Padri/Agostino/ContrGiulIn/Libro4.txt Opera incompiuta contro Giuliano Libro IV 1 - Giustifico l'apparente disordine Giuliano. Stimo che un lettore diligente possa meravigliarsi perché mai io, mentre secondo l'uso solenne degli scrittori divido la mia piccola opera in un determinato numero di libri, risolva tuttavia le questioni di un libro in un altro libro. Donde è che la discussione fatta nel terzo libro sul senso dell'Apostolo nel suo dire che il peccato entrò nel mondo a causa di un solo uomo ( Rm 5,12 ) - e con questo numero singolare soffoca l'opinione del male originale -, non viene scossa nemmeno di poco dal testo che fa discendere da un solo uomo, da Abramo, la generazione dei Giudei. ( Eb 11,12 ) Cotesto lettore, al quale voglio adesso dare soddisfazione, ritenga pure che tale argomento avrebbe dovuto trovare posto nel secondo libro. Sappia quindi che questa fedeltà nel rispondere, per cui almeno in un libro successivo sono ripresi anche i temi che si reputavano tralasciati, né produce nessun incomodo al dibattito, né proviene da qualche disordine di frettolosità, ma proviene tanto dalla necessità delle cause, quanto dalla razionalità del metodo. Sarebbe disponibile una moltitudine di grandi ingegni per giustificare con il loro esempio la coerenza di un tale stile, ma sarebbe una vanteria inopportuna appellarsi per una semplice faccenda ai sonanti suffragi di uomini antichi e con la difesa rendere sospetta la sicurezza del fatto. Il secondo libro, dunque, che avevo destinato a riferire le sentenze dell'Apostolo, perché non lo portasse ad una eccessiva lunghezza l'aggiunta di questioni leggere, lo terminai con il puro necessario della discussione. Ma poiché, assolto il dovere di una seria trattazione, fu per me una gioia ovviare anche alle questioni di minore importanza e mi piacque avere riguardo delle persone più tarde, che possono essere impressionate da obiezioni frigide, ho spiegato nel terzo libro in che senso si dica che molti sono nati da uno solo. È pure convenientissimo tuttavia che il volume successivo paghi i debiti del precedente, sia perché tra i libri apparisca una grande concordia, sia perché i lettori si sentano invitati alla conoscenza dell'opera intera, capendo che non sono stati omessi quei punti che nei primi libri avevano stimati rimandati. Indicato dunque che quanto abbiamo fatto corrisponde alla promessa e all'impegno dell'opera, diamo l'assalto ai manichei a difesa delle opere di Dio e delle sue leggi, per respingere dalle opere di Dio la deformità del male naturale, dalle leggi di Dio l'ingiustizia di giudizi " ferali " [ crudeli ], per insegnare che nei precetti di Dio la giustizia non ha perduto nulla della sua bontà e che nei semi delle creature di Dio il diavolo non ha mescolato nulla della sua malizia, per dimostrare in una parola che le leggi di Dio sono degne di Dio governatore e che le opere di Dio sono degnissime di Dio creatore. Agostino. Il tuo assalto, per non essere superati nel nostro assalto, lo prenderebbero i manichei come un grande aiuto, se la fede cattolica non superasse anche voi insieme a loro, atteso che la discordia delle concupiscenze della carne e dello spirito e le miserie del genere umano, delle quali è piena la natura dei mortali e le quali cominciano dai pianti e dalle disgrazie dei bambini, non lasciano ai manichei la libertà di attribuirle alla mescolanza delle due nature che essi introducono, perché tutti questi mali sono attribuiti dall'autorità divina e dalla evidente verità razionale alla natura viziata dal peccato, che Dio creò buona e che Dio non priva del dono della fecondità e della bontà della sua creazione, nemmeno dopo che è stata viziata. Il che voi negando, tentate, sí, di spezzare le armi dalle quali sono vinti i manichei, ma sono armi tanto ferme e tanto invitte da abbattere gli uni e gli altri, sia che arrivino a voi dopo aver trafitto e ucciso i manichei, sia che arrivino ai manichei dopo aver trafitto e ucciso voi. 2 - Due verità essenziali per ammettere Dio Giuliano. Alle quali due verità se credete, ossia che né le opere di Dio sono cattive, né sono iniqui i suoi giudizi, tutto il dogma della traduce si sgretola; come all'inverso, accettata l'empietà della traduce, si distruggono queste due verità, la creazione di Dio e il giudizio di Dio, che sono le sole verità attraverso le quali Dio può essere accettato intellettualmente. Agostino. Né sono cattive le opere di Dio, perché egli opera bene anche da tutti i mali di qualsiasi specie, e perché ai bambini, verso i quali ha operato bene dalla massa perduta per la prevaricazione del primo uomo, viene in soccorso anche per sanarli; né sono iniqui i giudizi di Dio, perché con il giogo gravante sui figli di Adamo dal giorno della loro nascita dal seno materno ( Sir 40,1 ) non punisce se non i meriti dei peccati. Con queste verità, se si credono e s'intendono, si estingue l'errore e dei manichei e dei pelagiani: dei manichei, perché vogliono attribuire cotesti mali del genere umano a non so quale principio del male coeterno all'eternità di Dio; dei pelagiani poi, perché essi non li vogliono imputare ad un peccato. 3 - Avverto il lettore di che genere sia la battaglia Giuliano. Prendiamo ormai dunque in esame quanto tesse il laceratore dei beni naturali. Ma per suggerire al nostro lettore tanto l'intelligenza quanto la differenza degli argomenti che si intrecciano tra loro nella reciproca risposta, lo avverto di che genere sia la nostra battaglia. Dichiara costui di rispondere ai nostri scritti, che dice essergli stati recapitati a mezzo di una breve cartella, e riporta alcune particelle delle mie sentenze e schernisce affermazioni che non si trovano nella mia opera. Agostino. Grazie a Dio che ho risposto in tutto e per tutto con sei miei libri agli stessi quattro libri tuoi, dai quali stralciò quanto volle e come volle quel tale di cui arrivò a me la cartella mandatami da lui. Penso che tu non abbia l'intenzione di dire che in quei miei libri io ho voluto riprovare alcune tesi che non si trovano nella tua opera. Che se anche tu lo dicessi e lo dimostrassi, mi dovrei pure congratulare con te di non aver fatto le affermazioni che non dovevi fare. E magari di tutte le tue parole che si riprendono giustissimamente tu non ne avessi detta assolutamente nessuna. 4 - Eva vita! Giuliano. Parla dunque costui a Valerio cosí: Sta' attento in quali punti stima di essere contro di noi, d'accordo con questa sua notazione che ha premesso: Dio, afferma, dopo aver fabbricato Adamo dal limo, costruí Eva da una costola e disse: " Essa si chiamerà Vita, perché è la madre di tutti i viventi ". ( Gen 3,20 ) Veramente non sta scritto cosí, ma che ce ne importa? Suole la memoria sbagliare nelle parole, purché tuttavia resti esatta la sentenza. Né fu Dio a imporre il nome di " Vita " ad Eva, ma il marito. Si legge infatti: " E Adamo mise alla sua moglie il nome di Vita, perché è la madre di tutti i viventi ". Stupenda erudizione di un dottore, che non lascia scostarsi dal testo delle Scritture nemmeno d'un poco. Egli riprende la nostra imperizia, ma si degna di concedere venia alla dimenticanza che mi aveva fatto chiamare da Dio "Vita " la donna; cosí in una breve occasione ha voluto apparire ed erudito e generoso. Ma come non è da ammirare la diligenza d'aver trovato l'autore del nome della donna, cosí non è da tollerare l'impudenza di voler indulgere ad uno ciò di cui non lo puoi incolpare. Nella mia opera infatti non si legge come si ritiene nei commenti di costui. Io, dopo aver appunto riportato la testimonianza della legge che attribuisce al Creatore l'affermazione: " Non è bene che l'uomo sia solo; facciamogli un aiuto che gli sia simile ", ( Gen 2,18 ) osservo: Che cosa vogliono dire le parole: " Non è bene che l'uomo sia solo "? È mai possibile che Dio avesse fatto una cosa che giustamente non si potesse dire buona, soprattutto un Dio che aveva fatto tutte le cose non solo buone ma anche molto buone? Perché dunque dice: " Non è bene che l'uomo sia solo "? Questa dichiarazione non biasima lo stato della creatura, ma indica che al genere umano avrebbe potuto riuscire dannosa l'unione, se dal ministero del sesso diverso non fosse germinata la successione. Infatti se anche si sperava che Adamo sarebbe potuto divenire immortale qualora non avesse peccato, è manifesto tuttavia che non sarebbe potuto mai diventare padre qualora non avesse trovato una moglie che, prelevata dal fianco di Adamo dormiente, udí dal primo nome che le fu posto a quale opera fosse stata ordinata: " Essa si chiamerà Vita, perché è la madre di tutti i viventi ". Dalla quale asserzione è stato dichiarato che in seguito nessun uomo poteva esistere o vivere senza venire al mondo per mezzo della concezione. Poiché dunque risplende che, per quanto si tratti di una questione di non grande importanza, tuttavia da me non è stato affermato nulla che qualcuno potesse accusare, a parte una singolare impudenza, è rimasto bollato con il marchio di pubblica falsità l'uomo che più sprovveduto di tutti, volendo dare ciò che non ha, delinque in una volta sola ugualmente e per non possessione giuridica e per vantata donazione. Agostino. Se non sei stato tu a riportare le parole del Libro divino nel modo in cui le ho trovate io in quella cartella, non è a te, ma a colui che le ha trascritte cosí che io ho perdonato, e a lui dobbiamo perdonare ambedue. Se invece reputi che io non abbia trovato ciò nella cartella, ma, fingendo di averlo trovato, ho riportato in modo menzognero quelle parole, quasi per avere qualcosa da attribuire a un tuo errore, è certamente a te che ora perdono di avere avuto di me un'opinione tanto cattiva e tanto falsa. 5 - Perché ti sei peritato a nominare la concupiscenza? Giuliano. Dopo aver dunque ripreso con tale gravità questo punto, passa oltre ed esorta il suo patrono a fare attenzione a quanto segue. Dice costui: Quindi Dio, creatore del maschio e della femmina, formò membra convenienti per le generazioni. Ma inserendo questo soltanto da un capitolo dei miei scritti e tralasciando completamente moltissime righe nelle quali si sottolinea principalmente la novità delle anime che non devono nulla alla carne o al seme, riporta questo mio brano: Cosí ordinò che dai corpi si generassero i corpi, dei quali tuttavia intervenne ad assicurare l'efficacia con la potenza della sua operazione, amministrando tutto ciò che esiste con la medesima forza con la quale l'ha creato. Se quindi non altrimenti che per mezzo del sesso il feto, se non altrimenti che per mezzo del corpo il sesso, se non altrimenti che per mezzo di Dio il corpo, chi può dubitare che la fecondità si attribuisca giustamente a Dio? Pertanto dopo aver riportato queste parole dal mio libro, dichiara di riconoscerle egli stesso come dette cattolicamente. Chi dunque non penserebbe che costui abbia cambiato parere? Ma non diventa immemore di sé, bensí giudica simile la condizione di un dogma perverso e la condizione del pudore, nel senso che anche un dogma perverso si ripara con un disastro clamoroso, come il pudore si indurisce con un assiduo attrito. Approva dunque la mia sentenza e con spontaneo amplesso conficca il ferro del pregiudizio contro la sua fede; ma dopo questo, quasi integro di forze, dichiara che gli resta ancora da lottare. Prosegue infatti cosí: Dopo queste idee che sono state dette veracemente e cattolicamente, o meglio che sono contenute veracemente nei Libri divini, ma che non sono state dette da lui cattolicamente, perché non sono state dette con l'intenzione di un petto cattolico, già per il fatto che le ha dette comincia ad introdursi l'eresia pelagiana e celestiana. Poni infatti attenzione a quello che segue. Qui riporta di nuovo i nostri detti: Che cosa dunque riconosce di suo il diavolo nei sessi per possedere in forza di esso con diritto il loro frutto? La diversità? Ma essa si trova nei corpi che ha fatti Dio. La mescolanza? Ma essa si giustifica non meno con il privilegio della benedizione che con il privilegio della istituzione. È infatti voce di Dio: " L'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e saranno due in una carne sola ". ( Gen 2,24 ) Voce di Dio è: " Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra ". ( Gen 1,28 ) O forse la stessa fecondità? Ma proprio essa è la causa della istituzione del matrimonio. Al che ha risposto che né la diversità dei sessi, né la mescolanza, né la fecondità conosce il diavolo nei sessi come suo dominio per possedere in virtú di esso con diritto il loro frutto. Ma, messi da parte tutti questi beni, ha trovato che cosa attribuire al diavolo ed ha aggredito la nostra onestà accusandola di paura, perché tra i tanti compiti dei corpi e dei sessi ci siamo peritati a nominare la concupiscenza della carne. Cosí dunque parla di me al suo patrono: Ma costui tra tutti questi beni non ha voluto nominare la concupiscenza della carne, che non viene dal Padre, bensí dal mondo, ( 1 Gv 2,16 ) del quale mondo è stato detto principe il diavolo, che non trovò la concupiscenza nel Signore, perché non fu per mezzo di essa che il Signore venne uomo tra gli uomini. Tanto che il Signore stesso dice: " Ecco, viene il principe di questo mondo e non troverà nulla in me "; ( Gv 14,30 ) nulla s'intende del peccato, né del peccato che contrae chi nasce, né del peccato che aggiunge chi vive. Questa concupiscenza non volle costui nominarla tra tutti questi beni naturali che ha ricordato, perché di essa sentono confusione anche le nozze, le quali si vantano di tutti questi beni. Per quale ragione infatti quell'operazione dei coniugati si sottrae e si nasconde anche agli occhi dei figli, se non perché non possono dedicarsi alla lodevole mescolanza senza la riprovevole libidine? Di questa libidine arrossirono pure coloro che per primi si coprirono le parti pudende, ( Gen 3,7 ) le quali non furono precedentemente pudende, ma come opere di Dio erano da lodare e da glorificare. Veramente nei quattro libri della mia prima opera ho trattato, beatissimo padre Floro, la causa delle nozze, la causa della mescolanza, la causa dei corpi, la causa dei sessi, la causa dell'operazione di Dio e la causa infine della estimazione di Dio, la quale necessariamente come è lodata dalla bontà delle sue opere, cosí è ferita dalla loro infamia; e in tutta l'opera scritta da me la verità che è assolutamente inoffuscabile ha dimostrato che il diavolo non ha aggiunto nulla né alla formazione del corpo, né al sesso. E perciò è stato insegnato che l'opinione della traduce è stata bevuta dal fango di Manicheo. Agostino. Come ti sia comportato in quei tuoi quattro libri e come tu sia stato confutato dalla nostra risposta, cosí da chiarire che non avevi combinato nulla, lo capiscono senza difficoltà coloro che leggono e i miei libri e i tuoi. Quantunque anche se non si leggono i libri tuoi, ma solamente i miei, apparisce distrutto in essi il vostro dogma eretico. Ma poiché hai risposto con quattro tuoi libri a uno mio soltanto cosí da toccare appena un terzo del mio libro senza confutarne nessuna parte, hai tanto poco presunto dei tuoi libri da scrivere contro un mio solo secondo libro nella medesima causa cotesti tuoi otto libri, come se tu avessi pensato non di dovermi atterrare con la solidità delle argomentazioni, ma di dovermi atterrire con il numero dei volumi: fino a tal punto evidentemente hai sentito di non aver ottenuto nessun vantaggio con quella tua quadrupla risposta da sembrarti necessaria questa ottupla risposta. Se dunque la tua loquacità è provocata a crescere in tali proporzioni, chi non atterrirà non la verità, ma la numerosità dei tuoi libri, il cui conteggio mi infastidisce? Uomo infatti facondo di stupenda fecondità, che prima hai pensato di dover rendere a un solo mio libro quattro dei tuoi e a un secondo mio libro otto dei tuoi, chi non temerà che eventualmente a sei libri miei tu mediti di renderne piú di mille dei tuoi, se già ad uno solo di essi che è il primo ne rendi sedici e cosí insegui ciascuno degli altri raddoppiando il numero precedente, mostrando a noi quanto parli a lungo senza capire di che parli? 6 - Il mio silenzio è un vestito Giuliano. Ciò tuttavia, sebbene risulti ivi dimostrato a sazietà, sarà ripetuto, per quanto in breve, anche nella presente discussione. Rivolgiamoci dunque ad Agostino stesso, contro la cui erudizione stiamo battagliando. Tu concedi appunto che da noi è stato ottenuto questo giusto risultato: se non altrimenti che per mezzo del sesso fosse esistito il feto, se non altrimenti che per mezzo del corpo il sesso, se non altrimenti che per mezzo di Dio il corpo, non si potrebbe dubitare che la fecondità appartenga alle opere di Dio e che nulla di suo riconosca nei sessi il principe delle tenebre, per cui ritenere suoi i loro frutti con l'affermazione di un suo diritto, perché e la diversità apparteneva al sesso, e la mescolanza alla diversità delle membra, e il frutto della fecondità a Dio, che era stato l'istitutore anche dei genitori, e pertanto non era rimasto nulla per cui si dovesse aggiudicare al diavolo la fertilità della mescolanza. Quale conforto dunque o quale sostegno pensi che ti sia portato dall'onestà del mio ragionamento per il fatto che non ho voluto nominare in questo luogo la concupiscenza della carne? Anche se l'avessi passata sotto silenzio in tutta l'opera, non riceverebbe tuttavia nulla di biasimo o di offesa quella realtà, che era salvaguardata dall'uso per essa dei vocaboli piú onesti e delle voci piú chiare per l'intelligenza. Ammetti dunque che io, con piú prudenza di quanta ne domandava la natura dell'impresa, ho voluto coprire con il silenzio il nome della concupiscenza che copriamo con il vestito. Ma per cosí poco dobbiamo forse buttare via tutta la ragione, tutta la verità? Ma l'intelletto, arbitro delle azioni, si arrenderà forse solo perché esiste qualcosa che non si può sempre mettere decorosamente davanti agli orecchi, come non si può mettere decorosamente davanti agli occhi? Ma tuttavia che ha di turpe nominare la concupiscenza della carne, che e io ho nominato quando il luogo l'ha richiesto e tu, benché confermi di sentirla indomabile, tuttavia commemori con frequenza? Agostino. Domabile la dico, cioè la carne, ma per coloro che la combattono, non per coloro che la lodano. 7 - Nei bambini la Chiesa essuffla il diavolo Giuliano. Poco dopo da qui io scrivo: Per quale ragione quindi sono sotto il diavolo i bambini, che nascono dai corpi che ha fatti Dio, dalla mescolanza tra loro dei sessi che Dio distinse formandoli, ma congiunse benedicendoli, e moltiplicò inserendovi la fecondità? Ed è Dio che fece gli stessi bambini, dalla materia del seme. Se confessi che da Dio viene la materia dei corpi, da Dio i genitali dei corpi, da Dio la mescolanza dei genitali, da Dio anche la forza dei semi, da Dio altresí la forma e la vita di tutti i nascenti, che cosa pensi sia rimasto per cui tu attribuisca al diavolo tante opere di Dio? Tu dunque chiami eresia l'insieme di una discussione diversa, un " corpo " di cui confessi rette e cattoliche tutte le membra. Agostino. Che forse i novaziani, gli ariani, gli eunomiani ed altri ancora non li chiamiamo eretici, anche quando hanno confessato l'intero Simbolo? Per tacere dunque di altri punti che appartengono alla vostra eresia, come vuoi che non vi chiamiamo eretici, se negate che siano liberati dal potere delle tenebre quando sono trasferiti al Cristo i bambini nei quali, in procinto di ricevere lo Spirito Santo, fin dall'antichità tutta la Chiesa, che loda il nome del Signore dal sorgere del sole fino al tramonto, essuffla ed esorcizza lo spirito immondo? 8 - Eretico è chi nega anche una sola verità Giuliano. Infatti dopo che, costretto da Dio, hai lodato il nostro sillogismo, che è munito di tanta verità da portarsi tutto contro di te e da non risentire nulla del tuo biasimo d'ingiuria, tuttavia accusi il suo " effetto". Agostino. Quello che chiami suo " effetto " non capisci che è il vostro difetto. Infatti dalle verità che voi dite, come se foste cattolici, non si ha come " effetto " ciò che vi fa essere eretici. Come se foste cattolici infatti voi dite che dal sesso viene il feto, dal corpo il sesso, da Dio il corpo, per cui si attribuisce giustamente a Dio la fecondità. Ma forse per tutto questo l'uomo dalla fecondità non nasce tale da non essere senza macchia di peccato, anche se la sua vita è di un giorno solo sopra la terra? ( Gb 14,4 sec. LXX ) Non quindi dicendo quelle affermazioni vere, ma negando quest'affermazione che è altrettanto vera, voi siete eretici. Perché certamente non è Dio autore della fatuità e tuttavia Dio è autore del feto, anche quando nasce fatuo. Alla stessa maniera intendi, se puoi, che dentro l'uomo nasce dalla origine un vizio, di cui non è autore Dio, pur non essendo creatore dell'uomo nessun altro che Dio. Ricordati bene che tu sei uscito dall'orbita del tuo dogma con il quale negate che Dio operi la volontà nelle menti degli uomini. Infatti è con la mia volontà che io ho lodato le tue parole, che confesso essere dette anche dai cattolici, e che tu dici tuttavia lodate da me perché costretto da Dio. Ecco in che modo Dio opera in noi anche il volere: ( Fil 2,13 ) ciò che voi siete soliti negare anche contro l'Apostolo. 9 - È qui che si sente puzzo d'eresia Giuliano. Se quindi - io dico - non altrimenti che dal sesso il feto, non altrimenti che dal corpo il sesso, non altrimenti che da Dio il corpo, chi dubiterà che giustamente si attribuisca a Dio la fecondità? Ciò è tanto certo da strappare lodi anche dalle tue labbra. Ma dopo l'elogio reso da te a questo passo, tu avverti che si sta introducendo l'eresia, mentre le affermazioni che io soggiungo non hanno fatto altro che ripetere le precedenti con l'aggiunta di una spiegazione. Agostino. Che forse tra le affermazioni fatte da te e riconosciute da me come vere avevi detto: Che cosa dunque riconosce il diavolo di suo nei sessi? Qui infatti cominciasti ad introdurre il senso della vostra eresia, quasi che il diavolo per questo non possa conoscere nulla di suo nei sessi perché da Dio creatore è il corpo e il sesso, mentre il diavolo conosce anche in se stesso e il bene di Dio e il male del diavolo: il bene nella sua natura, il male nel vizio. Altrettanto anche nei sessi il diavolo riconosce gli elementi che sono di Dio, come e lo stesso sesso e il corpo e lo spirito; ma riconosce il diavolo pure quello che è suo e per cui la carne concupisce contro lo spirito. I primi elementi infatti vengono dal Creatore, la cui giustizia punitrice il diavolo non poté evitare; la concupiscenza viene dalla ferita che il diavolo ha inferto. 10 - Mi vituperi dopo avermi lodato Giuliano. Infatti dichiaro: Che cosa dunque nei sessi conosce il diavolo di suo per possedere di diritto il loro frutto, come dici tu? La diversità? Ma essa si trova nei corpi che Dio ha fatto. La mescolanza? Ma essa si giustifica non meno per il privilegio della benedizione che per il privilegio della istituzione. O forse la stessa fecondità? Ma proprio essa è la causa della istituzione del matrimonio. Che cosa dunque ci fu di nuovo qui, che cosa che dissentisse dalla precedente conclusione che tu avevi approvato, che cosa che tu giudicassi da vituperare dopo la tua lode? Certamente nulla, e perciò che cosa si ricava da una incostanza tanto deplorevole? Non essendo stato apportato da me nessun cambiamento nella discussione ed essendo invece cambiata da parte tua l'estimazione delle mie parole, si ricava evidentemente che è tenebrosissima la tua intenzione e fiacca la tua ragione. Agostino. Ti meravigli che dopo la lode delle opere di Dio io abbia vituperato la tua insidiosa interrogazione. Interrogando appunto hai detto: Che cosa dunque nei sessi conosce il diavolo di suo? E volendo persuadere che non conosce nei sessi nulla di suo, hai elencato quegli elementi che veramente non appartengono al diavolo: cioè la diversità per cui il sesso femminile è differente dal sesso maschile, e la mescolanza con la quale si uniscono l'uno e l'altro sesso perché siano generati i figli, e la fecondità per la quale di fatto si generano i figli stessi. Tutti questi elementi confessiamo che sarebbero esistiti nel paradiso, anche se nessuno avesse peccato, ma non vi sarebbe stata quella concupiscenza che sentirono quando si coprirono le parti pudende coloro che prima di peccare erano nudi e non se ne vergognavano. Di questa concupiscenza della carne, per la quale la carne concupisce contro lo spirito ( Gal 5,17 ) e senza la quale non nasce nessun uomo, e di questa discordia tra la carne e lo spirito che il dottore cattolico, tanto eccellentemente lodato dalla bocca del vostro Pelagio, aveva imparato essersi convertita nella nostra natura a causa della prevaricazione del primo uomo, di questa concupiscenza dunque per quale ragione tu hai taciuto? Tu interrogando che cosa il diavolo conosca di suo nei sessi, hai nominato altri elementi che non sono del diavolo e non hai voluto rendere alla tua interrogazione questo elemento che è del diavolo. È questa tua interrogazione dolosa che io ripresi, non le opere divine, che ho debitamente lodato. 11 - Lode e fede Giuliano. Altra conclusione: ciò che ti fa lodare le verità cattoliche è la tua paura, non la tua fede. Agostino. Nella lode cattolica conosce la nostra fede colui che per mezzo della nostra fede dimostra e prostra il vostro errore. 12 - Ho lodato la verità, ho vituperato la tua insidia Giuliano. Che tu dunque vituperi le affermazioni che hai lodato non è un fatto di giustizia, ma di pazzo furore. Agostino. Io non vitupero le affermazioni che avevo lodato, ma ho lodato le verità che dicesti e ho vituperato invece l'interrogazione che movesti insidiosamente, ben vedendo tu quale fosse la risposta da darti e tacendola come se non ci fosse risposta. Se questo sia un fatto di giustizia o di pazzo furore lo vedrai, se ti acquieterai dal tuo pazzo furore. 13 - Non sono buone espressioni Giuliano. Del quale pazzo furore non ti scaricherai mai, se prima non avrai rigettato il tuo dogma osceno. Costretto a patire il grave urto delle isole " Symplegadi " tra il pudore della penitenza, mai tuttavia avversato dai cristiani, e la carenza delle argomentazioni, ti è necessario o seguire o contraddire le buone espressioni che ti sommergono. Agostino. Non sono buone espressioni, o Giuliano, quelle che negano che il Cristo è Gesù per i bambini, o quelle che confessano che egli è per i bambini Gesù, cioè il Salvatore, ma nel modo stesso in cui lo è per ogni creatura mortale in genere, donde è scritto: Uomini e bestie tu salvi, o Signore. ( Sal 36,7 ) Non per questo il Cristo prese il nome di Gesú venendo nella somiglianza della carne del peccato, ma nel senso inteso dall'angelo: Lo chiamerai Gesú: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. ( Mt 1,21 ) Non sono buone espressioni quelle che escludono da questo popolo i bambini e dicono che il Cristo è Gesú anche per essi, perché li salva non dai loro peccati, ma dalle loro piccole scabbie. Ravvediti, per favore. Penso che non sei nato da genitori che abbiano creduto cosí, e certamente sei rinato in una Chiesa che non crede cosí. 14 - O frode o cecità Giuliano. Vediamo tuttavia che cosa tu abbia depredato delle mie sentenze per aggredirle con l'accusa di errore. Dici di me: Ma costui tra tutte queste realtà non volle nominare la concupiscenza della carne, che non viene dal Padre, bensí dal mondo, del quale mondo è stato detto principe il diavolo. Il quale non trovò la concupiscenza nel Signore, perché non fu per mezzo di essa che il Signore venne uomo tra gli uomini. Hai detto con sicurezza che io introduco una eresia, ma per dimostrarlo non soggiungi nessuna mia proposizione. Agostino. Soggiungo quella tua proposizione interrogativa: Che cosa dunque nei sessi conosce il diavolo di suo? Con dolo appunto dicevi cosí, quando la concupiscenza della carne, alle cui movenze è necessario che resistano il piú delle volte anche le caste nozze, tu la vedevi, e tacevi e mi incalzavi con una interrogazione piena di frode, come se non ci fosse nulla da poter rispondere. O se non vedevi la concupiscenza, certamente tu introducevi la vostra eresia con quella stessa cecità. 15 - Come ho potuto cadere in eresia tacendo? Giuliano. Ma tu dichiari che io non ho voluto nominare la concupiscenza della carne. Io che non ho voluto nominarla, ho taciuto, e se ho taciuto, non ho detto nessuna parola che tu potessi riprendere: chi dunque persuade l'errore tacendo? O nuovi e finora inauditi portenti dei crimini! Con il mio silenzio dice che si compone un dogma perverso! Agostino. Non con il tuo silenzio, ma con la tua subdola interrogazione, come ho spiegato sopra. Quantunque, anche il silenzio si riprende giustamente, quando ciò che si sarebbe dovuto dire non si dice intenzionalmente, perché non ci si accorga che l'interrogazione poteva ricevere una risposta. 16 - Un'interrogazione può equivalere a una negazione Giuliano. Soppesi ciò ogni persona prudente e rida dell'odio del dire, dimostrato con l'accusa di tacere. Tu quindi confessi che io non ho detto nulla che tu possa incolpare. Agostino. Ma anzi s'incolpa giustissimamente ciò che tu hai detto interrogando. Perché infatti si pensasse che non c'era nulla da poterti rispondere, tu non hai voluto dire ciò che ti si poteva rispondere. Oppure, perché non accuso la stessa cecità per cui non potesti nemmeno vederlo? 17 - Sulla concupiscenza sbagliano i pelagiani e i manichei Giuliano. Tu certamente inveendo contro il nostro silenzio hai tirato fuori quello che prima non si è potuto difendere, ma che adesso, dopo che è venuta in pubblico l'Epistola di Manicheo, le cui sentenze io ho riportato nel terzo libro, non si può nemmeno celare. Agostino. La concupiscenza della carne né la condanna sinceramente Manicheo, né la lodi sinceramente tu. Non lui, perché non sa donde venga questo male; non tu, perché neghi che sia un male; non lui, perché l'attribuisce ad una natura estranea mescolata con noi; non tu, perché non vuoi che sia propria della nostra natura viziata; non lui, perché crede che da essa sia corrotta una parte di Dio; non tu, perché tenti di deturpare con essa anche la felicità del paradiso. 18 - C'è mondo e mondo Giuliano. Tu scrivi: Costui non ha voluto nominare la concupiscenza della carne, che non viene dal Padre, bensí dal mondo, del quale mondo è stato detto principe il diavolo. Il quale non trovò la concupiscenza nel Signore, perché non fu per mezzo di essa che il Signore venne uomo tra gli uomini. Dunque con le parole dello stesso Manicheo confessi che la concupiscenza della carne non fu fatta da Dio, ma dal mondo, del quale mondo tuttavia dici principe il diavolo. Agostino. Ma sono forse io a dire il diavolo principe del mondo, e non lo dice il Signore stesso? Ma lo avrei detto io, se non avessi letto che lo ha detto lui stesso? Il che avendolo letto anche tu, per quale ragione hai creduto di dovermelo obiettare? Né tuttavia per questo il diavolo è principe del cielo e della terra e di ogni creatura celeste e terrestre, nel senso in cui è detto: Il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma perché con il nome mondo è stato appellato l'orbe della terra nella qualità degli uomini di cui la terra è piena, secondo il detto: E il mondo non lo riconobbe; ( Gv 1,10 ) secondo il detto che dichiara anche il diavolo principe di questo mondo; ( Gv 12,31 ) secondo il detto: Il mondo giace sotto il potere del maligno; ( 1 Gv 5,19 ) secondo il detto: Poiché invece non siete del mondo, per questo il mondo vi odia, ( Gv 15,19 ) e innumerevoli altri simili detti. E perciò il mondo, come insegnano le sante Scritture, secondo la differenza delle sentenze, a volte lo prendiamo nel bene e a volte nel male. Ai beni del mondo appartengono il cielo, la terra e ogni creatura di Dio che vi si trova. Ai mali del mondo appartengono la concupiscenza della carne e la concupiscenza degli occhi e l'ambizione del secolo o, come hai messo tu stesso, la superbia della vita. Come dunque il mondo si legge ora nel bene e ora nel male, cosí leggi, se puoi, la concupiscenza della carne o la concupiscenza degli occhi posta a volte dalla parte del bene. Ma non troverai cosí, come nemmeno la superbia della vita, che è il terzo male aggiunto agli altri due mali. 19 - L'apostolo Giovanni e Manicheo Giuliano. Ho detto poi che tu hai fatto completamente uso del linguaggio di Manicheo, perché sebbene nella Lettera dell'apostolo Giovanni si trovino alcune di quelle parole, tuttavia, essendo certo che in essa quel maestro della Chiesa a proposito o della carne o del senso della carne o della concupiscenza nuziale non ha ritenuto nulla di simile a quello che Manicheo mette insieme usurpando le parole di lui, non ingiustamente le ho dette parole di colui al cui modo di sentire servivano, cosí da essere giudicate a buon diritto il linguaggio della sua intenzione. E come presso san Giovanni meritano rispetto per la loro dignità apostolica, perché insinuano la verità, cosí presso Manicheo devono apparire come segni adombrati e non espliciti dei manichei. Agostino. Perché aggiungi nuziale e dici a proposito della concupiscenza nuziale per rivestire dell'onesto nome delle nozze la tua vergognosa protetta? L'apostolo Giovanni ha detto " concupiscenza della carne ", non concupiscenza nuziale, che nel paradiso, anche se nessuno avesse peccato, poteva esistere nell'appetito della fecondità, non nel prurito della voluttà, o sicuramente sempre soggiacente allo spirito cosí da non muoversi se non per volontà dello spirito, mai concupiscente contro lo spirito cosí da costringere lo spirito a concupire contro di lei. Impossibile infatti che nel luogo di tanta felicità e in uomini ivi felici di tanta pace esistesse qualche discordia tra la carne e lo spirito. 20 - Il mondo degli elementi materiali Giuliano. Appunto l'apostolo Giovanni incoraggiando i fedeli all'altezza di tutte le virtú ed estendendo la ricerca della santità alla profondità dell'esempio del Signore, racchiudendo in sintesi nel nome mondo tutte le tentazioni dei beni e dei piaceri presenti, scrive: Non amate il mondo e le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, non c'è in lui la carità del Padre; perché tutto quello che si trova nel mondo, la concupiscenza della carne e la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza. Chi invece fa la volontà di Dio, rimane in eterno.( 1 Gv 2,15-17 ) Per quanto riguarda la superficie delle parole, l'Apostolo dichiara odio a tutti gli elementi e denunzia che il mondo e tutte le realtà che sono nel mondo non vengono dal Padre e non si devono amare. Agostino. Inutilmente dici cosí. Nessun cattolico anche ignorante intende il mondo in questo testo cosí da pensare per poco agli elementi. Nemmeno infatti nel testo dove dice del Cristo Signore: Egli è la vittima di espiazione per i nostri peccati, non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo, ( 1 Gv 2,2 ) qualcuno è cosí pazzo da credere che vi si debbano intendere i peccati anche degli elementi. Il tutto dunque che in questo modo si dice mondo non si intende se non negli uomini che sono sparsi per tutto il mondo, ossia per tutto l'orbe della terra, dovunque essa sia abitata. Inoltre l'Apostolo in questo luogo ha chiamato mondo la stessa vita umana che si vive, non secondo Dio, ma secondo l'uomo. Per tale ragione vieta che si ami e dice: Tutto quello che si trova nel mondo, la concupiscenza della carne e la concupiscenza degli occhi e l'ambizione del secolo, oppure la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. ( 1 Gv 2,2 ) Tu, se puoi qualcosa, indica in qualche luogo delle Scritture sante nominata una volta nel bene la concupiscenza della carne, e non voler spargere la nebbia della tua loquacità su realtà tanto aperte. 21 - Giovanni non lascia porte ai manichei Giuliano. Certamente è un Apostolo e amato dal Signore Gesú con carità precipua. Tuttavia, se o il Vangelo che scrisse o la gravità delle sue Lettere non indicassero la sua intenzione, non potrebbero coteste parole che abbiamo riportato recare nessun pregiudizio alla realtà e sarebbero costrette a cedere a tutte le Scritture che asseriscono il mondo fatto da Dio. Ma egli stesso si è premunito con il reverendo esordio del suo Vangelo. Dice: Il Verbo era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto. E dopo: Era la luce vera illuminante ogni uomo che viene in questo mondo. Era in questo mondo e il mondo fu fatto per mezzo di lui. Inoltre: Il Verbo si fece carne per abitare tra noi. ( Gv 1,1.3.9-10.14 ) Con le quali testimonianze non ha lasciato nessuna traccia di oscurità nei riguardi dei suoi sentimenti, ma ha mostrato di conoscere Dio ed ha asserito che Dio è il creatore di tutto il mondo e di tutte le realtà che sono nel mondo, ed ha insegnato che per i manichei non è aperto nessun accesso alle sue sentenze. Poiché chi asserisce che Dio è creatore di tutte le nature, fa senza danno della fede uso in senso improprio dei nomi delle sostanze a significazione di una cupidità immodica. Agostino. Tu però la concupiscenza della carne, nemmeno quando è immodica, vuoi che si ritenga un male, ma un bene, e che piuttosto usano male un bene coloro che usano immodicamente la concupiscenza. Quindi se la concupiscenza della carne è un bene, certamente anche la concupiscenza modica è un bene modico e la concupiscenza immodica è un bene immodico. Ma usare una concupiscenza modica, questo è, come dici tu, usare bene un bene; invece usare una concupiscenza immodica è, come dici tu, usare male un bene. Come il vino è senza dubbio un bene: ogni creatura di Dio è infatti buona; ( 1 Tm 4,4 ) e chi usa modico vino, usa bene un bene; chi al contrario usa immodico vino, usa male un bene. Ma Giovanni non direbbe mai che il vino non viene da Padre, come ha detto che non viene dal Padre la concupiscenza della carne. Tu quindi non trovi quale concupiscenza della carne non venga dal Padre, perché anche la concupiscenza immodica è presso di te un bene, e se mai non buono è piuttosto chi usa un bene immodico, ossia chi usa male un bene. Perché dunque dubiti di dire brevemente e apertamente ciò che dici oscuramente con lunghi rigiri: quanto ha detto Giovanni è falso e la verità la dici tu? È falso infatti ciò che afferma Giovanni: La concupiscenza della carne non viene dal Padre, dal quale vengono tutti i beni naturali, se la concupiscenza della carne è buona, come dite voi, anche quando si usa una concupiscenza immodica; ma è cattivo colui che usa male un bene. 22 - La concupiscenza è sempre un male Giuliano. Comanda dunque di non amare il mondo, né le realtà che sono nel mondo, e dice che negli amatori del secolo non ci può essere la carità di Dio, ma non per far intendere, con il nome di " dilezione " da rimuovere dal secolo, che altri dal Dio vero sia il creatore del secolo, ma perché i fedeli riconoscano che le cupidige della vita presente non sono mai da preferire alle virtú, altrimenti alla loro mente, occupata nel procacciarsi ricchezze o nel conquistare voluttà, è sottratto il vigore della filosofia cristiana, che è la filosofia vera. Perché tutto quello che è nel mondo, è concupiscenza della carne e concupiscenza degli occhi e superbia della vita, la quale non viene dal Padre, ma viene dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio, rimane in eterno. ( 1 Gv 2,16-17 ) Dunque con il nome di " mondo " ha indicato le abitudini degli uomini convinti che non ci sia nulla dopo questa vita, e le diverse specie tanto di pompe quanto di lussurie dei mortali. Agostino. Se dunque con il nome di mondo ha indicato le abitudini degli uomini convinti che non ci sia nulla dopo questa vita, e le diverse specie tanto di pompe quanto di lussurie dei mortali, in queste ci sono le cose che ha detto essere nel mondo e che non vengono dal Padre, tra le quali tiene il primo posto quella tua bella cliente, cioè la concupiscenza della carne. Ma sembra che tu nelle abitudini degli uomini opinanti che non ci sia nulla dopo questa vita abbia voluto intendere la concupiscenza degli occhi, perché attaccandosi a queste cose che vedono non vogliono credere nelle cose che non vedono; nelle pompe poi dei mortali l'ambizione del secolo o la superbia della vita; nelle lussurie infine la concupiscenza della carne, perché apparisca che tu hai abbracciato tutte e tre le realtà messe da Giovanni. Come se possa esistere la lussuria, che tu vituperi, se non si acconsente alla concupiscenza della carne, che tu non pensi sia da vituperare e che per giunta lodi chiamandola un bene. Ma che cosa c'è di piú insano del dire la lussuria un male e la concupiscenza della lussuria un bene? E del reputare che un Apostolo del Cristo con il nome della concupiscenza della carne non abbia accusato la stessa concupiscenza della carne, ma piuttosto la lussuria, la quale non esiste affatto se non nel caso che uno sia allettato, trascinato, posseduto dalla concupiscenza della carne? Quasi che un dottore tanto grande non abbia trovato da condannare la concupiscenza, ma da condannare in nome di lei il lussurioso, quando il lussurioso non si dovrebbe condannare se non obbedisse ai desideri della concupiscenza. Smetti di dire molto e di sapere poco. Con tutto il fiume della tua loquacità, dal quale sei trascinato negli abissi, non otterrai mai e poi mai, per quanto grande esso sia, che la lussuria sia un male e che non sia un male il concupire le azioni che appartengono alla lussuria, anche quando non si acconsente a tale concupiscenza per non commettere il male. 23 - Mondo è anche la turba dei non credenti Giuliano. Cosí infatti aveva detto anche nel suo Vangelo: Il mondo fu fatto per mezzo di lui e il mondo non lo conobbe, ( Gv 1,10 ) non certamente per far apparire che gli elementi privi di ragione abbiano potuto o conoscere o negare il Cristo, ma per indicare con l'appellativo di mondo la turba dei non credenti. Allo stesso modo dunque anche nel caso presente afferma che quanto c'è nel mondo, ossia tutte le categorie degli uomini cosí attaccati alle voluttà da misurare con i sensi tutti i beni dell'animale ragionevole o dalle decorazioni delle autorità o dalle some delle ricchezze, si sono fatte tali categorie turgide di esosa superbia, che non viene da Dio, cioè non piace a Dio, ma viene dal mondo, cioè è concepita dalla depravazione della volontà umana. E la ragione, dice, per cui la superbia non deve corrompere voi con la sua sfida è perché chi fa la volontà di Dio diventa partecipe della beatitudine eterna, né è fuggevole con la fragilità delle cose presenti. Dunque l'apostolo Giovanni comandò di odiare il mondo nel modo in cui anche il Signore nel Vangelo ha mostrato che si deve odiare non solo il corpo, ma pure la stessa nostra anima: Chi non odia - dice - suo padre o suo fratello e perfino la propria anima, non è degno di me. ( Lc 14,26 ) Eppure è certo che l'animo dei fedeli non può odiare se stesso dal momento che con amore ponderatissimo cerca di comprare la sua felicità anche per mezzo dei dolori e dei pericoli. Che cosa abbiamo quindi ottenuto? Evidentemente che l'apostolo Giovanni secondo lo stile delle Scritture con il vocabolo " mondo " non ha colpito la natura delle cose, ma i vizi delle volontà, e ha cosí negato che venga da Dio la concupiscenza della carne, come tutto ciò che è nel mondo. Del che appropriandosi Manicheo, non secondo il senso dell'Apostolo, ma secondo la sua perfidia, con apparente logica sostiene che né la concupiscenza della carne, né la stessa carne, né infine il mondo intero è stato fatto da Dio. Tu seguendo Manicheo credi che la concupiscenza della carne non sia stata creata da Dio, ma dal diavolo. Agostino. Questa concupiscenza della carne, che Giovanni dice non venire dal Padre e Ambrogio dice essersi convertita nella nostra natura per la prevaricazione del primo uomo, io dico che è un male. Per questo dice Giovanni che essa viene dal mondo, volendo intendere che viene dagli uomini. Questa concupiscenza della carne la dice un male anche Manicheo, ma non sa donde venga. Tu invece la dici un bene, perché anche tu ignori donde venga. E negando che essa venga da dove la fa venire Ambrogio, fai sí che a Manicheo sembri giusto attribuirla alla natura del male, che egli fantastica pazzamente come coeterna a Dio. Per confutare dunque e te e Manicheo il vescovo Ambrogio spiega quello che dice l'apostolo Giovanni. Infatti ciò che per la prevaricazione del primo uomo si convertí in natura non è certamente un male coeterno a Dio: taccia dunque Manicheo; e tuttavia è un male: taccia dunque anche Giuliano. 