Padri/Agostino/ContrGiulIn/Libro5.txt Opera incompiuta contro Giuliano Libro V 1 - Scienza e fortezza Giuliano. È stato provato dai pericoli di ogni epoca che il rispetto di un giudizio incorrotto vige in pochi, i quali, e dedicandosi alle ricerche del sapere e aspirando all'acquisto delle virtù, o possono indagare la verità o ardiscono difenderla dopo che l'hanno trovata o, come dice l'Apostolo, hanno le facoltà esercitate a distinguere il bene dal male, ( Eb 5,14 ) né si lasciano abbattere da nessuna tempesta di avversità, sentendo insegnare dal medesimo precettore che nella lotta contro il peccato bisogna resistere fino al sangue. ( Eb 12,14 ) Questi sapienti dunque, che i popoli degli stolti fanno apparire pochi di numero, si applicano con perfetta parità alla scienza e alla fortezza. Nessuna delle due infatti riporta senza l'altra frutto od onore, perché e la fortezza, se non è applicata mediante la scienza ad ottimi interventi, degenera in spregevole stoltezza, e viceversa le leggi di un'accurata giustizia, se non le chiude dentro di sé il muro della magnanimità, saranno presto esposte al saccheggio e deviate al servizio della criminalità. Rarissimi dunque sono stati in tutte le diverse età coloro che hanno avuto cura di allevare, di attaccare, di guidare questi due cavalli senza dei quali non si può menare trionfo sugli errori del mondo. Le ragioni sono due: una è che l'applicazione al sapere trova impedimento tanto nell'avversione della fatica, quanto nella diversità delle preoccupazioni mondane; l'altra è che la paura intacca il coraggio necessario per sopportare i disagi provocati dai cattivi. Gli animi fedeli e saggi superano, sì, questi generi di opposizioni, ma in mezzo a popoli di insani sono così rari che, per il fatto di non darsi a smaniare, sembrano insani anch'essi. Agostino. Non ti ammonisce cotesta rarità, che tu stesso ricordi, di uomini nei quali c'è la scienza e la fortezza, che cosa tu debba sentire del genere umano e di cotesta universale massa di animali ragionevoli e mortali? Per qual ragione infatti il genere dei mortali in forza dell'appetito naturale non scatta tutto o almeno in massima parte all'amore del sapere e al vigore della fortezza, così da dover noi meravigliarci piuttosto di ogni rara persona che devii e si allontani da ciò che appetisce l'istituzione della natura? Per qual ragione l'umanità scivola quasi su di un piano inclinato per non so quale peso che la sospinga negli abissi dell'ignoranza e nella mollezza della inerzia? Tu dici che è certamente l'avversione della fatica la causa per cui gli uomini ignorano le verità che avrebbero dovuto sapere; ma io vorrei che tu dicessi quale sia la causa per cui all'uomo così bene istituito per natura riesca faticosissimo imparare le verità utili alla sua natura e le verità salutari e, avversando così la fatica, troppo familiarmente e troppo volentieri si adagi nelle tenebre dell'ignoranza. Cioè, tanta rarità di uomini intelligenti e volitivi, le due doti con le quali si giunge alla scienza delle verità umane e divine, e tanta moltitudine di uomini tardi e torpidi sta a indicare sufficientemente in quale direzione sia trascinata quasi dal suo peso la natura stessa, che voi negate essere stata viziata. Né pensate secondo la fede cristiana quale sia stato creato Adamo, che impose i nomi a tutte le specie di animali viventi: ( Gen 2,19 ) un fatto che anche nella letteratura secolare viene giudicato come un indizio di eccellentissima sapienza. Tant'è vero che allo stesso Pitagora, dal quale nacque il nome di filosofia, si attribuisce di aver detto che l'uomo più sapiente di tutti fu colui che mise per primo i vocaboli alle cose. Del resto anche se di Adamo non avessimo saputo nulla di simile, sarebbe stato ugualmente nostro compito congetturare con un buon ragionamento quale sia stata creata la natura in quell'uomo in cui non c'era assolutamente nessun vizio. Ma chi può essere così tardo d'ingegno, da negare che siano fatti naturali l'ottusità o l'acutezza dell'ingegno, o da stimare che non siano vizi dell'animo la tardità o della memoria o dell'intelligenza? E quale cristiano può dubitare che quanti in questo mondo, pienissimo di errori e di orrori, appariscono intelligentissimi, dei quali tuttavia i corpi corruttibili appesantiscono le anime, se si mettono a confronto con l'intelligenza di Adamo, distano da lui molto più di quanto le testuggini distano dagli uccelli in velocità? Di intelligenze dunque tanto eccellenti si sarebbe riempita la felicità del paradiso, se nessuno avesse peccato: tali intelligenze appunto Dio sarebbe stato pronto a creare per mezzo dei genitori, quale senza i genitori aveva creato Adamo, certamente a sua immagine. Non ancora infatti l'uomo era diventato come un soffio, e i suoi giorni come ombra che passa ( Sal 144,4 ) in questo secolo disgraziato. E se fosse così, avrebbe forse spazio alcuno cotesta tua lamentela? Sarebbe forse faticoso l'acquisto della scienza così da far preferire agli uomini di rimanere ignoranti per l'avversione della fatica? Della stessa fortezza, che dici con verità trovarsi appena in pochissimi, avremmo forse bisogno, dove non ci fosse nessuna tribolazione da sopportare con animo forte in ossequio alla verità? Mentre dunque tutti questi elementi sono stati dirottati in direzione contraria, tu neghi che la nostra natura sia stata viziata e ottieni questo risultato che Manicheo con il tuo aiuto introduca in noi la mescolanza di una natura aliena, e così, mentre balzi fuori come suo inesperto oppositore, diventi suo incosciente collaboratore. 2 - Lo accusate con orrore e lo aiutate per errore Giuliano. Lo indica anche il libro che si dice Sapienza, quando esprimendosi con le parole degli empi, che dopo l'ombra delle realtà presenti sono sorpresi dei meriti scoperti nei beati, afferma: Giudicammo la loro vita una pazzia, e com'è che sono considerati tra i figli di Dio? ( Sap 5,4-5 ) Questa è dunque la ragione per cui la perseveranza dei fedeli, tetragona alle iniquità dei tempi e decisa per sua scelta ad essere maltrattata con il popolo di Dio, piuttosto che avere per breve tempo la giocondità del peccato, ( Eb 11,25 ) è bollata con il nome di ostinazione e di litigiosità da coloro che dicono: Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo; ( 1 Cor 15,32 ) e si stima che nulla convenga di più a cauti consigli che comprare la servitù di un animo degenere o la quiete infida del momento. Da questa viltà appunto di petti codardi è dipeso principalmente che lo sporco dogma dei manichei voghi a vele spiegate tra i relitti dei naufràgi delle Chiese. Perché, se in coloro che erano investiti dell'ufficio del sacerdozio fosse rimasta in piedi un'autorità libera e virile, le trovate dei traduciani, come sono state abbattute dall'invitta ragione, così sarebbero state stritolate dall'assenso pubblico. Al contrario, poiché dagli uomini che amano le realtà presenti nulla si stima meno della religione, si è giunti alle incriminazioni di Dio, così da incombere su noi la necessità di provare con tanto lunghe discussioni il nostro Dio, che è il vero Dio, fedele nelle sue parole, giusto nei giudizi, santo nelle opere. ( Sal 145,13.17 ) Agostino. Se Dio è fedele nelle sue parole, perché lo contraddite quando egli dice: Punirò le colpe dei padri nei figli, ( Dt 5,9 ) e sostenete che ciò non è vero? Se Dio è giusto nei giudizi, perché il fatto stesso che i peccati dei padri siano puniti nei figli non volete che sia giusto, e del giogo pesante che preme sui figli di Adamo fino dal giorno che escono dal ventre materno non temete di dire che è senza il merito di nessun peccato originale? Se Dio è santo nelle opere, perché nei riguardi della immondezza dei nascenti, la quale spinse un uomo di Dio a dire che nessuno è mondo dalla macchia del peccato, nemmeno un bambino la cui vita sopra la terra sia di un giorno soltanto, ( Gb 14 sec. LXX ) vi ricusate di tenerla distinta dalla santa arte di Dio, con la quale egli forma la natura, benché macchiata dal contagio dell'origine, e così i vizi e degli animi e dei corpi, tanto numerosi e qualche volta tanto grandi, li attribuite tutti alla santa arte di Dio? I quali vizi non volendo voi attribuire ai meriti originali provenienti dalla natura depravata dal peccato, certamente ad introdurre una natura aliena del male voi aprite un'amplissima breccia agli esecrabili manichei, il dogma nefando dei quali in apparenza lo accusate con orrore, mentre lo aiutate per errore. 3 - Perché pochi sapienti? Giuliano. Così l'operazione dei miei libri, dedicati a questi interessi, la impugna l'assertore del male naturale: con quali forze per la verità e con quanto coerente risposta l'ho documentato in modo più che sufficiente nella discussione dei volumi precedenti. Dalla lettura dei quali non dubito che risulti agli uomini sapienti, che in questa prefazione ho attestato essere rari, la seguente conclusione: il nemico della verità non mira ad altro che a burlarsi degli orecchi dei semplici, e se l'è svignata appena ha dato l'impressione di avere risposto in un modo qualsiasi. Agostino. Che rari siano i sapienti lo attesti nella prefazione, e quale sia la causa di questa rarità o da che cosa dipenda che nemmeno quelli che per la rara capacità degli ingegni arrivarono alla sapienza abbiano potuto conseguire un'utile scienza senza l'esperienza di una grave fatica, né lo dici, né te lo lasci dire, tu che non vuoi confessare che la natura umana è stata depravata per la prevaricazione del primo uomo. E tuttavia alla lettura dei tuoi libri non rimandi se non i medesimi sapienti che attesti essere rarissimi. Della intelligenza dei quali senti tanto bene da sforzarti di confutare davanti a loro un solo mio libro con otto dei tuoi, moltiplicando ad essi la fatica dei figli di Adamo: con la quale fatica imparino che, anche se nessuno avesse peccato, avrebbero dovuto faticare nello stesso paradiso per apprendere i libri dei letterati e prima ancora le lettere stesse. Questa è infatti la vostra preclara scienza, per nessun uomo comprensibile, fuorché per i rari sapienti, e nemmeno per essi se non a prezzo di misere fatiche. 4 - L'autorità dei sapienti corregga il volgo Giuliano. Sebbene quindi risulti che ciò noi lo abbiamo fatto con abbondanza, tuttavia, poiché la nostra opera si va allungando, intenda il sapiente lettore che noi avremmo certamente preferito la brevità, ma che la necessità della causa ha esigito che l'errore un po' troppo diffuso dal favore del secolo fosse vinto da un più vasto schieramento da parte della verità. Non viene quindi dal nulla l'estendersi del nostro discorso. Con l'aiuto infatti del Cristo, oso sperare di ottenere che nessuna parte dell'empietà, contro la quale stiamo lottando, si giudichi o negligentemente esaminata o insufficientemente individuata o mediocremente confutata. Né di questo dunque o possiamo o dobbiamo disperare: che in progresso di tempo la tempesta sollevata si calmi e per l'autorità dei sapienti si corregga il volgo pigro che adesso strepita! Ma l'importanza di questo voto è minore dell'importanza della sentenza: qualunque risultato infatti sortisca la situazione concreta, per noi varrà la regola e della benignità e della fede. Né infatti noi incliniamo al successo della popolarità. È risaputo in proposito l'episodio famoso dei tre giovani di Babilonia, i quali, costretti da un re superbissimo ad adorare una sua statua, si opposero con tanta coerenza, né furono atterriti da una fornace soffocante, accesa per divorare quei giovani così religiosi, ed essi risposero come conveniva alla loro fede e alla loro costanza: Dio può liberarci, o re, da questa fornace; ma anche se non ci liberasse, sappi che noi non veneriamo i tuoi dèi né adoriamo la statua eretta da te. ( Dn 3,17-18 ) Che santo " voto " associarono al loro giudizio, né tuttavia attenuarono con il loro desiderio la gravità della loro decisione! La fortezza della loro fede né la fanno crollare per disperazione, né la sospendono per bramosia; associano, sì, dei voti, ma peraltro non disertano l'ordine; dànno conforto alla loro tolleranza, ma subordinano alla giustizia trattamenti più miti. È certo, dicono, che il nostro Dio può liberarci, ma che lo voglia è incerto, e perciò nell'ambiguità dell'esito rimane in piedi la sentenza certa di quei giovani pii di rifiutare gli idoli e di sopportare i supplizi. Veda Dio quale bene rechi a tutti gli altri la nostra liberazione; a noi frattanto, dicono, la vera felicità ce l'assicuri la fede invitta; dunque non ha eccessiva necessità di compiacere coloro che sono un po' troppo molli la fede, per la cui gloria essi comprano le avversità. Anche noi, partendo da questa disciplina che gli illustri maestri hanno lasciato, comprendiamo che nella prosperità dobbiamo mantenere moderazione di voti, ma nei dogmi della fede la perennità delle decisioni. E noi desideriamo anche di poter venire in soccorso delle popolazioni, dopo che sia stato represso il tumore delle persecuzioni; ma se ciò non accadesse, resta il dovere di sopportare quanto di acerbo c'è nelle offese e nei pericoli, piuttosto che rinunziare ad opporci alle lordure e alle brutture manichee. Agostino. Quanto voi aiutiate i manichei, non attribuendo al giusto giudizio di Dio per causa del peccato originale il pesante giogo che grava sui figli di Adamo fino dal giorno della loro nascita dal seno materno, ( Sir 40,1 ) e in questo modo voi fate posto alla natura aliena del male che insegna l'errore pazzo dei manichei, ve lo abbiamo fatto avvertire spesso e non cesseremo di farvelo avvertire quando ci sembrerà opportuno. Per il momento, poiché voi vi vantate di essere così forti da sbandierare tuttavia tu di fronte a molti i vostri " voti ", benché " moderati ", con i quali, come dici, " desiderate di venire in soccorso delle popolazioni, dopo che sia stato represso il tumore delle persecuzioni ", io domando a te se desiderate che ciò vi venga concesso dal Signore. Se non lo desiderate dal Signore, non sono cristiani cotesti voti; ma se lo desiderate dal Signore, in che modo sperate che il Signore ve lo elargisca, esaudendo i vostri voti? Evidentemente convertendo al vostro favore e al vostro amore i cuori degli uomini che adesso vi sono avversi. Se credete in questo, avete fatto dei progressi: Dio ha già cominciato a convertirvi, a cambiarvi in meglio. Pensateci, vi prego, e ricordatevene, e finalmente confessate che l'onnipotente Dio opera nei cuori degli uomini le loro volontà e converte coloro che sono avversi. Così capirete la sua misericordia e la sua grazia, e dove opera altrimenti capirete i suoi giudizi, occulti ma giusti. In tal modo egli forse esaudirà piuttosto i nostri voti di convertire voi alla fede cattolica con una sua operazione e con una sua compassione, simili a quelle con le quali ha convertito Turbanzio, fino a poco tempo fa vostro, ad essere ora già nostro. 5 - Vituperiamo la concupiscenza che attrae ad azioni illecite Giuliano. Ma accostiamoci ormai alla causa. Si è chiarito, tanto con l'opera precedente quanto con l'opera presente, che la concupiscenza naturale, senza la quale non ci può essere la mescolanza dei sessi, è stata istituita da Dio, che è il creatore e degli uomini e delle bestie. Il che vale così tanto che, per confessione del mio avversario, non si può assolutamente asserire il peccato naturale senza biasimo di quella, cioè della concupiscenza carnale, e senza infamia della mescolanza dei sessi. Agostino. Che tu la chiami come ti piace, o concupiscenza naturale o concupiscenza carnale, noi vituperiamo la concupiscenza per cui la carne concupisce contro lo spirito e ci attrae ad azioni illecite, se anche lo spirito non concupisce contro la carne ancora più fortemente. Questo dissenso noi diciamo che non è esistito nel paradiso, quando coloro che vi si trovavano erano nudi e non se ne sentivano confusi. Che tale dissenso cominciò ad esistere dopo il peccato lo grida la realtà stessa, dal momento che dopo il peccato si coprirono le membra pudende che prima di allora non erano state pudende. Né che precedentemente stessero nude lo faceva l'impudenza, ma l'innocenza, perché anche l'impudenza è un vizio; ma Adamo ed Eva, quando non sentivano vergogna di essere nudi, non avevano certamente un vizio. Questo male dunque, per cui la carne concupisce contro lo spirito, l'eretico Giuliano lo dice un bene; l'altro eretico Manicheo dice che questo male è stato mischiato in noi dalla natura aliena del male; il cattolico Ambrogio, dicendo che a causa della prevaricazione del primo uomo questo male si è convertito nella nostra natura, vince Giuliano e Manicheo. 6 - Non può aprire bocca se non per parlare del pudore Giuliano. Il che essendo stato dimostrato da noi con la facoltà che ci è stata concessa dalla Verità, non ne deve ulteriormente dubitare il prudente lettore. Dovunque ciò ricorrerà negli scritti del traduciano, non può tuttavia aprire la bocca senza parlarne, ciò non turbi affatto gli uditori, ma valga a svergognare l'autore. Quanto poi a noi, toccheremo in seguito l'argomento con la necessaria brevità, se vi saremo costretti. Costui dunque accusa la mia affermazione: Cotesta mescolanza dei corpi si prova fatta da Dio insieme al calore, alla voluttà, al seme, e si prova lodevole a suo modo. Ma ha omesso ciò che io soggiungevo: Di una realtà che, istituita per natura, diventa a volte anche un grande compito per le persone pie, il diavolo non osa rivendicare qualcosa, nemmeno secondo la tua sfacciataggine. Agostino. Lo ha tralasciato chi mi mandò la cartella a cui rispondevo, forse intendendo ciò che non intendevi tu, che parli tanto incautamente da dire: " Di una realtà che, istituita per natura, diventa a volte anche un grande compito per le persone pie, il diavolo non osa rivendicare qualcosa ", mentre vediamo che il diavolo rivendica a sé gli stessi uomini, che sono stati certamente istituiti per natura. Non sono forse uomini coloro che vengono liberati dal potere delle tenebre, delle quali il diavolo tiene il principato? Oppure sei così stolto da affermare che il diavolo non rivendica a sé gli uomini che possiede e che tiene soggetti al suo potere? Ma per tacere di quelli che potete dire posseduti dal diavolo a causa della loro cattiva volontà, che cosa sei pronto a dire di quel ragazzo il cui padre, interrogandolo il Signore, rispose che era tormentato da uno spirito immondo fino dalla sua infanzia? ( Mc 9,20 ) Non è forse vero che rivendicava a sé il diavolo le membra e i sensi di lui, elementi tutti che sono stati istituiti per natura dietro l'iniziativa di Dio e sono compiti comuni agli empi e ai pii? Il che sebbene il diavolo non lo potesse fare, se non riceveva il potere da Dio, creatore buono e giusto dell'uomo, tuttavia lo fa e mostra che sono vanissime le tue parole quando dici: " Di una realtà che, istituita per natura, diventa a volte anche un grande compito per le persone pie, il diavolo non osa rivendicare qualcosa ". Dei beni infatti istituiti per natura non avresti dovuto dire che il diavolo non rivendica nulla a sé, ma che non crea nulla. Queste cose vide forse colui che estrasse alcuni testi dai tuoi libri per mandarli ad un suo amico e che nell'omettere queste tue parole ebbe pietà di te. Io poi mi congratulo che tu mi ammonisca che cosa debba dire contro il tuo errore. Dei bambini dunque che il diavolo rivendica a sé per maltrattarli cerca tu i meriti e non trovando in loro meriti propri confessa i meriti originali. Se infatti insisterai nel negare anche questi, sarà certamente dimostrato che tu accusi il giudizio di Dio, il quale lascia alla sua immagine di soffrire immeritamente dal diavolo queste persecuzioni. 7 - Quanto logiche tutte queste affermazioni! Giuliano. Tralasciate dunque coteste parole, mi accusa perché non ho detto: " Insieme alla libidine ", e soggiunge, come conveniva all'acume del suo dogma: " Compito dei pii è la feconda procreazione dei figli, non la pudenda mescolanza delle membra, la quale non l'avrebbe nel generare i figli la natura sana e l'ha invece adesso la natura viziata. E per questo chiunque nasce per mezzo di essa, ha bisogno di rinascere ". Quanto sono logiche tutte queste affermazioni! Dice compito dei pii l'esistenza dei figli, ma costituisce sotto il diavolo ciò che conferma dato da Dio, ossia i figli. La libidine poi, che c'è nella mescolanza pudenda delle membra, la chiama diabolica e non nega che essa si trovi nei genitori, che tuttavia assolve da colpa. Dirai che questo bambino è nato dall'uomo? " Ciò che fanno i genitori ", asserisce costui, " è diabolico ", ma i genitori non sono rei; la nascita dei figli è opera divina, ma i figli sono rei. E ancora costui stima di avere lottato non contro Dio, ma contro il demonio. Giustissimamente sono vittime di un tale pazzo furore quelli che credono nella esistenza del peccato naturale. Agostino. Tu piuttosto infuri con pazzo furore contro Dio, che senza dubbio accusi d'ingiustizia, se sui figli di Adamo, senza che traggano da lui meriti cattivi, come tu assicuri, lascia tuttavia pesare dal giorno della loro nascita dal grembo materno un giogo grave, che non sei libero di negare; e credendo che siano stupidi i lettori delle mie e delle tue parole, dici che ho detto quello che non ho detto. In che modo infatti potrei io dire: Ciò che fanno i genitori è diabolico, mentre io proclamo opera buona la mescolanza che fanno i casti connubi con l'intenzione di procreare? Ma io dico che tale mescolanza non sarebbe diventata pudenda, se da parte dell'uomo non l'avesse preceduta il peccato, dal quale è stata viziata la natura, onde la concupiscenza della carne è stata fatta tale che di quel male nessuno fa buon uso se non lottando contro i suoi movimenti, che tentano di trarre ad azioni illecite, con la concupiscenza dello spirito che concupisca in senso contrario. Non diciamo pertanto: Ciò che fanno i genitori è diabolico: infatti è tanto poco diabolico il fare buon uso di un male che anche del diavolo stesso fa buon uso Dio. Non neghiamo viceversa di dire: La nascita dei figli è opera di Dio, ma i figli sono rei: non per l'opera di Dio dalla quale sono creati perché nascano, ma per l'origine del peccato, dalla quale rimangono legati, se non rinascono. 8 - Prove: la forma delle membra, la benedizione di Dio, la storia Giuliano. Che poi Adamo non abbia dovuto unirsi alla sua moglie in modo diverso da quello che è diventato comune, lo attesta e la forma delle membra, e la benedizione di Dio, non diversamente pronunziata sulle bestie che sugli uomini, e la stessa storia, la quale, come indica la formazione della struttura dei corpi, così non asserisce che essa sia stata mutata. Contro la quale testimonianza universale nulla si trova nella legge di Dio; ma solo nei libri di Manicheo, il quale fantastica che questa concupiscenza sia stata infusa in noi dal principe delle tenebre. Agostino. Non la forma delle membra, poiché non fu mutata dal peccato del primo uomo, dimostra che la concupiscenza della carne fu prima del peccato tale e quale apparve quando si coprirono le parti pudende e arrossirono di ciò di cui non arrossisci tu, indicando che qualcosa era cambiato in loro, anche rimanendo immutata la forma. Sebbene anche il pudore delle stesse membra, quando esse nascono deformi e mostruose, vi costringe a confessare che in nessun modo, se nessuno avesse peccato, nascerebbero tali nel paradiso. Quanto poi alla benedizione di Dio con la quale fu detto: Siate fecondi e moltiplicatevi, ( Gen 1,21.28 ) che c'è da meravigliarsi se la natura non perse la benedizione nemmeno dopo che fu viziata dal peccato? Non era infatti ineluttabile che, avendo perduto l'immortalità e la felicità, perdesse anche la fecondità, che è stata concessa altresì agli animali irragionevoli, nei quali la carne, sebbene concupisca, non concupisce contro lo spirito. La quale miserrima guerra della tua pupilla o il suo turpissimo regno tenti di introdurre nella patria di quella beatissima pace e libertà, poiché sostieni che nel paradiso, anche se nessuno avesse peccato, il genere umano sarebbe stato tale che avremmo combattuto contro la libidine o avremmo servito alla libidine, se non avessimo voluto combattere. 9 - Meglio peccato originale che naturale Giuliano. Che noi tutti però dobbiamo rinascere mediante il battesimo lo attestiamo e con la nostra opera e con la nostra parola; ma non perché l'amministrazione di questo beneficio faccia apparire gli uomini plagiati dal diritto del diavolo, bensì perché coloro che sono opere di Dio diventino pegni di Dio, e coloro che nascono umilmente e non tuttavia colpevolmente, rinascano preziosamente e non tuttavia calunniosamente, e coloro che provengono dalle istituzioni di Dio siano promossi dai misteri di Dio, e coloro che sono portatori delle opere della natura possano conseguire i doni della grazia, e quelli che il loro Signore fece buoni creandoli li faccia ancora più buoni rinnovandoli e adottandoli. Dunque si dice con ragione, ed è necessario che tu lo confessi, che è sparito il peccato naturale, inventato da Manicheo, ma che tu, cambiato il nome, chiami peccato originale. Né in questo peccato crede dall'antichità la fede cattolica, la quale non dubita e che i bambini siano fatti da Dio, e che nessun male sia fatto da Dio, e quindi le opere di Dio prima dell'uso della libera volontà la fede cattolica, per pregiudizio contro la natura, né le costituisce in stato di reato, né le costituisce sotto il diritto del diavolo. Agostino. Peccato originale più significativamente che peccato naturale noi diciamo, perché non si intenda un peccato dell'opera divina, ma un peccato della origine umana, soprattutto per significare quel peccato che entrò nel mondo a causa di un solo uomo e che non sparisce per la contestazione pelagiana, ma per la rigenerazione cristiana. In quale senso poi voi diciate che tutti i bambini devono rinascere con il battesimo lo sappiamo bene: per questo errore siete appunto eretici, con questa peste novizia discutete contro l'antichità della Chiesa cattolica, dicendo che i bambini non vengono liberati dalla potestà delle tenebre mediante la grazia del Redentore, mentre la Cattolica essuffla ed esorcizza in essi certamente la potestà del diavolo e non invece l'immagine di Dio. Cos'è dunque ciò che dici: Coloro che nascono umilmente e non tuttavia colpevolmente, rinascano preziosamente e non tuttavia calunniosamente, né sei attento al prezzo stesso che li fa rinascere preziosamente? Qual è infatti quel prezzo se non il sangue dell'Agnello immacolato? Il quale sangue perché sia stato effuso lo grida l'Agnello stesso. Non fu proprio lui ad affermare: Questo è il mio sangue che sarà versato per molti in remissione dei peccati? ( Mt 26,28 ) Al contrario tu, o grande mirabolano, e dici che quel sangue si versa anche per i bambini e neghi che per mezzo di esso si rimettano dei peccati ai bambini; dici che i bambini devono essere lavati e neghi che debbano esser mondati, dici che i bambini devono essere rinnovati e neghi che debbano essere svecchiati, dici che i bambini devono essere adottati per mezzo del Salvatore e neghi che essi debbano esser salvati. Ma evidentemente noi calunniamo i bambini dicendo che essi erano morti per i loro peccati e per la incirconcisione della loro carne, e che quindi vengono battezzati nella morte del Cristo perché muoiano al peccato i bambini che erano morti nel peccato, e li difendi tu che negando che siano morti fai sì che non sia estromesso da loro colui che ha il potere della morte, e così non ricevano nessun beneficio dalla morte del Cristo, il quale è morto uno per tutti. Il che dopo aver detto, l'Apostolo proseguì subito e affermò: Quindi tutti sono morti ed egli è morto per tutti. ( 2 Cor 5,14-15 ) Onde chi difende i bambini così da negare che essi siano morti, non li difende dalla morte, ma li sospinge nella morte seconda, perché li esclude dal beneficio di colui che non si predica morto se non per coloro che sono morti. 