza schiava, che denunziava non libera, ma esposta a quella giustizia che condanna i peccati commessi con libera volontà. La quale sentenza, intendendola male o forse non intendendola dentro di te e tirandola qua contro la ripugnanza della sua natura, l'hai messa in un punto dove con tutto il suo senso letterale discorda dai tuoi ragionamenti. Accoppiando infatti le stesse parole: Ciò che si libera è schiavo, ciò che è schiavo non è libero, ciò che è libero non è schiavo. Agostino. Altro è la remissione dei peccati nelle azioni fatte malamente, altro è la carità che rende libero l'uomo di fare le buone azioni che sono da fare. In ambedue i modi il Cristo libera: perché e toglie l'iniquità perdonando e dona la carità ispirando. 85 - Smetti di cavillare Giuliano. Confessa tu qui semplicemente quella che vuoi delle due sentenze e smetti di cavillare: o dichiari con noi che l'arbitrio è libero e rimuovi la testimonianza che a suo tempo fu proferita congruamente, o, come in questi libri che hai mandati ora per mano di Alipio a Bonifacio, dichiara che è schiavo l'arbitrio che noi diciamo libero, e smetti di negare che sei manicheo. Agostino. Manicheo mescola follemente alla natura del suo Dio la sostanza immutabile del male, o piuttosto fa corruttibile la medesima natura di Dio e vuole che sia schiava sotto una natura a lui estranea. La fede cattolica afferma invece che la creatura umana, buona ma mutevole, è stata mutata in peggio dalla sua volontà e per questo, dopo che è stata depravata e viziata la sua natura, è tenuta come rea in condizione di schiavitù, non sotto un'altra sostanza, ma sotto il suo peccato. Conseguentemente la nostra sentenza è molto diversa da quella di Manicheo anche nei riguardi dello stesso liberatore. Manicheo infatti dice che il liberatore è necessario per separare da noi la natura estranea; noi invece per ridare sanità e vita alla natura nostra. Mostra dunque, se puoi, che non sei un ausiliare di Manicheo tu che, non volendo attribuire alla nostra natura viziata dal peccato le miserie degli uomini, con le quali il genere umano consente senza dubbio di nascere perché senza dubbio le sente, fai sì che Manicheo le attribuisca ad una natura estranea che si sia mescolata a noi. 86 - Noi seguiamo la dottrina del Dio maestro Giuliano. Del resto coteste due realtà che accoppi, libero e non libero, cioè libero e schiavo, quanto alla situazione di cui si tratta, non le possono convenire; quanto poi a te, esse attestano la presenza in te di una stoltezza singolare, di una sfacciataggine nuova, di un'empietà vecchia. Agostino. Noi diciamo liberi di fare le opere di pietà coloro ai quali l'Apostolo dice: Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino finale avete la vita eterna. ( Rm 6,22 ) Questo frutto di santificazione, che è senza dubbio la carità con le sue opere, non lo possiamo avere in nessun modo da noi, ma lo abbiamo per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 ) Dello stesso frutto parlava appunto il Dio maestro, quando ai tralci che rimangono in lui diceva: Senza di me non potete far nulla. ( Gv 15,5 ) Ma tu ci oltraggi per la presenza in noi di una stoltezza singolare, perché Dio è per noi la nostra forza e non confidiamo nella forza nostra; per la presenza in noi di una sfacciataggine nuova, perché non lodiamo con la tua faccia la concupiscenza della carne per la quale la carne concupisce contro lo spirito; per la presenza in noi di una empietà vecchia, perché contro la vostra perversità novizia difendiamo con il nostro lavoro, per quanto piccolo, gli antichi dogmi cattolici, insegnati da coloro che ressero prima di noi la Chiesa del Cristo nella sua grazia. Riconosci dunque in te la stoltezza, in te la sfacciataggine, in te l'empietà, non certo vecchia, ma nuova. 87 - Gesù ci libera dai peccati già fatti e dal farne altri Giuliano. Ma è tempo ormai che si discuta della sentenza evangelica. Scrive l'evangelista Giovanni: Diceva Gesù a quei Giudei che avevano creduto in lui: Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. ( Gv 8,31-32 ) Cioè il nostro Signore Gesù parlava a persone che gli credevano: raccomandava che non godessero di nessuna nobiltà mondana, né si rivendicassero la gloria di discendere dal seme di Abramo, si sforzassero e si studiassero di praticare le virtù e di non essere schiavi di nessun peccato dopo la conoscenza del Cristo, per conservare la vera libertà nella gioia della coscienza e per la speranza dei beni certi, cioè eterni, essere sottratti alla cupidigia di tutti gli altri beni, che per la loro fragilità si dicono frequentemente beni vani e falsi. Allora, non comprendendo di quale libertà avesse parlato Gesù, i Giudei gli risposero: Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi? ( Gv 8,33 ) Infatti in riferimento a molti contesti si può parlare di libertà: per esempio in questo passo in riferimento alla santità, come in riferimento alla risurrezione nell'Apostolo, dove dice che la creazione viene liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. ( Rm 8,21 ) La libertà che è più nota si dice in opposizione alla schiavitù. Con il medesimo nome di libertà s'indica pure la libertà dell'arbitrio. Si distinguano dunque i contesti, perché realtà molto diverse non si confondano per la comunanza di un nome. Qui dunque il Signore non dice che ha da essere liberata la libertà dell'arbitrio, ma, rimanendo questa nella sua integrità, invita i Giudei perché accogliendo l'indulgenza si liberino dai reati e conquistino quella libertà che presso Dio è la massima libertà, cominciando a non dovere più nulla ai peccati. L'Evangelista prosegue: Gesù rispose: In verità, in verità vi dico: ognuno che fa il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta per sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. ( Gv 8,34-36 ) Agostino. Nota che è stato detto: Ognuno che fa il peccato. Non dice infatti: " Chi ha fatto "; dice: Chi fa. E tu non vuoi che Gesù liberi gli uomini da questo male, non vuoi che in questo luogo egli ci prometta tale libertà da non fare il peccato, ma ci liberi soltanto perché l'abbiamo fatto. 88 - Schiavi del peccato originale anche coloro che non peccano personalmente Giuliano. Apertamente ha detto di quale schiavitù parlasse. Dice: Ognuno che ha fatto il peccato è schiavo del peccato. ( Gv 8,34 ) Ma quanto è forte contro il vostro errore il fatto stesso di dire che non è schiavo del peccato se non colui che ha fatto in propria persona il peccato, e che a nessuno si può attaccare un peccato che non sia stato commesso in propria persona da colui di cui si tratta o con l'azione o almeno con la sola volontà! Quanto inoltre dimostra che l'universalità del genere umano non può essere già ora posseduta dal diavolo il fatto che distingue tra schiavo e figlio, ossia tra giusto e ingiusto! Qui infatti il Cristo come separava se stesso, così separava anche ciascuno dei santi dalla condizione degli schiavi. E di santi ne vissero anche prima dell'Antico Testamento e nell'Antico Testamento, e di essi egli dichiara che restano nella casa di suo Padre e godono alla sua mensa. ( Lc 13,28-29 ) Ma tutto questo genere esortatorio sarebbe stato adoperato inopportunamente se Gesù non si fosse rivolto ad uomini di libero arbitrio. Agostino. Evidentemente si rivolge a coloro che in tanto fanno il peccato in quanto sono schiavi del peccato, perché, accogliendo la libertà che promette, cessino di fare il peccato. Tanto regnava infatti il peccato nel loro corpo mortale che si sottomettevano ai suoi desideri e offrivano al peccato le loro membra come strumenti d'ingiustizia. ( Rm 6,12-13.17-19 ) Contro questo male dunque che li faceva peccare avevano bisogno della libertà che Gesù prometteva. Non dice infatti: " Ognuno che ha fatto ", ma dice: Ognuno che fa il peccato è schiavo del peccato. Perché tenti di oscurare parole limpide con discussioni caliginose? Erompono per forza e anche contro la tua opposizione vincono con il loro fulgore le tue tenebre. Dice: Ognuno che fa il peccato è schiavo del peccato. Senti dire: Che fa, e tu vuoi non esporre, ma supporre: " Che ha fatto ". Ascoltino dunque quelli a cui egli stesso apre la mente all'intelligenza delle Scritture, ascoltino: Ognuno che fa il peccato è schiavo del peccato. E cerchino di ottenere la libertà di non fare il peccato, gridando a colui al quale si dice: Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola e su di me non prevalga il male. ( Sal 119,133 ) Perché poi ti prendi gioco delle intelligenze tarde e spieghi le parole del Signore così da insinuare che egli abbia detto che non è schiavo del peccato se non chi l'abbia fatto personalmente da sé? Tu agisci con frode: non ha detto questo. Infatti non dice: " Nessuno è schiavo del peccato se non colui che ha fatto il peccato ", ma dice: Ognuno che fa il peccato è schiavo del peccato. Sono infatti schiavi del peccato originale coloro che non fanno ancora il peccato in persona propria, e sono sciolti da tale vincolo di schiavitù con la rigenerazione. Non dunque ognuno che è schiavo del peccato fa il peccato, ma ognuno che fa il peccato è schiavo del peccato; come non ogni animale è cavallo, ma tuttavia ogni cavallo è animale. Dov'è la tua dialettica, di cui fosti solito andare tronfio? A te così dotto e acuto perché sfuggono queste osservazioni? O se non ti sfuggono, perché trami insidie alle persone non dotte e tarde? Chi poi di noi dice che l'universalità degli uomini sia posseduta dal diavolo, mentre ci sono tante migliaia di santi che non sono posseduti dal diavolo? Ma diciamo che non sono posseduti dal diavolo soltanto quelli che rende liberi la grazia del Cristo, della quale voi siete nemici. Se infatti non combatteste contro questa grazia, ma la capiste, vedreste senza dubbio, liberati dalla medesima grazia del Cristo tutti i santi che anche prima dell'Antico Testamento e al tempo dell'Antico Testamento furono separati dalla condizione degli schiavi. 89 - La mia parola non trova posto in voi Giuliano. Inoltre, perché tu capisca che non li rimprovera della natura, ma della vita, seguita a dire: So che siete discendenza di Abramo. ( Gv 8,37 ) Ecco per quale dignità di origine quelli si erano detti liberi, e Gesù dimostra a quale schiavitù siano ora soggetti dicendo: Cercate di uccidermi, perché la mia parola non trova posto in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal Padre vostro. ( Gv 8,37-38 ) Agostino. Che significa la frase: La mia parola non trova posto in voi, se nella natura, anche tale e quale è adesso che ha bisogno di chi la liberi, trova già posto la sua parola, anche senza che la sua grazia apra la mente, come l'aprì agli Apostoli all'intelligenza delle Scritture ( Lc 24,27 ) e come l'aprì a quella commerciante di porpora di Tiàtira per aderire alle parole di Paolo? ( At 16,14 ) 90 - La paternità di Abramo e la paternità del diavolo Giuliano. Osserva quanto sia diversa la condizione della natura da quella della volontà. Gesù non negò che la loro carne appartenesse alla discendenza di Abramo, ma svela a loro che, per la cattiveria della volontà, erano passati ad avere come padre il diavolo, il quale per questo è detto loro genitore, perché è accusato di essere maestro di crimini. Dice: Gli risposero e gli dissero i Giudei: Il nostro padre è Abramo. Rispose Gesù: Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo! Ora invece cercate di uccidere me che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l'ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro. ( Gv 8,39-41 ) Ti accorgi o no quali distinzioni faccia la Sapienza nelle sue parole? Nega che siano figli di Abramo quelli che sopra aveva detti figli di Abramo; ma, essendo diverso parlare della natura e parlare della volontà, mostra che altro è il procreatore di una carne innocente, altro il seduttore di una volontà misera. Agostino. Incautamente tu dici la verità. Nel paradiso infatti il diavolo fu seduttore di una volontà beata, che seducendola rese misera; adesso invece è, come confessi tu, seduttore di una volontà misera. Da questa miseria dunque - perché ora a causa della miseria la volontà non sia sedotta più facilmente di quanto lo fu allora per cadere nella miseria - non la libera se non Colui al quale tutta la Chiesa quotidianamente grida: Non c'indurre in tentazione, ma liberaci dal male. ( Mt 6,13 ) 91 - La libertà del Figlio vale il perdono, non tocca il libero arbitrio Giuliano. Qui dunque dove il Signore ha detto: Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero, ( Gv 8,36 ) ha promesso l'indulgenza ai rei che peccando non hanno perduto la libertà dell'arbitrio, ma la coscienza della giustizia. Quanto al libero arbitrio, esso anche dopo i peccati è pieno come lo è stato prima dei peccati: tant'è vero che per opera del libero arbitrio i più rinunziano a vergogne occulte, ( 2 Cor 4,2 ) e, buttate via le brutture delle scelleratezze, si adornano delle insegne delle virtù. Agostino. Ascolta almeno te stesso dove dici che è stato scritto per la consuetudine dei peccati il testo: Non come voglio io agisco, ma quello che detesto io faccio. ( Rm 7,15.19 ) In che modo dunque è libero l'arbitrio dopo i peccati, dei quali, se non per la propaggine che non volete ammettere, certamente tuttavia per la consuetudine, la sola che voi, vinti e non convinti, concedete a questa situazione di necessità, ha perduto così la libertà che il suo gemito ferisce i vostri orecchi e vi fa abbassare la fronte quanto udite: Non come voglio io agisco; e: Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio io faccio? ( Rm 7,19 ) 92 - Giogo iniquo senza il peccato originale Giuliano. Smetti dunque di farti empio - se tuttavia ti rimane qualche distinzione del bene e del male - esponendo così le parole del Cristo da far apparire che egli abbia negato il libero arbitrio, senza la cui integrità non gli si può salvare l'equità del giudizio che gli è propria. Agostino. Anzi, proprio perché gli si salva l'equità del giudizio, addosso ai figli di Adamo dal giorno in cui escono dal seno materno gravita un giogo pesante, ( Sir 40,1 ) che sarebbe assolutamente iniquo, se gli uomini non contraessero il peccato originale, che ha reso l'uomo simile ad un soffio vano. ( Sal 144,4 ) 93 - Riconosci la grazia! Giuliano. Ascolta bene dove Gesù indica la forza della libertà umana: Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome lo ricevereste. ( Gv 5,43 ) E ugualmente: Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo. ( Mt 12,33 ) Ancora: Se non volete credere a me, credete alle opere. ( Gv 10,38 ) E quello più veemente di tutti gli altri testi dove dice che la sua intenzione è stata impedita dalla volontà umana: Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina i suoi pulcini sotto le sue ali, e non hai voluto! ( Mt 23,37 ) Dopo di che non seguita: Ma li ho raccolti contro la tua volontà, bensì: La vostra casa vi sarà lasciata deserta, ( Mt 23,38 ) per mostrare che essi sono puniti, sì, giustamente per la loro cattiva condotta, ma non devono essere strappati per nessuna necessità alla propria intenzione. Così infatti aveva parlato anche per bocca del Profeta: Se sarete docili e mi ascolterete, mangerete i frutti della terra; se vi ostinerete e non ascolterete, sarete divorati dalla spada. ( Is 1,19-20 ) In che modo dunque tu non neghi il libero arbitrio, se l'hai dichiarato non libero, non con il tuo linguaggio, ma con la testimonianza evangelica, intesa però a modo tuo? Agostino. Bisogna perdonare che in un problema molto oscuro t'inganni come uomo. Lungi da noi dire che l'uomo impedisca l'intenzione di Dio, il quale è onnipotente e previdente di tutto. In questo argomento così grande poco riflettono e non arrivano a riflettere sufficientemente quanti pensano che Dio voglia qualcosa e non lo possa perché glielo