24 - Giovanni non ha dato occasione al tuo errore Giuliano. Consta pertanto che il beato Giovanni non ti ha dato nessuna occasione di errore, ma ti ha ubriacato la pozione inventata da Manicheo. E dopo avere già difeso l'estimazione dell'Apostolo, per porre mano almeno brevemente a questo passo: che cosa stimi che san Giovanni insegni qui dove dichiara che non vengono da Dio la concupiscenza della carne e la concupiscenza degli occhi? Il genere stesso della concupiscenza, la quale cade nel vizio non per la mediocrità concessa, ma per l'eccessività proibita, o solamente l'eccedenza, che si riprende, non perché naturale, ma perché volontaria? Agostino. Se la concupiscenza cade nel vizio, devi concedere che almeno allora essa è un male. Ma per quale ragione sostieni che anche allora la concupiscenza è un bene e dici che usa male un bene chi eccede la misura concessa della concupiscenza? Cosí infatti non è la concupiscenza stessa che cade nel vizio, ma colui che la usa male. Non vedi come non sai quello che dici, dal momento che non sei coerente nemmeno con la tua definizione? 25 - Della concupiscenza è colpevole solo l'eccesso Giuliano. Se dirai con il nome di concupiscenza anche lo stesso limite con il quale l'uomo è preso dalla voluttà lecita delle cose naturali, così da far apparire come condannata in tutto e per tutto la concupiscenza della carne, confessa dunque che e il senso degli occhi e il mondo stesso e tutto ciò che esiste nel mondo è stato creato dal diavolo, perché tutte queste cose si dicono ugualmente non provenienti da Dio. Se lo approverai, non diventerai certamente manicheo: lo sei infatti anche adesso; ma mostrerai di esserlo anche con la tua confessione, come già prima con le tue argomentazioni. Se invece, temendo l'errore messo a nudo, dirai che l'Apostolo con il nome di concupiscenza della carne e di concupiscenza degli occhi e con il nome di mondo non si è riferito alle realtà stesse, che sono innocenti finché restano dentro i confini consentiti e diventano riprovevoli quando corrono ad azioni illecite, allora splenderà chiaro ciò che abbiamo acquisito nella prima opera: della concupiscenza naturale viene in colpa non il genere, non la specie, non il modo, ma solamente l'eccedenza. Perciò cerca in seguito di trattare con pudore questa testimonianza dell'Apostolo, perché se la macchierai anche solo per leggerezza, non apparirai difeso per nulla, ma tradito pubblicamente da essa. Agostino. Ma, o uomo litigioso, il limite della concupiscenza, che tu dici concesso, non si rispetta quando alla concupiscenza impellente si acconsente o si cede e si va nella sua eccedenza, per non andare nella quale si resiste al male. Chi dubiterà infatti che sia male ciò a cui obbedendo fai il male e a cui resistendo fai il bene? Chi dunque vuol vivere temperantemente, non acconsenta al male che tu lodi, e chi vuol vivere fedelmente, non acconsenta a te quando lodi il male. Quindi per stare lontano da voi sappia che la concupiscenza è un male, ma per stare lontano e da voi e dai manichei sappia donde venga la concupiscenza. 26 - La concupiscenza precedette la colpa Giuliano. Mi esercitai su questo testo nel secondo libro della mia prima opera e dimostrai che nell'uomo, prima che ci fosse la colpa, ci fu la concupiscenza della carne, la quale acuisce lo stimolo del gusto e della vista. Agostino. A questo tuo secondo libro risposi sufficientemente con il mio quarto. Infatti come là, così anche qui tu ciarli a vuoto. In nessun modo infatti hai dimostrato che la concupiscenza della carne, per cui la carne concupisce contro lo spirito, abbia cominciato ad esistere nell'uomo prima della colpa. Qualunque cosa sia ciò che di nuovo i due esseri umani sentirono nelle loro membra dopo il peccato, per cui il loro pudore coprí le parti pudende, lo contrasse senza dubbio la colpa. 27 - I sensi non sono la concupiscenza Giuliano. Qui tuttavia io esigo necessariamente di sapere da quali sogni ti sia stato rivelato di pensare che con il nome di concupiscenza sia stata indicata la libidine di coloro che si uniscono. Salvi infatti i sussidi della verità, che sono stati evidenziati da una lunga discussione, facciamo l'ipotesi che non sia stato ancora messo in chiaro se il senso della carne appartenga al medesimo autore al quale appartiene la formazione della carne. Agostino. Altri sono i sensi della carne, con i quali la carne annunzia in qualche modo allo spirito la presenza delle realtà corporee, e altri sono i movimenti della concupiscenza carnale, con i quali la carne concupiscendo contro lo spirito lo precipita in tutte le azioni illecite e disoneste, se anche lo stesso spirito non concupisce contro la carne. La quale discordia tra la carne e lo spirito non si attribuisce al creatore della carne o del senso, ma al cattivo suasore e all'uomo prevaricatore da coloro dalla cui sana fede è condannato l'insano errore dei pelagiani e dei manichei. 28 - La giocondità genitale non è condannata Giuliano. Ma se si finge tale ambiguità, ti avvolgerà subito la più fitta nube del dubbio. Questa concupiscenza della carne appunto non reca assolutamente nessuna traccia dei genitali. Dirò dunque che con questo vocabolo della concupiscenza si colpiscono gli orecchi sitibondi della varietà dei canti, dirò che si castiga da Giovanni il palato dei buongustai, dirò che si incolpano le narici ghiotte di odori: tutto infine, meno quello che tu pensi. Libera è la scelta dove non c'è nessuna pressione di una parola specifica. Dunque o nega che si concupiscano le cose suddette e come al solito opponiti alla coscienza di tutti; o se la tua impudenza non si è ancora tanto indurita da resistere a tutti, riconosci che nemmeno nei ragionamenti della Scrittura si trova la condanna della giocondità genitale. Agostino. Tu dici questo come se noi dicessimo che la concupiscenza della carne divampa solamente per suscitare la voluttà dei genitali. La stessa concupiscenza si conosce assolutamente in qualsiasi senso del corpo concupisca la carne contro lo spirito, e poiché essa trascina ai mali, se contro di essa non concupisce ancora più fortemente lo spirito, è dimostrato che essa è un male. In riferimento ad essa la Scrittura domanda: Che cosa è stato creato peggiore dell'occhio? ( Sir 31,15 ) E certamente creò l'occhio, non la sua nequizia, Dio, creatore di tutte le cose, e dei corpi e dei sensi. Ecco donde puoi capire - se non resisti alla verità - che nella nostra natura è presente un male, anche quando si crea, benché si crei bene da un creatore buono, un bene. Ma donde venga questo male apprendilo da Ambrogio, per non offrire il tuo suffragio a Manicheo nell'introdurre un'altra natura, cioè la natura del male, coeterna a Dio. 29 - Non ti aiuta il mio silenzio sulla concupiscenza Giuliano. In che cosa dunque può aiutarti il fatto che io nel corso della mescolanza dei sessi non ho voluto lacerare con il nome della concupiscenza la fecondità degli amanti, quando nemmeno tu con Manicheo l'hai potuta dimostrare diabolica e quando era già stato chiarito dalla stessa logica della discussione precedente che la sensibilità operante nel corpo degli amanti si riporta all'opera del medesimo autore alla cui istituzione si riferiscono i corpi, i matrimoni, i semi? Agostino. Altro è la facoltà di sentire, altro il vizio di concupire. Distingui diligentemente queste due realtà e non voler errare deformemente. Ripeto: altro è la facoltà di sentire, altro il vizio di concupire. Leggi il Vangelo: Chi guarda, dichiara, una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. ( Mt 5,28 ) Non ha detto: Chi guarda, che è il sentire per mezzo di quel senso del corpo che si chiama vista, ma ha detto: Chi guarda per desiderare, che è il guardare per fare il male. La vista dunque è un senso buono della carne, la concupiscenza è invece un movimento cattivo della carne. Di quel male se usa bene un coniugato, il buon uso non lo fa diventare buono, ma lo porta a servire ad un'opera buona. Infatti non fa se non qualcosa di buono anche per mezzo di quel male, se non fa nulla per amore di quel male. Se invece fa qualcosa per amore di quel male, ma tuttavia lo fa nel coniuge, non gli concederebbe venia l'Apostolo in grazia delle nozze, ( 1 Cor 7,6 ) se non riconoscesse che è peccato. 30 - Lo stesso Turbanzio è contro di te Giuliano. Era certamente opportuno dopo la prima opera, dedicata da me a quel sant'uomo di Turbanzio, non discutere più per nulla sul pudore necessario degli organi naturali, perché la trattazione di allora fu così completa che non può nascere di là nessun dubbio se non per menti del tutto sfasciate. Agostino. Forse anche per questo quel santo uomo di Turbanzio, dopo aver letto la stessa tua opera, che ricordi di avergli scritta, ritornò a respirare nella fede cattolica, perché conobbe che in tale causa tu avevi defezionato. 31 - Non poté ponderare il suo dire Giuliano. Tuttavia, poiché il difensore della traduce non può allontanarsi nemmeno d'una sottile unghia dall'argomento del pudore e con eleganza retorica affatica il mio pudore, a che giova distinguere d'ora in poi per mezzo di nomi diversi la stessa operazione del coito con quella parsimonia che conviene a quanto abbiamo già fatto? Anche in questo luogo dunque e nei successivi, dove io a commento del passo: " Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne ", ( Gen 2,24 ) dicevo: Per esprimere la credibilità delle opere il Profeta ha quasi rasentato il pericolo di compromettere il pudore, costui, come se avesse trovato la selvaggina, gioisce, esulta e grida: O confessione pienamente esplicita ed estorta dalla forza della verità! Si dica la causa per cui nell'esprimere le opere di Dio il Profeta si sia avvicinato a mettere in pericolo il pudore. Ma è forse vero che le opere umane non devono esser oggetto di vergogna, bensí solo di gloria, e le opere divine devono essere oggetto di vergogna? È proprio vero che nel dire e nell'esprimere le opere di Dio non si onora del Profeta l'amore o la fatica, ma si mette in pericolo il pudore? Che cosa infatti ha potuto fare Dio che il suo predicatore si vergogni di dire? E ancora più grave, si vergognerebbe l'uomo di un'opera che nell'uomo non ha fatta l'uomo ma Dio, quando tutti gli artigiani mettono quanta fatica e diligenza possono per non doversi vergognare delle loro opere? Ma è fuori dubbio che noi ci vergogniamo di ciò di cui si vergognarono quei primi uomini quando si coprirono le pudende: quella è la pena del peccato, quella è la piaga e il marchio del peccato, quella è l'attrattiva e il fomite del peccato, quella è la legge che nelle membra muove guerra alla legge dello spirito. Di ciò si ha vergogna e giustamente si ha vergogna. Infatti se così non fosse, che cosa sarebbe più ingrato per noi, più irreligioso del confonderci nelle nostre membra non di un vizio o di una nostra pena, ma delle opere di Dio? È certamente chiaro in che modo gioisca: non può mettere freni al suo gaudio! Ritiene la mia sentenza per poter con essa mostrare cattiva la concupiscenza naturale e assegnarla alle opere del diavolo. La quale sentenza dice che l'ha estorta dalla mia bocca con la forza della verità. Strombazza che sarebbe molto scellerato e sacrilego confessare che si debbano coprire per pudore parti del corpo che diciamo fatte da Dio. Ma, troppo commosso dalla sua euforia, non poté ponderare il suo dire. Mentre infatti asserisce che nelle opere di Dio non c'è nulla di cui vergognarsi, mentre asserisce al contrario che l'opera dei genitali è vergognosa e tale perciò da non potersi ascrivere alle opere del Creatore, improvvisamente confessa che l'opera dei genitali non solo è onesta ma anche giusta, che è assegnata ai nostri corpi non solo da Dio creatore ma anche da Dio giudice. Ho dimostrato nel terzo libro della mia prima opera che la pena non può identificarsi con la colpa. Agostino. Non hai dimostrato quello che ti vanti invano d'aver dimostrato. Anzi tu stesso, dimentico di quanto avevi detto prima, hai confessato in un passo che la colpa può essere anche la pena di chi ha peccato. Il che avevo dimostrato io con sufficiente evidenza nel risponderti antecedentemente, provando anche per mezzo dell'Apostolo che si puniscono i peccati con altri peccati. Il quale Apostolo, dopo aver detto di alcuni che avevano scambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e con la figura dell'uomo corruttibile, con le immagini degli uccelli, dei quadrupedi e dei rettili, subito, dimostrando che questo peccato è stato punito con altri peccati, scrive: Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, così che disonorarono tra loro i propri corpi, ( Rm 1,23-24 ) e il resto che ha intrecciato lí. Né si direbbe nel Salmo: Imputa a loro colpa su colpa e non ottengano la tua giustizia, ( Sal 69,28 ) se per un giusto giudizio di Dio i peccati precedenti non si punissero con l'addizione di altri peccati. 32 - Non avresti detto tante sciocchezze Giuliano. E perciò non c'è da affaticarsi su questo. Sottolineo tuttavia l'acutezza del polemista, che non vuole creata da Dio la morte, che dice resa per punizione da Dio, dichiarando non conveniente alle opere di Dio ciò che egli vuole conveniente ai giudizi di Dio. Agostino. Apparisce che tu non capisci in che modo sia stato detto: Dio non creò la morte, ( Sap 1,13 ) mentre tuttavia è per giudizio di Dio che muore chi pecca. Conviene dunque al giudizio di Dio che il peccatore muoia, né tuttavia conviene all'opera di Dio la morte, perché Dio non creò la morte. Giusto è appunto il suo giudizio che ciascuno muoia per il suo peccato, mentre Dio non crea il peccato; come non creò la morte e tuttavia colui, che Dio giudica degno di morte, muore. Dove si legge: Dio non creò la morte, si legge: La morte e la vita vengono dal Signore Dio. ( Sir 11,14 ) Le quali due affermazioni che non siano contraddittorie tra loro lo vede certamente chiunque distingue dalle opere divine i giudizi divini. Il che se tu lo avessi potuto fare, non avresti detto coteste sciocchezze. 33 - Buone le opere di Dio, turpi i suoi giudizi Giuliano. Dunque non c'è spazio per la vergogna nelle opere di Dio, ma c'è somma turpitudine nelle sentenze di Dio! Un reato appunto merita certamente una pena. Ma per questo è vero tuttavia che la confusione dovuta alla colpa ritorna nella punizione, così che si nomini non vergognoso ciò che ha fatto il reo, ma non si possa dire non ignominioso ciò che giudicando ha fatto Dio? Agostino. Perché complichi le verità esplicite e intrighi le verità dipanate, per sembrare agli ingegni più tardi, numerosi in mezzo agli uomini, di dire qualcosa, mentre non dici nulla? Sei infatti un uomo che tenti più con l'inverecondia che con la facondia di persuadere che non c'è nessuna bruttura o poca nel concupire della carne contro lo spirito, mentre la carne dovrebbe sottostare allo spirito; o che non sia giusto il giudizio di Dio di abbandonare a sé chi abbandona la legge di Dio, perché sia pena a se stesso colui per il quale Dio era stato la vera felicità; o che ciascuno si debba confondere del peccato e non della pena del suo peccato, quando i più non arrossiscono dei loro peccati, se nessuna pena è conseguita ad essi che si faccia sentire da loro e li faccia confondere la pena, come non li avrebbe fatti confondere l'impunità. Ma chi contro verità evidentissime si prenderebbe il gusto di essere " diserto ", se non fosse " deserto " dalla verità? Noi però diciamo liberamente ambedue i fatti: e quello che l'uomo ha compiuto volente e quello che l'uomo ha patito nolente, ossia e la disobbedienza dello spirito e la concupiscenza della carne contro lo spirito. Ma tu uno di questi fatti ti vergognavi di dirlo, per non ricordare a noi il modo di confutare il tuo errore. Ed ora, quando nomini ormai la concupiscenza della carne e la libidine, perché non si dica che tu arrossisci del nome della tua protetta, temi ancora di più di arrossire e non temi di errare. 34 - Peccato e pena Giuliano. Consta tuttavia che il nostro accusatore si voltola nel medesimo loto che avversa. Poiché infatti ha inventato come giustamente resa da Dio la pena della libidine, poiché inculca che questa giustizia conviene alla divina sentenza, dalla quale dice provenuta la libidine, da lui confessata vergognosa, egli riporta senza dubbio nell'opera di Dio quella medesima vergogna che aveva respinta nell'opera di Dio. Agostino. Ti è già stato detto che Dio non creò la morte, ( Sap 1,13 ) ma nel pronunziamento della sentenza di Dio c'è: Morirai certamente. ( Gen 2,17 ) Ecco, Dio ha fatto che si retribuisse al peccatore ciò che Dio stesso non ha fatto. E tuttavia, poiché è un Dio che fa giustizia, ( Sal 94,1 ) dice pure che crea i mali, ( Is 45,7 ) e nel libro dell'Ecclesiastico alcune creature si dicono fatte da Dio per punire. ( Sir 39,33 ) Ma quando il peccato è anche pena del peccato, non è Dio che con un'opera iniqua fa il peccato, bensí è Dio che con un'opera giusta fa che il peccato sia la pena di chi ha peccato. Chi infatti negherebbe che sia un peccato credere a profeti menzogneri? E tuttavia questa fu la pena del re Acab, inflittagli per giudizio divino, come attesta la Storia dei Regni. ( 1 Re 22 ) Né per questo c'è qualcuno tanto pazzo da reputare meritevoli di lode le menzogne dei falsi profeti o da dire Dio autore di menzogna, quando per giusto giudizio fa che sia ingannato dalla menzogna chiunque egli riconosca degno di tale pena. Leggi e intendi, e non ti voler stordire con il tumulto della loquacità per non intendere. 35 - Non abbaiare contro la verità Giuliano. A ciò tuttavia, quasi come corollario di speciale scelleratezza, ha fatto l'aggiunta di dire inflitta da Dio una pena tale che fosse incentivo e fomite di peccato, una pena che come legge invitta nelle membra movesse guerra alla legge della nostra mente. Con il quale genere di punizione Dio moltiplicherebbe le colpe invece di punirle, ed egli che si era adirato contro la cattiva volontà con la quale l'uomo aveva sbagliato, da allora in poi metterebbe in essere la necessità di peccare. Quale sia tuttavia questo giudizio se lo veda la pazzia furiosa di Manicheo, purché risulti che questo giudice inventato da Agostino, abbia pur simulato di aborrire il peccato, ma è invece attaccato ai peccati con tanta passione che essi non potrebbero trovare un precettore più diligente. Agostino. Leggi ciò che è scritto: Poiché non amarono di conoscere Dio, egli li abbandonò alla loro reproba mente, perché facessero azioni sconvenienti, ( Rm 1,28 ) e avvéditi che certi peccati sono anche pene di coloro che peccano. Per capire poi in che modo Dio lo faccia, rileggi quello che ti ho fatto osservare precedentemente nei riguardi del re Acab: la sua colpa fu certamente di credere ai falsi profeti, e tuttavia questo peccato per castigo di Dio fu altresí pena del peccante. Considera questi fatti e non abbaiare contro la verità, perché non si debba riconoscere anche in te questa pena. 36 - Tutte le cose sono uguali? Giuliano. Che vuoi dunque, o sottilissimo disquisitore? Vuoi che nelle opere di Dio ci sia una sacrilega vergogna, mentre tutte le cose fatte da Dio si devono trattare indiscriminatamente per evitare che la nostra trepidazione sembri accusare il Creatore? Errò dunque l'apostolo Paolo, il quale descrivendo le opere di Dio afferma: Le parti più vereconde del nostro corpo hanno maggiore onestà. E Dio ha composto il corpo conferendo maggiore onore alle parti che ne erano prive, perché non ci fosse disunione nel corpo. ( 1 Cor 12,23-25 ) Agostino. Leggi diligentemente e scruta il codice greco e troverai che l'Apostolo ha detto disoneste le parti che tu dici più vereconde. E chiedendoti perché siano disoneste quelle membra che erano precedentemente tanto oneste da essere nudi quei due senza che ne sentissero confusione, ( Gen 2,25 ) riscontrerai, se l'animosità della contesa non ti acceca, che questa conseguenza fu provocata dalla precedenza del peccato, e che Dio non fece qualcosa di disonesto nei primi uomini, come non fece Dio nemmeno la morte, sebbene il corpo non lo faccia se non Dio, e tuttavia dice l'Apostolo verace: Il corpo è morto a causa del peccato. ( Rm 8,10 ) 37 - Il pudore occulta anche le brutte operazioni naturali Giuliano. Erra pure la cautela delle persone oneste che circonda dei ripari della verecondia i fenomeni naturali! Tu dunque evacua per conto tuo sotto gli occhi dei popoli i resti dei cibi, che certo riconosci non pertinenti alla libidine. Anzi per conciliare autorità al tuo dogma con l'esempio fa' nella Chiesa tutte le azioni che dici provenienti dal comando della volontà e, contentandoti di occultare solamente l'operazione del coito, dalla quale hai smesso e prima forse per tuo proposito e adesso per senilità, di' che si commette un grande sacrilegio, se evita lo sguardo del pubblico un fatto che ha Dio per creatore. Mangia quindi nel foro o nelle sinagoghe dove risuonano le tue dispute, e quando le vesti sono di peso sotto un torrido sole, lasciando coperta unicamente la parte del corpo che viene mossa dal diavolo, incedi nudo in tutto il resto, poiché dichiari ingrato e profano coprire ciò che si ascrive alle opere di Dio. E poiché non fai nulla di questo - a meno che tu l'abbia fatto senza trarne profitto -, con le stesse opere tu confermi una delle due conclusioni: o appartengono al diavolo tutte coteste azioni che non eseguisci al cospetto del pubblico, o il vostro dogma è caduto, se non per testimonianza del tuo cuore, almeno per testimonianza del tuo ventre. Agostino. Delle azioni che il pudore occulta alcune sono orribili, altre sono concupiscibili. Quelle orribili si nascondono per non suscitare orrore, come l'evacuazione dei resti degli alimenti. Quelle concupiscibili si nascondono invece perché non si concupiscano: o dissuadendo dal concupire ciò che si suole fare per mezzo di tali azioni, com'è il caso di quelle membra che dal pudore stesso si dicono pudende, o quando per mezzo di esse si compie la stessa opera della concupiscenza. Infatti anche il vergognarsi di lasciare nude o di denudare le altre parti piuttosto distanti dalle pudende dipende dal fatto che la concupiscenza della carne si alimenta più estesamente per mezzo degli occhi. Donde quei due famosi impudichi per quanto poterono vollero denudare la pudica Susanna. ( Dn 13,32 ) Si può dunque ben intendere che pure Dio raccomandò la cura anche del medesimo pudore, quando quei due che, confusi della loro nudità, si erano fatti delle cinture, li rivestí altresí di tuniche, e precisamente di tuniche di pelle, ( Gen 3,21 ) per indicare che la morte si era associata a quei corpi ormai corruttibili. Di nutrirsi in pubblico lo proibisce invece la consuetudine a quanti lo proibisce, e fare contro la consuetudine fa giustamente vergognare. Infatti gli antichi Romani, come tu stesso hai letto, erano soliti cenare e pranzare all'aperto. Perché dunque divaghi nel vuoto, non ragionando, ma ingiuriando? Guarda a quei primi genitori che erano nudi senza provarne vergogna: osserva che cosa abbiano coperto e confessa che cosa abbiano sentito. Dalle cinture si arrivò alle tuniche: da là cominciò e crebbe il tegumento del corpo umano, dove a membra umane fu posto il nome di pudende. Ivi è più grande la cura del pudore dove la pudicizia resiste alla concupiscenza. Rincresce infatti alla natura razionale di avere nella sua carne qualcosa dove, se non vuole perdere per l'impudicizia la propria dignità, è necessario essere riluttanti, tanto alle persone coniugate per non macchiarsi di un coito illecito, quanto alle persone non coniugate per non macchiarsi di nessun coito. Lungi da noi pensare che abbia potuto esistere nel paradiso questa discordia tra la carne e lo spirito, se nessuno avesse peccato. Ma essa non prese possesso di noi per la mescolanza di un'altra natura estranea. Da dove dunque è discesa dentro di noi se non dalla prevaricazione del primo uomo? 38 - Boomerang! Giuliano. Sono argomenti sconvenienti e dànno alla nostra penna più imbarazzo che lavoro, ma tengono necessariamente dietro alla tua fede. Tuttavia però avviso ancora il lettore a stare attento. Hai cercato appunto di asserire che è bene non vergognarsi dell'opera di Dio. Ma, come non sei riuscito ad ottenerlo, così hai promesso in modo assoluto di escludere la vergogna dalla libidine, se questa risultasse opera di Dio. Il che io ho tanto provato nella mia prima opera da reputare che nemmeno tu ne dubiterai quando l'avrai letta. Tuttavia, poiché il tuo presente commento sta a significare che non sono ancora giunti nelle tue mani i miei libri, non rincrescerà che io spieghi la medesima questione anche adesso. Da chi dunque pensi che siano stati creati gli animali irragionevoli, i quali in certi periodi sono scossi da un'ardentissima libidine, che acuisce perfino le abitudini feroci delle singole belve? In quei periodi è crudele il cinghiale, in quei periodi la tigre è pessima. Più di tutte è significativa la frenesia delle cavalle. Veramente si gonfiano le erbe. Veramente trabocca l'abbondanza di un tenero umore. E in certi giorni gli armenti ripetono il coito. Sarebbe troppo lungo passare in rassegna i singoli animali: tutte le specie che il volo innalza, che il nuoto immerge, che il vagabondare disperde nei cieli, nei mari, nei boschi, e che tuttavia la ragione non sublima, né la colpa deprime, s'infiammano della nota voluttà di mescolare i corpi. Quell'ardore dunque dei sessi che gli animali patiscono, lo hanno ricevuto per opera di Dio o per opera del diavolo? Senza dubbio tu griderai: per opera di Dio! Dunque è Dio che accende il sesso di voluttà naturale. Il che Manicheo nega certamente con più coerenza di te. Lui infatti, dal quale tu hai imparato a condannare la concupiscenza della carne, soppesando ciò che doveva dire, perseguita dovunque l'ha potuta trovare la concupiscenza della carne come realtà che aveva definita diabolica ed aveva rimossa dalle opere di Dio. E perciò, come attribuisce all'opera del diavolo i corpi degli uomini attraverso la concupiscenza, così attraverso gli uomini attribuí alla iniziativa del diavolo tutti gli animali. Tu invece, mentre rimanendo ancora nell'accampamento di Manicheo accetti il suo massimo drago, dal quale ispiri per le anime infelici un veleno letale attraverso il male naturale e attraverso i crimini delle nozze, non vuoi tuttavia scagliare contro tutte le nature le armi apprestate dal tuo maestro e, più benevolo verso i bruti - ma li risparmi per incolpare con maggiore autorità lo stato delle creature razionali! -, consenti che Dio abbia creato nei loro corpi la concupiscenza che ritieni nei nostri corpi creata dal diavolo, pur confessando che negli uomini e nelle bestie c'è la medesima libidine, ma più mite negli uomini. Perché dunque il prudente lettore accolga il risultato ottenuto: tu non neghi che la libidine dei corpi sia stata creata da Dio negli animali. Non è dunque indegna delle opere di Dio questa inclinazione che si trova più acuta in quelle sostanze che non rapirono nulla al male del diavolo, nemmeno con una tenue volontà. Dunque, poiché la concupiscenza è stata difesa con l'esempio degli animali, poiché è stata difesa altresí con la dignità del suo autore, non è né cattiva né diabolica una concupiscenza che Dio ha fatto, plasmatore dei corpi; una concupiscenza che si trova nella natura esente dal peccato. Poiché dunque si è reso chiaro questo punto, io chiedo: Consenti che Dio abbia fatto cotesta libidine che risentono i corpi umani? Se acconsenti, è sparita la tenzone, tu sei emendato e Manicheo rimane schiacciato. Se dirai invece: Nei corpi degli uomini la concupiscenza non poté essere fatta da Dio, allora io replico che tu reputi quella voluttà e concupiscenza della carne indegna delle opere dell'uomo, non indegna delle opere di Dio. È appunto indubitabile: se tu dici che non poté essere fatto da Dio nell'uomo ciò che riconosci fatto da Dio in tutti gli altri animali, non togli alla concupiscenza le testimonianze debite, ma cerchi per il corpo dell'uomo delle testimonianze indebite. Avvediti dunque quanto sia sacrilega la fine della tua setta. Dici che è indegno della carne dell'uomo mortale ciò che non fu indegno dell'opera del Creatore. Perciò con tale modo di sentire non hai vituperato la libidine, ma hai esaltato l'uomo che avevi voluto accusare. Tale coerenza e tale ricompensa si trova ad avere chi indíce guerra alla verità: egli è sempre colpito dagli effetti contrari al suo intento. Ora dunque io insorgo con parole più logiche delle tue, come sa la prudenza di tutti. È mai possibile nel giudicare le opere di Dio e nell'esprimerle non ascoltare la ragione e non considerare gli esempi di tutte le nature? È mai possibile che l'insania di un uomo si spinga invece a tal punto da ritenere sconveniente alle sue viscere ciò che vede valere per opera di Dio in quanti sono compartecipi della sua natura? Né infatti l'origine o l'indole dei nostri corpi è diversa da quella degli animali muti. Agostino. Di' dunque che la risurrezione e l'incorruttibilità sempiterna non è dovuta ai corpi umani, dal momento che sono terreni anch'essi, come i corpi delle bestie. Di' che non può essere diversa la fine dove non è diversa l'origine. Di' queste sciocchezze, se ti piace, e con l'impeto di una vana loquacità fa' ostentazione di quanto tu abbia progredito con le lettere secolari contro le Lettere evangeliche. Se poi non osi dirlo, confessa secondo la fede cristiana che anche questa è una pena dell'uomo: essere stato messo alla pari degli animali irragionevoli e reso simile a loro. ( Sal 49,13 ) Per l'uomo dunque è una miseria questa, mentre non possono essere miseri gli animali. Così anche la concupiscenza della carne è una pena per l'uomo, non per la bestia, nella quale la carne non concupisce mai contro lo spirito. O forse ti piace equiparare le nature mortali così da asserire che anche nelle bestie la carne concupisce contro lo spirito? Se non lo fai per non essere senza intelligenza come il cavallo e il mulo, ( Sal 32,9 ) riconosci che nel paradiso, se nessuno avesse peccato, non sarebbe esistita una libidine tale e quale la diciamo ora e per cui la carne concupisce contro lo spirito. Tale appunto non esiste la concupiscenza nelle bestie, dalle quali hai preso tanto patrocinio per la tua cliente da poter essere verboso di fronte alla loro mutezza. Se infatti per l'umana libidine la carne non concupisse contro lo spirito, ma negli uomini si trovasse una libidine tale che insorgesse al comando della volontà quando ce ne fosse bisogno, e non suggerisse incitamenti di nessuna sorta quando non ce ne fosse bisogno, costringendo la nostra volontà a combatterli per reprimerli e per frenarli, non avremmo nulla da rimproverare a voi di volerla collocare tanto infelicemente nel paradiso, cioè nell'abitazione di tanta felicità. 39 - La concupiscenza è indegna dell'uomo, non di Dio Giuliano. Come infatti ricevemmo l'immagine di Dio con la ragione della mente, così sentiamo la comunione delle bestie con l'affinità della carne, la quale, sebbene sia diversa la forma, è tuttavia una sola sostanza proveniente dalla materia degli elementi, destinata certamente a vedere l'eternità secondo i meriti dell'animo razionale: o misera per le afflizioni o gloriosa per le rimunerazioni. Agostino. Se a seconda dei meriti dell'animo razionale, come confessi tu, la carne, terrena e corruttibile come quella delle bestie, è tuttavia destinata a vedere l'eternità con una fine ben diversa, per quale ragione tu non accetti che per i meriti della immagine di Dio, che non era stata deformata da nessun peccato, la carne sia stata originariamente creata, benché dalla materia terrena, in tale modo che, se nessuno avesse peccato, fosse destinata a rimanere nella eternità e nella incorruttibilità, e non ci fosse in noi un corpo corruttibile che grava l'anima, cioè l'immagine di Dio, ma le fosse così sottomesso che per generare i figli anche le membra genitali si movessero al comando della volontà come le altre membra con le quali compiamo qualcosa, o tale fosse la concupiscenza della carne da non insorgere se non volente l'anima, cioè l'immagine di Dio, e da non soffocare la riflessione della mente con il traboccamento della voluttà? Se infatti la concupiscenza fosse tale anche adesso, non si direbbe che essa non viene dal Padre, ma dal mondo, ( 1 Gv 2,16 ) cioè dagli uomini, che per mezzo di essa e in compagnia di essa nascono al mondo e sono senza dubbio destinati a perdersi, se non rinascono a Dio. Convenientemente dunque si crede che della materia corporale, comune a noi e alle bestie, sia stata diversa l'origine per il merito della immagine di Dio prima che cominciasse il peccato, come diversa è la fine dopo che ha ricevuto il peccato. 40 - La colpa non è di Dio, ma della massa viziata Giuliano. Per quale ragione dunque sarebbe indegno, non dell'immagine di Dio, perché la sostanza dell'anima è diversa dalla sostanza della carne, ma indegno del servo corruttibile dell'immagine di Dio, ciò che non era stato indegno di essere creato da Dio stesso? Fece dunque i corpi Dio, distinse il sesso dei corpi Dio, fece le membra genitali Dio, dotò questi corpi dell'attrattiva di mescolarsi tra loro Dio, diede anche la forza dei semi Dio, opera nei segreti della natura per mezzo della materia dei semi Dio, ma nulla di male, nulla di reo fa Dio. Agostino. Nulla di male, nulla di reo fa Dio, ma in quanto Dio lo fa, non in quanto lo fa da una massa che è stata viziata e condannata. 41 - Peccato e vizio Giuliano. La libidine, tanto degli animali quanto degli uomini, l'ha fatta Dio, ma negli animali ha lasciato senza coercizione gli istinti, mentre nell'uomo ragionevole Dio ha istituito una misura. Un vestito procura all'uomo la prudenza e l'onestà che gli ha data Dio. Quindi non la misura, non il genere della libidine incolpa Dio, ma il suo eccesso, che sorgendo dall'insolenza della libera volontà non accusa lo stato della natura, bensí il merito dell'operante. Agostino. Per quale ragione dunque la libidine nell'uomo resiste allo spirito, mentre non lo fa nella bestia, se non per la ragione che nella bestia la libidine appartiene alla sua natura, nell'uomo invece appartiene alla pena, sia per la sua presenza che non ci sarebbe altrimenti, sia per la sua resistenza, perché sarebbe stata sottomessa, se non fosse stata causata o viziata dal peccato? Infatti se Dio negli animali ha lasciato senza coercizione gli istinti, certamente tu confessi che nell'uomo sono sotto coercizione le libidini, poiché sono queste che tu chiami istinti. Ma per nessuna ragione sarebbero coercíte, se non si movessero viziosamente. Ecco infatti tu dici che Dio ha istituito nell'uomo una misura per la libidine: perché essa non si tiene dentro la misura nella quale fu stabilita da Dio, ma esce da essa, se non è coercíta? In che modo dunque si dice un bene la libidine che, se non le si resiste, spinge e costringe l'uomo a fare il male? Ti avvedi o no che la tua esimia pupilla nella natura dell'uomo o è nata dal peccato o è stata viziata dal peccato, e da qui viene il fatto che coprirono le pudende dopo il peccato i primi uomini che prima del peccato erano nudi senza sentirne confusione? Cos'è infatti quello che dici: Un vestito procura all'uomo la prudenza e l'onestà che gli ha data Dio? Erano dunque stolti e disonesti, imprudenti e impudenti gli uomini prima del peccato, quando non si vergognavano della loro nudità? Grazie al peccato, perché altrimenti sarebbero rimasti così! Il che se è assurdissimo dirlo, furono certamente la prudenza e l'onestà naturale a coprire le parti pudende, le quali però prima del peccato non furono pudende. Perciò l'eccesso della libidine è un peccato, ma è anche vero che l'impulso della libidine è un vizio. Del quale impulso arrossirono Adamo ed Eva, che non vollero lasciare nude le membra che la tua cliente sollecitava contro la loro volontà. 