10 - La concupiscenza e la nascita d'Isacco Giuliano. Dopo tali osservazioni, tutta quella trama di Abramo e di Sara che, smorti già i loro corpi, ebbero in dono un figlio, e quanto il loro esempio giovi alla verità lo capisce non solo un lettore sapiente ma anche uno mediocre, costui la tralascia con tanta indifferenza da dire che non vale molto contro di lui. Dalla quale impudenza lo avrebbe dovuto richiamare almeno quella mia sentenza che è stata formulata così: Per chiudere in poche parole la sostanza di questa discussione, dichiaro: se il figlio che Dio promise fu reso per mezzo della concupiscenza, essa è buona senza dubbio, perché adempì una promessa di Dio; se fu reso senza la concupiscenza, essa non può nuocere al generato, perché non intervenne né quando fu concepito, né quando fu partorito. Agostino. Chi può dire che il figlio di Abramo sia stato seminato senza la concupiscenza della carne? Tale operazione infatti non si potrebbe fare diversamente nel corpo di questa morte, del quale dice l'Apostolo: Il corpo è morto a causa del peccato. ( Rm 8,10 ) Ma di questo male fece buon uso Abramo nel coito coniugale: un male che non esisteva nel corpo di quella vita che fu nel paradiso prima del peccato. Se però la concupiscenza della carne ti sembra buona per la ragione che per mezzo di essa fu resa la prole promessa da Dio, ti sembri buono anche il diavolo, perché per mezzo di lui fu versato il sangue del Cristo, dal quale siamo redenti e che Dio aveva promesso. Oppure confessa che anche per mezzo di qualche male può esser reso qualche bene. 11 - Hai parlato in maniera insolita Giuliano. Saltate dunque quelle righe, cotesto nuovo " fisico " definisce falso quanto è stato detto da noi: Come allora il limo preso da Dio fu la materia dell'uomo e non il creatore dell'uomo, altrettanto adesso quella forza della voluttà che produce e mescola i semi non fa le veci della operazione divina, ma dai tesori della natura presenta a Dio gli elementi con i quali si degni lui di creare l'uomo. Le quali affermazioni costui tuttavia attesta che sono esatte, ma eccettua quella dove io ho detto che i semi sono prodotti dalla forza della voluttà, e costui filosofeggia in questo modo: Quella voluttà della concupiscenza carnale, dice, non produce i semi, ma i semi che sono già stati creati nei corpi dal vero Dio, non sono fatti dalla voluttà, bensì sono eccitati ed emessi con la voluttà. Questo ben appare detto da lui non per frode, ma per difetto d'intellezione. Forza della voluttà io ho dichiarato appunto la stessa condizione del corpo virile, alla quale avrei dovuto dare il nome di virilità. La stessa virilità dunque, una parola già logorata da noi, che sta nella struttura e nella sanità dei genitali e dei visceri, e che somministra le forze e della appetenza e della efficienza, è stata nominata da me forza della voluttà e della concupiscenza. Invece di chiamarla semplicemente voluttà, ho preferito chiamarla forza della voluttà proprio per indicare l'ardore globale che si sente e prima della operazione e durante l'operazione. Né infatti coloro che soffrono di debolezza nelle membra genitali, ossia gli spadoni, hanno il seme. Mentre sono mossi certamente da alcune faville di un fuoco spento, poiché però per una specifica debolezza è venuta a mancare a loro l'energia delle parti per la cui funzione si formano i semi dagli umori interni, essi sono impotenti a generare. Dio dunque ha così disposto che nel corpo ci fosse una forza che, posta in opera nei tempi legittimi, con la concorrenza della sanità giungesse alla valenza della fecondità. Si producono dunque i semi nei corpi con l'aiuto della pubertà matura. È per questo che la voluttà stimola, sì, precocemente gli impuberi, ma senza le leggi degli anni scintilla sterile l'accensione. Del fatto poi che i semi si mescolino con la voluttà, ma che altra sia la voluttà affiorante nei sensi, altra la voluttà più interna alle viscere e più vicina all'effetto, se ne disquisisce con la più grande ampiezza presso gli autori di medicina. Onde anche il famoso poeta mantovano, più esperto in scienze naturali del filosofastro dei punici, osserva che gli armenti vengono fatti dimagrire tenendoli lontani dalle fronde e dalle fonti, appena la nota voluttà li sollecita ai primi concubiti: Spesso li stancano anche con le corse e li affaticano al sole, mentre l'aia geme di messi pestate pesantemente e i venti sollevano foglie leggere. Questo, perché l'intemperanza non renda meno accurato il servizio che spetta al suolo generoso e non copra solchi inerti. Soffrano in disparte una certa siccità, così che la sete rapisca l'ardore venereo e lo nasconda più nell'interno. Ma anche in questi argomenti, non molto necessari alla nostra causa, basti aver notato l'acume del nostro uomo. Agostino. Le tue parole, che dici tralasciate da me, quanto siano vane l'ho già dimostrato più sopra a sufficienza, e forse lo vide anche chi mandò a me la cartella dell'estratto e le tralasciò per compassione verso di te. Quanto poi alla discussione che tu fai loquacemente da uomo loquacissimo, cogliendo la palla al balzo, sulla forza della voluttà, che hai detto produttrice dei semi, non ho bisogno di oppormi a te, perché sono argomenti non molto necessari alla nostra causa, come anche tu stesso ricordi. Io avevo appunto capito che tu avessi voluto far intendere come forza della voluttà la forza con la quale la voluttà possa agire e non la forza che agisse sulla voluttà stessa. Siamo infatti soliti parlare così da dire forza di un soggetto la forza che gli vale per fare alcunché, non la forza da cui è prodotto il soggetto. Tu viceversa, stando a come hai spiegato adesso le tue parole, asserisci di aver detto forza della voluttà la forza che può produrre la voluttà, non la forza con la quale la voluttà stessa produce ciò che può produrre: come se tu dicessi forza del fuoco la forza che accende il fuoco perché arda, mentre tutti gli uomini dicono forza del fuoco la forza con la quale il fuoco brucia o scalda tutto ciò che può. Hai quindi parlato in una maniera insolita; ma che ce ne viene? Comunque abbiamo imparato a non fare battaglie di parole dov'è certa la sostanza. C'è infatti accordo tra noi che non solo gli uomini vengono dai semi, ma che anche gli stessi semi sono opera di Dio, in qualsiasi modo siano prodotti, per non citare a testimoni i " fisici " o i medici o anche i poeti, dove non ce n'è affatto bisogno, o per non discutere del modo di parlare, quando ciò per cui parliamo lo riteniamo vero da una parte e dall'altra, ossia che i semi di tutte le nature sono opera di Dio. Ma è falso ciò che tu tenti di dimostrare partendo da qui: non esistono vizi nei semi per il fatto che creatore dei semi è Dio, sommamente buono. Non lo diresti, se tu conoscessi la condizione dei semi, come la conosceva il Salmista che dice: L'uomo è come un soffio, e per spiegare che ciò lo aveva meritato la stessa natura, la quale era caduta nella stessa mortalità, aggiungeva: I suoi giorni come ombra che passa, ( Sal 144,4 ) sapendo che l'uomo è stato fatto ad immagine di Dio e distinguendo tuttavia dalla istituzione divina il vizio della origine umana depravata. Il che avresti dovuto vedere anche nelle tue stesse parole con le quali mi hai morso. Hai detto infatti: Ma anche in questi argomenti, non molto necessari alla nostra causa, basti aver notato l'acume del nostro uomo, significando evidentemente che io sono ottuso di mente, perché non ho potuto capire il tuo modo di parlare in temi non molto necessari alla nostra causa, come tu confessi. Ma io domando a te da dove nascano gli uomini ottusi. Tu non sei infatti così ottuso da negare che appartengano alla natura le menti e ottuse e acute, benché le stesse menti acute, come abbiamo già detto precedentemente, siano ottuse a causa di questo corpo corruttibile che appesantisce l'anima, ( Sap 9,15 ) se si paragonano all'ingegno del primo uomo, il quale non aveva certo ricevuto un corpo tale da appesantire a lui l'anima. E così anch'io distinguerei nella natura dell'uomo com'è attualmente due elementi molto distanti tra loro: il vizio dell'ingegno e l'arte di un tanto grande artista, al quale senza dubbio non si attribuiscono giustamente i vizi degli ingegni umani, per quanto siano grandi, perché con questa regola tu impari a distinguere dalla istituzione di Dio il peccato originale, sebbene congenito all'uomo, e perché tu non neghi l'esistenza del peccato originale per la ragione che gli uomini sono fatti da Dio, che non fa il peccato; come non sono da negare i vizi congeniti delle intelligenze umane per la ragione che gli uomini li fa Dio, alla cui arte divina è estranea ogni viziosità. Ma sa Dio creare gli uomini da una sostanza viziata dal peccato così bene come sa operare il bene dagli stessi peccati degli uomini, per i quali i peccati sono vizi volontari. Noi vediamo infatti quante opere buone abbia operato Dio partendo dal peccato dei fratelli che vendettero per invidia il loro fratello, ( Gen 37-50 ) e molte altre opere buone di cui sono piene le Lettere sacre. 12 - Altro è fare il male e altro il fare il bene dal male Giuliano. Ma mi sorprende la coerenza dappertutto di un disquisitore che si pronunzia così: I semi, sebbene si effondano con la voluttà, sono stati creati dal vero Dio, dal quale vengono creati anche i corpi. Confessa dunque che da Dio sono fatti i semi, nei quali dice che c'è un male diabolico, e non arrossisce di credere che da Dio sia fatto il male da imputare ai bambini innocenti. Agostino. Da Dio non è fatto il male, quando da lui è fatto il bene dal male. Male è infatti il vizio proveniente dal peccato di origine, con il quale nasce l'uomo. Buona è l'opera di Dio, non senza il male: il reato del quale male non è imputato ai bambini innocenti, come dici tu, ma ai bambini rei, perché, contratto con il nascere, sia sciolto con il rinascere. Così infatti furono tutti gli uomini nei lombi di Adamo per la ragione del seme, quando egli fu condannato, e perciò non fu condannato senza di loro, alla stessa maniera gli Israeliti furono nei lombi di Abramo, quando egli pagò le decime, e quindi non le pagò senza di loro. ( Eb 7,5-10 ) Meglio infatti di te conoscevano la ragione del seme coloro che hanno detto e hanno avuto cura di consegnare queste verità alle lettere, perché si leggessero nella Chiesa del Cristo, nella quale rinascono i nati da Adamo per non rimanere condannati in quella sua stirpe. 13 - Empietà degli accusatori dei bambini Giuliano. La libidine, dice costui, non riguarda per nulla i semi, perché è stata fatta dal diavolo; ma a questa libidine servono i coniugi; i semi però e dai semi i bambini li fa Dio. Ma né sono rei, dice, né si puniscono i genitori, che compiono un'opera del diavolo; alla scelleratezza invece e ai castighi sono destinati i bambini, che Dio ha creato. E rimane impunito ciò che ha fatto il diavolo, ossia la libidine, e quindi si insegna che essa è buona, tanto che non merita nemmeno una punizione. Ma si accusa e si condanna ciò che fa Dio, e quindi si insegna che ciò è scellerato, tanto che non lo può difendere dal castigo nemmeno il " pudore " del suo autore. E si viene a credere che la divinità faccia ciò che non potrebbe sopportare nemmeno una estrema cattività. Questo esito hanno coloro che fanno guerra alla verità: non parlare se non in modo empio, non parlare se non in modo insano. Ma sia certo che da nessuna perorazione è difeso lo stato dei bambini innocenti quanto dalla empietà dei suoi accusatori. Agostino. È mai possibile che tu faccia essere falso ciò che dico io con il solo dire che io dico ciò che non dico? Io non dico infatti che la libidine non riguardi per nulla i semi: tant'è vero che non nascono senza la libidine quelli che certamente nascono dal seme. Ma io dico che Dio anche da un seme viziato opera senza nessun vizio di quel seme. Né io dico che non siano rei e non si puniscano i genitori che compiono un'opera del diavolo; ma io dico che non compiono un'opera del diavolo i genitori, quando si servono della libidine, non per amore della libidine, ma per amore della propaggine. È appunto un operare il bene servirsi bene del male della libidine e lo fanno i coniugati, così come al contrario è un operare il male servirsi male del bene del corpo e lo fanno gli impudichi. Né dico che sia impunita la libidine, la quale sarà distrutta con la morte, quando questo corpo mortale si rivestirà d'immortalità. ( 1 Cor 15,53 ) La libidine infatti non è se non nel corpo di questa morte, del quale l'Apostolo desiderava di esser liberato, ( Rm 7,24 ) né era o non era tale nel corpo di quella vita che peccando perse l'uomo, il quale fu fatto retto. ( Qo 7,30 ) Né liberati noi e separati dalla libidine, essa, come se fosse una sostanza, migrerà in un altro luogo, ma è destinata a scomparire, come l'infermità nella perfezione della nostra salute, sebbene già fin da ora essa cessi di esistere dopo la morte del corpo. Né infatti può esserci ancora nel corpo morto la libidine che non può esser se non nel corpo della morte; ma essa che è destinata a scomparire nella morte del corpo, non avrà da risorgere quando risorgerà il corpo senza più la morte. In che modo dunque sarà punita o sarà impunita la libidine che scomparendo non ci sarà più? Ma saranno impuniti coloro che con la rigenerazione si siano liberati dal suo reato congenito e che non cedano alla insorgenza e alla urgenza dei suoi movimenti a compiere azioni illecite; e se non per amore della prole da avere per mezzo della stessa libidine, ma per amore della libidine stessa fanno qualcosa con i loro coniugi, sono risanati con una venia immediata. Quanto poi al fatto che Dio da una origine meritamente e giustamente condannata crei i bambini, è un bene ciò che Dio stesso crea, perché crea gli uomini e perché gli uomini anche cattivi sono qualcosa di buono come uomini. Né Dio ritira la bontà del creare da coloro che ha previsti condannandi e che anzi sa originariamente già condannati. Onde c'è da congratularsi che così tanti di essi siano liberati dalla debita pena per mezzo di una indebita grazia. Ma se voi giudicate una crudeltà la condanna dei bambini che non reputate contrarre il peccato originale, vi sembri una crudeltà il fatto che non siano rapiti da questa vita quei bambini non aventi secondo voi assolutamente nessun peccato, che Dio certamente conosce morituri in molti e grandi peccati senza nessuna loro mutazione in meglio: infatti secondo le argomentazioni umane che Dio non liberi, quando potrebbe, uno che non è inquinato in nessun modo da peccati, né piccoli né grandi, sembra una crudeltà maggiore che condannare la progenie di un peccatore. Orbene voi che gridate con quanta voce potete la giustizia della prima condanna, con quale faccia sostenete l'ingiustizia della seconda condanna? 14 - Il seme umano e i semi delle piante Giuliano. Dopo di che tenta costui di attaccare la verità che noi abbiamo provato con la testimonianza dell'apostolo Paolo: Dio fa l'uomo dai semi. E costui argomenta che io ho commesso una frode per aver voluto adattare al nostro caso quelle parole che risultavano dette dei frumenti, quasi che io abbia qui o sdoppiata l'affermazione dell'Apostolo, come stima costui, o abbia ricordato quelle sue parole per altro fine che quello di mostrare la sua intenzione: la necessità di credere che Dio è il formatore di tutti i semi. Infatti il beato Paolo, dopo aver conciliato la fede della risurrezione con gli esempi della quotidiana moltiplicazione, ha tirato fuori ciò che può riguardare la natura universale dicendo: Dio gli dà un corpo come ha stabilito e a ciascun seme il proprio corpo, cioè dona ad ogni seme il corpo richiesto dalla proprietà del seme. Non ho dunque voluto che si intendesse dell'uomo ciò che è stato detto dei frumenti, ma l'affermazione che a ciascun seme viene dato per iniziativa di Dio il proprio corpo io l'ho afferrata per distruggere voi che lo negate con il vostro dogma. Non è dunque minimamente vero, come reputi tu, che io sia ricorso invano a quella sentenza, né che io ne abbia abusato fraudolentemente, come tu mentisci; né tu credi, come spergiuri, che da Dio sia fatto l'uomo per mezzo dei semi umani; il che lo confermo, non opinando, ma intendendo la tua fede. Agostino. In qual modo tu abbia riportato il testo dell'Apostolo, da lui usato per i semi che si seminano nel terreno, perché non vivono di nuovo se prima non muoiono, ciò era richiesto dalla discussione che lo interessava sulla risurrezione dei corpi, lo lascio all'accorgimento intelligente di chi legge quei tuoi scritti e legge la risposta da noi data a te nel medesimo libro che adesso ti sforzi di confutare. Il lettore troverà che di pertinente né hai detto nulla allora e nulla dici ora. Compi infatti un così grande sforzo per dimostrare che Dio forma gli uomini dai semi, quasi che noi lo neghiamo, e chiami a testimone l'Apostolo dove nessuna necessità della causa esigeva da te una prova; e, ancora più insulsamente, vuoi che si intenda dei semi degli uomini ciò che l'Apostolo ha detto dei semi dei frumenti, perché lo chiedeva la sua argomentazione; e riferisci le sue parole: Ciò che tu semini non prende vita, e taci le altre subito da lui connesse: Se prima non muore. Tu taci pure quanto egli soggiunge dicendo: E quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano per esempio o di altro genere, dove ben rivela per quale ragione lo dica. E dopo aver taciuto questi testi, tiri fuori quello che segue: Dio gli dà un corpo come ha stabilito e a ciascun seme il proprio corpo, ( 1 Cor 15,36-38 ) ma non vuoi qui che si intenda di quali semi, ossia del grano per esempio o di altro genere, di quei semi insomma che quando si seminano, non vivono di nuovo se non muoiono. E tu cerchi di trasferire questa massima anche ai semi umani, nei riguardi dei quali, per quanto si possa dire che Dio dona a loro il corpo come ha voluto e a ciascun seme il proprio corpo, non si può dire tuttavia che il seme dell'uomo quando si semina nel grembo della donna, non prenda vita se prima non muore. Ma ottimamente ciò si può dire del corpo dell'uomo: esso infatti non risorgerà se prima non muore; ed è proprio per questa verità che l'Apostolo fa tutto quel suo discorso sui semi dei frumenti. Non era quindi infondata la mia impressione: in questo testo avevi taciuto le parole dalle quali appariva di quali semi parlasse il teste da te invocato, con la precisa intenzione che il lettore non fosse fatto accorto dalla sua vigile intelligenza, ammesso tuttavia che tu lo abbia potuto prevedere, che nel paradiso gli uomini si sarebbero potuti seminare nei campi genitali delle donne per mezzo delle membra genitali dei maschi così come i frumenti si seminano nei terreni dalle mani degli agricoltori, di modo che non incitasse a seminare un uomo nessuno stimolo di libidine, come a partorire un uomo non urgesse la donna nessun dolore. A coloro ai quali dispiace questa tranquillità, che cosa piace, ti prego, nella carne se non ciò che dispiace al pudore? Né certamente costoro sentirebbero vergogna della concupiscenza carnale, se alla carne piacesse solo ciò che imponesse lo spirito: sia quando lo imponesse, sia quanto lo imponesse. Poiché dunque la concupiscenza non è tale attualmente, per quale ragione la sostenete con i vostri suffragi contro di noi e non confessate piuttosto con noi che essa è nata dal peccato o è stata viziata dal peccato? 15 - Non può tutto Dio, se non può ordinare bene il tutto Giuliano. Ma ormai chi tra i sapienti potrà trattenere il riso, quando arriverà agli esempi che hai soggiunti? Affermi tu infatti: Dalle stesse parole dell'Apostolo sarebbe confutato il pudico nominatore e l'impudico predicatore, non della volontà religiosa, ma della voluttà libidinosa. Può egli appunto essere rimbeccato partendo proprio dagli stessi semi che gli agricoltori seminano nei campi. Per quale ragione infatti non possiamo credere che nel paradiso Dio avrebbe potuto concedere per il suo seme all'uomo beato ciò che vediamo concesso agli agricoltori per il seme del grano: di essere seminato così il seme dell'uomo come si semina il seme del grano senza nessuna libidine pudenda? Con quanta eleganza il pudico nominatore e l'impudico predicatore descrive i movimenti assolutamente scomposti e recita canzoni da ciarlatani! Ma ecco un altro punto che non si può leggere se non con la più grande ilarità; se Adamo non avesse peccato, la donna avrebbe potuto prepararsi alla fecondità come un campo. E forse da tutte le articolazioni e dai minuti meati del suo corpo, che i medici chiamano " pori ", sarebbero spuntate spighe di figli, e così, lietamente feconda in tutte le sue parti, avrebbe trasudato i parti come i pidocchi. Ma se alcuni dei figli uscissero fuori dagli occhi, toglierebbero la vista alla partoriente; se dai globuli delle pupille sortissero sciami di figli con la testa galeata, la cecità imprecherebbe senza dubbio contro l'orbità. Né sarebbe davvero difficile uccidere la prole non partorita, ma trasudata, e avremmo una razza simile ai pidocchi o alle pulci, presso i dogmi di Manicheo così come nelle favole dei Mirmidoni. Ma questa sarebbe la prole della donna, e l'uomo che cosa potrebbe fare? Evidentemente muoverebbe non le sue membra, bensì dei ferramenti e, privo dei genitali, imprimerebbe vomeri e zappe. Grazie dunque e le più ampie grazie si devono all'errore dei primi uomini che ha fatto evitare i tormenti di una natura tanto beata. Con più mitezza tratta le donne il parto e il marito che se esse sentissero gli aratri o si imboschissero in tutto il corpo per una importuna fecondità. Si coprano di vergogna le facce dei manichei e cerchino il tuo nome, o Signore. Oh portenti di coloro che accusano gli innocenti e Dio, o suffragi di argomentazioni e di testimonianze! Per quale ragione, domanda costui, non possiamo credere che la natura umana avrebbe potuto essere fatta diversamente da come si vede fatta? Come se si cercasse che cosa abbia potuto Dio e non che cosa abbia egli istituito. Se alla libidine di fantasticare piace la critica delle realtà che sono state fatte per dire, potendo essere state fatte diversamente le realtà che sono state istituite, per questo non rendono testimonianza alla bontà della natura, dichiariamo che Dio poteva fare i mortali " bicipeti " e che quindi sono stati fatti male " unicipeti " e tali da reggersi sui piedi: potevano infatti essere dotati di testa da ambedue le parti: una forma che è solita apparire in alcuni vermi il cui ventre è racchiuso tra due teste, nate da una parte e dall'altra, cosicché cominciano dall'omero in ambedue le direzioni e sembrano terminare nel mezzo. Si ammettano queste ridicolaggini, e quale sarà la fine del delirio? Poté dunque Dio far sbocciare gli uomini dalla terra insieme ai fiori! Quanto al suo potere, non nego che lo avrebbe potuto; ma non volle che gli uomini nascessero se non dai semi. Ora dunque si cerca che cosa Dio abbia fatto e non che cosa abbia potuto. E a questo punto sarebbe una risposta da pazzi furiosi dire: È male ciò che esiste, perché Dio poté fare diversamente. Questo sarebbe infatti lodare Dio con l'intenzione di vituperarlo, e predicare la sua onnipotenza per macchiare la sapienza del suo consiglio. Non solo non sarebbe una lode, ma sarebbe anche una grande offesa dare alla potenza di Dio quanto tu avessi rubato alla sua sapienza e dire che in Dio ci fu la fortezza, ma non ci fu la saggezza. Arriva a negare assolutamente la potenza il biasimo della sapienza: Dio non può tutto, se non può ordinare bene il tutto. Anzi, se gli manca la sublimità della sapienza, non salva nulla della riverenza della divinità: e poiché sospettarlo è la cosa più empia, ritorna ciò che strangola la vostra traduce. Dio, che fece molto buone tutte le cose, non istituì nulla che nel genere in cui fu fatto si provi che abbia potuto essere fatto o più appropriato o più razionale. Ricco appunto, alla pari, di sapienza e di onnipotenza, Dio non avrebbe istituito ciò che un omuncolo potesse giustamente criticare. Tutti gli elementi dunque che in tutte assolutamente le creature risultano naturali, sono stati fatti con tale somma perfezione, che ogni correzione si presuma di apportare in essi risulta stolta ed empia. Come dunque la forma del cavallo e la forma del bove, confrontate tra loro, distano, sì, e tuttavia nel loro genere hanno ricevuto un'armonia tanto conveniente sotto tutti gli aspetti da non dovere né da potere o il cavallo o il bove essere costituito diversamente da come è stato formato e con questa regola possiamo fare il giro di tutti gli animali, che nuotano, che strisciano, che camminano, che volano, e infine di tutti quelli dell'aria e dei cieli: si dimostra appunto che di nessuno si sarebbe potuta stabilire la forma in modo migliore, attesa la specie a cui era destinata, così anche l'uomo, già indicato precedentemente nella specie degli animali che camminano, è stato formato in tutte le sue parti così bene che nessuno lo avrebbe potuto modellare meglio. Egli ha sapientemente ricevuto nel corpo e membra decorose e membra indecorose, perché in se stesso imparasse e la riservatezza e la spigliatezza, e non sembrasse deforme se in tutto fosse coperto, né si rendesse ozioso e incolto se fosse sempre nudo dappertutto. E perciò la fecondità umana non dové ricevere membra diverse da quelle che possiede adesso nell'uno e nell'altro sesso, non altra condizione di visceri, non altri sensi, non altra voluttà. Ammoniamo quindi i manichei che smettano di criticare le opere della sapienza divina, ammoniamoli che correggano le loro depravate opinioni, perché né è pertinente alla nostra questione dire che gli uomini avrebbero generato diversamente da come attesta il mondo intero; né che essi potessero esser fatti meglio di come sono stati fatti lo attesta e la ragione, e parimenti anche la Scrittura, la quale grida che Dio non solo fece buone tutte le cose, ma anche le fece molto buone. ( Gen 1,31; Sir 39,21 ) E perciò anche qui, come in tutto il corso dell'opera, è stato abbattuto il dogma dei manichei. Quanto poi al tempo futuro, confessiamo che i corpi dei beati saranno più gloriosi, né saranno bisognosi di aiuto. E anche questo è stato stabilito ottimamente da Dio, giustissimo e sapientissimo, perché la natura non precedesse in nessun modo lo stato di premio, ma esistesse un primo ordine in cui sussistesse l'onestà naturale e dal quale, a norma del diritto del libero arbitrio, l'uomo o discendesse negli abissi profondissimi delle pene o puntasse ad ascendere alla vetta delle glorie per le vie stabilite da Dio. Agostino. È proprio vero, Giuliano, che non hai pensato che la gente avrebbe letto e il mio e il tuo; ma hai scritto esclusivamente per coloro che, ignorando o trascurando il mio e senza esaminare con diligenza il tuo e il mio, avessero cura di leggere e di conoscere solo il tuo né credessero che io abbia detto se non ciò che, ricordato da te, trovassero nei tuoi libri come appartenente ai miei. Da qui infatti io vedo che, avendo io detto: " Per quale ragione infatti non possiamo credere che nel paradiso avrebbe potuto Dio concedere per il suo seme all'uomo beato ciò che vediamo concesso agli agricoltori per il seme del grano: di essere seminato il seme umano allo stesso modo senza nessuna libidine pudenda? ", è avvenuto che tu, quasi rispondendo a queste mie parole, hai dilatato i tuoi vaniloqui diffondendoti e arrivando fino al punto di propalare come sentito da me che " se Adamo non avesse peccato, la donna avrebbe potuto prepararsi alla fecondità in tal modo forse che attraverso tutte le articolazioni e i minuti meati del corpo, che i medici chiamano pori, sarebbero spuntate spighe di figli e così, lietamente feconda in tutte le sue parti, avrebbe trasudato i parti come i pidocchi ", e tutto il resto che a me ripugna di commemorare e che tu invece non ti sei vergognato di accumulare. Tra l'altro hai pure detto dell'uomo: " Evidentemente non muoverebbe le sue membra, bensì dei ferramenti e, privo dei genitali, imprimerebbe vomeri e zappe ". Sconcezze come queste e simili, a leggere le quali, non dico i tuoi semplici lettori, ma i tuoi amatori, arrossiscono per te, se c'è in essi qualche sensibilità umana ti lascerebbero forse libero di irridere le mie parole, che tu hai saltate e taciute con il solo intento di prepararti in questi discorsi spazi più ampi per delirare? Io infatti ho detto che l'uomo poté essere seminato da membra genitali ossequienti al comando della volontà; tu al contrario hai taciuto le membra genitali per andare attraverso le articolazioni e i minutissimi meati della donna, trasudante figli dai pori del corpo come pidocchi e partoriente dalle pupille degli occhi con conseguente cecità. Hai taciuto, dico, le membra genitali, come se noi dicessimo che sarebbero mancate agli uomini, qualora Adamo non avesse peccato, perché tu potessi dire, non con ridicola urbanità, ma con ridicola vacuità che " l'uomo, privo dei genitali, imprimerebbe vomeri e zappe per fecondare la moglie ". La questione riguarda forse il numero e la figura delle membra, che per generare potevano essere create salve e integre ai loro posti, senza avere bisogno dell'incitamento della libidine e servissero all'imperio della volontà? Le quali membra, da me commemorate, tu non le hai volute commemorare, ponendo le mie parole, proprio per non imporre a te stesso il silenzio e non potere aprire la bocca a dire dei figli che saltano da tutto il corpo come pidocchi e dei ferramenti agricoli da usare per ingravidare le femmine, parole che a te sembravano vibranti di festosissima dicacità, mentre erano dette con sconveniente vanità. Onde hai reputato di non dover toccare nel medesimo passo che avevi preso a confutare nemmeno quel mio testo che ho scritto sui dolori delle partorienti. Se infatti le donne avessero partorito senza i travagli del parto, reputo che ad esse non sarebbero venute a mancare le membra genitali, ma i tormenti penali. In proposito la divina Scrittura, lo sanno tutti coloro che la leggono, attesta che questo genere di tormento è passato nel genere femminile dal peccato di Eva. ( Gen 3,16 ) Questo nelle mie parole lo hai preferito tralasciare piuttosto che trattarlo, perché non ti si dicesse che, sani e integri i genitali di ambedue i sessi, in quella felicità del paradiso i coniugi avrebbero potuto praticare il coito senza la pudenda libidine, così come le donne, sani e integri i genitali femminili, avrebbero potuto partorire senza gemebondo dolore. Ma voi, non solo gli strazi e i gemiti delle partorienti, bensì anche le altre sofferenze e disgrazie dei mortali, non dal tempo del loro libero arbitrio, ma dal giorno della loro nascita dal grembo materno, preferite porre nel luogo di quella così grande beatitudine, piuttosto che non porre nel paradiso la vostra pupilla, " pudenda " almeno in forza dello stesso pudore. E tuttavia tu che neghi che la natura sia stata mutata dopo il peccato nella presente mortalità, la confessi mutanda nella gloria della beata immortalità dopo il merito della buona volontà. Alla vetta della quale gloria i bambini, e non lo potete negare, ascendono per i meriti, non della volontà loro, ma della volontà altrui, e voi non volete credere che i medesimi bambini per i meriti della cattiva volontà di un altro, ma tuttavia di Adamo, nei cui lombi essi furono presenti per ragione del seme, siano stati gettati nel profondo delle miserie che conosciamo. 