impedisce la debolezza dell'uomo. Come è certo che Gerusalemme non volle che i suoi figli fossero raccolti da Gesù, così è certo che Gesù anche contro la volontà di Gerusalemme ne raccolse di essi tutti quelli che volle. Dio infatti, come dice Ambrogio, suo uomo, chiama chi si degna di chiamare e fa religioso chi vuole. La Scrittura poi invita abitualmente la volontà dell'uomo, perché, avvertito così, senta quello che non ha e quello che non può e nel suo bisogno chieda a Colui dal quale vengono tutti i beni. Se infatti sarà esaudito nella petizione che a tutti noi è comandato di fare: Non c'indurre in tentazione, ( Mt 6,13 ) certamente non sarà ingannato da nessuna ignoranza e non sarà vinto da nessuna cupidigia. Appunto per questo il Profeta disse: Se vi ostinerete e non mi ascolterete, sarete divorati dalla spada ( Is 1,20 ) etc., perché, avendo trovato in se stessi delle cupidità vincitrici, sapessero a chi dovevano chiedere l'aiuto per respingere il male. La frase poi: La vostra casa vi sarà lasciata deserta ( At 9,1 ) è dettata dalla presenza sul posto di molti che Gesù aveva giudicati, con giudizio occulto ma tuttavia giusto, degni d'indurimento e di abbandono. Perché se, come dici tu, l'uomo non dev'essere strappato per nessuna necessità alla propria intenzione, perché, ripeto, l'apostolo Paolo, ancora Saulo, fremente di stragi e assetato di sangue, è strappato alla sua pessima intenzione da una violenta cecità corporale e da una voce terribile che veniva dall'alto, e dal persecutore prostrato a terra si rialza il futuro predicatore del Vangelo, da lui combattuto, predicatore più infaticabile di tutti gli altri? ( At 9,4-5.20 ) Riconosci la grazia: chi in un modo chi in un altro, Dio chiama chi si degna di chiamare, e lo Spirito soffia dove vuole. ( Gv 3,8 ) 94 - Abbiamo perduto la libertà paradisiaca Giuliano. In quell'opera infatti che ho già detta mandata da te a Roma recentemente manifesti con più audacia il tuo sentire. Nel primo libro infatti, avendoti io ugualmente opposto la nostra obiezione che voi negate il libero arbitrio, tu da controversista tenacissimo e sottilissimo disserti così: Chi mai di noi poi direbbe che per il peccato del primo uomo sia sparito dal genere umano il libero arbitrio? Certo per il peccato sparì la libertà, ma la libertà che esisteva nel paradiso di possedere la piena giustizia insieme alla immortalità. Per tale perdita la natura umana ha bisogno della grazia divina, secondo le parole del Signore nel suo Vangelo: " Se il Figlio vi farà liberi, allora sarete liberi davvero "; ( Gv 8,36 ) liberi s'intende per poter vivere in modo buono e giusto. Infatti è tanto vero che non è sparito nel peccatore il libero arbitrio che proprio per mezzo di esso peccano gli uomini, specialmente tutti coloro che peccano con dilettazione e amore del peccato, piacendo ad essi quello che soddisfa la loro libidine. Per cui anche l'Apostolo scrive: " Quando eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia ". ( Rm 6,20 ) Ecco, si dichiara che non avrebbero potuto sottostare in nessun modo nemmeno alla schiavitù del peccato se non in forza di un'altra libertà. Liberi nei riguardi della giustizia non lo sono dunque se non in forza dell'arbitrio della volontà, ma liberi dal peccato non lo diventano se non in forza della grazia del Salvatore. Per questo appunto l'ammirabile Dottore ha differenziato anche gli stessi vocaboli scrivendo: " Quando infatti eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia. Ma quale frutto raccoglieste allora da cose di cui ora vi vergognate? Infatti il loro destino è la morte. Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna ". ( Rm 6,20-22 ) Ha detto liberi nei riguardi della giustizia, non liberati; dal peccato invece non ha detto liberi perché non lo attribuissero a sé, ma con grande vigilanza ha preferito dire liberati, riferendosi alla famosa sentenza del Signore: " Se il Figlio vi farà liberi, allora sarete liberi davvero ". Poiché dunque i figli degli uomini non vivono bene se non dopo essere diventati figli di Dio, che pretesa è quella di costui di attribuire al libero arbitrio il potere di vivere bene, quando tale potere non è dato " se non dalla grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore ", ( Rm 7,25 ) come dice il Vangelo: " A quanti però lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio "? E parimenti di lì a poco: Il potere dunque, dici, di diventare figli di Dio è dato a coloro che credono in Gesù. Il qual potere, se non è dato da Dio, non si può avere in nessun modo dal libero arbitrio, perché nel bene non sarà nemmeno libero l'arbitrio che non sia stato liberato dal Liberatore; nel male invece ha libero l'arbitrio l'uomo che porta dentro di sé la dilettazione della malizia, seminata da un impostore occulto o manifesto, o assorbita per autosuggestione. Non è dunque vero, come alcuni dicono, che noi diciamo e come costui osa per giunta scrivere, che "tutti sono costretti al peccato dalla necessità della loro carne", quasi che pecchino contro la propria volontà. È vero invece che quanti sono già in età di disporre dell'arbitrio della propria mente e rimangono nel peccato per volontà loro e da un peccato precipitano in un altro per volontà loro. Ma la ragione per cui questa volontà, libera nel male perché si diletta del male, non è libera nel bene, sta nel fatto che non è stata liberata. Né può l'uomo volere qualcosa di buono, se non è aiutato da colui che non può volere il male. In tutte queste tue parole da me riferite vedo il nome della grazia così intrecciato con la negazione del libero arbitrio che, non tanto i mali evocati con gli appellativi del tuo modo di sentire possano essere rivendicati ai buoni, quanto la dignità dei nomi sia avvilita per l'aderenza dei tuoi dogmi. Con questi discorsi dunque non hai nobilitato te, ma hai deturpato gli stessi ornamenti. Noi tuttavia separiamo le realtà che tu hai congiunte, perché la divinità della grazia, svincolata da sinistri collegamenti, non sia scossa dalla tua risposta e sia lodata dalla gravità dei cattolici, non dall'adulazione dei manichei. Noi pertanto professiamo una molteplice grazia del Cristo. Il primo suo dono è che siamo stati fatti dal nulla. Il secondo è la nostra superiorità, come sui viventi per il senso, così sui senzienti per la ragione, la quale è stata impressa nell'animo in tal modo da presentarsi come l'immagine del Creatore, e alla cui dignità guarda ugualmente la concessione della libertà dell'arbitrio. Alla stessa grazia attribuiamo anche il continuo crescere dei benefici che non cessa di donarci. Per la stessa grazia Dio mandò in aiuto la legge. ( Is 8,20 sec. LXX ) All'ufficio della legge spettava di stimolare con insegnamenti di vario genere e d'incoraggiare con il suo invito il lume della ragione, che gli esempi della depravazione e la consuetudine dei vizi attutivano. Alla pienezza dunque di cotesta grazia, cioè della benevolenza divina che diede origine alle cose, spettò che il Verbo si facesse carne e abitasse in mezzo a noi. ( Gv 1,14 ) Dio infatti, chiedendo alla sua immagine il contraccambio dell'amore, rese manifesto come avesse fatto tutto per una inestimabile carità verso di noi, perché, pur in ritardo, riamassimo lui ( Rm 5,8 ) che a dimostrazione del suo amore per noi non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi, ( Rm 8,32 ) con la promessa che, se avessimo voluto poi obbedire alla sua volontà, ci avrebbe concesso di essere coeredi del suo Unigenito. ( Rm 8,17 ) Agostino. O uomo pelagiano, è la carità che vuole il bene, e la carità viene da Dio, non attraverso la lettera della legge, ma attraverso lo spirito della grazia. In questo la lettera è di aiuto ai predestinati: comandando e non aiutando, essa ammonisce i deboli a ricorrere allo spirito della grazia. Così fanno uso legittimo della legge coloro per i quali essa è buona, ( 1 Tm 1,8 ) ossia utile: altrimenti per essa la lettera uccide, ( 2 Cor 3,6 ) perché comandando il bene e non donando la carità, che è la sola a volere il bene, fa rei di trasgressione. 95 - Grazia e scienza Giuliano. Questa grazia dunque, che nel battesimo non solo condona i peccati, ma insieme a tale beneficio d'indulgenza e promuove e adotta e consacra, questa grazia, dico, cambia il merito dei rei, non dà origine al libero arbitrio, che riceviamo nel momento in cui siamo creati e che usiamo invece dal momento in cui acquistiamo il valore della differenza tra il bene e il male. Che pertanto a disposizione della buona volontà ci siano innumerevoli specie di aiuto divino non lo neghiamo, ma in tal modo che per mezzo dei generi di aiuto o non sia ricostruita la libertà dell'arbitrio, come se essa fosse andata distrutta, o si creda che, esclusa una volta la libertà, incomba su ciascuno la necessità del bene o del male; al contrario ogni aiuto coopera con il libero arbitrio. Agostino. Se la grazia non previene la volontà per suscitarla, ma coopera con la volontà preesistente, in che modo è vero che è Dio a suscitare in voi anche il volere? ( Fil 2,13 ) In che modo la volontà è preparata dal Signore? ( Pr 8,35 sec. LXX ) In che modo è da Dio la carità, ( 1 Gv 4,7 ) che è sola a volere il bene beatifico? Oppure, se è la scienza della legge e delle parole di Dio a suscitare in noi la carità, sicché non per il dono di Dio, ma per l'arbitrio della nostra volontà amiamo ciò che alla scuola di Dio conosciamo nostro dovere di amare, in che modo un bene minore viene a noi da Dio e uno maggiore viene a noi da noi? Perché, senza che Dio ci faccia il dono della scienza, cioè senza che Dio ci faccia scuola, noi non possiamo conoscere; invece senza che Dio ci faccia dono della carità, che sorpassa la scienza, ( Ef 3,19 ) noi possiamo amare. Ad avere questa " sapienza " non sono se non i pelagiani, nuovi eretici, nemici ad oltranza della grazia di Dio. 96 - Il peccato non muta la natura umana, ma la vizia Giuliano. Questo libero arbitrio dunque, a causa del quale soltanto il Maestro delle Genti scrive che noi compariremo dinanzi al tribunale del Cristo, perché ciascuno riceva la ricompensa delle opere o buone o cattive compiute nella sua vita corporale, ( 2 Cor 5,10 ) come lo riconoscono con certezza i cattolici, così voi non solo con Manicheo, ma anche con Gioviniano, che tu osi buttarci addosso, lo negate in modo dissimile, si, ma con empietà simile. E perché questo si faccia più chiaro, si ricorra all'esame delle distinzioni. Noi diciamo che per il peccato dell'uomo non cambia lo stato della natura, ma la qualità del merito, ossia anche in chi pecca la natura del libero arbitrio, con la quale può desistere dal peccato, è la medesima che in lui c'è stata per poter deviare dalla giustizia. Agostino. Sappiamo che la ragione per cui dite che per il peccato dell'uomo non si cambia lo stato di natura è che avete abbandonato la fede cattolica, la quale insegna che il primo uomo fu fatto in modo da non aver la necessità di morire e che per il peccato questo stato di natura si cambiò talmente da essere necessario all'uomo di morire, fino al punto che anche a coloro che spiritualmente sono già stati rigenerati e risuscitati l'Apostolo dice: Se il Cristo è in voi, il vostro corpo è morto, a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. ( Rm 8,10-11 ) In tanto ha detto appunto: Darà la vita anche ai vostri corpi mortali, e lo speriamo nella risurrezione della carne, in quanto aveva detto: Il vostro corpo è morto a causa del peccato. E voi non volete che per il peccato si sia mutato lo stato di natura! Tuttavia però, essendo stato obiettato nel Concilio Palestinese a Pelagio di dire che i bambini nati da poco sono in quello stato in cui Adamo fu prima del peccato, egli negò di dirlo e lo condannò. Se l'avesse fatto con cuore sincero, forse la vostra eresia sarebbe sparita già allora o almeno lui sarebbe finalmente guarito da quella peste. Chiedo inoltre se la natura peccatrice sia esente da vizio: se ciò è assurdissimo, ha dunque un vizio; se ha un vizio, è stata certamente viziata. In che modo dunque non è stata mutata, se da sana che era è stata viziata? Perciò, anche escluso quel peccato del quale Giovanni Costantinopoliano dice: Adamo commise quel grande peccato e condannò tutti in blocco, anche escluso, dico, questo peccato, dal quale la natura umana trae originalmente la condanna, in che modo si può dire con saggezza che lo stato di natura non è stato mutato in un uomo che afferma: La legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato. Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ( Rm 7,14-15 ) e le altre parole simili, anche se questa mutazione non l'ha tratta in lui la condizione del nascere, ma come volete voi, l'ha contratta in lui la consuetudine del peccare? Non vi accorgete delle falsità della vostra affermazione: " Per il peccato dell'uomo non si cambia lo stato della natura, ma la qualità del merito "? A meno che non diciate che per il peccato non si cambia la natura, ma l'uomo. E questo cos'è se non negare che l'uomo sia una natura? Quando mai direste questi spropositi, se pensaste con mente sana a quello che dite? 97 - Hai dato una sistemazione diversa alle medesime tesi dei manichei Giuliano. Manicheo dice che la volontà cattiva è ispirata da quella natura che non può volere il bene, la volontà buona è infusa da quella natura che non può volere il male. In questo modo Manicheo sottopone a necessità le nature degli individui, sicché le volontà personali non possono volere il contrario. Tra noi e Manicheo certamente c'è un grande abisso. Vediamo ora quanto tu ti sia allontanato da lui. Dici che la volontà è libera, ma solamente per fare il male; non è invece libera di desistere dal fare il male, se non le sia stata imposta la necessità di volere il bene da quella natura che non può volere il male, per usare le tue parole. Definisci dunque che il genere umano con il libero arbitrio non fa altro che peccare, né altro può fare. Con questo dichiari assolutamente che la natura umana brama sempre e solo ciò che è male e non può volere il contrario. Invece la natura di Dio non può volere il male, e perciò se Dio non fa la natura cattiva degli uomini partecipe della propria necessità non ci può essere nella natura umana bontà di attività. Dopo di che veda Dio se nel segreto del tuo cuore tu non ami Manicheo di un amore molto grande. È certo tuttavia, per quanto apparisce dalla fratellanza germana dei dogmi, che non hai fatto assolutamente nient'altro che congegnare con ordine diverso le medesime tesi di Manicheo. Agostino. Volesse il cielo che tu distruggessi con forza Manicheo e non lo aiutassi con vergogna. Poiché egli, pervertito da un eccesso d'insania, non dice che il principio del male è costretto a fare il bene da un altro principio del bene, il quale non può volere il male; ma dice che il principio del bene è costretto a fare il male da quel principio del male il quale non può volere il bene, e quindi per una mostruosa pazzia Manicheo vuole che sia immutabile il principio del male e sia invece mutevole il principio del bene. Perciò Manicheo certamente dice che la volontà cattiva è ispirata da quel principio che non può volere il bene; ma non dice, come tu congetturi troppo benevolmente di lui, che la volontà buona sia infusa dal quel principio che non può volere il male. Poiché Manicheo non crede che il principio del bene, il quale non può volere il male, sia in nessun modo immutabile, e crede che al principio del bene sia ispirata la volontà cattiva da quel principio che non può volere il bene. E così avviene che per il principio del male voglia il male il principio del bene, che Manicheo non vuole sia nient'altro che la natura di Dio. Tu dunque, negando che la natura umana sia stata viziata dal peccato del primo uomo, aiuti Manicheo ad attribuire al principio del male da lui inventato tutto quanto trova di male nella manifestissima miseria dei bambini. Inoltre, quando ti dispiace che l'uomo non possa volere il bene se non è aiutato da Colui che non può volere il male, non ti avvedi di contraddire Colui che dice: Senza di me non potete far nulla, ( Gv 15,5 ) e la Scrittura dove si legge: La volontà è preparata da Signore, ( Pr 8,35 sec. LXX ) e dove si legge: È Dio infatti che suscita in noi anche il volere, ( Fil 2,13 ) e dove si legge: Dio dirige i passi dell'uomo e segue con amore il suo cammino? ( Sal 37,23 ) E qui io non mi meraviglio di nulla se non donde tu ti dica cristiano, sebbene tu contraddica queste così numerose e così chiare voci divine. 