42 - Conclusione Giuliano. Fa' bene attenzione ora quale sia la conclusione che si raccoglie dalla tua opinione: non dev'essere coperto dal pudore ciò che si crede buono. Ma noi abbiamo insegnato che la voluttà inserita per natura nei sessi e non è cattiva e appartiene all'opera di Dio. E per questo tu abbandonerai o la tua empietà o il pudore. Ma perché pretendiamo tanto? Se cambia un Etiope la sua pelle o un leopardo il suo manto variegato, ( Ger 13,23 ) così anche tu riuscirai a lavarti dai misteri dei manichei. Agostino. Tu piuttosto non smetterai di aiutare i manichei, se di cotesta tua protetta, ritenuta cattiva anche dai manichei, non dirai con Ambrogio e con tutti i cattolici che si è convertita nella nostra natura a causa della prevaricazione del primo uomo, perché non si creda, secondo quei nefandi eretici che tu aiuti inconsapevolmente, che un vizio tanto manifesto dell'uomo abbia un principio coeterno a Dio. 43 - Come gli animali Giuliano. Resta dunque che tu lasci andare il pudore e, rimanendo la tua amicizia con il tuo maestro, faccia combutta con i Cinici, i quali tuttavia, come riferisce Cicerone nel De officiis, seguono anche le argomentazioni di alcuni Stoici. Rimproverano appunto alla morale comune il fatto che noi consideriamo disoneste certe parole che usiamo per indicare realtà oggettivamente non turpi, mentre viceversa chiamiamo con i loro nomi realtà oggettivamente turpi. Perpetrare un latrocinio, fare una frode, commettere un adulterio sono azioni di loro natura turpi, ma non sono osceni i loro vocaboli; darsi a fare figli è un'azione di sua natura onesta, ma ne è osceno il vocabolo. Continua a dire: Molti sono i ragionamenti che essi fanno nello stesso senso contro il pudore. Per conto nostro invece dobbiamo seguire la natura e rifuggire da tutto ciò che gli occhi e gli orecchi disapprovano. Dunque anche tu, a cui dispiace questo " germano " concetto di onestà naturale, scegli una delle due: o di' che a fronte di un latrocinio, di un sacrilegio, di un parricidio, tutte azioni che hanno nella realtà la massima turpitudine e non hanno nei vocaboli nessuna oscenità, è più tenebroso e sacrilego darsi a fare figli, un'operazione che reclama l'ufficio del pudore; o se arrossisci di accusare le nozze al punto che esse preponderino anche a confronto delle suddette scelleratezze, esorta i coniugi ad appellare quella loro mescolanza tanto sicuramente e tanto liberamente quanto siamo soliti nominare il parricidio e il latrocinio. Ma se, come fai abitualmente per illudere gli orecchi dei cristiani, aggiungerai che la congiunzione dei corpi destinata alla procreazione non si macchia di nessuna iniquità, ma può giudicarsi buona dentro la sua misura, abbràcciati allora al fatto famoso del tebano Cratete, ricco e nobile, al quale fu tanto cara la setta dei Cinici che abbandonò le ricchezze paterne e si trasferí ad Atene con la moglie Iparcide, seguace con pari animo di cotesta filosofia. Una volta, volendo congiungersi con lei in pubblico, come racconta Cornelio Nepote, e tirandosi lei il pallio per coprirsi, fu bastonata dal marito che le disse: Così poco hai imparato finora dai tuoi sensi da non avere il coraggio di compiere in presenza di altri quello che sai di fare onestamente. Si deve davvero alle vostre greggi un tale abito mentale: le membra naturali, poiché sono da riconoscersi buone in quanto create da Dio per la moltiplicazione dei corpi, siano adoperate senza nessuna remora di pudore. Rendete dunque grazie ai quadrupedi: come essi con i loro esempi e per bocca di Manicheo proteggono la sensibilità dei vostri corpi dalla possessione del diavolo, anche voi seguite nell'unione sessuale la loro libertà per attestare la bontà dell'azione. È appunto conveniente che gli animali prestino il magistero dei comportamenti agli uomini ai quali hanno prestato il patrocinio delle membra. E per ripetere con precisione ciò che abbiamo fatto: tu hai detto che la libidine se l'avesse fatta Dio non si dovrebbe vestire affatto di pudore; noi, sebbene nei quattro libri dell'opera precedente abbiamo già trattato l'argomento in modo pieno, tuttavia anche nell'opera presente, con la testimonianza di tutti gli animali, che provvisoriamente confessi creati da Dio, abbiamo dimostrato che è stata creata da Dio la libidine dei sessi, la quale riconosciamo tuttavia doversi velare negli uomini con il pudore. Al tuo dogma tiene dietro dunque questo risultato: con un rimpatrio dopo una lunga assenza ci riproponi la bella sortita dei Cinici ed eserciti sotto gli occhi di un'intera città le membra naturali, perché sono state fatte da Dio. Non senti come ad occhi chiusi sei saltato contro la mia sentenza con la quale ho detto: Per esprimere la credibilità delle opere il Profeta si è avvicinato a mettere in pericolo il pudore? Queste considerazioni, infatti, come coerentemente, secondo le sue favole, le accusa il tuo precettore, del quale nel libro precedente ho riferito le fantasticherie, e il quale di tutti i corpi nega assolutamente che siano stati fatti da Dio, così tu hai osato impudentemente manipolarle confessando - sebbene con timore -, che Dio è il creatore dei corpi, la sensibilità dei quali assegni al principe delle tenebre. Il che è certamente distrutto da tanta potenza della verità quanta è la fede con la quale dall'Evangelista è stato detto che da Dio tutto è stato fatto e senza di lui niente è stato fatto. ( Gv 1,3 ) Agostino. Potresti forse equiparare nella concupiscenza o nella libidine della carne le bestie agli uomini, se tu non credessi che anche quei progenitori del genere umano come portatori di corpi corruttibili sarebbero morti, pure nel caso che non avessero peccato? E questa affermazione la condanna così nell'errore novizio della vostra eresia la Chiesa cattolica che il vostro principe Pelagio, per timore della sua propria condanna, la condannò quando tra le altre obiezioni gli fu contestata dinanzi ai quattordici vescovi orientali dai quali era ascoltato in giudizio. Nel quale giudizio sei stato condannato certamente anche tu che ritieni Adamo fatto in tal modo da essere morituro, sia che peccasse, sia che non peccasse, contraddicendo l'Apostolo il quale dice: Il corpo è morto a causa del peccato. ( Rm 8,10 ) Ebbene, se quei corpi non sarebbero stati morituri, se precedentemente non fosse stato commesso un peccato, non sarebbero stati nemmeno corruttibili certamente per non appesantire quelle anime beate: è scritto infatti che un corpo corruttibile appesantisce l'anima. ( Sap 9,15 ) Quindi come la morte e la corruzione poterono non essere comuni ai corpi delle bestie e ai corpi degli uomini, benché fosse comune ad essi la materia terrena, così poté non essere comune ad essi la libidine, anche nella propagazione dei figli; ma essa o non sarebbe esistita affatto negli uomini, così che questi, come si servono delle altre membra per le loro opere congrue, altrettanto si servissero anche dei genitali mossi dalla volontà per l'opera della generazione; o la libidine non sarebbe nell'uomo tale e quale è nelle bestie, bensí pronta a servire al primo cenno della volontà e mai, nemmeno in mezzo alla voluttà, capace di distogliere la mente dalla vigilanza del pensiero. Adesso invece, per un precedente peccato che ha mutato in peggio la natura umana, sono diventate penali per l'uomo le inclinazioni che sono congrue alla natura delle bestie. Ma in questo male, che fa concupire la carne contro lo spirito, c'è una maggiore causa di umiliazione ed è questa: tra i due elementi, che appartengono l'uno e l'altro alla nostra natura e dei quali l'uno deve comandare e l'altro obbedire, è sorta una discordia che non è soltanto dolorosa, ma anche molto vergognosa. Che ti hanno giovato, dunque, gli aiuti dei Cinici da te invocati e non pertinenti al caso, dal momento che in questa via del tuo errore, venendo meno tu sulla retta via, nemmeno quei giumenti, che hai paragonati, agli uomini ti hanno potuto giovare? 44 - La nudità corporale è suggerita da ragioni diverse Giuliano. Il tempo ci avvisa di passare ad altro. Ma poiché è certo che tu non hai da offrire in vendita ad orecchi inesperti nient'altro che la vergogna dei genitali, accennerò nella più breve maniera possibile a quanto si pensi che resti ancora da fare. Chi dunque negherà che l'onestà, per la quale copriamo i nostri genitali, varia secondo le persone, i luoghi, le occupazioni e i costumi? Così la nudità alquanto oscena nelle riunioni pubbliche non ha nulla di turpe nei bagni. Così altro è l'abito da camera, seminudo e libero, altro è l'abito del foro, più accurato e più ampio. Che c'è da obiettare, se spesso la mancanza di riguardo intende essere una testimonianza di familiarità, e se in presenza d'una persona o troppo poco conosciuta o troppo distinta tanto più si sceglie un abito accurato? E che significa il fatto che nessuno ha mai incolpato i marinai o la maggior parte degli operai di essere nudi? E perché questa semplicità non si attribuisca alle persone più che alle occupazioni, anche l'apostolo Pietro e per giunta dopo la risurrezione del Signore, alla maniera di tutti, stava nudo sulla barca a pescare. ( Gv 21,7 ) Dirigi di qui gli occhi alle prestazioni dei medici: essi per guarire applicano la loro arte nelle zone del pudore. Per gli atleti la nudità è perfino bella. Ma è vero che non solo per certi adolescenti e per i soci di gruppi di seduzione, ma anche per alcune intere popolazioni resta scoperto l'uno e l'altro sesso e si pratica la mescolanza senza la ricerca di un posto segreto. Che c'è tuttavia da meravigliarsi che lo facciano gli Scoti e la barbarie delle genti vicine a loro, quando ha giudicato alla stessa maniera anche la filosofia sopra menzionata e a questo è giunto il dogma dei traduciani? Quale sarà dunque la quantità di pudore da mantenere, quale il limite tra tante sue diversità e tra compiti in parte necessari, in parte difesi dalla società, attraverso il qual limite poter insegnare che è stato il diavolo a mescolare ai sessi l'ardore naturale? Perciò come l'impalcatura della tua opinione risulta crollata per le occupazioni, per i luoghi, per le abitudini, per le arti e per intere popolazioni insieme, così è rimasto invitto ciò che noi difendiamo per l'insegnamento della ragione stessa e dell'apostolo Paolo: tutti i corpi, tutte le membra dei corpi, tutti i sensi dei corpi li ha creati Dio, autore dell'universo; ma egli ha ordinato che secondo l'opportunità dei tempi il pudore coprisse alcune delle nostre membra e che l'onestà naturale ne esibisse altre, per le quali sarebbe tanto sconveniente portarle coperte, quanto inopportuno sarebbe prostituire la segretezza dei genitali. Agostino. Tu piuttosto aspergi inopportunamente della colpa d'inopportunità coloro dei quali la Scrittura divina afferma: Erano nudi e non ne provavano vergogna. ( Gen 2,25 ) certamente allora erano così retti come erano stati fatti retti, poiché leggiamo: Dio ha fatto l'uomo retto. ( Qo 7,29 ) In quel tempo dunque di tanta loro rettitudine è mai possibile che fossero così depravati da prostituire la segretezza dei genitali imprudentemente, impudentemente, disonestamente, inopportunamente? Riconosci dunque che non esisteva ancora la causa di vergognarsi, quando non erano ancora pudende quelle membra che ora si chiamano propriamente pudende. Non abitava infatti nelle membra a muovere guerra alla legge della mente la legge della concupiscenza senza la quale adesso non nasce nessuno. Non ancora per un giusto giudizio di Dio, che meritamente disertò il disertore, era stata retribuita alla disobbedienza dell'uomo la disobbedienza della sua carne. Infatti concupire contro lo spirito è disobbedienza della carne, quantunque concupiscendo anche lo spirito contro la carne non le lasci realizzare ciò che tenta di realizzare. Questo dunque non esisteva ancora quando erano nudi e non se ne vergognavano. Non è vero pertanto che essi con la loro vera nudità prostituissero inopportunamente la segretezza dei genitali, ma non avevano sentito ancora nulla di inopportuno nei genitali. Perché raccogli parole vane a guisa di foglie secche per coprire con esse anche tu la tua tenzone carnale contro l'autorità spirituale, quasi carne concupiscente contro lo spirito? Perché domandi quale sia la quantità di pudore da mantenere o quale sia il limite tra le tante sue diversità prodotte dalle diverse necessità, dalle arti, dalle opinioni, dai costumi, siano retti o siano perversi? Ecco hai gli uomini che hanno generato non una qualche gente, come gli Scoti, ma tutte le genti; uomini non depravati da qualche prava opinione, come i Cinici e tutti gli altri macchiati da bruttura di simile sconcezza, ma uomini creati retti da Dio; non costretti da una qualche necessità di lavoro, come fu la nudità di Pietro, con la quale hai creduto di doverti coprire, ma uomini liberi nel paradiso delle delizie. Ad essi guarda, sbandieratori della libertà prima del peccato, dottori del pudore dopo il peccato. Prima del peccato erano nudi e non se ne vergognavano, dopo il peccato si sentirono umiliati dalla loro nudità. Prima del peccato lasciarono senza indumenti i genitali non ancora pudendi, dopo il peccato coprirono i genitali ormai pudendi. Dunque questi testimoni abbastanza idonei convincono con la loro nudità, prima non pudenda e dopo pudenda, sia la pervicacia dei pelagiani, sia l'impudenza di certe popolazioni e dei Cinici. 45 - La concupiscenza e Gesú Giuliano. Assolto quindi questo compito nell'opera presente, per quanto lo esigeva l'importanza della questione trattata, vengo alla tua affermazione che nel Cristo non c'è stata questa concupiscenza naturale. Così infatti mi parli: Ma tra tutte queste realtà costui non ha voluto nominare la concupiscenza della carne, che non viene dal Padre, bensí dal mondo; del quale mondo è stato detto principe il diavolo. Egli non la trovò nel Signore, perché il Signore non venne uomo tra gli uomini attraverso di essa. Hai dunque dichiarato: il Cristo, che la fede cattolica confessa uomo vero sotto tutti gli aspetti, non ebbe nella sua carne la concupiscenza che dice l'apostolo Giovanni. Ma Giovanni, come hanno insegnato i suoi testi, afferma che la concupiscenza della carne e la concupiscenza degli occhi con tutto il mondo non vengono dal Padre; ( 1 Gv 2,16 ) e questo in che modo lo si dovrebbe intendere lo abbiamo spiegato. Agostino. Hai spiegato, sí, in che modo intendessi tu o piuttosto non intendessi, non in che modo si dovrebbe intendere. Sul quale argomento, replicando alla tua discussione non verace ma loquace, ti ho risposto combattendo per la verità. 46 - Non diresti questi spropositi Giuliano. Tu al contrario, abbracciato al nome stesso della concupiscenza, vuoi che dal corpo del Cristo sia stato lontano tanto il senso degli occhi, quanto il senso delle viscere. Agostino. Non diresti questi spropositi, se tu avessi il senso sano, non del corpo ma dell'animo. 47 - Apollinarismo Giuliano. Qui perciò prego il lettore d'essere presente con tutto l'animo. Vedrà che da te viene restaurata l'eresia degli Apollinaristi, ma con la tua aggiunta di Manicheo. Di Apollinare si dice appunto che all'inizio abbia inventato questo tipo d'incarnazione del Cristo: della sostanza umana fu assunto, sembra, soltanto il corpo, e al posto dell'anima ci fu la divinità stessa: sembrerebbe che il Cristo non abbia preso un uomo, ma un cadavere d'uomo. Il che si prese a scalzare con l'attestazione sia della ragione, sia del Vangelo. Un argomento è questo: per tale opinione era necessario accusare di falsità il fatto che il Cristo, perseguitato dai Giudei per avere insegnato la verità, si era detto uomo, se da lui era stata presa soltanto la carne, perché l'uomo non può essere se non l'insieme di anima e di corpo. O un altro argomento è ciò che il Signore aveva detto nel Vangelo: Io ho il potere di deporre la mia anima e il potere di prenderla di nuovo. ( Gv 10,18 ) Quale anima sarebbe stata deposta, se non fosse stata assunta? Dopo dunque che fu sbaragliato dall'autorità di tali testimonianze e dalla evidente ragione, escogitò un altro diversivo donde nascesse la sua eresia che perdura ancora. Disse che l'anima umana nel Cristo ci fu, ma non ci fu in lui il senso del corpo, e dichiarò che egli era vissuto impassibile a tutti i peccati. Agostino. Epifanio di santa memoria, vescovo di Cipro, nella piccola opera che pubblicò sulle eresie, disse che alcuni degli Apollinaristi hanno detto nel Signore Gesú Cristo consustanziale il corpo alla divinità; altri poi hanno negato che egli abbia assunto un'anima; altri, per l'affermazione: Il Verbo si fece carne, ( Gv 1,14 ) hanno sostenuto che non assunse una carne dalla carne creata, cioè dalla carne di Maria, ma assunse il Verbo fatto carne; in seguito però hanno detto, non so che cosa pensando, che non assunse la mente. Ciò che dunque affermi tu, come asserito dagli Apollinaristi, che nel Cristo non ci furono i sensi del corpo, e che lo dichiararono impassibile, né l'ho letto in nessun'altra parte all'infuori che in questo tuo libro, né l'ho mai sentito dire da qualcuno. Ma poiché vedo che tu cerchi spazio dove espandere le tue ciance per apparire copioso, mentre sei verboso, rispondo alla svelta: Chiunque crede o nelle affermazioni degli Apollinaristi che ho ricordate sopra, o crede che il Cristo non abbia avuto i sensi del corpo e sia stato impassibile, sia anatema. Ma perché tu possa riconoscere anche te stesso: Chiunque crede che la carne del Cristo abbia concupito contro lo spirito, sia anatema. 48 - Gesú senza concupiscenza cattiva Giuliano. Non che egli abbia evitato i delitti per virtù di giudizio, ma egli non poté sentire la cupidità dei vizi per la felicità della carne, segregata dai nostri sensi. Agostino. Noi non diciamo: Il Cristo per la felicità della carne segregata dai nostri sensi non poté sentire la cupidità dei vizi, ma diciamo che egli non ebbe la cupidità dei vizi per la perfezione della sua virtù e per la procreazione della sua carne dal di fuori della concupiscenza della carne. Altro è infatti che non abbia avuto la cupidità cattiva, altro che non l'abbia potuta sentire: l'avrebbe infatti sentita, se l'avesse avuta, perché non gli mancò il senso per sentirla; ma fu presente in lui una volontà che non l'aveva. Né ti meravigliare che il Cristo, benché uomo vero e tuttavia buono sotto tutti gli aspetti, non abbia voluto avere la cupidità cattiva. Chi infatti all'infuori di voi nega che sia cattiva la cupidità per cui si concupiscono i mali? Chi, ripeto, all'infuori di voi tenta di persuadere che non sia un vizio la cupidità che Giuliano confessa cupidità dei vizi, e che non sia un male la cupidità consentendo alla cui suggestione si fa un'opera cattiva? Questa cupidità il Cristo e la potrebbe sentire se l'avesse e la potrebbe avere se volesse; ma non sia mai che volesse. Tuttavia però se avesse la cupidità cattiva o, per usare le tue parole, la cupidità dei vizi, essa avrebbe cominciato ad essere in lui dalla sua volontà, perché non è nato con essa come noi. E perciò la sua virtù era di non averla, la nostra virtù è di non acconsentirle e d'imitare in questo modo lui: come egli non fece peccato non avendola, così non dobbiamo fare peccato nemmeno noi non acconsentendo ad essa, e come egli volle e poté non averla, così noi dobbiamo volere di esserne liberati, perché lo potremo. Ci libererà appunto dal corpo di questa morte, ossia dalla carne del peccato, la grazia di colui che venne a noi in una carne simile a quella del peccato e non nella carne del peccato. 49 - Adulazione sacrilega! Giuliano. Un'affermazione fatta, come indica la realtà, con adulazione tanto grave contro la fede dei cattolici, non solo non necessaria per nulla, ma anche sacrilega. Con la volontà infatti di dimostrare che nel corpo del Cristo ci fu qualcosa di più, perché non perdesse di dignità nella comunione della nostra carne, lo defraudò della integrità dei sensi naturali, senza accorgersi quanto fosse esiziale il danno recato alla verità, sebbene corrotta per adulazione. A quella provocazione fremette appunto il diritto dei cattolici, perché presso tale fede maggior danno venivano a soffrire i misteri del Cristo che le sue membra. Se per questo infatti, dicono, il Cristo è nato dalla stirpe di Davide, ( Rm 1,3 ) se per questo è nato da donna, se per questo è nato sotto la legge ( Gal 4,4 ) per darci l'esempio e perché seguissimo le orme di lui, che non commise peccato e non fu mai trovato con la menzogna in bocca, ( 1 Pt 2,12.22 ) né tuttavia rivestí sotto ogni aspetto la proprietà della nostra sostanza, se portò o la carne senz'anima o l'uomo senza i sensi che la natura ha dati in dote a noi, non si dimostra attuata con pienezza in lui la " forma " dell'esempio e della legge. Che ci fu infatti degno di lode nel disprezzare le attrattive dei sensi delle quali era incapace per beneficio di natura? Che aveva di meraviglioso in lui il frenare gli occhi, non vagabondi per il privilegio della sua carne? Che aveva di grande il sottrarre le narici agli odori seducenti, ai quali le narici non sapevano aprirsi? Che aveva di stupendo serbare quotidianamente un'ardua parsimonia nei cibi, dei quali non poteva provare lo stimolo rabbioso? Che avrebbero di arduo infine i digiuni protratti fino al quarantesimo giorno, se in lui non ci poteva essere la molestia della fame? Quale onore meriterebbe la disciplina degli orecchi che non recepivano se non oneste voci, soffrendo di sordità nativa per le voci indebite? Quale gloria di castità poi, se in lui era assente più la virilità che la volontà e se ciò che si pensava proveniente dal vigore dell'animo proveniva dal languore delle membra? Agostino. Giustamente queste affermazioni si fanno non contro Apollinare o contro qualcuno degli apollinaristi, che non giudico abbiano negato nella carne del Cristo la presenza dei sensi del corpo umano, bensí contro chiunque lo dica. Ma noi diciamo che il Cristo sentí con gli occhi e il bello e il brutto, e sentí con le narici e gli odori graditi e gli odori sgraditi, e percepí con il senso degli orecchi le melodie e le stonature, e distinse con il gusto l'amaro dal dolce, e giudicò con il tatto e gli oggetti ruvidi e gli oggetti levigati, gli oggetti duri e gli oggetti teneri, i freddi e i caldi, e poté sentire e percepire tutto ciò che di altro si può sentire e percepire con il senso del corpo; né gli mancò la possibilità di generare, se lo avesse voluto, e tuttavia la sua carne non concupí mai contro lo spirito. Che se per questo è un gran bene astenersi dai delitti perché, come pensi tu, non mancano le libidini da vincere, e non sarebbe invece un gran bene se fossero mancate le libidini, tanto più lodevole sarà ciascuno nella virtù quanto più libidinoso sarà stato nella carne. E perciò il Cristo, secondo questa vostra orribile e detestabile mostruosità, come fu il più grande degli uomini nella virtù, così dovette essere il più libidinoso degli uomini nella carne. Il che se senti quanto sia empio sentire, non tardare a cambiare sentenza e a distinguere dai sensi le libidini, che in tutti sono sentite più di quanto i sensi sentono, perché non sembri che ciascuno sia tanto più vivace nel senso quanto più sia stato ardente nella libidine, e non si creda che il Cristo abbia arso di libidini tanto più acute quanto più puri i sensi che ebbero vigore in lui. 50 - Apollinarista e manicheo Giuliano. Quale infine la palma della tolleranza, se il dolore delle ferite e delle flagellazioni, interrotta la via dei sensi, non riusciva a raggiungere l'animo? A che giovò dunque l'adulazione di Apollinare? A questo risultato evidentemente: tutta la bellezza delle virtú che il Cristo aveva espressa in sé, svuotata per le indebite lodi della sua natura, si afflosciasse e, denudata di tutto lo splendore della sua verità, offrisse a scherno il sacro magistero del Mediatore. A questo si aggiungeva che non solo perdeva la caratteristica significativa delle sue opere, con l'essere più felice per la sua natività che per la sua virtú, ma era anche incalzato da crimini di frode, se intimava ai mortali: Spingetevi fino alla pazienza di un uomo che non sentiva nulla, e attraverso le vostre croci vere venite alle virtú di un corpo falso che non soffriva affatto. Oppure: Vincendo le vostre reali e rabbiose eccitazioni, imitate la castità di colui che la debolezza ha fatto apparire pudico. Certo non si può immaginare nulla di più sacrilego, nulla di più infame di tali trovate. E Apollinare non aveva fatto tutte queste affermazioni. A causa di quell'unica affermazione che all'uomo Cristo mancarono quei sensi che, donati dalla natura, cadono nei vizi non per il loro uso, ma per l'eccesso del loro uso, tutti questi errori che sono stati riferiti dai cattolici Apollinare, muto, se li trovò addosso per il pregiudizio della sua opinione. Con l'affermazione appunto di tutte queste verità si costruisce la fede cattolica, e per la loro negazione o per la loro logica è stata composta e condannata l'eresia di Apollinare. Tu quindi congettura che cosa si debba giudicare di te che condanni, come fece Manicheo, la mescolanza dei sessi; che apparti la natura della carne del Cristo dalla comunione degli uomini, secondo i manichei; che accusi la concupiscenza della carne, secondo i detti del tuo precettore Manicheo; che dici assente la concupiscenza dei sensi dal corpo del Cristo o secondo i manichei o secondo gli apollinaristi: e tuttavia vuoi non essere chiamato da noi né apollinarista né manicheo. Comunque ti do una mano e ti faccio grazia, né ci pentiamo di questa liberalità: per quanto dipende da me, sarà lecito che tu non apparisca seguace di Apollinare, il quale è appunto inventore di una empietà minore; ma per quanto dipende da te, non è lecito che ti si chiami se non manicheo. Agostino. Né apollinarista, né manicheo, ma vincitore degli eretici fu Ambrogio, il quale disse che non può essere senza delitto ogni uomo che nasca per mezzo della tua cliente, sia intendendo, sia spiegando, com'era opportuno, l'apostolo Paolo. Tu al contrario, come l'ho indicato spessissimo, tanto più aiuti i manichei quanto più ti credi lontano da essi; ma sei un nuovo eretico pelagiano, loquacissimo nella discussione, calunniosissimo nella tenzone, fallacissimo nella professione di fede. Non trovando infatti che dire, dici molte vacuità, rovesci sui cattolici un crimine falso, mentisci di essere cattolico. 51 - Ho dimostrato che non l'hai dimostrato Giuliano. Ho ben dimostrato nel terzo libro della mia prima opera come sarebbe irrefutabilmente necessario dire che anche il Cristo abbia tratto il reato dalla carne di Maria, se si credesse al peccato naturale, e che il Cristo è sottomesso al potere del diavolo da te che affermavi l'appartenenza al diritto del diavolo dell'universale sostanza degli uomini. Agostino. Ciò che ricordi di avere dimostrato nel tuo terzo libro, io nel mio quinto libro ho provato che tu non lo hai dimostrato. 52 - Dove l'hai letto? Giuliano. E perciò, lasciando per il momento questo tema, domando dove tu abbia letto che il Cristo fu eunuco per natura. Agostino. Tu, se mai, dove hai letto che io l'abbia detto; o non è, come al solito, una tua calunnia? Altro è la possibilità di seminare figli, che noi non diciamo assente dalla carne del Cristo, come la sappiamo assente invece dalla carne degli eunuchi; altro è la cupidità dei vizi, che tu tenti di persuadere posseduta dal Cristo - e ti vanti di essere cristiano -, perché evidentemente, come dicevi poco avanti: Il Cristo era anche incalzato da crimini di frode, se diceva ai mortali: Spingetevi fino alla pazienza di un uomo che non sentiva nulla, come se fosse conseguente che non senta i dolori inflittigli chi vuole e può non avere le cupidità cattive; o se diceva con le parole composte da te stesso: Vincendo le vostre reali e rabbiose eccitazioni, imitate la castità di colui che la debolezza ha fatto apparire pudico. Sei infatti un cosí egregio amatore della castità da sembrarti più casto chi desidera le unioni illecite, ma per non perpetrarle resiste alla propria cupidità, di chi questi mali nemmeno li desidera, non per l'impossibilità della carne, ma per la sommità e la perfezione della virtú. Anzi il primo sarebbe casto e il secondo invece non lo sarebbe affatto, ma lo sembrerebbe solamente, poiché secondo te, se fosse casto, concupirebbe per natura questi mali, ma coercirebbe con la virtú dell'animo la medesima cupidità naturale. Cosí avviene che ti venga dietro, come ho già detto più sopra, quella orribile assurdità che ciascuno sia tanto più casto per volontà quanto più grande libidine abbia vinto nella sua natura, né le abbia permesso, per quanto forte essa fosse, di uscirsene in alcuni eccessi di lussuria; chi invece argina una minore libidine di turpitudini è meno casto, poiché secondo la tua sapienza o piuttosto secondo la tua demenza non è per nulla casto uno a cui " non piace ciò che non è lecito ". Ecco ciò che tenti insanamente d'imporre al Cristo: di essere stato per natura il più libidinoso di tutti, per poter essere cosí il più casto di tutti con la forza della sua volontà. Tanto maggiore appunto, come sostieni tu, sarebbe in lui lo spirito della continenza, quanto maggiore la concupiscenza della carne a cui facesse coercizione. A questa frana ti ha condotto la tua cliente troppo diletta. 53 - Gesú ebbe i sensi, ma li governò Giuliano. Il quale Cristo, sebbene sia nato da una vergine per essere un segno, tuttavia è vero anche che non avversò il sesso virile, cosí da perdere la sua verità, integro sotto tutti gli aspetti all'interno del suo corpo, integro all'esterno del suo corpo, un essere umano vero, un maschio perfetto, se si crede all'apostolo Pietro che ne discorre negli Atti; ( At 2,22.33 ) distinto per la sua intatta castità, custode dell'animo e degli occhi senza mai perdere nulla del vigore del suo cuore. Ma che tutto questo lo abbia fatto in modo perfetto per la virtú della mente, non per la debolezza della carne; che in lui ci sia stata la concupiscenza della carne mescolata ai sensi di tutto il suo corpo, e ci sia stata la verità e la sanità e la struttura delle membra lo attestano in lui e il sonno e il cibo e la barba e il sudore e la fatica e la croce e la lancia. Dunque non è che non ebbe i sensi del corpo, ma li resse. È con questo che la fede dei cattolici sorpassa le genti, è con questo che sorpassa i manichei, perché la parola tanto della sua croce quanto della sua carne è stoltezza per coloro che vanno in perdizione, ma per quelli che si salveranno è potenza di Dio. È con questo che Dio ha dimostrato la sua carità verso di noi, poiché gli elementi che l'empietà di Manicheo gli straccia da dosso, li assunse tutti la pietà del Mediatore. Di nulla dunque mi vergogno nel mio Signore: delle membra, nelle quali venne per la mia salvezza, io ritengo la verità, per ricevere la solidità e la sommità del suo esempio. Agostino. Altro è la verità delle membra che ogni cristiano riconosce nel Cristo, altro è la cupidità dei peccati che tu vuoi imporre al Cristo. Dici infatti che è un bene la concupiscenza della carne, ossia la libidine, da te chiamata più volentieri concupiscenza naturale, e cosí arguisci che contrae colpa il suo eccesso, come quando qualcuno le abbia lasciato oltrepassare i limiti concessi, usando male di un bene. Chiunque invece le abbia permesso d'inoltrarsi fino alle azioni lecite e concesse, né di procedere oltre, è degno di lode, come chi usa bene di un bene. Perciò poiché vediamo che alcuni sono nati cosí da essere pressati da una libidine maggiore e altri da una libidine minore, se resistendo ad essa sono casti gli uni e gli altri, sei costretto a dire che i primi usano bene di un bene maggiore e gli altri usano bene di un bene minore. Sarà quindi, te dottore, di cotesto tuo bene ciascuno tanto più copioso quanto più libidinoso, e tanto più laborioso nel combattere contro la sua libidine per la castità quanto più copioso di cotesto bene naturale, e perciò anche tanto più lodevole in questa virtú quanto più fortemente si oppone ad un bene maggiore che non se si opponesse ad un bene minore. Poiché dunque il Cristo visse senza dubbio nella carne mortale più casto di tutti, tanto maggiore libidine naturale tu gli darai quanto meno potrai trovare chi sia stato più forte di lui nel reprimere la libidine. Cosí infatti senza crimine di frode dirà ai suoi: Imitate la mia castità vincendo le reali e rabbiose vostre eccitazioni. Queste eccitazioni appunto sono buone, ma si devono tuttavia frenare e vincere. Come io ne ebbi di più forti, ma le repressi e le vinsi, perché non mi diceste: Per questo le vincesti, per questo vivesti castissimo nella tua carne mortale: per la ragione che in forza della felicità della tua natura avesti libidini minime e per te facilissime da vincere. Siate casti dunque, perché io per togliervi i pretesti che vi impedissero d'imitarmi, volli nascere più libidinoso di voi e tuttavia non permisi mai alla mia fortissima libidine d'oltrepassare i confini concessi. Questi orribili mostri ha partorito l'eresia vostra. 54 - Tu avresti dovuto arrossire Giuliano. Io dico convintamente che nel Cristo tutta la santità si resse sull'interezza dell'animo e non sulla manchevolezza della carne. Cosí infatti e si difende la natura, tanto nella sua creazione, quanto nella sua assunzione, e si dirige la vita degli uomini con l'imitazione delle virtú di lui. Di queste due realtà non se ne può lodare una senza la verità dell'altra: tanta dignità sarà presente nell'operare santamente quanta verità sarà presente nel corpo umano, e tanto sarà disponibile per la difesa della carne quanto esigerà la santità della condotta. E viceversa il biasimo di una si partecipa ad ambedue, poiché tanto si toglierà alle virtú di Gesú quanto si toglierà alle membra di lui, e se qualcosa si raschia dalla solidità della sua sostanza, crollano tutti gli ornamenti dei suoi costumi, e a danno della sua fortezza nel tollerare si ritorcono i guasti operati sul suo nascere; infine se la sostanza della sua carne si attenua con qualche sottrazione di elementi naturali, sfuma tutta la pompa delle sue virtú. Nulla dunque negherò di quanto risulta naturale nelle membra del Mediatore, nato da donna. E vedi quanto siano diversi i termini della ragione dai termini del pudore: non fa arrossire la fede dei cristiani dire che il Cristo ebbe i genitali, sebbene tuttavia li occultiamo in noi quanto più onestamente possiamo. Agostino. Certo non fa arrossire la fede dei cristiani dire che il Cristo ebbe i genitali, ma tu avresti dovuto arrossire o piuttosto rabbrividire per non dire che i genitali del Cristo talvolta e anche contro la sua volontà - poiché non l'avrebbe mai dovuto volere lui che condusse vita celibe - si siano mossi tuttavia per libidine e che quella parte del suo santo corpo si sia eretta ad alcuni usi illeciti contro il suo santo proposito. Tale libidine appunto quale tu tenti d'imporre al Santo dei santi, fa soffrire anche ogni categoria di santi. Se però non osi dire che i genitali del Cristo fossero soliti muoversi ed erigersi a causa della concupiscenza contro la sua volontà, per quale ragione osi credere, o infelice, per quale ragione osi attribuire alla natura del Cristo tale libidine da far pensare agli uomini ciò che tu non osi affermare? 55 - Verità e santità Giuliano. In tal modo la natura ha predisposto l'esistenza di certe realtà che, come la ragione, cosí la fede proclama con religioso rispetto e che tuttavia il pudore e la decenza morale non consente di esporre agli sguardi. In questo modo anche il Maestro delle genti assegna la verità alla carne del Cristo e la santità al suo spirito: Dobbiamo confessare - scrive - che grande è il mistero della pietà: egli si manifestò nella carne, fu giustificato nello spirito, apparve agli angeli, fu annunziato ai pagani, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria. ( 1 Tm 3,16 ) Il che come raccomandò di crederlo con verità, cosí denunziò che alla fine del mondo sarebbero nati i contestatori di tale dottrina. Infatti continua subito a dire: Negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche, sedotti dall'ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza. Costoro vieteranno il matrimonio, imporranno di astenersi da alcuni cibi che Dio ha creati perché siano mangiati con rendimento di grazie dai fedeli e da quanti conoscono la verità. Infatti tutto ciò che è stato creato da Dio, è buono. ( 1 Tm 4,4 ) Dunque questa contaminazione delle Chiese, che tu hai vomitata con il tuo correre dietro a Manicheo, e questa prevaricazione di coloro che si allontanano dalla fede, prevaricazione che consiste nella predicazione del male naturale e nella condanna della mescolanza coniugale, l'Apostolo e le previde e le puní, indicando non solo che cosa si dicesse, ma anche che cosa ne seguisse. Agostino. Tuttavia tu che non sai ruttare se non calunnie e non sai vomitare se non insulti, non hai osato contraddire le parole del cattolico uomo di Dio, che non puoi chiamare manicheo, che ti soffoca e dice che dalla unione dell'uomo con la donna è impossibile per chiunque nascere esente da delitto. Infatti coteste parole io e le ho già ricordate nel primo libro indirizzato a Valerio, dal quale, benché tu abbia tentato di confutarlo con quattro libri, hai avuto paura di attingere alcunché, e le stesse parole non le ho taciute in questo libro a cui ora rispondi; e tu, muto ancora contro di esse, non temi d'incriminare in me, benché senza farne il nome, costui al quale non osi opporti a viso aperto. 56 - Accusatore dei santi e patrono degli asini Giuliano. Infatti ciò che l'Apostolo afferma sulla futura dottrina di astenersi dai cibi non accusa certamente presso i dotti la parsimonia dei cristiani, né denunzia che possano esistere uomini che impongano la prova del digiuno, ma ha mostrato, poiché sorgevano alcuni a dire che tutti gli animali, creati da Dio per l'alimentazione dei mortali, erano macchiati di un male diabolico, in quanto nascevano dalla concupiscenza e dall'unione sessuale; ma ha espresso, dico, che cosa ne seguirebbe: si dovrebbe cioè rinunziare agli alimenti, se si credesse diabolica la loro propagazione. Per cui anche tu rimuovi dagli animali questa diffamazione dell'unione dei corpi, perché sussista la ragione di simulare. Tuttavia gli uomini che sono stati fatti ad immagine di Dio, per questa stessa concupiscenza di coloro che generano, li dici appartenere al diritto del diavolo. Ambedue quindi, tu e Manicheo, avete un'unica causa per vituperare le sostanze e per attribuirle al diavolo: Manicheo però per questa attrattiva che si sente nella operazione naturale condanna tutti gli animali, tu invece non tutti ma i migliori: e questo è peggio. Assolvi infatti i porci, i cani e gli asini, perché sembri che eviti i manichei; ma per questa medesima ragione di Manicheo condanni tutti gli uomini fatti ad immagine di Dio, e non trovando spazio per il male naturale in nessun'altra parte che nell'immagine di Dio, concioni contro di noi, accusatore dei santi e patrono degli asini. Agostino. Cos'è che dici, o calunniatore dei cattolici e collaboratore dei manichei? Cos'è che dici? Ti dovresti vergognare di tanta stoltezza, anche se tu avessi una fronte asinina. Non sarebbe forse da appellare accusatore dei santi e patrono degli asini da chi fosse di tal cuore quale sei anche tu stesso colui che dicesse che per l'ignoranza della verità gli uomini possono diventare miseri, ma gli asini non possono essere miseri, pur non conoscendo la verità? E tuttavia direbbe verissimamente. Perché dunque non capisci, o asino, che similmente è vero altresí che dalla mescolanza di un maschio e di una femmina non possono nascere uomini esenti da delitto e possono nascere esenti da delitto gli asini? O forse per questo pensi di sfuggire ai colpi che ti inseguono dell'autorità e della ragione, perché al carro del tuo errore unisci insieme uomini e asini in società di libidine? Non delle pecore, ma degli uomini parlava Ambrogio dove affermò: Resta dunque che dall'uomo e dalla donna, cioè dalla mescolanza dei loro corpi, nessuno risulti esente da delitto. Cosí, costui, cosí cotesto dottore della Chiesa, era forse accusatore dei santi e patrono degli asini? Corruttibile evidentemente è il corpo e dell'asino e dell'uomo, e tuttavia esso non appesantisce l'anima dell'asino, ma l'anima dell'uomo, perché appunto dell'uomo dice la Scrittura: Un corpo corruttibile appesantisce l'anima. ( Sap 9,15 ) Cosí dunque anche nella libidine riconosci e la natura della bestia e la pena dell'uomo, se non hai un'anima asinina. 