16 - La vita corporale di ora e la vita corporale delle origini Giuliano. Ma passiamo ormai agli altri punti. Dopo avere scansato dunque l'esempio di Abramo, che era stato messo da me, costui ha tentato di asserire che anche delle donne di Abimèlech, che si dice guarito insieme alle sue donne per le preghiere di Abramo, così da poter ritornare all'opera della generazione, dalla quale era stato impedito per una punizione, si può intendere che fosse stata occlusa la vulva delle donne, non con la sottrazione della libidine, ma con la presenza di qualche dolore. Quasi che da parte nostra si insistesse molto nel far credere che sia stato reso a quelle donne il desiderio naturale, mentre io con quelle testimonianze mi ero contentato di provare che il coito, il quale non poteva esser senza la libidine, solamente impedito dall'indignazione di Dio e reso dalla indulgenza di Dio o per la remozione degli ostacoli o per la restituzione degli stimoli abituali, non veniva tuttavia insegnato come diabolico, ma come pertinente all'opera di Dio anche per il fatto che tra gli strumenti del corpo, modesti ma innocenti, il sesso può peccare non per la specie, non per il modo, ma solamente per l'eccesso. Agostino. Chi non intenderà che, se per l'indignazione di Dio al corpo di quelle donne accadde qualcosa che impedisse il coito e quindi la prole, la quale non poteva certamente essere concepita se non da persone che praticassero il coito, rimosso quell'impedimento, sia stato reso il coito tale e quale è nel corpo di questa morte, ossia con la libidine? A tale stato appunto sono richiamati i corpi quando vengono guariti, quale ha ormai sortito dopo il peccato la natura dei mortali, che sospinge gli uomini alla morte. Ma nel corpo di quella vita dove l'uomo, se non avesse peccato, non sarebbe stato morituro, ci fu senza dubbio uno stato diverso: onde in esso o non ci fu nessuna libidine, o non ci fu una libidine tale e quale c'è presentemente da fare concupire la carne contro lo spirito e da rendere necessario o sottostare ad essa o riluttare contro di essa: due comportamenti di cui il primo non poteva convenire all'onestà di quella beatitudine e il secondo alla pace di quella beatitudine. Non voler dunque tu con eretica perversità confondere queste due vie: in un modo si vive nel corpo corruttibile che appesantisce l'anima ( Sap 9,15 ) e in un altro modo si vivrebbe nel paradiso, se fosse perdurata la rettitudine dell'uomo nella quale egli era stato creato. Ci sarebbe dunque anche là il coito coniugale per amore della generazione, ma o con membra genitali che servissero allo spirito senza nessuna libidine, o con movimenti della libidine stessa, se essa ci fosse, che non ostacolassero mai la volontà. E la libidine, se fosse tale, non sarebbe pudenda, né farebbe chiamare pudende in senso proprio le membra del corpo che essa con il suo istinto o sollecitasse o movesse, né la libidine ci spingerebbe a coprirle. Che ciò sia accaduto dopo il peccato e che non sia potuto accadere se non in pena del peccato lo attestano le parole di Dio: Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell'unico albero di cui t'avevo comandato di non mangiare? ( Gen 3,11 ) Non ti - sarebbe stata notificata, dichiara, la tua nudità, se non fosse stata prevaricata da te la mia legge. Ma come avvenne la notificazione della nudità a chi essa non era senza dubbio ignota se non con quel movimento stimolante che urgesse a farla avvertire con uno sguardo inusitato e che incutesse pudore? Poiché a causa del peccato era avvenuto che la parte inferiore dell'uomo concupisse contro la parte superiore, cioè la carne contro lo spirito. Ma tu chiudi gli occhi dinanzi a tutti questi fatti e, mentre Dio manifesta che l'uomo, se non avesse peccato, non si confonderebbe della sua nudità, asserisci che l'uomo fu istituito così che si vergognerebbe della tua nudità, anche se non avesse peccato. Dio dice infatti: Chi ti ha notificato la sua nudità se non il fatto che hai peccato? E tu dici, per mettere le tue stesse parole con le quali hai parlato poco prima: " L'uomo è stato formato in tutte le sue parti così bene che nessuno lo avrebbe potuto modellare meglio. Egli ha sapientemente ricevuto nel corpo e membra decorose e membra indecorose, perché in se stesso imparasse e la riservatezza e la spigliatezza, e non sembrasse deforme se in tutto fosse coperto, né si rendesse ozioso e incolto se fosse sempre nudo dappertutto ". E quindi secondo te l'uomo peccando si è fatto molto migliore: se infatti non avesse peccato, l'uomo che Dio aveva creato retto, ( Qo 7,30 ) vivrebbe imprudentemente non distinguendo nel suo corpo le parti dell'onore e le parti del pudore, e vivrebbe impudentemente non coprendo nessuna parte, e vivrebbe negligentemente esponendo tutte le parti. Non eviterebbe infatti questi vizi, se a lui, perché aveva peccato, non fosse stata notificata la sua nudità. 17 - Rapporto naturale con la donna e rapporto coniugale Giuliano. Poiché di questo argomento abbiamo trattato abbastanza, affrettiamoci alle obiezioni che Manicheo mosse a suo tempo con acutezza sul male naturale, ma ingannato, come proverò, dall'ambiguità delle questioni. Prima tuttavia sventoliamo brevemente che cosa abbia replicato Agostino contro una testimonianza dell'Apostolo. Io dunque avendo detto che l'istituzione da parte di Dio, creatore dei corpi, di questa nota operazione dei sessi si prova apertissimamente anche con una testimonianza del beato Paolo, il quale, sdegnato contro i vizi di coloro che l'insania aveva pure precipitato in concubiti di sesso maschile, afferma: Lasciando l'uso naturale della donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, ( Rm 1,27 ) ho tirato questa conclusione: testimone l'Apostolo, si prova che l'uso della donna fu istituito per natura. A questo mio testo risponde dunque Agostino così: L'Apostolo non disse l'uso coniugale, ma l'uso naturale, volendo far intendere l'uso che avviene con le membra create ad hoc, perché per mezzo di esse possano ambedue i sessi mescolarsi insieme per generare, e perciò anche quando con le medesime membra qualcuno si unisce ad una meretrice, è uso naturale, né tuttavia è lodevole, ma colpevole. Dunque con questa denominazione, ossia con l'uso naturale, non è stata indicata la mescolanza coniugale, ma sono state bollate le infamie ancora più immonde e più scellerate delle pratiche che gli uomini avessero illecitamente, ma tuttavia " naturaliter " con le donne. Ossia questo uso della donna che l'Apostolo dichiarò naturale, non s'intende l'uso coniugale perché se ne insegni la bontà e la liceità, ma per questo è stato detto naturale, afferma Agostino, perché indica che la diversità del sesso è stata istituita allo scopo preciso di essere pronta e al coito e al parto. Dalle quali macchinazioni poiché non traeva nessun giovamento, per quale ragione vi ha indugiato tanto? Sicuramente per questa sola ragione: che i suoi seguaci credano risolto ciò che vedono appena sfiorato. Del resto come non abbia detto nulla lo renderà palese una breve discussione. Ossia, l'Apostolo dichiarò istituito naturaliter l'uso della donna, e non menzionò un'altra mescolanza che sia stata disposta fin da principio, ma, discorrendo di quell'uso nel quale sapeva che in tutti i tempi ebbe vigore la libidine, ha chiamato naturale la libidine. Agostino. L'uso della femmina è naturale quando il maschio fa uso di quel membro con il quale la natura del medesimo genere di animali si propaga, e per questo anche il membro stesso si suole dire in senso proprio " natura ": onde Cicerone racconta che una donna vide nel sonno di avere la " natura " contrassegnata. Pertanto l'uso naturale ed è lecito come nel matrimonio ed è illecito come nell'adulterio; l'uso invece contro la natura è sempre illecito e certamente è più infame e più turpe. Il quale uso contro la natura il santo Apostolo lo riprendeva e nelle donne e negli uomini, volendo che si considerassero più condannabili che se peccassero nell'uso naturale o con l'adulterio o con la fornicazione. Quindi l'uso naturale e insieme non colpevole dei concumbenti sarebbe potuto esistere pure nel paradiso, anche se nessuno avesse peccato: i figli infatti non sarebbero stati generati diversamente per moltiplicare il genere umano secondo la benedizione di Dio. Ma che l'Apostolo abbia chiamato uso naturale quell'uso " nel quale sapeva che in tutti i tempi ebbe vigore la libidine ", chi te lo ha detto se non la vostra eresia? Non sia mai infatti che l'Apostolo credesse che abbia avuto vigore la pudenda libidine degli uomini anche nel tempo in cui essi erano nudi e non ne sentivano il pudore. Ma tuttavia anche se l'Apostolo dicesse ciò chehai detto tu stesso: " Nell'uso naturale della femmina in tutti i tempi ebbe vigore la libidine ", anche in queste parole avrei modo di capire rettamente per non collocare la tua pudenda cliente nei corpi di quella vita beata, che non erano ancora diventati i corpi di questa morte, come fai tu con mente stoltissima, con lingua loquacissima, con faccia impudentissima. In tutti i tempi appunto da quando cominciò a praticarsi il concubito dei due sessi, l'uso naturale della femmina non poté evidentemente aversi senza questa pudenda libidine: già infatti non avevano più il corpo di quella vita, ma il corpo di questa morte, quando, usciti dal paradiso dopo il peccato, il maschio e la femmina mescolarono per la prima volta l'uno e l'altro sesso in modo naturale. Il che se facessero antecedentemente, nella loro unione o non ci sarebbe affatto la libidine, o essa non sarebbe pudenda: non solleciterebbe infatti chi non volesse e non costringerebbe il casto a combattere contro di essa, ma o senza la libidine i genitali compirebbero il loro ufficio sotto il comando dello spirito, o se la libidine esistesse, essa insorgerebbe quando ce ne fosse il bisogno, seguendo il cenno tranquillissimo della volontà e non opprimendo il pensiero con l'impeto turbolento della voluttà. Che tale non sia al presente la libidine essa lo confessa con i suoi molti movimenti, importuni e reprimendi: attesta dunque o di essere un vizio o di essere stata viziata. Ecco donde viene l'affermazione dell'Apostolo che diceva: Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene. ( Rm 7,18 ) Ecco donde i nascenti traggono il peccato originale. Di questo male fa buon uso la pudicizia coniugale, di questo male ancora meglio non fa uso la continenza religiosa vedovile o la sacra integrità verginale. 18 - Il rapporto coniugale è onesto e lecito Giuliano. Questo noi capimmo e parlando dell'istituzione della natura riferimmo ciò che risultava sentito dall'Apostolo. Tu quindi che cosa hai guadagnato replicando che da lui quell'uso non è stato chiamato coniugale, ma naturale? O con quale bocca soggiungi che " quando con le medesime membra qualcuno si mescola ad una meretrice, l'uso è naturale e non è tuttavia lodevole, ma colpevole "? Per mostrare infatti anche qui ciò che abbiamo manifestato frequentemente, cioè che da te non viene pronunziata nemmeno una sola sentenza che non valga moltissimo contro di te: se l'uso della donna nella fornicazione si dice naturale e non è tuttavia lodevole, ma colpevole per la ragione che è l'uso di una meretrice, confesserai senza dubbio non colpevole ma lodevole l'uso coniugale, perché onesto e lecito. Agostino. Non perché è senza il male, ma perché fa buon uso del male, il concubito coniugale si dice giustamente non colpevole. Infatti fare buon uso di un male è un bene, così come è un male fare mal uso di un bene. I coniugati dunque fanno buon uso del male della libidine, così come gli adùlteri fanno mal uso del bene del corpo. Questo io l'ho già detto non una volta soltanto e non mi rincrescerà di dirlo ancora più spesso, finché tu non sentirai la vergogna di contraddire la verità. 19 - La libidine non è sempre cattiva Giuliano. E dov'è quel tuo crimine diabolico che tentavi di addossare al coito coniugale con l'argomento del pudore? Non si riprende più infatti la libidine, che per la stessa condizione della natura si sente e nell'uso proibito e nell'uso concesso, se si incolpa solamente la sua depravazione che trascorra a ciò che non era lecito. Agostino. Non solamente " si incolpa la depravazione della libidine che trascorra a ciò che non era lecito "; ma è una grande depravazione la tua, poiché la libidine non è incolpata da te neppure se spinge a ciò che non era lecito. Quando essa infatti spinge a ciò che non è lecito, certamente trascorre a farlo, se non si fa opposizione alla sua pravità. E questa è la concupiscenza della carne per cui la carne concupisce contro lo spirito e provoca perciò lo spirito a concupire a sua volta contro la carne, proprio perché lo spirito non trascorra dove lo spinge la libidine. È un male, dunque, anche ciò che spinge al male; ma se la libidine non trascorre al male per l'opposizione dello spirito, l'uomo non è vinto dal male. Allora però l'uomo sarà libero da ogni male quando non ci sarà più nessun male contro cui egli debba combattere. E non è che, quando si compirà questo evento, sarà separata da noi la natura aliena del male, come vaneggia Manicheo, ma sarà risanata la nostra natura. La quale ora, se come viene risanata dal reato mediante la rigenerazione e la remissione dei peccati, così fosse già sana da ogni infermità, lo spirito non concupirebbe contro la carne perché noi non concupiamo se non il lecito, ma la carne consentirebbe così allo spirito che nulla di illecito si concupirebbe contro lo spirito. 20 - L'Apostolo guardava alle membra, non al loro uso Giuliano. E per fare una domanda precisa e concisa: tu giudichi che l'Apostolo, quando nominava l'uso naturale della femmina, indicò la possibilità e l'onestà dell'uso o solamente la possibilità? Cioè: con l'aggettivo naturale volle che noi intendessimo l'uso che si poteva e si doveva fare, o l'uso che si poteva ma non si doveva fare? Se dirai: Quello che si poteva, benché non si dovesse, come si pratica dagli adùlteri, allora non sarà contro la natura nemmeno l'altra turpitudine della fornicazione, perché essa si pratica con le membra naturali. Se invece, spaventato, replicherai, come ha pure la verità, che l'Apostolo chiamò uso naturale quello destinato alla procreazione e compiuto onestamente, ossia appunto naturaliter, come si poteva e si doveva, cioè nei corpi o di singole donne o di più donne, concesse tuttavia successivamente, confesserai senza dubbio di aver sbagliato nell'argomentazione e che il beato Paolo con la denominazione di uso naturale non ha indicato la fornicazione, come avevi reputato tu, ma l'onesta e legittima unione dei corpi, che è adatta alla fecondità. Noi dunque a buon diritto difendiamo in tutto il genere ciò che Manicheo accusa in tutto il genere. Tu dici infatti che questa mescolanza dei sessi con la presenza della voluttà, istituita per opera del diavolo, è la causa del peccato originale e la necessità di tutti i crimini, e per questo tu incrimini la natura stessa. Noi che cosa avremmo potuto fare di più logico che, teste il Maestro delle genti, difendere in tutta la generalità della natura e ascrivere all'opera di Dio ciò che tu chiamavi un male naturale? E così è accaduto questo: per confutare te noi proviamo che è stato istituito per natura ciò che tu dici diabolico. È questa appunto una risposta legittima ed erudita: difendere nella specie ciò che si accusa nella specie e rivendicare nel genere ciò che si incolpa nel genere. Il che capì anche Manicheo, che tu uguagli nel crimine, ma non uguagli nell'acume. Perciò egli trascrive al diavolo tutte le sostanze dei corpi; tu invece non tutte ma la sostanza migliore, come abbiamo detto nel precedente libro. Circondata da sacri presìdi, ha dunque trionfato la verità, la quale, approvando per mezzo dell'Apostolo come naturale il rapporto dei coniugi e quindi come appartenente a Dio, autore della natura, ha spezzato le fantasie di voi, che giurate essere quel rapporto prevaricatorio e non naturale. Agostino. Abbiamo già spiegato sufficientemente anche sopra quale uso della femmina l'Apostolo abbia chiamato naturale e per quale ragione lo abbia chiamato naturale: quando cioè si fa con le membra dei due sessi che sono state istituite per propagare la natura, sia che l'uso fosse tale e quale sarebbe potuto esistere nel paradiso, cioè tale da non fare uso di nessun male o non esistendo nessuna libidine o esistendo solo una libidine obbediente al cenno della volontà, sia che tale uso fosse quale è presentemente da quando cominciò ad essere: o lecito come nel matrimonio, facente buon uso e del bene del corpo e del male della libidine; o illecito come nell'adulterio, facente mal uso di quel bene del corpo e di quel male della libidine, né tuttavia allontanantesi neppure esso da quelle membra che si indicano propriamente anche con il nome di " natura ". Non c'è pertanto nessuna ragione che tu ponga la domanda, come dici tu, " precisa e concisa ", se l'Apostolo, nell'uso che affermò naturale, abbia voluto far intendere l'uso che si poteva e si doveva fare, o l'uso che si poteva ma non si doveva fare. L'Apostolo infatti per dirlo non guardava a nessuna di queste situazioni, ma guardava solo alle membra genitalmente naturali dell'uno e dell'altro sesso, ossia alle membra create per generare la natura. Chi ignora infatti che l'uso lecito della femmina e si possa e si debba fare, che invece l'uso illecito si possa fare e tuttavia non si debba fare, e che però l'uno e l'altro sia naturale perché si fa per mezzo delle membra genitali di ambedue i sessi, create per propagare la natura? Togli le tue ambagi tergiversatorie, rimuovi i fumi loquaci e fallaci della tua vanità. La libidine degli animali per questo non è un vizio: perché quella carne non concupisce contro lo spirito. Il che se avesse saputo discernere Manicheo, né avrebbe alienato le nature degli animali dall'arte del vero Dio, né avrebbe reputato che i vizi degli uomini siano delle sostanze. Ma tu, se con Ambrogio e con tutti gli altri cattolici non sentirai e non penserai che per la prevaricazione del primo uomo il dissenso tra la carne e lo spirito si è cambiato nella nostra natura, per quanto ti sembri di detestare i manichei, rimarrai senza dubbio un loro aiutante da detestare, asserendo tu che è un bene ciò che la verità grida essere un male e negando tu che questo male provenga dalla depravazione della nostra natura, viziata dal peccato, con il risultato che Manicheo con il tuo aiuto introduca in noi la mescolanza di una natura aliena. 21 - Albero buono e albero cattivo Giuliano. Con un simile acume tenti di abbattere anche ciò che io ho detto: L'albero, per testimonianza evangelica, si deve conoscere dai suoi frutti. L'ho detto per indicare ciò che è chiaro: non si potrebbe insegnare la bontà dei matrimoni, anzi non si potrebbe nemmeno rivendicare in virtù dell'opera di Dio la natura stessa, che viene rifornita dalla operazione dei matrimoni, se si dicesse che da tale operazione pullulano i crimini. A questo dunque tu hai risposto: Parlava forse delle nozze il Signore o non piuttosto delle due volontà degli uomini, cioè della buona e della cattiva, dicendo albero buono la volontà buona e albero cattivo la volontà cattiva, perché dalla volontà buona nascono le opere buone e dalla volontà cattiva le opere cattive? Che se per albero buono intendiamo le nozze, metteremo certamente dalla parte opposta come albero cattivo la fornicazione. Se poi dirà che in quel caso non si deve mettere al posto dell'albero l'adulterio, ma la natura umana dalla quale nasce l'uomo, anche nell'altro caso l'albero buono non sarà il connubio, ma la natura umana dalla quale nasce l'uomo. Ti sbagli: in quel passo il Signore non parla di due volontà, ma della sua persona. Benché prestasse ai Giudei innumerevoli benefìci, essi non desistevano dal muovergli accuse. Inoltre, non riuscendo a denigrare le sue opere che anche glorificavano, ricorrevano tuttavia al pretesto che egli ingannasse come un samaritano, pieno di un demonio e dello spirito di Beelzebul. Allora dunque il Signore affermò: Se prendete un albero buono, anche i suoi frutti saranno buoni; se prendete un albero cattivo, anche i suoi frutti saranno cattivi; dai suoi frutti infatti si riconosce un albero. ( Mt 12,33 ) Cioè: o vituperate le mie opere, che le guarigioni delle infermità e le restituzioni delle sanità proclamano buone, per provarmi reprobo con la testimonianza delle mie opere; oppure, se non osate calunniare questi benefìci così grandi, rendete all'albero buono, ossia a me, la testimonianza dei miei frutti e amate il benefattore voi che predicate i suoi benefìci. Ivi dunque il Cristo comandò che una persona fosse riconosciuta dalle sue opere: il che è stato per noi un giusto suffragio, perché insegnassimo che anche la natura e le nozze sono da giudicarsi dalla qualità della loro fruttificazione: di modo che se da esse fluisse il veleno dei crimini, si giudicasse criminosa anche la radice. Vedi dunque quante traveggole hai nell'intendere, tu che hai reputato di levare il peso della mia obiezione opponendo tra loro la fornicazione e le nozze, in modo da far sembrare le nozze l'albero buono, così come la fornicazione l'albero cattivo. Dalla quale, cioè dalla fornicazione, non dovrebbe provenire nessuna fecondità che si rivelerebbe cattiva, se si dimostrano buone le nozze dai loro buoni parti, poiché l'uomo, sia che nasca dal matrimonio, sia che nasca dall'adulterio, proviene non dalla turpitudine, ma dalla natura dei semi. La turpitudine appunto, che si commette dalla volontà degli adùlteri, non turba gli statuti della sostanza; ma la natura si esplica per mezzo delle sue materie e, rimanendo il peccato presso l'autore della volontà illecita, il feto erompe innocente dall'operazione del Creatore. Il che tu pure in verità hai visto di dover rispondere, ma in qual modo tu abbia tentato di eluderlo lo avverta il prudente lettore. Dichiari infatti: Se in un caso non si deve mettere al posto dell'albero l'adulterio, ma la natura dalla quale nasce l'uomo, anche nell'altro caso l'albero buono non sarà il connubio, ma la natura umana dalla quale nasce l'uomo. Questo è dunque quanto hai cercato di esprimere: Come non si attribuisce l'uomo alla fornicazione ma alla natura, così il peccato che si trae dai legittimi genitori non va attribuito al connubio ma alla natura umana, che il diavolo infettò con il crimine antico. Negli adùlteri dunque incolpasti la volontà dei lascivi, ma lodasti la natura umana, dalla quale nascesse l'uomo anche per mezzo di illeciti concubiti; nei genitori legittimi al contrario lodasti il matrimonio, dal quale, dici, non viene il peccato, ma biasimasti la natura, dalla quale, dici, viene infuso un crimine orrendo. Vigili qui dunque il mio lettore. Se nella fornicazione giudicasti lodevole la natura umana, che ha fatto inviolata dalle infamie dei " concumbenti " la causa del nascente, per quale ragione nel caso del matrimonio incrimini la stessa natura umana che, dici, ha prestato la causa al crimine naturale? Dunque non certo il connubio, ma la natura umana tu professasti essere e un grande bene e un grande male. Infatti che cosa più iniquo di essa, se ha ingenerato un crimine? Che cosa più detestabile di essa, se è posseduta dal diavolo? Quale arte dunque abbia nel seme lo veda la natura stessa; provvisoriamente si dimostra di una pessima qualità la natura, nella quale c'è ogni bene o male, se la natura si prova e rea in se stessa e generatrice di reati e satellite della tirannide diabolica. Meritamente dunque l'albero dev'essere riconosciuto dai suoi frutti, perché la natura che è causa del male sia nominata " mala " con pienissimo diritto. Agostino. Che la causa del male originale non sia né il matrimonio né l'adulterio lo mette bene in chiaro la realtà stessa, poiché ciò che c'è di buono nella natura dell'uomo nasce dall'uomo per creazione di Dio, e ciò che l'uomo ha di male e lo rende bisognoso di rinascere l'uomo lo trae dall'uomo. Ora la causa di questo male sta nel fatto che a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e così passò in tutti gli uomini, perché tutti peccarono in lui. ( Rm 5,12 ) Le quali parole dell'Apostolo nel distorcerle in altro senso con quanta loquacità abbia tu faticato invano lo vedono coloro che leggono intelligentemente i tuoi libri e i nostri. Che cosa ti giova quindi? A quale scopo, ti prego, hai commemorato il testo evangelico: Un albero buono produce frutti buoni, quando tu parlavi del bene del matrimonio e volevi che i suoi frutti fossero gli uomini, quasi a dimostrare che per questo essi nascono senza il male per il fatto che le nozze sono un bene e un albero buono non può produrre frutti cattivi, dal momento che gli uomini nascono dagli uomini sia con il danno originale, onde l'Apostolo dice: Il corpo è morto a causa del peccato, ( Rm 8,10 ) sia senza nessun danno, come sostenete voi contro l'Apostolo, non tuttavia soltanto dai concubiti coniugali, ma anche dai concubiti impudichi, e dal momento che a volte sono sterili le nozze e fecondi gli adultèri? Se poi il Signore abbia voluto insinuare le due volontà, come diciamo noi, nei due alberi, l'una la volontà buona per cui è buono l'uomo, e non può la volontà buona produrre opere cattive, cioè frutti cattivi; l'altra, la volontà cattiva, per cui l'uomo è cattivo, e non può la volontà cattiva produrre opere buone, cioè frutti buoni; o se, come dici tu, abbia parlato di se stesso ai Giudei, coloro che lo vogliono sapere, leggono il Vangelo e " neglìgono " te. Il Signore infatti nel mostrare che dovevano esser evitati coloro che si presentassero in veste di pecore, ma dentro fossero lupi rapaci, afferma: Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi. Un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. ( Mt 7,16-18 ) E secondo Luca questi due alberi sono stati commemorati e subito dopo spiegati con evidenza in un rimprovero rivolto agli ipocriti, soggiungendo e dicendo il Signore: L'uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore. ( Lc 6,45 ) Dove poi dice: Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo, il che tu pensi abbia detto di se stesso, aprendo subito per quale ragione lo abbia detto soggiunge: Dal frutto infatti si conosce l'albero. Razza di vipere, come potete dire cose buone voi che siete cattivi? Poiché la bocca parla dalla pienezza del cuore. L'uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive. ( Mt 12,33-35 ) Ti accorgi o no che sei tu a sbagliare e non io? Torna dunque alla causa dell'operare cattivo e troverai la volontà cattiva; torna alla causa del male originale e troverai la volontà cattiva del primo uomo e, viziata dalla volontà cattiva, la natura buona. 22 - Esistono innumerevoli mali naturali Giuliano. Ma noi parliamo così per mostrare quale sia la fine della vostra fede. Rimane del resto inconcussa la verità fondata dalle precedenti discussioni: né c'è alcun male al di fuori dell'operare della volontà perpetrante ciò che la giustizia proibisce, né si può dimostrare che sia un male ciò che è naturale. Rimane dunque inconcussa questa torre, dalla cui cima si respingono gli attacchi briganteschi dei diversi errori. Agostino. Che cos'è quello che dici o che cosa sono le tue precedenti discussioni se non loquacissime vanità? Che cos'è ciò che dici: Né c'è alcun male al di fuori dell'operare della volontà perpetrante ciò che la giustizia proibisce? Dunque non è un male la stessa mala volontà, se non c'è nessun male all'infuori dell'operare della volontà? Né infatti è conseguente che la cattiva volontà abbia anche la facoltà di perpetrare l'opera, e quindi secondo il tuo insegnamento non sarà un male dell'uomo il volere il male, quando non lo può fare. Chi sopporterà cotesta insipienza o piuttosto cotesta demenza? Dove mettiamo anche queste altre conseguenze? Se non c'è alcun male all'infuori dell'operare della volontà perpetrante ciò che la giustizia proibisce, mali non saranno tutte le azioni di qualsiasi genere che gli uomini o fanno o soffrono nolenti; non sarà un male quello che fa gridare all'Apostolo: Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio; ( Rm 7,19 ) non sarà un male il supplizio del fuoco eterno, dove sarà pianto e stridore di denti, ( Mt 8,12 ) perché nessuno lo soffrirà volente e perché non è un operare della volontà perpetrante ciò che la giustizia proibisce, ma è una pena del nolente. Quando avresti tali idee insipienti, se tu non fossi mirabilmente insensato o piuttosto dissennato? Che cos'è anche quest'altra tua affermazione: " Né si può dimostrare che sia un male ciò che è naturale "? E così non è un male per tacere di innumerevoli vizi naturali del corpo, la sordità naturale, che impedisce pure la fede stessa di cui vive il giusto, ( Gal 3,11 ) dipendendo la fede dall'ascolto? ( Rm 10,17 ) Ma voi, se non foste sordi interiormente, dicendo l'Apostolo: Eravamo anche noi per natura meritevoli d'ira, come gli altri, ( Ef 2,3 ) udreste con gli orecchi del cuore. Ma andate pure avanti e gridate con cuori ciechi e sordi: Non è un male essere per natura smemorato, essere per natura ottuso, essere per natura iracondo, essere per natura libidinoso. Per quale ragione infatti non scagliate sicuri queste parole fatue voi che non considerate un male nemmeno la stessa fatuità naturale? Voi, negando appunto ogni cattivo merito originale, siete costretti a lodare tutti i vizi naturali, fino al punto di dire che nel paradiso, se nessuno vi avesse peccato, sarebbero nati non solo feti deformi di corpo, deboli, mostruosi, ma anche fatui, pur di collocare tuttavia tra le delizie di quel luogo beatissimo la vostra pudenda cliente, per la quale la carne concupisce contro lo spirito. 