98 - Possiamo peccare anche dopo il battesimo Giuliano. In una parte però ti unisci a Gioviniano: egli infatti nel secondo libro della sua opera dice che l'uomo battezzato non può peccare, mentre prima del battesimo può peccare e non peccare. Con te dunque egli pensa che dal momento del battesimo si imponga agli uomini la necessità del bene: il che è altrettanto falso quanto che prima del battesimo ci sia negli uomini la necessità di fare il male, come pensi tu. Infatti quando tu dici: L'uomo non può volere qualcosa di buono se non è aiutato da Colui che non può volere il male, vuoi appunto che l'uomo acquisti la possibilità di fare il bene partecipando alla grazia e alla natura buona, e dici comunque che ciò può avvenire dal momento del battesimo. Quindi a metà strada tra l'empietà e la paura ti sei accompagnato alla combriccola di Gioviniano, ma non hai ancora abbandonato il lupanare di Manicheo. Tuttavia però tanto più innocente di te Gioviniano, quanto di Gioviniano più sacrilego Manicheo. Per riassumere infatti più brevemente tutto questo di cui abbiamo trattato, Manicheo dice: In tutti gli uomini pecca la natura delle tenebre, ispiratrice della volontà cattiva e non può fare altro. Tu dici: In tutti gli uomini pecca la natura infettata dalle tenebre del primo peccato e autrice per questo della volontà cattiva, e non può volere il bene. Gioviniano dice: È certamente la volontà degli uomini a peccare, ma fino al battesimo; dopo di esso invece non può volere altro che il bene. I cattolici, ossia noi, diciamo: dall'inizio alla fine, anche prima del battesimo, è la volontà che senza nessuna coazione naturale pecca in ciascuno, ed essa nello stesso tempo che pecca ha la possibilità di recedere dal male e di fare il bene, perché si salvi la natura della libertà. È certo quindi che per nessuno di voi si salva la verità dei dogmi. Tuttavia, essendo voi venuti fuori da un unico principio di errore, sarebbe stato perfino meno disonesto se tu avessi accettato le conseguenze e, poiché dici con Manicheo che si pecca per la natura cattiva, cioè per la mancanza di libertà, dicessi con il medesimo Manicheo che la natura non si può in nessun modo mondare, e certo altrove lo affermi, ma aggiungessi la necessaria conseguenza: non le servono perciò i sacramenti del battesimo. Oppure se asserisci con Gioviniano che dal tempo dell'accettazione della fede si imprimono buone cupidità, dicessi con il medesimo che anche prima del battesimo è stata buona la natura, la quale, benché avesse la possibilità del male, tuttavia non ebbe la necessità del male, e perciò, una volta che fu consacrata, arrivò al bene verace. In questo modo infatti, pur contravvenendo alla ragione, non contravverresti tuttavia ai dogmi di coloro che segui. Agostino. Hai dimenticato che cosa sia quello che diciamo. Rammentalo, prego. Noi siamo quelli che contro le vostre proteste diciamo che anche ai giusti finché sono in questa vita non mancano motivi di dire nella loro orazione con sincerità rispetto a se stessi: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 ) Perché se dicono che sono senza peccato, ingannano se stessi e la verità non è in loro. ( 1 Gv 1,8 ) Cos'è dunque quello che dici inconsistentemente: in una parte mi unisco a Gioviniano, dove asserisce che il battezzato non può peccare? Dio ci guardi dall'essere talmente sordi e muti da non udire la voce dei battezzati o da non dire con essi: Rimetti a noi i nostri debiti. Dal momento poi che l'uomo comincia ad avere l'uso dell'arbitrio della volontà può e peccare e non peccare, però a non peccare non ci riesce se non aiutato da Colui che ha detto: Senza di me non potete far nulla; ( Gv 15,5 ) a peccare invece riesce con la propria volontà, sia che rimanga sedotto o da se stesso o da un altro seduttore, sia che venga aggiudicato come schiavo al peccato. Conosciamo poi uomini aiutati dallo Spirito di Dio a volere le cose di Dio prima del battesimo, come Cornelio, ( At 10,1-3 ) e alcuni non disposti a volerle nemmeno dopo il battesimo, come Simone Mago. ( At 8,9-13.18-24 ) I giudizi di Dio sono infatti come il grande abisso ( Sal 36,7 ) e la sua grazia non viene dalle opere: altrimenti non sarebbe più grazia. ( Rm 11,6 ) Smettila dunque d'insultarci con il nome di Manicheo e di Gioviniano: quali personaggi tu insulti in noi che, seguendoli, non possiamo negare il peccato originale, lo vedresti se tu avessi gli occhi, e taceresti se tu avessi un po' di faccia. Sei poi tanto calunnioso da dire che io ho affermato altrove che l'uomo non può essere mondato dai peccati, quando io dico che lo può tanto da essere condotto anche là dove, beatissimo, non possa peccare. 99 - La necessità del peccato Giuliano. Ora invece, perfido contro tutti, dici che nella natura della carne è stata introdotta la necessità del peccato. Agostino. Nega tu che l'Apostolo abbia detto: Quando eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia. ( Rm 6,20 ) Oppure, se non neghi che l'abbia detto, accusalo di non averlo detto bene. Se poi non osi negarlo, nega, se puoi, che coloro ai quali lo dice abbiano avuto nel male volontà libera quando sono stati liberi nei riguardi della giustizia, o l'abbiano avuta libera nel bene quando sono stati sotto la schiavitù del peccato, e osa dire che da questa schiavitù si sono liberati da se stessi e non sono stati liberati per mezzo della grazia di Dio coloro a cui dice: Ora invece, liberati dal peccato, siete diventati schiavi della giustizia. ( Rm 6,18 ) Ma se dici che per mezzo della grazia di Dio sono stati liberati dal reato dei mali trascorsi e non dalla dominazione del peccato, che non lascia a nessuno di essere giusto, e dici che hanno potuto ottenere da se stessi con la loro volontà che il peccato non dominasse su loro, e per questo non hanno avuto bisogno della grazia del Salvatore, dove metti colui che dice: Io non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio? ( Rm 7,19 ) Se infatti parla così uno che si trova sotto la legge e non sotto la grazia, nega che costui gema sotto il grave peso della necessità, dichiaralo libero di vivere bene e di agire rettamente in forza dell'arbitrio della volontà, benché ti gridi: Mentisci o ti sbagli; io faccio il male che non voglio. Se invece, come meglio intende Ambrogio, l'Apostolo, lo dice anche di se stesso, nemmeno i giusti in questa vita hanno per fare il bene tanta libertà di volontà personale quanta ce ne sarà in quella vita dove non si dirà: Io faccio il male che non voglio. 100 - La libertà non è alternanza Giuliano. Perduto il possesso dell'eternità - che del resto non consta abbia mai avuto in forza della sua nascita - incomberrebbe la volontà di bramare costantemente la malvagità. E tu aggiungi: La volontà che è libera nel male, non è libera nel bene. Indubbiamente con non minore professione di stupidità che di irreligiosità chiami libera la volontà che dici non poter volere se non una cosa soltanto: il male. Agostino. Se non è libero se non chi può volere due cose, ossia e il bene e il male, non è libero Dio, se non può volere il male e del quale anche tu hai detto e con verità: Dio non può essere che giusto. Così dunque lodi Dio da togliergli la libertà? O non devi piuttosto capire che è una beata necessità quella per cui Dio non può essere ingiusto? 101 - Crolla la scena del peccato originale Giuliano. Ma sebbene tu non ti regga da nessuna parte, lascio tuttavia al saggio lettore giudicare quale sia stato il tuo apporto. Concediamo che possa dirsi libera una volontà che non può volere il bene: ma tu asserisci che questa volontà è liberata nel battesimo. Domando io: in che modo è liberata? Così da essere costretta a volere sempre il bene e non poter volere il male? O così da poterli bramare ambedue? Se qui rispondi: Da essere costretta a volere sempre il bene, conosci da te quanto tu sii giovinianista. Se al contrario rispondi: Come può essere libera una volontà se è costretta a volere sempre il bene? io replico: In che modo prima si diceva volontà libera, se era costretta a volere il male soltanto? Se dunque risponderai che dopo il battesimo la volontà diventa libera in modo da poter e peccare e non peccare, con questa tua stessa risposta dichiarerai che l'arbitrio non era libero quando non poteva ambedue le cose. Da ogni parte ti chiudono i nodi del tuo modo di ragionare: l'arbitrio era libero prima del battesimo, aveva la facoltà di fare il bene come aveva la facoltà di fare il male, e tutta la scena del tuo dogma, con il quale vai persuadendo il male naturale, crolla. Agostino. Chi legge troverà che ti ho già risposto più sopra nei riguardi di Manicheo e di Gioviniano. Come poi tu faccia a dire che uno, la cui volontà noi diciamo preparata dal Signore, diventi di così buona volontà da essere costretto a volere il bene - e Dio ci guardi dal dirlo! - lo veda la tua preclara intelligenza. Se infatti è costretto, non vuole: e che più assurdo del dire che vuole il bene senza volerlo? Anche sulla natura di Dio vedi quale sia il tuo modo di sentire, o uomo che dici l'uomo costretto a volere il bene se non può volere il male. È forse infatti costretto Dio a volere il bene, perché non può volere il male, essendo assolutamente immutabile? Ma la natura umana, benché mutevole, è buona, per quanto attiene al fatto della creazione: essa non solo è stata fatta senza vizio, ma, anche adesso che è cattiva a causa del vizio, è capace del bene, e quindi è buona. Questa sentenza vera sovverte l'insania falsa dei manichei. Nel battesimo poi i peccati sono rimessi tutti dalla grazia di Dio, per mezzo della quale l'uomo è condotto allo stesso battesimo, dopo che Dio gli ha preparato la volontà. E sono rimessi in tal modo che successivamente, sebbene il suo spirito concupisca contro la carne per non acconsentire alla iniquità, anche la carne tuttavia concupisce contro lo spirito, sicché l'uomo non fa quello che vorrebbe. Vuole infatti non avere nemmeno questa concupiscenza della carne, ma per ora non lo può, e per questo geme ancora interiormente aspettando l'adozione, la redenzione del suo corpo, ( Rm 8,23 ) dove avere la carne in tal modo da non poter più peccare. Attualmente dunque non solo può peccare dopo il battesimo, ma inoltre poiché, anche ben opponendosi alla concupiscenza della carne, qualche volta è trascinata da essa al consenso e commette alcuni peccati, che sebbene veniali sono tuttavia peccati, ha sempre in questa vita motivo di dire: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 ) Anche questa verità cattolica rintuzza la falsità di Gioviniano. Ambedue le cose poi, ossia e ciò che diciamo contro Manicheo e ciò che diciamo contro Gioviniano, sbaragliano la vostra eresia e le vostre calunnie. 102 - Il premio di non poter peccare come gli angeli Giuliano. Se poi prima del battesimo non è stato libero di fare il bene e dopo il battesimo è diventato libero in tal modo da non poter fare il male, mai ha davvero avuto a sua disposizione la libertà dell'arbitrio, e questa è la prova che prima ha peccato senza reato e dopo possiede la gloria senza cura di santità. Agostino. Dunque nemmeno in Dio c'è la libertà dell'arbitrio, perché non può fare il male, come non può rinnegare se stesso. ( 2 Tm 2,13 ) Il quale Dio anche a noi con quel premio supremo sta per elargire di non poter peccare, pari noi non certo a Dio stesso, ma tuttavia ai suoi angeli. Questo infatti si deve credere, che Dio dopo la caduta del diavolo abbia donato agli angeli per il merito della buona volontà con la quale perseverarono nelle verità: che in seguito nessuno diventasse un nuovo diavolo a causa del libero arbitrio. 103 - Non costrizione, ma fruizione Giuliano. Tirando la somma di tutto, eccoti dimostrato che il tuo dogma svanisce completamente: prometti di non negare il libero arbitrio e lo distruggi prima con la necessità del male e dopo con la necessità del bene. Agostino. Sei pronto a dire, come vedo, che a non poter peccare è pressato da necessità Dio, il quale in realtà né può volere, né vuole poter peccare. Ma anzi, se deve dirsi necessità quella per cui è necessario che qualcosa sia o avvenga, è assolutamente beatissima la necessità per cui è necessario vivere felicemente e in questo medesimo vivere non poter morire e non poter mutare in peggio. Di questa necessità, se pur si deve dire necessità anch'essa, gli angeli santi non hanno la costrizione, ma la fruizione. Per noi invece tale necessità è futura e non presente. 104 - Non c'e peccato nelle cose Giuliano. Ma tuttavia alla distruzione completa del tuo dogma giova che ci ricordiamo anche delle precedenti definizioni. Se il peccato non è se non la volontà di continuare o di commettere ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi, non si trova assolutamente nessun peccato nelle cose. Agostino. Cotesta definizione è del peccato che è soltanto peccato, non del peccato che è anche pena del peccato, per la quale pena si è perduta la libertà di non peccare. Dal qual male non libera se non Dio, cui non solo diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti, bensì pure: Non c'indurre in tentazione, ma liberaci dal male. ( Mt 6,12-13 ) 105 - Il peccato non può trovarsi nel seme dell'uomo Giuliano. Perché se la giustizia non imputa se non ciò da cui è libero astenersi e se prima del battesimo c'è la necessità del male, non essendo la volontà libera di fare il bene, come hai detto, e non potendo quindi fare altro che il male, la volontà è tenuta lontana dall'infamia del male in forza della stessa necessità che subisce, dal momento che non può essere aggravata dalle sue azioni davanti a quella giustizia che non imputa se non il male da cui è libero astenersi. Dopo il battesimo poi, se c'è la necessità del bene, non ci può essere davvero nessun peccato. Vedi tu dunque come ciò che la ragione definisce peccato non possa trovarsi nei semi, quando già secondo le tue definizioni non si trova nemmeno nei costumi. Agostino. Sbagli di grosso o pensando che non esiste nessuna necessità di peccare o non capendo che la necessità di peccare è pena di quel peccato che fu commesso senza nessuna necessità di peccare. Se infatti non c'è nessuna necessità di peccare - per non parlare della violenza di quel male che si contrae originalmente, perché voi non ne volete l'esistenza -, che cosa pativa, ti prego, colui che secondo il vostro modo di sentire era pressato da tanto male di cattiva consuetudine da dire: Io non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio? ( Rm 7,19 ) Inoltre io stimo che tu pensi quanto è grande la fatica da fare nel corso della vita per imparare che cosa sia da bramare e che cosa sia da evitare. Coloro poi che non lo sanno patiscono la necessità di peccare per la stessa ignoranza del bene da bramare e del male da evitare. È infatti nella necessità di peccare chi, non sapendo che cosa debba fare, fa ciò che non deve. Per questo genere di mali si prega Dio dove si dice: Non ricordare i peccati della mia giovinezza e della mia ignoranza. ( Sal 25,7 ) Se le mancanze di questo genere non le imputasse il Dio giusto, non chiederebbe che gli fossero rimesse l'uomo fedele. È per questo che anche il servo di Dio Giobbe dice: Hai sigillato in un sacco i miei peccati e hai tenuto conto di quello che ho commesso senza volerlo. ( Gb 14,17 sec. LXX ) Anche tu stesso nell'ultimo tuo libro di quei quattro che hai pubblicati contro uno solo mio, dici che dalle affezioni e dalle passioni dell'animo viene agli uomini un sentimento e un attaccamento così forte da non potersi svellere in nessun modo o solo con grande sforzo. Pertanto chiunque pecca per una timidezza che non gli si può togliere di dosso, come peccherà se non per necessità? Ma che questi peccati provengano da quei peccati che furono commessi senza nessuna necessità voi lo concedete almeno nel caso di colui che dice: Io faccio il male che non voglio. Chi infatti, per patire cotesta necessità, non è pressato se non dalla consuetudine di peccare, senza dubbio prima che peccasse non era ancora pressato dalla necessità della consuetudine. E perciò anche secondo voi la necessità di peccare, dalla quale non è libero astenersi, è pena di quel peccato da cui è stato libero astenersi, quando non urgeva nessun peso di necessità. Perché dunque non credete che quel peccato, indicibilmente grave, del primo uomo sia valso a viziare la natura umana universale almeno tanto quanto vale adesso in un singolo uomo la seconda natura? Che sia infatti chiamata così dai dotti la consuetudine ti sei creduto in dovere di rammentarcelo. Poiché dunque e noi confessiamo la presenza negli uomini di quei peccati che si commettono non per necessità ma per volontà, i quali sono i soli peccati dai quali è libero astenersi, e d'altra parte il genere umano è pieno di peccati che provengono dalla necessità dell'ignoranza o delle passioni, i quali non sono solamente peccati ma anche pene di peccati, come fai a dire che secondo le nostre definizioni il peccato non si trova neppure nei costumi? Ma udite ciò che non volete udire! Da tutti i peccati, siano originali, siano morali, e dopo che sono stati fatti o perché non si facciano, non libera se non la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro, nel quale siamo stati rigenerati e dal quale abbiamo imparato a dire nella orazione non solo: Rimetti a noi i nostri debiti, perché cioè abbiamo peccato, ma anche: Non ci indurre in tentazione, ( Mt 6,12-13 ) perché cioè non pecchiamo. 