57 - La castità perfetta Giuliano. Il Cristo pertanto, non meno uomo vero che Dio vero, non ebbe nulla di meno delle componenti naturali. Ma era giusto che lui che dava l'esempio della perfezione emergesse su tutti per le iniziative delle virtú e che la sua castità, eccelsa per costante integrità, non smossa mai da nessun appetito di libidine, castità che si era distinta come la verginità di una mente santa, come la magnanimità domatrice di tutti i sensi dell'animo, come la superatrice dei dolori, diventasse per tutti i fedeli e imitabile per umanità e mirabile per sublimità. Agostino. Tu dici la castità del Cristo " eccelsa per costante integrità ": ma sei un uomo per il quale l'integrità della castità non sembra esigere che i comportamenti illeciti non solo non si commettano per la grandezza e per la perfezione della volontà buona, ma non si concupiscano nemmeno. Infatti chi concupisce i cattivi comportamenti, anche se non li perpetra resistendo alla sua concupiscenza, adempie certamente il precetto: Non andare dietro alle tue concupiscenze, ( Sir 18,30 ) ma non adempie il divieto della legge: Non concupire. ( Es 20,17 ) Il Cristo dunque che adempí perfettissimamente la legge, non concupí nessuno dei comportamenti illeciti, perché la discordia tra la carne e lo spirito, che si convertí nella natura degli uomini per la prevaricazione del primo uomo, non l'ebbe affatto lui che dallo Spirito e dalla Vergine non nacque attraverso la concupiscenza della carne. In noi al contrario la carne concupisce contro lo spirito i comportamenti illeciti cosí da portarli assolutamente ad esecuzione, se anche lo spirito non concupisce tanto contro la carne da vincere su di essa. Tu dici la mente del Cristo " domatrice di tutti i sensi ": ma da domare è ciò che resiste, mentre nella carne del Cristo non c'era nulla da domare, né la sua carne resisteva in qualcosa allo spirito cosí da dover essere domata dallo spirito. Per il quale esempio di perfezione che è stato proposto ogni imitatore si deve spingere fino a questo limite: tentare e desiderare di non avere per nulla le concupiscenze della carne che l'Apostolo vieta di portare ad esecuzione. ( Gal 5,16 ) Cosí, infatti, con un quotidiano avanzamento le può indebolire per non averle più in nessun modo, quando avrà raggiunto la perfezione della salvezza. 58 - Hai bevuto dal pantano manicheo Giuliano. Tu dunque nel modo più sacrilego, come in tutto il resto, hai detto che nella carne del Cristo non c'è stato ciò che è proprio della natura umana: il che non l'hai bevuto certamente da nessuna vena della ragionevole Scrittura, ma dal solo pantano dei manichei che ti hanno imbrogliato. Ma perché apparisca più copiosa la difesa della verità, concediamo che tu abbia sognato che nel Cristo non ci sia stata quella che tu dici concupiscenza della carne: un errore sicuramente condannato prima nella pazzia furiosa di Manicheo e poi in quella di Apollinare. Tuttavia in che potrebbe questo suffragare il tuo dogma, dal momento che non è conseguenza immediata che sia un male ciò che il Cristo non avesse voluto assumere? Si direbbe che percorse le strade migliori accrescendo gradatamente i meriti delle sue buone azioni, ma che tuttavia non ha condannato i beni lasciati al di sotto di sé con la scelta dei beni superiori. Come infatti non infamò le nozze seguendo l'integrità, cosí non avrebbe nemmeno condannato il senso della carne genitale, se non avesse voluto averne neppure la possibilità nella sua sostanza. Agostino. Ho già detto più sopra che il Cristo non solo non perpetrò, ma nemmeno concupí comportamenti illeciti, per osservare la legge che dice: Non concupire. ( Es 20,17 ) Emana certamente nel cuore dei fedeli dalla vena della santa Scrittura e non dal pantano dei manichei questa verità che estingue il vostro dogma eretico. Tu dici che io ho sognato che non ci sia stata la concupiscenza della carne resistente allo spirito nel Cristo, del quale tu non hai risparmiato nemmeno i sogni. Sappiamo appunto che dormí il Cristo nel quale, se c'era cotesta tua pupilla, certamente qualche volta essa illudeva i suoi sensi sopiti con tali sogni da fargli sembrare anche di unirsi sessualmente, e cosí la sua carne, eccitata dagli stimoli di cotesto tuo bene, erigeva nel nulla i genitali ed effondeva semi che non servivano a nulla. Se poi tremi a credere questo della carne del Cristo - non sei infatti talmente di pietra da non tremare per quello che io, sebbene lo abbia detto per redarguirti, non l'ho detto tuttavia senza tremore del cuore -, devi certamente confessare che nella natura del Cristo non solo senza danno, ma anzi con la lode di perfette virtú, non ci fu tale concupiscenza della carne quale sappiamo essere nella carne di tutti gli altri uomini e degli stessi santi. Il tuo ragionamento poi che non segue sia un male la concupiscenza, anche concesso da te che il Cristo non l'abbia voluta prendere, come non condannò le nozze per il fatto che non volle sposarsi, è un ragionamento che si può fare della libidine delle bestie, per le quali essa non è un male perché non hanno il bene della ragione, per cui la loro carne non concupisce contro lo spirito. Ma ciò che resiste allo spirito dell'uomo quando vuol fare il bene, per quanto grande sia la tua loquacità nel difenderlo, non può essere un bene. Tanto quindi il Cristo si astenne dal peccato da astenersi pure da ogni cupidità di peccato: non che egli resistesse alla cupidità esistente in lui, ma essa non esisté mai assolutamente in lui. E non che non potesse averla se voleva, ma non avrebbe voluto rettamente la cupidità del peccato, perché ad averla anche contro la sua volontà non lo costringeva la carne del peccato che egli non portava. Perciò tutto quello che concupí fu lecito e tutto ciò che non era lecito non lo concupí quell'uomo perfetto, nato senza la mediazione della concupiscenza, che indifferentemente appetisce l'illecito e il lecito, ma nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria. Nato infatti da una carne che lo concepí per opera dello Spirito Santo, non sia mai che avesse in sé la discordia tra la carne e lo spirito. 59 - La conferma da un esempio Giuliano. E perché la questione già piana sia confermata da qualche esempio, è meglio avere la ragione che non averla: gli uomini sono stati fatti ragionevoli, le bestie invece irragionevoli; ma non per il fatto che la natura umana è superiore ai quadrupedi si deve dire che i quadrupedi sono o un qualche male o un'opera del diavolo. Supponi dunque che nel formare le proprie membra il Cristo non abbia voluto mescolare ad esse il senso dei genitali, del quale era intenzionato a non usare: che forse per questo, quando formava le membra di Isacco, di Giacobbe e di tutti e dava a loro il sesso e il senso, faceva qualcosa di male? Oppure quando arrivava a questo punto, chiamava in aiuto il diavolo a mescolare le necessarie soddisfazioni alle membra che egli stesso aveva compaginate? Nulla, quindi, nemmeno di esiguo - come abbiamo dimostrato con l'aiuto di Dio e in quest'opera e nella precedente -, hai potuto ottenere contro le opere divine dalla persona del Cristo. Si è reso chiaro infatti che il corpo del Salvatore dalla natura degli uomini non ebbe nulla di meno. Agostino. Anzi si è reso chiaro che la natura degli uomini rispetto a quella integrità, a quella rettitudine, a quella sanità nelle quali fu creata originariamente, ora tutti questi beni li ha meno bene. A reintegrare la natura umana, a correggerla, a sanarla è venuto il Cristo, integro senza nessuna corruzione, retto senza nessuna deviazione, sano senza nessuna cupidità di peccato. 60 - Bestemmi enormemente! Giuliano. E perciò non ci può essere il peccato in quella natura, dal momento che non è stato trovato nulla di iniquo nel Cristo, dove la natura umana è tutta al completo. Agostino. Enormemente bestemmi, o Giuliano, equiparando la carne del Cristo alla carne di tutti gli altri uomini, né avvertendo che egli è venuto non nella carne del peccato, ma in una carne simile a quella del peccato; ( Rm 8,3 ) il che non sarebbe vero in nessun modo, se la carne di tutti gli altri non fosse la carne del peccato. 61 - Né cattiva, né diabolica la concupiscenza del sesso Giuliano. Pertanto la concupiscenza dei sessi, ci sia stata o non ci sia stata nella carne del Cristo, non si dimostra cattiva e diabolica. Agostino. La concupiscenza della carne è cattiva, anche quando non si acconsente ad essa per il male. Essa è infatti che fa concupire la carne contro lo spirito, anche se la concupiscenza della carne, concupendo lo spirito contro di essa, non porta ad esecuzione ciò che tenta di compiere, ossia l'opera cattiva. 62 - Inchiodato dallo stupore Giuliano. Ho fretta di andare ad altro, ma mi sento molto inchiodato qui dallo stupore della situazione. Che cos'è questo tuo cosí grande furore contro di me da non ponderare almeno le tue dichiarazioni, se non intendi le Scritture? Ma continuamente ragioni cosí che qualsiasi argomento tu abbia scagliato ritorna contro di te con maggiore impeto. Hai detto appunto che non c'è nessun'altra causa del pudore all'infuori della concupiscenza della carne, che si manifesta nei movimenti genitali. Agostino. Non è questo che ho detto. Esistono infatti anche altre cause del pudore, o perché non sia fatto ciò che non è decente, o perché è stato fatto. Ma quando si cerca la causa di questo pudore del quale trattiamo ora, la causa più vera che si trova è quella che fece chiamare in modo proprio pudende queste membra che prima non erano pudende, quando quegli uomini, retti e perfetti, erano nudi e non se ne vergognavano. Il che se tu lo avessi voluto pensare prudentemente, non avresti resistito impudentemente ad una verità manifestissima. 63 - Perché anche Gesú si vestiva? Giuliano. Hai detto poi che è un sacrilegio giudicare pudendo qualcosa che si creda fatto da Dio, all'infuori di questa concupiscenza della carne. Hai detto però che il Cristo non ebbe questa concupiscenza della carne, che reca ai mortali motivo di vergogna. Non hai visto quindi che cosa si faceva incontro a queste tue considerazioni: cioè che lui, ossia il Cristo, si sarebbe dovuto mescolare nudo alle folle e non avrebbe dovuto avere nessun riguardo della verecondia per non incorrere nel sacrilegio che tu inventi: nel sacrilegio cioè di arrossire nella sua carne, che non aveva la concupiscenza, delle opere sue e del Padre. Se poi egli non ebbe la concupiscenza e tuttavia rispettò il dovere del pudore, irrefutabilmente anche secondo te si approva che la verecondia è dovuta al corpo umano e non al " calore " umano. Agostino. Per questa tua ragione, cosí acuta e sottile, si deve negare che il battesimo di Giovanni sia stato dato in penitenza dei peccati per il fatto che con esso fu battezzato il Cristo, il quale non aveva assolutamente nessun peccato. Ma se egli poté essere battezzato per una causa diversa e non per quella di tutti gli altri, ossia non per la carne del peccato che non aveva, ma per la carne simile a quella del peccato che aveva presa per liberare la carne del peccato, poté anche coprirsi le membra non per la causa di tutti gli altri, ma per conformarsi in tal modo a coloro che si coprivano le parti pudende, pur non avendo egli nulla di pudendo; come da battezzato si conformò ai penitenti, pur senza lavare nulla di " penitendo ". Erano appunto convenienti alla carne somigliante a quella del peccato i comportamenti di cui era indigente la carne del peccato. Quantunque anche la stessa figura nuda del corpo umano, dovunque sia insolita, offende la vista umana. Per questo anche gli angeli che sono apparsi agli uomini con sembianze umane, sono voluti apparire vestiti, come richiedeva la consuetudine umana. Ma se vogliamo ricordare da dove abbia preso origine questa consuetudine, se ne incontra la causa nel primo peccato di quegli uomini che prima di peccare erano decentemente e onestamente nudi nel luogo di tanta beatitudine, non ancora cioè confusi dalla loro carne, che a loro disobbedienti fu restituita disobbediente e concupiscente contro lo spirito. Per nulla dunque la veste del Cristo ti aiuta a non essere impudente difensore della concupiscenza della carne. 64 - Ci doni venia il Signore! Giuliano. Tu vedi quindi che invano hai evocato il peccato, se nelle opere che Dio ha fatto noi confessiamo il dovere di usare il velame che il Signore nostro e istituí quando fece l'uomo e adibí quando si fece uomo. Ci doni certo venia la riverenza del Redentore, se per sostenere la verità del mistero e per distruggere le infamie dei manichei parliamo arditamente della sua carne: un tasto che, se non lo esigesse la fede, non lo toccherebbe la modestia della riverenza. Agostino. Arditamente non parli della carne del Cristo in modo vero, ma infelicemente in modo falso, non per distruggere le infamie dei manichei, come ti lusinghi, ma piuttosto per aiutarle. Se pensi a vincere Manicheo, non voler dire bene ciò che è male, ma di' donde sia " malo " ciò che non puoi far passare per buono. Mentre infatti non vuoi dire con Ambrogio che questo viene dalla prevaricazione del primo uomo, certamente fai sí che Manicheo si vanti di dire la verità dicendo che viene da un'altra natura estranea. 65 - Ancora il mio silenzio sulla concupiscenza Giuliano. Ma costui - tu scrivi - non ha voluto nominare la concupiscenza della carne; tace perché ne ha pudore, e per una meravigliosa, se si può dire, impudenza di pudore ha pudore di nominare ciò che non ha pudore di lodare. Dispiace quindi a te che noi sappiamo di dover velare, secondo l'Apostolo, con la necessaria onestà le nostre membra più vereconde, ( 1 Cor 12,23 ) seguendo egli in ciò il consiglio del Creatore: che quanto egli ha collocato nella parte segreta del corpo noi ugualmente lo copriamo con un mezzo verecondo. Agostino. Dici cose mirabolanti: allora Adamo ed Eva seguirono il consiglio del Creatore quando trascurarono il precetto del Signore per seguire il consiglio dell'Ingannatore! Prima infatti di perpetrare questo male, quando erano ancora retti e perfetti, non seguivano il consiglio del Creatore, lasciando nudo quanto egli ha collocato nella parte segreta del corpo e non curandosi di coprirlo con un mezzo verecondo? O uomo impudentissimo, lodare ciò che sentirono quando arrossirono è peggio che portarlo nudo. 66 - Linguaggi di cultura e linguaggi di natura Giuliano. Tuttavia queste diversità di elocuzioni, che tu non solo non imiti ma anche incrimini e che ci aiutano con i loro significati, non le ha trovate la cultura di tutte le lingue, ma la cultura della lingua greca e della lingua latina. Del resto le altre lingue, che si chiamano naturali per il fatto che gli studi successivi non hanno conferito ad esse nulla di ricco o di nitido, usavano semplicemente i semplici nomi delle membra; tant'è vero che presso gli Ebrei, nella lingua dei quali è contenuta la purezza delle Scritture, tutte le membra sono indicate con i loro vocaboli propri. Agostino. Ti sbagli di grosso. Come se nella lingua ebraica non esista il linguaggio figurato, dove le parole non sono certamente proprie, bensí traslate. Ma questo, comunque stia, come ti aiuta? Senza dubbio nelle sacre Lettere ebraiche si legge sia di quando quei primi uomini erano nudi senza che se ne siano vergognati, sia di quando si sentirono confusi della loro nudità, sia quali membra abbiano coperte, ( Gen 2,25-3,7 ) perché noi potessimo conoscere che cosa abbiano sentito e di che cosa si siano confusi. Tu, se in questa causa vuoi coprirti là donde ti confondi, taci finalmente. 67 - La favola del peccato originale Giuliano. Con la medesima sicurezza con la quale si nominano i piedi e le gambe, si nominano anche i genitali di ambedue i sessi. Noi neppure quando ci suffragava cotesta autorità abbiamo certamente trascurato gli amminicoli di un linguaggio più pudico, perché, se nelle questioni non c'è nessuna costrizione, si espone ad una giustissima riprensione la negligenza del decoro, che si deve rispettare non meno nelle parole che nelle azioni, per quanto la natura della causa lo consente. Quindi, poiché la concupiscenza naturale né ha potuto essere accusata per l'obbrobrio del pudore ed è stata difesa per la dignità del suo Creatore, con questo solo fine che, sottratta al diritto dei demoni, fosse collocata tra le opere di colui che ha fatto il mondo e i corpi, non come un bene grande, essendo comune appunto agli uomini e agli animali, ma come uno strumento necessario ai sessi, e poiché d'altra parte non è accusata da nessuno tranne che da Manicheo e dal suo erede traduciano, appare che è svanita tutta la favola del peccato naturale, il cui presidio aderiva tutto alle incriminazioni della natura. Agostino. Ecco ancora dici concupiscenza naturale, ecco ancora per quanto puoi copri con ambigua veste di parole la tua protetta, perché non si capisca quale concupiscenza essa sia. Perché infatti non dici: " Concupiscenza della carne ", ma dici: Concupiscenza naturale? Non è forse vero che la concupiscenza della beatitudine è " concupiscenza naturale "? Perché parli ambiguamente? La concupiscenza che hai preso a proteggere chiamala con il suo nome. Che temi? O turbato forse dalla sua causa disperata, hai dimenticato come si chiami? Ma anzi è per vigile memoria che non la vuoi chiamare concupiscenza della carne: sai infatti che dalla sua lode sono offesi coloro che nelle Scritture sante non hanno letto questo nome se non nel significato di una realtà cattiva. Ma usando cotesto nome e chiamandola concupiscenza naturale tenti di collocarla tra le opere di colui che, come dici tu ed è vero, fece il mondo e i corpi, mentre Giovanni dice che la concupiscenza non viene dal Padre. ( 1 Gv 2,16 ) Dio fece, sí, il mondo e i corpi tutti assolutamente, ma che un corpo corruttibile appesantisca l'anima e che la carne concupisca contro lo spirito non è la prima natura dell'uomo quando fu creato, bensí è la pena conseguente dell'uomo che fu condannato. Non è accusata da nessuno - tu dici - tranne che da Manicheo e dal suo erede Traduciano. Godo di ricevere i tuoi insulti in compagnia di coloro che osi incolpare in me e non osi nominare in se stessi. Non accusa forse cosí la tua protetta colui che dice che la concupiscenza della carne contro lo spirito si è convertita nella nostra natura per la prevaricazione del primo uomo? E chi è costui? È appunto Ambrogio la cui fede e purissima interpretazione delle Scritture, come la dichiara il tuo ispiratore Pelagio, non osò riprendere nemmeno un suo nemico. Contro questo accusatore difendi la tua cliente. A questo mio dottore e al suo elogiatore, che è il tuo dottore, impreca quanto puoi a favore della concupiscenza per dimostrare sufficentemente libero e fedele il tuo patrocinio, quantunque non trovi un altro che arrossisca per lei meno di te. 68 - Da dove viene al diavolo il diritto di cogliere come suo il frutto delle nozze? Giuliano. E per questo necessariamente ho interrogato che cosa nei sessi riconoscesse di suo, che gli desse il diritto di cogliere il loro frutto, il diavolo, il quale né aveva compaginato la carne, né aveva formato le membra, né aveva dato i genitali, né aveva distinto i sessi, né aveva ordinato il coniugio, né aveva onorato con la fecondità o asperso di voluttà l'unione, senza la quale non ci può essere il coniugio. Agostino. È vero che il diavolo non aveva fatto nessuna di queste realtà. Ma aveva persuaso l'animo umano alla disobbedienza, alla quale doveva seguire da parte della carne una disobbedienza penale e pudenda, donde contrarre il peccato originale, che rendesse suddito del diavolo chi nascesse e lo rendesse perituro con il medesimo diavolo se non rinascesse. 69 - Concupiscenza della carne e senso della carne Giuliano. Pertanto nel tentativo di ovviare a questi progressivi smantellamenti, con la paura di un cervo e con la frode di una volpe, hai imposto al tuo patrono, a cui indirizzi i tuoi scritti, ciò che vai ripetendo: per il senso naturale del corpo, ossia per la concupiscenza della carne, domina sulle opere di Dio e sulla immagine di Dio il principe delle tenebre, mentre sarebbe stato necessario che il senso della carne guardasse al medesimo autore al quale si rivolgeva anche la natura della carne. Agostino. Ignori come parli. Altro è il senso della carne, altro è la concupiscenza della carne, la quale concupiscenza è sentita dal senso e della mente e della carne; come il dolore della carne non è lo stesso senso della carne, ma non si può sentire il dolore se manca il senso. Pertanto con il senso della carne chiamato tatto si sentono in modo diverso, come tutti gli altri, gli oggetti aspri e gli oggetti lisci; invece con la concupiscenza della carne si desiderano in modo non diverso le azioni illecite e le azioni lecite che si giudicano diverse tra loro non con la concupiscenza, ma con l'intelligenza; né ci si astiene dalle azioni illecite se non si resiste alla concupiscenza. Non si evitano quindi le azioni cattive se non si frena la concupiscenza cattiva, che da te con orrenda impudenza o piuttosto con demenza è detta buona. Né arrossisci, né aborrisci di essere arrivato a tanta sconcezza che nessuno si liberi dal suo male se non consentendo al tuo bene. Quindi la concupiscenza della carne, con la quale si desiderano le azioni proibite, non viene dal Padre. Invano pensi o meglio vuoi far pensare che, nel passo dove l'apostolo Giovanni lo ha detto, la concupiscenza della carne stia per la lussuria. Certamente, se non viene dal Padre la lussuria, non viene dal Padre nemmeno la concupiscenza che, acconsentita, concepisce e partorisce la lussuria. A che mira infatti con i suoi movimenti, ai quali abbiamo l'obbligo di opporre resistenza, se non ad arrivare alla lussuria? Com'è dunque un bene la concupiscenza che tenta di giungere al male? Com'è un nostro bene la concupiscenza che tenta di giungere al male? Questo male quindi, o Giuliano, dev'essere sanato dalla bontà divina, non dev'essere lodato dalla vanità, dalla iniquità, dalla empietà umana. 70 - Ho lodato la creazione, non il male della concupiscenza Giuliano. Apparisce dunque che tu non hai studiato di rispondere alle obiezioni, ma di illudere in modo miserabile il tuo patrono al quale scrivevi: reputasse che tu avevi mandato giú qualcosa di duro da masticare bene, dopo averlo già lodato con le concessioni precedenti e con l'istituzione dei corpi. Agostino. Io ho lodato l'istituzione dei corpi, che è buona anche in un uomo cattivo; non ho lodato il male, senza il quale non nasce nessuno, e che tu, rifiutandoti di dire con Ambrogio donde venga, aiuti Manicheo a dire che viene da un'altra natura estranea. 71 - Il mio maestro è Gesú Giuliano. Confesso tuttavia che tu hai riflettuto fin troppo su cosa dire. Apparisce e il tuo ingegno e il tuo studio. Hai ponderato davvero con estrema diligenza che cosa fosse da asserire a favore della traduce del peccato. Nessun altro avrebbe potuto scrivere più scaltramente a difesa del male naturale. Il che certamente nemmeno tu stesso lo avresti potuto fare con tanta finezza, se al tuo ingegno non fossero venuti in aiuto gli insegnamenti del tuo vecchio maestro. Agostino. Mi glorio che mio maestro e contro di te e contro Manicheo sia semplicemente Gesú, che io confesso - e tu lo neghi - essere il Gesú anche dei bambini, perché perí Adamo e in lui perirono tutti, né sono salvati dalla perdizione se non per opera di colui che venne a cercare ciò che era perduto. ( Lc 19,10 ) 72 - Non ho bisogno di Manicheo Giuliano. Hai capito appunto che ai bambini non meritevoli di nulla per conto loro non si poteva addossare nessun crimine senza la condanna dei corpi, e quindi avevi bisogno dell'aiuto di Manicheo, che escludesse dalle opere di Dio la concupiscenza della carne e assegnasse al diavolo come autore tanto le nozze, quanto gli stessi corpi. Agostino. Io non ho bisogno dell'aiuto di Manicheo, ma piuttosto, combattendo contro di lui, espugno con l'aiuto di Dio l'aiuto che gli presti tu. Il quale aiuto Dio me lo presta anche attraverso suoi amici chiarissimi: non solo i profeti e gli apostoli, dei quali tu, pervertito, tenti di pervertire le parole, ma pure i successivi dottori della sua Chiesa: Ireneo, Cipriano, Ilario, Ambrogio, Gregorio, Basilio, Giovanni e moltissimi altri, integerrimi nella fede, acutissimi nell'ingegno, ricchissimi nella dottrina, celeberrimi nella fama. I quali tutti, salva la lode dei corpi e delle nozze, hanno confessato il peccato originale, sapendo che il Cristo è il Gesú anche dei bambini: ciò che voi negate empiamente. Egli infatti il suo popolo, nel quale sono compresi anche i bambini, lo salva non dalle febbri e da altri simili malanni o disgrazie: ciò che elargisce anche ai non cristiani con la sua bontà sovrabbondante su ogni carne; ma dai loro peccati in quanto cristiani. ( Mt 1,21 ) Questi cosí numerosi e cosí grandi figli e padri della Chiesa cattolica, i quali, collocati al suo vertice, le hanno insegnato ciò che hanno preso dal suo latte, non ti spaventa dirli manichei e, mentre assalisci quasi me soltanto allo scoperto, incrimini anche loro tanto più insidiosamente quanto più obliquamente, tanto più scelleratamente quanto più insidiosamente. In questa cosí enorme scelleratezza ti condannano assolutamente le tue stesse parole. Contro di me infatti non muovi una calunnia tanto infame se non per questo motivo: del peccato originale io dico ciò che costoro dicono. 73 - Sono già con i cattolici Giuliano. Ciò dunque per cui ti ha buttato via la verità, ciò per cui la verità ti ha evitato, è stata la mostruosità della causa che difendi. Ma se tu volessi passare ai cattolici, quanta eleganza e quanta più completezza conferiresti sicuramente a ciò che noi asseriamo! Agostino. O fronte linguacciuta, o mente accecata! Ma non sono forse cattolici quelli a cui io aderisco nella società di questa fede che difendo contro la vanità del tuo dire e del tuo maledire? Cattolici non sono, per tacere di altri e per ripetere i medesimi: Ireneo, Cipriano, Ilario, Ambrogio, Gregorio, Basilio, Giovanni Costantinopolitano, e cattolici sono Pelagio, Celestio, Giuliano? Osa fare queste affermazioni, se puoi. Se non lo osi, per quale ragione non ritorni tu piuttosto a costoro, dai quali io non recedo? Per quale ragione mi ammonisci di passare ai cattolici? Ecco alcuni luminari cattolici: apri gli occhi. Passa tu a costoro che calunni in me, e subito ti tapperai la bocca e non fiaterai più contro di me. 74 - I tardi d'ingegno donde nascono? Giuliano. Sebbene io non osi affermare che tu sia dotato di un ingegno acuto e vigile, perché vedo il tuo giudizio tanto tardo e deforme nella scelta della iniziativa da prendere. Agostino. Di' donde nascano i tardi d'ingegno - tale infatti non fu creato Adamo - tu che non vuoi che per il suo peccato sia stata cambiata in peggio la natura umana e che ciò nuoccia a coloro che nascono in tutti i vizi che patiscono. 75 - Stregato da Manicheo Giuliano. Se tu infatti, rimanendo incolume nel modo più assoluto la fede, tentassi alla maniera della scuola di scuotere verità invitte solamente per dimostrare le forze della tua erudizione, pronto tuttavia a dare la mano ai tuoi uditori al termine del giuoco, approveremmo la tua passione letteraria, ma castigheremmo l'esempio d'irreligiosità. Poiché però con una ostinazione turpissima ti sei fatto seguace di un dogma che non ha nemmeno la patina falsa della verosomiglianza, di un dogma che non potete difendere in nessun modo con le testimonianze della legge - che non sono mai in conflitto appunto con la ragione -, di un dogma orrido comunque nella sua empietà, prostrato nella sua stoltezza se non tra gli inguini delle volontà, trafitto dall'onestà, dalla discussione, dalla legge sacra, si arriva ad una di queste tre conseguenze: o sei intellettualmente acuto come il piombo, o ti porti addosso la fattura operata, come abbiamo sentito dire, dai misteri dei manichei con gli incatenamenti; o c'è da credere che tu soffra dell'uno e dell'altro insieme. Agostino. Per quanto ti sembri di combattere in nome della ragione contro le testimonianze divine che ti opponiamo, tu non le rovesci, ma esse ti tormentano, perché tu recalcitri contro il pungolo. Di', per quanto puoi, " tra gli inguini delle volontà " colui che ti dice non esente dal peccato chi sia stato concepito mediante la mescolanza dei due sessi. È Ambrogio costui, o Giuliano: a vincerti è lui stesso, che non osi negare cattolico e che certamente non sarai mai disposto a dire manicheo. Ma di me anzi tu affermi o che sono di acume intellettuale plumbeo, o che sono stregato da un maleficio di Manicheo, o che soffro di ambedue i mali insieme. Nei riguardi del maleficio di Manicheo o della tua calunnia ti abbiamo già risposto più volte e forse ti risponderemo ancora più opportunamente quando sembrerà necessario. Adesso rispondi tu, o eretico loquace, sull'acutezza intellettuale plumbea. Certo non c'è nessuno che non vorrebbe, se fosse in potere dell'uomo, nascere con un ingegno vivace e con una intelligenza acutissima, e quanto siano rari questi fortunati chi lo ignora? E tuttavia tutti questi pochissimi, se si confrontano all'ingegno dell'uomo che fu fatto per primo, si giudicano "plumbei ". Allora infatti non era come ora che un corpo corruttibile appesantiva l'anima. ( Sap 9,15 ) O il corpo infatti non era corruttibile perché Adamo non era morituro, se non avesse peccato; o se Adamo, come dite voi nuovi eretici, fosse morituro anche se non avesse peccato, non fu tuttavia costituito cosí l'uomo che Dio aveva fatto per primo e che non aveva fatto ancora nulla di male, da essere appesantita la sua anima dal suo corpo. Chi potrà infatti negare che questa sia una pena, all'infuori di chi più degli altri è appesantito da essa? Se Manicheo dunque interroga donde venga questo male della tardità, non nei corpi, ma negli stessi ingegni umani, dov'è l'immagine di Dio, una tardità che giunge gradualmente fino ad una fatuità da ridere o piuttosto da piangere, come ammonisce la Scrittura, ( Sir 22,10 ) noi rispondiamo che questi e tutti gli altri mali con i quali non possiamo negare o dubitare di nascere sono da attribuirsi ai peccati dei primi due genitori e degli altri successivi, dal momento che non possono attribuirsi alla volontà dei nascenti. Gli altri animali, appunto perché alcuni della loro specie nascono con dei vizi, quale meraviglia che gli spiriti cattivi li ricevano in loro potere, come riceverono in loro potere i porci, stando al Vangelo? ( Mt 8,32 ) I quali spiriti maligni possono viziare anche gli stessi semi, come gli uomini possono viziare le membra degli animali irragionevoli. Si parla degli uomini, nei quali l'immagine di Dio non patirebbe mai le pene dei diversi vizi con i quali li vediamo nascere, perché sarebbero pene ingiuste, se non le avessero precedute i peccati dei generanti. Il che negando voi, e abbandonate la fede cattolica e aiutate il dogma funesto di Manicheo quanto egli non osò sperare, cosí da sembrargli di essere certo e sicuro nel negare plasmatore degli uomini il vero Dio, e nell'introdurre invece la gente delle tenebre. 76 - Verità e iniquità Giuliano. Ma noi non abbiamo nulla da credere degno di ammirazione nel nostro ingegno per il fatto che capiamo che non può esistere né il peccato senza la volontà, né i corpi senza Dio, né i sensi dei corpi senza i corpi, né i matrimoni senza la mescolanza dei sessi, né i nascenti senza l'opera di Dio, e per il fatto che riteniamo indubitato che né possa essere divino quanto si dice ingiusto, né possa dirsi ingiusto quanto è divino. Ma non meno delle verità che abbiamo dette riluce l'iniquità di imputare i peccati degli uni ad altri che, non solo non vi acconsentirono, ma allora non esistevano nemmeno. Pertanto, illuminati da questi soli, abbiamo tutto il diritto di disprezzare gli antri dei manichei, i quali reputano o che possa esistere il peccato senza la volontà, o che gli uomini non vengano fatti da Dio, o che ad un autore appartenga il senso dei corpi e ad un altro appartengano i corpi, o esista un dio che sia oppresso dai crimini delle iniquità, o la scelleratezza dell'iniquità tenga schiavo colui che è stimato Creatore eterno di tutto, o ci sia un'ombra di giustizia nell'attribuire alle nascite degli uni le volontà degli altri. E per questo noi imputiamo i meriti alle opere delle parti e non alle doti naturali. Agostino. Ti ho già risposto per tutte queste tue affermazioni, né sono esse confermate contro di me per il solo fatto che sono tanto spesso e tanto odiosamente replicate da te. Di' piuttosto, se puoi, per quale ragione gli ingegni umani nascano cosí frequentemente con tanta viziosità, quando tra noi siamo d'accordo che plasmatore di tutto l'uomo è il Dio giusto e voi negate qualsiasi peccato originale. Tu però non diresti che noi imputiamo agli uni i peccati degli altri, agli uni che ivi non furono quando i peccati si commisero, se tu ti rammentassi che, com'è scritto, nei lombi di Abramo c'era Levi, quando dal medesimo Abramo ricevé le decime Melchisedech, antistite dell'eccelso Dio. ( Eb 7,9-10 ) Vedresti allora, se non ti accecasse la pervicacia, che nei lombi di Adamo ci fu il genere umano quando egli perpetrò quel grande peccato. 77 - Di' quello che ti piace! Giuliano. Ma per tornare alla nostra causa, al punto dove avevi detto di me: Per questo non volle nominare la concupiscenza, che non viene dal Padre, ma dal mondo, del quale mondo è stato detto principe il diavolo. Questi non trovò la concupiscenza nel Signore, perché il Signore non venne uomo tra gli uomini attraverso di essa. Dove c'è da notare che mentre parlavi di una tendenza naturale e dopo che avevi detto che essa viene dal mondo, hai soggiunto che bisogna credere il diavolo principe di tutto il mondo, con la conseguenza che tu riconoscevi il diavolo autore, non degli atti volontari, ma delle realtà naturali, e certamente delle nature. Agostino. Dove io ho messo concupiscenza della carne tu hai tolto della carne, come ho detto io, e dove io ho detto del quale mondo è stato detto principe il diavolo tu hai aggiunto di tutto il mondo e hai detto: Principe di tutto il mondo, come non ho detto io. Agisci come ti piace, di' quello che piace a te o piace anche a coloro ai quali piaci tu. Io ho detto concupiscenza della carne, che Giovanni fa provenire non dal Padre, ma dal mondo, ( 1 Gv 2,16 ) cioè dagli uomini che nascono nel mondo, perituri se non rinascono nel Cristo. Questa concupiscenza della carne non è lussuria, se si resiste ad essa, ma lo è quando si porta ad esecuzione, ossia quando giunge dove sospinge. Tant'è vero che anche l'apostolo Paolo scrive: Camminate secondo lo Spirito e non portate ad esecuzione i desideri della carne. ( Gal 5,16 ) Non dice: Non abbiate. Sapeva appunto che noi riceveremo certamente questo dono, ma esso non è della vita presente. Io vi ho detto il diavolo principe del mondo nel senso in cui lo appella cosí la divina Scrittura, ( Gv 12,31; Gv 14,30; Gv 16,11 ) non come sospetta o calunnia la tua falsità. Non ho detto pertanto il diavolo autore delle nature, bensí principe del mondo, ossia di questi uomini dei quali nell'orbe delle terre è pieno il mondo; uomini che nascono nel mondo e che non rinascono nel Cristo. Da quelli che rinascono nel Cristo il principe del mondo è buttato fuori: il che significano i misteri, quando anche i bambini da battezzare si esorcizzano e si essufflano. A questi fatti rispondi, se puoi. Non volere che il lettore svanisca nel vento della tua loquacissima vanità e si distragga e si distolga dall'argomento che si tratta. Di', se osi, che è un bene concupire il male. Di' che non vengono certamente dal Padre le cattive azioni, ma che viene dal Padre la concupiscenza delle cattive azioni. Di' che il diavolo non è stato appellato principe del mondo. Di' che non si dicono mondo gli uomini esistenti nel mondo. Di' che come mondo non si possono intendere nel male gli uomini privi di fede, dei quali nell'orbe delle terre è pieno il mondo, e che a loro volta siano parimenti chiamati mondo nel bene gli uomini che hanno la fede, dei quali benché meno numerosi, tuttavia anche di essi è pieno il mondo nell'orbe delle terre, come non è assurdo che un albero pieno di frutti si dica pieno anche di foglie. Di' che i bambini, quando si battezzano, non si sottraggono al potere delle tenebre e che con grave offesa di Dio in tutta la Chiesa cattolica le immagini di Dio si esorcizzano e si essufflano. Oppure di' che i bambini sono posseduti dal diavolo senza nessuna obbligazione di peccato. Se farai queste affermazioni, ti scoprirai subito; se non oserai farle, nemmeno cosí ti coprirai. 78 - Da ciò che disse possiamo intendere ciò che non disse Giuliano. Dopo aver dunque parlato cosí, hai concluso: Perciò anche il Signore stesso dice: "Ecco viene il principe di questo mondo e in me non trova nulla", ( Gv 14,30 ) e hai aggiunto di tuo: Certo nulla del peccato: né del peccato che è contratto da chi nasce, né del peccato che è aggiunto da chi vive. Dimostra dunque che il Signore abbia detto nel Vangelo di non avere il peccato che è contratto da chi nasce. Agostino. Dimostra tu che il Signore abbia detto di non avere la macchia senza la quale Giobbe dice che non c'è nemmeno un infante di cui la vita sulla terra sia di un giorno soltanto. E tuttavia dove dice: Ecco viene il principe di questo mondo e in me non troverà nulla, noi non intendiamo nemmeno la stessa macchia, se intendiamo bene. Infatti se da ciò che disse non si deve intendere ciò che non disse, nemmeno nominò il diavolo, ma il principe del mondo. E in me, disse non troverà nulla. Non disse: In me non troverà il peccato. E tuttavia diciamo le verità che non disse, ma intendendole dalle verità che disse. 79 - Gesú superò sempre il diavolo Giuliano. Perché imbrogli le anime infelici, spacciando come indicato quello che non è indicato? Il Signore dice nel Vangelo: Ecco viene il principe di questo mondo e in me non trova nulla. ( Gv 14,30 ) È certo che il diavolo non trovò in lui nessuna traccia di peccato, perché il diavolo fu superato in tutte le tentazioni che gli mosse o quando ebbe fame o dopo quando predicò. Confessa dunque il Salvatore che il diavolo non sorprese nulla del peccato in lui. Nel quale lo avrebbe certamente trovato, se qualcosa del peccato si contraesse dalla condizione della carne, perché egli pure era stato fatto da una donna, che discendeva dal seme di Davide e dalla stirpe di Adamo. Agostino. Ma la Vergine non lo aveva concepito mediante la concupiscenza della carne e perciò passò in lui la propaggine della carne senza la propaggine del peccato, cosí da esserci in lui non la carne del peccato, ma una carne somigliante a quella del peccato, una carne che avrebbe salvato la carne del peccato. Perciò Adamo prima di peccare non ebbe né una carne del peccato, né una carne simile alla carne del peccato, perché non era morituro se non avesse peccato; ma dopo che peccò la carne del peccato, cominciò subito a generare la carne del peccato, perché la generò mediante quella concupiscenza della carne che prima del peccato o non esisteva in lui o non resisteva allo spirito: tant'è vero che non si vergognava affatto di essere nudo. Ma il Cristo, poiché non nacque mediate quella concupiscenza della carne, nacque senza il peccato che contrae ogni carne del peccato e nacque senza avere la carne del peccato, la quale è senza dubbio la ragione per cui muoiono tutti. Ma tuttavia morí anch'egli per la carne simile alla carne del peccato. Infatti se non moriva nemmeno, non solo non avrebbe la carne del peccato, come non l'aveva, ma mostrerebbe di non avere nemmeno una carne somigliante a quella del peccato, che aveva presa per la nostra salvezza. Quindi tu che non puoi negare che il Cristo sia venuto non nella carne del peccato, ma in una carne certamente vera e tuttavia simile alla carne del peccato, devi dimostrare l'esistenza della carne del peccato, poiché se non c'è la carne del peccato, non c'è certamente nemmeno la carne simile alla carne del peccato. Ma poiché soltanto il Cristo ebbe una carne simile alla carne del peccato, senza che essa fosse la carne del peccato, non essendo egli nato dalla mescolanza dei sessi, che cosa resta se non che sia carne del peccato la carne di tutti coloro che nascono da tale mescolanza e appartengono al mondo, di cui è principe il diavolo e che da quel male non sono liberati se non rinascono nel Cristo? 