23 - A nessuno il matrimonio è piú ostile che a te Giuliano. Ma teniamo dietro ora a quanto esige il punto in cui siamo. Appare bene che tu, sottilissimo disquisitore, hai esaltato con grandi lodi, ma hai macchiato con ancora più grandi incriminazioni una sola e medesima realtà, cioè la natura umana. Il che, come non può avvenire simultaneamente in un solo e medesimo tempo, in una sola e medesima opera, in un solo e medesimo progetto, così la ragione naturale non ammette in nessun modo queste contraddizioni, nemmeno quando sono alternative, pur sempre però piene di un solo interesse, ossia della stima del bene e mai a favore del male, che le istituzioni naturali non ammettono per la dignità del loro autore, a meno che questi non lo morda il dente velenosissimo dei manichei. Ma, finito questo, chiedo quali fumi credi di seguire nei riguardi del matrimonio. Poiché, se confessi che causa dell'uomo non è il matrimonio ma la natura, e altresì che causa del peccato non è il matrimonio ma la natura, questo matrimonio a cui tributavi la tua lode è proprio svanito tutto nel nulla. A quale compito dunque è destinato il matrimonio, se non è a causa né del tuo male, né del mio bene? Se escludi l'uomo dalla onestà del matrimonio per non essere costretto ad ascrivere l'uomo anche alla fornicazione, e se escludi il peccato dalla necessità del matrimonio, perché non sembri che tu condanni le nozze, che cosa è rimasto di lodevole in possesso del matrimonio? Per quale ragione temi di violare con il discorso il matrimonio che hai abbattuto dalle fondamenta con la discussione promossa da te? Di quale effetto si dirà dunque causa il matrimonio, se non partecipa né al male naturale, né al bene naturale? Più nulla compie dunque il nome e l'onestà del matrimonio nelle vicende umane? Ma tu ti senti soffocato e certo duramente: dobbiamo dunque correre in soccorso di questo vecchio affannato. È rimasto un compito che puoi dare al matrimonio e senza il quale non se ne trova nessun altro: cioè che tu dica che il matrimonio sta sulle porte per impedire che qualsiasi fama di oscenità irrompa nella voluttà dei concumbenti, ma per rivendicare a suo titolo l'onestà e il pudore a quella operazione. Senza una causa hai voluto dunque corrompere la fede del matrimonio con una subdola lode: a nessuno il connubio è più ostile che a te. Esso vi respinge assolutamente e non permette alle lingue dei manichei d'insinuarsi a lacerare la mescolanza dei sessi affidata alla sua tutela. Hanno, dice il matrimonio, i postriboli degni del loro dogma, nei quali soddisfarsi nelle ore notturne: le sentinelle del matrimonio proteggono la voluttà di coloro che rispettano la verecondia; si tengono lontani i crimini; si ammette l'onore della onestà; i privilegi concessi dall'Apostolo difendono le onorevoli nozze e i letti immacolati; ma i fornicatori e gli adùlteri li giudicherà Dio. ( Eb 13,4 ) Dov'è dunque la peccaminosa mescolanza, se alla sua funzione e al suo segreto è ossequiente l'autorità del matrimonio che tu lodavi? Agostino. Evidentemente nel dire che l'albero si conosce dai suoi frutti tu non hai voluto che questa testimonianza evangelica giovasse alla natura, ma alle nozze. Infatti le tue parole sono queste: Se dunque anche dalle nozze si trae il male originale, la causa del male è il patto nuziale, ed è necessario che sia un male ciò per cui e da cui è apparso un frutto cattivo, dicendo il Signore nel Vangelo: " Dai suoi frutti si riconosce l'albero ". ( Lc 6,44; Mt 7,16 ) In che modo, tu domandi, ti si può reputare degno di essere ascoltato quando dici buono il matrimonio, dal quale dichiari però che non proviene nient'altro che il male? Consta quindi, tu dici, che rei sono i matrimoni, se da essi si deriva il peccato originale, né si possono difendere, se il loro frutto non si prova innocente. Ma i matrimoni si difendono e si dichiarano buoni. Quindi il loro frutto si prova innocuo. Appunto da queste tue parole è abbastanza chiaro che hai voluto far intendere come albero il matrimonio e come frutti dell'albero quei parti che nascono dalla mescolanza dei coniugi. Ma poiché qui ti è stata sbarrata la strada da una evidentissima ragione: anche dagli adùlteri infatti nascono tali parti, hai pensato di doverti rifugiare nella natura per nasconderti nella sua profondità. Non parlavi della natura, quando adoperavi ciecamente la similitudine dell'albero evangelico a favore della bontà del matrimonio e della bontà dei suoi frutti. Difendi dunque la natura contro il peccato originale. Lascia da parte i matrimoni, di' che la natura stessa è l'albero buono, perché e dai matrimoni e dagli adultèri è la natura che genera gli uomini. I quali uomini tu dici frutti buoni di un albero buono per queste ragioni: perché non si creda che con la generazione abbiano tratto dalla origine depravata un qualche reato da sciogliere con la rigenerazione; perché non abbiano bisogno di un salvatore; perché non siano redenti dal sangue versato in remissione dei peccati. Compi queste operazioni come un eretico detestando: riempi il paradiso di Dio, anche se nessuno avesse peccato, delle libidini dei concupiscenti, delle lotte dei combattenti contro le libidini, dei dolori delle partorienti, dei pianti dei vagienti, dei morbi dei languenti, dei funerali dei morienti, della lugubre tristezza dei piangenti. Agisci così: questo ti si addice. Tali pene infatti seguono, secondo il tuo insegnamento, i buoni frutti dell'albero buono e insinuano il paradiso delle delizie, ma il paradiso dei pelagiani. Che anzi tu, acuto dialettico, irridi la mia discussione, dicendo che ho esaltato con grandi lodi, ma con ancor più grandi incriminazioni ho macchiato una sola e medesima realtà, cioè la natura umana. Io però non mi compiaccio di avere per maestro Aristotele o Crisippo e tanto meno il vano Giuliano con la sua loquacità, bensì il Cristo, il quale certamente, se la natura umana non fosse un grande bene, non si farebbe uomo per essa, essendo Dio, e se la natura umana non fosse morta per il grande male del peccato, non morirebbe per essa, essendo egli venuto ed essendo rimasto senza il peccato. Di nuovo tuttavia, quasi non ti basti la natura umana, che tale nasce dagli adùlteri quale nasce dai coniugi, reputi di doverci incalzare dalla bontà delle nozze domandando che cosa compiano esse nelle vicende umane, se non va imputato a loro né il male, che non si trae da esse ma dalla origine viziata a causa del peccato, né il bene, perché l'uomo nasce anche dagli adùlteri. E poiché troviamo che l'onestà del matrimonio è distinta dalla turpitudine del concubito illecito, da qui tu stimi che si possa concludere che nessun male originale si trae dal coito coniugale, non intuendo che, se la bontà del matrimonio fosse la causa per cui non traggano il male coloro che nascessero dai coniugi, certamente il male dell'adulterio sarebbe la causa per cui traessero il male coloro che nascessero dagli adùlteri. Hanno quindi le nozze il loro onesto posto nelle vicende umane: non quello di far nascere gli uomini, i quali nascerebbero ugualmente anche se, a dispetto d'ogni legge delle nozze, l'uno e l'altro sesso concumbesse a caso con l'uso naturale; ma quello di far nascere gli uomini con una propagazione ordinata, e, come sono certe le madri a causa del parto, così per mezzo della fedeltà coniugale si abbiano certi anche i padri, e la tua pudenda cliente non vagoli tra femmine di qualsiasi risma, tanto più turpemente quanto più liberamente. Ma non per il fatto che dalle nozze l'uomo nasce con la certezza di un genitore, per questo egli non ha bisogno di un salvatore per mezzo del quale rinasca per essere liberato dal male con cui nasce. Non c'è pertanto nelle nozze una criminosa mescolanza, come ci calunni di dire; ma per questo è da lodare la castità dei coniugi, perché è la sola che può fare buon uso del male che tu lodi mostruosamente. 24 - Fingi di lodare il matrimonio e condanni la natura Giuliano. Assolte quindi queste considerazioni, dimostrerò almeno brevemente come giaccia nel profondo dell'ignoranza tu che finora eri ritenuto sottilissimo e acutissimo. Tu dici che ascrivi alla natura un crimine che passa nella prole e che non c'è tuttavia nelle nozze; come inversamente addossi il crimine alla natura degli uomini e non alla loro cattiva condotta. E la ragione per cui fingi di lodare il matrimonio è senza dubbio di non essere manifestamente scoperto come manicheo; ma vituperi la natura confessando e che in essa è presente il male e che il male viene propagato attraverso di essa. Ma è quindi vero che non ti sia mai stato possibile ascoltare le regole della discussione e gli statuti della più sana ragione? In tutti i predicamenti infatti i generi abbracciano più realtà delle specie e dai predicamenti si fanno poi anche i generi subalterni; le specie a loro volta abbracciano più degli individui, e ci sono dei generi che contengono le specie, e ci sono specie speciali in cui sono compresi gli individui. Chi dunque scuote i predicamenti minori, non scuote i predicamenti superiori, ma i predicamenti superiori coinvolgono nelle loro cadute tutti gli altri predicamenti che abbracciano. Per esempio, l'animale è un genere, ma nella estensione del suo significato comprende diverse specie: cioè dell'uomo, del cavallo, del bove ecc. Se dunque perisse una specie, quel genere non risentirebbe un danno esiziale; fa' per esempio che dalla realtà venga meno la natura dei bovi: il genere naturalmente non è distrutto, rimanendo la natura degli altri animali. Ma al contrario, se si togliesse dalla realtà il genere animale, senza dubbio sparirebbero tutte le specie che erano comprese in questo genere; non rimarrà infatti nessuna specie di animale, una volta distrutto totalmente il genere animale. Dunque i predicamenti superiori comunicano le loro vicende e i loro meriti alle specie che abbracciano; tuttavia non ricorre l'inverso, cioè che i generi superiori restino cambiati dalle variazioni delle loro specie, come se le loro specie fossero per essi una sorta di necessità. E per applicare l'esempio alla nostra causa: la generalità della natura umana è come il genere delle istituzioni collocate al di sotto di essa, e la natura ha quasi le sue specie nel sito, nelle membra, negli ordinamenti, nei movimenti e nelle altre simili realtà. La natura dunque comunica la sua qualità a tutte le specie che le sono soggette; tuttavia per se stessa non andrebbe soggetta a mescolarsi nei pericoli delle realtà inferiori ad essa. Se dunque si condanna la natura, se si crede che la natura sia sottoposta al diavolo e che essa sia rea, si condannerà anche il coniugio che è sotto la natura e si condannerà la fecondità e tutta la sostanza. Non si può dunque lodare il matrimonio che si fa secondo la natura, se si riprende la natura stessa. Insieme alla loro radice è necessario che muoia la venustà dei germogli recisi. E per dire lo stesso in maniera più piana: non si può dire buono l'istituto delle nozze, se si condanna la mescolanza naturale, perché ciò che si disprezza nel genere, non si può onorare nella specie, che aderisce inseparabilmente al suo genere. Ebbene, quando la cattiva volontà adopera gli strumenti naturali per commettere azioni turpi, quella forza della voluttà e del seme, che non varia mai a seconda della volontà di coloro che si uniscono, non subisce nessuna complicità nel crimine, ma presta la materia a Dio che opera, e la cattiva azione accusa solamente il merito dell'adultero, non il merito della natura. Mentre quindi discutevamo di istituzioni naturali, tu, riprovando la natura, lodasti in maniera molto ottusa le nozze, poiché consta irrefutabilmente che il genere condivide con le sue specie tutto ciò che abbia ricevuto; e perciò io concludo: o l'uso che l'Apostolo dice naturale sarà giudicato buono e legittimo, e allora saranno oneste le nozze e non ci sarà nessun peccato naturale; o, se si crede che la natura sia diabolica perché esista il peccato originale, si pronunzierà allora anche la condanna dell'uso del matrimonio. E si accetta così, non certo sobriamente, ma a bocca aperta, il dogma dei manichei. E poiché questo dogma è funesto, e poiché non c'è presso i manichei traccia o di verità o di onestà o di fede; poiché però l'opinione del peccato naturale non ci può essere presso nessun altro gruppo, risulta che, come noi siamo cattolici, così voi siete manichei. Agostino. Certamente tu hai parlato dell'albero e dei frutti dai quali si riconosce l'albero, avendo reputato che in questa similitudine si dovesse intendere il matrimonio e la prole. Allontanato da questa interpretazione per il fatto che tale frutto può aversi anche dal concubito adulterino, ti sei rifugiato nella natura. Né poté rimanere nascosto a noi il transito del fuggitivo: esso infatti è apparso con sufficiente evidenza nelle tue parole che riporterò adesso. Hai scritto infatti parlando a me stesso: Con un simile acume tenti di abbattere anche ciò che io ho detto: per testimonianza evangelica l'albero si deve conoscere dai suoi frutti, per indicare ciò che è chiaro: non si può insegnare la bontà dei matrimoni, anzi non si può nemmeno rivendicare all'opera di Dio la natura stessa, che è rifornita dalla operazione dei matrimoni, se si dicesse che da tale operazione pullulano i crimini. Con questi tuoi detti hai aperto un transito alla tua fuga, aggiungendo ai matrimoni già nominati e dicendo: Anzi la natura stessa, che è rifornita dalla operazione dei matrimoni. Hai dunque distinto queste due realtà e hai ben indicato che altro è la natura e altro sono le nozze, con l'operazione delle quali si rifornisce la natura. Che cos'è dunque quello che vuoi dopo: la natura è il genere e il matrimonio è una sua specie? C'è forse qualche genere che si rifornisce con l'operazione di qualche sua specie? No certamente: l'animale infatti che è il genere non si rifornisce con l'operare dell'uomo o del cavallo o del bove o di una qualche altra bestia che è specie di quel genere, poiché anche se qualche specie venisse a mancare e fosse cancellata dalla realtà, rimarrebbe tuttavia il genere che abbraccia tutte le altre specie, come anche tu stesso sei andato discorrendo. Il quale genere non conserverebbe certamente la propria integrità, se esso si rifornisse mediante l'operazione della specie che è stata soppressa. Non è che un genere sia più genere se ha più specie e sia meno genere se ha meno specie; sebbene, se si togliessero tutte le specie non esisterebbe più nemmeno il genere; come, tolto il genere non ci sarebbe nessuna specie. Non è quindi il matrimonio la specie e la natura il genere, se con l'operazione dei matrimoni si rifornisce la natura; come l'agricoltura non è una specie della messe per il fatto che con l'operazione dell'agricoltura si rifornisce la messe. Inoltre se dici che la natura è il genere e il matrimonio è la sua specie, sei costretto senza dubbio a dire che la natura è ogni matrimonio. È vero appunto che ogni cavallo è animale, benché non ogni animale sia un cavallo, perché il cavallo è la specie e l'animale è il genere. Dunque nemmeno viene fatta dall'uomo una qualche natura: sebbene infatti, com'è scritto, la donna venga unita all'uomo ( Pr 19,14 sec. LXX ) dal Signore, nel senso che ciò non si fa se non con l'aiuto di Dio quando si fa rettamente, chi tuttavia ignorerà che i matrimoni sono opere degli uomini? Ora, se l'uomo non fa la natura, allora il matrimonio non è una natura, perché è l'uomo che fa il matrimonio. E quindi non essendo natura il matrimonio, esso non può essere certamente in nessun modo una specie della natura umana, come se questa fosse il suo genere. I matrimoni perciò appartengono alla moralità degli uomini, ma gli uomini stessi appartengono alla natura. È lecito pertanto a noi vituperare i mali della natura viziata e lodare la moralità degli uomini che fanno un uso buono dei beni e dei mali della natura. Io dunque lodo le nozze, ma non sia mai che io lodi il male per cui la carne concupisce contro lo spirito; il male senza il quale non può nascere nessun uomo; il male il cui reato non si può sciogliere se non rinascendo; il male il cui buon uso si loda nel concubito coniugale. Perciò il peccato, che non si trae dalla mescolanza di una natura aliena, bensì dalla depravazione della natura nostra, non lo dicono peccato originale i manichei, ma i cattolici: e voi negando il peccato originale siete eretici. 25 - Agostino e i Manichei Giuliano. Della quale denominazione per evitare l'onta, assolutamente invano tu fai menzione di diverse eresie. Affermi infatti: Come gli ariani chiamano sabelliani i cattolici, sebbene i cattolici facciano certa la distinzione delle persone, salva tuttavia la comunione della natura, così anche da noi viene imposto a voi il nome di manichei, benché non diciate come i manichei che le nozze sono un male, ma diciate che il male passa in tutti gli uomini per condizione di natura. Non dubito però che le persone prudenti rideranno di queste tue argomentazioni. Come falsamente infatti gli ariani dicono sabelliani i cattolici, mentre noi cattolici facciamo distinzione tra le persone del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, senza nessuna confusione e senza nessuna mutazione della sostanza, e mentre i sabelliani negano stupidissimamente ogni differenza tra l'unità e la trinità, altrettanto a buon diritto i cattolici dichiarano che voi siete manichei, perché a dirlo ci costringe la vostra fede. Asseriscono appunto i manichei che la libidine del corpo è stata impiantata dal diavolo: tu lo confermi con moltiplicata discussione. Sostengono i manichei che per mezzo del libero arbitrio non si può tenere lontano il male, appunto perché sarebbe naturale: anche tu nei tuoi discorsi ammetti il libero arbitrio, tale però che con esso si possa fare il male, ma non si possa astenersi dal male. Dice Manicheo che il seme è stato maledetto: tu tenti di dimostrarlo con l'autorità delle Scritture. Dice Manicheo che la malizia è inconvertibile: tu vociferi che è così. Ma tu dici che solo Adamo fu di natura migliore: anche Manicheo scrive a Patrizio che bisogna credere Adamo migliore di quanti lo hanno seguito, formato per così dire dal fior fiore della prima sostanza. Dici tu che la mescolanza sessuale è diabolica a causa dei suoi movimenti naturali e che gli uomini vengono colti con diritto dal diavolo come i frutti di un albero da lui piantato: lo dice anche Manicheo, dal quale appunto hai imparato a crederlo e ad affermarlo. Dice Manicheo che sono cattive e le nozze e la natura; tu invece dici buone le nozze, ma rea la natura. Non tu qui più religioso, ma lui più prudente. Come dunque è falso ciò che dicono gli ariani, che i cattolici siano sabelliani, così è verissimo ciò che dicono i cattolici: i traduciani non sono altro che manichei; ma tra voi traduciani e i manichei è sorta una distinzione, certamente illusoria, non per la vostra fede, ma per la vostra ignoranza. Dunque di una sola fede tu e Manicheo, ma egli meno impudente di quanto si trovi ad esserlo la tua gravità: né infatti s'incontra facilmente un altro Manicheo o Melitide, il quale dica che condanna la natura degli uomini, senza infamare le nozze. Agostino. Per quale ragione io abbia commemorato gli ariani e i sabelliani lo trova subito chi legge intelligentemente quel mio libro, e vede benissimo che agisci con dolo tu che non hai voluto commemorare tutta la medesima causa. A te infatti io dissi: Come gli ariani, mentre fuggivano i sabelliani, caddero in qualcosa di peggio, perché osarono distinguere non le persone ma la natura nella Trinità, così si dimostra che i pelagiani, mentre tentano di evitare la peste dei manichei buttandosi dalla parte avversa, sentono sul frutto delle nozze ancora più perniciosamente degli stessi manichei con il credere che i bambini non abbiano bisogno del Cristo come loro medico. Queste mie parole ti saresti messe davanti o almeno questa mia sentenza, se tu avessi voluto rispondermi in un qualsiasi modo. Tralasciate le quali mie parole, tu dici a te da te stesso ciò che vuoi, per fare le viste di avermi risposto, non confutando le parole dette da me, ma non tacendo. E adesso nel dire che io sento come sentono i manichei, ti inganni molto o piuttosto inganni quelli che puoi. Infatti i manichei dicono che il male è coeterno a Dio, dicono che il medesimo male è una sostanza, dicono che il male è una certa natura aliena, la quale non può essere assolutamente cambiata in bene né da se stessa, né dal Dio buono. I manichei affermano che dalla mescolanza di questo male immutabile l'anima buona, la quale osano credere che sia la natura del Dio buono, è stata inquinata e corrotta, e per questo essa in ogni età dell'uomo ha la necessità di un salvatore che e la mondi e la reintegri e la liberi strappandola da tale cattività. Voi invece, mentre fuggite i manichei buttandovi dalla parte avversa, siete caduti in queste tenebre di empietà: asserendo che i bambini sono salvi da ogni male non reputate che a questi miseri sia necessario il Salvatore, e degli stessi manichei che voi fuggite correte in aiuto non so come attraverso il circuito del vostro errore, negando il male della nostra natura viziata, con la conseguenza che tutto quello che dei mali o si crede rettamente o si trova apertamente nei bambini sia attribuito alla mescolanza di una natura aliena, come vogliono i manichei. La Cattolica però, per evitare i manichei e i pelagiani, dice che il male non è per niente una natura e sostanza, ma non nega che da un male volontario, il quale a causa di un solo uomo passò in tutti gli uomini, sia stata viziata la nostra natura e sostanza, mutevole proprio perché non è la natura di Dio, e confessa la Cattolica che a tale male, non insanabile alla potenza di Dio, per poter essere eliminato è necessario il Salvatore in tutte le età. Perciò né del peccato naturale, né della libidine dei corpi, né del libero arbitrio, né del seme maledetto, né della malizia inconvertibile, né della natura del primo uomo, né della mescolanza sessuale, né del potere diabolico sugli uomini possiamo fare le stesse affermazioni dei manichei noi che non ammettiamo l'esistenza di due nature e sostanze, una del bene, l'altra del male, sempiterne senza inizio di tempo e mescolate insieme da un certo inizio del tempo, per non dire tra molte assurdità e temerità inquinabile e corruttibile anche la natura di Dio. Per il fatto poi che tu affermi che io solo dico buone le nozze e rea la natura, ti do, per tacere di altri, l'apostolo Paolo, che tu pure sbandieri come lodatore delle nozze e che tuttavia dice riguardo al reato della natura originale che il corpo è morto a causa del peccato. ( Rm 8,10 ) Ti do un altro, interprete dell'Apostolo e mio maestro, il cattolico Ambrogio, il quale, pur lodando la pudicizia coniugale, dice tuttavia: Nasciamo tutti sotto il peccato, perché è corrotta la nostra stessa origine. O calunnioso, o contenzioso, o " linguoso ", che cerchi di più? 26 - Il castigo è un male e un bene Giuliano. Ma contro questi ludìbri è già stato fatto abbastanza. Veniamo a quella questione che definii sopra molto perplessa e che per la sua sottigliezza ingannò il tuo stesso precettore. Alla nostra opposizione hai tentato appunto di fare fronte non esponendo, ma ponendo un altro problema ancora più difficile. Dopo che io infatti avevo insegnato che negli uomini di età più provetta, i quali fanno il male di spontanea volontà, e si lodano gli esordi innocenti della natura e si biasimano giustamente le storture della condotta, e che ci sono due forze applicabili in direzioni contrarie, mentre nei bambini c'è una forza sola, cioè la natura, perché manca la volontà, e che questa unica forza è da attribuirsi o a Dio o al demonio; e dopo che ho insegnato come conclusione che, se la natura sussiste per virtù di Dio, non può esserci in essa un male originale; se al contrario la natura si ascrive al diavolo a causa di un male innato, allora non c'è più niente che ci faccia rivendicare l'uomo all'operazione di Dio; arrivato dunque a questi miei passi, tu hai risposto con la tua solita coerenza che la mia conclusione era vera, ma che anche nei bambini ci sono due forze, cioè la natura e il peccato. Il quale peccato tuttavia, perché tu ricordi le precedenti definizioni, non è altro che la volontà di mantenere o di commettere ciò che è vietato dalla giustizia e da cui sia libero astenersi. Stabilito dunque che il peccato non è altro che una scelta della volontà cattiva, tu, o Epicuro del nostro tempo, hai risposto che nei bambini il peccato c'è e che la volontà non c'è: il che di quale bruttura sia lo ha già dimostrato il mio quarto libro. Avendo dunque io detto in quei luoghi: " Se il peccato viene dalla volontà, è cattiva la volontà che fa il peccato; se il peccato viene dalla natura, è cattiva la natura che fa il peccato ", tu hai cercato di affrontarmi con un'altra questione che manifestamente non è stata escogitata da te. Infatti, trovandoci a Cartagine in questi ultimi anni, la medesima questione mi fu proposta da un tale di nome Onorato, un tuo intimo, ugualmente manicheo, come indicano le vostre Lettere. Del quale episodio io ho fatto menzione unicamente per chiarire che si tratta della medesima questione che ingannò tanti secoli prima e Manete e Marcione. Così dunque tu parli contro ciò che io avevo detto: " Se riporti il peccato alla natura, è cattiva la natura che fa il peccato ": Domando a lui che risponda, se può: come è manifesto che da una volontà cattiva, al pari che da un albero cattivo i suoi frutti, sono fatte cattive tutte le sue opere, così dica donde sia sorta la stessa volontà cattiva, ossia lo stesso albero cattivo dei frutti cattivi. Se dall'angelo, cos'era l'angelo stesso se non un'opera buona di Dio? Se dall'uomo, cos'era l'uomo stesso se non un'opera buona di Dio? Anzi, poiché la volontà cattiva dell'angelo è sorta dall'angelo e la volontà cattiva dell'uomo è sorta dall'uomo, cos'erano questi due, l'angelo e l'uomo, prima che in essi nascessero cotesti mali, se non un'opera buona di Dio e una natura buona e lodevole? Ecco dunque che dal bene nasce il male, né c'era assolutamente nulla da cui potesse nascere all'infuori del bene: dico la stessa volontà cattiva, che non fu preceduta da nessun male; non le opere cattive, che non vengono se non da una volontà cattiva, come da un albero cattivo. Né tuttavia poté dal bene sorgere una volontà cattiva, per la ragione che il bene fu fatto dal Dio buono, ma per la ragione che il bene Dio lo fece traendolo dal nulla e non da se stesso. Cos'è dunque quello che dice Giuliano: Se la natura è opera di Dio, non si lascia all'opera del diavolo di passare attraverso l'opera di Dio? Non è forse vero che l'opera del diavolo sorse nell'opera di Dio, quando sorse per la prima volta nell'angelo che diventò diavolo? Per cui se il male, che non esisteva assolutamente in nessuna parte, poté sorgere nell'opera di Dio, per quale ragione il male che già esisteva in qualche parte non poté passare attraverso l'opera di Dio? Forse che gli uomini non sono un'opera di Dio? Passò dunque il peccato attraverso gli uomini, ossia l'opera del diavolo passò attraverso l'opera di Dio e, per dire la medesima verità in altro modo: l'opera cattiva dell'opera buona di Dio passò attraverso l'opera buona di Dio. Queste così tante parole, che io ho riportato dai tuoi scritti, hanno completamente palesato il capo e la fonte dell'antico errore: niente d'un po' acuto hai apportato nel dire, niente d'un po' dettagliato nel disserire. Incalzato in tutto intero il campo della discussione e dalle armi della verità a te ostile scacciato da ogni luogo in cui avevi tentato di resistere, sei giunto alla fine in quella caverna che Manicheo aveva scavato nel folto opaco delle questioni. Hai reso a questo problema la testimonianza della sua difficoltà dicendo: " Domando a lui di rispondere, se può ", e perciò, poiché tra noi due siamo d'accordo sulla difficoltà della situazione, ammonisco il lettore di essere presente con tutto l'animo. Costui segue prima con attenzione e subito dopo con sicurezza distinzioni sottili, secondo l'esigenza del caso, che confido si impingueranno con l'aiuto del Cristo. Tu dunque hai chiesto donde il male, io interrogo quale male tu dica: è infatti questo nome di male comune alla colpa e alla pena. Del resto abusivamente si chiama male il castigo, essendo esso giustificato dalla gravità del giudizio che lo infligge. Tu rispondi che dici del peccato e non del castigo. Agostino. Hai completamente palesato, quanto ti è stato possibile, la tua stoltezza, tu che confessi che è male peccare e dici che non è male, ma si chiama abusivamente male ardere nel supplizio del fuoco eterno. Ma di tanta assurdità tu rendi una ragione egregia: Abusivamente, dici, " si chiama male il castigo, essendo esso giustificato dall'autorità del giudizio che lo infligge. Se per dirlo, soppesi dunque la pena del condannato non dalla misera sorte del paziente, ma dalla giustizia del condannante, di' più apertamente che è un bene il castigo, che dici chiamato abusivamente male. Il castigo è infatti la pena del peccato ed è giusta certamente la pena del peccato: giusto è pertanto il castigo, e tutto ciò che è giusto è un bene: un bene dunque è il castigo. Non ti accorgi che, se non distingui il condannato dal condannante così da asserire che la condanna per se stessa, come castigo e pena del peccato, è, sì, un'opera buona del condannante, ma è una mala sorte per il condannato, non ti accorgi, dico, che se non fai questa distinzione, in questo modo sei condotto a dire che gli uomini, invece di giungere con le loro male azioni a soffrire mali ancora più gravi, com'è vero, raggiungono piuttosto dei beni: il che è tanto falso ed è detto con tanta vanità che sentire così è un male tanto grande quanto lo è anche il castigo di essere ciechi di cuore? Quindi il castigo non si chiama male abusivamente, ma è un vero male per chi lo soffre; è però un bene per chi lo infligge, perché è giusto irrogare la pena a chi pecca. Se non vuoi delirare, distingui le due cose. 27 - Se il male esista Giuliano. Domandi dunque donde venga questo male, che meritamente si chiama male, ossia il peccato. Rispondo che è troppo sciocco chiedere l'origine di ciò che non conosciamo ancora come definire. Vediamo dunque prima se il male sia, poi che cosa sia, da ultimo donde sia. Certamente l'ho già fatto nel primo libro della presente opera, ma allora in qualche modo sicuro. Poniamo dunque il dubbio se il male sia. Agostino. Se tu dicessi che il male c'è e io invece lo negassi, allora faremmo tra noi la questione se il male sia: nella quale questione prenderesti a dimostrare che il male c'è, perché ciò sarebbe stato negato da me. Ma poiché nessuno di noi due lo nega, nessuno di noi due ne dubita, per quale ragione chiedi di dubitare di ciò di cui non si dubita, se non per la libidine di parlare, per vantarti, non della confutazione delle mie parole, ma della moltitudine dei tuoi libri? 28 - Non per tutti i peccati una medesima definizione Giuliano. Ma che il peccato ci sia lo attestano i vizi frequenti e i giudizi severi: è provato dunque che il peccato c'è. Ci domandiamo che cosa sia il peccato: se sia qualche corpo che apparisca composto di molte parti o se sia qualcosa di singolare, come uno degli elementi, separato almeno concettualmente dalla comunione con tutto il resto. Orbene, il peccato non è nulla di ciò. Cos'è dunque? È un'appetizione della libera volontà, proibita dalla giustizia o, per usare la precedente definizione, il peccato è la volontà di fare ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi. Considera dunque se al di fuori dei termini di questa definizione sia impossibile trovare un peccato, perché non vaghi fuori ciò che noi reputiamo di aver compreso dentro la definizione. Consultiamo dunque la giustizia del Giudicante, perché anche dalla sua testimonianza venga chiarito se ogni genere di peccato sia ben racchiuso dentro questi limiti. Imputa forse Dio ciò che egli sa non potersi evitare? Ma non sarebbe affatto giustizia e sarebbe una somma mostruosità; anzi se ciò avvenisse, non si punirebbero i peccati, ma si aumenterebbero. Da un giusto giudice infatti la colpa è solita essere punita: se per la corruzione della giustizia la colpa travolgesse lo stesso arbitro, la colpa verrebbe repressa nel giudice e non punita dal giudice. La giustizia dunque non imputa a peccato se non ciò da cui è libero astenersi. Ma non si può dire libero se non ciò che è costituito nel diritto della volontà emancipata, senza nessuna inevitabile coazione da parte di elementi naturali. Ottima e completa è dunque la definizione: " Il peccato è la volontà di fare ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi ". Terminate queste parti, domandiamoci dunque donde sia il peccato: il che era stato chiesto con molto disordine prima di queste definizioni. Donde è dunque il peccato? Rispondo: Dalla volontà libera di chi lo fa. Agostino. Ma è forse vero che venga dalla libera volontà di chi lo fa ciò di cui è scritto: Se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me? ( Rm 7,20 ) Non vedi che domandando donde venga il peccato e rispondendo: " Dalla libera volontà di chi lo fa ", tu pensi al peccato che non è insieme pena del peccato, e non vedi poi che il caso dell'uomo che fa ciò che non vuole e che tuttavia l'Apostolo grida essere peccato non rientra minimamente nella tua risposta e neppure in quella definizione che hai rammentato dicendo: " Il peccato è la volontà di fare ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi "? In che modo infatti è libero di astenersi dove si grida: Io faccio quello che non voglio? Diversamente dunque peccò la natura umana, quando fu libero per essa di astenersi dal peccato, diversamente pecca ora dopo avere perduto la libertà, quando ha bisogno dell'aiuto di un liberatore. E quel peccato di allora era soltanto peccato, il peccato di ora è invece anche pena del peccato. 