106 - Si dimostra superfluo il battesimo di A., previsto solo per l'orgasmo dei genitali Giuliano. Ma, consegnato all'animo del saggio lettore questo sommario della nostra discussione, esaminiamo che cosa del compito che gli è stato assegnato realizzi il tuo battesimo, che tu dici previsto unicamente per l'orgasmo dei genitali. Il tuo battesimo confessa di espiare gli uomini dai peccati, ma quando si dibatte davanti alla giustizia la causa della volontà, questa non si dichiara rea se non ha potuto volere diversamente. Cadendo poi l'odioso reato, è già caduta pure la pompa di chi perdona, perché non può perdonare ciò che non può giustamente imputare. E così il battesimo viene frustrato negli effetti della sua promessa, perché né trova i crimini la cui remissione gli meriti lode, né questo beneficio di sciogliere i vincoli del peccato gli fa acquistare dei debitori, non potendo convincere di cattiva volontà coloro che sono al riparo nell'asilo della necessità: e per tutto questo il tuo battesimo si dimostra superfluo. Ma poiché non è superflua la grazia che è stata prevista dal Cristo, si ritenga giustificata la munificenza del battesimo, per mezzo del quale si convince di colpa la volontà del peccatore, la quale certamente ha tanto potuto volere il bene quanto ha voluto il male. Tutta dunque è svanita la fantasticheria della necessità, e quindi non c'è nessun peccato che venga da condizione di natura, ma nella natura degli uomini rimane il libero arbitrio; il che, come lo neghi tu con Manicheo, così lo confessiamo noi con gli Apostoli e con tutti i cattolici. Agostino. È in necessità di peccare chi ignora la giustizia; ma, quando poi abbia conosciuto la giustizia, non gli si dovranno per questo perdonare i peccati che ha commessi per necessità d'ignoranza? Oppure, poiché ha conosciuto ormai come deve vivere, dovrà presumere che il vivere in modo giusto gli venga da se stesso e non da Dio, al quale si dice: Non c'indurre in tentazione? ( Mt 6,13 ) Non c'è dunque sicurezza d'impunità nella necessità di peccare, ma che questa necessità non rechi danno lo dona Dio, al quale si dice: Cavami dalle mie necessità. ( Sal 25,17 ) Lo dona poi in due modi: e rimettendo l'iniquità commessa e aiutandoci a non cadere in tentazione. Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce. ( Gc 1,14 ) E questa tua " protetta " ti è tanto cara da ritenere di doverla lodare quando uno non è trascinato da essa al consenso, quasi che non sia un male ciò che spinge al male, se chi è spinto non gli cede ma gli resiste. Sebbene tu, anche quando si acconsente alla concupiscenza, sostieni con grande vaniloquio che la colpa va data a chi è caduto e non alla concupiscenza che l'ha spinto, a chi è stato attratto e non alla concupiscenza che l'ha attratto, a chi è rimasto sedotto e non alla concupiscenza che l'ha sedotto, evidentemente perché, come tu sentenzi, ha fatto uso cattivo di un bene: tu hai appunto uno spirito tanto cattivo da sembrarti buona la concupiscenza che fa concupire la carne contro lo spirito. Ma tu stimi di aver messo elegantemente in ridicolo la nostra sentenza sul battesimo, attribuendoci nella maniera più bugiarda l'affermazione che il battesimo sia stato previsto solo per l'orgasmo dei genitali. Non diciamo questo, ma diciamo ciò che voi tentate di distruggere con la vostra eresia nuova e perversa: per questo è stato previsto da Dio l'aiuto di una seconda natività spirituale, che Cristo ha stabilito di far avvenire in se stesso, perché coloro che nascono carnalmente da Adamo contraggono con la prima natività il contagio della morte antica. Ecco che ho fatto uso delle parole del vescovo punico Cipriano, contro il quale, benché martire, tu latri quando impugni la fondatissima fede della Chiesa, per la quale è stato versato il suo sangue. Come infatti l'apostolo Paolo dice: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui, ( Rm 5,12 ) ugualmente anche il vescovo Cipriano, esperto di questo Apostolo, ha confessato che quanti nascono carnalmente da Adamo contraggono con la prima natività il contagio della morte antica. Cos'è dunque questo tuo associarti ingannevolmente agli Apostoli e a tutti i cattolici, dal momento che in modo fraudolento contraddici l'Apostolo, ma in modo apertissimo contraddici un vescovo e martire nella sentenza che condivide con la Chiesa Cattolica orientale e occidentale? 107 - Non diventiamo schiavi del peccato per natura Giuliano. Certamente il commento che hai fatto dei testi dell'apostolo Paolo sarebbe da passare con una risata sotto silenzio, se non atterrisse gli ignari delle Scritture: Quando eravate sotto la schiavitù del peccato, ha scritto l'Apostolo, eravate liberi nei riguardi della giustizia. ( Rm 6,20 ) Non poteva dire senza dubbio " liberati ", perché questo termine di liberazione si porta fuori convenientemente e appropriatamente quando l'uomo è liberato da situazioni dannose. Ma liberi nei riguardi delle virtù si possono dire coloro che stabiliscono di non dovere nulla alle virtù. Libero dunque si può dire e nei riguardi del bene e nei riguardi del male chi servendo all'uno si studia di non dovere nulla all'altro. Liberato invece non si può dire se non dal male, perché questa parola di liberazione richiama di per sé un'angoscia che si toglie. Che problema dunque si poteva muovere all'Apostolo in questo caso circa le sue parole, quando egli secondo lo stile universale ha detto liberi nei riguardi del bene e liberati nei riguardi del male? Quando eravate sotto la schiavitù del peccato, dice, eravate liberi nei riguardi della giustizia. Ma quale frutto raccoglievate da cose di cui ora vi vergognate? ( Rm 6,21 ) Ma perché tu non stimi che noi diventiamo schiavi del peccato per natura, ascolta il medesimo Apostolo che nel medesimo testo dice: Non sapete voi che se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi per obbedirgli, siete schiavi di colui al quale servite: sia nell'obbedienza al peccato, sia nell'obbedienza alla giustizia? ( Rm 6,16 ) Da voi stessi, dice, vi siete messi a servizio del peccato come schiavi per obbedirgli, perché tu capissi che egli imputa il peccato alla volontà e non alla natività. Per questo soltanto dice dunque che erano liberi nei riguardi della giustizia, perché si erano rifiutati d'osservare i suoi precetti. Agostino. Se per questo soltanto è stato detto che costoro erano liberi nei riguardi della giustizia perché si erano rifiutati d'osservare i suoi precetti, prima dunque che ricevessero i precetti della giustizia che rifiutavano d'osservare non erano liberi nei riguardi della giustizia e sotto la schiavitù del peccato? Chi lo dirà? Da questa necessità della schiavitù dunque libera colui che non solo dà i precetti per mezzo della legge, ma per mezzo dello Spirito dona anche la carità, per la cui dilettazione si vinca la dilettazione del peccato; altrimenti la necessità della schiavitù persevera invitta e tiene sotto di sé il suo schiavo. Perché uno è schiavo di ciò che l'ha vinto. ( 2 Pt 2,19 ) 108 - Solo la libertà di peccare Giuliano. Inoltre aggiunge immediatamente che sono adesso schiavi della giustizia, così come prima erano schiavi del peccato. Questo ti consente, se ti piace, di dirli liberi dal peccato ora che sono schiavi della giustizia, come sono stati detti da lui liberi nei riguardi della giustizia quando erano schiavi del peccato. Molto maldestramente dunque hai voluto calunniare la semplicità dell'Apostolo. Né è stato lui infatti a indicare con grande vigilanza ciò che pensi tu, ma sei tu a vedere con occhi pieni di sonno ciò che egli ha proferito. Congetturi appunto che egli abbia preferito dire liberati piuttosto che liberi, perché intendessimo che con la libertà dell'arbitrio si può certo agire male, ma non si può agire bene. Ora, l'ordine stesso delle sue parole si oppone a te. Perché, se avesse pensato quello che pensi tu, cioè che con la libertà si pecca solamente, avrebbe dovuto dire: " Eravate liberi per il peccato "; non dire: Eravate liberi per la giustizia, ( Rm 6,20 ) perché fosse detto libero colui per il quale la stessa libertà operava. Se infatti piace ponderare anche l'importanza dei casi, li dice liberi per questa giustizia, non li dice liberi da questa giustizia. Più conseguentemente saremmo noi ad essere avvantaggiati da questa locuzione, se volessimo insistere su elementi tanto leggeri. Ma lungi questo da noi: intendiamo il senso dell'Apostolo e ci contentiamo della funzione di elocuzioni proferite con semplicità. Nient'altro ha detto il Maestro delle Genti se non questo: Eravate liberi, non eravate servi della giustizia; siete stati liberati, avete ricevuto il perdono dei peccati, rimanendo la libertà dell'arbitrio, per mezzo della quale hanno potuto obbedire e prima al peccato e dopo alla giustizia. Agostino. Viene da questo vostro modo di sentire ereticale, con cui dite che per mezzo della grazia non si fa liberazione dal peccato se non quando si riceve il perdono del peccato commesso, ma non anche perché il peccato non prevalga quando qualcuno è attratto dalla propria concupiscenza ad acconsentire al peccato, che voi siete in contraddizione anche con le orazioni dei santi. Perché infatti si dice a Dio: Non c'indurre in tentazione, ( Mt 6,13 ) se è in potere del nostro libero arbitrio, insito in noi per natura, che questo non avvenga? E perché mai l'Apostolo dice: Noi preghiamo Dio che non facciate alcun male, ( 2 Cor 13,7 ) se Dio non libera dai peccati se non dando venia dei peccati trascorsi? 109 - L'albero da cui il diavolo coglie i frutti Giuliano. Inoltre l'Apostolo indica che cosa contenesse la sua esortazione premettendo: Parlo con esempi umani, a causa della debolezza della vostra carne. Come avete messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità a pro dell'iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione. Quando infatti eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia. ( Rm 6,19-20 ) Con logica assolutamente perfetta dice che sono stati liberi nei riguardi della giustizia quelli che aveva chiamati a tenere le loro membra in ogni santificazione. Ma poiché su questo punto ci siamo fermati non poco per mostrare che è certissimo quello che avevo detto, ossia che negherebbero il libero arbitrio le persone che fossero state spaventate dai vostri discorsi, e che sarebbero state spinte ad una vera rovina da una falsa paura, e che tu sei il principale negatore del libro arbitrio, ritorniamo a quel libro che è stato destinato a Valerio, per provare che tu in un primo tempo hai negato la creazione da parte di Dio, ma ora in alcuni testi la neghi senz'altro e in altri testi ti esprimi molto più sacrilegamente di quando l'avevi negata. E con quanta assolutezza tu abbia negato la creazione degli uomini da parte di Dio in quel tuo libro precedente è certamente apparso a sufficienza nel corso della discussione. Hai detto appunto che il genere umano è come un albero piantato dal diavolo, dal quale egli ha il diritto di cogliere il frutto, e molte altre espressioni che, usate da te come argomenti, cooperano a questo errore. Ma in questo secondo libro, sebbene tu persegua il medesimo scopo con l'insieme del tuo dogma, tuttavia tenti di emendare la tua sentenza più perniciosamente di quanto l'hai enunziata antecedentemente. Agostino. Se per te è poco l'Apostolo che dice: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui, ( Rm 5,12 ) Ambrogio, certamente non da manicheo, con il quale nome tu incrimini persone che sono tali di fede quale era stato lui, ma da cattolico ha compreso l'Apostolo e comprendendolo ha detto: Noi uomini nasciamo tutti sotto il peccato, essendo nel vizio la nostra stessa origine. Ecco da dove, come da un suo albero, il diavolo colse con diritto il frutto: non dalla natura che Dio creò, ma dal vizio che il diavolo stesso impiantò. Né infatti coloro che nascono sotto il peccato non possono essere se non sotto l'autore del peccato, se non rinascono nel Cristo. 110 - Non lasciatevi schiacciare dalla disperazione Giuliano. Ma completiamo brevemente la risposta che si deve al tuo capitolo, già riportato sopra da noi. Coerentemente e sinceramente pertanto rispondo: noi non rifiutiamo agli uomini la liberazione da parte del Signore Gesù Cristo e li preveniamo perché, credendo a voi, non si lascino schiacciare dalla disperazione dell'emendazione e non si ritirino dalla erudizione del Cristo, quasi che egli imponga doveri di cui la natura dei mortali sarebbe incapace, appunto perché aggravata da un male congenito. Agostino. Ma anche la morte è congenita e tuttavia da essa libera gli uomini colui che dà la vita a chi vuole ( Gv 5,21 ) e al quale devono ricorrere quelli che vogliono essere liberati dal male congenito. E perché lo facciano leggi nel Vangelo chi li attiri. ( Gv 6,44 ) 111 - Sono uomini da salvare anche i bambini Giuliano. Corrano piuttosto a colui che grida: Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero; ( Mt 11,30 ) a colui che anche alla volontà cattiva elargisce il perdono con inestimabile liberalità, e l'innocenza che crea buona la fa ancora migliore rinnovandola e adottandola. Agostino. Sono proprio uomini quegli stessi ai quali tu rifiuti il Liberatore, perché neghi la presenza in essi di un male dal quale abbiano bisogno d'essere liberati. In che modo dunque rispondi coerentemente e sinceramente che non rifiutate agli uomini la liberazione da parte del Signore Gesù Cristo, quando piuttosto operi pertinacemente e mentitamente perché non si creda che i bambini siano salvati da lui, come salva il suo popolo dai suoi peccati; ( Lc 19,10 ) e per questo apprendiamo, parlando così il Vangelo, che è stato chiamato Gesù? ( Mt 1,21 ) Non potrete dunque insegnare che non rifiutate agli uomini la liberazione da parte del Cristo, perché non potete in nessun modo dimostrare che i bambini non siano uomini. 