80 - O reo o non uomo Giuliano. Avrebbe dunque trovato il diavolo nel Cristo il peccato naturale, se ne esistesse qualcuno, e terrebbe assoggettato a sé il suo corpo, se lo avesse avvelenato o nel primo genitore o nella stessa genitrice. Né avrebbe importanza che per le condizioni della sua materia risultasse tardiva e inefficace l'intenzione della volontà: combattendo contro la natura non espierebbe chi è nato, ma esaspererebbe il tiranno, a parte il fatto che non poteva essere libera la volontà, se fosse stata schiava la natura. Se dunque c'era il peccato nel senso e nella condizione della carne stessa, se la stessa natura degli uomini apparteneva al dominio del demonio, il Cristo o doveva diventare reo, o non doveva diventare uomo. Dunque se si ascrive la maledizione alla natura della umanità, anche al Cristo che si fece carne per abitare tra noi o si darà il crimine o si toglierà l'umanità. Agostino. Né si darà il crimine a lui, nel quale il principe del mondo non poté trovare nulla del peccato, né si toglierà l'umanità a colui nel quale c'era e l'anima e la carne umana, quantunque essa non fosse la carne del peccato, ma una carne simile alla carne del peccato. 81 - In Gesú né la carne, né il peccato Giuliano. Le quali operazioni le fece ambedue Manicheo, che, avendo fantasticato la presenza per natura del male nella carne, disse che nel Cristo non ci fu la carne, per non confessare che in lui ci fosse stata l'iniquità. Agostino. L'eretico manicheo nega la carne del Cristo, l'eretico pelagiano vuole uguagliare la carne del Cristo alla carne del peccato, il cristiano cattolico distingue dalla carne del peccato la carne che le assomiglia, per non bestemmiare contro la carne del Cristo. 82 - Nulla del peccato Giuliano. Ma la fede cattolica annientò Manicheo su ambedue le sponde: dichiarando cioè che il male non esiste per natura nella carne e che quindi al Cristo né mancò nulla della umanità, né si accostò nulla della iniquità. Conscio dunque della propria condotta, il Cristo grida: Ecco viene il principe di questo mondo e in me non trova nulla; ( Gv 14,30 ) certamente nulla che potesse accusare, perché non poteva il diavolo infamare la natura, la cui volontà non aveva piegata ai peccati. Agostino. Ma anzi nulla del peccato: né di quello che contrae chi nasce, perché il Cristo non fu concepito in nessuna iniquità; né del peccato che aggiunge chi vive, perché il Cristo non fu ingannato da nessuna tentazione. Dei quali due aspetti per il primo leggiamo: Nelle iniquità sono stato generato, ( Sal 51,7 ) e per il secondo supplichiamo: Non c'indurre in tentazione. ( Mt 6,13 ) 83 - L'uomo creato buono, fu persuaso al male dal diavolo Giuliano. La stessa volontà del Cristo fu per il diavolo anche la causa di tentarlo, perché secondo lo stile della sua arte lo voleva prendere con la persuasione, non potendo il diavolo viziare nessuno creandolo. Agostino. Non vizia creando il diavolo che non crea nessuno, ma suadendolo viziò l'uomo che trovò creato buono. Non è infatti autore della natura, che è creata nell'uomo dalla bontà di Dio, ma della colpa, con la quale l'uomo nasce dai suoi genitori attraverso la propaggine dei primi uomini viziati. Che meraviglia poi se il diavolo tentò il Cristo, nel quale non c'era la carne del peccato? La quale non c'era nemmeno in quelli che il diavolo tentò e fece cadere per primi. Mediante la concupiscenza della loro carne, di cui si confusero, fu propagata la carne del peccato, che da questo male sarebbe stata sanata dalla carne simile a quella del peccato, immune da ogni male. 84 - Il Verbo si fece uomo, non un uomo si fece Verbo Giuliano. Perciò l'incarnazione del Cristo protegge l'opera della sua divinità. Egli portando a me la mia natura e la sua volontà, di cui mi offriva specchio e regola, e dichiarando che il diavolo non aveva trovato in lui nulla del peccato, mostra che la colpa non si riceve dalla creazione della carne, ma solamente dalla volontà. Inoltre, come in nessun luogo delle Scritture si legge che il Cristo si sia sottratto al peccato che sapeva contrarsi dai nascenti, cosí si insegna anche con chiara testimonianza che la giustizia dell'uomo assunto da lui non era costituita dalla diversità della natura, ma dall'attività della volontà. Agostino. In nessun luogo è stato scritto - tu dici - che il Cristo si sia sottratto al peccato che sapeva contratto dai nascenti. In che modo infatti si sarebbe sottratto ad un peccato che non aveva contratto, ma dal quale era venuto a salvare coloro che lo contrassero? Perché, ripeto, si sarebbe sottratto egli stesso ad un peccato, al quale nessuno si sottrae se non quando si rifugia nel Cristo stesso? Dici altresí: Si insegna pure con chiara testimonianza che la giustizia dell'uomo assunto da lui non era costituita dalla diversità della natura, ma dall'attività della volontà. Ma è proprio vero che il Cristo non ebbe nella sua natura nemmeno questo di diverso: nascere dalla Vergine cosí da essere subito non solo figlio dell'uomo, ma anche Figlio di Dio? Dunque è mai vero che quest'assunzione, la quale fece di Dio e dell'uomo una sola persona, non sia valsa nulla a quell'uomo per l'eccellenza della sua giustizia, che tu dici costituita per lui dalla sua attività volontaria? È mai possibile che la difesa del libero arbitrio contro la grazia di Dio vi travolga tanto da farvi dire che anche lo stesso Mediatore meritò con la sua volontà di essere l'unico Figlio di Dio e che è falso ciò che professa la Chiesa intera di credere in Gesú Cristo, Figlio di Dio Padre onnipotente, unico nostro Signore, nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria? Secondo voi infatti non fu assunto dal Verbo di Dio un uomo per farlo nascere dalla Vergine, ma un uomo nato dalla Vergine progredí poi con la virtú della sua volontà e si fece assumere dal Verbo di Dio, non un uomo che ebbe tale e tanto grande volontà da quella assunzione, ma un uomo che per tale e tanta volontà arrivò a quella assunzione: né il Verbo si fece carne nell'utero della Vergine, ma successivamente per il merito di quello stesso uomo e per il merito della sua virtú umana volontaria. Da questo vostro errore ne segue anche un altro: come voi credete che quell'uomo sia stato assunto dal Verbo perché lo volle quell'uomo, cosí segue che crediate che molti abbiano potuto essere assunti in tale modo, se anch'essi lo avessero ugualmente voluto, o possano essere assunti se lo vogliono, e che quindi dipende dalla pigrizia della volontà umana che quell'uomo sia unico, mentre potrebbero essere di più gli uomini assunti, se gli uomini lo volessero. Se fate queste affermazioni, dov'è la vostra fronte? Se non le fate, dov'è la logica della vostra eresia? 85 - Concordi tra loro Gesú e Pietro Giuliano. L'apostolo Pietro infatti scrive: Il Cristo morí per noi, lasciandovi l'esempio perché ne seguiate le orme: egli non fece peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca. ( 1 Pt 2,21 ) Certamente la sentenza dell'Apostolo concorda con la voce del Signore. Questi dice nel Vangelo: Viene il principe di questo mondo e in me non trova nulla. ( Gv 14,30 ) Questa medesima dottrina la trasmette il maestro della Chiesa e dice che nel Cristo non ci fu nessun delitto; ma con una verace attestazione trasmette per quale ragione non abbia avuto il peccato. Perché - dice - non fece peccato. Non ha detto: Perché non prese il peccato, ma dice: Perché non fece peccato. Agostino. Esatto: Colui che non contrasse il peccato originale, non ebbe nessun peccato, perché non lo fece; come lo stesso Adamo, poiché non ebbe il peccato originale, non avrebbe avuto nessun peccato, se non lo avesse fatto. 86 - Pietro non ebbe sentore del peccato originale Giuliano. Ma se ci fosse nella natura un crimine, sarebbe sbagliata la sentenza di Pietro, che evidentemente aveva giudicato sufficiente alla testimonianza di una santità senza macchia l'esclusione di crimini dalle azioni del Cristo, mentre si crederebbe che abitasse in lui il peccato a causa di un virus naturale. Quindi se Pietro avesse avuto qualche sentore del male naturale, sarebbe stato più attento e più preciso nel ricordare questo punto, cosí da scrivere: Il Cristo ci lasciò l'esempio, perché né fece peccato, né accolse il peccato che noi contraiamo nascendo; e cosí seguitasse giustamente a dire: " Non si trovò inganno sulla sua bocca ". Ma se avesse pensato cosí, non avrebbe mai fatto menzione dell'esempio: come avrebbe potuto infatti additarlo all'imitazione degli uomini, se la natura della carne esterna lo avesse discriminato e se la diversità della sostanza avesse contestato la " censura " del suo magistero? Agostino. Come tu non dica nulla lo capiscono certamente gli altri, se non lo capirai tu. L'apostolo Pietro, proponendo appunto agli uomini nel Cristo l'esempio da imitare, che bisogno aveva di dire qualcosa del peccato originale, quasi che uno imitando il Cristo potesse ottenere di nascere senza il peccato originale, come poté nascere lui? Altrettanto imitando il Cristo non poteva ottenere di nascere alla maniera di lui dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria. Quindi perché imitiamo il Cristo viene formata la nostra volontà, ma perché ci liberiamo dal male originale viene rigenerata la nostra natura. 87 - A uomini tarati dal peccato naturale non era proponibile l'imitazione di Gesú Giuliano. A questo si aggiungeva che l'opinione del peccato naturale non solo toglieva la forza dell'emulazione, ma rimarcava la frode della lode tributata al Cristo. Con quale gravità infatti, con quale faccia si diceva che non si trovò inganno sulla sua bocca, quando, se fosse venuto in una condizione di carne diversa dalla nostra, si dimostrava colpevole d'aver commesso un cattivo inganno, non solo insegnando, e questo sarebbe meno grave, ma anche nascendo, e questo sarebbe più grave? Quale mostruosità sarebbe stata appunto che gli altri uomini, costituiti nel male naturale e nel regno del diavolo, peccanti sotto la pestifera necessità di una tabe innata o schiavi per natura della legge del peccato regnante nelle loro membra, egli li incitasse, anche con minaccia di pena, alla sua emulazione e comandasse la sua giustizia ad uomini di quella carne, dal cui male era stato talmente atterrito che, pur avendo voluto esprimere sotto la sua apparenza il modello dell'onestà, tuttavia evitava la verità della sua natura! Quanto più giustamente l'infermità dei peccatori e la sicurezza dei coatti direbbe a lui: Quando godiamo buona salute, tutti diamo buoni consigli ai malati. Se tu fossi come noi, la penseresti molto ma molto diversamente! A che cosa ha giovato dunque la vostra empietà? Il suo necessario risultato evidentemente è questo: se si crede che nella nostra carne ci sia per natura il peccato, o anche il Cristo assunse questa carne ed è soggetto a questo male, o non la assunse ed è impigliato in una iniquità insolubile, non certo della natività, che sembra mendace in lui, ma tuttavia di una frode volontaria. E poiché tutto questo è rivestito delle sordide squame di cosí grandi bestemmie da non potersi esporre senza orrore, nemmeno nel dilaniarlo, la dignità del Mediatore protegga il suo esempio, la sua attività e la nostra fede. Questa fede, rivendicando la verità sia con le parole di lui, sia con le parole del suo apostolo Pietro, non cessa mai di predicare che il Cristo, vero uomo, assunse dalle viscere di Maria una carne della nostra medesima natura e, quantunque fosse uomo vero in tutto, non ebbe nessun peccato. Per indicarlo bastò a Pietro l'affermazione che egli non fece nessun peccato, insegnando che non lo poteva avere chi non lo avesse fatto. Non si trovò inganno nella sua bocca: ai compartecipi della sua natura, interamente creata da lui, egli offrí l'esempio della santità. E cosí risulta che il peccato innato non esiste, per il fatto che non lo ebbe il Cristo, il quale, salvo anche l'onore della sua divinità, a questo fine si fece carnale per essere da noi imitabile. Agostino. E che allora, o uomo eloquente e poco sapiente, se gli uomini dicessero al Cristo: Per quale ragione ci viene comandato di imitarti? Siamo nati forse noi dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria? Infine, potremmo mai avere tanta virtú quanta ne hai tu, che sei uomo in modo da essere insieme anche Dio e per questo coeterno al Padre e onnipotente alla pari dell'Onnipotente? Non doveva dunque nascere cosí o non doveva essere assunto cosí in unità di persona dal Verbo di Dio, perché agli uomini che non lo volessero imitare non si desse tale pretesto? Ma come egli stesso propose a noi di imitare il Padre, che certamente non è mai stato uomo, e lo imitano senza danno e senza negazione della sua divinità tutti coloro che con la sua grazia lo vogliono e lo possono, cosí da amare i loro nemici, da beneficare coloro che li odiano, né gli dicono: Tu lo puoi, perché sei Dio e perché i tuoi nemici non ti possono nuocere in nulla; ma noi siamo uomini deboli e ci viene comandato di amare quelli che con le loro persecuzioni ci infliggono mali tanto numerosi e tanto grandi; cosí non dicono al Cristo i suoi imitatori: Non possiamo fare le azioni che ci esorti a fare con il tuo esempio, perché la tua eccellenza è molto più forte della nostra debolezza. Pertanto, nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, non per questo avrebbe dovuto avere la concupiscenza per concupire con essa i mali, anche senza portarli ad esecuzione resistendo ad essi, perché gli uomini non gli dicessero: Abbi prima le cattive cupidità e vincile, se puoi, perché noi possiamo imitarti vincendo le nostre. Inoltre che dici, Giuliano, di colui che scrive: Non quello che voglio, io faccio, ma quello che detesto, ( Rm 7,15 ) e che voi asserite pressato fino a cotesta necessità non dalla concupiscenza con la quale è nato, ma da una cattiva abitudine? Forse a tali uomini non ha proposto il Cristo se stesso come esempio da imitare? Li ha forse disprezzati e li ha voluti esclusi dal seguire le sue virtú? Se dunque gli dicessero: Tu non sai quello che soffriamo per il peso dell'abitudine che ci opprime; tu non sei oppresso e per questo parli; è facile a tutti noi, quando godiamo buona salute, dare buoni consigli ai malati! Ti piacerebbe forse che anche il Cristo fosse oppresso da tale abitudine e la superasse, per togliere ogni scusa e farsi imitare da simili uomini? Oppure già riderai dei tuoi vaniloqui e tacerai con noi? 88 - Un testo di Girolamo Giuliano. Ma soddisfatte ormai tutte queste esigenze del caso, si presta ora l'occasione di chiamarti in giudizio per un poco almeno a dire con quale presunzione, tu che esalti gli scritti di Girolamo, dici che nel Cristo non ci fu peccato, quando egli al contrario nel Dialogo che compose sotto i nomi di Attico e Critobolo, con una meravigliosa venustà conveniente a tale fede, valendosi anche della testimonianza di un quinto Vangelo che dice di avere tradotto, cerca di dimostrare che il Cristo ebbe non solo il peccato naturale, ma altresí il peccato volontario, a causa del quale riconobbe di doversi lavare con il battesimo di Giovanni. Anche per un'altra testimonianza dell'evangelista Giovanni cuce addosso al Cristo l'accusa di falsità. In quel Dialogo nell'Epistola che indirizzasti ad Alessandria meni tale vanto da dire che Pelagio, investito da Girolamo con valanghe di testi scritturistici, non ce le fa a rivendicare il libero arbitrio. Viceversa quel personaggio cattolico, che era stato investito, replicò a quel Dialogo. Ma per il momento io ne ho rievocato il ricordo unicamente perché tu riconoscessi che non sei in consonanza non solo con le Scritture sante, ma nemmeno con gli stessi " pali " di sostegno della tua dottrina. Agostino. Se tu avessi riportato le parole di Girolamo, potrei forse mostrare in che modo si dovrebbero intendere, senza la bestemmia che tu tenti di addebitargli. Se poi io non lo potessi, non giudicherei tuttavia ripudiabile la fede di lui, che egli ebbe comune con altri illustrissimi dottori della Chiesa cattolica per il fatto che si trovasse, se pur si trovasse, che abbia detto qualcosa non in consonanza con loro. Questo fatto però mi basta contro di te nei riguardi della personalità di Girolamo che, mentre egli ha del peccato originale un modo di sentire che tu avversi tanto da chiamarlo manicheo, non osi tuttavia chiamare manicheo lui stesso. Dove apparisce che tu sei ingannato dall'imprudenza, ma calunni me con la tua impudenza. Io per la verità non ho opposto a te una sentenza di Girolamo, bensí una sentenza di Ambrogio, né ricordandola con parole mie, ma esprimendola con le parole di lui, dove dice che il Cristo in nessun altro modo avrebbe potuto essere esente dal delitto, se non fosse stato esente da quella concezione che opera la mescolanza tra l'uomo e la donna. Dove ti avvedi della conseguenza: se per questa sentenza sono manicheo io, lo sia pure Ambrogio; ma poiché egli non lo è, nessuno faccia essere o faccia sembrare manicheo cotesta sentenza. Pur vedendo questa conseguenza - non è infatti tale che tu non la possa vedere o possa non vederla -, tanto tuttavia sei abbandonato dalla bontà della causa da calunniarmi con il nome di manicheo, non per ignoranza imprudente, ma per fallacia impudente. 89 - Per istruire e per guarire Giuliano. Tu infatti nel vituperare porci e capre abbandoni i manichei, ai quali ti accompagni nell'incriminare la natura umana e con i quali anche elimini nel Cristo non l'apparenza della carne, ma il valore dell'esempio. Provvisoriamente rimuovi a parole anche il peccato naturale dal Cristo, per non sembrare di porre pure lui sotto il potere del diavolo, come non fece perfino lo stesso Manicheo. Ma lodi Girolamo che non teme di bestemmiare tanto da dire che erano familiari al Cristo anche i crimini volontari. Cosí, rigirandoti senza ribellarti tra le svariate immondezze e fandonie dei tuoi amici, solo nei riguardi dei cattolici ti lasci andare ad ingiurie, perché dicono che Dio non è autore del male, che gli uomini creati da lui non sono cattivi per natura, che le leggi di Dio sono giuste, che l'immagine di Dio può stare lontana dal male e fare il bene, che il Cristo non commise nessun peccato o nelle membra o nei precetti o nei giudizi. E perciò, se tu ti inasprisci al sentire affermata la verità, noi tuttavia crediamo che le persone prudenti possano essere istruite e che anche taluni di quelli che sono stati feriti dalle tue menzogne possano essere guariti. Agostino. Sull'esempio del Cristo ti ho risposto sopra che per un verso non ne dobbiamo negare l'eccellenza per la quale, sebbene fosse un uomo integrissimo e tuttavia nato dallo Spirito e non concepito da carne concupiscente, condusse qui al di sopra di tutti gli uomini la vita più giusta; per un altro verso non dobbiamo a causa di tale eccellenza esimerci dall'impegno d'imitarlo secondo il nostro stato. Non imitano infatti il suo celibato i coniugi cristiani, e tuttavia lo imitano per evitare gli adultèri e tutte le unioni illecite. Né, se lo imitano ancora di più coloro che conducono santamente una vita celibe, lo possono per questo imitare anche nel fatto che egli non solo non fece azioni illecite, ma non le concupí nemmeno. Ma ogni concubito è illecito per una santa vita celibe, alla quale non è lecito nemmeno il concubito coniugale. Che meraviglia dunque se, nato dallo Spirito e dalla Vergine, non ebbe in sé nessun male? Chi però, se non è travolto da mali ancora più gravi, negherà che esista un male contro il quale anche i santi pregano quotidianamente il Padre per l'insegnamento dello stesso Signore? Quando infatti diciamo: Non ci indurre in tentazione, ( Mt 6,13 ) noi preghiamo Dio contro la nostra concupiscenza, poiché ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza, che lo attrae e lo seduce. ( Gc 1,13 ) Il Padre dunque che noi preghiamo, ci tenga lontani dall'audacia di dire che non viene certamente dal Padre il male a cui ci trae la concupiscenza della carne, ma viene dal Padre la concupiscenza stessa che ci trae al male, o che è male ciò a cui trae la concupiscenza, ma non è male la stessa concupiscenza che trae. Ora, se la Verità grida che la concupiscenza è un male, logicamente colui che nacque senza nessun male non aveva la concupiscenza, e quindi come non commise il peccato, cosí non lo concupí nemmeno. Noi pertanto quando non facciamo il peccato, imitiamo il Cristo, non perché non abbiamo la concupiscenza del peccato, ma perché non consentiamo ad essa, quantunque noi imitiamo il Santo dei santi quando viviamo bene, cosí da non mancarci il motivo di dire nella nostra orazione: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 ) Quanto poi a Girolamo, io non l'ho lodato nel modo in cui Pelagio ha lodato Ambrogio, dicendo che nemmeno un suo nemico osò mai riprendere la sua fede e la sua purissima intellezione delle Scritture. Conseguentemente se qualcosa mi dispiace, io lo riprendo tanto negli scritti di un amico, quanto nei miei scritti. Ma altro è per un cattolico errare in una qualche verità, altro è fondare o ritenere perfino l'eresia di un grande errore. 90 - Ambasciatore dei manichei Giuliano. Ma bastino queste osservazioni su questo punto. Veniamo ora all'argomento dove si concentra gran parte del nostro interesse, dalla cui potenza " esaminato ed esanimato " l'ambasciatore dei manichei ha tirato fuori documenti tanto di fedele risposta, quanto di elegante genialità. Dopo infatti avere citato e approvato senza nessuna innovazione le mie parole riferite sopra da me, giunse al luogo dove si stava completando la trattazione che avevamo promessa. Domandavo io appunto per quale causa fossero sotto il diavolo gli uomini creati da Dio e ho risposto a nome suo: A causa del peccato e non della natura; poi ho replicato di mio: Ma, lo ammetti tu stesso, come non può esserci il feto senza i sessi, cosí nemmeno il delitto senza la volontà. Hanno quindi al tempo del loro concepimento la volontà i bambini che non hanno ancora l'anima, o hanno al tempo della loro natività la volontà coloro che non hanno ancora l'uso della ragione. Giunto dunque a questo passo, ha citato dalla nostra replica queste parole solamente: Ma come non può esserci il feto senza i sessi, cosí nemmeno il delitto senza la volontà; e ha risposto: Proprio vero, proprio esatto. Infatti " a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e cosí passò in tutti gli uomini, perché tutti peccarono in lui ". ( Rm 5,12 ) Per la cattiva volontà di quell'uno peccarono tutti in lui, quando tutti erano quell'uno, dal quale perciò i singoli uomini trassero il peccato originale. Esorto quindi il lettore ad esaminare attentamente il nostro conflitto. Che ti ha giovato, o eruditissimo tra i bipedi, non citare la mia sentenza al completo? Sebbene nella parte soppressa da te si trovasse la spiegazione di quanto avevo detto precedentemente, tuttavia anche nella obiezione che ti sei fatta ne rimane ugualmente tutta la forza. Con fedeltà appunto, come ha manifestato anche il tuo consenso, io ho messo quanto tu sei solito controbattere e, interrogando per quale causa sarebbero sotto il diavolo i bambini creati da Dio, ho risposto in tua vece: A causa del peccato e non della natura. Tu vedi certamente che qui io non ho commesso nessuna frode. Ho detto quello che è sulla bocca di un traduciano, sebbene non sia nel dogma traduciano. Contro di ciò io ho ribattuto: Ma come non può esserci il feto senza i sessi, cosí nemmeno il delitto senza la volontà. Tu questo mio testo l'hai diviso con sfacciata frode. Citando infatti ciò che avevamo detto, ossia che, come non c'è il feto senza i sessi, cosí non c'è il delitto senza la volontà, tu hai taciuto quello che seguiva sulla volontà dei bambini e rispondi: Proprio vero, proprio esatto. Infatti " a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo " ( Rm 5,12 ) e per la cattiva volontà di quell'uno peccarono tutti in lui. Questo è forse rispondere? Questo è forse ragionare? Questo infine è forse rispettare almeno il buon senso? Si deride certamente dagli eruditi l'astuzia dei sofismi, dove con il doppio senso delle parole si raggira la semplicità dell'interlocutore; ma quegli stessi sofismi, sebbene non siano solidi per mancanza di verità, tuttavia si colorano di una vernice di urbanità. Quale mostro è invece questa vostra discussione, che non è né solida per mancanza di verità, né elegante per mancanza di arguzia nel sofisma! Certamente io ho detto che non può esserci il peccato senza la libera volontà: il che concesso, sfuma il dogma di voi che reputate esserci nella natura degli uomini un delitto senza nessuna volontà da parte di coloro che ne sarebbero rei. Agostino. Da quella tua opera io avevo letto solo quanto conteneva la cartella che mi fu mandata. Dopo infatti, quando trovai i tuoi libri dai quali quell'estratto era stato fatto non so da chi, risposi a tutti i tuoi testi. Ma anche noi diciamo che non può esserci il peccato senza la libera volontà, né per questo tuttavia sfuma, come dici tu, il nostro dogma con il quale asseriamo l'esistenza del peccato originale, perché anche a questo genere di peccato si giunse mediante la libera volontà: non la volontà propria di chi nasce, ma la volontà di colui nel quale tutti esistevano originariamente quando egli con la sua cattiva volontà viziò la natura comune. Non è dunque che i bambini al tempo del loro concepimento o al tempo della loro natività abbiano la volontà di peccare, ma quell'uomo al tempo della sua prevaricazione commise quel grande peccato con la sua libera volontà, dalla quale la natura umana contrasse cosí il contagio del peccato originale che con piena verità un santo scrittore ha potuto dire: Nella colpa sono stato generato, ( Sal 51,7 ) e un altro parimente santo: Chi è puro da ogni macchia? Nemmeno un bambino di un giorno solo di vita sulla terra. ( Gb 14,4 sec. LXX ) Questi oracoli della verità scherniscono la vanità della tua loquacità. 91 - Non senza la volontà di Adamo il peccato originale Giuliano. Con quale impudenza dunque tu per un verso approvi la mia sentenza e per un altro verso non abbandoni il tuo dogma, quando le sentenze delle due parti non possono minimamente conciliarsi tra loro, allo stesso modo che affermazioni opposte non possono spartirsi tra loro la verità? Come dunque io, se ammettessi l'esistenza del peccato naturale, avrei dovuto troncare prima con il diritto della sentenza che riconosce non poterci essere il peccato se non nella libera volontà, cosí tu dalla parte opposta nel riconoscere che ho detto bene io dichiarando inesistente il peccato senza la volontà, avresti dovuto rigettare subito quella tua opinione per la quale credevi esistente il peccato naturale. Agostino. Altro è che senza la libera volontà non possa esserci il peccato, ciò che diciamo anche noi, perché nemmeno il peccato originale sarebbe potuto esistere senza la libera volontà del primo uomo; altro è che, usando le tue stesse parole, non possa esserci il peccato se non nella libera volontà: ciò che noi non concediamo. Infatti il peccato originale non è nella volontà di chi nasce, ma non è nemmeno nella stessa volontà del primo uomo, benché non potesse esistere quel peccato senza la stessa volontà del primo uomo. Altro dunque è dire: Non può esserci il peccato senza la volontà, altro è dire: Non può esserci il peccato se non nella volontà. Se infatti è giusto dire: Senza la concezione non può esserci il parto, non per questo è ugualmente giusto dire: Non può esserci il parto se non nella concezione. Ma questo è cosí diverso che non può esserci né il parto nella concezione, né la concezione nel parto. Quanto al peccato invece, esso può essere nella volontà, come fu nella volontà del primo uomo, e può esistere anche fuori dalla volontà, come il peccato originale di qualsiasi neonato, peccato che non è assolutamente nella volontà di nessuno, ma non è senza la volontà di quel primo uomo. Anche quel santo che disse a Dio: Sigillasti i miei peccati in un sacchetto e notasti se feci qualcosa contro la mia volontà, ( Gb 14,17 ) non ebbe certamente nella sua volontà il peccato che commise contro la sua volontà. E che dire di colui che scrive: Io non compio il bene che voglio, e aggiunge subito: ma il male che non voglio io compio? ( Rm 7,15 ) C'è forse da dire che ha il peccato nella volontà, secondo l'opinione stessa di voi che volete far capire che costui è costretto dalla forza della consuetudine a peccare nolente? Smetti dunque di approfittare della vicinanza tra le formule per strisciare di soppiatto e oltrepassare furtivamente il limite, cosí che, dicendo noi che non può esistere il peccato senza la libera volontà, tu affermi che noi diciamo che non può esistere il peccato se non nella libera volontà. Come se noi dicessimo: Non ci possono essere i carboni senza il fuoco, e tu affermassi che noi diciamo: Non ci possono essere i carboni se non nel fuoco. Se non conoscevi queste distinzioni, confessa di non essere stato un disquisitore intelligente; se al contrario le conoscevi, confessa di avere sperato d'incontrare un lettore non intelligente. 92 - Ciò che è naturale non è volontario Giuliano. Infatti è manifesto che non è volontario tutto ciò che è naturale. Agostino. Se è manifesto che non è volontario tutto ciò che è naturale, non è dunque naturale il nostro voler essere salvi, il nostro voler essere beati. Chi oserebbe dirlo se non tu? O forse nemmeno tu, se messo sull'avviso. 93 - Naturale o congenito o coatto Giuliano. Il peccato dunque se è naturale, non è volontario; se è volontario, non è congenito. Queste due definizioni sono tanto contrarie tra loro quanto la necessità e la volontà, delle quali l'affermazione si genera dalla loro mutua negazione. Come infatti il volontario non è altro che il non coatto, cosí il coatto non è altro che il non volontario. Insieme dunque non possono esistere o vivere, per cosí dire, queste due realtà, perché la loro natura è tale che una viva quando si estingue l'altra. Agostino. Per quale ragione non tieni conto che esiste anche il peccato non volontario, certamente in colui che dice, per qualsiasi causa lo dica: Se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me? ( Rm 7,19 ) Per quale ragione non tieni conto che esiste anche la necessità per cui è necessario che noi vogliamo vivere beatamente, e opponi ad occhi chiusi l'una all'altra come se fosse impossibile la volontà della necessità o la necessità della volontà? 94 - Ciò che preferisci Giuliano. Poiché dunque questa verità è cosí inconcussa che nessuna argomentazione la possa scardinare, scegli tu ciò che preferisci e difendi tenacemente, o la nostra sentenza o la tua, cosí da imputare la colpa o alla necessità o alla volontà. Ma nel dire " ciò che preferisci " io non ti esorto come se fosse ancora segreta la tua opinione, visto che tu hai imparato da Manicheo ad addebitare i crimini alla natura; ma ti rivolgo questa ammonizione proprio perché si noti la verità del tuo discutere. Agostino. Lo voglia tu o non lo voglia, poiché lo dici spesso, devi anche ascoltare spesso che non fu Manicheo a dire che il dissenso tra la carne e lo spirito a causa della prevaricazione del primo uomo si cambiò in natura. La quale causa di questo male negando tu, che non sei lasciato libero di negare la presenza di questo male nella nascita di ogni uomo, fai sí che Manicheo introduca in noi la mescolanza di un'altra natura e vinca, a meno che non soccomba vinto con te. 95 - La non volontà dei bambini Giuliano. Che cosa quindi tu mi abbia risposto lo soppesi il lettore prudente e sollecito. Stiamo certamente trattando dei bambini, i quali non hanno nessuna volontà personale propria, e ci domandiamo nei loro riguardi perché siano sotto il diavolo, dal momento che li ha creati Dio, e tu riconosci che non hanno fatto nulla di male per proprio conto. Tu hai concionato che essi appartengono al diritto del demonio a causa del peccato e non a causa della natura. A questo punto insorse la nostra risposta: Ma come non può esserci il feto senza i sessi, cosí nemmeno il delitto senza la volontà. Al che tu replicasti: Proprio vero, proprio esatto: ossia non può esistere il delitto senza la volontà. Ma tu che avevi ribadito ciò, con quale impudenza hai soggiunto: Ma a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, a causa della volontà di quell'uno? Agostino. Forse perché si trattava dei bambini, per questo non avrei dovuto dire che nemmeno la mia sentenza era impedita dalla verità espressa da te, che cioè non può esserci il delitto senza la volontà, atteso che anche il peccato originale non è causato se non dalla volontà dell'uomo dal quale si trae la stessa origine? Sebbene dunque tu l'abbia detto con intenzione avversa, io ho risposto tuttavia che non era avverso a me e l'ho riconosciuto vero e ho spiegato come non fosse avverso a me: il che tu non lo avevi visto. Avresti infatti potuto dire secondo la tua intenzione che non può esserci il delitto senza la volontà propria di chi delinque e se tu lo avessi detto, non lo avrei accettato per nulla. Il peccato originale infatti si contrae senza la volontà propria di chi nasce. Ma tuttavia tu hai detto la verità dicendo che non può esserci il peccato senza la volontà, perché anche lo stesso peccato originale lo portò ad effetto la volontà di colui che peccò per primo con quella volontà dalla quale è stata viziata la natura umana, con la conseguenza che chiunque nascesse in virtú della concupiscenza della carne, velata dalla confusione di coloro che ne furono rei, non si liberasse dal reato se non rinascendo in virtú della grazia dello Spirito. 96 - Permanere ed essere Giuliano. Eri stato forse interrogato sulle opere di Adamo, o era stato chiesto se egli avesse peccato con la sua volontà? Questo, sí, sarà chiesto subito contro di te. Passi che tu ti diverta ad ingannare gli altri, ma quale mostruosità che tu imponga l'inganno a te stesso! Non riesco appunto a convincermi che tu soffra una mostruosità cosí grande non per inganno, ma per convincimento. In un solo e medesimo passo tu affermi che non può esserci il delitto senza la volontà e soggiungi immediatamente che in tutti gli uomini senza la volontà regna il peccato, il cui permanere avevi detto impossibile senza un libero movimento dell'animo. Agostino. Perché introduci una parola tua come se fosse mia per sottrarre il mio modo di sentire a chi ascolta o legge senza averne sentore? Io non ho detto che il peccato non può permanere senza la volontà, ma che non può essere. E quanto ci corra lo spiegherò con le tue parole. Dove infatti hai detto: Non può esserci il feto senza i sessi, chi non consentirà che hai detto la verità? Non esiste infatti un feto altrimenti che per mezzo dei sessi, maschile e femminile. Se invece avessi detto: Non può permanere un feto senza i sessi, chi ti concederebbe che sia vero? Permane infatti il feto senza i sessi dei genitori, senza i quali tuttavia non può cominciare ad esistere; né a far sí che permanga sono assolutamente i genitori stessi che lo hanno fatto cominciare ad esistere. Alla stessa maniera dunque il peccato che non può esistere senza la volontà, può permanere senza la volontà. Pertanto anche il peccato di Adamo, poiché è proprio esso che permane originalmente nei suoi discendenti, eccettuati quelli ai quali si rimette nel Cristo, certamente quando si dice che anche negli stessi posteri non è senza la volontà, il riferimento si fa alla volontà di Adamo, la quale fece cominciare ad esistere un peccato capace poi di permanere anche nei discendenti, non ad una volontà che facesse permanere quel peccato, il quale può già permanere senza volontà. Se poi identifichi l'essere e il permanere, io non faccio una guerra di parole, ma dico semplicemente che nel senso di permanere ogni peccato può essere senza la volontà. Quale peccatore infatti vorrà far permanere con la sua volontà un peccato che non ha fatto senza la sua volontà? E tuttavia permane, nolente il peccatore, il peccato che è stato commesso dalla sua volontà. Permane dunque finché non si rimetta e, se non si rimetterà mai, permarrà in eterno: né infatti è stato detto mendacemente nel Vangelo: Sarà reo di un peccato eterno. ( Mc 3,29 ) 97 - Preposizioni Giuliano. Inoltre, poiché si trova molta discordia nelle proposizioni, avevi detto tu: Non c'è delitto senza la volontà, e hai risposto: Ma per la volontà di uno solo c'è il delitto. È forse d'accordo con la dichiarazione precedente, munita da una preposizione che regge l'ablativo, la risposta seguente, espressa mediante una preposizione che regge l'accusativo? Si era domandato se esista il crimine senza la volontà e ne era risultata l'impossibilità: ma tu hai soggiunto che " per un solo uomo entrò il peccato ", mentre non interessava come avesse cominciato il peccato, bensí la volontà senza la quale non gli è possibile esistere. Agostino. Io ho detto che non può esserci il peccato senza la volontà, allo stesso modo in cui diciamo che non possono esserci i pomi o i frumenti senza le loro radici: dove senza offesa dei grammatici possiamo anche dire che i pomi e i frumenti non possono esserci se non per le loro radici. Poiché dunque si può dire esattamente l'uno e l'altro, sebbene si enunzi l'uno con una preposizione di caso ablativo e l'altro con una preposizione di caso accusativo, cos'è che fai tendendo insidie con i casi dei nomi, come se fossero tele di ragni, tanto più deboli quanto più sottili? Cerca di prendere con coteste trame mosche moriture. Tali non erano coloro che noi seguiamo proprio per rompere le tue tagliole. Tale non era l'Apostolo che ha detto: Il corpo è morto per il peccato. ( Rm 8,10 ) Tale non era Ilario che ha detto: Dal peccato viene ogni carne, ossia ogni carne discende dal peccato del progenitore Adamo. Tale non era Ambrogio che ha detto: Noi nasciamo tutti sotto il peccato, essendo corrotta la nostra stessa origine. Volesse il cielo che tu piuttosto fossi preso saldamente e salutarmente dalle reti di cotesti pescatori del Cristo! Allora, una volta corretto, declinerai meglio il caso accusativo, con il quale tu stesso sei stato accusato da te stesso, e il caso ablativo, con il quale tu hai subito l'ablazione dalla Chiesa cattolica. Se poi rispetti fedelmente e integralmente le " preposizioni ", perché mai non " preponi " a te cotesti dottori della Chiesa, deponendo la tua presunzione? 98 - Per contagio, non per volontà Giuliano. Apparisce certamente detestabile il furto, che è stato appunto punito prontamente con la sanzione annessa ai peccati: una pena cioè che bloccasse il ladro prima che il furto si propagasse come una epidemia tra gli uditori della legge. Ecco infatti non si nega che il primo uomo sia incorso in un qualche peccato, ma si chiede in quale modo questo peccato potrebbe trovarsi nei nascenti. Definisci tu quale credi che sia stata la condizione del primo peccato. Tu dici: Fu la volontà libera: non ci può essere infatti il peccato senza la volontà, e noi lo approviamo. Tu però soggiungi: Ma questo peccato che non può esistere senza la volontà, si attacca ai nascenti senza la volontà. Agostino. Si attacca per il contagio, non per l'arbitrio. 99 - Il peccato può passare senza la volontà Giuliano. Falso è dunque ciò che avevi concesso: non esiste il peccato senza la volontà, se il peccato, quantunque sia stato commesso per mezzo della volontà, ha potuto tuttavia passare negli altri senza la volontà. Agostino. Non è falso ciò che avevo concesso, perché il peccato originale non fu commesso senza la volontà di colui dal quale è l'origine dei nascenti; ma poté passare negli altri per contagio senza la volontà il peccato che non poté esser commesso da Adamo senza la volontà. Perciò senza la volontà non potrebbe cominciare ad esistere un peccato che passasse negli altri senza la volontà, come non potrebbero senza le radici cominciare ad esistere i frumenti che passassero in altri luoghi senza le radici. 