29 - Il peccato del primo uomo e il peccato della natura umana viziata da lui Giuliano. Ma vediamo se quanto ha stabilito la precedente definizione sia confermato dal consenso di tutti. Certamente nessun sapiente, nessun cattolico può dubitare di questo: che cioè né sia peccato se non ciò che si possa evitare, né sia giustizia se non quella che imputa a colui che punisce ciò che egli ha commesso da sé per sua libera volontà, avendolo potuto evitare. Agostino. Al primo uomo fu imputato ciò che egli poteva evitare, se voleva. Ma la natura umana universale, viziata dal peccato di lui anche nei posteri, ha bisogno del Salvatore per poter evitare i peccati, anche quando sia arrivata l'età in cui possa usare dell'ufficio della ragione. Prima invece di questa età è insito nella natura umana il reato che si contrae dall'origine per la generazione e non si detrae se non per la rigenerazione. Il che voi negando, dite apertissimamente che non è Gesù per i bambini il Cristo Gesù, il quale per testimonianza dell'angelo è chiamato così appunto perché salverà il suo popolo ( nel quale popolo non volete che siano compresi i bambini) dai suoi peccati. ( Mt 1,21 ) 30 - Com'è Dio? Giuliano. Ma come queste verità non vacillano più ormai per noi, così esse sono respinte da Manicheo e dal traduciano con parità di animi. Vediamo dunque che cosa dicano costoro. Manicheo dice che c'è il peccato naturale, Agostino acconsente che c'è il peccato naturale. Ambedue dunque dissentono da quella definizione che abbiamo premessa e fanno comunella nella proclamazione del peccato naturale. Vediamo che cosa dicano anche sul genere del peccato, cioè quale peccato sia quello che ambedue confermano come peccato naturale, perché non si dia il caso che dissentano almeno nel secondo grado. Che cosa scrive Manicheo alla sua figlia? Scrive che la concupiscenza della carne e la voluttà destinata all'opera della fecondità si prova diabolica per il fatto stesso che il suo esercizio evita l'occhio del pubblico. Che cosa Agostino? Lo stesso in tutto: Quella concupiscenza della carne è una pianta del diavolo, è la causa del peccato, è la legge del peccato, che evita dovunque di farsi vedere e per pudore cerca il segreto. Dunque non discordano tra loro né sul primo problema, né sul secondo problema del male. Che cosa sul terzo problema? Quando finalmente ci si chiede donde sia il male, Manicheo dice: Dalla natura eterna delle tenebre. Che cosa Agostino? Troppo, dice, quello che vuole il mio maestro pensando che il male sia senza inizio. Esso ebbe inizio dalla volontà del primo uomo, anzi ancor prima dalla volontà di una natura superiore, cioè dalla natura angelica; ma da quel tempo diventò naturale. Lo bastona certamente il suo precettore e lo trascina in tribunale con irresistibile autorità. Come giudicherà tra loro il cattolico? Senza dubbio giudicherà stoltissimo Manicheo che reputa naturale il peccato, ma, a confronto dell'ingegno di Agostino, Manicheo gli sembra acutissimo. Chi sono infatti coloro ai quali convenga l'esistenza del peccato naturale e che confessino che sia di una sola specie questo peccato, dal quale reputino posseduto tutto il genere umano? Ma un discepolo di Manicheo, che dopo tutto questo ardisca dire che il peccato da lui ritenuto innato in tutti non sia naturale in un uomo soltanto, lo screditeranno senza esitazione con le percosse proprie dei ragazzi e lo metteranno al di sotto del suo maestro, che bestemmia con più consequenzialità. Ma ambedue insieme, discepolo e maestro, li cacceranno dal consorzio delle persone pie. Vedi dunque che cosa noi indulgiamo. Non ti piace ciò che dice Manicheo: c'è il male naturale. Di' dunque che nessuno nasce reo, e sei già evaso, negando certamente il peccato originale. Ma tu non lo dici: confessi dunque che non vuoi né separarti dal tuo maestro, né aggregarti ai cattolici. Agostino. Forse perché lo dice anche Manicheo, noi non dobbiamo dire che il Dio buono ha fatto il mondo? Ma quando si chiede donde lo abbia fatto, lì ci differenziamo. Noi infatti diciamo: Da esseri non esistenti, perché egli disse e tutti furono creati; ( Sal 148,5 ) Manicheo invece: Da due nature, cioè dalla natura del bene e dalla natura del male, le quali non solo erano già, ma erano da sempre. Queste affermazioni dunque che non facciamo insieme ad essi non ci lasciano essere loro soci in forza di quello che diciamo insieme ad essi. Ugualmente alla interrogazione se Dio ci sia e noi e i manichei rispondiamo: Dio c'è, e in questo gli uni e gli altri siamo separati dallo stolto che dice nel suo cuore: Non c'è Dio. ( Sal 14,1 ) Ma quando si chiede come sia Dio, noi ci distinguiamo grandemente dalla nefanda favola dei manichei. Noi infatti diciamo e difendiamo un Dio incorruttibile, i manichei invece favoleggiano un Dio corruttibile. Interrogati anche sulla stessa Trinità, gli uni e gli altri diciamo che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono di una sola e medesima natura; ma per questo tuttavia né siamo manichei noi, né sono cattolici i manichei: essi infatti fanno del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo altre affermazioni nelle quali noi siamo diversissimi da loro e avversissimi a loro. Onde queste verità che diciamo insieme le asseriamo costantemente contro gli errori degli altri che le negano, né temiamo che gli altri ci chiamino manichei e si preferiscano a noi, perché diciamo con i manichei ciò che essi non vogliono dire e per cui sono redarguiti da noi. Come dunque l'ariano per questo è eretico perché non dice con noi una sola l'essenza della Trinità, come con noi la dice una sola anche Manicheo, così anche voi siete eretici non dicendo con noi il peccato naturale, come con noi lo dice anche Manicheo. Ma non per questo siamo manichei: infatti ciò che dice anche Manicheo noi non lo diciamo nel modo di Manicheo. Noi infatti diciamo che la nostra natura buona è stata viziata dal peccato volontario di colui dal quale siamo nati, onde nasciamo tutti sotto il peccato e la stessa nostra origine è nel vizio, come dice Ambrogio. Manicheo porta invece in noi una natura aliena cattiva e afferma che noi pecchiamo per la sua mescolanza. Inoltre noi della nostra natura da sanare offriamo al Salvatore anche i bambini, Manicheo invece stima necessario il Cristo non perché sani in noi la nostra natura, ma perché separi da noi la natura aliena del male. Vedi appunto per quanta diversità distiamo anche nel dire insieme il peccato naturale. Ugualmente anche nel dire insieme che è cattiva la concupiscenza della carne, per cui la carne concupisce contro lo spirito, si trova che siamo distantissimi quando si domanda donde venga questo male. Noi infatti diciamo con Ambrogio che questa sgradita discordia tra la carne e lo spirito si è convertita nella nostra natura per la prevaricazione del primo uomo. Manicheo invece con i suoi dice che la reciproca opposizione tra la carne e lo spirito è un effetto dell'essersi inserita in noi una natura aliena, che è sempre stata cattiva. Onde noi chiediamo al Salvatore che sia sanato questo nostro vizio, Manicheo invece che sia tolta da noi la natura aliena, che è assolutamente insanabile. Anche qui per quale ragione non badi quanta dissomiglianza ci separi nel dire insieme che è cattiva la concupiscenza della carne che si oppone allo spirito? Per quale ragione non badi a questi due fatti: né siamo manichei noi dicendo alcune verità con i manichei, e siete eretici voi perché non dite quelle verità con i manichei? Se infatti con loro diceste che esistono i mali naturali e con noi contro di loro diceste donde vengano questi mali, perché non vengono da una natura aliena coeterna a Dio, non sareste eretici pelagiani. Ora invece negando che la concupiscenza della carne contro lo spirito sia cattiva e che essa venga dalla nostra natura viziata, fate sì che i manichei concludano che essa viene da una natura aliena, e così voi e siete eretici nuovi e aiutate gli eretici vecchi che fuggite in maniera perversa. Smetti dunque di rinfacciarmi Manicheo come maestro, ma piuttosto segui con me Ambrogio; guarda agli ariani e imitali almeno dove sono più saggi di te: essi non dicono che noi siamo manichei, sebbene con i manichei diciamo che una sola è la natura del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, dove essi contraddicono noi con estrema asprezza. 31 - Il vuoto eterno Giuliano. Ma hai stimato di porre una forte obiezione dicendo donde sia sorta nello stesso primo uomo o nel diavolo, che era stato fatto angelo, la volontà cattiva, la quale tuttavia dichiari che sorse nell'opera di Dio, ossia nell'angelo o nell'uomo, non perché l'angelo o l'uomo era opera di Dio, ma perché era stato fatto dal nulla. Vedi dunque che anche tu per altre vie non dica che sia stata eterna la necessità del male. Infatti se questa fu la causa del sorgere del male nell'opera di Dio che questa risultava fatta dal nulla, ma prima di diventare ciò che fosse, questo suo nulla fu da sempre, ossia prima di diventare ciò che fosse non fu mai qualcosa e il non essere mai stato si dice il nulla. Dunque dalla eternità non fu mai ciò che non fu prima di esser fatto da Dio, la cui sola sostanza è senza principio. Questo " vuoto " dunque, cioè il nulla, fu da sempre prima che gli fosse posto termine con l'esistenza delle cose. Non dunque fu fatto questo nulla, ma furono fatte le creature, e allora quel nulla cessò di essere. In quella creatura dunque che fu fatta dal nulla tu immagini sorto il male proprio perché era stato fatto dal nulla. Il male dunque sorto nell'uomo lo hai attribuito alla origine dell'uomo, e l'origine, ossia il nulla, è detta da te la causa del peccato. Dici infatti che il male non sorse nell'uomo perché egli era stato fatto da Dio, ma perché era stato fatto dal nulla. Se dunque il male sorse perché ad esigere il male fu la condizione del nulla precedente e se questo nulla fu eterno, tu per altri sentieri sei caduto nel laccio del tuo precettore e pendi da questo laccio in modo assoluto, così da confessare ambedue che il male esiste ab aeterno. Ma anche in questo il più prudente dei due è lui: introducendo infatti il peccato naturale disse che era stata la sostanza eterna delle tenebre a determinare, senza la volontà del peccatore, la presenza in lui di questo male. Del peccato dunque, di cui stabiliva la necessità, diede l'autore, perché apparisse che il male invadente le sostanze aveva una causa cogente. Tu invece con un ingegno insopportabilmente ottuso come il piombo confermi la necessità del male, ma neghi l'autore della necessità. E come nei bambini, così anche nello stesso primo operatore del peccato trascuri l'agire e dici che si può intendere un non so che di grande: che quel nulla sia valso moltissimo, pur essendo il nulla. Agostino. Nulla vali ma tu, asserendo che il nulla, pur essendo nulla, valga qualcosa. Né capisci che, quando si dice che Dio fece dal nulla le cose che fece, non si dice altro che questo: non le fece di se stesso. Prima infatti che Dio facesse qualcosa, il fare qualcosa non era coeterno a Dio. È dunque dal nulla ciò che non è da alcunché; perché, sebbene Dio abbia fatto alcune cose da altre, queste stesse cose dalle quali fece le seconde, le aveva fatte da esseri non esistenti. Ma peccare non lo potrebbe nessuna creatura, se fosse stata fatta dalla natura di Dio, e nemmeno sarebbe stata fatta, ma qualsiasi cosa fosse, sarebbe da Dio e sarebbe ciò che è Dio; come il Figlio e lo Spirito Santo, poiché sono da Dio, sono ciò che è Dio, il primo nascendo, il secondo procedendo; e sono da Dio così che Dio non sia stato mai prima di essi. Perciò questa natura divina non può assolutamente peccare, perché non può staccarsi da se stessa, né ha una sostanza migliore a cui debba attaccarsi e da cui staccandosi possa peccare. Né tuttavia la creatura ragionevole fu fatta così da avere la necessità di peccare; ma non avrebbe nemmeno la possibilità di peccare, se fosse la natura di Dio, perché la natura di Dio né vuole avere la possibilità di peccare, né può avere la volontà di peccare. 32 - Il nulla causa del peccato Giuliano. Infatti questo nulla, dal quale furono fatte tutte le cose, tu affermi che fu la causa del peccato. Tanto quindi fa presso di te la potenza di questo nulla quanto fa presso Manicheo la potenza del principe delle tenebre. Dunque ambedue dite che anche del primo male c'è stata la necessità. Ma lui dà una necessità solida per quanto cattiva, tu una necessità vacua e tuttavia ugualmente cattiva; lui dunque dice una sostanza violenta, tu dici ugualmente violento ma il nulla. Vedi dunque la fine del tuo sillogismo: cioè il nulla, quando non era stato creato ancora alcunché, era indizio della vacuità eterna; ma questo stesso nulla, cioè questa vacuità, finì appena sorsero le creature: cessò infatti di essere il nulla quando cominciò ad esserci qualcosa. Lo stesso nulla dunque, anche quando era, non era, poiché s'intende che sia stato quando non c'era ancora alcunché. Ma dopo che furono fatte le cose, questo indizio di vacuità, ossia il nulla, come non aveva mai avuto sostanza, così perse anche il suo vocabolo e avvenne che quanto non era mai esistito nella realtà rimanesse privo anche dello stesso suo nome. Dalla violenza dunque di questo nulla tu immagini che sia sorto il male e nell'angelo e nell'uomo: e che cosa si può dire più pazzesco di questo? Agostino. Tu piuttosto con lo studiarti di maledire sembri impazzire. Io non ho detto violento il nulla: esso infatti non è qualcosa che possa essere violento. Né l'angelo né l'uomo fu spinto a peccare da qualche forza; né avrebbero peccato se non avessero voluto peccare l'angelo e l'uomo, che avrebbero potuto anche non voler peccare: ma nemmeno il poter peccare ci sarebbe in essi, se fossero la natura di Dio. 33 - Potenza senza nome Giuliano. Grande forza ebbe, dici, una realtà che non esisteva, per la semplice ragione che non era mai stata; ma cominciò a potere moltissimo dopo che perse anche lo stesso suo nome, e questo nulla sortì una grande dominazione dopo che sparì anche la sua denominazione. Agostino. Se ciò che è nulla fosse qualcosa, si direbbe che il nulla abbia sortito presso di te una grande dominazione, dal momento che la vanità o la falsità ti domina tanto da farti strillare così a lungo coteste panzane. 34 - Dai crimini degli innocenti al nulla Giuliano. Onore a te per la virtù della sapienza! Con le regole di un discutere nuovo e inventato da te per primo, abbracci le conseguenze dopo aver negato le premesse e componi corpi che sono tronchi delle loro teste. Non invidiamo le tue sottigliezze, anzi per cristiana umanità ci dispiace che tu abbia trovato al tuo dogma un degno successo da arrivare al nulla, dopo essere partito dai crimini degli innocenti. Agostino. Al nulla sei arrivato piuttosto tu, e il nulla ti diletta tanto da non voler ancora recedere o ritornare da esso; tu che per questo dici che io ho detto essere qualcosa ciò che è nulla, perché tu dicessi che il nulla è un " molto " tanto grande. 35 - Niente costrinse l'angelo o l'uomo a peccare Giuliano. O sanità, o eleganza di un tale espositore! La ragione, dice, per cui il male sorse nell'uomo non fu che egli fu fatto da Dio, ma perché fu fatto dal nulla. Abbiamo già sottolineato l'acume con il quale è stata riconosciuta a questo nulla la massima forza. Adesso attiro l'attenzione su una verità che anche la discussione precedente ha fatto capire: nemmeno il primo male fu una iniziativa della volontà di chi peccò, se ad esigere la nascita del male fu la condizione della stirpe che veniva dal nulla. Agostino. Ad esigere la nascita del peccato non fu una qualche condizione della stirpe che veniva dal nulla, poiché si esige ciò che costringe ad essere reso o fatto; ma l'angelo o l'uomo, dai quali e nei quali sorsero i primi peccati, non li costrinse a peccare nessuna realtà, ma peccarono per volontà libera e potevano anche non voler peccare, perché non erano affatto costretti a voler peccare; e tuttavia non avrebbero potuto voler peccare, se avessero avuto la natura dalla natura di Dio e non fossero stati fatti dal nulla. 36 - La nascita del primo male Giuliano. Hai indicato quindi la nascita anche del primo male, ma una nascita più vana di quella di Manicheo, e tuttavia ugualmente eterna. Su questo non c'è da combattere: è assolutamente chiaro che rimane tra voi un patto dove vi congiunge la catena del male naturale e del male eterno. Agostino. O insulsissimo, non può essere eterno ciò che è nulla, non può essere eterno ciò che non ha nessuna realtà, non può essere eterno infine ciò che non è. 37 - L'esistenza del nulla Giuliano. Mi sono certamente comportato come conveniva alla fedeltà della discussione; e il risultato ottenuto da te con la tua argomentazione, cioè che nell'opera di Dio la cattiva volontà sorse per il fatto che l'uomo era stato creato dal nulla, fu annientato dall'esame approfondito della ragione, la quale ha dimostrato che tu con parole diverse hai detto lo stesso che finse e credette Manicheo, cioè che anche il primo peccato fu generato dalla violenza delle tenebre eterne. Agostino. Già sopra ti abbiamo fatto notare che non può essere eterno ciò che non esiste. Che cos'è dunque quello che dici: per questo io sono da paragonare a Manicheo perché questi disse che il primo peccato fu generato dalla violenza delle tenebre eterne? Alle quali tenebre egli diede una sostanza, ma io non ho potuto dare una sostanza al nulla per costituire così anch'io la sostanza delle tenebre eterne, ossia il nulla eterno. Ma come non ho potuto dare una sostanza al nulla, così non ho potuto dargli la violenza o l'eternità: in nessun modo appunto, come abbiamo già detto, può essere o violento o eterno ciò che è il nulla. Invano quindi hai voluto discutere contro di me sulla esistenza del nulla. 38 - Il nulla eterno causa della volontà cattiva dell'uomo Giuliano. Ma perché tu, vedendoti scoperto, non tenti una via di uscita nel replicare che non hai detto: Per questo sorse il male nell'opera di Dio, perché l'opera di Dio fu fatta dal nulla; ma hai detto: " Per questo il male poté sorgere, perché l'opera di Dio fu fatta dal nulla ", mi incombe il dovere di dimostrare da quali lacci ancora più violenti tu sia legato. Se infatti dirai di avere imputato alle forze di quel nulla eterno la possibilità del male e non la necessità del male, noi replichiamo che la possibilità del sorgere nell'uomo della volontà cattiva non è certamente nulla di diverso dal libero arbitrio: così infatti poté sorgere la volontà cattiva da poter sorgere anche la volontà buona. Questa è la libertà, nella quale si esercita la ragione, e per questo motivo l'uomo si asserisce fatto ad immagine di Dio; questa è la libertà per cui l'uomo sopravanza tutte le altre creature. Se dunque la possibilità che sorgesse nell'uomo la cattiva volontà non è altro che la libertà dell'arbitrio e se questo vale tanto da essere l'uomo per le proprietà della libertà al di sopra di tutti gli altri animali, tu che professi la presenza di questa possibilità nell'uomo riportandola non alla sua creazione da Dio, ma alla sua creazione dal nulla, con un nuovo prodigio del tuo dogma pronunzi quel nulla, ossia l'antica vacuità, la causa di tanto bene, ossia la causa del libero arbitrio. Inoltre, perché la verità splenda da una breve interrogazione su ciò che hai detto: Né tuttavia per questo poté sorgere una volontà cattiva perché l'uomo fu fatto da Dio, ma per questo che l'uomo fu fatto dal nulla, rispetto a questa stessa possibilità che la volontà ebbe di sorgere io domando: tu credi che essa sia un bene o un male? Ossia la stessa facoltà che la volontà ebbe di sorgere, facoltà che tu attribuisci al nulla, la giudichi proba o pessima? Se la dirai buona, non è dunque Dio, ma il nulla, la causa del bene. Se viceversa, vedendo che ciò sarebbe insano al massimo, la dichiari cattiva, tanto da dire appunto che non si deve attribuire a Dio ma al nulla, testimonierai che le nostre conclusioni non hanno avuto nulla di malizioso contro di te, ma che con la buona fede della nostra discussione abbiamo sbaragliato la mala fede del tuo dogma. Rimane dunque inconcusso il risultato ottenuto da noi: tu e Manicheo avete imputato alla necessità di una origine eterna anche la volontà cattiva del primo uomo. Agostino. Che cosa ti si potrebbe rispondere lo hai visto in un certo qual modo, ma hai cercato inutilmente di opporti alla verità, quasi rispondendo con le mie parole e non rispondendo alle mie parole. Infatti hai tirato avanti la discussione come se io avessi detto: Né per questo tuttavia la volontà cattiva sorse dal bene. Il che io non l'ho detto. Ma ho detto: Né tuttavia per questo poté sorgere dal bene la volontà cattiva perché il bene fu fatto per opera del Dio buono, ma perché il bene fu tratto dal nulla e non dalla natura di Dio. Proprio così, come le mie medesime parole le hai riportate anche tu. Cos'è dunque che hai reputato di dover rispondere, come se io avessi detto: Né per questo tuttavia sorse, quando invece ho detto: " Né tuttavia per questo poté sorgere ", e tanto a lungo hai parlato contro uno che la necessità del male di sorgere dal bene l'ha fatta irrompere dal fatto che lo stesso bene Dio lo trasse dal nulla e non dalla sua stessa natura; mentre io a tale causa non ho attribuito la necessità del male, ma la possibilità del male, avendo detto non che per questo sorse il male dal bene, ma che poté sorgere il male dal bene? E accusasti tanto a lungo il nulla, e facesti violento il nulla, quasi che l'angelo e l'uomo li abbia spinti a peccare il nulla con una inevitabile necessità. Ora dunque ritorna finalmente alle mie parole, come hai cominciato a fare. Ti proponi infatti la questione, quasi che ti sia venuto in mente all'improvviso che cosa io potevo rispondere, mentre io l'ho posto molto tempo prima in quel libro che tu ribatti. Dici infatti che io potrei replicare: Non ho detto che il male per questo sorse nell'opera di Dio perché è stata fatta dal nulla; ma ho detto: Poté per questo sorgere perché è stata fatta dal nulla. Proprio questo ho detto: Per questo poté sorgere. Non ho detto che sorse per questo. Ho attribuito a questa causa la possibilità del male e non la necessità del male. La creatura ragionevole appunto, quando fu fatta all'origine, fu fatta in tal modo che, se non voleva peccare, nessuna necessità la potesse costringere a voler peccare, o peccasse senza volere, cioè contro la sua volontà, e non facesse il bene che voleva fare, ma facesse il male che non voleva fare; dove c'è già non quel peccato che si dice semplicemente peccato, ma quello che è anche pena del peccato. Tuttavia però volere qualcosa di male o fare qualcosa di male anche senza volerlo, non lo avrebbe potuto, se non fosse stata tratta dal nulla, ossia se fosse la natura di Dio. Infatti la natura di Dio è la sola che non sia stata fatta dal nulla, perché non è stata nemmeno fatta, e quindi non può mutare in nessun modo. Il che dicendo, non diamo forza al nulla, quasi che esso abbia potuto fare o abbia fatto qualcosa, nulla com'è; ma diciamo che la natura di Dio non è tale che abbia potuto peccare. Segue poi che una natura che non sia la natura di Dio sia stata fatta: né infatti è coeterna a Dio; e se è stata fatta, dal nulla è stata tratta, perché anche quelle nature che sono state fatte da altre nature traggono la loro origine dal nulla. Le nature, dalle quali furono fatte, non furono nulla prima di essere fatte, ossia non furono in nessun modo. Ma tu dici: Così poté sorgere la volontà cattiva da poter sorgere anche la volontà buona. Quasi che non sia stato fatto di volontà buona o l'angelo o l'uomo. Fu fatto retto, come ha detto la Scrittura. ( Qo 7,30 ) Non si chiede dunque donde sia potuta sorgere in lui la volontà buona con la quale fu fatto, ma donde la volontà cattiva con la quale non fu fatto. E tu dici, senza accorgerti di quello che dici: Così poté sorgere la volontà cattiva da poter sorgere anche la volontà buona: e questo lo pensi pertinente alla natura del libero arbitrio, potere l'uno e l'altro, ossia peccare e non peccare, e in questo stimi fatto l'uomo ad immagine di Dio, mentre Dio stesso non può l'uno e l'altro. E infatti nemmeno un demente dirà che Dio può peccare, né tu osi dire che Dio non abbia il libero arbitrio. Il libero arbitrio, dunque, è dono di Dio e non del nulla, ma è sommo il libero arbitrio in Dio stesso, che non può peccare in nessun modo. Perché se Dio potesse essere ingiusto, potrebbe Dio non essere Dio: se infatti è Dio, egli è con estrema conseguenza giusto; e quindi Dio, pur avendo in maniera somma e massima il libero arbitrio, tuttavia non può peccare. Dunque l'angelo o l'uomo per questo poté peccare, ossia poté fare uso cattivo di questo dono di Dio che è il libero arbitrio, perché non è Dio, ossia perché Dio lo trasse dal nulla e non da se stesso. Capisci e taci, o parla di ciò che hai capito, ma non parlare di ciò che non hai capito. 39 - La volontà cattiva costretta ad esistere Giuliano. Ma, non contento di avere vinto in un modo soltanto, della tua argomentazione, della quale ho smascherato l'empietà, rivelerò la falsità. Nello scrivere dunque: Non per questo poté sorgere la volontà cattiva nell'opera di Dio perché fu fatta da Dio, ma perché fu fatta dal nulla, avresti dovuto vedere quanto validamente potevano eccepire con i loro esempi le altre creature che, sebbene siano state fatte tutte dal nulla, non sono tuttavia capaci di volontà cattiva. Infine gli stessi elementi che sono stati fatti veramente dal nulla, non possono avere la coscienza di nessuna volontà per attestare con impulsi cattivi la necessità della loro origine. Gli animali però e gli altri esseri di cui l'orbe è stato riempito non sono venuti dal nulla, ma da qualche creatura già esistente. Dov'è dunque la forza dell'antica inanità che costrinse ad esistere la volontà cattiva, se è manifesto che all'infuori dell'animale ragionevole nessuno può peccare? Agostino. Potresti credere di convincermi di falsità se, dopo che ho detto vulnerabili per questo i nostri corpi perché sono terrestri, tu mostrassi molti corpi terrestri che non siano vulnerabili. Infatti non ci può essere vulnerazione se non nel corpo di un animale, detto carne. Qui dovrei farti notare che non sei stato capace di vedere che questa sentenza non ha il rovescio. Come è vera la sentenza: Tutto ciò che è vulnerabile è un corpo terrestre, così non è altrettanto vera la sentenza: Ogni corpo terrestre è vulnerabile. Per quale ragione dunque ha così sonnecchiato nelle sue riflessioni dialettiche la tua solerzia vanitosella da non avvederti che io, dove dissi che la creatura ragionevole per questo poté peccare perché fu fatta dal nulla, ho voluto far capire che ogni essere peccabile è stato fatto dal nulla, ma non che ogni essere fatto dal nulla sia peccabile? E come se lo avessi detto, tu mi hai opposto gli altri esseri e gli stessi elementi del mondo che, sebbene fatti dal nulla, non possono peccare, essendo capace di peccare solo l'animale ragionevole. Ora dunque svegliati e guarda: ogni essere peccabile è stato fatto dal nulla, né da questo segue che ogni essere fatto dal nulla sia peccabile. Non mi si mettano quindi davanti le altre creature che furono fatte dal nulla e che non possono peccare, perché io non dico: Ogni essere fatto dal nulla può peccare; ma io dico: Ogni essere che può peccare fu fatto dal nulla. Come se avessi detto: Ogni bove è un animale, certo non mi si sarebbero dovuti ricordare molti altri animali che non sono bovi, perché non ho detto: Ogni animale è bove; ma: Ogni bove è un animale. Ripeto dunque ancora: Ogni essere peccabile è stato fatto dal nulla. Non dico dunque: Ogni essere fatto dal nulla è peccabile. E come se lo avessi detto, tu ricordi molte altre creature che, sebbene fatte dal nulla, non possono tuttavia peccare. Togli di mezzo la tua callidità con la quale inganni gli ingegni tardi, o togli di mezzo la tua cecità per la quale non vedi le verità manifeste. Quando poi dico: " La natura che fu creata ragionevole per questo poté peccare perché fu fatta dal nulla e non fu tratta da Dio, presta attenzione a quello che dico per non sventolarmi un'altra volta con vana loquacità il nulla e affermare che io abbia detto: Ciò che è nulla ha la forza di fare qualcosa. Questo dico io: " La natura che fu creata ragionevole per questo poté peccare perché fu fatta dal nulla ". E ciò che altro è se non aver potuto peccare perché non è la natura di Dio? Se infatti non fosse stata fatta dal nulla, sarebbe da Dio per natura, qualunque cosa fosse; se fosse da Dio per natura, sarebbe la natura di Dio; se fosse la natura di Dio, non potrebbe peccare. Per questo quindi poté peccare, benché fatta da Dio, perché fu tratta dal nulla e non da Dio stesso. Se tu lo capirai e non vorrai contrastare la verità, cesserai in questa questione da questa contenzione. 