112 - Tutti gli uomini erano in Adamo, vinto senza combattere Giuliano. Mi stupisce pertanto che tu abbia osato riportare il testo dove si dice: Uno è schiavo di ciò che l'ha vinto. ( 2 Pt 2,19 ) Questo testo fa per noi nel modo più manifesto, perché asseriamo che nessuno può sottostare al diavolo se non è stato superato da lui in combattimento per vile resa della sua volontà. Non doveva invece essere adoperato da te, a cui si oppone fortemente, perché vuoi persuadere che sono nel regno del diavolo i nascenti, i quali senza propria volontà non hanno potuto certamente né essere vinti né peccare. Agostino. I nascenti, dei quali dici che non hanno potuto né essere vinti né combattere, traggono origine da quell'uomo in cui tutti hanno peccato, e quell'uomo, ciò che è più grave, fu vinto senza combattimento. C'era infatti Adamo e in lui eravamo noi tutti: perì Adamo e in lui perirono tutti. Lasciate dunque che i bambini siano ritrovati da colui che è venuto a cercare ciò che era perduto. ( Lc 19,10; Rm 5,12 ) Altrimenti, essendo uomini anche i bambini, voi rifiutate assolutamente agli uomini la liberazione da parte di Gesù, per quanto sia grande la loquacità con la quale credete di dovere coprire la crudeltà di questo vostro errore. 113 - Misericordia e giustizia Giuliano. E certamente perché ti sei accorto che questo testo vale moltissimo contro di te, quasi che tu fossi interrogato dal testo stesso così: Per quale ragione dunque i bambini sono nel regno della potestà avversa, se si crede alla Scrittura che uno è schiavo di ciò che l'ha vinto, e se consta che l'infanzia senza uso di ragione e di volontà non ha potuto né combattere né cedere?, aggiungi: Appunto " a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e così ha raggiunto tutti gli uomini, che tutti hanno peccato in lui ". Dio dunque è il creatore di quanti nascono, ma lo è in tal modo che se ne vadano a finire nella condanna tutti quelli di cui Dio non sia stato liberatore facendoli rinascere. Dio stesso appunto è stato paragonato ad un vasaio che " dalla medesima massa di creta fa secondo la sua misericordia un vaso per uso nobile e secondo la sua giustizia ne fa un altro per uso volgare "; ( Sal 101,1 ) al quale Dio la Chiesa canta: " Misericordia e giustizia ". ( Is 45,9 ) Quello che tu dici, che a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, con la quale testimonianza dell'Apostolo hai turbato il cuore di moltissime persone, persone tuttavia sprovvedute di erudizione, sebbene io abbia dimostrato brevemente nel quarto libro come sia da intendere, tuttavia con l'aiuto del Cristo lo esporrò in modo più pieno in quest'opera, cosicché nel secondo libro, tralasciate tutte le altre testimonianze, questo stesso passo apostolico si apra nel suo contesto in modo pienissimo. Agostino. All'esposizione che dici fatta brevemente da te nel tuo quarto libro ti è stato risposto nel sesto dei nostri. Quanto poi a ciò che prometti in quest'opera, quando comincerai a renderlo, apparirà allora quanto tu sii vaniloquo. 114 - Affermazioni contraddittorie solo apparentemente Giuliano. Qui però farò presente in breve che questa testimonianza dell'Apostolo non ti può suffragare per la conferma di quella tua sentenza, che tutta l'erudizione, tutta la ragione e la legge di Dio dimostrano iniquissima. Il lettore diligente faccia dunque attenzione a ciò che hai dichiarato: Dio è il creatore di uomini cattivi, e li crea tali che vadano assolutamente tutti alla dannazione senza nessun merito della loro propria volontà. Agostino. Questo è ciò che ho detto: Dio fa la natura degli uomini, i quali sono cattivi per un vizio che Dio non ha fatto e dal quale Dio fa il bene anche se sono cattivi gli uomini che Dio fa, perché Dio li fa in quanto sono uomini e non in quanto sono cattivi. Né infatti gli uomini nascerebbero come vasi volgari se non fossero cattivi, e tuttavia essi sono certamente buoni per la natura che Dio fa, ma sono cattivi per la presenza in loro di un vizio che il nemico ha inseminato, sì, contro la natura, tuttavia dentro la natura, con la conseguenza che a causa di questo vizio fosse cattiva la natura, cioè fosse cattivo l'uomo. Nessun male infatti può esistere se non esiste dentro qualche bene, perché il male non può esistere se non dentro una qualche natura, e ogni natura in quanto è natura è un bene. Osservate diligentemente come si facciano affermazioni che sembrano contraddittorie tra loro, e non lo sono, purché tuttavia non abbiate perduto completamente gli occhi per il fumo di una superba contesa. 115 - Tutti i non battezzati soggiacciono al diavolo e alla condanna Giuliano. E perché non ignorassimo di quale tempo tu parlassi, dichiari che da Adamo, il quale dici che da solo era tutti noi, fino alla fine coloro che non sono stati battezzati si trovano a soggiacere alla dannazione e al diavolo. Nella quale sentenza ti sforzi di curarti molto più dannosamente di quanto ti sia ferito antecedentemente. Per rimuovere infatti la odiosità che rovinava su di te per la tua affermazione che il diavolo sia il creatore degli uomini, correggendoti confessi che è Dio il loro creatore, ma creatore di tali uomini quali sono quelli che Manicheo ascrive al principe delle tenebre. Agostino. Noi uomini nasciamo tutti sotto il peccato, perché è nel vizio la stessa nostra nascita. Questo non l'ha detto l'immondo eretico Manicheo, ma il santo cattolico Ambrogio. Quanto poi a Manicheo, né dice buona ogni natura in quanto è natura, né dice che si possa in qualche modo risanare e far diventare buona quella che egli chiama natura cattiva. Il che dice la fede cattolica della natura umana dei piccoli e dei grandi, sia contro i manichei, sia contro i pelagiani, gli uni e gli altri per malattie diverse, ma ugualmente malati. 116 - Anche i mostri sono creati dal Dio giusto Giuliano. Per la verità infatti Manicheo, credendo che gli uomini siano cattivi per condizione di nascita, assegnò ad essi come creatore uno che allontanasse dal Dio buono il crimine di un'opera cattiva. E poiché aveva sbagliato nella definizione del peccato così da crederlo naturale, mentre non può essere che volontario, conseguentemente inventò poi un cattivo artefice di una cattiva origine: più religioso costui nei riguardi di Dio e più irrispettoso verso la natura. Tu viceversa dici che gli uomini nascono, sì, cattivi, ma che Dio è il creatore di questi uomini cattivi: più irrispettoso tu verso Dio e più riguardoso verso la natura; questa ha infatti a sua difesa la maestà del suo Creatore, il Creatore al contrario a sua accusa ha la bruttezza della sua opera. Agostino. Accusa dunque Dio, se ti va, della bruttezza della sua opera, poiché veramente alcuni corpi nascono così brutti che certuni di essi per enorme deformità si dicono anche mostri. Non infatti un altro Dio, come finge Manicheo, né alcuni dèi inferiori, come sbaglia Platone, sono i creatori dei corpi, ma è bensì il Dio buono e giusto che fa pure tali corpi. Se li riporti al grave giogo che pesa sui figli di Adamo, ( Sir 40,1 ) non troverai né un Dio cattivo, come quello che Manicheo assegna alla fabbricazione dei corpi, né un Dio vinto dai mali, implicato e immischiato con essi, come Manicheo non teme di credere del Dio buono, ma evidentemente un Dio giusto, atteso il peccato originale, come il Dio che conosce la fede cattolica, dalla cui orbita ha deviato il vostro errore. Né infatti se nessuno avesse peccato, corpi brutti e mostruosi sarebbero nati nel paradiso. 117 - Manicheo anche Paolo? Giuliano. Non hai temuto, o tristissimo uomo, di appioppare a Dio ciò che per rimuoverlo da Dio Manicheo inventò un altro creatore. Siete ambedue certamente nemici della verità, ma prima che arrivassi tu si credeva che non fosse possibile superare in empietà Manicheo. Agostino. Prima di me c'era Ambrogio, che non era manicheo; prima di lui Ilario e Gregorio; prima di loro Cipriano e tutti gli altri che sarebbe lungo ricordare e che non erano manichei. E tuttavia hanno insegnato alla Chiesa quello che hanno imparato nella Chiesa: i bambini traggono il peccato originale e si devono essufflare negli esorcismi per sottrarli al potere delle tenebre e trasferirli nel regno del loro Salvatore e Signore. ( Col 1,13 ) Perché, se il Cristo è morto anche per essi, come pure tu sei stato costretto a confessare, allora tutti sono morti e Gesù è morto per tutti, ( 2 Cor 5,14-15 ) secondo le parole dell'Apostolo. Se anche lui è manicheo, secondo le tue parole, che cosa sarai tu allora? 118 - Felicissimo di essere vituperato da A., accusatore di Dio Giuliano. Tu però hai giustificato la tua sorella Sodoma, ( Ez 16,48.51.55 ) come dice il Profeta, e si crederà assolto Manicheo se si confronta con le tue bestemmie. Io nel primo libro della mia opera mi ero vantato d'essere lacerato da quella bocca dalla quale anche gli Apostoli avevano patito ingiuria; adesso invece mi spaventa la grandezza della mia felicità: sono vituperato da uno che incrimina Dio! Agostino. Sei vituperato da uno che con Ambrogio e con tutti gli altri suoi colleghi predica liberatore anche dei bambini il Cristo, che tu non solo incrimini come mentitore là dove dice di essere venuto a salvare e a cercare ciò che era perduto, ( Lc 19,10 ) ma anche lo contraddici perché non cerchi egli i bambini da salvare. 119 - Parole fragili come il vetro Giuliano. Donde mi è venuto l'onore di tanto oltraggio? Nulla di simile avresti potuto arrecarmi con le tue lodi. Delle mie sentenze dici che sono da riprovare, ma delle opere di Dio dici che sono da condannare; di me dichiari che ragiono malamente, ma di Dio dichiari che crea malvagiamente; contro di me gridi che sono nell'assurdità, contro Dio che è nella crudeltà; di me asserisci che ignoro la legge, ma di Dio che ignora la giustizia; di me vociferi che non sono cattolico perché dico che il Cristo sollecita gli uomini che vuol salvare, ma di Dio giuri che crea gli uomini che vuol condannare e che non crea se non perché finiscano tutti nella dannazione. Agostino. Questo si può dire anche della prescienza di Dio, che tuttavia non può essere negata dai fedeli e penso nemmeno da voi. Oppure decidetevi a negare che Dio preconosca la futura condanna da parte sua di molti di quelli che crea, perché non sembri creare uomini da condannare; decidetevi a negare un fatto ancora più misterioso e inscrutabile: Dio non rapisce da questa vita ( Sap 4,11 ) perché la malizia non muti i loro sentimenti molti dei quali non può ignorare che sarebbero stati cattivi. Date onore a Dio: alla profondità dei suoi giudizi ceda la tempesta rumorosa delle vostre parole, in apparenza nitide e acute, ma fragili come il vetro. 120 - È sparita la speranza della salvezza Giuliano. Tra te dunque e Manicheo, primo seminatore dei tuoi modi di sentire, vedo che per il progresso della tua erudizione si è fatta una grande distanza. Egli infatti, benché abbia tirato fuori due princìpi, ha lasciato tuttavia sussistere in parte la speranza della salvezza dicendo che il Dio buono è contrarissimo all'iniquità e alla crudeltà. Tu viceversa, parlando, sì, di un unico Dio buono, ma creatore lui stesso di uomini cattivi, come hai tolto di mezzo il rispetto dovuto alla divinità, così hai tolto di mezzo radicalmente la speranza della salvezza. Agostino. I manichei fingono un Dio crudelmente debole, che ha lasciato contaminare e dilaniare la sua parte, la sua sostanza, le membra della sua natura dai suoi nemici, dai quali vedeva incombere su di sé la devastazione. Voi invece, che non negate l'assoluta onnipotenza di Dio, lo volete far credere ingiusto nel grave giogo dei bambini, negando il peccato originale. 121 - Molto più numerosi i condannandi dei salvandi Giuliano. Non è tale infatti da venire in soccorso dei rei, quando egli stesso che è unico per il desiderio di creare miserie punisce anche coloro nei quali nient'altro riconosce che quanto ha fatto in loro lui stesso. Agostino. Riconosce in loro anche quanto non ha fatto lui stesso: il peccato appunto non è lui che l'ha fatto. Un altro poi, vano quanto voi, potrebbe dire che Dio per il desiderio di creare miserie crea pure coloro dei quali non ha potuto ignorare la futura condanna da parte sua, incomparabilmente più numerosi di quelli dei quali ha previsto la futura liberazione da parte sua. 122 - Nessuno è cattivo per natura Giuliano. Osservato dunque l'abisso della tua empietà, benché non si possa trovare nulla di più profano, si mostrerà tuttavia con un breve ragionamento quanto sia privo di qualsiasi forza quello che dici e che cosa si raccolga dalle tue costruzioni. Il Dio che ha voluto essere chiamato con questo nome, come si crede che sia onnipotentissimo, così si crede giustissimo, delle quali doti se ne mancherà una, nessuna delle due sarà presente; come è il creatore benignissimo degli uomini, così è l'estimatore giustissimo dei meriti; tutto quello che fa è molto buono. ( Gen 1,31 ) Conseguentemente nessuno è cattivo per natura, ma chiunque sia reo, ad accusarlo sono i suoi comportamenti e non i suoi esordi. Agostino. Perché dunque il grave giogo sopra gli esordi dei bambini sotto un Dio potentissimo e giustissimo? 123 - Conclusioni Giuliano. Pertanto né esiste il male naturale, né Dio può creare uomini rei, né può collocare gli uomini nel regno del diavolo. Conclusioni di tutto questo: da una parte tu risulti seguace di Manicheo e anzi peggiore di Manicheo; dall'altra parte rifulsero senza il peccato l'ingresso dell'umanità, i frutti della fecondità sotto il diritto di Dio e non del diavolo, l'innocenza naturale. Agostino. Dunque anche Ambrogio, il quale ha detto: I bambini che sono stati battezzati sono riportati dalla malizia ai primordi della loro natura, risulta seguace di Manicheo, come tu affermi o insultando o infuriando. 