100 - Il peccato come il feto Giuliano. Esiste già dunque un peccato senza la volontà, perché si trova in questi bambini dai quali tu escludi la cattiva volontà. Agostino. Esiste assolutamente il peccato senza la volontà, ossia permane. Non permarrebbe infatti, se appunto non esistesse ciò che permane. Ma che cominciasse ad esistere il peccato che permanesse senza la volontà, non è avvenuto se non per mezzo della volontà. Se tuttavia il peccato è peccato soltanto e non anche pena del peccato, perché per la pena del peccato ciascuno pecca senza la volontà. Cosí dunque sono vere ambedue le affermazioni: e che non può esserci il peccato senza la volontà, e che può esserci il peccato senza la volontà, come sono vere ambedue queste affermazioni: e che non può esserci il feto senza i sessi dei genitori, e che può esserci il feto senza i sessi dei genitori. La prima affermazione è vera, perché senza i sessi non può esistere il feto; ma la seconda è vera, perché senza i sessi il feto può permanere. Bene davvero tu stesso in un medesimo testo hai parlato insieme del peccato e del feto dicendo: Come non può esserci il feto senza i sessi, cosí nemmeno il peccato senza la volontà. Come dunque intendiamo che per questo un feto non può esserci senza i sessi dei genitori, perché senza di essi non può cominciare ad esistere; e che per questo può esserci il medesimo feto senza i sessi dei genitori, perché può permanere senza di essi, esistendo già; per quale ragione non intendiamo ugualmente che anche il peccato e non può essere senza la volontà, perché senza di essa non può cominciare ad esistere, e che il peccato può essere senza la volontà, perché senza di essa può permanere, esistendo già? 101 - Le mie acutezze Giuliano. Guarda dunque a quale punto si trascinino le tue acutezze: tu tenti di persuadere che alcunché non esista per la stessa causa che lo rende possibile. Agostino. E che vorresti tu, o grande difensore del libero arbitrio, anche contro la grazia di Dio? Negherai forse tu che in virtú del libero arbitrio non esista qualche peccato che potrebbe esistere in virtú del libero arbitrio? Avviene infatti in virtú del libero arbitrio che esista il peccato, perché l'uomo pecca se vuole peccare; e avviene in virtú del libero arbitrio che il peccato non esista, perché l'uomo non pecca se non vuole peccare. Ecco abbiamo trovato qualcosa, e proprio ciò di cui stiamo discutendo: cioè che un peccato non esiste in virtú della medesima causa che può farlo esistere, ossia in virtú del libero arbitrio. Che succede, o litigioso? A questo punto si trascineranno le mie acutezze? Oppure qui i tuoi occhi hanno perduto la vista? Non essere precipitoso. Meglio è per te attendere che cosa dire che contendere per contraddire. 102 - Senza la volontà il peccato esiste e non esiste Giuliano. Cioè che il peccato esiste senza la volontà per la medesima ragione che non può esistere senza la volontà. Agostino. Non è assolutamente vero che il peccato esista senza la volontà per la medesima ragione che non può esistere senza la volontà, ma per cause appunto diverse; è possibile tuttavia l'uno e l'altro: infatti senza la volontà non può esistere il peccato, perché senza la volontà il peccato non può incominciare ad esistere; ma senza la volontà il peccato può esistere, perché senza la volontà può permanere il peccato che esiste già. 103 - Questo è sconfessare la realtà Giuliano. Di modo che il peccato perda la sua condizione in forza della sua condizione ed esista senza ciò che è stato definito la condizione sine qua non perché possa esistere. Questo è sconfessare la realtà! Che cosa di simile ha detto Anassagora, che pur diceva che la neve è nera? Tu fantastichi che una natura venga negata dai suoi frutti e, mentre la necessità e la volontà sono tra loro tanto contrarie che, come abbiamo esposto sopra, si eliminano per reciproca incompatibilità, tu con un nuovo e impossibile patto, con una mostruosa parentela, sottometti l'una all'effetto dell'altra e dici che la necessità è sorta dai frutti della volontà, tanto da essersi la volontà distrutta con il suo moltiplicarsi e da aver mutato la propria natura a forza di operare o, per esprimerci con le sue parole, tanto da avere cessato la volontà di esistere subito dopo che cominciò ad esistere. E di questo che cosa si può pensare, non dico di piú ottuso, ma di piú furioso? Poiché dunque queste due condizioni, cioè la necessità e la volontà, non possono coesistere; poiché tu hai confermato quanto noi abbiamo detto circa la impossibilità del delitto senza la volontà; poiché tu concedi anche che nei bambini non c'è la volontà, sei costretto ad ammettere a collo torto che nei bambini non c'è nessun peccato, avendo tu dichiarato impossibile il peccato senza la volontà. Agostino. Che la necessità e la volontà non possano esistere insieme non lo diresti, se ti fosse dato di conoscere quello che dici. Infatti poiché c'è la necessità di morire, chi negherebbe che possa esserci anche la volontà di morire? Tanto che l'Apostolo dice che ha la concupiscenza di essere sciolto dal corpo e di essere con il Cristo. ( Fil 1,23 ) Poiché dunque vuol morire uno a cui è necessario morire, esistono insieme la necessità e la volontà: ciò di cui tu avevi negato la possibilità con volontà vana e senza nessuna necessità. Che, all'inverso, dalla volontà nasca la necessità, spesso contraria alla volontà, lo si nega con assoluta insipienza. Chi per esempio volendo morire si colpisce mortalmente, muore sebbene non voglia morire. Ugualmente chi volente ha fatto un peccato, ha il peccato anche da nolente, volente impudico e nolente reo, perché appunto anche quando egli è nolente permane il peccato, che non sarebbe fatto da lui nolente. Per questo, e non può esserci il peccato senza la volontà, perché non si fa il peccato se non con la volontà; e può esserci il peccato senza la volontà, perché ciò che si è fatto con la volontà permane anche senza la volontà: e c'è già qui la necessità senza la volontà, una necessità che la volontà ha fatto senza la necessità. Infatti anche colui che dice: Non quello che voglio io faccio, ( Rm 7,15 ) è certamente secondo voi oppresso dalla necessità della consuetudine, ma per non togliere a lui il libero arbitrio, voi sostenete che egli si è fatto tale necessità con la sua volontà, e non credete che qualcosa di simile sia avvenuto nella natura umana: dalla volontà del primo uomo, dal quale ha origine il genere umano, sorgesse negli uomini la necessità del peccato originale. Ecco, quelle situazioni che tu proponevi come impossibili, si sono fatte possibili nella forza della consuetudine, che non senza ragione fu detta da alcuni una seconda natura. Avevi detto che noi diciamo qualcosa di piú assurdo di colui che diceva che la neve è nera, dicendo che il peccato perda la sua condizione in forza della sua condizione ed esista senza ciò che è stato definito la condizione " sine qua non " perché possa esistere. Ma non è vero forse che la consuetudine perda la sua condizione in forza della sua condizione, cosí che per forza della consuetudine il peccato si faccia senza la volontà, mentre la consuetudine non si è fatta se non con la forza della volontà? Non è forse vero che la natura della consuetudine venga negata dai suoi frutti? Dal momento che la consuetudine è frutto della volontà, perché è generata dalla volontà: la quale consuetudine tuttavia ciò che fa nega di farlo con la volontà. Tu dici che la necessità e la volontà sono tra loro tanto contrarie che si eliminano per reciproca incompatibilità, rimproverandoci per questo di sottomettere l'una all'effetto dell'altra e di dire la necessità sorta dai frutti della volontà, mentre vedi che la necessità della consuetudine è frutto manifestissimo della volontà. Non è forse vero ciò che ti sembrava impossibile: La volontà si è distrutta con il suo ripetersi e a forza di operare ha mutato il proprio stato, perché ripetendosi ha prodotto la necessità della consuetudine, se in conformità alla tua intuizione la necessità estingue la volontà? Se al contrario non la estingue, evidentemente in una persona oppressa dal male della consuetudine possono esistere insieme e la volontà della giustizia e la necessità del peccato. Poiché l'affermazione: C'è in me il desiderio del bene è la professione della volontà, e l'affermazione: Ma non trovo in me la capacità di attuare il bene ( Rm 7,15.18 ) è la confessione della necessità. Tu viceversa hai detto che non possono esistere insieme la volontà e la necessità, pur costatando che esse esistono insieme quando vanno d'accordo ed esistono insieme quando si combattono vicendevolmente. È poi ridicolo ciò che hai proposto come impossibile dicendo che nulla si potrebbe pensare di piú ottuso, anzi di piú furioso, che la volontà abbia cessato di esser subito dopo che ha cominciato ad essere, come se ciò non avvenga quando una persona che ha cominciato a volere malamente qualcosa, subito dopo si pente e smette di volere. Ma tuttavia parlando in tale maniera mi costringi ad ammettere a collo torto - tu dici - che nei bambini non c'è nessun peccato, mentre tu nemmeno a collo torto riesci a spezzare il vincolo della verità cattolica, dal quale sarai strangolato nel modo piú miserevole, se non ti metterai d'accordo. 104 - Prima liberi che creati Giuliano. Quanto poi al testo da te aggiunto: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, come è stato dimostrato che qui è collocato nella maniera piú sconveniente, cosí nel secondo libro è stato spiegato in che modo si intenda. Ma, conclusa ormai la presente discussione, mi piace riprendere subito in esame l'acutissima tua sentenza. Tu scrivi infatti cosí: " A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e cosí passò in tutti gli uomini, che tutti peccarono in lui ". ( Rm 5,12 ) Per la cattiva volontà di quell'uno, peccarono tutti in lui, quando tutti furono quell'uno, dal quale perciò i singoli uomini trassero il peccato originale. Allora, tu dici, peccarono, quando tutti furono quell'uno. Avevo peraltro notato che questo lo avevi già scritto a Marcellino. Dalla quale testimonianza si prova che tu credi e abbracci la traduce delle anime, accettandola specialmente dalle viscere di Manicheo, di cui ho inserito le sentenze nel terzo libro. La quale opinione è per certo tanto mostruosa che tu, pur facendola capire, non hai tuttavia il coraggio di confessarla. Ma per il momento rimandiamo l'esame di una dottrina che rimane strangolata sia per l'indegnità del suo primo assertore, sia per la paura del successivo assertore, cioè di te. Giova invece al presente spiare quanto grande sia il turbamento che ti agita nel discutere. Tu dici appunto: Per la cattiva volontà di quell'uno peccarono tutti in lui, quando tutti furono quell'uno. Se tutti furono quell'uno, in che modo peccarono tutti per la volontà cattiva di lui, mentre tutti costoro, che tu dici presenti in lui, poterono peccare con la loro volontà? Anzi, per ritorcere, piú infelice di tutti gli altri è Adamo, il quale porta da solo l'onta, mentre tutti secondo il tuo dogma ebbero la colpa di delinquere in lui. Ebbero dunque i bambini la volontà, non solo prima che essi nascessero, ma prima che fossero generati i loro bisavoli, e fecero uso i bambini dell'arbitrio di elezione prima che fossero creati i semi della loro sostanza. Per quale ragione temi quindi di dire che ci fu in essi al tempo dei loro concepimenti la volontà libera, con la quale non contrarre il peccato naturaliter, ma commetterlo sponte, se credi che essi, concepiti oggi, abbiano avuto tanti secoli prima il senso, il giudizio e l'efficienza della volontà? Il che appunto non hai dubitato di porre nei libri che pubblicasti al nome di Marcellino: per dimostrare palesemente da quanta demenza siano colpiti i nemici di Dio. Ivi dichiari infatti cosí: I bambini peccarono in Adamo per essere creati simili a lui. Che cosa si poteva dire di piú falso, di piú pazzo, di piú sporco di questo: Prima peccarono per essere creati? Ossia: con il loro fare meritarono di poter esistere come operatori di qualcosa e in loro l'attività fu anteriore alla sostanza. Le quali fantasie, piú adatte alle orge e ai tirsi che alle lettere, basti averle accennate. Da qui dunque è sgorgata cotesta tua risposta dove dici: Peccarono tutti in lui, quando tutti furono quell'uno, dal quale i singoli uomini trassero il peccato originale. Qui infatti non c'è da affaticarsi ad insegnare che, essendo la volontà un'attività della persona, non può esistere la volontà prima della persona a cui la volontà appartiene. Ma mi preme soprattutto far capire questo: nemmeno secondo una tale opinione esiste il peccato originale. Infatti se tutti furono presenti in Adamo quelli che peccarono, essi non contrassero nulla del male originale, perché lo perpetrarono tutti insieme con le loro determinazioni. La traduce dunque del peccato è distrutta non solo dalla verità cattolica, ma anche da tutti gli argomenti del suo patrono. Il che appunto è nella natura della menzogna: essa non conserva la coerenza del fingere, ma prodiga com'è di verecondia e avida dell'altrui, si scopre in tutte le sue usurpazioni. Agostino. Che a causa di un solo uomo, nel quale tutti peccarono, sia entrato nel mondo il peccato lo ha detto l'Apostolo e lo ha capito Ambrogio; ma le medesime parole apostoliche ad un suo senso perverso tenta di pervertirle Giuliano. Perché a lui non risponde piuttosto lo stesso Ambrogio? Ascolta dunque, o Giuliano: Tutti muoiono in Adamo, dice, perché a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e cosí passò in tutti gli uomini, che tutti peccarono in lui. ( Rm 5,12 ) La colpa dunque di costui è la morte di tutti. Ascolta ancora un altro testo: C'era Adamo e in lui fummo noi tutti, perí Adamo e in lui perirono tutti. Di' a lui, se osi, che per un'anima sola, peccante con la propria volontà, non poterono perire tante anime, non aventi ancora le proprie volontà. Attacca la mia esitazione sulla origine delle anime, perché non oso insegnare o affermare ciò che ignoro. Spiattella tu ciò che ti piace sulla profonda oscurità di questo problema, ma fissa e ferma rimanga tuttavia questa sentenza: per la colpa di quell'uomo c'è la morte di tutti, e in lui perirono tutti. Per cui l'ultimo Adamo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. ( Lc 19,10 ) Di' a lui: Peccarono dunque con la loro volontà anche quelli che dici periti in colui che peccò con la sua volontà! Ma poteva Ambrogio capire ciò che tu non puoi capire: non si dice questo per il libero arbitrio dei singoli, ma per l'origine del seme, donde tutti sarebbero nati. Secondo la quale origine tutti erano presenti in quell'uno ed erano quell'uno tutti coloro che in se stessi erano ancora nulli. Secondo questa origine seminale anche Levi si dice che " fu presente nei lombi del suo antenato Abramo ", quando Abramo versò la decima a Melchisedech, tanto che anche lo stesso Levi è presente come pagante allora le sue decime, non in se stesso, ma in Abramo, nei lombi del quale egli era. Né volle né non volle pagare le decime, perché la sua volontà era nulla, quando egli stesso nemmeno esisteva ancora secondo la sua sostanza. E tuttavia secondo la ragione del seme non mendacemente né inutilmente è stato detto che era nei lombi di Abramo e che versò le decime. Per questo dall'obbligo delle decime, gravante sui figli di Abramo, presenti nei suoi lombi, quando egli diede le decime al sacerdote Melchisedech, è stato eccettuato soltanto quel sacerdote a cui si dice: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedech. ( Sal 110,4 ) Il quale, sebbene sia anch'egli seme di Abramo secondo la carne, perché la Vergine Maria dalla quale prese la carne fu generata da quello stesso seme, non è tuttavia soggetto alla colpa di quel seme lui che, libero dall'asservimento della concupiscenza seminatrice, non fu concepito mediante il seme virile. Rispondi dunque non già ad Ambrogio, come dicevo, ma a colui che agli Ebrei scrive e dichiara cosí: Si può dire che lo stesso Levi, che pur riceve le decime, ha versato la sua decima in Abramo: egli si trovava infatti nei lombi del suo antenato quando gli venne incontro Melchisedech. ( Eb 7,9-10 ) Accusalo con la tua cieca loquacità e, se ne hai il coraggio, domandagli: Poiché il padre Abramo pagò le decime di sua volontà, in che modo attraverso la volontà di lui poté decimare, ossia dare le decime, Levi, la cui volontà era nulla, essendo egli ancora assolutamente inesistente? Proprio per questa ragione o meglio per questo errore tu dici anche a noi: Poiché il primo uomo peccò con la volontà, in che modo attraverso la volontà di lui coloro che non avevano ancora una loro volontà, essendo ancora inesistenti nella loro sostanza, poterono tutti insieme peccare in lui? Smettila piuttosto di ciarlare a vanvera, e che quanti non ancora nati e quindi incapaci di fare per mezzo delle proprie volontà alcunché di bene o di male, abbiano potuto peccare in quell'uno in cui erano presenti per la ragione del seme, quando egli con la sua propria volontà commise quel grande peccato ed in se stesso viziò, mutò, coinvolse nella colpa la natura umana di tutti, meno che di un solo uomo, che fu procreato, sí, dallo stesso seme, non tuttavia mediante la ragione seminale, intendilo se puoi, e se non puoi credilo. 105 - I bambini sotto il diavolo Giuliano. Dopo questa risposta s'industria costui a chiarire un altro punto dov'era già stato compulsato da me. Io appunto dopo la domanda fatta da me sulla volontà dei bambini, proseguivo cosí: Ma tu lo neghi, cioè che ci sia nei nascenti una volontà peccatrice, e dici tuttavia che i bambini sono sotto il diavolo, né la ragione per la quale giudichi che vivano sotto il potere diabolico. Dichiari appunto: Poiché nascono dalla mescolanza dei due sessi, sono sotto il potere avverso. Con la testimonianza pertanto delle sue parole è palese che la ragione per la quale egli rivendica al demonio i bambini è la loro procreazione con la mescolanza dei due sessi. Per mezzo di questo ho documentato che egli ha asservito al diavolo le nozze, le quali sono state istituite da Dio e non possono essere senza la mescolanza sessuale. Agostino. Non l'hai potuto documentare in nessun modo, per quanto tu ci abbia messo molta ostinazione: il che possono vedere coloro che leggono e le tue calunnie e le mie ritorsioni. 106 - Dico tranquillamente Giuliano. Questo argomento dunque affrontò ora, premettendo la mia interrogazione: Tu dunque dici che essi sono sotto il diavolo perché nascono dalla mescolanza dei due sessi? Alla quale interrogazione ascoltiamo in che modo dia soddisfazione: Io dico tranquillamente, dichiara, che essi sono sotto il diavolo per il delitto, ma la ragione per cui non sono esenti dal delitto è perché sono nati da quella mescolanza la quale senza la vergognosa libidine non può operare nemmeno ciò che è onesto. Lo ha detto anche Ambrogio di beatissima memoria. O calamitosa depravazione umana! O nefanda intenzione! O vergognosa falsità! Agostino. Esclama, esclama quanto puoi, aggiungi alle tue esclamazioni: O violenza! Tu appunto, uomo innocente, patisci la violenza che ti costringe a dire manicheo Ambrogio. Dio mi guardi dal dirlo, tu affermi. Per quale ragione, ti domando io? Qui forse metti in evidenza quanto sia grande la forza del libero arbitrio, quando patisci tanta violenza per dirlo, né tuttavia lo dici? Per quale ragione dunque dici che io sono ciò che non dici sia lui, benché egli abbia detto molto prima ciò che io dico adesso e in questa sentenza, per la quale dici che io sono manicheo, la causa sia comune a me e a lui? Forse, perché non trovi per dove uscire, dissimuli certo la stizza e ti dai alle esclamazioni, non tuttavia per la stizza, ma per il turbamento? Ma nelle tue stesse esclamazioni io odo: O calamitosa depravazione di un uomo! Evidentemente perché sono un uomo calamitoso e depravato, io che scelgo di consentire ad Ambrogio. Sarei al contrario un uomo beato e retto, se scegliessi di consentire a Giuliano. Io odo: O nefanda intenzione! La nostra intenzione è appunto nefanda, perché opponiamo Ambrogio a Giuliano, ma sarebbe tutt'altro che nefanda, se anteponessimo Giuliano ad Ambrogio. Ma cos'è che io odo nella tua terza esclamazione: O vergognosa falsità? Dici forse che è falsa la sentenza di Ambrogio, ossia che egli ha sentito in modo falso? O dici che noi gliel'attribuiamo falsamente, mentre egli non sente cosí, né dice assolutamente ciò che noi diciamo che disse? O dici che noi non abbiamo capito la sua sentenza e giudichiamo falsamente di essa, che invece è vera? Ma tu non parli cosí offensivamente di Ambrogio da attribuire a un tale personaggio una " vergognosa falsità ". D'altra parte non hai osato dire che l'abbiamo composta noi la sentenza e abbiamo finto che l'abbia proferita lui, perché gli scritti di quel dottore sono noti a cosí tanti lettori da venirti la paura di precipitare in questo baratro. Tale sentenza poi è tanto chiara da poter sembrare non acuto chi la intende, ma superfluo chi pensa di doverla spiegare. Infine, perché si possa prendere in considerazione ciò che io dico, riporterò anche qui le stesse parole del beatissimo antistite cattolico. Afferma dunque costui, quell'Ambrogio che il vostro Pelagio esalta tanto per la sua fede e per la sua purissima interpretazione delle Scritture da dire che nemmeno un nemico ha osato criticarlo, parlando della natività del Signore: Perciò e come uomo fu provato in tutto, e a somiglianza degli uomini sopportò tutto; ma come nato dallo Spirito si astenne dal peccato. " Ogni uomo " infatti " è mentitore " e nessuno è senza peccato all'infuori dell'unico Dio. Resta quindi evidente che nessuno, venendo dall'uomo e dalla donna, ossia da quella mescolanza di corpi, è esente dal delitto. Chi poi fosse esente dal delitto, dovrebbe essere esente pure da simile concepimento. Poiché quindi e non neghi che Ambrogio lo abbia detto e ti accorgi che è un discorso piano e aperto, perché mai gridi: O vergognosa falsità! Vergognosa per chi, ti prego? Per lui o per me? Se per lui, guarda contro chi tu sia oltraggioso; se per me, guarda quanto tu sia calunnioso. Ma questo, tu osservi, lo dici anche tu. Lo dico senz'altro, perché è vero. Se tu non lo credi vero, per qual ragione in una sola e medesima sentenza che dice lui e dico io, manicheo non è lui, ma manicheo sono io? Quanto piú giustamente esclamiamo noi a questo punto: O vergognosa discriminazione di persone! Essa ti farebbe arrossire senza dubbio, se nella tua persona la tua fronte non fosse simile alla tua bocca. 107 - Sei nell'errore Giuliano. È mai possibile che costui abbia il coraggio di dire che non condanna il matrimonio e d'ingannare le orecchie inesperte con tanta scelleratezza da dire di essersi ritirato dalla compagnia di Manicheo, che con ripetute dichiarazioni relegò nel regno del diavolo la mescolanza dei sessi e la consumazione delle nozze e l'affezione e la sensibilità dei generanti? E unendo l'aiuto del suo acume a queste invenzioni di Manicheo, definisce appunto diabolica la mescolanza sessuale, la dice propria dei coniugi sia nell'attività che nella carne, e per essa aggiudica al regno del diavolo gli innocenti, assolvendo tuttavia gli operatori. Cosí, sempre ostile senza dubbio a Dio, protegge coloro che, come dice, servono il diavolo per mezzo della libidine. Agostino. Sei nell'errore e spingi all'errore quanti ti dànno retta: non servono il diavolo per mezzo della libidine coloro che fanno uso del corpo dei loro coniugi allo scopo di procreare figli, perché siano generati e poi rigenerati. Né per questo tuttavia si difende il male della libidine, ma si difendono coloro che usano bene del male. C'è infatti un buon uso anche del male. Tant'è che anche dello stesso satana si trovano delle utilità nelle sante Scritture. Rimanendo evidentemente la vituperazione di satana, ma con la lode di colui che usa bene del male. 108 - Incrimina anche i morti! Giuliano. Quanto poi ai bambini, che dice venir creati da Dio, li assegna al dominio del nemico, e cosí non accusa l'opera del diavolo, i cui ministri assolve dalla colpa, ma accusa l'opera di Dio, alla quale non è potuta arrivare la voluttà conscia di essere un dono diabolico. Costui dunque, accusatore della operazione coniugale, ma conciliatore delle libidini, oppositore della innocenza e diffamatore della equità divina, non ha temuto di scrivere: Io dico tranquillamente che i bambini sono sotto il diavolo, perché sono nati da quella mescolanza. Vedendo poi messa a nudo la scelleratezza di questa sentenza, nel tentativo di difenderla con qualche argomento di autorità, che non poteva prendere dalle Scritture, ha soggiunto che anche il vescovo Ambrogio sentí in maniera simile. Non c'è davvero da meravigliarsi se incrimina anche i morti, dal momento che incrimina gli innocenti. Agostino. Chiunque ascolta queste tue affermazioni, che cosa pensa che tu replichi contro di noi se non che questa sentenza del beatissimo Ambrogio riportata da noi, non sia di lui stesso, ma l'abbiamo inventata noi fingendo che sia di lui stesso? Anch'io infatti nel leggere queste tue parole non ho dato ad esse nessuna importanza. Ma dopo che arrivai a ciò che tu aggiungi e dove non neghi che Ambrogio lo abbia detto, allora trovai che tu sei un orrendo accusatore di quel dottore cosí grande. Infatti tutto ciò che dici contro di me, poiché io dico che per la mescolanza virile e per il concepimento femminile nessuno è esente dal delitto, lo dici senza dubbio anche contro di lui, che lo disse e lo scrisse prima di me. Ma io, quando confutando te ed opponendomi a te asserisco che i bambini per il delitto originale sono sotto il diavolo, se non rinascono nel Cristo, non difendo certamente me soltanto dalla tua infame incriminazione, ma anche e Ambrogio e gli altri suoi colleghi e quanti sono alunni e dottori di questa fede e la Chiesa universale del Cristo, la quale con l'esorcismo battesimale dei bambini e con la loro essufflazione attesta che questa dottrina l'ha ricevuta, che questa dottrina la ritiene, che questa dottrina la crede fedelmente. 109 - Cerchi consolazione in Ambrogio Giuliano. Quanto piú giustamente diresti: Disse questo identicamente anche Manicheo nella Epistola a Patrizio, lo disse anche nella Epistola che scrisse alla figlia Menoch, lo disse anche in molti altri scritti che tu hai bevuto fino in fondo! Ma tu cerchi di tirare dalla tua parte il vescovo di Milano e, poiché non puoi avere protezione da lui, vuoi trovare consolazione in lui. Agostino. Assai contrario a Manicheo è ciò che ha detto Ambrogio. Manicheo dice infatti che in noi è stata mescolata la natura estranea del male, Ambrogio dice al contrario che la nostra stessa natura è stata viziata dalla prevaricazione del primo uomo; ma in questa sentenza di cui ora trattiamo Ambrogio difende, discernendola dalla carne del peccato di tutti gli altri uomini, la natività della carne del Cristo, che Manicheo nega assolutamente. Ciò dunque che crede Ambrogio, lo credo anch'io; ciò che crede Manicheo, né Ambrogio lo crede, né lo credo io. Cos'è il tuo tentativo di separarmi da Ambrogio e di associarmi a Manicheo? Infatti se dire che dai nascenti si contrae il peccato originale non per la mescolanza di una natura estranea, ma per la depravazione della nostra natura, è dogma dei manichei, questo lo dice con me Ambrogio: per quale ragione non tenti tu di associarci ambedue ai manichei? Se viceversa questo non è il dogma dei manichei, come non lo è, e io dico questo con Ambrogio, per quale ragione non ti degni di dissociarci ambedue dai manichei? Come fai dunque a dire che io tento di tirare dalla mia parte il vescovo di Milano, mentre tu tenti invano di strapparmi dalla parte di lui? Cos'è che dici: Non potendo avere protezione da lui, voglio trovare consolazione in lui? A me e ad Ambrogio, lo voglia tu o non lo voglia, è il Cristo comune protezione nella fede cattolica. Proprio per questo Ambrogio è mia consolazione: perché in sua compagnia ricevo la tua riprensione; né egli soltanto mi consola moltissimo in questa causa, ma e Cipriano e Ilario e altri simili, dei quali tu laceri in me la fede cattolica. Non voler dunque invidiare il fatto che Ambrogio, che Cipriano, che Ilario siano le consolazioni della mia ingiuria: sei infatti costretto a vedere contro voglia quanto ci corra dal fatto che Pelagio e Celestio e qualche altro, se c'è, sono le consolazioni della tua condanna. Che dire poi di quest'altro aspetto? Io presento Ambrogio che in difesa della fede cattolica sbaraglia i manichei, e tu in questa battaglia fornisci contro Ambrogio ai manichei o una consolazione se vinti, o anche un aiuto, ed è peggio, se resistono. I manichei infatti dicono che il male ha una propria sostanza e natura, coeterna alla sostanza e natura buona di Dio, perché dicono: È impossibile che i mali nascano dai beni. Ambrogio li contraddice e dice: Dai beni sono nati i mali, non essendo i mali se non privazioni dei beni; ma i mali hanno fatto risaltare i beni; l'assenza dunque del bene è la radice del male. Tu in mezzo a queste posizioni che dici? L'ordine delle cose, affermi, non lascia che qualcosa di male sia prodotto dal bene e qualcosa di iniquo da ciò che è giusto. Queste parole, a favore dei manichei contro Ambrogio, le abbiamo riportate da quella tua pregiata opera, nella quale con quattro libri hai voluto rispondere ad uno solo dei miei. Se in questa controversia tu fossi giudice, la tua sentenza direbbe certamente Ambrogio vinto dai manichei. E non arrossisci di essere calunniatore di coloro che incrimini apertissimamente, di essere adulatore di coloro che incrimini ugualmente anche se obliquamente, di essere collaboratore di coloro dei quali ti servi per incriminare gli altri? 110 - Il nemico più impudente della fede cattolica Giuliano. È mai possibile che gli scritti di tali combattenti pregiudichino la legge di Dio o l'opera di Dio? Agostino. Qui cominci già a confessare che questa sentenza non è stata inventata da noi come se fosse di Ambrogio, ma è proprio la sentenza di lui, poiché tenti di liberarti di lui dicendo: È mai possibile che gli scritti di tali combattenti pregiudichino la legge di Dio o l'opera di Dio? Ma continua e di' tutte le altre tue idee che ti facciano giudicare come il nemico piú sfacciato della fede cattolica. 111 - Piccoli detti di un vescovo Giuliano. A me ora basta, e me ne avanza, provare che in nessuna parte delle sacre Lettere hai letto ciò che credi; provarlo anche con il fatto stesso che in tale causa non hai tirato fuori nient'altro che dei piccoli detti di un vescovo, recitati da te, piccoli detti dei quali avresti senza dubbio fatto a meno, se ti fossi potuto ribattere in qualcosa di piú autorevole. Agostino. Coloro che leggono vedano se io non abbia portato testimonianze divine o se tu non abbia tentato invano di corrompere le testimonianze che ho portate. 112 - Ambrogio contro Pelagio Giuliano. Ma hai fatto bene a sollevarci tu per primo dal peso di tali personaggi. Infatti nel libro che tessesti per Timasio contro il libero arbitrio, avendo quel santo uomo di Pelagio ricordato le venerabili figure tanto di Ambrogio, quanto di Cipriano, che nei loro libri avevano sostenuto il libero arbitrio, rispondesti che non ti sentivi pesare addosso in nessun modo l'autorità di costoro, fino a dire che essi, se in qualche punto avevano sentito malamente, lo avevano espiato passando alla vita migliore. Queste tue parole ti siano riportate, perché tu arrossisca di sollevare odiosità da semplici nomi. Del resto i detti o di Ambrogio o di altri, dei quali voi cercate di macchiare la fama con la consorteria dei vostri, si possono difendere con ragione chiara e benevola. Agostino. Che ti sia toccata cosí grande cecità di cuore chi lo crede se non chi legge questi tuoi ragionamenti? Tu dici che se mi fossi potuto imbattere in qualcosa di piú autorevole, cioè se lo avessi potuto trovare, mi sarei astenuto dal citare i detti o, come ti esprimi tu, " i piccoli detti " di quei pensatori, e poi immediatamente dopo tu stesso dici che Pelagio, da te chiamato santo, a difesa del libero arbitrio adoperò come testimoni anche i venerabili personaggi di Cipriano e di Ambrogio, né ti accorgi come dicendo questo accusi il tuo maestro e la vostra stessa eresia. Secondo appunto la tua sentenza, Pelagio, se a favore di ciò che difendeva avesse trovato negli scritti canonici qualcosa di piú autorevole, si sarebbe astenuto dalle testimonianze di questi scrittori. Quando mai faresti queste affermazioni, se non ti turbasse tanto il fatto che Pelagio trovi improvvisamente come suo avversario Ambrogio? Ma, tu dici, io per primo vi ho sollevati dal peso di tali personaggi, cioè di Ambrogio e dei suoi compagni. È proprio vero che tale peso ti schiaccia cosí da non opprimerti soltanto, ma da sopprimerti e da ridurti in polvere, che il vento disperde sulla faccia della terra. ( Sal 1,4 ) Né infatti quei tanti e tanto grandi e tanto santi e chiari antistiti di Dio, figli della Chiesa cattolica nell'imparare e padri della Chiesa cattolica nell'insegnare, hanno parlato del peccato del primo uomo e della successione dei mortali soggetta a quel peccato cosí che gli uni dissentissero dagli altri o qualcuno di costoro da se stesso, ma assolutamente cosí che dal loro consenso e dalla loro costanza chiunque li legga con animo non eretico non possa dubitare né che si debba intendere diversamente su questo argomento la santa Scrittura, né che si debba reputare diversa la fede cattolica. Dal peso dei quali già tu stesso sei tanto oppresso da avere intrapreso la difesa dei detti di coloro che tu contraddici come difendibili con una ragione chiara e benevola. Ascoltiamo dunque la tua " ragione chiara e benevola ". Con la quale tua ragione se si difendono quei detti, perché mai partendo da quei detti si scagliano contro di me i tuoi maledici detti? Infatti le affermazioni che detesti e che accusi in me sono assolutamente le stesse che tu difendi nel ragionamento di costoro. Se viceversa non si difendono, ma sotto le apparenze della difesa si accusano ancora piú astutamente, sia lungi da noi considerare questa una " ragione chiara e benevola " ma è piuttosto un'adulazione irrisoria, che viene chiamata difesa, perché non si può tollerare l'offesa delle popolazioni cattoliche che venerano i medesimi personaggi. 113 - Ambrogio e Agostino Giuliano. Si possono difendere, cioè, e perché qualcosa l'hanno detto con troppa semplicità, e perché esplorando problemi di altro genere non hanno avuto la necessità di ovviare alle questioni che nascevano di lato. Poiché infatti hanno spesso lodato il matrimonio e non hanno reputato che una qualche " affezione " sia stata inserita dal diavolo nei corpi, né hanno sottomesso al regno del diavolo le opere divine, cioè le membra naturali, ma secondo l'opportunità hanno esposto le nozze come istituite da Dio e come benedette da lui, e hanno esposto l'arbitrio come libero, è umano giudicare che non stiano nella società della vostra scelleratezza, se nei loro scritti sorprendete la presenza di alcune affermazioni fatte o ambiguamente o negligentemente. Come in proposito non reca alcun pregiudizio alle sante Scritture il fatto che tutte le eresie si riparino e cerchino difesa dietro alcune loro testimonianze, cosí nemmeno sopporteremo che la fama di scrittori cattolici rimanga intaccata da alcune affermazioni scappate a loro un po' incautamente. Né infatti ebbero certo costoro l'intenzione o di condannare le nozze o di negare il libero arbitrio o di piagare l'innocenza: la quale intenzione se l'avessero avuta, non avrebbero corroborato il vostro dogma, ma avrebbero perduto l'onore dell'ufficio. Agostino. O " ragione chiara e benevola " di difendere! Evidentemente con troppa semplicità Ambrogio disse che dalla mescolanza tra maschio e femmina nessuno nasce esente dal delitto, ed esplorando problemi di altro genere, né avendo la necessità di ovviare alle questioni che nascevano di fianco, negligentemente o incautamente infuse nei suoi scritti e nei suoi ragionamenti quello che tu dici veleno manicheo. O loquacissimo uomo, per paura degli uomini tu risparmi l'uomo e non difendi quei suoi detti! Se infatti questi suoi detti si difendono con una " ragione vera ", si difendono certamente con veracità e sono veri: e se è cosí, si asserisce giustamente il peccato originale e si demolisce il vostro dogma. Se viceversa questi detti si difendono con " ragione " falsa, quella tua " ragione chiara e benevola " non è una ragione, ma una trappola. È vero infatti che Ambrogio ha lodato frequentemente le nozze: lo facciamo anche noi. Non ha mai reputato, tu dici, che una qualche affezione sia stata inserita dal diavolo nei corpi: se un'affezione buona, nemmeno noi; se un'affezione cattiva, come lui cosí anche noi. Né ha sottomesso al regno del diavolo, tu dici, le opere divine, cioè le membra naturali: quasi che le membra degli adúlteri non siano opere divine e membra naturali, che tuttavia risultano sottomesse al vizio e per questo vizio al diavolo. Essi, tu dici, secondo l'opportunità hanno esposto le nozze come istituite da Dio e come benedette da lui ed hanno esposto l'arbitrio come libero: cosí anche noi. È umano, tu dici, giudicare che essi non stiano nella società della vostra scelleratezza: anzi è insano che dalla vostra scelleratezza si giudichi che noi non stiamo nella loro società. Tu dici che non reca alcun pregiudizio alle sante Scritture il fatto che tutte le eresie si riparino e cerchino difesa dietro alcune loro testimonianze e vuoi parimenti che agli scrittori cattolici non rechino pregiudizio alcune affermazioni che, come tu ritieni, scappate a loro un po' incautamente, noi obiettiamo a voi. Che altro vuol dire questo se non che anche nelle sante Scritture le testimonianze che gli eretici usurpano a proprio vantaggio sono affermazioni scappate un po' incautamente e quindi non vere? E che si può dire di piú scellerato di questo? Oppure, se quelle affermazioni sono vere, ma non sono intese dagli eretici come sono, questo tuo paragone non ha base di somiglianza, perché, se ammetterai che sono veri i detti o di Ambrogio o di Cipriano o degli altri cattolici che abbiamo riportati contro di voi, firmerai il peccato originale. In conclusione, come noi insieme a costoro e lodiamo le nozze e confessiamo il libero arbitrio e difendiamo l'innocenza, altrettanto tu insieme a costoro di' che i bambini non sono esenti dal delitto: altrimenti noi siamo con loro e tu sei contro di loro. I loro detti infatti tu non li difendi, come avevi promesso, ma li riprendi. Dal tuo dogma appunto, poiché sei costretto ad accusare quei detti e a sostenere che sono falsi, in nessun modo tu sei lasciato libero di offrire alle testimonianze di costoro la difesa che avevi promessa, perché e nell'accusa tenti di fare l'adulatore e nell'adulazione sei sorpreso a fare l'accusatore. 