40 - La violenza dell'antico nulla fu la causa della cattiva volontà dell'uomo Giuliano. Mentre dunque questa così grande verità era aperta, che cosa ti persuase a credere che la violenza dell'antico nulla sia stata la causa della volontà cattiva? Certamente il desiderio di farci capire che tu ritieni ree tutte le creature fatte dal nulla e assoggetti al diavolo l'universo mondo. Poiché quindi mi si è fatto chiaro che tra voi regna un'antica concordia di dogmi, ormai da qui in poi risponderò insieme a te e a Manicheo. Voi chiedete con risolutezza a me che nego l'esistenza della naturalezza del male di rispondere, se posso, donde sia potuta sorgere la stessa volontà cattiva nel primo uomo. Ma io replico che voi non capite quello che dite. La volontà infatti non è altro che un movimento dell'animo senza coazione di nessuno. Agostino. Un movimento dell'animo che cos'è, se non un movimento della natura? L'animo infatti senza dubbio è natura e quindi la volontà è un movimento della natura, poiché è un movimento dell'animo. Ma tu, quando precedentemente ponevi la natura come un genere e subordinavi a quel genere le sue specie, hai parlato con risolutezza in questo modo: La natura umana nella sua universalità è una sorta di genere rispetto alle istituzioni collocate al di sotto di essa e ha quasi le sue specie nel sito, nelle membra, negli ordinamenti, nei movimenti e in altre realtà simili. Dunque con cotesta tua trattazione hai asserito che i movimenti della natura sono le specie della natura. Onde ti viene dietro ciò che non vuoi: è natura ogni movimento della natura, se la natura è genere e il movimento della natura è una sua specie. Allo stesso modo che ogni cavallo è un animale, essendo l'animale il genere e il cavallo una specie di questo genere. Perciò la volontà, poiché è un movimento dell'animo e poiché si dimostra per questo che è un movimento della natura, secondo questa tua stessa logica, la volontà, dico, è natura, perché hai subordinato questa specie alla natura come al suo genere. Per quale ragione dunque disapprovi che si dica peccato naturale il peccato che fece la volontà cattiva, se ti si convince a dire che la stessa volontà cattiva è natura? Ma non sia natura la volontà: tuttavia certamente non può essere se non nella natura. Quanto infatti appartiene all'uomo è movimento dell'animo, e l'animo è natura. Lascia ormai, ti prego, che si dica peccato naturale nel senso che, quando l'uomo pecca, è certamente la natura a peccare, essendo appunto l'uomo una natura. Allo stesso modo si può dire giustamente anche peccato spirituale, poiché è lo spirito che pecca. Non ha infatti errato l'Apostolo nel dire spiriti del male: ( Ef 6,12 ) i quali spiriti sono senza dubbio naturali, perché lo spirito è sicuramente una natura, si tratti dello Spirito creatore o dello spirito creato. Né tuttavia il peccato che fu commesso per la volontà o dell'angelo o dell'uomo, poiché peccò la natura, e l'angelo infatti e l'uomo sono nature, lo diciamo peccato naturale, nel senso che sia stato fatto per necessità mentre fu fatto per libera volontà. Chi infatti peccò appunto perché volle, poté anche non voler peccare: e così fu creato l'uomo da poter volere e non volere, e da avere in sua facoltà l'uno e l'altro a suo piacere. Ma altro è il peccato originale: sebbene i nascenti lo contraggano senza la propria volontà, tuttavia per la volontà del primo uomo è stata viziata la stessa origine. Come pure altro è il medesimo peccato nell'uomo grande di età, che per esso dice: Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio; ( Rm 7,15 ) e tuttavia nemmeno questa necessità è insanabile per colui al quale si dice: Tirami fuori dalle mie necessità. ( Sal 25,17 ) 41 - Necessità e libertà del peccato Giuliano. Voi dunque cercate la necessità del peccato: la necessità di una realtà che non può esistere se patisce necessità. Se a questo movimento libero dell'animo, esente dalla inquieta coazione della origine, si dà una causa più antica dello stesso movimento, esso non si esprime più in nessun modo, ma si sopprime. Infatti il nome stesso di volontà non ha altra forza che d'indicare che il suo movimento non lo deve alla materia. Quando dunque chiedi donde sia sorta la volontà, chiedi che cosa sia più antico della volontà stessa: chiedi non il suo cominciare, ma il suo terminare. Infatti è assolutamente inintelligibile l'esistenza della volontà, se essa si attribuisce o alle tenebre o al nulla; né può più dirsi volontà, la quale non può sussistere se non in un movimento dell'animo senza coazione di nessuno. Se dunque fa coazione qualcuno, senza dubbio c'è il movimento, ma non c'è la volontà, la cui forza è completata dalla seconda parte della definizione, cioè dalle parole: " Senza coazione di nessuno ". Se dunque la volontà non è nient'altro che un movimento dell'animo " senza coazione di nessuno ", è proprio mal posta la questione dell'origine di una realtà la cui esistenza viene meno, se è prevenuta. Soppesa dunque che cosa sia quello che domandi: Donde la stessa volontà cattiva, come un albero cattivo, sia potuta sorgere nel primo uomo? tu che confessi che la volontà provenne dall'origine. La volontà è infatti un movimento dell'animo senza coazione di nessuno. Tutte le forze naturali costringono alla esistenza i loro effetti; ora la volontà, se è costretta da cause precedenti, cessa subito di essere volontà, e perde il proprio modo di essere, se ha ricevuto una origine. Agostino. Se per questo la volontà non ha origine perché non ha costrizione, nemmeno lo stesso uomo ha origine per essere uomo, perché non è stato costretto ad esistere. In che modo infatti poteva esser costretto chi non era? E l'uomo è certamente una natura e tu hai detto: Tutte le forze naturali costringono alla esistenza i loro effetti. Ti prego, poni attenzione a quello che dici; non muovere la lingua ad occhi chiusi, come chi parla nel sonno. Nessuna realtà che non esiste può essere costretta. Vedi anche quanto sia insano negare che abbiano origine le realtà che sono sorte, quando la stessa parola "origine " è venuta dal verbo orior. Infatti ciò che è e non ha origine, fu da sempre; se invece non fu da sempre ed è, è sorto; e se è sorto ha origine. Dunque anche la volontà di peccare, la quale non fu da sempre ed è, certamente è sorta: se infatti esistesse e non fosse sorta, sarebbe stata da sempre; ma non fu da sempre: dunque è sorta. Ora tu grida contro una verità apertissima: ciò infatti si addice alla tua vana loquacità. E di': È sorta, sì, ma non ha origine! Oppure, ancora più pazzamente: E non fu da sempre ed è, e tuttavia non è sorta. Ebbene, se non lo dici per non essere giudicato insulsissimo e completamente fatuo, domandati donde sia sorta la volontà cattiva dell'uomo, che non puoi negare che sia sorta, perché non puoi negare che non fu da sempre e che cominciò ad essere. Domandati, ripeto, donde sia sorta e troverai l'uomo stesso: da lui appunto è sorta la cattiva volontà, che non ci fu in lui antecedentemente. Domandati anche quale fosse l'uomo prima che da lui sorgesse la volontà cattiva e troverai un uomo buono: da quella sua volontà appunto fu fatto cattivo, mentre prima che essa sorgesse da lui, egli era tale e quale lo aveva fatto il Dio buono, ossia un uomo buono. Questo è quindi ciò che afferma il mio dottore e il tuo distruttore Ambrogio: Dai beni pertanto sono sorti i mali. Il che negando tu e dicendo: L'ordine delle cose non permette che dal bene venga il male e dal giusto qualcosa di ingiusto, aiuti tanto i manichei ad introdurre la natura del male, dalla quale fanno sorgere i mali, che essi si congratulano di averti come patrono del loro errore. A meno che anche tu sia vinto insieme con loro. Tu sei infatti uno che con mirabile eloquenza o piuttosto con mirabile demenza difendi i bambini così da separarli dal Salvatore e combatti i manichei così da innalzarli contro il Salvatore. 42 - La volontà o è libera o non è volontà Giuliano. Poiché dunque è stata ben definita la volontà: " Un movimento dell'animo senza coazione di nessuno ", per quale ragione cerchi ancora più a monte le cause che la definizione della volontà ha escluse? Pesate quindi che cosa sia la volontà e smetterete d'indagare donde sia la volontà. È infatti la volontà un movimento dell'animo senza coazione di nessuno: se voi tentate di risalire più a monte anche solo di una mezza unghia, fate subito crollare le verità accertate. Che cosa dice dunque Manicheo? Ma cotesto movimento, dice, per questo è sorto perché l'uomo fu tratto dalla natura delle tenebre. Che cosa tu? Perché l'uomo, rispondi, fu tratto dal nulla. L'uno dunque dice: Per questo c'è la volontà cattiva, perché l'uomo fu fatto dal nulla; l'altro dice: Per questo c'è la volontà cattiva nell'uomo, perché l'uomo fu tratto dalle tenebre. Ambedue dunque negate quel supplemento essenziale della definizione della volontà: " Senza coazione di nessuno ". Se infatti tanta fu la forza del nulla quanta di qualcuno, una forza che costrinse ad esistere la volontà cattiva, tale forza escluse dalla volontà il suo modo di essere espresso dalle parole: " Senza coazione di nessuno ". Ma non meno scacciò l'infamia del male: non è peccato infatti ciò che non viene da un movimento libero dell'animo. E così avvenne che con il danno della verità sparì l'odiosità di tutto il male e svanì la natura del male quando svanì il crimine della volontà; ma il crimine della volontà svanì quando fu mutilata la definizione della volontà. Quindi si è fatto chiaro che tale è la condizione e del peccare e del volere: se il volere si attribuisce a cause precedenti, il volere perde e il suo diritto e il suo crimine. Dove sarà dunque la natura del male, se risulta che il male non c'è? Agostino. Non si può dire quanto mi sbalordisca la tua sfrontatezza: in che modo dica " natura del male ", tu che non dici " male naturale "; o in che modo non dica " male naturale ", tu che dici " natura del male ". Che cosa poi di più vano delle definizioni date da te, che pensi non si debba cercare donde venga la volontà, perché essa è un movimento dell'animo senza coazione di nessuno? Se infatti si dice donde venga la volontà, tu pensi che non sarà più vero ciò che è stato detto: Senza coazione di nessuno, perché ciò da cui viene la costringe ad essere, e quindi la volontà non viene da nessuna causa, perché non sia costretta ad essere. O singolare stoltezza! Dunque non viene da nessun'altra causa l'uomo stesso, che non è stato costretto ad essere, perché egli non era costringibile prima di esistere. È vero tutto l'opposto: e la volontà viene da un'altra causa, e la volontà non è costretta ad essere; e se non è da ricercarsi l'origine della volontà, non è da ricercarsi non perché la volontà non venga da un'altra causa, ma perché è manifesto donde venga. Viene infatti la volontà da colui del quale è la volontà: ossia dall'angelo la volontà dell'angelo, dall'uomo la volontà dell'uomo, da Dio la volontà di Dio. E se Dio suscita nell'uomo la volontà buona, lo fa certamente così che la volontà buona sorga dall'uomo di cui è la volontà; come Dio fa sì che l'uomo sorga dall'uomo: non perché infatti Dio crea l'uomo per questo l'uomo non nasce dall'uomo. Ma ciascuno è autore della sua volontà cattiva, perché vuole il male. Quando però si chiede per quale ragione l'uomo possa avere la volontà cattiva, sebbene non sia necessitato ad averla, non si chiede l'origine della volontà, ma l'origine della stessa possibilità, e si trova che questa è la causa: per quanto sia un grande bene la creatura ragionevole, tuttavia non è ciò che è Dio, del quale soltanto è invariabile e immutabile la natura. E quando si cerca la causa di questo fatto, ecco ciò che si trova: Dio non ha fatto le creature traendole da se stesso, ossia dalla propria natura e sostanza, ma traendole dal nulla, ossia da nessun'altra realtà. Non perché il nulla ha una qualche forza: se infatti l'avesse, non sarebbe il nulla ma qualcosa; ma perché essere fatta dal nulla equivale per ogni natura a non essere la natura di Dio, la sola che è immutabile. Né le creature che sono state fatte attraverso altre creature fanno eccezione da questa origine, poiché le creature che sono state fatte così per essere l'origine di altre, furono tratte da realtà non esistenti, ossia assolutamente dal nulla. Tutte le altre creature possono poi essere mutate dalle loro diverse e proprie qualità; dalla volontà invece, che fa uso della ragione, può esser mutata soltanto la creatura ragionevole. Chiunque diligentemente e intelligentemente presta attenzione a queste verità, conoscerà che di pertinente alla nostra causa tu non hai detto nulla del molto che hai detto sul nulla. 43 - Non esiste un peccato involontario Giuliano. Che cos'è infatti il male, ossia il peccato? La volontà di seguire ciò che la giustizia proibisce e da cui sia libero astenersi. Che cos'è la volontà stessa? Un movimento dell'animo senza coazione di nessuno. Se dunque il peccato è nato dalla volontà e la volontà da un movimento dell'animo senza coazione di nessuno, né la condizione del nulla, né la condizione delle tenebre fece sorgere questo movimento, il quale per questo non è costretto da nessuno perché possa esistere senza coazione di nessuno. Perciò non c'è nessun peccato naturale, non c'è nessun peccato originale, perché questi due aggettivi, naturale e originale, hanno un solo e medesimo senso, ossia indicano un peccato che è involontario. Ma " prescrizione " della verità è che il peccato non possa essere se non volontario, e quindi chi dice che il male è ciò che risulta ingenito, non convince che in natura ci sia il peccato, ma si dimostra " criminoso " per depravazione di giudizio. Ecco che è stato risposto ad una questione alla quale credevi che non fosse possibile rispondere. Era davvero evanescente la questione che tu giudicavi invitta. Agostino. Gongoli a vuoto e dici: " Ecco che è stato risposto ", dove che tu non abbia potuto rispondere lo trova subito chiunque, acuto, legge questi tuoi ragionamenti o chiunque, non molto tardo, legge anche i miei. Infatti per quanto grande sia l'ambiguità con la quale tenti non di spiegare le questioni implicate, ma di implicare le verità aperte, coloro che sono sani non possono negare che da ciascuno sorga la sua volontà e che la volontà dell'uomo non possa sorgere se non dall'uomo. E quindi, poiché i mali cominciarono ad esistere per la cattiva volontà degli uomini e poiché sappiamo che la natura buona degli uomini fu prima della volontà cattiva, dai beni sono sorti i mali. Questo dice Ambrogio, con questo si elimina Manicheo, questo nega Giuliano a favore di Manicheo contro Ambrogio, dicendo: Se la natura è opera di Dio, non si lascia all'opera del diavolo di passare attraverso l'opera di Dio, con il risultato che Manicheo dica che non sono opera di Dio gli uomini, attraverso i quali l'Apostolo afferma che passò il peccato e la morte, ( Rm 5,12 ) il che è opera del diavolo, poiché secondo Giuliano non si lascia all'opera del diavolo di passare attraverso l'opera di Dio; e dice l'Apostolo che l'opera del diavolo passò attraverso gli uomini: gli uomini non sono dunque opera di Dio. Di Manicheo è questa conclusione, proveniente a lui, o Giuliano, dal tuo aiuto. Ma l'Apostolo, combattendo in difesa della verità, dice e che gli uomini sono opera di Dio, per abbattere Manicheo, e che attraverso l'opera di Dio, cioè attraverso gli uomini, passò l'opera del diavolo, per abbattere anche te stesso con Manicheo. 44 - La volontà cattiva l'attribuite alle tenebre eterne Giuliano. Faccio notare tuttavia che pure tu hai l'abitudine di dire nei tuoi scritti che le tenebre non sono una creatura, ma per l'assenza della luce rimane l'oscurità, di modo che l'ottenebramento non è altro che l'esclusione dello splendore. Dunque lo splendore che viene escluso lo chiami creatura, ciò che rimane lo chiami tenebre: il che è stato certamente divulgato dai filosofi, né ora indago se sia un'opinione vera o falsa, ma sottolineo questo: le tenebre tu dici che non sono nient'altro che il nulla; e dici poi che nell'uomo, cioè nell'opera di Dio, il male esisté perché l'uomo fu fatto dal nulla: causa dunque del male confermi che fu quel nulla, e quel nulla lo dichiari anche tenebre. Dici pertanto che la necessità del male discende dalla condizione delle tenebre. Quindi nemmeno in questo tu dissenti dal tuo precettore, perché la volontà cattiva l'attribuite ugualmente alle tenebre eterne. Agostino. Ho già risposto poco fa apertamente e brevemente, come ho potuto, a te che sul nulla non dici nulla, e adesso hai voluto invano fuggire tra le tenebre. Non riuscirai a nasconderti: la luce appunto della verità ti perseguita dicendo che le creature, le quali non sono come Dio che le fece, furono fatte dal nulla in tal modo da non stimare o intendere che lo stesso nulla sia qualcosa, né che abbia la forza di fare qualcosa, perché, se l'avesse, non sarebbe il nulla. E perciò il nulla non è né un corpo, né uno spirito, né un accidente di queste sostanze, né alcuna materia informe, né uno spazio vuoto, né le tenebre stesse, ma assolutamente nulla: perché dove sono le tenebre c'è qualche corpo privo di luce, o l'aria o l'acqua o qualche altra cosa, non potendo se non un corpo essere illuminato dalla luce materiale perché splenda o esserne privato per ottenebrarsi. E per questo di coteste tenebre corporali non è il creatore se non colui che creò i corpi; onde nel cantico dei tre giovani lo benedicono la luce e le tenebre. ( Dn 3,72 ) Fece dunque Dio tutte le cose dal nulla, ossia tutte le cose che fece esistere, se guardiamo alla loro prima origine, le fece da cose che non esistevano, da cose che non sono, dicono i Greci. E perché ciò non si creda dell'Unigenito, che è Dio da Dio, Luce da Luce, e quindi non dal nulla, la Cattolica si oppone veementemente agli ariani. Quando pertanto diciamo che non per questo poté sorgere la volontà cattiva dal bene, perché il bene è stato fatto da Dio buono, ma perché lo fece dal nulla e non da se stesso, non diamo al nulla una qualche natura, ma distinguiamo la natura del Creatore dalla natura delle creature che sono state fatte da Dio. La ragione appunto per cui queste creature sono mutevoli, sia in forza della volontà, come fu mutevole la creatura razionale, sia in forza delle qualità proprie, come tutte le altre creature, è che sono state fatte dal nulla e non dalla natura di Dio, sebbene a farle non sia stato se non Dio. Questo vuol dire che non sono ciò che è la natura di Dio, la quale non è stata fatta ed è per questo la sola natura immutabile. Se vuoi dunque o evitare o vincere i manichei, sappi questo, apprendi questo, intendendolo se puoi o credendolo se non puoi intenderlo: poiché dai beni sono sorti i mali e la malizia non è se non la mancanza del bene. 45 - Necessario e possibile Giuliano. Ma come la verità vi ha entrambi smascherati e rovesciati, così la considerazione del nostro ufficio esige da noi che spieghiamo che cosa abbia portato oscurità alla presente questione, ormai disarmata. Di tutte le creature che vengono fatte si dice che a farle esistere o è la necessità o la possibilità. Ma necessario dico qui non ciò che siamo soliti denominare utile, bensì ciò che è stato coatto da cause maggiori. Necessario dunque chiamiamo non ciò che è nel diritto della volontà, ma ciò che subisce la violenza di esistere. Possibile poi diciamo ciò che non sperimenta la necessità né di esistere né all'opposto di non esistere, ma a certe condizioni e può essere e può non essere. Tenga dunque in mente il nostro lettore che cosa definiamo qui necessario e che cosa possibile. E per cominciare da grandi esempi, che Dio facesse il mondo venne a Dio dal possibile e non dal necessario, ossia alla onnipotenza di Dio fu possibile creare le creature che creò, tuttavia non fu necessario: evidentemente Dio non fu costretto da nessuno a fare, ma perché volle fece ciò che certamente non avrebbe fatto se non avesse voluto. Ma ciò che all'Autore venne dal possibile, nell'opera venne dal necessario, ossia non fu possibile essere e non essere al mondo a cui dall'Onnipotente si comandava di essere, ma era costretto ad esistere il mondo, al quale l'Onnipotente assegnava una essenza. Agostino. In che modo si costringeva ad esistere il mondo che non era prima di esistere? In che modo si costringe uno chiunque, se non esiste? Non sarebbe forse stato meglio che tu avessi detto: Il mondo fu fatto dalla volontà di Dio e non dalla volontà del mondo? Ma va' avanti e vediamo che cosa tu tenti di dimostrare con questa distinzione tra il possibile e il necessario, che avremmo potuto capire meglio, se tu l'avessi voluta accennare appena senza spiegarla. Chi non vede infatti che quanto ha la necessità di esistere ne ha pure la possibilità, e viceversa quanto ha la possibilità di esistere non ne ha pure la necessità? Se dunque ti è piaciuto appellare possibile ciò che si può fare senza che si faccia necessariamente e appellare necessario ciò che non solo si può fare ma si deve anche fare necessariamente, parla come vuoi. Dove le realtà sono trasparenti non si deve fare controversia di parole. Basta sapere che ogni necessario è possibile e che non ogni possibile è necessario. 46 - Creature necessarie e creature possibili Giuliano. Passò dunque nella necessità di quanto fu creato ciò che era venuto dalla possibilità del creante. Egli fece pure diverse nature e diverse specie nelle nature, custodendo l'ordine che fluiva dall'esordio delle creature, perché alcune fossero necessarie e altre fossero possibili. Dunque tutto ciò che le creature hanno naturaliter, lo hanno sortito da parte del necessario. Agostino. Se tutto ciò che le creature hanno naturaliter, lo hanno sortito da parte del necessario, gli uomini dunque non hanno naturaliter il fatto del coito, ma soltanto la possibilità del coito, né naturale è quell'uso della femmina che ricordò l'Apostolo, ( Rm 1,27 ) ma naturale è la possibilità di quell'uso: se infatti l'uomo non vuole non c'è l'uso stesso, sebbene ci possa essere se vuole. Naturale dunque è la possibilità dell'uso, non è naturale l'uso stesso: non è infatti necessario un uso che è nullo se non vogliamo; e avrebbe errato l'Apostolo a dire naturale l'uso della femmina. Dov'è anche la tua precedente affermazione che la natura è il genere e il matrimonio è una specie della natura, visto che i matrimoni non si annodano per necessità ma per volontà? O forse nel dirlo non ti era venuta ancora in mente la distinzione di questi due aspetti, ossia del necessario e del possibile? E che dopo il congiungimento dei sessi nasca un uomo non è naturale, perché non è necessario? Non è infatti necessario che al coito tra maschio e femmina segua il concepimento e il parto; ma tu hai definito possibile e non necessario ciò che può accadere senza che accada necessariamente. Né mangiamo naturaliter? Perché anche il mangiare non avviene se non vogliamo, e quindi è possibile e non necessario. Ma negare che queste azioni siano naturali non è altro che voler togliere alla natura una gran parte delle sue attribuzioni. Pertanto è falsa la tua affermazione: Tutto ciò che le creature hanno " naturaliter " lo hanno sortito dalla parte del necessario, atteso che e le attività da me ricordate e altre che sarebbe troppo lungo ricordare, le creature le hanno naturaliter, né tuttavia le hanno sortite da parte del necessario. 47 - Intreccio tra necessità e possibilità Giuliano. Ma nel loro modo di sentire quando progrediscono, le creature non prendono sempre dal necessario, bensì molto lo prendono dal possibile. Ciò si potrebbe vedere in tutti i corpi, ma ne nascerebbe una trattazione troppo lunga: alcuni pochi esempi tuttavia diamoli. La natura dei corpi è di evolversi per addizione e di dissolversi per divisione: sono dunque capaci di essere feriti i corpi che vanno soggetti alla morte. Che possano dunque essere feriti lo hanno dalla necessità, ma che siano feriti lo hanno invece dalla possibilità. Così la natura della possibilità è dal necessario, mentre l'effettuazione della possibilità non è necessaria. Per esempio, il cavallo, il bove e simili animali hanno una natura vulnerabile e quindi da parte del necessario sono capaci di subire un danno, ma che vengano feriti non è sempre necessario. Se infatti per la diligenza dei loro custodi sono preservati dalle disgrazie, possono non essere feriti, e se non sono custoditi possono anche essere feriti. Moltissimo dunque ci corre tra le eventualità che vengono dal possibile e gli eventi che vengono dal necessario: la quale distinzione se non si rispetta, si cade in errori senza numero. E perché ciò diventi chiaro con un parAgostino.one: alcuni oppositori della medicina sono caduti in errore argomentando che tale arte non ha nessuna utilità, e discorrono in questo modo: La medicina soccorre coloro che moriranno o coloro che sopravviveranno? Se soccorre coloro che moriranno, essa non ottiene nulla; se soccorre coloro che sopravviveranno, essa si prodiga invano. Coloro infatti che moriranno, anche con l'affannarsi della medicina moriranno; coloro che sopravviveranno, avrebbero potuto salvarsi anche senza il beneficio della medicina. Quanto graziosa proprio e quanto gentile conclusione! Ma viene dissolta dai difensori della medicina nel modo seguente: Quest'arte, dicono, non giova né a coloro che vivranno, né a coloro che moriranno, se si guarda soltanto a ciò che accade necessariamente; ma se si guarda a ciò che è possibile, la medicina giova a coloro che sono esposti ad ambedue le eventualità. Non aiuta dunque la medicina chi è senza dubbio morituro, perché non lo può fare immortale, ma non soccorre nemmeno chi con certezza sarà incolume; soccorre invece chi può correre pericolo se non si cura e può essere liberato se si cura. Come dunque l'arte erudita non può soccorrere né chi vivrà né chi morirà per condizione di necessità, così essa può giovare e a chi morirà e a chi vivrà, ma sotto l'aspetto della possibilità. I primi dunque sparlando delle cure mediche hanno chiuso nel territorio della necessità una proposizione che partiva dal territorio del possibile: il quale genere di ragionare ha innumerevoli applicazioni. Per esempio la legge divina proibisce di commettere l'omicidio e proibisce pure che si dia occasione alla negligenza per la quale s'incorre in pericoli, come nel caso di un toro di facile incornata ( Es 21,28-32 ) e nel caso dei parapetti delle case. ( Dt 22,8 ) Ma si può domandare: Cotesta diligenza soccorre chi vivrà o chi morirà? Se soccorre chi morirà, non ottiene nulla; se soccorre chi vivrà, provvede in soprappiù, dato che ambedue queste eventualità contrarie seguiranno necessariamente e attraverso le precauzioni e senza le precauzioni. Ma questo è falso: giustissimamente infatti si provvede ai mortali perché con le risorse della diligenza evitino ciò che avrebbero potuto patire senza la diligenza. Altro dunque viene dalla possibilità, altro dalla necessità. Mostriamo subito come ci giovino queste premesse. Dio fece l'uomo dotandolo di libero arbitrio e di una buona natura, la quale fosse però capace delle virtù da procurarsi assoggettando a sé da sé il proprio animo. Il quale libero arbitrio non poteva sussistere diversamente che avendo anche la possibilità di peccare. L'uomo dunque ha la libertà dalla parte del necessario, ha la volontà dalla parte del possibile. Non può l'uomo non essere libero, ma non può essere costretto a volere né l'uno né l'altro, e l'effetto della sua libertà necessaria è un effetto possibile. Nel possibile si può dunque peccare, nel necessario non si può, perché nel necessario non si giudica l'attore, ma lo stesso Autore, e questa possibilità dell'uomo è integralmente dono di Dio; dall'uso che l'uomo fa della sua possibilità invece si soppesa l'attore stesso. Agostino. Che dici tu del diavolo del quale è scritto: Il diavolo è peccatore fin dall'inizio? ( 1 Gv 3,8 ) Ha egli la possibilità di peccare o la necessità? Se la necessità, veditela tu in che modo secondo i tuoi ragionamenti egli sia scusato dal crimine; se poi la possibilità, può dunque egli anche non peccare, può avere la volontà buona, può fare penitenza e impetrare la misericordia di Dio, perché questi non disprezza un cuore affranto e umiliato. ( Sal 51,18 ) Il che è sembrato vero ad alcuni, dietro l'insegnamento, si dice, di Origene; ma, come stimo che tu sappia, la fede cattolica e sana non accolse questa dottrina: onde alcuni o provano o vogliono che anche lo stesso Origene sia stato alieno da questo errore. Resta quindi che prima del supplizio del fuoco eterno anche questa necessità di peccare sia per il diavolo una grande pena del suo grande peccato, e resta che egli per questo non sia scusato dal crimine perché per il suo massimo crimine c'è anche questa punizione: che egli trovi diletto soltanto nella malizia e non possa trovare diletto nella giustizia. Ma a questa necessità di peccare, ormai penale, il diavolo non sarebbe certamente arrivato, se prima non avesse peccato con la sua libera volontà senza nessuna necessità. Pertanto quella definizione del peccato che lo ripone nel fare ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi, spetta al peccato che è soltanto peccato e non al peccato che è anche pena del peccato. 48 - Dio aiuta l'uomo nel fare il bene Giuliano. E il male e il bene l'uomo dunque li fa per volontà propria, ma il suo bene l'uomo lo deve anche a Dio, il quale non reca certamente al bene dell'uomo un pregiudizio, ma somministra tuttavia un aiuto. Agostino. Tanto il bene quanto il male l'uomo li fa certamente con la propria volontà, come dici tu, e in lui la possibilità del bene e la possibilità del male stanno in perfetto equilibrio, e a fare il bene Dio somministra un aiuto: per quale ragione dunque la natura dei mortali è più proclive a peccare, se il peccato originale non ebbe nessun effetto? Benché anche lo stesso aiuto, che siete costretti a confessare somministrato da Dio, non sfugga quale diciate che sia. Voi dite appunto che è la legge e non lo Spirito, mentre l'apostolo Paolo insegna che noi siamo aiutati con la somministrazione dello Spirito Santo. ( Fil 1,19 ) Il che ho reputato mio dovere ricordarlo, perché coloro che ascoltano o leggono la tua sentenza sulla somministrazione dell'aiuto divino, non dimentichino eventualmente la vostra eresia. 49 - È naturale tanto il possibile quanto il necessario Giuliano. Tanto vale dunque cotesta distinzione che se, ignorandola, concludiamo nella necessità ciò che comincia dalla possibilità, tutti i crimini ritornano a Dio. Il che vedendo, Manicheo escogitò le tenebre come autrici del peccato: non riuscì infatti a distinguere tra il possibile e il necessario. Dunque tutto ciò che l'uomo ha naturaliter, lo ha sortito dalla parte del necessario, poiché non poté essere diversamente da come fu fatto. Agostino. Già poco fa ho mostrato quanto sia vana cotesta sentenza: sarebbe stoltissimo infatti che gli uomini abbiano naturaliter la possibilità di mangiare, ma non mangino naturaliter i cibi congrui alla loro natura, o abbiano gli uomini naturaliter la possibilità di concumbere, ma non concumbano naturaliter con le membra genitali di ambedue i sessi. Chi lo dirà, se considera un poco appena quello che dice? L'uno e l'altro è infatti naturale: e che queste azioni possano essere fatte e che siano fatte; ma che possano essere fatte è vero anche quando non vogliamo, che siano fatte non avviene se non quando vogliamo. 