124 - Sacramenti diversi secondo epoche diverse per la medesima salvezza Giuliano. Assicurato tutto questo, osserva che cosa segua al tuo procedimento. Si sa che i Profeti, i Patriarchi, i Santi del Vecchio Testamento furono tutti privi del battesimo, ma, creati da Dio, rifulsero poi per le loro proprie virtù: si dovrebbero credere dunque, contro la testimonianza della legge, sotto il regno del diavolo per esser consegnati agli eterni supplizi, perché tu dichiari tutti i discendenti di Adamo creati per la dannazione. Agostino. Anche gli stessi giusti dell'antichità li ha liberati la medesima grazia alla quale voi avete dichiarato guerra, sebbene abbiano fatto uso di sacramenti diversi secondo l'epoca. Perché credevano nei riguardi del Cristo ciò che crediamo noi. Uno infatti è Dio e uno il Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, ( 1 Tm 2,5 ) il cui avvento di umiltà ad essi fu preannunciato e a noi invece fu annunziato, ma l'avvento di clarità che avverrà alla fine fu preannunziato e ad essi e a noi. Da parte loro dunque e da parte nostra unica è la fede in quest'unico Mediatore, e medesimo è lo spirito di fede tanto in loro quanto in noi, per cui l'Apostolo dice: Animati da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo. ( 2 Cor 4,13 ) Ma donde questa fede venga, per non gloriarcene come se venisse da noi, ascoltiamolo dal medesimo Apostolo: Per la grazia siete stati salvati mediante la fede, e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio. ( Ef 2,8 ) E in un altro passo: Pace ai fratelli e carità e fede da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo. ( Ef 6,23 ) 125 - Finiranno nella condanna anche i non rigenerati Giuliano. Se tu dirai questo sproposito, anche i tuoi patroni potranno confessare quanto apertamente tu sii manicheo. Se invece comprenderai che l'esercito così grande del vero Re combatte contro la tua sentenza e che tu non puoi recare ad esso pregiudizio, rasségnati a constatare la distruzione di tutta la tua costruzione: e quindi non tutti da uno solo finiscono nella condanna, ( Rm 5,16 ) ma solamente coloro che dall'ultima fine saranno trovati ribelli alla volontà di Dio senza pentimento e senza emendamento. Agostino. Aggiungi: anche i generati, se non sono stati rigenerati, perché in uno solo hanno peccato tutti. ( Rm 5,12 ) 126 - L'immagine dei vasi Giuliano. Che poi Dio sia stato paragonato ad un vasaio che dalla medesima massa fa un vaso per uso nobile e un altro per uso volgare, ( Rm 9,21 ) non avrebbe dovuto essere davvero ricordato da te, perché, come da noi è spiegato coerentemente, così è contrario a te totalmente; quando infatti si dice che gli uni sono fatti per usi nobili e gli altri per usi volgari, giova al senso dei cattolici, con il quale secondo la diversità della volontà umana si sostiene anche il diverso esito dei vasi. Agostino. Ascolta Ambrogio che dice: Noi uomini nasciamo tutti sotto il peccato, perché è nel vizio la nostra stessa nascita. Così appunto intende con tutti gli altri suoi colleghi, discepoli, dottori, senza nessun dubbio cattolici, quanto è stato scritto a proposito del peccato e della morte: è entrato a causa di un solo uomo ed è passato in tutti gli uomini. ( Rm 5,12 ) E devi capire che questa è la massa da cui si fanno i vasi, sia di una specie, sia dell'altra. Perché, se di questa inscrutabile questione la soluzione fosse cotesta che tu ritieni secondo i meriti della volontà, essa sarebbe tanto manifesta che nessuna sua difficoltà spingerebbe l'Apostolo a dire: O uomo, chi sei tu per disputare con Dio? ( Rm 9,20 ) Di personaggi infatti non ancora nati si trattava, dei quali non in dipendenza delle opere, ma secondo la propria volontà, Dio ha amato l'uno e ha odiato l'altro: donde si è arrivati a queste parole dove dire della medesima massa, dei diversi vasi, della libertà del vasaio. 127 - Le insondabili vie del Signore Giuliano. Tu poi, che sopra avevi detto che tutti se ne vanno alla dannazione, con che faccia hai posto la testimonianza dove si dichiara che uno va all'onore e un altro alla vergogna? Agostino. Ma la grazia libera dalla dannazione di tutta la massa coloro che libera, ed è negando questa grazia che voi siete eretici. Per quanto infatti dipende dal merito dell'origine, tutti vanno alla dannazione a causa di uno solo. ( Rm 5,16 ) Per quanto invece concerne la grazia, che non è data secondo i meriti, si dicono vasi di misericordia tutti coloro che sono liberati da cotesta dannazione, mentre su quelli che non sono liberati continua a incombere l'ira di Dio, ( Gv 3,36 ) proveniente da un suo giusto giudizio, che non per questo è vituperabile perché è imperscrutabile. E la ragione per cui si dicono vasi d'ira è che anche di essi Dio fa buon uso per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso i vasi di misericordia. ( Rm 9,23 ) La pena infatti che Dio esige per sua giustizia da tutti gli altri la condona a cotesti per sua misericordia. E se tu stimi biasimevoli queste insondabili vie del Signore, ascolta: O uomo, chi sei tu per disputare con Dio? ( Rm 9,20 ) 128 - Il vasaio di Paolo e il vasaio di A. Giuliano. Niente è infatti tanto contraddittorio quanto dire tutti e non tutti. Tu dici che dal Dio vasaio tutti sono fatti per la dannazione, l'Apostolo dice che né tutti per la dannazione né tutti per l'onore: il che spiegherò a suo luogo quale dignità abbia. Tuttavia nella stessa formulazione della sentenza risulta esserci tra voi una grande discordia: né il vasaio che plasma tutti i vasi per la dannazione è il medesimo vasaio del quale Paolo dice che fabbrica alcuni vasi per uso nobile, né tu credi a quel vasaio di cui predica il meraviglioso Maestro, perché il tuo vasaio plasma tutti i vasi per la dannazione, il vasaio dell'Apostolo ne plasma moltissimi per la gloria. Agostino. Quando si dice che tutti a causa di uno solo vanno alla dannazione, si indica la stessa massa dalla quale il vasaio fa alcuni vasi per uso nobile, quelli cioè che sono assunti alla grazia, e altri per uso volgare, quelli cioè che sono lasciati a pagare il debito, perché i figli della grazia sappiano che a loro si condona un debito di cui non sarebbe ingiusta l'esazione, e perché così non si glorino di se stessi, ma del Signore. ( 1 Cor 1,31 ) 129 - Il Dio di G. e il Dio di Paolo Giuliano. E questo vorrei proprio averlo detto perché appaia subito che tu sei o di singolare ignoranza o di singolare impudenza nel fare uso, invece che di testi favorevoli a te, di altri che ti sono contrari. Del resto la pietà e la ragione spiegheranno che il mio Dio non plasma nessuno per la vergogna. Agostino. Se il tuo Dio non plasma nessuno per la vergogna, non è lo stesso Dio dell'apostolo Paolo. È appunto del vero Dio che egli diceva: O uomo, chi sei tu per disputare con Dio? Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: Perché mi hai fatto così? Forse il vasaio non è padrone dell'argilla per fare dalla medesima massa un vaso per uso nobile e uno per uso volgare? ( Rm 9,20-21; Is 45,9 ) Ma tu evidentemente da grande maestro d'arte tiri fuori dalla fucina pelagiana un Dio più buono che non fa nessun vaso per uso volgare. 130 - La previsione di Dio Giuliano. Ma crea buona la sua immagine, cioè tutti gli uomini, Dio che, quando sono stati demoliti dalla pravità delle passioni, desidera di riformarli con la generosità dei suoi rimedi. È a lui che la Chiesa canta: Misericordia e giustizia, ( Sal 101,1 ) perché è benigno verso coloro che non hanno peccato, e d'altra parte punisce con giusto giudizio coloro che, creati buoni da Dio, hanno peccato di propria volontà e respinto i sussidi della sua misericordia. Questa misericordia dunque e questa giustizia canta la Chiesa dei cattolici; ma nulla di simile può risuonare nella vostra, secondo la quale senza giustizia, senza giudizio, senza misericordia Dio, creatore di uomini cattivi, li plasma per punirli e li punisce perché egli stesso li ha plasmati da Adamo. Agostino. Certamente già sopra ti è stato risposto per tutte coteste tue affermazioni, tuttavia ascolta brevemente anche qui. Non rifiuta Dio il bene della sua formazione alla stirpe umana nemmeno dopo che è stata condannata. Ma se ti dispiace che Dio crei coloro che condanna, contraddicilo, se puoi, perché non crei coloro dei quali senza dubbio ha previsto che saranno cattivi e che persevereranno fino alla fine nella loro cattiva volontà e che per questo dovranno essere condannati. Oppure suggeriscigli, se ti pare, che le tante migliaia di bambini non battezzati, dei quali preconosce che vivranno perdutamente e che per sua condanna andranno nel fuoco eterno con il diavolo, li rapisca da questa vita finché sono innocenti e buoni, e ottengano la vita eterna, se non nel suo regno, almeno in un qualche luogo di felicità secondaria, come quello che ha costruito per essi la vostra eresia. Altro ancora hai da suggerire come consigliere di Dio in favore dei suoi figli, da lui rigenerati, da lui adottati e da lui tuttavia previsti cattivi e condannandi; prima che arrivino ad una vita colpevole li privi della prosecuzione della vita stessa, e appartengano al suo Regno, non ai supplizi eterni. Poiché infatti hai ritenuto odioso dire che Dio crea persone da condannare, pensa con quanta più odiosità un altro vano alla pari di te potrebbe dire che Dio rigenera persone da condannare, mentre è nel potere della sua onnipotenza sottrarle alle tentazioni di questa vita mortale, prima che diventino condannabili. Se invece non puoi dire così, né contraddire Dio, né offrire il tuo consiglio alla sua sapienza - chi infatti ha mai potuto conoscere il pensiero del Signore o chi mai è stato suo consigliere? ( Rm 11,34; Is 40,13 ) - smetti di portarci avanti un secondo vasaio che non plasma vasi per usi volgari e astieniti dal riprendere questo vasaio che li plasma, e riconosci te stesso, perché proprio per impedirti d'implicarti in questo sacrilegio l'Apostolo ti dice: O uomo, chi sei tu per disputare con Dio? ( Rm 9,20 ) 131 - La grazia previene l'uomo Giuliano. Ma si dimostri ormai la dignità della sentenza dell'Apostolo, perché non si creda che abbia sentito almeno nei riguardi di alcuni ciò che tu hai stimato abbia sentito nei riguardi di tutti. L'apostolo Paolo pertanto, discutendo delle questioni dei Giudei che, tronfi della dignità della propria razza, disdegnavano che fossero equiparati a loro i fedeli provenienti dai pagani, esalta insieme la giustizia di Dio e la sua grazia, argomentando che alla munificenza di esse appartiene il duplice fatto: che prima la conoscenza della legge aveva nobilitato i Giudei e che in seguito la predicazione del Cristo aveva aggregato anche le genti. Unico infatti il creatore di ambedue i popoli, che giudicherà alcuni per mezzo della legge, altri senza la legge, altri nella legge, ( Rm 2,12; Rm 3,29-31 ) perché non era il Dio dei Giudei solamente, ma anche dei gentili, e renderà a ciascuno il suo senza frode, senza grazia, ( Rm 3,29 ) cioè senza nessuna preferenza di persona - e questo sta a significare il nome di grazia nella definizione della giustizia -. Egli giustamente condanna ed esclude dalla sua eredità coloro che vengono dal seme di Abramo, se vivono iniquamente, così come pure i gentili sorpresi in uguale condotta. Viceversa dona i gaudi eterni alle buone volontà e alla vera fede e alla probità delle azioni di ambedue i popoli. Comprime dunque il Maestro delle Genti il tumore della superbia dei Giudei e mostra che la distanza non sta nei semi del genere umano, ma nei costumi, perché riconoscessero che nessun privilegio di circoncisione li avrebbe garantiti, se non avessero cercato d'essere fedeli, dal momento che Giacobbe ed Esaù, concepiti da un'unica inseminazione e nati da un unico parto, subirono sorti troppo diverse secondo la diversità dei loro meriti. Agostino. Se tu seguissi la sapienza dell'Apostolo, non richiameresti i meriti di Giacobbe a questo punto dove dice che non fu amato a causa delle opere, per porre in evidenza la grazia che non è data secondo i nostri meriti; altrimenti essa non sarebbe, con le sue parole, salario non calcolato come dono, ma calcolato come un debito. ( Rm 4,4 ) Con le quali parole cosa intende se non che la grazia non è dovuta, ma è gratuita? Questa grazia, pertanto, poneva in evidenza dove diceva: Quando essi ancora non erano nati e nulla avevano fatto di bene o di male - perché rimanesse fermo il disegno divino fondato sulla elezione non in base alle opere, ma alla volontà di colui che chiama -, le fu dichiarato: Il maggiore sarà sottomesso al minore. ( Rm 9,11-12 ) Sono affermazioni chiare, che tu tenti di oscurare. Togli i tuoi fumi e guarda alla luce delle Scritture. La grazia appunto previene l'uomo, perché abbia la dilezione di Dio e con questa dilezione compia il bene. Il che mostra apertissimamente anche l'apostolo Giovanni dove afferma: Amiamolo perché egli ci ha amati per primo. ( 1 Gv 4,19 ) Dunque non siamo amati perché l'abbiamo amato, ma lo dobbiamo amare perché siamo stati amati da lui. 132 - Esaù e Giacobbe Giuliano. Infatti Esaù, profanatore e fornicatore che in cambio di una sola pietanza vendette la sua primogenitura, chiese la benedizione che aveva disprezzata e non l'ottenne, sebbene l'avesse richiesta con le lacrime. All'inverso Giacobbe, quieto, mite, obbediente ai precetti dei genitori, avidissimo di cose sante, fu promosso a tal punto che in mezzo al popolo santo Dio si diceva, come di Abramo e di Isacco, così pure Dio di Giacobbe. ( Es 3,6; Mt 22,32; Eb 12,16-17 ) Poiché dunque a tutti era noto da esempi che Dio per suo giusto giudizio non nega alle buone disposizioni in qualsiasi gente la sua misericordia e non lascia invece per nulla alle cattive disposizioni di proteggersi con la nobiltà della stirpe, capissero i Giudei che non dovevano disprezzare la fede delle genti, perché, come non patrocina i crimini lo stemma israelitico, così pure non nuoce in nessun modo alle virtù l'origine pagana. Questo dunque è tutto ciò che l'Apostolo tratta in tale controversia. In alcuni punti tuttavia per curvare l'arroganza dei circoncisi ama indicare sotto il nome di grazia il solo potere di Dio. Agostino. Dunque per curvare l'arroganza dei circoncisi l'Apostolo mentisce sotto il nome di grazia, perché Dio eleggerebbe a causa delle opere e non a causa della grazia. Chi può intendere così se non un eretico, nemico della grazia e amico della superbia? Il Vaso di elezione e Predicatore della grazia, fatto tale dalla grazia stessa, grida che Giacobbe non fu amato per le sue opere, e tu rammenti le opere di Giacobbe per le quali sostieni sia stato amato, e nel fare così stimi di contraddire me, mentre sei un nuovo anticristo e contraddici apertissimamente colui nel quale ha parlato il Cristo. ( 2 Cor 13,3 ) 133 - Facendo quello che vuole Dio fa quello che deve Giuliano. Ad essi che si gloriavano dell'osservanza delle cerimonie e delle vittime e per questo stimavano che le altre nazionalità, non consacrate in nessun modo dai riti della legge, né potessero né dovessero essere subito associate a loro nella medesima sorte, l'Apostolo intendeva dire che, anche se in quelle osservanze ci fosse stata la sostanza della giustizia, Dio aveva tuttavia in suo potere il diritto di fare qualche scambio di popoli per rigettare quelli che voleva rigettare e assumere quelli che voleva assumere. Alla quale interpretazione si risponde da parte dei Giudei che non si deve esigere più nulla dalla volontà dell'uomo, poiché Dio usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole. ( Rm 9,18 ) Al che l'Apostolo replica: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? ( Rm 9,20 ) E riporta la testimonianza del profeta Isaia: Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: Perché mi hai fatto così? ( Is 45,9; Rm 9,20 ) Aggiunge poi di suo: Forse il vasaio non è padrone dell'argilla, per fare dalla medesima massa di pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare? ( Rm 9,21 ) E il significato è questo: Perché io ho insistito sulla volontà di Dio e ho esposto l'autorità della sua grazia, dicendo che usa misericordia a chi la vuole usare, tu, o Giudeo, hai mosso calunnia contro di me quasi che la mia lode della volontà di Dio e del suo potere comportasse l'eliminazione della sua giustizia, e poiché ho detto che " Dio fa quello che vuole " hai argomentato che non si deve chiedere più nulla alla volontà dell'uomo, se Dio fa tutto di sua volontà; mentre la dignità della persona non ha lasciato luogo a questione. Se infatti avessi detto: " Dio fa quello che deve secondo le leggi della sua giustizia che giudica i meriti dei singoli ", non avresti certamente replicato nulla di quello che ora obietti. Adesso invece, perché ho detto: " Dio fa quello che vuole ", hai creduto che io abbia rubato qualcosa alla dignità della giustizia. Ambedue le affermazioni sono quindi identiche. Infatti quando dico di Dio: " Fa quello che vuole ", nient'altro dico se non: " Fa quello che deve ". So infatti che egli non vuole altro che quello che deve. Dove dunque la volontà aderisce inseparabilmente all'equità, qualunque delle due io nominerò, le ho indicate ambedue. Agostino. In qualsiasi modo tu dica che Dio fa quello che deve, la grazia non la deve a nessuno e a molti non rende il supplizio che deve alle loro opere cattive, ed elargisce la grazia che non deve a nessuna delle loro opere buone. Che doveva per esempio al medesimo Paolo, quando ancora da Saulo perseguitava