114 - La legge non si annulla con la grazia, ma si adempie Giuliano. Liberamente pertanto immagino e pronunzio che, se uno di essi fosse superstite in questi giorni e vedesse estinto il decoro della disciplina cristiana, oziosa in tutto la libera volontà e smaniosa di attribuire alla necessità quanto commette spontaneamente, e vedesse anche biasimate le opere di Dio e proclamata agli orecchi dei popoli l'eversione della sua legge sotto il pretesto di una grazia inefficace, si sentirebbe mosso contro di voi con tutto il suo fiele e, considerando altresí che il peccato naturale non si può separare dall'empietà manichea, piú apertamente e piú prudentemene difenderebbe la fede cattolica o dopo avervi emendati o dopo avervi condannati. Agostino. Perché mai dopo aver emendato noi e non anche se stessi? Dov'è ciò che avevi promesso d'immaginare e di pronunziare liberamente? Ecco, né è libera la tua vanità, ed è falsa la tua libertà. Hai temuto infatti di dire che, se in questi giorni sopravvivesse Ambrogio, ascoltati voi, emenderebbe prima se stesso e poi noi; ma tu, quasi trepidassi da uomo libero di borbottare questo, l'hai voluto tuttavia far intendere. Ecco a che punto sono arrivati questi giorni: al punto che Ambrogio, se vivesse ora, imparerebbe in questi giorni di essere stato manicheo e di non doverlo essere ulteriormente, udito Giuliano o Celestio o lo stesso Pelagio, ma dovrebbe lasciarsi guarire da questa empia pestilenza affidandosi ai vostri precetti e alle vostre cure. Che spettacolo si offre all'animo di chi ci pensa! Che spettacolo vedere Ambrogio stare in piedi davanti a Pelagio o stare a sedere davanti a lui, se glielo permettesse, e apprendere il nuovo paradiso pieno delle calamità di questo secolo che vediamo patite dai bambini; dove, anche se nessuno avesse peccato, fosse necessario alla carne concupire contro lo spirito e ugualmente allo spirito concupire contro la carne, perché questa non trascinasse ad azioni illecite e turpi: dissenso che Ambrogio era solito dire essersi cambiato nella natura degli uomini a causa della prevaricazione del primo uomo. Ma non oserebbe dirlo piú, sotto maestri come voi! Fosse anche necessario in un tale paradiso alle donne incinte coprirsi di pallore, soffrire lunghi fastidi, gemere e urlare nel parto; ai figli nascere con i diversi vizi delle intelligenze e dei corpi; ai pochi meglio dotati imparare le lettere certo con minore fatica, né tuttavia senza fatica; a tutti gli altri piú o meno tardi, e tanto piú quanto piú tardo fosse ciascuno, o essere massacrati dalle ferule dei maestri o rimanere ignoranti e grezzi; ai " fatui " poi non esser neppure dati ai maestri, ma nutriti per essere pianti o derisi; agli infanti, prima di poter volere o fare alcunché di male, essere assaliti da malattie, tormentati da dolori, curati con medicamenti martorianti, esser perseguitati dai demoni, spirare vinti dalle calamità. Ma se Ambrogio, sopraffatto dall'orrore di questi mali, non volesse credere e rispondesse che, qualora nessuno avesse peccato, tutti questi mali non ci sarebbero stati in nessun modo in quel luogo di tanta beatitudine, dove non poterono nemmeno rimanere dopo il peccato, perché ne furono scacciati, quelli che con la loro prevaricazione avevano provocato questi mali, e che quindi cotesti mali vengono dalla miseria degli uomini, la quale non esisterebbe, se la natura umana, viziata e mutata dal gravissimo peccato del primo uomo, non avesse meritato di propagare un secolo come questo, pieno di tante e di tanto grandi calamità; un secolo dove nemmeno i redenti, benché già in possesso del pegno della salvezza eterna, sono liberi da simili mali, dai quali saranno liberi però quando saranno usciti da questo secolo; se dunque Ambrogio rispondesse cosí, gli verrebbe proibito di fare queste affermazioni dai vostri preclari sillogismi, evidentemente perché, vituperando la concupiscenza della carne e credendo nel peccato originale, non si condannassero le nozze, non si togliesse il libero arbitrio, non si vituperassero le opere di Dio e sotto il pretesto della grazia non si provocasse l'eversione della legge. Non cosí assolutamente, non cosí! Arrossite, o piuttosto tremate nel pensare cosí. Ma anzi, se quel grande vivesse oggi, molto piú veementemente e autorevolmente di noi si opporrebbe a voi in difesa della fede cattolica, in difesa della grazia di Dio e della equità di Dio, dimostrando come non siano ragionevoli le conclusioni che voi ritenete ragionevoli; perché e si può vivere rettamente senza aver bandito e senza aver lodato la cattiva concupiscenza, ma dopo averla frenata; né si accusa il Creatore della natura, quando s'insegna che ha bisogno di essere guarita da lui la natura, che dal suo nemico ha potuto essere viziata e non creata; né si condannano le nozze che fanno un buon uso della vergognosa libidine; né si sopprime il libero arbitrio, ma si mostra per bontà di chi sia libero nel bene; né la legge si annulla con la grazia, ma si adempie. Su questi punti discuterebbe egregiamente quell'egregio dottore e sventaglierebbe sulle vostre facce sfacciate le affermazioni che noi abbiamo già fatte piú sopra nei riguardi del vostro paradiso, affermazioni che seguono veramente il vostro errore e che per tutti gli uomini sono o deridende od orrende come pazzesche e forsennate. 115 - Bontà e vizi naturali Giuliano. Né infatti è diritto di alcuno accettare le premesse e rifiutare le conseguenze. Chi dunque dice che i bambini appartengono al diritto del diavolo per la ragione che vengono generati per mezzo della mescolanza dei sessi, condanna senza dubbio la stessa mescolanza, nella quale c'è l'operazione della natura, e insieme condanna l'istituzione della natura stessa. Agostino. Tu certo vedi cosí, ma che non sia vero ciò che vedi tu, lo vide Ambrogio, il quale disse che non sono esenti dal delitto i nati dall'uomo e dalla donna, cioè dalla mescolanza dei loro corpi né tuttavia egli condanna la stessa mescolanza insieme alla istituzione della natura stessa. La mescolanza appunto dei coniugi allo scopo di procreare è un bene delle nozze. Ma certe operazioni buone non si fanno senza il male dei vizi, cosí come certe operazioni cattive non si fanno senza il bene delle membra. Ma per quanto grandi siano i vizi che deturpano una qualunque natura, la sua istituzione è sempre buona. Infatti come l'istituzione del corpo è buona anche quando nasce un uomo " floscio ", e l'istituzione dell'animo è buona anche quando nasce un uomo " fatuo ", cosí l'istituzione dell'uomo stesso è buona quando egli nasce soggetto al contagio del peccato originale. 116 - La tua fluttuazione tra paura ed empietà Giuliano. Le quali realtà o si negano insieme ambedue o si accettano insieme ambedue, e mentre è in nostro potere la reiezione di entrambe, non è in nostro potere tuttavia l'elezione di una senza l'altra. Se non che il rapporto sessuale può essere piú facilmente accusato di illecita mescolanza per vizio della volontà, difendendo tuttavia la fruttificazione dei semi, che rivendicato dopo averne accusato i frutti. La tua fluttuazione dunque che soffri tra la paura e l'empietà, non varrà a stabilire nuove regole di discussione, per cui di due realtà connesse ne accetti l'una ed escludi l'altra che le aderisce. Pascoleranno leggeri nell'aria i cervi prima di negare l'effetto di cui fu posta la causa. Esercita questo genere letterario l'apostolo Paolo quando scrive: Se i morti non risorgono, neanche il Cristo è risorto. Se il Cristo non è risorto, è vana la vostra fede. ( 1 Cor 15,16 ) Ora però il Cristo è risorto e dunque è certa la futura risurrezione dei defunti. E perché inculchiamo questa stessa verità a vantaggio di chi legge con un esempio piú breve: si dubiti se sia buono ciò che è giusto; io domando se tu confessi che sia onesto tutto ciò che è giusto. Il che concesso, io aggiungo un'altra domanda: se dichiari che sia anche buono tutto ciò che è onesto. Datomi pure questo, io concludo, te volente o nolente: Se è onesto tutto ciò che è giusto, se è buono tutto ciò che è onesto, è quindi buono tutto ciò che è giusto. Chiunque voglia opporsi a questa conclusione dopo le due premesse, non scuote l'edificio della ragione, ma espone se stesso alla derisione. Ora, per riportare il paragone alla nostra causa, si domanda se il peccato sia nella natura. Io ti ho chiesto se tu concedessi che non c'è nessun peccato senza la volontà, e tu hai acconsentito, come attestano i tuoi detti. Ho aggiunto se tu reputassi che in un bambino ci sia la volontà, e hai negato anche questo. Che cosa segue come terza proposizione, se non c'è il peccato senza la volontà? Questa conclusione è tanto certa che non la potrebbero smontare neppure gli Accademici, i quali hanno come loro ricchezza quella di ritenere che nulla sia certo. Tu dunque, negando, dopo aver posto le due precedenti proposizioni, la terza proposizione, nella quale c'è l'effetto delle altre due, non demolisci le fondamenta della ragione, ma tradisci il tuo pazzo furore. Agostino. Ma è mai possibile che tu sia cosí insipiente da reputare che il peccato non sia nella natura, dal momento che il peccato non può assolutamente essere se non nella natura? Infatti o è nell'angelo o è nell'uomo, ed essi sono senza dubbio due nature: se dunque il peccato non fosse in nessuna di queste nature, non sarebbe certamente in nessun dove. E per questo, proponendo la questione se il peccato sia nella natura, avevi inteso insegnare che il peccato non è nella natura: tu intendi dunque, se non sei eccessivamente vano, che vana è stata la tua intenzione e in vano hai posto cotesta questione. Ecco, io demolisco le fondamenta della tua ragione, perché non è una ragione vera, e tuttavia non tradisco, come tu motteggi, il mio pazzo furore, bensí il tuo errore. Concesse infatti le due premesse che tu assumi, io nego la terza proposizione semplicemente perché non c'è in essa l'effetto di quelle due, come pensi tu. In tanto appunto io concedo che non c'è il peccato senza la volontà, in quanto il peccato non può essere commesso senza la volontà. Ma per un'altra ragione invece si dice con esattezza che c'è il peccato senza la volontà, in quanto il peccato permane, finché non sia rimesso, anche cessando la volontà con la quale è stato fatto. Ugualmente io concedo che non c'è il peccato senza la volontà, perché anche il peccato originale non fu fatto senza la volontà di colui dal quale ebbe inizio la stessa origine. Perciò, se oltre a concedere che non c'è il peccato senza la volontà, concedo pure che non c'è volontà nel bambino, da queste due premesse non si conclude alla terza proposizione che nel bambino non ci sia il peccato. Si concluderebbe invece, se, come concedo che non c'è il peccato senza la volontà, cosí concedessi che non ci sia in alcuno il peccato senza la volontà propria di lui. Pertanto il bambino non ha certamente la volontà del peccato, ma non avrebbe il peccato se non nel caso che non avesse peccato con la volontà colui dal quale il bambino ha contratto il peccato. Infatti qualcosa di simile si può dire anche della stessa natività dell'uomo. Se per esempio tu dicessi: Nessuno nasce se non per volontà, non senza ragione te lo concederei. Se invece tu dicessi: Nessuno nasce se non per sua propria volontà, non te lo concederei. In cotesto modo pertanto, poiché trattiamo del peccato del bambino, il peccato originale di lui, cosí come la stessa nascita di lui, non poté essere senza la volontà, ma non la volontà di lui. 117 - Tu parli insensatamente Giuliano. Se dunque quei sacerdoti, dei quali ora dilucidiamo i detti, udissero che si dubita se sia buona la mescolanza coniugale, e se io chiedessi a loro se i corpi siano stati formati da Dio, lo confesserebbero. E dopo questa concessione aggiungerei se ammettessero che le nozze siano state ordinate da Dio. E avutane ugualmente la conferma, chiederei di nuovo se ci fosse la generazione senza la mescolanza. E negato questo, che cosa ne seguirebbe? Evidentemente questo: se non per mezzo di Dio il corpo, se non per mezzo del corpo la mescolanza, se non per mezzo della mescolanza la generazione, al medesimo autore appartengono e il feto e la mescolanza al quale appartengono i corpi. Agostino. Ma è forse questa la questione che si dibatte tra noi: se sia buona la mescolanza coniugale, dato che la diciamo buona e gli uni e gli altri? Che cos'è dunque il tuo sentire cosí cattivo nei riguardi di quei sacerdoti, dei quali non dilucidi i detti, come mentisci, ma li sporchi; cosí cattivo, ripeto, da volerli persuadere, quasi che ne dubitino, di una verità di cui dimostri non dubitare né essi né noi? È buona la mescolanza coniugale che avviene per procreare. Ma Ambrogio, il quale disse che dalla mescolanza dei due sessi nessuno nasce esente dal delitto, non biasimò la mescolanza coniugale, bensí vide il male per il cui buon uso avviene la procreazione, che nessun cattolico dubita sia una buona operazione. Tu parli parole insensate, tu sprechi il tempo in discussioni superflue, tu ti allontani dal tema, tu ti sforzi di dimostrare ciò di cui nessuno dubita, come se qualcuno ne dubitasse o anche lo negasse. Che meraviglia dunque che tu faccia cosí tanti libri, e libri cosí tanto vani? 118 - I fulmini di Giuliano Giuliano. A questo risultato annuirebbero senza dubbio da saggi personaggi cattolici quei sacerdoti, e vedendo che nessun altro all'infuori del vero Dio ha fatto nulla nei sensi della carne, nulla nei feti dei sessi, e vedendo d'altra parte che Dio non ha fatto nulla che fosse un male e che il male non è altro che la mala volontà, peccante senza nessuna costrizione di elementi naturali, pronunzierebbero certamente che i manichei e i traduciani schiantarono per i fulmini corruscanti della ragione cattolica. Agostino. Per quale ragione dunque di coloro che tu dici personaggi saggi e sacerdoti cattolici, mentisci senza nessun pudore di difendere e di dilucidare i detti, se anche da se stessi schiantano per i tuoi fulmini? Se invece sono difesi e dilucidati e per questo rimangono integri i loro detti, sei tu piuttosto ad essere fulminato da essi. Infatti quello che dice Ambrogio, che nessun uomo concepito in forza della mescolanza dei due sessi è esente dal delitto, o è falso o è vero. Se lo dici falso, impugni dunque i detti di personaggi saggi e di sacerdoti cattolici, come tu li confessi; non li difendi, né li dilucidi. Se al contrario, perché siano meritatamente difesi e dilucidati, concedi che sia vero, tu piuttosto sei fulminato dai detti di quegli antistiti cattolici. Com'è dunque che ti vanti e dici che quei beatissimi e dottissimi personaggi, se avessero udito i tuoi sillogismi, avrebbero pronunciato che noi, chiamati da te manichei e traduciani, schiantiamo per i fulmini corruscanti della ragione cattolica? Lo pronunzierebbero quindi contro se stessi e dimostrerebbero che essi stessi schiantarono insieme con noi sotto la tua fulminazione! Perché non hai il coraggio di dire direttamente ciò che mostri di dire obliquamente? In compagnia di Ambrogio noi confessiamo il peccato originale e tu scagli fulmini con tale veemenza che per queste affermazioni, comuni a noi e a lui, noi schiantiamo ed egli è dilucidato! Vano tu sei: non lo distingui da noi, accusi assolutamente e noi e lui, né tuttavia fulmini o noi o lui, se non vuoi violare la testimonianza del tuo dottore Pelagio, il quale disse che nemmeno un nemico osò criticare la fede di Ambrogio e la sua purissima intellezione delle Scritture. Onde nemmeno tu, sebbene ti faccia sufficientemente conoscere come nemico della sua fede e della sua purissima intellezione delle Scritture, osi tuttavia riprenderlo, ma riprendendo me pensi d'indicare che cosa egli dica di male. O uomo confitto e non confesso, una forza prepotente ti costringe ad espirare caliginose ipocrisie; inutilmente fingi l'impeto di una forza fulminante, mentre piuttosto spiri il fumo di un fulminato. Queste sono certamente le prove con le quali ti sforzi d'insegnare ad Ambrogio e agli altri dottori suoi colleghi la non esistenza del peccato originale: il fatto che Dio ha formato i corpi e ha ordinato le nozze, il fatto che non ci sarebbe la generazione senza la unione. Si concedono queste verità, si concedono anche le verità che aggiungi, cioè: Il feto e la mescolanza appartengono al medesimo autore al quale appartengono i corpi, se tuttavia dicendo questo hai voluto far intendere la mescolanza coniugale. Per quanto si conosca che ciò è vero per se stesso e non sia conseguente al tuo ragionamento. Altrimenti, dicendo tu: Se non per mezzo di Dio il corpo, se non per mezzo del corpo la mescolanza; e volendo tu concludere da questo: La mescolanza appartiene al medesimo autore al quale appartengono i corpi, un altro può dire: Se non per mezzo di Dio i corpi, se non per mezzo del corpo l'adulterio, al medesimo autore appartiene l'adulterio al quale appartiene il corpo. Il che tu vedi con quanta offesa si dica di Dio e quanto di male insegnino i tuoi sillogismi. Come dunque non segue che si addebiti a Dio l'adulterio per il fatto che esso non avviene se non per mezzo del corpo di cui è autore Dio, cosí non segue che si attribuisca a Dio la mescolanza sessuale perché non avviene se non per mezzo del corpo di cui è autore Dio. Ma tuttavia noi concediamo che tassativamente la mescolanza coniugale, praticata per procreare, è da attribuire alla istituzione di Dio, non perché sia una verità deducibile dalle tue premesse, ma perché risulta vero per altre considerazioni. Il risultato invece che vuoi ottenere da questo né è conseguente a quelle premesse, né è vero. Infatti né la creazione del corpo da parte di Dio, né l'istituzione divina delle nozze dalla cui unione nasce il feto, né la creazione divina degli stessi feti dei viventi, rendono vero quello che tu aggiungi: Nessun altro all'infuori del vero Dio ha fatto nulla nei sensi della carne, nulla nei feti dei sessi. Dove fece infatti il diavolo il male che fece insieme ai primi uomini se non anche nei sensi della loro carne? Da una mala suasione fu appunto corrotto il senso, quando fu prestato l'assenso a peccare. E dove fece il diavolo tutto ciò che fece di male in seguito al genere umano se non nei feti dei sessi, ossia nei figli degli uomini? Che mai dici poi: Dio non ha fatto nulla che sia male? Non è forse un male per i dannati la geenna? Chi ti crede inoltre quando dici: Il male non è altro che la volontà cattiva, peccante senza nessuna costrizione di elementi naturali? Per tacere degli innumerevoli mali che soffrono contro la loro volontà gli angeli cattivi e gli uomini, non si temerà l'eterno supplizio, il quale ed è il massimo male e non è una mala volontà, ma la pena di una mala volontà? Questi sono i tuoi ragionamenti per i quali reputi che sia un fulmine la tua parola, mentre è cenere il tuo cuore. 119 - Se avessero creduto nei peccati naturali Giuliano. Finiscila dunque d'incriminare personaggi dalla testa sana e antistiti delle Chiese: non si assoggettino a giudizio le loro interpretazioni un po' negligenti. Né infatti merita ira una breve esitazione, ma una pertinace ostinazione. Imitiamo in modo assoluto quel loro zelo con il quale edificarono i popoli esortando, scongiurando, condannando. Avrebbero forse fatto qualcosa di tutto questo, se alla vostra maniera avessero creduto nei peccati non volontari, ma naturali? Agostino. Anche noi secondo le nostre possibilità edifichiamo i popoli esortando, scongiurando, condannando, come fece Ambrogio, e tuttavia sul peccato originale sentiamo e diciamo ciò che sentí e disse Ambrogio, né da solo, ma con gli altri suoi grandi colleghi. I quali antistiti delle Chiese, poiché li dici personaggi dalla testa sana, con quale testa li riprendi tu ferocemente e difendi ipocritamente le verità che essi impararono ed insegnarono con la piú nota concordanza tra loro, e rimproveri me di essere un loro incriminatore, mentre mi vedi loro difensore contro i crimini tuoi che tu opponi ad essi obliquamente? Tu dici: Non si assoggettino a giudizio le loro interpretazioni un po' negligenti; è forse cosí che difendi e dilucidi i loro detti? O piuttosto sotto l'etichetta della negligenza li biasimi e li accusi e senza lasciare dubbi a nessuno condanni quei loro detti che tu dici scappati a loro negligentemente e quindi falsi? Ti preghiamo, se asserisci che sono falsi i detti che difendi, devi asserire che sono veri i detti che riprendi. Non merita ira, tu dici, una breve esitazione, ma una pertinace ostinazione; come se tu fornissi qualche prova a dimostrazione che essi, non dico dopo una breve ma dopo una lunga ostinazione, almeno in fin di vita cambiarono sentenza sul peccato originale. Tu parli parole vane, tu parli parole insane, tu parli parole perverse e avverse alla tua salvezza. Càlmati, ti scongiuro. Perché parli cosí tanto? 120 - Separiamo Ambrogio da voi Giuliano. Ma procediamo a ciò che rimane. Non vale assolutamente nulla che tu dica che attribuisci al diavolo non i corpi, ma i delitti. Sei tutto preso, come abbiamo indicato frequentemente, dalla sola mira di evitare l'odiosità di Manicheo, di cui sprizzi il veleno. I corpi infatti, proprio i corpi, sono assegnati da te al principe delle tenebre, i corpi dei quali professi diabolica la mescolanza, dei quali accusi i genitali, dei quali accusi i movimenti, dei quali accusi i frutti. Tu condanni palesemente per effetto del tuo primo indottrinamento le membra e non i vizi, tant'è vero che dici diabolico ciò che anche Manicheo, come ho documentato dai suoi scritti, si indigna che viga nei sessi. E perché il nostro lettore abbia in un breve riassunto l'essenziale da ritenere, ti dirò: o dimostra l'esistenza della volontà nei bambini, o depenna da essi il crimine. E poiché non lo fai, ma asserisci che essi sono posseduti dal diavolo proprio perché sono stati generati mediante la mescolanza dei corpi, fai capire che attribuisci al potere avversario non i peccati, che non esistono senza la volontà, ma i corpi stessi. Come dunque è naturale ed istituita da Dio quella libidine che si trova e negli uomini e nelle bestie, cosí è stata concepita non meno dalla stoltezza che dalla empietà cotesta libidine che tu soffri nella varietà della tua discussione e che ti sbatte tra dogmi vari e contrari. Non a torto noi dunque separiamo Ambrogio dalla vostra coorte, né lo chiamiamo manicheo come chiedi tu. Agostino. Hai fatto una faticaccia completamente inutile per arrivare a cotesta tua conclusione falsa e ridicola attraverso anfratti lunghi e tortuosi, intriganti e sguscianti; conclusione dove dici: Non ingiustamente voi separate Ambrogio dalla nostra coorte, né lo dite manicheo. Se non dici manicheo lui, nemmeno assolutamente me devi dire manicheo. Ma se reputi di dover dire manicheo me, sei forzato a dire manicheo anche lui e tutti quei grandi e chiari dottori della Chiesa, che sul peccato originale, per il quale mi dici manicheo, dicono senza nessuna oscurità e ambiguità ciò che dico io, come l'ho dimostrato con sufficiente evidenza nel primo e nel secondo dei sei libri pubblicati da me contro quattro dei tuoi. Ma evidentemente Ambrogio rimarrebbe atterrito dalla tua dialettica, se sopravvivesse in questi giorni e, trovando falsa la sua sentenza per le sue false conseguenze, non ardirebbe dire ulteriormente che i bambini nati dalla mescolanza dei sessi non sono esenti dal delitto, per non costituirli a causa di ciò sotto il potere del diavolo: allora dunque, te dottore, smetterebbe di essere manicheo. Oh che perse a non poterti ascoltare! Conseguentemente, poiché è per questo modo di sentire che mi dici manicheo, Ambrogio, perseverando certamente in tal modo di sentire, partí da questa vita manicheo, per tua testimonianza. Non devi dunque difenderlo, perché in nessun modo lo puoi, ma lo devi compatire, perché non lo puoi piú istruire. Il che se tu avessi potuto fare, egli preso dal tuo magistero e compreso di esso, avrebbe certamente proibito nella Chiesa che reggeva di esorcizzare e d'insufflare i bambini battezzandi, perché in tante innocenti immagini di Dio, per nessuna ragione, come asserisci tu, costituite sotto il potere del diavolo, si recasse a Dio stesso tanto grave ed insigne offesa. Il che se tuttavia Ambrogio avesse proibito di fare, sarebbe stato cacciato via con voi dalla Chiesa cattolica. Lungi infatti da me chiamare correzione questa che è piuttosto una circonvenzione. Lungi dunque da un tale signore insistere con voi contro la madre Cattolica, ma invitto egli avrebbe resistito a voi in difesa della Cattolica. Cos'è quindi che ti fa reputare di dovermi separare da lui in questa causa? Che attraverso la mescolanza dei corpi del maschio e della femmina nessuno nasca esente dal delitto lo dico io come lui, né tuttavia attribuisco i corpi alla creazione del diavolo, perché nemmeno lui; come ambedue incolpiamo il vizio della natura, cosí ambedue veneriamo l'autore della natura. Se dire che la concupiscenza della carne, concupiscente contro lo spirito, si è mutata in natura a causa della prevaricazione del primo uomo, questo vuol dire che io accuso le membra e non i vizi, lo ha fatto anche lui; se invece da una fonte c'è l'origine dei vizi e da un'altra fonte c'è l'origine delle membra, né io, né lui accusiamo le membra. Che nei nascenti ci sia una volontà propria né lo dice Ambrogio, né lo dico io; tuttavia che per la volontà prevaricatrice del primo uomo sia stato provocato il vizio della concupiscenza, dal quale coloro che nascono in forza della mescolanza dei sessi traggono il peccato originale, e lo dice Ambrogio e lo dico io. Ambedue quindi assegniamo al potere avversario gli uomini che sono nati, prima che siano rinati, non per la loro sostanza, della quale è creatore Dio, ma per il peccato, entrato a causa di un solo uomo e passato in tutti gli uomini, di cui è ispiratore il diavolo. Come fai a mentire con sfacciatissima faccia dicendo che tu difendi e dilucidi i detti di Ambrogio e di altri simili personaggi? Chi è talmente cieco da non vedere che tu li riprendi e io li difendo, che tu li sporchi e io li dilucido? Sono di Ambrogio che parla del Cristo questi detti: Perciò e come uomo, scrive, fu provato in tutto e a somiglianza degli uomini sopportò tutto, ma come nato dallo Spirito si astenne dal peccato. Ogni uomo infatti è mentitore e nessuno è senza peccato all'infuori dell'unico Dio. Resta dunque evidente che nessuno, venendo dall'uomo e dalla donna, ossia per mezzo di quella mescolanza dei corpi, è esente dal delitto. Chi poi fosse esente dal delitto, dovrebbe essere esente pure da simile concepimento. Cotesti detti tu dici che sono falsissimi e che contengono l'infame dogma manicheo, e perciò tu riprendi e sporchi i detti di Ambrogio. Io invece e li dico apertamente verissimi e dimostro, come ho già fatto, che non soltanto non sono amici di Manicheo, ma anzi gli sono anche nemici; io quindi piuttosto li difendo e li dilucido dalle tue nefande incriminazioni. Se dunque Ambrogio sia nostro o sia vostro lo vedete anche voi; ma poiché avete paura degli uomini che amano Ambrogio, certo vi sforzate ipocritamente di scusarlo, mentre è provato che lo accusate atrocemente. 121 - La gerarchia delle verità Giuliano. Il quale insulto di essere manicheo dici che gli fu fatto da Gioviniano: nel che tuttavia io giudico che tu mentisca. Ma concediamo che almeno di Gioviniano tu possa essere un accusatore vero e che Ambrogio sia stato chiamato manicheo da lui; ma risulta che quella fu una pazzia. Non poteva infatti assolutamente essere chiamato manicheo chi predicava la bontà della natura, chi predicava la volontarietà dei peccati, chi predicava la istituzione divina delle nozze, chi predicava la creazione divina dei bambini. Se dunque Gioviniano considerò la superiorità della verginità come una denigrazione delle nozze, non seppe davvero quello che diceva. Altro è infatti la contrarietà, altro è l'ordine della gerarchia. Lodare il bene è appunto un gradino verso il meglio, ma la diffamazione della natura è la via che porta a Manicheo. Poiché dunque Ambrogio non condannava le nozze, né diceva la mescolanza dei coniugi o un'operazione diabolica o una necessità di peccato, sbagliò Gioviniano ad equipararlo a Manicheo e a reputare che non ci fosse nessuna differenza tra un accusatore delle nozze e un lodatore di esse. Infatti se Ambrogio ha detto che gli uomini, generati dalla congiunzione dei corpi, legittima e istituita da Dio, dopo che hanno cominciato ad avere l'uso di ragione, per iniziativa propria e per l'imitazione dei reprobi, sono stati " mentitori ", non ha voluto tuttavia far apparire questo congiungimento come una menzogna necessaria, ma come segno di universalità. Tale è infatti ciò che ha detto: I figli dei genitori mentiscono, quale sarebbe se avesse detto: Ogni uomo, intendo solamente chi è responsabile del proprio arbitrio, ha qualche volta mentito; sapeva appunto che nessuno esisté senza la mescolanza dei genitori, eccetto il Cristo. Quindi con l'operazione coniugale Ambrogio, da uomo prudente, non volle indicare l'iniquità, ma la generalità. Del Cristo invece dichiarò che evitò ogni menzogna, e lo provò con il miracolo della madre. E questo lo strepita certamente contro Girolamo, di cui tu sei un accolito e che tentò di affibbiare al Cristo esplicitissimamente la menzogna. Non fu dunque giusto chiamare manicheo - se tuttavia è stato chiamato - Ambrogio che contro il vostro errore frequentò la celebrazione delle creature. Agostino. La celebrazione delle creature la frequentiamo anche noi. Cos'è dunque quello che dici: Ambrogio lo fa contro il nostro errore, mentre lo fa secondo la nostra fede? Quale senso poi egli abbia dato alle sue parole che io ho opposte a te e che tu hai avuto paura di ricordare, perché le tue tenebre non fossero accusate dalla chiarissima luce di quelle parole, lo dimostra Ambrogio anche in altri passi dei suoi scritti, non in tal modo che cotesta sentenza appaia quasi sfuggita una volta tanto a lui un po' negligente, come parli tu, e un po' incauto, bensí per dichiarare con una espressione abbastanza fluida il suo dogma sul peccato originale, perché è il dogma cattolico. Perché dunque e secondo quale ragione abbia scritto: Resta quindi evidente che nessuno, venendo dall'uomo e dalla donna, ossia da quella mescolanza dei corpi, è esente dal delitto. Chi poi fosse esente dal delitto, dovrebbe essere esente pure da simile concepimento, poiché qui non volle intendere, come tu favelli, i peccati degli uomini dopo che hanno cominciato ad avere l'uso della ragione, ma il peccato originale, poni attenzione a cosa dica altrove: Il Giordano, dice, voltato indietro significò i futuri misteri del lavacro salutare, per mezzo dei quali i bambini che siano stati battezzati si rinnovano dalla malizia ai primordi della loro natura. Dimmi, Giuliano, da quale malizia, se non contraggono il peccato originale. Ascolta da un altro testo ancora: Infatti il coito virile non ruppe l'intimità della vulva verginale, ma lo Spirito Santo infuse nell'utero inviolabile un seme immacolato. Tra i nati di donna infatti il Signore Gesú, completamente santo, non sentí per la novità di un parto immacolato i contagi della corruzione e li respinse con la sua celeste maestà. Rispondi, Giuliano, quali siano i contagi della corruzione che il Signore Gesú, solo tra i nati da donna, non sentí per la novità di un parto immacolato. Ascolta ancora: Prima che nasciamo, dice, veniamo macchiati dal contagio. E poco dopo: Se non è senza peccato nemmeno il bambino di un giorno, tanto meno sono senza peccato quei giorni della concezione materna. Molte simili testimonianze potrei citare di quest'uomo, che tu hai confessato essere stato di " testa sana ". Ma a chi non bastano coteste testimonianze che cosa basta? Da quelle testimonianze dunque capisci come non ti sia permesso distorcere e pervertire in altro senso, come hai tentato di fare, nemmeno le parole che Ambrogio ha detto nei riguardi di coloro che nascono attraverso la mescolanza dei corpi, non accusando la creatura di Dio, ma il peccato originale. Perché mi metti davanti Girolamo, del quale mi rimproveri come seguace e sulle cui parole non c'è ora nessuna questione? Le quali parole tuttavia, se tu le avessi riportate, o dimostrerei che non contengono nulla che debba dispiacere, o le lascerei spiegare a persone piú intelligenti di me, o se fossero indubbiamente contrarie alla verità le disapproverei con la libertà degna del caso. Guarda ad Ambrogio che non osi dire manicheo, mentre dici manicheo me, perché dico del peccato originale esattamente ciò che dice lui. Poiché infatti, se tu non dicessi manicheo Ambrogio per il fatto che predicava la bontà della natura, la volontarietà dei peccati, l'istituzione divina delle nozze e la creazione divina dei bambini, nemmeno me diresti manicheo, perché predico fedelmente le medesime verità. Se viceversa reputi di dovermi dire manicheo per il fatto che confesso l'esistenza del peccato originale, anche lui la confessa: perché non ambedue reputi doverci dire manichei? Ma me mi dici manicheo arrogantemente, lui lo pensi manicheo segretamente, non per distinzione della verità, ma piuttosto per estinzione della tua libertà. Di lui infatti non osi dire ciò che osi credere. O se non lo credi di lui, certamente non lo credi neppure di me, perché, sebbene tu ci stimi in errore, ti è facile tuttavia vedere che non siamo manichei noi che non asseriamo in chi pecca la presenza di una sostanza propria di chi pecca, non creata da Dio, ma sosteniamo che il peccato originale si è propagato da un vizio volontario della natura, che Dio creò buona. Ti è facile dunque vedere questo e insieme vedere che noi siamo contrari ai manichei; ma il loro nome lo tieni lontano da Ambrogio adulando e lo butti in faccia a me calunniando. 122 - Meglio di te è Gioviniano Giuliano. Ma Gioviniano, come è colpevole di essere nemico di Ambrogio, cosí è assolto se si paragona a voi. Quando mai infatti la censura dei sapienti riconoscerà a te tanto da poterti mettere alla pari del merito di Gioviniano? Egli appunto disse che c'è la necessità del bene, tu del male; egli affermò che per mezzo dei misteri gli uomini sono tenuti lontani dall'errore, tu al contrario dici che non vengono liberati nemmeno per mezzo della grazia; egli dissolse la verginità di Maria per la condizione del parto, tu per la condizione del nascere assegni al diavolo la stessa persona di Maria; egli uguaglia il meglio al bene, cioè l'integrità al matrimonio, tu invece chiami morbosa la mescolanza coniugale e disprezzi la castità valutandola solo in confronto al comportamento piú turpe: né aggiungi un gradino tra loro, confondi invece ogni genere, anteponendo la verginità non certo al bene, ma al male. Ora, è di una svalutazione estrema ciò che non può piacere se non a confronto dell'orrido. In effetti quali ingiurie ha recato Gioviniano a Dio che siano pari alle tue? Egli volle attenuare il vigore del giudizio di Dio dalla parte della benignità, tu dalla parte della malignità: egli dice che presso Dio i buoni e gli ottimi godranno lo stesso onore, tu invece che i buoni e gli empi, ossia gli innocenti e il diavolo, saranno torturati da un unico supplizio. Egli dunque vuol far apparire Dio clementissimo, tu iniquissimo; egli dice che gli uomini iniziati ai misteri di Dio non possono peccare, tu al rovescio sostieni che Dio stesso pecca, e nei misteri per inefficienza, e nei precetti per eccessiva esigenza, e nei giudizi per disumananza. E cosí, poiché tra te e Gioviniano c'è tanta dissomiglianza quanta somiglianza c'è tra te e Manicheo, tanto piú tollerabile di te si trova Gioviniano quanto piú orrido di Gioviniano si trova Manicheo. Agostino. Quanto ti sembri gentile quando, confrontandomi con Gioviniano, tenti di dimostrarmi peggiore di lui! Ma io godo di ricevere da te in compagnia di Ambrogio anche questa mendacissima ingiuria; mi rattrista però che tu sragioni cosí. La causa appunto per cui mi dici peggiore di Gioviniano è precisamente la stessa per cui mi dici anche manicheo. E qual è? Evidentemente quel peccato originale, che voi negate con Pelagio e noi al contrario confessiamo con Ambrogio. Con questo quindi, secondo voi, noi siamo e manichei e peggiori di Gioviniano. E tutto ciò che di altro diciate che noi siamo con bocca proterva, né certamente veridica ma maledica, il Signore ci ha insegnato a rallegrarci ed esultare, quando udiamo tutte le maledizioni possibili, non da parte della verità, ma perché combattiamo per la verità. ( Mt 5,12 ) Ecco, io non dico che ci sia la necessità del male, perché neppure Ambrogio, e tuttavia io dico che i bambini vengono rinnovati dalla loro malizia: ciò che dice anche Ambrogio. E per questo non c'è nessuna necessità del male, perché è sanabile da Dio anche il male che trae la natività; quanto piú il male che aggiunge la volontà! Non dico che gli uomini non vengono liberati nemmeno per mezzo della grazia: il che è ben lungi dal dirlo Ambrogio. Ma diciamo ciò che tu non vuoi: che gli uomini non sono liberati se non per mezzo della grazia, non solo perché siano rimessi a loro i debiti, ma anche perché non siano indotti nella tentazione. Non assegniamo Maria al diavolo per la condizione del nascere, ma per questo: perché la stessa condizione del nascere è risolta dalla grazia del rinascere. Non anteponiamo la verginità alle nozze come il bene al male, ma come il meglio al bene. Non diciamo, come tu ci calunni, che i buoni e gli empi devono essere tormentati da un unico supplizio, ma diciamo che i buoni da nessun supplizio, mentre gli empi non da un unico, ma da diversi supplizi secondo la diversità dell'empietà stessa. Non diciamo che Dio pecca nei misteri per insufficienza, nei precetti per eccessiva esigenza, nei giudizi per disumananza: perché e i misteri di Dio sono utili ai rigenerati dalla grazia, e i precetti di Dio sono salutari ai liberati dalla grazia, e i giudizi di Dio sono convenientemente distribuiti ai buoni e ai cattivi. Ecco, noi allontaniamo da noi tutti gli errori dove voi ci dite peggiori di Gioviniano; voi allontanate da voi, se potete, gli errori in cui dimostrerò che siete peggiori dello stesso e medesimo Gioviniano. Egli disse che c'è la necessità del bene, voi dite che è buona la cupidità del male. Egli afferma che per mezzo dei misteri gli uomini vengono tenuti lontani dall'errore, voi dite che la cupidità di camminare sulla retta via non è ispirata da Dio, ma è procurata dal libero arbitrio. Egli dissolve la verginità di Maria per la condizione del parto, voi uguagliate a tutta l'altra carne umana la stessa carne santa procreata dalla Vergine, non distinguendo la carne somigliante alla carne del peccato dalla carne del peccato. Egli mette sullo stesso piano il meglio e il bene, cioè l'integrità e il matrimonio, voi il male e il bene: dite infatti che la discordia tra la carne e lo spirito è un bene come lo è la concordia delle nozze. Egli dice che presso Dio avranno uguale onore i buoni e gli ottimi, voi al contrario dite che alcuni tra i buoni non solo non conseguiranno nessun onore nel regno di Dio, ma non vedranno nemmeno il regno di Dio. Egli dice che gli uomini iniziati ai misteri di Dio non possono peccare, voi dite che gli uomini per mezzo della grazia di Dio possono certo piú facilmente non peccare, ma possono non peccare anche senza la grazia, per mezzo del libero arbitrio; ribellandovi voi cosí con audacia gigantesca a Dio, il quale parlando dei buoni frutti dice: Senza di me non potete fare nulla. ( Gv 15,5 ) Mentre dunque tanto distate in peggio dall'errore di Gioviniano, tuttavia mettete noi al di sotto di lui e ci pareggiate piuttosto a Manicheo. Vi siete proprio ben protetti: viene fatto di pensare che abbiate fondato un'eresia nuova, perché quando vi accusiamo non abbiamo la possibilità di equipararvi a nessun altro gruppo di eretici. Tuttavia in questa causa, nella quale sembra che io debba essere tanto detestato da te riguardo al peccato originale e allineato piuttosto a Manicheo, mi trovo, lo voglia tu o non lo voglia, in compagnia di Ambrogio, che Gioviniano diceva manicheo, come fai tu: ma lui scopertamente, tu subdolamente. Inoltre Gioviniano è vinto una volta sola, quando si dimostra che Ambrogio non è manicheo; tu invece, poiché hai voluto avere un cuore doppio, sei vinto due volte. Accusi Ambrogio di essere manicheo e io dimostrerò che non lo è. Neghi di accusarlo e io dimostro che lo accusi. Ma l'una e l'altra verità si farà chiara a chi leggerà quanto Ambrogio ha detto piú sopra. 