50 - Si può fare anche il male che non si vorrebbe fare Giuliano. Ma il male che fa, lo fa perché lo può fare. Agostino. Poni attenzione a colui che dice: Io compio il male che non voglio, ( Rm 7,19 ) e rispondi se non abbia la necessità di fare il male chi non fa il bene che vuole, ma compie il male che non vuole. Se non ardisci opporti all'Apostolo, ecco un uomo che facendo il male per necessità, spezza e sperde le tue definizioni: compie appunto il male per necessità chi non lo vuole e lo compie. Se poi ciò che compie senza volerlo è soltanto il concupire con la carne senza nessun consenso della mente e senza nessuna operazione delle membra, è cattiva, sebbene non le si presti il consenso per il male, anche la concupiscenza della carne, che ti diletti tuttavia di lodare. Se invece colui che grida: Io compio il male che non voglio, ( Rm 7,19 ) è costretto così tanto che mette anche le sue membra a servizio del peccato, non solo i mali si concupiscono necessariamente, ma si commettono pure. Dove sono le tue definizioni che distingui con tanta loquacità? Proprio come fumo svanirono e si dileguarono. Tu raccomandi di discernere con grande cura il necessario e il possibile, dicendo necessario ciò che avviene necessariamente e dicendo possibile invece ciò che può avvenire, ma non necessariamente avviene. Perciò la necessità l'attribuisci al necessario, mentre il possibile non lo costringi in nessuna necessità. Le azioni cattive non le dài al necessario, ma al possibile, e dici parlando dell'uomo: Ma il male che fa, lo fa perché lo può fare, perché di nessuno si dica che agisce male per necessità e non per volontà. Ma si fa in mezzo uno che ti contraddice validissimamente e dice: Cos'è quello che dici? Ecco, io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio. ( Rm 7,19 ) È noto che il primo uomo compì il male per volontà e non per necessità, ma colui che dice: Io compio il male che non voglio, mostra di compiere il male per necessità e non per volontà, e piangendo le sue miserie ride delle tue definizioni. 51 - La possibilità è di fare il bene o di fare il male, la necessità non è né del bene né del male Giuliano. Se dunque non ci fosse stata la possibilità necessaria, non ci sarebbe stata l'effettuazione possibile. Che dunque possa fare il male e il bene è necessario, che invece faccia il male non lo deve al necessario, ma al suo possibile. Dove poi c'è la possibilità di ambedue le parti, la necessità è neutra per ambedue le parti. Così avviene che nient'altro sia il peccato se non la volontà di compiere ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi. Se poi nient'altro è la volontà che un movimento dell'animo senza coazione di nessuno, come dunque Dio ebbe dal possibile di fare il mondo, ma il mondo stesso subì dal necessario il fatto di esistere, così qualcosa di simile s'intende anche nella immagine di Dio. Appunto perché abbia la volontà che ha scelto di avere non è costretta, ma le viene dal possibile; il male invece che fa ha la necessità del reato. Così il crimine incorre nell'orrore per necessità, sebbene sia sorto non dalla necessità di colui che lo fa, ma dalla sua possibilità. L'opera dunque della possibilità è la testimonianza di un essere animato libero. Agostino. Ormai sei assolutamente negletto da chi abbia letto le risposte che ti abbiamo dato sopra. Poiché, colui che dice: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio, indica abbastanza apertamente di esser pressato dalla necessità a compiere il male e dimostra che è falsa la tua affermazione: Che faccia il male non lo deve al necessario, ma al suo possibile e tutte le altre tue vane ciance. Così avviene che quella definizione, che dice peccato la volontà di fare ciò che la giustizia vieta e da cui è libero astenersi, abbraccia, come ho già avvertito precedentemente, quel peccato che è soltanto peccato, non il peccato che è pure pena del peccato. Per tale pena infatti costui compiva il male che non voleva compiere e dal quale se gli fosse stato libero astenersi non avrebbe indubbiamente detto: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio. Come dunque noi riconosciamo l'uomo beato nel corpo di quella vita dove ebbe la libertà di fare ciò che voleva, sia il bene, sia il male, così anche tu riconosci l'uomo misero nel corpo di questa morte, dove, perduta la libertà, gli senti dire: Non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto, e: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio, e: Sono uno sventurato! Chi mi libererà dal corpo di questa morte? ( Rm 7,15.19.24 ) 52 - Non si può offendere il necessario senza offendere Dio Giuliano. Il biasimo dell'animale libero non rimbalza sugli elementi necessari, perché tutto ciò che tocca il necessario, urta l'Autore stesso. Agostino. Forse che questo male dell'uomo, dov'egli dice: Io compio il male che non voglio, urta lo stesso Autore dell'uomo? E tuttavia ben apparisce che abbia toccato il necessario colui che compie il male in quelle condizioni: compie appunto per necessità ciò che non compie per volontà. 53 - Non si possono mescolare possibilità e necessità Giuliano. Come dunque ciò che avviene dal necessario non si può ascrivere al mio possibile, così ciò che viene dal possibile non si può ascrivere al necessario. Cioè, come la natura del mio corpo e del mio animo non si può attribuire alla mia volontà, quasi che io abbia voluto essere quello che apparisco, non avendo potuto volerlo prima di essere, altrettanto il male della volontà non si può riportare alla natura così da mescolare con la necessità le opere della possibilità. Agostino. Dalla necessità si discerne certo abbastanza evidentemente e apertamente ciò che può accadere senza essere necessario che accada: tu lo chiami possibile, quasi che sia impossibile ciò che non solo può accadere, ma è anche necessario che accada. Poiché però ti è piaciuto dare tali nomi a cotesti due concetti, cerchiamo d'intenderli come possiamo e di avere pazienza. Ma cos'è che dici: Il male della volontà non si può riportare alla natura? Non è forse vero che, quando l'angelo o l'uomo vuole qualcosa, è una natura che vuole qualcosa? E l'angelo e l'uomo non sono nature? Chi lo dirà? Se dunque sono nature l'angelo e l'uomo, certamente la natura vuole tutto ciò che vuole l'angelo, la natura vuole tutto ciò che vuole l'uomo. In che modo dunque il male della volontà non si può riportare alla natura, non potendo volere qualcosa se non una natura? O non s'imputi all'uomo il peccato della sua volontà, perché l'uomo è una natura, e il male della volontà, come dici tu, non si può riportare alla natura. O forse a tanto si spinge la tua vanità da dire che si deve imputare alla natura ciò che non si può riportare alla natura? Infatti chi dirà che non s'imputa alla natura ciò che s'imputa all'uomo, se non chi è così stolto da negare che l'uomo sia una natura? Non ti avvedi quanto parli a lungo senza sapere quello che dici? Se tu dunque dicessi: La volontà non si può riportare alla necessità, nemmeno questo sarebbe vero universalmente. A volte infatti vogliamo ciò che è necessario, come è necessario che diventino beati coloro che perseverantemente vivono bene. A volte è anche necessario volere qualcosa: per esempio è necessario volere la beatitudine; onde esiste pure una beata necessità, la necessità che Dio viva sempre, immutabilmente e beatissimamente. Ma poiché ci sono anche certe necessità così aliene dalle volontà che e la necessità sia dove non è la volontà, e la volontà dove non è la necessità, almeno in parte è vero ciò che si dice: La volontà non si può riportare alla necessità. Chi invece dice: La cattiva volontà non si può riportare alla natura, il medesimo ci mostri, se può, una volontà, cattiva o buona, dove non ci sia la natura, o ci mostri che possa esistere una volontà se non esiste la natura che voglia qualcosa. Sta' dunque attento quanto tu sia fuori dalla verità. Tu dici: La volontà cattiva non si può riportare alla natura. La verità dice al contrario: Dove c'è una qualche volontà, essa non si può separare dalla natura. 54 - Gli sciami dei traduciani Giuliano. Manicheo dunque, poiché non ha osservato attentamente questa sottilità di distinzioni, produsse a noi gli sciami dei traduciani. Argomenta infatti in questo modo: Donde il male? Evidentemente dalla volontà. Donde la volontà cattiva? Risponde: Dall'uomo. Donde l'uomo? Da Dio. E conclude: Se il male dall'uomo, se l'uomo da Dio, il male quindi da Dio. E dopo questo, quasi per sentimento religioso, per non fare " criminoso " Dio, ci dà la natura delle tenebre alla quale ascrivere il male. Da qui anche Agostino: Donde il male? Dalla volontà. Donde, dice, la stessa volontà? Dall'uomo, che è opera di Dio. E raccoglie: Se il male dalla volontà, se la volontà dall'uomo, se l'uomo opera di Dio, il male quindi da Dio. Il che quasi tentando di sbrigare, per non sembrare di dire Dio " criminoso ", ciò che afferma la sua " traduce ", al posto di Dio ha offerto a noi un nulla ugualmente violento, cioè le tenebre, alle quali ascrivere questo male: Il male infatti, dice, non per questo è nato nell'uomo perché egli era opera di Dio, ma perché era dal nulla. Quasi che la verità non possa rispondere: E con quale sfacciataggine il tuo Dio prima mentisce che nell'uomo ci sia la volontà e poi lo condanna, pur sapendo che cotesto male, ossia il peccato, è venuto dalla necessità delle tenebre, cioè dalla necessità dell'antico nulla? Abbiamo declinato con i casi la parola nihil, perché apparisse la forza del traduciano che colloca nel nulla la sua speranza. Vedi tuttavia l'impotenza del dio che il traduciano introduce. Quel dio non valse a superare il nulla stesso e dopo aver fatto l'uomo dal nulla non lo poté liberare dal condizionamento del male, che veniva dal nulla, ma, fatto più amaro dalla difficoltà della situazione, incrimina l'uomo invece di incriminare le proprie colpe e condanna i delitti del nulla con la rovina della propria immagine. Più benignamente agisce con Dio il vecchio Manete, così da dirlo non totalmente devastato dalla gente delle tenebre, mentre il traduciano descrive la impotenza di Dio tanto grande da commentare che egli è stato superato dal nulla. Agostino. Nessuno è superato dal nulla, ma tu sei superato non dicendo nulla; né io ho riposto la mia speranza nel nulla, ma tu hai ridotto fino al nulla la tua loquacità. Certo, se tu intendessi rettamente ciò che dici perversamente, in questo modo Dio viene superato dal nulla nel senso che nessuna realtà supera Dio: che cos'è infatti il nulla, se non nessuna realtà? In cotesto senso anche Dio non può superare nulla, perché non c'è nessuna realtà che non sia superata da Dio, il quale supera tutte le realtà, essendo egli al di sopra di tutte. Ma, come dici tu: Manicheo non ha osservato attentamente le sottilità delle tue distinzioni, e quindi dice: Se il male dall'uomo, se l'uomo da Dio, il male quindi da Dio, perché noi, atterriti da tale conclusione, neghiamo o che l'uomo venga per mezzo di Dio o che il male venga dall'uomo, o diciamo con Manicheo che sono false ambedue le affermazioni, e così Manicheo introduca a noi una non so quale sostanza delle tenebre che abbia fatto l'uomo e sia il principio del male, donde far discendere ogni male. Tu dunque, o sottilissimo suddivisore, con quale sapienza reputi che si debba resistere a questa scaltrezza? Dirò, tu rispondi, che il male venne dall'uomo da parte del possibile, non da parte del necessario. Quasi che egli non possa risponderti: Se il male dal possibile, se la possibilità dalla natura, se la natura per mezzo di Dio, il male quindi per mezzo di Dio. Questa conclusione se tu non la temi, nemmeno io l'altra, perché ambedue confessiamo che il primo uomo non peccò da parte del necessario, ma da parte del possibile. Noi infatti dicendo che l'uomo poté peccare perché la sua natura non fu fatta con la natura di Dio, benché non potesse essere assolutamente se non per creazione da parte di Dio, non diciamo ciò per dire, come tu ci calunni, che con questo fu inserita dentro l'uomo la necessità di peccare. In modo assoluto poteva peccare e non peccare; ma se non fosse stato fatto dal nulla, ossia se la sua natura fosse venuta dalla natura di Dio, non poteva peccare in nessun modo. Chi infatti è tanto demente da avere il coraggio di dire che possa in qualche modo peccare la natura immutabile e inconvertibile che è Dio, del quale l'Apostolo dice: Non può rinnegare se stesso? ( 2 Tm 2,13 ) Ambedue dunque ci opponiamo a Manicheo, dicendo che dal Dio buono e giusto l'uomo non fu fatto tale che a lui fosse necessario peccare, e dicendo quindi che peccò perché volle peccare colui che poteva anche non volerlo. Ma riguardo al fatto che nella progenie dell'uomo noi avvertiamo mali tanto grandi e tanto manifesti, mali non volontari degli uomini, bensì con i quali gli uomini sono nati, poiché voi negate che questi mali vengano dalla origine viziata a causa del peccato, certamente ad introdurre la natura del male, dalla cui mescolanza fosse corrotta la natura di Dio, la vostra eresia ha stabilito Manicheo come dentro una fortezza, dalla quale la verità scaccia insieme e lui e voi. 55 - Comportamenti naturali e comportamenti possibili Giuliano. Patiscono questa ignominia tutti coloro che dichiarano guerra alla verità. Noi dunque raccogliamo ora quello che abbiamo ottenuto. Si cerca donde sia sorta nell'uomo quella prima volontà cattiva. Rispondiamo: Da un movimento dell'animo senza coazione di nessuno. Si obietta: Apparve nell'opera di Dio? Assentiamo che è vero. Si chiede perché non dissentiamo da ciò, noi che neghiamo il peccato naturale. Rispondiamo: Perché nell'opera di Dio il peccato viene fuori dal possibile, non dal necessario. I comportamenti naturali sono dunque necessari, i comportamenti possibili sono volontari. Agostino. Ci sono anche i comportamenti volontari necessari, come vogliamo essere beati ed è necessario che lo vogliamo; ci sono anche i comportamenti possibili naturali: così è possibile infatti che concepisca una femmina che si unisce ad un maschio per mezzo delle membra genitali di lui e di lei, se non è sterile né lei né lui; ma non è necessario: può appunto accadere, ma non accade necessariamente, e tuttavia è naturale. Taci, ti scongiuro. Sono vane le tue definizioni; né sono sottili, ma puerili le tue distinzioni. 56 - Né la natura né la libertà dell'uomo è causa del peccato Giuliano. E perciò, come il peccato lo ascriviamo ad un movimento libero, così la natura a Dio creatore. È quindi la natura umana una buona opera di Dio; la libertà dell'arbitrio, ossia la possibilità o di delinquere o di fare rettamente, è altrettanto un'opera buona di Dio. L'una e l'altra viene all'uomo dal necessario e nessuna di queste due realtà è causa del male. Ma a questo punto si fermano le realtà necessarie. In esse certamente sorge poi la volontà, ma non da esse. Sono infatti capaci di volontà, non piene di volontà; né fanno, ma ospitano la diversità dei meriti. Agostino. Sei esattissimo nel confessare che la natura e il libero arbitrio sono opere buone di Dio. Che cosa invece si può dire di più insano della tua affermazione: " La volontà sorge certamente in esse, ma non da esse "? È proprio vero, o Giuliano, che la volontà dell'uomo non sorge dall'uomo, se l'uomo è un'opera buona di Dio? Ha potuto infine nascere davvero nel tuo cuore il dubbio che la volontà dell'uomo sorga, sì, nell'uomo, ma non dal libero arbitrio dell'uomo? Di' dunque donde, se non dalla natura, ossia dall'uomo stesso; se non dal suo libero arbitrio, di', prego, donde sorga la volontà dell'uomo. Hai detto dove sorge, di' anche donde sorge. Buone opere di Dio sono la natura e il libero arbitrio. In esse, dici, sorge la volontà, ma non da esse. Donde dunque? Dillo, ascoltiamolo, impariamolo. Oppure mostra qualcosa che sia sorto là donde non era. Il mondo è sorto certamente dal nulla, ma perché l'ha fatto Dio: se infatti non avesse avuto Dio come artefice, non sarebbe potuto in nessun modo sorgere da cose nulle. Se dunque anche la volontà nell'uomo o nel suo libero arbitrio è sorta dal nulla, chi l'ha fatta? O se non è stata fatta, è almeno sorta: chi l'ha generata? O è forse la sola di tutte le realtà che hanno cominciato ad essere che non sia stata fatta da nessuno e non sia nata da nessuno? Per quale ragione dunque a causa di essa si condanna l'uomo nel quale, lui nolente, è sorta la volontà cattiva, della quale egli era soltanto capace e non efficace? Se poi per essere condannato giustamente, la volontà cattiva è sorta in lui volente, per quale ragione neghi che sia sorta da lui la sua stessa volontà, che non neghi sorta da lui volente e che non neghi che non sarebbe potuta sorgere se non da lui volente? Ma essendo sorta da lui, è sorta dalla natura, perché l'uomo è natura e, poiché poté anche non volere ciò che volle, è sorta dal suo libero arbitrio, che appartiene anch'esso alla natura, come tu confessi. Per quale ragione dunque neghi ad occhi chiusi verità aperte come questa, che cioè dalla natura dell'uomo sorga la volontà dell'uomo, mentre temi che Manicheo accusi l'Autore di questa natura? È sufficiente a respingere tale pestilenza ciò che predica la verità cattolica: dall'ottimo Dio l'uomo fu creato così da non avere la necessità di peccare e da non peccare se non voleva peccare, potendo sempre certamente anche non volerlo. Chi infatti può essere tanto cieco di mente da non vedere che nelle condizioni in cui l'uomo fu creato primitivamente, è un grande bene della natura il poter non peccare, per quanto sia un bene ancora più grande il non poter peccare, e che con ottimo ordine fu stabilito che il poter non peccare ci fosse prima come fonte del merito dell'uomo e il non poter peccare ci fosse dopo come premio di chi avesse ben meritato? 57 - Senza la libertà non esiste ciò che essa non costringe ad esistere Giuliano. La buona possibilità dunque del male e del bene non costringe la volontà, ma le permette di sorgere. Nessuno dunque è buono per questo, che è stato dotato di libero arbitrio: ci sono appunto molti uomini ugualmente liberi, ma tuttavia pessimi; nessuno però è cattivo per questo, che è di libero arbitrio: ci sono molti ugualmente partecipi di questa libertà e tuttavia ottimi. Né buono quindi, né cattivo è l'uomo per questo che è libero, ma né buono né cattivo potrebbe essere se non fosse libero. Questa possibilità dunque, che si indica con il nome di libertà, è stata costituita così dal sapientissimo Dio che senza di essa non ci sia ciò che non è costretto da essa ad esserci. Con una e sola capacità dei contrari si preserva infatti la volontà dalla predeterminazione dell'uno e dell'altro, cioè non si può dire causa e necessità né della volontà cattiva né della volontà buona una volontà che ospita l'una e l'altra senza forzare all'esistenza né l'una né l'altra. Delle azioni necessarie dunque è singolo l'itinerario e uno solo è in qualche modo il filo: è quasi come la lunghezza geometrica senza la larghezza, né qui si può dividere l'unione. Finché dunque l'itinerario si estende singolo, mantiene la forza della sua natura, ma dove gli capita di scindersi in direzioni diverse, subito allora cessa quella necessità. Questo vuol dire la frase: Il buon Dio fece buono l'uomo. Agostino. Per quale ragione dunque hai detto che l'uomo non è né buono né cattivo se non per volontà propria, e che quanto ha da Dio lo ha dalla parte del necessario e non dalla parte del possibile? Il che lo vuoi far intendere dalla parte della natura e non dalla parte della volontà, così che l'uomo sia buono con la propria forza e non con la forza di Dio, o certamente migliore con la propria forza che con la forza di Dio. Queste sono appunto le tue parole: Nessuno è buono per questo che è stato dotato di libero arbitrio. E poco dopo tu dici: Né per questo nessuno è cattivo perché è di libero arbitrio. Con le quali parole che cosa dici se non questo: Dio non fece l'uomo né buono né cattivo, ma l'uomo si fa da sé buono e cattivo come gli piace, usando bene o male del libero arbitrio? Cos'è dunque quello che dici adesso: Il buon Dio fece buono l'uomo, se egli non è né buono né cattivo per il possesso del libero arbitrio che Dio fece in lui, ma per il buon uso del libero arbitrio, ossia quando ormai da sé vuole in modo buono, non quando ha la possibilità di volere in modo buono? E in che senso sarà vera la frase: Dio fece l'uomo retto? ( Qo 7,30 ) Era forse retto l'uomo che aveva, non la volontà buona, ma la possibilità della volontà buona? Dunque era anche cattivo l'uomo che aveva, non la volontà cattiva, ma la possibilità della volontà cattiva, e da lui stesso gli viene la volontà buona, ed è falso ciò che è stato scritto: La volontà viene preparata dal Signore, ( Pr 8,35 sec. LXX ) e: Dio suscita in voi l'operare e il volere. ( Fil 2,13 ) Quantunque tu dica che nemmeno dall'uomo stesso venga all'uomo la volontà buona o cattiva, ma che essa sorge nell'uomo e non dall'uomo. Così avviene che per la tua mirabile sapienza né Dio abbia fatto retto l'uomo, ma lo abbia fatto tale che potesse essere retto se lo voleva; né l'uomo faccia retto se stesso, ma diventi retto non so per quale caso, perché nemmeno da lui, ma non so donde o non so come sorge in lui la volontà che lo fa retto. Questa non è la sapienza che viene dall'alto, ma è la sapienza terrena, animale, diabolica. ( Gc 3,15 ) 58 - La beatitudine di non poter peccare Giuliano. Che la sostanza cominci e cominci in modo buono dipende dalla unità del necessario. Riceve anche la libertà dell'arbitrio e la sostanza è contenuta ancora dentro la linea del necessario, ma ormai c'è la fine delle azioni necessarie e da qui le volontà si fendono in direzioni contrarie. All'unità del necessario non appartiene dunque la natura della divisione. Così siamo costretti ad avere la possibilità, ma non siamo costretti ad usare bene o male della stessa possibilità. Così avviene che anche la possibilità di peccare sia capace del bene e del male, ma volontario, poiché non avrebbe potuto essere capace del proprio bene, se non fosse stata capace anche del male. Agostino. Di' piuttosto, se vuoi dire la verità, che la natura dell'uomo fu fatta dapprima capace del bene e del male: non perché non avrebbe potuto essere fatta capace del bene soltanto, ma perché dovette progredire ordinatissimamente da quel primo gradino: se non avesse peccato quando poteva peccare, giungesse a quella beatitudine dove non potesse peccare. Perché, come ho già detto, è un grande bene l'uno e l'altro bene, anche se l'uno è più piccolo e l'altro più grande. È infatti un bene minore poter non peccare, è invece un bene maggiore non poter peccare, e bisognava giungere dal merito del bene minore al premio del bene maggiore. Infatti non avrebbe potuto essere capace del proprio bene, come dici tu, se non fosse stata capace anche del male. Per quale ragione la natura umana, dopo aver trascorso piamente questa vita, sarà capace del bene soltanto e non del male, ossia sarà aliena non solo da ogni volontà o necessità di peccare, ma altresì dalla possibilità di peccare? Oppure c'è da temere che pecchiamo anche quando saremo uguali agli angeli santi? Dei quali dobbiamo senza dubbio credere che abbiano ricevuto il dono di non poter peccare per merito della loro perseveranza, perché rimasero fedeli quando, cadendo gli altri, avrebbero potuto anch'essi peccare. Altrimenti ci sarebbe ancora da temere che questo mondo abbia ad avere molti nuovi diavoli e con essi nuovi angeli cattivi. Anche la vita dei santi, che sono usciti dai corpi, sarà sospetta per noi: che anche là dove sono giunti abbiano forse già peccato o forse pecchino, se nella natura ragionevole rimane la possibilità di peccare, né può essere capace del bene senza esserlo anche del male. Le quali asserzioni poiché sono fortemente assurde, tale opinione è da respingersi ed è da credere piuttosto che per questo cotesta natura sia stata fatta primitivamente capace e del bene e del male perché scegliendo per amore l'uno dei due acquistasse il merito di diventare successivamente capace del bene soltanto o del male soltanto, in modo tuttavia che, se fosse colpita dalla condanna eterna, fosse costretta a patire soltanto e non anche lasciata libera di fare il male. 59 - La possibilità è vuota, la necessità è piena Giuliano. Ma quanta differenza c'è tra il pieno e il vuoto, altrettanta ce n'è evidentemente tra la possibilità e la necessità. La possibilità infatti apparisce vuota di quella realtà di cui si dice capace, mentre, se non ne fosse vuota, non ne sarebbe nemmeno capace. Chi riceverebbe infatti ciò che avesse già? La necessità invece non indica la vacuità, ma la pienezza: essa non può ricevere appunto come se ne fosse vuota ciò che la fa essere, per così dire, piena. Tanto ci corre quindi tra i necessari e i possibili quanto tra i pieni e i vuoti. La possibilità dunque per lo stesso accoglimento degli opposti è difesa dalla predeterminazione dell'una o dell'altra qualità di cui è ugualmente capace. La possibilità ha dunque la necessità del bene soltanto nella natura, per quanto spetta all'onore dell'Autore; e questo bene è l'innocenza non mescolata per natura con nessun male e accoglitrice del proprio operare secondo la proprietà del bene e l'accusazione del male. Quello dunque che a ciascuno viene dal proprio, ciascuno lo può ferire peccando, ma quanto ciascuno ha ricevuto dall'opera di Dio, non lo può scolorire. Rimane dunque anche negli uomini cattivi la determinazione tassativa del bene naturale, né sarà mai un male aver potuto fare il bene e il male, ma tale possibilità non gioverà per nulla a quella persona che non condanna certamente gli istituti della sua necessità, ma li ha costretti tuttavia a non giovarle. Come dunque in quell'uomo in cui si è già esplicata la libertà ascriviamo alla sua volontà il male quando pecca, ma la natura a Dio, autore della creazione, così se di un bambino, che non ha l'uso della volontà e non presenta null'altro all'infuori degli istituti della natura, si dica che è pieno di scelleratezza e che per una necessità ha il male che l'altro riceve dalla possibilità, senza dubbio si incolpa come autore del crimine colui che è l'Autore della natura. Agostino. Le tue regole le rompiamo apertamente nei grandi, perché tu non le possa trasferire nei piccoli. Non era un piccolo colui che diceva: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio. ( Rm 7,19 ) Non c'era in lui la vacuità della possibilità, ma la pienezza della necessità, per parlare di questi temi nel modo tuo: non era egli un vuoto capace di ricevere, ma era già pieno del male che aveva ricevuto. Non dichiarò infatti: Posso compiere il bene e il male: la quale possibilità non fu un male della natura umana, né della volontà; ma dichiarò: Io non faccio il bene che voglio. Né soltanto, bensì Agostino.giunse pure: Ma compio il male che non voglio. Ecco, tanto il bene che non compie, quanto il male che compie, non lo deve alla possibilità, come tu stesso stabilisci, ma lo deve alla sua necessità, come egli patisce e asserisce; egli è senza dubbio un uomo insufficiente a fugare le proprie miserie, ma è un martello assolutamente sufficientissimo a frantumare le vostre regole. Vuole ciò che è buono e non lo compie, non vuole ciò che è male e lo compie: donde questa necessità? La riconoscono bene i dottori cattolici che intendono il discorso dell'apostolo Paolo rivolto da lui anche a se stesso, e non dubitano che tale necessità venga dalla legge che nelle nostre membra muove guerra alla legge della nostra mente e senza la quale non nasce nessun uomo, e vedono detto anche dai santi: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio, per questo che vedono quanto gran bene sia il non concupire nemmeno con la carne le azioni che sono avversate dalla mente, e vedono che i santi lo vogliono e non lo fanno, e vedono che è male, anche se la mente non acconsente, concupire tuttavia tali azioni pur soltanto con la carne, e vedono che i santi non lo vogliono ma lo fanno, certamente senza meritare nessuna condanna, poiché, distrutto dalla rigenerazione il reato di questo peccato, si oppongono con lo spirito per non portare ad esecuzione ciò che concupiscono con la carne; ma non senza qualche loro male, non essendo stata mescolata a loro una natura aliena, ma essendo nella loro mente e nella loro carne la loro natura. Questo modo pio e vero di sentire contro la vostra cliente voi non lo volete ammettere, quasi che lo facciate apposta, perché nel tribunale dove la difendete non si deponga nulla contro di essa, a vostro dispetto, non solo dalla letteratura, ma nemmeno dagli stessi costumi degli uomini e dai gemiti dei santi, e si deponga a favore di essa con tanto manifesta verità che rimanga non la vostra eloquenza ma la sola vostra impudenza, con la quale non possiate ma vogliate difenderla. Cos'è infatti questo vostro sforzo di oscurare le verità aperte con una tempesta di torbida loquacità? Grida l'Apostolo: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio. Grida anche precedentemente: Non sono io a farlo, ma il peccato che abita in me; so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene. ( Rm 7,17-19 ) Cos'è: Non sono io a farlo? Cos'è se non ciò che spiega successivamente? Dicendo appunto: Io faccio quello che non voglio, indica che è lui a fare, e dicendo al contrario: Non sono io a farlo, indica che non lo fa la sua mente consenziente, ma la sua carne concupiscente: concupiscendo appunto agisce la carne, anche se non trascina al consenso la mente. Per questo aggiunge: Io so che non abita in me. E spiega che cosa non abiti in lui dicendo: Cioè nella mia carne il bene. Ma siano coteste voci non dell'Apostolo, bensì, come volete voi, di un qualsiasi uomo oppresso dalla sua cattiva abitudine, che non può vincere con la sua volontà. Non è anche questa abitudine tanto robusta da spezzare e da stritolare con la sua forza le vostre argomentazioni sul possibile e sul necessario, simili alle tavolette da gioco dei ragazzi? Poiché, anche se voi non lo volete, c'è non solo il peccato volontario e possibile, dal quale è libero astenersi, ma altresì il peccato necessario, dal quale non è libero astenersi e che non è già soltanto peccato, ma pure pena del peccato. E non volete considerare che quanto si compie in ciascuno per la violenza dell'abitudine, da alcuni dotti chiamata una seconda natura, altrettanto è stato compiuto per la violenza penale di quel sommo e massimo peccato del primo uomo in tutti coloro che erano presenti nei suoi lombi ed erano destinati a nascere per mezzo della sua concupiscenza nel propagarsi del genere umano: la quale concupiscenza coprì nella regione dei lombi il pudore di coloro che peccarono. 