la Chiesa? Non doveva forse il supplizio? Che l'abbia dunque prostrato a terra con una voce fatta discendere dal cielo, che l'abbia accecato, che l'abbia attratto con tanta violenza ad accogliere la fede che devastava, ( At 9,4.8s ) lo fece certamente secondo la grazia e non secondo un debito, perché fosse in quel resto del popolo di Israele del quale dice: Così anche al presente c'è un resto, conforme ad una elezione di grazia. E se lo è per grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. ( Rm 11,5-6 ) Che doveva se non il supplizio anche a coloro ai quali dice: Io agisco non per riguardo a voi, gente di Israele, ma per amore del mio nome santo, che voi avete disonorato tra le genti? ( Ez 36,22 ) Dice dunque che in mezzo ad essi fa il loro bene, ma per il suo nome che hanno profanato, non per loro stessi che lo hanno profanato: se volesse infatti agire tenendo conto di loro, renderebbe ad essi il debito supplizio e non donerebbe l'indebita grazia. Quello infatti che promette di fare è perché facciano il bene, non perché erano buoni coloro che hanno disonorato il suo santo nome. Inoltre dice apertissimamente che essi avrebbero fatto il bene ma facendoglielo fare egli stesso. Dice appunto tra l'altro: Vi farò vivere secondo i miei precetti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi. ( Ez 36,27 ) Per queste opere certamente il salario è calcolato come un debito: è dovuto infatti il salario se le opere si fanno, ma la grazia che non si deve le precede perché le opere si facciano. Si deve, dirò, un buon salario alle opere buone degli uomini, ma non si deve la grazia che trasforma gli stessi uomini da cattivi in buoni. Infine tu che hai detto che Dio fa quello che deve e hai sventolato a testa alta i meriti umani, dimmi, ti prego, a quali meriti dei bambini debba Dio il Regno dei cieli. Forse dirai che lo deve alla propria grazia, con l'aiuto della quale essi sono rinati. Per la grazia infatti, dopo che l'hanno ricevuta, già meritano d'entrare nel suo Regno; ma la grazia stessa che egli offre ai rigenerandi non la deve assolutamente a nessuno dei loro meriti. Per questo il vostro Pelagio, nel processo episcopale palestinese, fu costretto a condannare coloro che dicono che la grazia di Dio si dà secondo i meriti nostri, per non essere condannato egli stesso: dove senza dubbio condannò e te stesso e se stesso che non cessate di dirlo. Cotesta grazia, veramente grazia, cioè gratuita e non dovuta a nessun merito precedente, ricordava l'Apostolo dove diceva: Quando essi non erano ancora nati e nulla avevano fatto di bene o di male, perché rimanesse fermo il disegno divino fondato sull'elezione. ( Rm 9,11-12 ) Cotesta è l'elezione di cui si dice pure: C'è un resto conforme ad una elezione per grazia. E se lo è per grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. ( Rm 11,5-6 ) Tant'è vero che anche dopo aver detto: Perché rimanesse fermo il disegno divino fondato sull'elezione, soggiunge subito: Non in base alle opere, ma alla volontà di colui che chiama, le fu dichiarato: Il maggiore sarà sottomesso al minore. ( Rm 9,12 ) Contro questa tromba della verità tu strepiti e dici: Per curvare l'arroganza dei circoncisi l'apostolo Paolo ama indicare sotto il nome di grazia il solo potere di Dio. Nel qual caso che altro dici se non questo: Per curvare l'arroganza dei circoncisi l'Apostolo mentisce asserendo che Giacobbe non fu amato per le opere, mentre fu amato per le opere, cioè perché era quieto, mite, obbediente ai precetti dei genitori, avidissimo di cose sante? Né capisci che non fu amato perché era tale o perché sarebbe stato tale, ma divenne tale perché fu amato. Arrossisci: non mentisce l'Apostolo. Giacobbe non fu amato per le opere; ma, diletto per grazia, ( Rm 11,6 ) fu opportuno che la medesima grazia lo facesse abbondare di opere buone. Abbi pietà della tua anima, non voler essere nemico di questa grazia! 134 - Insieme la grazia di Dio e la volontà dell'uomo. Dio fa che l'uomo faccia Giuliano. Dunque quella superbia, che voleva oziare e coprire con il colore della necessità la propria accidia per aver ragione di reclamare contro il Vangelo sull'accoglimento delle genti, si sente dire che, pur ammessa l'esattezza della tua interpretazione, tu avresti dovuto supplicare Dio e non suscitare una sedizione. Con quelle parole rintuzza la nequizia di chi, adottando un parlare ambiguo, per questo cercava di attribuire a necessità divina la diversità dei meriti proveniente dalla qualità della volontà, perché voleva asserire una di queste due necessità: o le genti non fossero ammesse a partecipare della promessa o, se ciò fosse lecito a Dio, si estinguessero i compiti della libera volontà. Ma poiché ciò non bastava all'impresa - da un tale maestro infatti come veniva esaltata l'autorità di Dio, così non doveva essere lasciata indifesa la sua giustizia -, conseguentissimamente soggiunge che i vasi fatti per usi volgari e quelli fatti per usi nobili hanno questo trattamento dallo stipendio della propria volontà: Se pertanto Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza vasi di collera, già pronti per la perdizione, e questo per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria, cioè verso di noi che egli ha chiamati, non solo tra i Giudei ma anche tra i pagani, ( Rm 9,22-24 ) che potremmo dire? Qui certamente risolve quello che il precedente conflitto aveva lasciato coperto: da Dio non si porta ira se non contro quei vasi che siano pronti per la perdizione e la gloria si dona ai vasi che siano stati preparati per essa. Da chi poi tali vasi vengano preparati a ricevere ciò che abbiamo detto, l'ha manifestato il discorrere dello stesso Apostolo: In una grande casa, scrive, non vi sono soltanto vasi d'oro e d'argento, ma anche di legno e di coccio; alcuni sono destinati ad usi nobili, altri ad usi più spregevoli. Chi si manterrà puro astenendosi da tali cose, sarà un vaso nobile, santificato, utile al suo padrone, pronto per ogni opera buona. ( 2 Tm 2,20-21 ) Agostino. Dunque i vasi si preparano da se stessi, così che è stato detto invano che è Dio a predisporli alla gloria? Questo è infatti quello che dici apertissimamente e non capisci che è stato detto: Chi si manterrà puro, per mettere in evidenza anche l'opera dell'uomo per mezzo della sua volontà. Ma, o uomo ingrato, la volontà è preparata dal Signore. ( Pr 8,35 sec. LXX ) Perciò sono vere ambedue le affermazioni: e che Dio prepara i vasi alla gloria e che i vasi si preparano anche da se stessi. Infatti Dio fa che l'uomo faccia, e Dio per primo ama l'uomo perché l'uomo ami Dio. Leggi il profeta Ezechiele, dal quale ho riferito sopra quello che mi è sembrato sufficiente. Vi troverai anche queste parole: Dio fa che facciano secondo i suoi precetti gli uomini dei quali ha pietà, non per i loro meriti, che ivi menziona come meriti cattivi, ma per il suo nome, allo scopo che facendo Dio senza i meriti degli uomini che essi facciano secondo i suoi precetti comincino ad avere meriti di opere buone. Questa è la grazia che voi negate: non la grazia che proviene dalle opere che si fanno, ma la grazia che proviene da Dio perché le opere si facciano. 135 - Ti basti che sia chiara la verità Giuliano. Ecco l'ufficio della volontà libera: Chi si manterrà puro, dice, dal contagio dei vasi spregevoli - e con questo nome sono indicati i vizi -, sarà un vaso nobile, santificato, utile al suo padrone, pronto per ogni opera buona. ( 2 Tm 2,21 ) È dunque con le loro scelte che questi vasi si preparano o all'ira o alla gloria. Ma in ambedue i casi Dio manifesta la sua potenza: o sfoderando la sua severità contro gli empi o elargendo la sua benedizione ai fedeli. Si è pertanto fatto chiaro che questa sentenza dell'egregio precettore e non ha dato spago ai modi di sentire dei manichei e viceversa ha conseguentemente offerto a noi delle armi. Agostino. Perché calunni, perché incrimini, perché non presti attenzione chi e quali dottori della Chiesa tu incrimini? Ti rispondo con le parole non di un qualsiasi manicheo ma di Sant'Ambrogio: Dio chiama chi si degna di chiamare e fa religioso chi vuole. Questo lo fa Dio in verità, questo ha inteso Ambrogio nella verità delle divine Scritture, ma il giudizio per cui lo fa con alcuni e non con altri rimane occulto. Per questo è detto all'uomo per mezzo di un uomo ma non dall'uomo: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che l'ha plasmato: "Perché mi hai fatto così"? Forse il vasaio non è padrone dell'argilla per fare dalla medesima massa di pasta un vaso nobile e uno per uso volgare? ( Rm 9,20-21 ) Togli le tue foschie dalla serenità di queste parole, che indicano un giudizio di Dio certamente occulto, ma che per se stesse sono tanto chiare da non lasciarsi appannare e oscurare dalla tua caligine. 136 - Dio crea tutti gli uomini, ma non li salva tutti Giuliano. Essa perciò ti è anche fortemente contraria, perché dice che non tutti sono plasmati per la dannazione, nella quale tu dichiari che vanno tutti a finire. Assurdissimamente poi sei solito argomentare così: Ma non sono plasmati per la dannazione coloro che successivamente sono liberati, perché anche così non può essere d'accordo con te nemmeno la superficie del discorso dell'Apostolo. Infatti tu quando dici: " Tutti sono creati per la dannazione in forza della legge del nascere, ma alcuni, benché pochissimi, sono liberati per mezzo dei misteri ", non asserisci quello che asserisce l'Apostolo, il quale non insegna solamente che alcuni sono liberati tra i condannati, ma insegna che non tutti sono plasmati per la dannazione, e invece alcuni per il disonore, altri per l'onore. Agostino. L'Apostolo dove ha detto: Da uno solo tutti alla condanna, ( Rm 5,16 ) ha indicato la stessa massa che fluisce da Adamo tutta viziata. Dove poi dice che da essa si fanno vasi per uso nobile, esalta la grazia con la quale Dio libera altresì gli uomini che crea. Dove però dice che dalla massa si fanno vasi per uso volgare, mostra il giudizio per cui Dio crea, sì, gli uomini e tuttavia non li libera. Il che anche voi siete costretti a confessare dei bambini, dei quali non potete certamente negare che una sola sia per tutti la massa, checché pensiate della sua qualità. Dalla quale massa riconoscete tuttavia che alcuni si adottano per il Regno di Dio, e concedete che questi sono senza dubbio vasi fatti per uso nobile, e altri invece non si adottano, e che questi siano vasi fatti per uso volgare, se non lo acconsentite intelligentemente, lo negate impudentemente. Infatti, anche se come volete questa non è una pena di condanna, sarà almeno un'ingiuria per l'immagine di Dio essere separata dal Regno di Dio. Ma voi, se negherete persistentemente quella grazia, dimostrerete di appartenere a questo giudizio di condanna, il quale sarebbe certamente ingiusto nei bambini, se non ci fosse in loro il peccato originale. 137 - Fumi, non fulmini Giuliano. Come si è fatto chiaro che l'Apostolo l'ha detto della condotta morale, così apparisce quanto sia grande la penuria di testimonianze della Legge che ti fa soffrire. Tu contro i fulmini della ragione chiedi aiuto a queste sentenze, le quali ti disdegnano e sono anzi incapaci per loro natura di venirti in soccorso. Agostino. Contro l'affermazione dell'Apostolo che Dio dalla medesima massa fa un vaso per uso nobile e un vaso per uso volgare, e contro la mancata affermazione dell'Apostolo che altri vasi Dio faccia né per uso nobile né per uso volgare - affermazione che certamente non mancherebbe, se Paolo credesse dei bambini ciò che credete voi -, contro di lui dunque che tuona in nome di Dio la vostra ragione non ha fulmini, ma fumi. 138 - Paolo, Isaia, il Verbo fatto uomo Giuliano. E queste discussioni sono state fatte appositamente nei riguardi della testimonianza dell'Apostolo. Ma in Isaia, dal quale Paolo ha preso questa sentenza, Dio è tanto lontano dal distogliere la creatura ragionevole dalla considerazione del suo giudizio che, come aveva detto per mezzo del medesimo Profeta: Togliete il male dalle vostre azioni, imparate a fare il bene, soccorrete l'oppresso; su, venite e discutiamo, dice il Signore, ( Is 1,16-18 ) così anche qui, per non sembrare d'aver fatto qualcosa con il solo potere e non con la giustizia, si degna rivelare la ragione dei suoi ordinamenti. Infatti al popolo giudaico, afflitto nella prigionia, annunzia l'approssimarsi del tempo della liberazione, quando sarebbero ritornati nella propria terra, e schiude la causa sia delle angosce precedenti, sia delle gioie imminenti. Gioisca il cielo dall'alto, dice, e le nubi facciano piovere la giustizia, nasca dalla terra la misericordia e insieme sorga la giustizia. Io sono il Signore Dio che ti ha creato. Io so fare anche meglio. Ti ho plasmato come l'argilla di un vasaio. L'aratore ara forse la terra tutto il giorno? Dirà forse la creta al vasaio: "Che fai? Non lavori? Non hai mani?". Dice forse la creta a chi l'ha plasmata: "Mi hai plasmata sapientemente"? Chi oserà dire a un padre: "Che cosa generi"? O ad una donna: "Che cosa partorisci"? Così dice il Signore Dio, il Santo d'Israele, colui che ha predisposto l'avvenire: Interrogatemi sui miei figli e sulle mie figlie e datemi ordini per le opere delle mie mani. Io ho fatto la terra e su di essa ho creato l'uomo; io con le mie mani ho disteso i cieli e ho dato ordini a tutte le stelle. Io ho stimolato il re alla giustizia; spianerò tutte le sue vie. Egli ricostruirà la mia città e rimanderà i miei deportati, senza denaro e senza regali, dice il Signore degli eserciti. ( Is 45,8-13 ) Agostino. Se tu capissi le parole del Profeta, capiresti che il re di cui è stato detto: Io ho stimolato il re alla giustizia; spianerò tutte le sue vie, ( Is 45,13 ) è questo Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù; ma lo capiresti così com'è da capire. Né infatti oserai dire che egli sia stato fatto Figlio di Dio fin dall'inizio, cioè dal seno della Vergine, per precedenti meriti di opere. Da quella medesima grazia dunque, dalla quale fu fatto buono quell'uomo fino dal suo inizio, da cattivi sono fatti buoni gli uomini che sono membra di lui. Non trovate infatti che cosa dire del Cristo secondo la sua umanità, cioè secondo ciò che il Verbo si è fatto facendosi carne: perché colui che era Dio è per un verso rimasto Dio, per un altro verso si è fatto uomo, e perché questo stesso uomo non è mai stato uomo così da non essere l'unigenito Figlio di Dio a causa dell'unigenito Verbo. Né infatti l'uomo Gesù si procurò d'essere l'unigenito Figlio di Dio con i meriti dei suoi comportamenti provenienti dalla sua propria volontà: ma, come ha detto giustamente Ambrogio, si astenne da ogni delitto nella sua qualità di nato dallo Spirito. Altrimenti, secondo voi, ce ne sarebbero molti come lui, se l'avessero voluto essere, e che egli fosse unico nella sua qualità è dipeso dal fatto che gli uomini non hanno voluto essere come lui. Se ponete attenzione con quanta empietà si dicano queste affermazioni o anche soltanto si credano con tacito pensiero, come riconoscete la natura dell'Unigenito: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio, ( Gv 1,1 ) così pure riconoscete la grazia: Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. ( Gv 1,14 ) Chiama dunque coloro che si degna di chiamare e fa religioso colui che vuole lo stesso Dio che ha fatto unico Mediatore tra Dio e gli uomini l'uomo che volle, senza ombra di meriti precedenti da parte della volontà umana. 