123 - Un testo del libro della Sapienza Giuliano. Ma vediamo anche tutto il resto. Da quanto abbiamo fatto finora reputo che il lettore sia stato messo piú che sufficientemente in condizione di giudicare con quale validità costui o confuti qualche punto dei miei detti o difenda la sua opinione, e perciò non sarà necessario dimostrarlo con la ripetizione di tutti gli scritti. Poiché, proponendosi egli dal mio libro appena delle righe isolate e sparse e ritornando frequentemente su di esse, mi stuzzica qualche volta anche con una brevissima stoccata, sebbene tuttavia ciò che reputa di dover mordere non sia stato proferito da me cosí come sospetta lui. Per questa ragione indirizzo il lettore a quella mia opera: vedrà che la mia asserzione risponde a verità. Evidentemente, costui, il quale si lamentava che gli fosse stato obiettato di condannare la natura e i semi, non ha potuto mantenere per lungo tempo la pazienza di fingere, ma dopo che con i trucchi del suo patrono ha rasserenato gli orecchi, mette fuori la testa come una testuggine. Infatti, avendo detto che se Adamo non avesse peccato gli uomini avrebbero potuto generare alla stessa maniera in cui siamo soliti o muovere le articolazioni o tagliarci pezzetti di unghia, ha aggiunto: Ma se il seme stesso non ha nessuna maledizione, perché sta scritto nel libro della Sapienza: " Non ignoravi che la loro razza era perversa, che la loro malizia era naturale e la loro mentalità era per sempre immutabile, perché era un seme maledetto fin da principio "? ( Sap 12,10-11 ) A tale testimonianza, da lui citata, fa seguito questo commento: Di chiunque lo dica, lo dice certamente di uomini. Ecco, colui che confessava di aver rotto con gli amori dei manichei, alla prima occasione di una sentenza che non ha capito, pronunzia maledetto il seme, naturale la malizia, inconvertibile la mentalità degli iniqui! È fama che presso le cateratte del Nilo per lo strepito del salto delle acque gli abitanti abbiano perso l'udito. Anche se fosse un'invenzione della fantasia che tende ad ingrandire ancora di piú le cose già grandi, l'esempio vale tuttavia a castigare la sordità degli insipienti, i quali per il fragore di un terrore vicendevole resistono come aspidi sorde alle voci della realtà. Grida Agostino: La razza degli uomini è perversa, è naturale la malizia, è immutabile per sempre la mentalità, è maledetto il seme fin da principio. E si trovano ancora in ogni luogo persone che pretendono che egli non sia stato segnato dal marchio di Manicheo! Si interroghino oggi tutti coloro che sono seguaci pubblici di queste porcherie: se essi diranno diversamente, si giudichi che noi abbiamo mentito. In conclusione, se è naturale la malizia, in che modo tu fingi di non pronunziare cattiva la natura? Se il seme è maledetto fin da principio, in che modo tu dici di accusare i vizi delle volontà e non i vizi dei semi? Se è immutabile la mentalità dei malvagi, com'è che spergiuri di confessare il libero arbitrio? A meno che non ti riservi di dire che erano manichei quegli ebrei, Sirach o Filone, che con incerta opinione si credono autori dello stesso libro della Sapienza. Agostino. Chiunque sia stato l'autore di questo libro, bene che tu non rifiuti la sua autorità! È quindi un libro adatto a prendere da esso le testimonianze che vi possiamo trovare contro di voi. Tant'è vero che anche il vostro dottore Pelagio, nel libro che pubblicò con il titolo di Testimonianze o di Capitoli, citò da codesto libro i passi che credé convenienti al suo intendimento. L'autore del qual libro, ancora di piú perché non era manicheo, dimostra sufficientemente ed apertamente che anche da coloro che non sono manichei e che hanno meritato di essere letti e accolti nella Chiesa del Cristo, si poté dire naturale la malizia senza nessuna riprensione della istituzione di Dio e della creazione di Dio, sapientissimo e buonissimo creatore di tutte le nature. Onde non in senso diverso fu inteso pure l'Apostolo dove disse: Anche noi del resto eravamo un tempo per natura meritevoli d'ira, come gli altri. ( Ef 2,3 ) Il quale testo alcuni, non " ad verbum " ma a senso, lo hanno interpretato cosí: Anche noi fummo una volta " naturaliter " meritevoli d'ira. L'inciso come gli altri indica che tutti sarebbero per natura meritevoli d'ira, se la grazia divina non separasse alcuni di loro dalla massa della perdizione. Anche l'apostolo Pietro dunque, parlando degli esclusi da questa grazia, dice: Sono come animali irragionevoli, procreati per natura ad essere presi e distrutti. ( 2 Pt 2,12 ) Essi appunto non deponevano l'uomo vecchio. Ma se ogni uomo non nascesse vecchio, nessun bambino ritornerebbe nuovo rinascendo. Non si pensi dunque che si rechi offesa al Creatore dicendo che gli uomini sono naturaliter meritevoli d'ira, allo stesso modo che senza nessuna offesa di Dio si dice che uno è sordo naturaliter o cieco naturalmente o malato naturalmente, e anche che un altro è naturalmente stolto, un altro naturalmente smemorato, un altro naturalmente iracondo, e cosí via per tutti gli altri innumerevoli vizi, sia dei corpi, sia degli animi - il che è piú grave -, creati dall'arte di Dio e viziati per un occulto ma giusto giudizio del medesimo Dio. Lo stesso e medesimo Dio è appunto il creatore di tutto l'uomo, e tuttavia, sebbene l'uomo sia una natura di cui lodare Dio, in nessun modo tuttavia l'uomo " vizioso " è una natura di cui vituperare Dio. Sappiamo pertanto che a Dio creatore non si devono attribuire i vizi, bensí le nature: ma donde siano i vizi deve dirlo chi vuol resistere a Manicheo. E certamente nei riguardi dei vizi degli altri esseri che confessiamo creati da Dio, ma assoggettati per sua sapientissima disposizione agli angeli, sia buoni, sia anche cattivi, è facilissimo rispondere che dagli angeli, ai quali sono sottomessi, possono essere viziati anche i loro semi, cosí non solo da diventare " viziosi ", ma anche da essere concepiti " viziosi " e nascere " viziosi ". Dell'uomo si tratta, dell'animale ragionevole, della immagine di Dio, la cui natura non diventerebbe in nessun modo ludibrio del diavolo, che meritamente crediamo autore dei vizi, se non per un giusto giudizio di Dio a causa del peccato originale. Inoltre nemmeno voi stessi, per quanto penso, osate dire, benché questa assurdità tanto crudele tenga dietro al vostro dogma, che nel paradiso sarebbero sorti i vizi naturali tanto numerosi e tanto grandi, se, non peccando nessuno, fosse continuata quella felicità della natura umana, nella quale fu creata. Ma voi, negando il peccato originale, contribuite senza dubbio a che si introduca una natura non creata da Dio, dalla cui mescolanza vengano i vizi degli uomini con i quali essi nascono. O perversi eretici! Voi siete i collaboratori dei manichei, voi siete i calunniatori dei cattolici accusandoli di essere manichei, voi di tutti i cattolici che concordemente dicono contro di voi le medesime verità, di alcuni siete contenziosi incriminatori, di altri siete subdoli adulatori. 124 - Non attesta il peccato originale Giuliano. Si aspetterà forse ora il lettore di sapere come si debba intendere questo testo. Che certamente non stia dalla parte della traduce del peccato, né dalla parte dell'opinione dei manichei, lo indica colui stesso che ne era stato l'usurpatore. Scrive infatti: Di chiunque lo dica, lo dice di uomini, perché certamente se lo dicesse del peccato naturale, non parlerebbe di "chiunque ", bensí di tutti gli uomini. L'opinione appunto dei Manichei infama universalmente la natura di tutti quanti i mortali, la sentenza invece di cui discutiamo riceve anche dallo stesso suo plagiatore la testimonianza di essere stata proferita non contro tutti gli uomini, ma contro alcuni. Dal che risulta che quella sentenza, la quale non colpisce tutti ma soltanto molti, non ebbe nulla a che vedere con la traduce del peccato. Perciò, dimostrato che nulla in quella sentenza riguarda quell'empia opinione della traduce del peccato, si affermi con il suffragio dello stesso libro il senso sano di colui che ha scritto quella sentenza. Egli parla cosí a Dio: Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi; non guardi ai peccati degli uomini in vista del pentimento. Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? u risparmi tutte le cose, perché tutte sono tue, Signore che ami le anime. Poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose. Per questo tu castighi poco alla volta i colpevoli e li ammonisci ricordando a loro i propri peccati, perché, lasciata la malizia, credano in te, Signore. ( Sap 11,24-12,2 ) Agostino. In che modo ha compassione di tutti Dio, mentre un'altra Scrittura dice: Non perdonare a quanti compiono il male, ( Sal 59,6 ) se non perché anche negli uomini a cui Dio non perdona ci sono tutti gli uomini, nel senso che ci sono tutte le categorie degli uomini, allo stesso modo che è stato detto: Voi pagate la decima di ogni erbaggio, ( Lc 11,42 ) intendendo ogni genere di erbaggio? Che ti giova poi il fatto che la Scrittura del libro della Sapienza non parli di tutti gli uomini, dove dice che la loro malizia era naturale? Non è infatti che parlando solo di alcuni e non di tutti gli uomini, abbia fatto con questo anche capire che ci fossero uomini diversi, dal momento che l'Apostolo dice: Anche noi eravamo un tempo per natura meritevoli d'ira, come gli altri. ( Ef 2,3 ) Ma in quel tempo gli Israeliti, non tutti però, bensí gli Israeliti pii, li distingueva da quelli di cui è detto: La loro malvagità era naturale, non la natura, bensí la grazia, e per questo furono chiamati anche figli di Dio. Bisogna vedere anche in che senso sia stato detto: Tu ami tutte le cose esistenti, poiché esistono anche gli iniqui; e altrove è scritto: Tu detesti tutti coloro che fanno l'iniquità. ( Sal 5,7 ) Ama dunque Dio anche gli iniqui in quanto sono uomini, li detesta in quanto sono iniqui, li condanna perché iniqui, li fa esistere perché uomini: Nulla disprezzi, dice, di quanto hai creato. Ama dunque Dio gli uomini fino al punto di amarli come uomini anche quando sono iniqui, sebbene detesti che siano iniqui. E perciò gli iniqui che Dio detesta, e sono uomini perché Dio ama la sua arte, e sono miseri perché Dio ama la sua giustizia. 125 - Un amore diverso Giuliano. Ti accorgi o no quanto sia ostile alla vostra opinione la gratitudine del lodatore di Dio? Egli dice che Dio crea le anime e le ama: il che è negato da voi che giurate che le anime degli innocenti stanno sotto il diavolo e sono odiose a Dio, pur non avendo altro che quanto hanno ricevuto in sorte dal loro autore. Agostino. Dunque secondo te è vero che anche la fatuità la ricevono in sorte da Dio loro autore tutti coloro che nascono fatui e che la sacra Scrittura dice da compiangere piú dei morti. ( Sir 22,13 ) Ma anche di costoro Dio ama senza dubbio in qualche modo le anime, cioè perché esistano, perché vivano, perché sentano, perché superino comunque le bestie, sebbene siano anime ottuse di mente. Ma diverso è quell'amore di cui è scritto: Nessuno Dio ama se non chi vive con la sapienza. ( Sap 7,28 ) Dite voi però per qual motivo Dio ami di piú le anime dei bambini ai quali provvede il lavacro della rigenerazione per mandarli nel regno, e per quale motivo non presti questo beneficio agli altri, quando non ci sono meriti delle volontà a distinguerli, né presso Dio c'è preferenza di persone, che voi siete soliti rinfacciarci stupidissimamente. Sebbene dove è stato detto: Ami le anime, né è stato detto: Tutte le anime, non c'è questione. Forse è stato detto cosí nel senso che Dio crea tutte le anime, ma ama soltanto quelle che distingue dalle altre, non per i loro meriti, bensí per la generosità della sua grazia, perché vivano con la sapienza, essendo scritto: Nessuno Dio ama se non chi vive con la sapienza; ma il Signore dà la sapienza! ( Pr 2,6 ) 126 - Proprio noi Giuliano. Anche il pentimento, che il libro della Sapienza afferma dato da Dio, non è accolto dal vostro dogma, il quale contiene il male naturale e una nequizia che non conosce mutamento. Agostino. Al contrario siamo proprio noi a dire contro di voi che Dio dà pure il pentimento, perché, sebbene ciascuno faccia la penitenza con la volontà, anche la volontà è preparata dal Signore, ( Pr 8 sec. LXX ) e questo è il mutamento della destra dell'Altissimo, ( Sal 77,11 ) che fa risuonare il Salmo santo; e perché per far piangere Pietro il Signore lo guardò. ( Lc 22,61-62 ) Onde un suo coapostolo afferma di taluni: Nella speranza che Dio voglia concedere a loro il pentimento. ( 2 Tm 2,25 ) E che si dica immutabile la malizia va inteso che essa è immutabile per l'uomo, che non la può mutare; non per la potenza di Dio, che può tutto. 127 - Si possono perdere anche gli elementi naturali Giuliano. Che poi il libro della Sapienza abbia ricordato che Dio ammonisce i peccatori perché lasciata la malizia, credano in lui, sovverte completamente l'opinione del male naturale, perché è certo che non si possono lasciare gli elementi congeniti. Agostino. Si possono lasciare anche gli elementi congeniti, ma quando ciò lo opera nell'uomo l'Onnipotente; infatti anche la corruzione è congenita al corpo, il quale tuttavia sarà incorruttibile. 128 - La punizione dei Cananei Giuliano. Da qui, dopo aver esposto la pazienza di Dio e la sua mitissima amministrazione, per la quale non vuole la morte di chi muore, ma vuole soltanto che si converta e viva, continua a provare anche per mezzo di esempi quanto aveva detto, e fa menzione di coloro che vivendo pessimamente nella terra di Canaan avevano acceso cosí l'ira dell'Onnipotente, che essa incombeva su loro per un giustissimo castigo con i trionfi degli Israeliti, viventi già sotto la legge di Dio: Tu odiavi gli antichi abitanti della tua terra santa, perché compivano delitti a te ripugnanti: pratiche di magia e sacrifici ingiusti. Questi spietati uccisori dei loro figli li hai voluti distruggere per mano dei nostri antenati, perché ricevesse una degna colonia di figli di Dio quella regione che ti è piú cara di tutte. ( Sap 12,3-7 ) Attesta l'autore sacro per quale ragione abbia voluto Dio far perire le sette nazioni, distrutte le quali quasi al completo, la terra promessa fu data agli Israeliti. Ossia, perché non sembrasse che nell'unica natura comune agli uomini ci fosse presso Dio differenza per qualche preferenza personale, lo scrittore sacro sottolinea la ragione per cui i Cananei meritarono di esser distrutti. Dice dunque: Tu odiasti gli antichi abitanti della tua terra santa. Per quale motivo? Certo secondo te avrebbe dovuto soggiungere: Perché erano stati generati da una mescolanza diabolica, perché erano posseduti dal principe delle tenebre, perché Adamo appestò tutti coloro che sarebbero venuti dalla sua stirpe. Invece nessuno di questi motivi: ma quale causa rende dell'odio? Solamente le opere commesse per mezzo della libera volontà: Li odiavi, dice, perché compivano delitti a te ripugnanti. Ma perché non ignorassimo quali fossero i delitti e tu non chiamassi quei misfatti delle genti concupiscenza genitale, espone le specie stesse del loro operare: Compivano pratiche di magia e sacrifici ingiusti, uccidendo spietatamente i propri figli. Cioè praticavano riti magici e sacrifici che erano ingiusti, perché venivano offerti agli idoli, con disprezzo verso il culto del Creatore, e a tali sacrilègi destinavano gli stessi parenti piú stretti, per placare i demoni anche con la disumanità dei parricidi. Vedi pertanto come non si parli del crimine inventato da Manicheo, cioè del crimine che aderisce per natura a tutti i mortali, questo scrittore sacro, il quale ricorda che i Cananei avevano offeso Dio soprattutto perché non si astenevano nemmeno dalle stragi dei loro bambini. La morte dei quali non ritornerebbe certo ad odio dell'uccisore, se a causa di un unico peccato dispiacesse a Dio e il parricida e il figlio. Agostino. Tu parli in cotesto modo come se tutti gli uomini venissero puniti per un qualche genere unico di peccato, o come se noi dicessimo che solo per il peccato originale sono meritevoli d'ira coloro che hanno età già grandi. Chi non crede nel Figlio, come dice il Figlio stesso, non avrà la vita, ma l'ira di Dio incombe su di lui. ( Gv 3,36 ) Alcuni però sono peggiori di altri e sopra di loro incombe certamente un'ira divina piú grande. Né tuttavia vengono tutti abbattuti e distrutti alla stessa maniera dei Cananei di cui stiamo parlando e che erano in possesso della terra che fu data agli Israeliti. Cos'è dunque quello che dici: Vedi pertanto come non si parli del crimine inventato da Manicheo? Dove tu vuoi far intendere il peccato originale, che non inventa Manicheo, ma che, alla pari di tutti gli altri cattolici, confessa Ambrogio e contro di voi e contro Manicheo, perché non è la mescolanza di una natura diversa che introduce Manicheo, ma è la depravazione della natura nostra a partire dal peccato, che entrò nel mondo a causa di un solo uomo e passò in tutti gli uomini: peccato che voi negate contro la fede cattolica. Sei davvero cieco a tal punto da non vedere che, se il peccato originale non c'è, per la ragione che non è stato ricordato qui, nemmeno saranno peccati gli altri peccati che non sono stati ricordati qui, siano piú piccoli di essi o siano piú grandi? Forse per questo non furono distrutti i Sodomiti, perché di essi non è stato detto che praticassero magie e sacrifici di parricidio? Oppure cotesti Cananei per questo non furono distrutti perché di essi non è stato detto che commettevano atti ignominiosi, maschi con maschi? Comunque però non è stato taciuto che la loro malizia era naturale. La quale malizia è senz'altro di tutti gli uomini, ma minore in alcuni e maggiore in altri; come i corpi di tutti sono corruttibili, ma appesantiscono alcune anime di meno e altre anime di piú, secondo la diversità dei giudizi di Dio, occulti, sí, ma indubbiamente giusti. Che c'è dunque da meravigliarsi se nell'esporre la causa per cui si era rovesciata su di loro tale punizione, è stata ricordata non solo la loro malizia volontaria, ma anche la malizia naturale, alla quale, oltre al contagio comune del genere umano, si era aggiunto qualcosa in piú per la maledizione profetica - il santo patriarca Noè maledisse infatti il suo nipote Canaan, progenitore dei Cananei ( Gen 9,25 ) -, una maledizione certamente non ingiusta, ma alla quale fosse soggetta nella prole la gente cananea per obbligazione di successione? Il che apparisce pure nei loro bambini, i quali insieme ai loro genitori e per espresso comando di Dio furono distrutti senza esclusione di nessuna età, ( Dt 2,34 ) poiché i loro antenati avevano recato offesa a Dio principalmente con l'abitudine di libare ai demoni il sangue dei loro piccoli. Né Dio comandò che i medesimi bambini fossero risparmiati, anzi comandò che non fossero assolutamente risparmiati. Da qui intendi il seme maledetto fin da principio: né infatti oserai dire ingiusto colui che lo comandò. Il che se ti fosse venuto in mente, non separeresti l'innocenza dei figli dall'empietà dei genitori per il fatto che i genitori avevano offeso Dio soprattutto perché non si astenevano nemmeno dalle stragi dei loro bambini. La morte dei quali, tu dici, non ritornerebbe certo ad odio dell'uccisore, se a causa di un unico peccato dispiacesse a Dio e il parricida e il figlio. Né vedi che gli uccisori dei figli dispiacquero cosí a Dio da comandare egli comunque che fossero uccisi con essi anche i medesimi figli. Né infatti, poiché i genitori con estrema empietà immolavano ai demoni anche i figli, per questo non sarebbero dovuti ugualmente perire, come avvenne, i medesimi figli, non per un misfatto umano, ma per un decreto divino, sicuramente giusto, sebbene occulto, quale seme maledetto. Tu non sei attento a questi fatti, mentre sei trascinato dalla eloquenza senza la sapienza e, abbandonato dal lume della verità, vuoi abbondare del fiume della vanità. 129 - Piú vero d'ogni altra verità: non esiste il peccato originale Giuliano. Ma anche con loro, perché uomini, dice la Sapienza, fosti indulgente, mandando a loro le vespe come avanguardie del tuo esercito, pur potendo in battaglia dare gli empi in mano dei giusti; ma colpendoli a poco a poco lasciavi posto al pentimento. Con i pinzi delle mosche, dice, stimolavi anche quegli stessi sacrileghi ad avvertire la tua potenza punitrice dal gioco di quel loro flagello. Ma dopo che per il disegno di Dio e per il genere di quel castigo si resero manifesti i peccati volontari, di cui si attendeva invece e si chiedeva il rigetto, allora finalmente contro la supina empietà dei puniti insorge l'invettiva dell'agiografo e dice che essi presero tanta familiarità con i crimini da farli sembrare in qualche modo congeniti. Non ignoravi, dice, che la loro razza era perversa, che la loro malvagità era naturale e la loro mentalità era per sempre immutabile, perché era un seme maledetto fin da principio. Non certo per timore di alcuno lasciavi impunite le loro colpe. ( Sap 12,8-11 ) Mentre tu, dice, con tanta benevolenza, con tanta pazienza, e hai indulto un tempo di pentimento e hai inflitto un preavvertimento per affermare una giustizia e una misericordia che fossero lontane da ogni critica e da ogni sospetto di crudeltà; essi tuttavia disprezzarono i tuoi avvertimenti, come avevano disdegnato i tuoi precedenti benefici, quasi volessero dimostrarsi discendenti di quel Cam, contro il quale il beato Noè, dopo la derisione della sua nudità, scagliò maledizioni con la sua censura patriarcale. Che c'è dunque di strano se, colpito dalla severità della sentenza divina, meritata dalla ostinazione troppo grande di costoro, lo scrittore ha ricordato ad infamia i posteri che non desistevano dalla emulazione, dato che frequentemente nella Legge l'imitazione viene redarguita anche con i vocaboli della parentela dei posteri? Cosí appunto il Signore dice ai Giudei nel Vangelo: Voi avete per padre il diavolo. ( Gv 8,44 ) E si legge che Daniele contro gli sporchi anziani, che tuttavia venivano dalla stirpe d'Israele, inveí alla stessa maniera dicendo: Razza di Canaan e non di Giuda. ( Dn 13,56 ) Anche il profeta Ezechiele rimbrotta cosí il popolo di Gerusalemme: Vostra madre era una Hittita e vostro padre un Amorreo. ( Ez 16, 3.45 ) C'è dunque quest'uso che alla condanna della volontà si accompagni la diffamazione della stirpe e si renda evidente che la volontà è troppo attaccata al crimine, quando per il merito di essa soffrono offesa anche i semi. Ma questo medesimo uso si osserva anche dalla parte del bene, cosicché quando un uomo apparisce buono in tutto e per tutto si dice che egli fiorisce di virtú congenite. Onde anche il beato Giobbe afferma di avere succhiato dalle mammelle il sentimento di compassione che gli faceva soccorrere gli indigenti e afferma anzi che esso era uscito con lui dal ventre materno. ( Gb 31,18 ) Nulla dunque può recare pregiudizio alle verità evidenti: né una similitudine, né una iperbole, né un bisenso. Poiché, essendo certo che mai si chiede ai mortali la correzione degli elementi naturali e comandando invece Dio agli uomini di desistere dal male, si prova piú vero di ogni verità che non può esserci il peccato naturale. Agostino. Reputasti certamente di avere spiegato le parole del libro della Sapienza, ma non ti si lascia la libertà di eluderle con le parole della tua insipienza. Apparisce sufficientemente infatti ed è chiaro in che modo quella razza sia stata detta iniquissima e sia stata detta naturale la sua malizia, in che modo anche sia stata chiamata seme maledetto fin da principio. Se infatti, come tu reputi, ciò fosse stato detto a causa della emulazione, ossia della imitazione con cui imitarono il loro antenato Cam, maledetto dal suo padre Noè per il merito del suo peccato, certamente Dio, quando pronunziò contro tale nazione il giustissimo castigo, avrebbe comandato di risparmiare i suoi bambini, che tu non puoi dire meritevoli della pena per la imitazione dei loro antenati. Poiché dunque non solo non comandò che si usasse pietà ai bambini, ma inoltre che essi subissero con i genitori una uguale punizione lo comandò Dio stesso, che non poté certamente comandare qualcosa d'ingiusto, risplende abbastanza evidentemente che la loro malizia è stata detta naturale ed essi sono stati chiamati seme maledetto fin da principio, non per una esagerazione, né per la imitazione, ma per la generazione. Infatti contro il vostro errore vigilò, in questo stesso seme di cui parliamo, l'autorità profetica, perché il giusto Noè maledicesse il suo figlio Cam che aveva peccato, nel figlio di lui, cioè in Canaan. Da qui capissimo che i figli sono stati vincolati ai meriti dei padri, se questo vincolo contratto con la generazione non si scioglie con la rigenerazione. Da cotesto Canaan prendono dunque origine i Cananei, i quali sono stati detti " seme maledetto fin da principio ", e dei quali anche i bambini, perché essi pure erano seme maledetto, non per la imitazione ma per la stirpe, furono fatti uccidere con i genitori per ordine divino. Che a questi Cananei siano stati simili gli impudichi anziani volle farlo capire il profeta Daniele quando disse a loro: Razza di Canaan e non di Giuda, ( Dn 13,56 ) come se dicesse: Simili ai figli di Canaan e non ai figli di Giuda, allo stesso modo che fu detto: Razza di vipere, ( Mt 3,7 ) per una certa somiglianza con la malvagità delle vipere. Al contrario nel testo dove il Signore dichiarò: Voi avete per padre il diavolo, egli volle veramente che s'intendesse l'imitazione e non il seme; ma egli stesso non disse nemmeno: Voi siete seme del diavolo. E dove è stato scritto: Vostro padre era Amorreo e vostra madre Hittita, apparisce detto perché coloro ai quali lo si diceva avevano imitato gli Amorrei e gli Hittiti. Del resto nemmeno qui è stato detto: Seme di Amorrei o di Hittiti. Non è dunque vero, come hai detto tu, che: Per il merito della volontà troppo attaccata ai crimini soffrono offesa anche i semi. Lungi infatti dalla santa Scrittura offendere i semi innocenti, come tu offendi gli uomini innocenti. Dove poi, come tu ricordi, il santo Giobbe afferma che il sentimento della compassione era uscito con lui dal ventre materno e tu reputi che lo abbia detto per raccomandare vivamente lo stesso sentimento e non perché fosse questa la realtà, per quale ragione, ti domando, non ammettiamo che alcuni siano misericordiosi per natura, se non neghiamo che alcuni sono immisericordiosi per natura? Ci sono infatti alcune tendenze congenite che cominciano ad apparire, come la ragione stessa, nell'età in cui comincia l'uso della ragione. Perciò agli uomini che sono per natura meritevoli d'ira vengono dati precetti sul modo di vivere, perché viene data ad essi anche la grazia, e cosí Dio che comanda aiuti, e in questo modo siano vinti non solo i mali che sono stati aggiunti dalla volontà, ma anche i mali che sono congeniti con la natura. Ciò infatti che è impossibile agli uomini, è facile a Dio. ( Mt 19,26 ) Ma coloro a cui non è stata data la grazia di Dio, in riferimento alla quale è stato scritto: Chi dunque ti ha dato questo privilegio? Che cosa mai possiedi che tu non lo abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) all'arrivo della legge diventano prevaricatori, non giusti. Anche costoro però vivono a vantaggio dei figli della misericordia, perché questi, vedendo gli altri ecomprendendo che cosa sia donato a loro, non meritamente ma gratuitamente, non si insuperbiscano, ma chi si vanta, si vanti nel Signore. ( 2 Cor 10,17 ) 130 - I nostri vizi congeniti non si possono addebitare a Dio Giuliano. Ma continua a dire la Sapienza: Chi oserebbe accusarti per la eliminazione di genti da te create, mentre non c'è Dio fuori di te, che hai cura di tutte le cose? Ma, essendo giusto, governi tutto con giustizia e condannare anche chi non merita il castigo lo consideri incompatibile con la tua potenza: la tua forza infatti è principio di giustizia. ( Sap 12,12-16 ) Si accorda certamente con la convinzione comune dei sapienti, perché la principale caratteristica è in Dio la giustizia, che il manicheo e il traduciano nega ostinatamente con ogni sforzo delle sue favole. Agostino. Nell'offendere a chi ti dirò simile se non a te stesso? Se davvero sapeste che Dio è giusto, non attribuireste mai i vizi congeniti o del corpo umano o dell'animo umano, che non potete negare, alla creazione di Dio, bensí alla retribuzione giusta di Dio, e da qui comprendereste e non neghereste il peccato originale o i peccati originali. 131 - I figli dell'ira e figli della misericordia Giuliano. A poca distanza continua cosí la Sapienza: Castigando costoro hai reso i tuoi figli pieni di dolce speranza, perché tu concedi dopo i peccati la possibilità di pentirsi. Se gente nemica dei tuoi figli e degna di morte tu hai punito con tanto riguardo, concedendole tempo e modo di ravvedersi dalla sua malvagità, con quanta attenzione castighi i tuoi figli, con i padri dei quali concludesti, giurando, alleanze di cosí buone promesse? Mentre dunque ci correggi, tu colpisci i nostri nemici in svariatissimi modi, perché riflettiamo sulla tua bontà nel giudicare. ( Sap 12,16-22 ) Agostino. Per quale ragione Dio, che prevede tutte le vicende future, abbia concesso il tempo e il modo di ravvedersi dalla loro malvagità anche a coloro la cui mentalità era stata detta immutabile per sempre, lo scrittore lo indica sufficientemente dove scrive: Hai reso i tuoi figli pieni di dolce speranza, perché tu concedi, dopo i peccati, la possibilità di pentirsi. Per questo motivo dunque viene dato il tempo e il modo di ravvedersi anche ai figli dell'ira, che sono stati destinati alla morte e che non faranno penitenza: perché in mezzo ad essi ci sono o da essi nasceranno alcuni figli della misericordia, ai quali gioverà ciò che non ha giovato ai figli dell'ira. Pertanto nemmeno con i figli della perdizione è vana e infruttuosa la pazienza di Dio: è necessario infatti che giovi a coloro che dalla massa della perdizione non li separano i meriti umani, ma li separa la grazia divina, e giova ad essi quando o rendono grazie, perché la misericordia di Dio li separa dai figli della perdizione, o per disposizione di Dio nascono non perituri da perituri. 132 - Seme maledetto per la generazione Giuliano. Ti accorgi dunque quanta distinzione abbia fatto la superficie delle parole riguardo alle nature delle due popolazioni: gli Israeliti li chiama figli di Dio e i Cananei li chiama seme maledetto. Se ciò che suona si riferisse alle generazioni e ai parti, si sarebbe dovuto dire che l'una è la generazione dei religiosi e l'altra è la generazione degli irreligiosi. Agostino. Poiché quando udiamo figli di Dio intendiamo la grazia, non dobbiamo forse per questo, quando udiamo figli degli uomini, riconoscere e confessare la natura? Cos'è dunque ciò che dici, non trovando che dire, o uomo contenzioso? Conosci ciò che è vero e poni attenzione a ciò che è chiaro. Seme maledetto sono stati detti i Cananei a causa di una progenie talmente cattiva che per punizione e per ingiunzione del giustissimo Dio non si risparmiassero nemmeno i bambini, i quali con nessuna imitazione volontaria hanno seguito i loro genitori. Figli di Dio viceversa sono stati detti gli Israeliti non per la progenie della natura, ma per l'adozione della grazia. Sia dunque che si dicano figli e figli, sia che si dicano seme e seme, che ti giova cotesta consonanza di nomi dove c'è tanta distanza di situazioni? 133 - Alcuni genitori alleggeriscono il peccato originale Giuliano. Rimanendo certo tuttavia, anche secondo questa vana opinione, che non c'è la traduce del primo peccato, lo mostravano interrotto i semi delle molte genti insieme. Agostino. Altro è il seme di quell'unico uomo, il seme che è tutti gli uomini, altro sono i semi diversi delle diverse genti. Questi semi non interrompono il seme del primo uomo, perché tutti i semi discendono da quel primo seme. Né con la loro varietà i semi delle genti agiscono perché quel peccato del primo uomo, per il quale la natura umana meritò di essere mutata, sia nocivo a tutti i lontani discendenti di Adamo, ma agiscono in modo che sia piú o meno innocuo. Come infatti alcuni genitori appesantiscono il peccato originale, cosí alcuni genitori lo alleggeriscono; ma nessuno lo toglie all'infuori di colui del quale è stato detto: Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo, ( Gv 1,29 ) e per il quale nessun bene dell'uomo è impossibile, nessun male inguaribile. 134 - Né santità innata, né malizia innata Giuliano. D'altra parte, come ciò che si dice sulla lode dei Giudei non vale per credere che qualcuno rifulgesse di innata santità, cosí anche ciò che è chiamato malizia naturale non vale a difendere semi viziosi, ma senza pregiudizio della natura, il cui modo di essere è inviolabile e che tutto ciò che ha lo sortisce da Dio, suo autore, cotesta varietà di parole indica o l'impeto della invettiva o l'intento della esaltazione. Agostino. Se non è innata la santità di qualcuno, in che modo a Geremia è stato detto: Prima che tu uscissi alla luce ti avevo consacrato? ( Ger 1,5 ) In che modo anche di Giovanni Battista è stato detto: Sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre? ( Lc 1,15 ) Il che mostrò pure la sua esultanza, quando Maria, vergine gravida, salutò Elisabetta, coniuge gravida. ( Lc 1,41-44 ) Forse anche queste affermazioni sono state fatte non per proclamare la realtà, ma per intento di esaltazione? Fate pure cosí, vaneggiate pure cosí: alla vostra insania non resta che dire questo. Perché infatti davanti alla vostra sfrontata superbia noi poniamo Geremia, perché poniamo Giovanni, quando voi non distinguete il Cristo stesso dalla carne del peccato e, dicendo che nessuna carne è originalmente carne del peccato, uguagliate il Cristo a tutti gli altri cosí da essere costretti a negare che abbia avuto una santità innata lui pure, nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, completamente esente dal delitto, perché esente da quel concepimento che avviene con la mescolanza dei sessi? Perché, e Geremia e Giovanni, sebbene santificati nell'utero delle madri, contrassero tuttavia il peccato originale. Per quale altro merito infatti sarebbero state le loro anime eliminate dal loro popolo, se non fossero stati circoncisi nell'ottavo giorno, ossia se non avessero raggiunto la grazia del Cristo, di cui quella circoncisione preannunziava la futura risurrezione per la nostra giustificazione nel giorno ottavo, cioè nel giorno successivo al settimo giorno del sabato? Erano dunque quei due e figli dell'ira per natura fin dal seno delle madri e figli della misericordia per grazia fin dal seno delle madri, perché non c'era ancora in essi la santità che sciogliesse il vincolo della successione inquinata, vincolo che doveva sciogliersi a suo tempo, e c'era tuttavia la santità che designava fin dalle viscere materne l'araldo del Cristo. Ma tu, eretico nuovo, vuoi passare per un religioso " fisico ", quando dici che nella Scrittura si dice malizia naturale e seme maledetto senza pregiudizio della natura, il cui modo inviolabile di essere, affermi, sortisce da Dio, suo autore, tutto ciò che ha. Non ti ammoniscono ad avere cuore almeno coloro che nascono fatui? Né tuttavia gli stessi fatui ardiscono dire Dio autore della fatuità. Né certo a introdurre questo vizio fu, come Manicheo dice insipientemente o dissennatamente, la mescolanza di un'altra natura diversa, bensí la depravazione della nostra natura. Come merito dunque di questo vizio e di tutti gli altri vizi naturali di qualsiasi genere, coloro che sono sani nella fede non trovano se non il peccato originale. 135 - Seme maledetto e seme benedetto Giuliano. Ma come qui il seme si dice maledetto, cosí evidentemente altrove, dove piú grande è l'autorità della Lettura, il seme si dice benedetto. Parlando infatti degli Israeliti il profeta Isaia dice: Fabbricheranno case e le abiteranno, pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. Non fabbricheranno perché un altro vi abiti, né pianteranno perché un altro mangi. Quali i giorni dell'albero della vita, tali saranno i giorni del mio popolo. Le loro opere saranno durature, i miei eletti non faticheranno invano e non genereranno figli nella maledizione, perché è un seme benedetto da Dio. ( Is 65,21-23 ) Agostino. Se tu capissi questa profezia di Isaia, non la opporresti a noi per svignartela, ma la opporresti piuttosto a te per correggerti. Vedresti infatti un altro seme, non mortale ma immortale, né carnale ma spirituale, il seme che vedeva l'evangelista Giovanni quando diceva: Chi è nato da Dio, non commette peccato, perché un seme divino dimora in lui. ( 1 Gv 3,9 ) Secondo questo seme l'uomo non pecca, perché, sebbene pecchi come uomo, ha tuttavia un altro seme secondo il quale non può peccare, perché è nato da Dio. Secondo questo seme i figli non sono procreati nella maledizione. Sulle quali parole del Profeta avresti dovuto stare sveglio e accorgerti che questo non si prometterebbe al popolo di Dio come un grande beneficio se non perché i figli si procreano nella maledizione secondo il primo seme che viene da Adamo, ma non si procreano nella maledizione secondo il Cristo, che è il seme benedetto fin da principio. Egli è infatti anche la Sapienza di Dio della quale è stato detto: È l'albero della vita per chi si attiene ad essa; ( Pr 3,18 ) onde anche cotesto Profeta, o Dio piuttosto per mezzo del Profeta, dice: Quali i giorni dell'albero della vita, tali saranno i giorni del mio popolo. ( Is 65,22 ) Con tali parole si prometteva la vita eterna e immortale, non agli Israeliti carnali, ma agli Israeliti spirituali. In quella vita le vigne spirituali e le case non saranno possedute da altri, venendo a morire coloro che le hanno piantate e costruite, ma saranno possedute dagli stessi piantatori e costruttori che vivranno senza fine. Riconosci dunque i due generi di semi, uno della generazione e l'altro della rigenerazione, e non essere incredulo, ma credente. 136 - È falsa la traduce del peccato Giuliano. Abbiano pazienza dunque i ragazzini per il questionare su questi contrasti verbali ed essi, amanti dei suoni e incapaci di qualcosa di piú grande, combattano a bicchieri che si urtano tra loro. Però la fede cattolica né crede che la legge di Dio venga a diverbio con se stessa, né ammette nessuna autorità a danno della ragione, né presta orecchio a nessuna opinione e adulazione che inquini l'equità divina; ma poiché non solo crede in Dio, bensí lo conosce pure creatore di tutte le nature, in queste non imputa il peccato a nessun altro agente che alla libera volontà, e per tutte queste argomentazioni essa non dubita che sia falsa la traduce del peccato. Agostino. Piuttosto la fede cattolica non dubita che esista il peccato originale. La quale fede non l'hanno difesa dei ragazzini, ma fino al giorno della loro morte uomini gravi e costanti, dotti nella Chiesa e docenti della Chiesa. Voi però non credete che " la legge di Dio venga a diverbio con se stessa ", come dici tu, e voi stessi venite a diverbio contro di essa per cieca empietà o per empia cecità. Per questo motivo infatti vi vantate di non ammettere nessuna autorità a danno della ragione, perché dalle vostre ragioni, che non sono ragioni ma falsificazioni, anche l'autorità divina sia deposta piuttosto che esposta. Sebbene nessuno debba essere cosí gravato di cuore da lasciarsi ingannare dalla ragione che Pelagio ha proposto quasi a commento dell'Apostolo, affermando che la ragione per cui è stato detto: " Il corpo è morto a causa del peccato", è che il corpo muore ai peccati quando si allontana dai peccati. Contro la quale sciocchezza non c'è da discutere, ma semplicemente da leggere l'Apostolo stesso, il quale dice: Se il Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesú dai morti abita in voi, egli darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. ( Rm 8,10-11 ) Che cosa di piú aperto? Che cosa di piú lucido? Chi, ti prego, contro cotesta manifesta dichiarazione negherebbe il peccato originale se non per insensatezza ereticale? Per il quale peccato il corpo anche adesso è certamente morto, benché a causa della giustificazione lo spirito sia già vita. Ma Dio, dice l'Apostolo, darà la vita anche ai vostri corpi mortali. Chi potrebbe abbaiare contro questa verità all'infuori della rabbia della falsità che si vanta di non prestare orecchio a nessuna opinione e adulazione che inquini l'equità divina, quando piuttosto è costretto a negare l'equità divina chiunque sia stato ingannato da voi? Poiché se si dice che i tanti vizi o dei corpi o delle menti, con i quali nascono gli uomini, non contraggono il merito di nessun peccato, senza dubbio si nega che sia giusto il giudizio di Dio. Pertanto, poiché voi imputate i peccati alla volontà, cosí da non voler imputare alla volontà del primo uomo il peccato originale, voi inducete coloro che credono a voi ad imputare ad un ingiusto giudizio di Dio tutti i mali che i bambini contraggono o soffrono.