139 - Dio giustifica la propria condotta Giuliano. Il senso dunque contenuto in questo passo, per quanto spetta alla storia, è che Dio fa al popolo questo discorso: Poiché non è per odio che vi ho consegnati alla cattività, non è nemmeno per dimenticanza del mio giudizio che ora vi ho tirati fuori dalla cattività babilonica; ma, per quanto sta in me, io pronto a favorirvi con perseverante benevolenza, ho dovuto tuttavia per la mia giustizia e consegnarvi ai nemici quando avete peccato e ricrearvi e liberarvi dopo che siete stati oppressi. Come infatti un esperto contadino non si dedica sempre ad un solo lavoro così da non fare altro che fendere i campi con gli aratri, ma prepara i terreni alla desiderata fertilità con opere varie, così anch'io vario i generi dei miei interventi per poter adattare la vostra volontà ai frutti della giustizia sia con afflizioni sia con consolazioni. Inoltre, perché intendiate con quanta equità agisco con voi, io potrei disprezzare secondo il mio potere i vostri borbottamenti e, come ad un vasaio non può dire un suo vaso: " Che cosa hai fatto "?, così anch'io potrei imporre a voi il peso del silenzio. Tuttavia contro questi esempi io vi provoco ad interrogarmi per i miei figli e per le mie figlie, cioè per voi e per le opere delle mie mani, perché impariate che io ho fatto tutto con giustizia e non ho fatto nulla con crudeltà. Agostino. Tu dici quello che vuoi e non quello che ha detto Isaia: egli parla di grazia e tu parli contro la grazia. 140 - L'Incarnazione come esempio di grazia senza meriti Giuliano. Tanto dal Profeta dunque quanto dall'Apostolo è stato portato come esempio il vasaio perché non offrisse nient'altro che un punto di riferimento, senza giudicare tuttavia che gli uomini valgano presso Dio così poco come l'argilla nel forno o nel tornio dei vasai. Portata a termine la spiegazione che abbiamo premessa, avvertiamo che secondo una versione recente c'è altro che riluce nel medesimo passo. Stillate dice, cieli, dall'alto, e le nubi piovano il giusto; si apra la terra e germini il Salvatore e sorga insieme la giustizia. Io, il Signore, l'ho creato. Guai al vaso che discute con il suo vasaio, vaso tra gli altri vasi d'argilla. Dice forse la creta al suo vasaio: "Che fai"? Oppure: "L'opera tua è senza mani"? ( Is 45,8-9 ) Con le quali parole, sebbene storicamente si esprima il re Ciro, tuttavia profeticamente si esprime l'incarnazione del Salvatore. E poiché egli sarebbe nato da una vergine, si chiama in giudizio l'ostinazione dei Giudei e di tutti gli infedeli perché non si oppongano ai segni della fede. Dopo infatti aver premesso: Si apra la terra, germini il Salvatore e sorga insieme la giustizia, dice: Io, il Signore, l'ho creato. Agostino. Dimmi con quali opere abbia meritato questo l'uomo Cristo Gesù e osa garrire per quale giustizia di Dio l'abbia meritato lui soltanto, o se non osi, confessa finalmente la grazia senza meriti, che non solo rimette all'uomo i suoi peccati, ma fa anche la giustizia nella natura umana per mezzo dello Spirito Santo. Non è vero infatti che anche all'uomo Cristo la grazia abbia rimesso i peccati o che la grazia non l'abbia fatto tale da essere sempre buono fin dall'inizio, come fin dall'inizio è sempre Figlio di Dio. Piuttosto, come quelli che nel deserto erano mortalmente malati per i morsi dei serpenti furono avvertiti di rivolgere lo sguardo per non morire al serpente che era stato innalzato come segno, ( Nm 21,6-9 ) così coloro che sono avvelenati dalle vostre discussioni si devono avvertire di guardare al Cristo e di vedere nella giustizia di quell'uomo mediatore la grazia senza meriti, per espellere da sé il veleno della vostra bocca. Inoltre nelle parole del Profeta, anche secondo la recente versione che hai ricordata, dove il Cristo è stato profetato con più evidenza, non hai preso da essa a discutere se non il fatto che nacque da una Vergine, poiché è stato detto: Si apra la terra e germini il Salvatore, ma non hai voluto dire nulla della sua giustizia, che è stata ugualmente preannunziata, benché tu abbia riportato le stesse parole profetiche: Stillate, cieli, dall'alto e le nubi piovano il giusto; si apra la terra e germini il Salvatore, e sorga insieme la giustizia. Dimmi: quale giusto hanno piovuto le nubi all'infuori del Cristo, che i Profeti e gli Apostoli hanno predicato e che è nato dal seno stesso di una Vergine insieme con la giustizia? Tant'è vero che dopo avere detto: Si apra la terra e germini il Salvatore, aggiunge subito: E sorga insieme la giustizia. Perciò la grazia dalla quale sono fatti giusti gli uomini che rinascono nel Cristo è la medesima grazia per la quale nasce il Cristo come uomo giusto. Com'è dunque esempio di vita perché imitandolo agiamo con giustizia, così è pure esempio di grazia perché credendo in lui speriamo di essere fatti giusti per mezzo di lui dalla medesima fonte dalla quale è stato fatto giusto lui stesso, che per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto: "Chi si vanta, si vanti nel Signore". ( 1 Cor 1,30-31 ) Pertanto tutti quelli che avete morsicati con il vostro dente mortifero, rivolgano lo sguardo a questo Giusto e saranno sanati: cioè credano di ricevere la giustizia dalla medesima fonte dalla quale ebbe la giustizia innata il Cristo, e quindi si vantino non nel loro arbitrio e non nel loro merito, ma nel Signore. 141 - Le opere buone seguono la grazia, non la precedono Giuliano. Nel testo del Profeta la terra si apre al germe prima di accogliere il seme dalle mani del contadino; è ciò che si riscontra nel parto della Vergine, la quale con il dono di madre ha preceduto ed escluso l'ufficio di moglie. Dio onnipotente promette dunque quello che non era in uso e, prevedendo una moltitudine d'increduli, aggiunge: Guai al vaso che discute con il suo vasaio, vaso tra altri vasi d'argilla. ( Is 45,9 ) Cioè: Guai a coloro che, pur promettendolo Dio, sostengono l'impossibilità di una vergine a rimanere incinta e, benché costoro a loro volta vengano inseriti nelle viscere materne con i semi, istituiti da Dio, e tuttavia con l'intervento della potenza di Dio, affermano ostinatamente che dalla carne di una vergine non si sarebbe potuta costruire un'altra carne senza la collaborazione del maschio. Che voi dunque, o gente cocciuta, crediate sia stato impossibile per me fare questo e mi opponiate come prova l'oggettiva difficoltà intrinseca della realtà, mentre consta che voi stessi siete stati fatti dalle mie mani, è tale e quale come se la creta dicesse al suo vasaio che la lavora: " Non hai mani " nel momento stesso in cui le mani del vasaio stanno dandole forma di vaso. Così dunque anche voi che indagate chi senza seme virile abbia dato il Figlio alla Vergine, sappiate che è quel medesimo Dio che ha fatto voi dal seme. Ma ormai, poiché la nostra spiegazione, benché in due forme diverse e tuttavia in ambedue pia e religiosa, è stata in perfetta consonanza con le Sante Scritture, termini il primo libro, non senza tuttavia ammonire alla sua fine che Dio si creda autore dei nascenti, tutore degli innocenti, rimuneratore dei cattolici, punitore dei manichei. Agostino. Perché sappiano coloro che leggono con intelligenza in che modo tu abbia tentato di oscurare e di contorcere le parole apostoliche chiare e rette, devo rispondere al tuo ragionamento con il ragionamento medesimo dell'Apostolo. Volendo dunque il beato Paolo mostrare che quanto ha promesso, Dio ha pure il potere di realizzarlo - e qui si tratta massimamente della grazia di cui voi siete nemici; non è infatti in potere degli uomini che Dio adempia le sue promesse, ma in potere di colui stesso che ha promesso -, volendo dunque dimostrarlo dice: Non può venire meno la parola di Dio. Infatti non tutti i discendenti d'Israele sono Israele, né per il fatto di essere discendenza di Abramo sono tutti suoi figli. No, ma: In Isacco ti sarà data una discendenza, cioè non sono considerati figli di Dio i figli della carne, ma come discendenza sono considerati solo i figli della promessa. Queste infatti sono le parole della promessa: Io verrò in questo tempo e Sara avrà un figlio. ( Rm 9,6-9 ) Tieni in mente i figli della promessa, perché chi ha promesso è pure capace di mantenere. ( Rm 9,10-13 ) Dice: E non è tutto, ma c'è anche Rebecca che ebbe figli da un solo uomo, Isacco, nostro padre: quando essi ancora non erano nati e nulla avevano fatto di bene o di male - perché rimanesse fermo il disegno divino fondato sulla elezione non in base alle opere, ma alla volontà di colui che chiama -, le fu dichiarato: Il maggiore sarà sottomesso al minore. ( Rm 9,14 ) E qui tieni in mente l'elezione non in base alle opere, che in qualche modo ha spiegato un Profeta posteriore, al quale allude l'Apostolo soggiungendo: Come sta scritto: Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù. ( Rm 9,15-16 ) Qui si presenta una questione che potrebbe turbare coloro che non comprendono la profondità della grazia, e l'Apostolo proponendola a se stesso scrive: Che diremo dunque? C'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente! ( Rm 9,16 ) E per spiegarlo, questo: No certamente, aggiunge: Egli infatti dice a Mosè: Userò misericordia con chi vorrò e avrò pietà di chi vorrò averla. Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia. ( Rm 9,16 ) Se tu ne tenessi conto, non esalteresti contro la grazia i meriti della volontà, quando senti dire: Non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia. Non Dio dunque usò misericordia con Giacobbe, perché Giacobbe volle e si sforzò, ma Giacobbe volle e si sforzò perché Dio usò misericordia. La volontà infatti è preparata dal Signore, ( Pr 8,35 ) e: Il Signore fa sicuri i passi dell'uomo e segue con amore il suo cammino. ( Sal 37,23 ) Dopo, poiché nei riguardi di Giacobbe si è proferita questa sentenza generale: Non dipende dalla volontà dell'uomo né dai suoi sforzi, ma da Dio che usa misericordia, si dà pure l'esempio del Faraone in riferimento all'affermazione: Ho odiato Esaù e si soggiunge: Dice infatti la Scrittura al Faraone: Ti ho fatto sorgere per manifestare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato in tutta la terra. ( Rm 9,13.16-17 ) Dopo di che si conclude rispetto ad ambedue: Dio quindi usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole; ( Rm 9,18 ) ma certamente usa misericordia secondo la grazia che si dona gratuitamente e non si rende ai meriti. Fare appunto dalla massa condannata un vaso per uso nobile è una grazia manifesta; fare al contrario dalla massa condannata un vaso per uso volgare è un giusto giudizio. Riferendo perciò le parole di coloro a cui ciò dispiace scrive: Mi potrai però dire: Ma allora perché ancora rimprovera? Chi può infatti resistere al suo volere? E rintuzzandoli dice: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: Perché mi hai fatto così? Forse il vasaio non è padrone dell'argilla per fare con la medesima massa di pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare? ( Rm 9,19-21 ) Vedi se non collima con le sue parole precedenti e se dissente dalle tue, tu che reputi che ciò sia stato detto secondo i meriti delle volontà, contro la sua esplicita affermazione: Quando essi ancora non erano nati e nulla avevano fatto di bene o di male - perché rimanesse fermo il disegno di Dio fondato sulla elezione non in base alle opere, ma alla volontà di colui che chiama -, le fu detto: Il maggiore sarà sottomesso al minore e contro la sua conclusione: Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia. Né solamente contro queste asserzioni che precedono, ma altresì contro le asserzioni che seguono. Dice appunto vasi di collera quelli già completamente pronti alla perdizione: il che sarebbe ingiusto, se non ci fosse già la massa condannata per il fatto che tutti finiscono nella condanna a causa di uno solo; e dice vasi di misericordia quelli che egli ha predisposti alla gloria. Appunto alla misericordia gratuita e non dovuta compete di preparare dalla massa condannata vasi alla gloria, non solo tra i Giudei, come dice, ma anche tra i pagani. E per questo cita il testo del Profeta Osea: Chiamerò mio popolo quello che non era mio popolo, ( Rm 9,24; Os 1,9 ) e la dichiarazione di Isaia: Di Israele sarà salvato solo il resto. ( Is 10,22; Rm 11,5 ) Che poi fosse effetto della grazia di Dio la sopravvivenza di un tale resto lo insegna di seguito con le parole dello stesso Profeta: Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato una discendenza. ( Is 1,9 ) Dopo inculca che le genti hanno conquistato la giustizia per mezzo della fede e che al contrario Israele non l'ha conquistata, perché presumeva di conquistarla con le opere e non con la fede. La fede infatti ottiene ciò che l'Apostolo dice poco dopo: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. ( Rm 10,13 ) Alla quale salvezza spetta che le opere siano buone e che la giustizia venga a noi da Dio e non da noi. Per questo nei riguardi di coloro che hanno urtato contro la pietra d'inciampo, perché ricercavano la giustizia non dalla fede, ma dalle opere, seguita a dire: Fratelli, il desiderio del mio cuore e la preghiera sale a Dio per la loro salvezza. Rendo infatti loro testimonianza che hanno zelo per Dio, ma non secondo una retta conoscenza; poiché ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,1-3 ) Quello assolutamente che state facendo anche voi: volete appunto stabilire la vostra giustizia alla quale Dio corrisponda con la sua grazia secondo i vostri meriti, né volete la precedenza della grazia di Dio che vi faccia avere la giustizia. Poi, seguendo il filo del ragionamento, Paolo arriva al passo dove dice: Io domando dunque: "Dio avrebbe forse ripudiato il suo popolo"? Impossibile! Anch'io sono Israelita, della discendenza di Abramo, dalla tribù di Beniamino. Dio non ha ripudiato il suo popolo che egli ha scelto fin da principio. O non sapete forse ciò che dice la Scrittura nel passo in cui Elia ricorre a Dio contro Israele? "Signore hanno ucciso i tuoi Profeti, hanno rovesciato i tuoi altari e io sono rimasto solo e ora vogliono la mia vita". Cosa gli risponde però la voce divina? "Mi sono riservato settemila uomini, quelli che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal". Così anche al presente c'è un resto, conforme a una elezione per grazia. E se lo è per grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. ( Rm 11,1-6 ) Vedi poi che cosa aggiunga. Scrive: Che dire dunque? Israele non ha ottenuto quello che cercava, ma lo hanno ottenuto invece gli eletti. ( Rm 11,7 ) Ma vedi più sopra quale elezione, dove dice: C'è un resto conforme ad una elezione per grazia. E se lo è per grazia, non lo è per le opere. E mette questo in rapporto al punto di partenza di questa discussione: Quando essi ancora non erano nati e nulla avevano fatto di bene o di male, perché rimanesse fermo il disegno divino fondato sulla elezione non in base alle opere. ( Rm 9,11 ) Questa è l'elezione per grazia e non per le opere, che fa vasi per uso nobile perché facciano opere buone: le opere buone seguono infatti la grazia e non la precedono, perché è la grazia di Dio che ci fa fare le opere buone e ci distoglie dallo stabilire la nostra giustizia, ma fa sì che in noi ci sia la giustizia di Dio, cioè quella che Dio dona a noi. Gli altri invece sono stati accecati ( Rm 11,7 ): questo è il giudizio per cui si fanno i vasi per uso volgare. Per tale giudizio è stato detto: Ho odiato Esaù. Per tale giudizio è stato detto anche al Faraone: Ti ho fatto sorgere per questo. Dal che apparisce che voi, intendendo così o meglio non intendendo l'Apostolo, volete gloriarvi delle opere contro la grazia e volendo stabilire la vostra giustizia non siete sottomessi alla giustizia di Dio. Per quanto poi riguarda noi, predichiamo, sì, che Dio è l'autore dei bambini, ma non diamo ai bambini, che sono vasi della medesima massa, una collocazione intermedia, che non sia né dei vasi fatti per uso nobile né dei vasi fatti per uso volgare, come non l'ha data l'Apostolo. Il che facendo voi sfuggireste al giudizio di Dio, se poteste dimostrare che egli è il punitore soltanto dei manichei e non di tutti gli eretici.