60 - La volontà cattiva del primo uomo nacque dalla sua stessa volontà buona Giuliano. Ma perché interessarci dei bambini, quando la questione dei manichei dice che nemmeno l'uomo di età perfetta pecca per sua volontà? Infatti la ragione del sorgere del male nell'uomo è la sua creazione dal nulla e se d'altronde la sua creazione dal nulla fu per l'uomo una necessità, senza dubbio l'uomo ricevé il male non dalla parte del possibile, ma dalla parte del necessario. Il che essendo stato distrutto con una lunga discussione, discorriamo ancora solo per un poco su questo medesimo argomento allo scopo che a forza di ripeterci esso si chiarisca sempre meglio. Tu chiedi dunque donde sia emersa la stessa volontà cattiva nel primo uomo. Io rispondo: Da un movimento dell'animo senza coazione di nessuno. Tu chiedi anche donde lo stesso movimento. Io rispondo: Che domandi? Donde poté essere o donde fu costretto ad essere? Se tu dici, come lo hai anche scritto: Donde fu costretto ad essere, io replicherò che tu parli in modo infondato e contraddittorio. Tu chiedi infatti chi abbia costretto ad essere ciò che non può essere se non senza coazione di nessuno. Il che dissolvendosi per la sua stessa contraddizione, non ha nessuna forza una questione che non ha ordine logico. Quindi stoltissimamente tu interroghi donde la stessa volontà cattiva. Infatti con questo che tu dici: " Donde ", non ricerchi l'occasione della volontà cattiva, ma la sua origine, ossia la sua natura. Ma, come se n'è discusso sopra, se la volontà riceve una natura, perde la definizione di sé, per la quale è stato detto: Senza coazione di nessuno. Se invece ritiene la definizione di sé, esclude la predeterminazione della natività. Dunque non perché fu fatto dal nulla l'uomo peccò, non perché fu fatto da Dio, non perché fu fatto dalle tenebre, non perché fu fatto di libero arbitrio, ma per questo peccò perché volle, ossia per questo ebbe la volontà cattiva perché volle. Agostino. Noi diciamo, o piuttosto la verità stessa dice che tra gli uomini di età perfetta alcuni compiono il male per volontà, altri per necessità, oppure che i medesimi uomini in alcuni casi per volontà, in altri casi per necessità. Il che se lo credi falso, guarda a colui che grida: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio. Il quale bisogna ributtartelo in faccia le tante volte che tu nel dire coteste tue opinioni o fingi di non vedere costui o forse non lo vedi. Perché ti ravvolgi in tortuose ambagi? Non ti si dice: Ebbe la necessità di peccare l'uomo, perché fatto dal nulla. Ma te lo dici tu. Fu assolutamente fatto così da avere da parte del necessario la possibilità di peccare, e il peccato invece da parte del possibile. Ma tuttavia non avrebbe nemmeno la stessa possibilità di peccare, se egli fosse la natura di Dio: sarebbe infatti certamente immutabile e non potrebbe peccare. Quindi non per questo peccò, ma per questo poté peccare perché fu fatto dal nulla. Tra " peccò " e " poté peccare " ci corre moltissimo: il primo è la colpa, il secondo è la natura. Né tutto ciò che fu fatto dal nulla poté peccare: non possono infatti peccare gli alberi e le pietre; ma tuttavia la natura che poté peccare fu fatta dal nulla. Né è un grande beneficio il non poter peccare, ma è un grande beneficio il non poter peccare unito alla beatitudine. Come non è un grande beneficio il non poter essere misero, perché tutte le creature che sono incapaci della beatitudine non possono essere misere; ma è un grande beneficio essere una natura così beata da non poter essere misera. Il che sebbene sia un beneficio più grande, nemmeno è piccolo il beneficio che la natura umana sia stata creata in tale beatitudine da poter essere non misera, se lo avesse voluto. Si dice poi che tutte le creature furono fatte dal nulla, ossia da realtà che erano nulle, perché intendiamo che quanto è stato fatto da ciò che era già, si deve riportare alla prima origine. Dalla terra infatti la carne, ma dal nulla la terra. In questo senso noi diciamo anche che tutti gli uomini sono figli di Adamo, sebbene ciascuno sia figlio di suo padre. Tuttavia tutte le creature che sono state fatte sono mutevoli, perché sono state fatte dal nulla: ossia non erano, e perché Dio le ha fatte sono e sono buone: sono state create infatti dal Bene; né esisterebbero in nessun modo le creature mutevoli, buone in quanto esistono, se non esistesse il Bene immutabile che le creasse. Quindi tutti i mali, che non sono nient'altro che privazioni di beni, sono sorti da creature buone ma mutevoli; e l'angelo appunto e l'uomo, dai quali sono sorti i mali che tuttavia avrebbero potuto anche non sorgere, se quelli non avessero voluto peccare, perché avrebbero potuto anche non volere, li possiamo giustamente dire nature buone, ma non giustamente nature immutabili. Dio poi è tanto buono da fare un uso buono anche dei mali, che l'Onnipotente non lascerebbe esistere se non potesse con la sua somma bontà farne un uso buono: e da qui piuttosto, cioè dal non riuscire a fare un uso buono anche del male, Dio apparirebbe impotente e meno buono. Perciò non ti è consentito di negare che colui che dice: Io compio il male che non voglio, ( Rm 7,19 ) abbia già preso il male da parte del necessario e non da parte del possibile. Non quindi, come dici tu: Ogni cattiva azione viene non dal necessario, ma dal possibile: si trova invece anche qualche azione cattiva proveniente dal necessario. Vedi adesso come sia crollata la tua macchinazione tanto elaborata. Ma a chi cerca donde sia sorta nel primo uomo la volontà cattiva tu reputi di rispondere con più cautela dicendo: Da un movimento dell'animo senza coazione di nessuno, quasi che tu non rispondessi con più brevità e speditezza: Dall'uomo stesso. L'aggiunta appunto: Senza coazione di nessuno l'avresti potuta fare anche qui senza opposizione da parte di nessuno. Chi infatti si opporrebbe a te che diresti la verità se tu dicessi: La cattiva volontà scattò nel primo uomo dall'uomo stesso senza coazione di nessuno? Adesso invece, temendo d'incolpare la natura come se da ciò venisse qualche offesa al suo Creatore, e hai detto finalmente quello che da tanto tempo volevi, e non ti sei scostato dalla natura. L'animo infatti è natura e nella costituzione dell'uomo è una natura migliore di quella del corpo. E da un movimento dell'animo senza coazione di nessuno hai detto che scattò la volontà cattiva. Ti accorgi o no che non poté scattare se non da qualche parte ciò che non puoi negare inesistente prima che esistesse? Ma che bisogno c'è di cercare donde il movimento dell'animo, quando è ben chiaro che un movimento dell'animo non poté scattare se non dall'animo? Il che se neghi impudentissimamente e insulsissimamente, ti si chiede ancora donde sia scattata nel primo uomo la volontà cattiva, né ti si lascia più dire: Da un movimento dell'animo senza coazione di nessuno, perché lo stesso movimento dell'animo senza coazione di nessuno è la volontà. Per cui dire: " La volontà scattò da un movimento dell'animo " è lo stesso che dire: Il movimento dell'animo scattò dal movimento dell'animo, o: La volontà scattò dalla volontà. O forse tu dici che questo movimento scattò da se stesso e non dall'animo, perché da ciò non s'incolpi la natura buona, ossia l'animo stesso? Non lo si condanni dunque per questo: chi sopporterà infatti come giusta la condanna dell'animo per un fatto di cui non si può giustamente incolpare? Ma tu dici: Per questo l'uomo peccò perché volle, per questo ebbe la volontà cattiva perché volle. Lo dici con piena verità. Ma se una luce chiarissima non è tenebra, dall'uomo scattò la volontà cattiva perché egli volle. Noi infatti non diciamo, come ci calunni tu e come mentisci che sia stato da noi anche scritto: Donde questo movimento sia stato forzato ad essere, ma: Donde sia scattato senza essere stato forzato da nessuno, perché e senza che nessuno lo forzasse tuttavia scattò, e non poteva scattare se non da qualche parte ciò che prima di scattare non era. Se dunque l'uomo volle, dall'uomo scattò il volere; e cos'era l'uomo prima che da lui scattasse il volere se non una natura buona e un'opera buona di Dio? Il che è anche l'uomo cattivo, in quanto egli è uomo ed è opera di Dio. Resti dunque confuso dalla sua vanità Giuliano, poiché Ambrogio disse la verità scrivendo che " i mali sono sorti dai beni ". Ma perché senza coazione di nessuno, non è colpevole Dio. Quanto poi ad aver permesso l'esistenza dei mali, Dio riceve una lode ancora più insigne, perché fa di essi un uso giusto e buono. 61 - Invano ti sforzi di difendere la natura viziata Giuliano. La volontà dunque, la quale non è altro che un movimento dell'animo senza coazione di nessuno, deve alla natura la sua possibilità e deve a sé la effettuazione della volontà. È sorta infatti nella natura, ma da parte del possibile, non da parte del necessario. Se qualcuno qui dirà: Ma è cattiva la natura che poté avere cattiva volontà, io rispondo: Ma è buona la natura che poté avere buona volontà. Si direbbe dunque insieme ad un tempo ottima e pessima. Ma l'ordine oggettivo non consente che in un solo e medesimo tempo una sola e medesima realtà sia piena di qualità di meriti contrari. Se quindi si reputa per questo " mala " perché ha potuto compiere il male, si creda per questo buona perché ha potuto compiere il bene. Per quale ragione, chiede costui, ha potuto fare anche il male la volontà che operava il bene? Io rispondo: Perché questo bene che si dice virtù non poteva essere proprio di lei se non fosse stato volontario; ma non sarebbe stato volontario se avesse avuto la necessità del bene, e d'altra parte avrebbe sofferto la necessità del bene se non avesse avuto la possibilità del male. Perché dunque si reggesse il diritto del bene, fu ammessa la possibilità del male. Agostino. Come vedo, tu non vuoi attribuire alla natura dell'uomo la buona volontà nemmeno quando l'uomo fu creato da principio, quasi che Dio non abbia potuto fare l'uomo di buona volontà, nella quale tuttavia non lo costringesse a permanere, ma fosse nell'arbitrio dell'uomo sia il voler essere sempre nella volontà buona, sia il non esserci sempre, e dalla volontà buona mutarsi nella volontà cattiva senza coazione di nessuno, come anche avvenne. Né infatti l'uomo non ebbe antecedentemente la volontà di non peccare e dalla volontà di peccare iniziò la vita, nella quale Dio lo creò retto e certamente tale da poter già usare della ragione. Chi infatti sopporterà che si dica fatto nelle medesime condizioni in cui nascono ora gli infanti? Pertanto quella perfezione di natura che non davano gli anni ma solo la mano di Dio, non poté se non avere una qualche volontà ed una volontà non cattiva, perché altrimenti non sarebbe stato scritto: Dio ha fatto l'uomo retto. ( Qo 7,30 ) Di buona volontà quindi fu fatto l'uomo, pronto ad obbedire a Dio, obbediente nell'accogliere il precetto, che osservasse senza nessuna difficoltà finché volesse e trasgredisse senza nessuna necessità quando volesse: né certo l'osservasse infruttuosamente, né lo trasgredisse impunemente. Onde con pio e rispettoso pensiero si deduce che la prima volontà buona fu opera di Dio. In possesso di essa appunto Dio fece retto l'uomo: né infatti mai nessuno è retto se non vuole comportamenti retti. Per il che la volontà buona a chi la perde non la rende se non colui che la creò, né per altra via si deve ritenere sanabile la necessità del peccato se non per la misericordia di colui per il cui profondo e giusto giudizio tale necessità incolse i discendenti di Adamo, che peccò senza nessuna necessità. Onde l'Apostolo, dopo aver pianto la necessità e la pena del peccato che abitava nella sua carne e lo costringeva a compiere il male che non voleva, indicando subito a chi ricorrere dice: Sono uno sventurato! Chi mi libererà del corpo di questa morte? La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,24-25 ) Ti avvedi certamente come non corra in soccorso di costui quella possibilità che tu giudichi di aver scoperto come un grande beneficio: essa appunto è già stata perduta, quando si compie il male per necessità e quando l'uomo sotto il male necessario grida: Sono uno sventurato!, ma come in soccorso di costui corra decisamente Dio, con la cui grazia si superano anche quei comportamenti che tu chiami necessari, proprio perché non possono essere diversamente. Ciò che infatti è impossibile agli uomini, a Dio è facile. Per lui non fu una necessità che un cammello non potesse entrare per la cruna di un ago, ( Mt 19,24.26 ) ma piuttosto fu una possibilità che ci entrasse, come la sua carne e le sue ossa furono fatte passare attraverso porte che erano chiuse. ( Gv 20,26 ) Invano pertanto ti sforzi di difendere la natura viziata. Se cerchi di fare qualcosa di utile ad essa, adòperati perché sia sanata, non perché sia scusata. Lascia che essa stessa si sia fatto il male donde fosse condannata meritamente. Infatti qualsiasi altra cosa tu dica per spiegare donde sia scattata la volontà cattiva, negando che essa sia scattata da lei, tu affermi che è ingiusta la sua condanna. Che altro dici infatti se non questo: Non ha fatto lei stessa il male donde è condannata? Che cosa dunque di più iniquo che si condanni per un male che non ha fatto lei stessa? Se poi l'ha fatto lei stessa, perché tenti di scusarla ricorrendo al possibile, con il quale si prova che tu l'accusi ancora più inescusabilmente? Dici infatti: La volontà cattiva scattò certamente nella natura, ma dal possibile, non dal necessario. Se questa possibilità è al di fuori della natura, si condanni piuttosto la stessa possibilità, donde scattò la volontà cattiva, e non la natura. Se invece anche la possibilità appartiene alla natura, a farsi la volontà cattiva fu la natura a più forte ragione perché poté anche non farsela: questo infatti indica la definizione della possibilità sostenuta da te. Nessuno ti dice: Per questo è cattiva la natura perché poté avere la volontà cattiva. Noi, contro i quali ora parli, certamente non lo diciamo. Perché ti indugi in chiacchiere superflue? Sicuramente in quello che hai detto: Il bene che si dice virtù non sarebbe volontario, se avesse avuto la necessità del bene; ma avrebbe sofferto la necessità del bene, se non avesse avuto la possibilità del male, ti sei dimenticato assolutamente di Dio, la cui virtù è tanto più necessaria quanto più Dio la vuole così da non poterla non volere. Infatti anche tu nel primo libro di questa tua opera hai detto: Dio non può se non essere giusto. Se questa si deve dire necessità, la si dica senz'altro, purché tuttavia rimanga fermo che nulla è più felice di questa necessità, per la quale è tanto necessario che Dio non viva male quanto è necessario che viva sempre e che viva beatissimamente. Né infatti tale necessità teme le tue parole, nelle quali tu non hai voluto dire: Avrebbe avuto la necessità del bene, ma hai preferito dire: Avrebbe sofferto la necessità del bene, se non avesse avuto la possibilità del male, per far apparire che evidentemente Dio ha risparmiato all'uomo di soffrire la necessità del bene come qualcosa di dannoso senza avere la possibilità del male: necessità del bene che è un beneficio tanto grande da essere riservato in premio ai santi, che tu hai dimenticato pari pari come Dio. Né infatti vivremo allora senza la virtù, quando ci sarà concesso di non poterci più allontanare dal Signore, poiché non potremo nemmeno volerlo. Sarà infatti per noi un bene così certo quello per cui saremo sempre con il Signore, ( 1 Ts 4,16 ) come è stato promesso, da non volere recedere da Dio e da non poterlo volere. Non è dunque vero che non ci sarebbe la virtù in noi, se la volontà cattiva noi non l'avessimo in modo da poterla anche altrimenti avere, ma per il merito di questa virtù minore dovette accedere a noi in premio la virtù maggiore di non avere la volontà cattiva in tal modo da non poterla nemmeno avere. O " desideranda " necessità! La donerà la verità, perché sia certa la sicurtà, senza la quale non può esserci quella nostra ormai piena felicità, a cui non c'è più nulla da aggiungere. 62 - La volontà cattiva è imputabile a chi amministra male la propria possibilità Giuliano. Questo però si può ritorcere in senso contrario per dire: Ma la natura è stata apprestata per il male: infatti, poiché il male volontario non poteva esserci se ci fosse stata la necessità del male, per questo fu data la possibilità del bene per preparare al male la sua propria facoltà. Il che è un ragionamento senza dubbio acuto, ma insano: tutte le creature infatti si valutano dalla loro parte migliore, e a ciò si aggiunge inoltre la dignità dell'Autore, ossia di Dio, il quale non fece l'animale libero per le azioni che avrebbe punito, ma diede la possibilità dei contrari proprio perché intendeva ricompensare il bene e il male. Tuttavia però non voglio combattere su questo punto, ma permetto qualcosa alla calunnia per non " prescrivere " nulla con l'autorità dell'Artista. Questo comunque segue necessariamente: la possibilità di fare il bene e il male viene rimossa dall'effettuazione dell'una e dell'altra volontà. E con questo si prova che da parte del necessario non proviene la causa né della virtù né del vizio. Ci si lasci fare agli onesti questo torto: quando si vedono combattere contro i disonesti, non si ascriva il merito della volontà né a quella buona né a quella cattiva. La volontà ha dunque la testimonianza della sua nobiltà nella propria innocenza, perché è piena tassativamente del volontario, né buono né " malo ". La possibilità dunque di volere ascrivila alla natura, ma non ascrivere alla natura il volere, né il bene né il male. Invincibilmente quindi si è concluso che la volontà " mala " è sorta, sì, nell'opera di Dio, ma dal possibile e non dal necessario. Il male non si può addebitare al Datore della possibilità, ma al governatore della stessa possibilità. Agostino. Né la volontà buona, né la volontà cattiva tu concedi di ascrivere alla natura, ma solo la possibilità di una volontà o buona o cattiva; sebbene sia una natura e l'angelo e l'uomo. L'uno e l'altro dei quali, se non gli si deve ascrivere, come dici tu, una volontà buona o cattiva, né merita onore per la volontà buona, né merita condanna per la volontà cattiva. Che cosa infatti è più iniquo del giudicarlo degno di condanna per un male che non si deve ascrivere a lui? Oppure l'angelo e l'uomo non sono nature? Chi parla così all'infuori di chi non sa quello che dice? Alla natura quindi si ascrive ciò che si ascrive all'angelo, alla natura si ascrive ciò che si ascrive all'uomo: ma ad una natura che fu creata buona dal Dio buono e fu fatta cattiva dalla volontà propria. E per questo il male che si ascrive a queste nature, giustissimamente non si ascrive al loro Creatore, perché nella loro prima creazione egli non le creò tali che in esse ci fosse una qualche necessità di avere la volontà cattiva, ma tali che in esse ci fosse solamente la possibilità; dove la buona volontà acquistasse il merito e, se non tradita, trovasse il premio; se tradita, trovasse il castigo. Perché dunque con la malizia della volontà cerchi di scusare la natura, alla quale appartiene il volere o il non volere? Infatti la volontà cattiva non è se non di colui che vuole, o angelo o uomo, dei quali non possiamo dire in nessun modo che non siano nature. Per quale ragione, domando, ascrivi all'uomo la volontà cattiva, perché possa essere punito non ingiustamente per il merito della volontà cattiva, e ciò che ascrivi all'uomo non lo vuoi ascrivere alla natura, quasi che in qualche modo l'uomo possa non essere una natura? Quanto sarebbe meglio che tu parlassi in maniera sana e dicessi che la volontà cattiva dell'uomo non appartiene se non ad una qualche natura, perché ogni uomo è una natura; ma che questa natura, quando fece il male per la prima volta, non ebbe la volontà cattiva dalla parte del necessario, bensì dalla parte del possibile, dal momento che con questi nomi ti è piaciuto discernere questi due concetti, nel primo dei quali s'intende ciò che accade necessariamente, nel secondo invece ciò che può certamente accadere, ma non necessariamente, perché può anche non accadere! Questo si dice con tutta verità del peccato del primo uomo o dei primi uomini. Resta colui che grida: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio. ( Rm 7,19 ) Compie appunto il male per necessità chi non lo vuole e lo fa, e rompe la regola che tu hai inventato con temeraria loquacità dicendo: Si prova che da parte del necessario non proviene la causa né della virtù né del vizio, mentre invece si prova che la causa del male proviene qui dalla necessità. Né infatti o non è un vizio il fare il male, o non è una necessità il non fare il bene che uno vuole e il non volere il male e tuttavia compierlo, o al contrario noi non avremo la felice necessità anche della virtù, quando la nostra natura sarà colma di tanta grazia, e Dio sarà tutto in tutti ( 1 Cor 15,28 ) al punto che niente si possa volere malamente. Virtù è appunto la giustizia, e a noi si promette un cielo nuovo e una terra nuova nei quali avrà stabile dimora la giustizia. ( 2 Pt 3,13 ) Oppure, se tu, eventualmente turbato, dici di avere inventato cotesta regola per la vita presente e non per la futura, io non combatto con un vinto: tu non neghi certamente che riguardi la vita presente il testo dove vedi l'uomo volere il bene e non farlo, e non volere il male e compierlo, e contro la tua regola ti trovi costretto ad attribuire questo vizio alla necessità, non alla volontà. Da questa necessità però, con la quale nascono anche i bambini, ma che comincia ad apparire nel crescere dell'età, chi libera l'uomo sventurato se non la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore? ( Rm 7,25 ) Della quale grazia voi nemici, confidate nella vostra forza; e contro le testimonianze divine, che condannano quanti confidano nella propria forza, ( Ger 17,5 ) voi discutete con empia superbia. 63 - Apparisce che sei troppo cieco Giuliano. Rimanga dunque aderente all'animo del prudente lettore la grande differenza che c'è tra i comportamenti che vengono dal possibile e quelli che vengono dal necessario; e tutti gli elementi naturali li aggiudichi ai necessari, ai possibili invece i comportamenti volontari; e risolva tutte le questioni con la parte da cui hanno avuto origine. Poiché se il lettore vaga con cieco giudizio dall'una all'altra parte, precipita quasi ad ogni parola in errori innumerevoli. Il che essendosi reso ben chiaro, apparisce che tu sei stato proprio troppo cieco nel concludere: Come il male, che non esisteva da nessuna parte, poté sorgere nell'opera di Dio, così anche il male che già esisteva passò " naturaliter " nell'opera di Dio. Vedi infatti da quale errore tu sei stato travolto: il peccato concepito dalla prima volontà, il peccato che venne dal possibile, tu lo dici mutato in necessità, perché, come poté sorgere un movimento libero dell'animo, così senza un movimento libero il peccato passasse nella necessità degli elementi naturali. Ma cerca di capire che degli elementi necessari è autore Dio. Se dunque Dio fa nelle nature ciò che l'animo ha fatto nelle colpe, è necessario che Dio sia altrettanto reo quanto quello di cui condanna la volontà. Anzi di più: infatti quanto più del possibile è il necessario, tanto più scellerato è ingenerare che praticare il peccato. E sebbene la natura delle cose non accetti questo, tuttavia dimostrerò qui che la tua opinione su Dio è molto peggiore di quella di Manicheo. Il Dio di Manicheo infatti lo mutilarono certe guerre per così dire improvvise, il tuo Dio invece lo corruppero crimini antichi e moltiplicati. E con questo tu non dissenti dai cattolici solo sulla questione, ma anche addirittura su Dio: tu non onori lo stesso Dio che noi veneriamo nella Trinità, giustissimo, onnipotentissimo, inviolabile. Dunque un effetto della volontà non poté penetrare nella natura, e noi giustamente abbiamo detto che l'opera del diavolo non si lascia passare nell'opera di Dio. Opera infatti del diavolo e dell'uomo cattivo è il peccato, che non può esistere in nessuno senza un movimento della volontà libera. La quale opera del peccato e al diavolo e all'uomo venne e viene dal possibile. Opera invece di Dio è la natura, nella quale l'uomo non sussiste dal possibile, ma dal necessario, e la quale è per un lungo periodo di tempo senza la volontà, perché la forza della volontà si sente ad una certa età. Finché dunque la natura è senza la volontà, essa è solamente opera di Dio: ma questa natura non può avere il peccato che non ha fatto. È stato dunque detto inconfutabilmente: " L'opera del diavolo non si lascia passare nell'opera di Dio ". Non meno falsa che empia è poi la tua affermazione: L'opera dell'opera di Dio passa nell'opera di Dio. Questo infatti è come dire: Pecca anche Dio, perché peccò l'uomo che Dio fece. Infatti come in nessuna parte c'è il peccato all'infuori che nell'opera dell'uomo: né infatti, quando l'uomo ha peccato, si aggiunge qualcosa alla sua sostanza che vi faccia risaltare il peccato, ma semplicemente l'opera cattiva commessa con la volontà cattiva procura un merito cattivo anche a colui che ha fatto l'opera, in modo da dirsi " malo " chi fece i mali, così pure se il tuo Dio fece il male nella sua opera, non accede certamente nulla alla sostanza di Dio, come nemmeno alla sostanza dell'uomo, tuttavia si procura a Dio un merito turpissimo, in modo che Dio si dica " malo " per il male che ha fatto. Un bambino ben si prova non essere reo alla sua età, perché ha la malizia da parte del necessario: la quale malizia se il diavolo non l'avesse da parte del possibile, non potrebbe essere reo nemmeno lui. Ma Dio, che è il vero Dio dei cristiani, non fa il male, e anche il bambino prima dell'arbitrio della propria volontà non ha niente all'infuori di quanto fece in lui Dio. Nessun peccato quindi può essere naturale. Ma poiché con grande sollecitudine abbiamo sfondato gli antri dell'antico errore e non è rimasto nulla di occulto su questa questione, mantenga il lettore diligente la distinzione del necessario e del possibile, e riderà non meno delle fantasticherie dei manichei che di quelle dei traduciani. Agostino. Agli occhi di coloro che intendono le pagine che leggono, così da intendere anche i tuoi ragionamenti, nient'altro tu hai ottenuto ripetendo con tanta oscurità eadem per eadem all'infuori di questo: non valendo tu a demolire la nostra risposta contenuta in un solo mio libro, da te preso a confutare con otto dei tuoi, apparisse che l'hai voluta oscurare. Agli occhi invece di coloro che non intendono questi ragionamenti hai ottenuto almeno che proprio perché non intendono, per questo reputino che tu abbia detto qualcosa. È doveroso pertanto ricordare brevemente ad essi di che si tratti ora, perché, rimosse le nebbie della tua loquacità, guardino a quella stessa mia dottrina e vedano quanto sia invitta. Tu infatti avevi detto: Se la natura è opera di Dio, non si lascia che l'opera del diavolo passi nell'opera di Dio. A questo io: Che cos'è, scrivo, quello che dice costui: Se la natura è opera di Dio, non si lascia che l'opera del diavolo passi nell'opera di Dio? Non è forse vero che l'opera del diavolo, quando sorse la prima volta nell'angelo che diventò diavolo, sorse nell'opera di Dio? Per cui se il male, che non era assolutamente in nessuna parte, poté sorgere nell'opera di Dio, per quale ragione il male che era già in qualche parte non poté passare nell'opera di Dio, soprattutto usando l'Apostolo lo stesso verbo nel dire: " E così passò in tutti gli uomini"? ( Rm 5,12 ) Forse che gli uomini non sono opera di Dio? Passò dunque il peccato negli uomini, ossia l'opera del diavolo nell'opera di Dio e, per dire la medesima verità in un altro modo, l'opera dell'opera di Dio passò nell'opera di Dio. E perciò solo Dio è di una bontà immutabile e potentissima, il quale e prima che esistesse qualsiasi male fece buone tutte le sue opere, e dai mali che sono sorti nei beni fatti da lui, opera sempre bene. Turbato tu da questa evidenza oggettiva, hai pensato di dover ottenebrare gli occhi degli uomini con una lunga e inutile discussione sul possibile e sul necessario, perché con il lancio di cotesta caligine tu non fossi costretto a sottrarre la tua vana sentenza alla distruzione, ma la nascondessi perché non si vedesse giacere distrutta. Se appunto dal necessario o dal possibile, cosa interessa alla nostra questione? Certamente l'angelo e l'uomo peccarono: o dunque osa dire che l'angelo e l'uomo non sono nature, o, poiché non sei così insano da osarlo, sei costretto a convincerti che peccando l'angelo peccò una natura, sei costretto a convincerti che peccando l'uomo peccò una natura. Ma peccò, tu dici, da parte del possibile, non da parte del necessario. Questo è vero: tuttavia l'angelo peccò, tuttavia l'uomo peccò, tuttavia la natura peccò, e così peccò l'opera di Dio che è l'angelo, che è l'uomo, e peccò senza coazione da parte di Dio, ma per la sua volontà cattiva, che avrebbe potuto anche non avere. Ignominia dunque a quella natura che, pur essendo stata fatta buona e pur non essendo stata coatta a fare il male, tuttavia fece il male; gloria invece a Dio, il quale e fece buona la natura e dal male che egli non fece fa il bene. Quindi, poiché con tali e simili ragioni, vere e cattoliche, si può e difendere ed esaltare la natura creatrice, e si può incolpare e riprendere la natura peccatrice, poiché inoltre la stessa natura peccatrice si può lodare in quanto la fece Dio e si può incolpare in quanto defezionò da Dio, senza coazione da parte di nessuno, e nei posteri ricevé il suo merito, ( nasce appunto in ogni singolo uomo senza la volontà la medesima natura che in un solo uomo peccò per la sua volontà ); chi ti ha precipitato a dire, chi ti ha sommerso a scrivere: Se la natura è opera di Dio, non si lascia che l'opera del diavolo passi nell'opera di Dio? O sordo nelle voci sante! O cieco nelle invenzioni tue! Il peccato non è forse opera del diavolo? Non è forse passato il peccato in tutti gli uomini che sono opera di Dio? Non è forse opera del diavolo la morte che passò con il peccato, specialmente la morte che voi dite l'unica ad essere stata causata dal peccato, cioè non la morte del corpo, ma la morte dell'anima? Non passò forse in tutti gli uomini che sono opera di Dio? Ma passò per l'imitazione, come dite voi. Tuttavia passò negli uomini che sono opera di Dio. Ma passò da parte del possibile, non da parte del necessario. Di' tutto quello che ti piace: tuttavia passò negli uomini che sono opera di Dio. Tu invece senza nessuna eccezione hai detto: Non si lascia che l'opera del diavolo passi nell'opera di Dio, e questa tanto perspicua vanità della tua sentenza, per diventare ancora più vano, con tanta loquacità ti sei sforzato non di difenderla perché fosse assolta, ma di coprirla perché non fosse vista. Se non ti erano venute in mente le parole dell'Apostolo che ti avrebbero proibito di dirlo, per quale ragione, ti prego, non hai fatto attenzione che esistere nell'opera di Dio è per l'opera del diavolo più che passare nell'opera di Dio? Mentre dunque confessi il primo fatto, per quale ragione neghi il secondo? O forse è possibile quello che vuoi e non è possibile quello che non vuoi? Abbia pietà di te Dio, perché tu smetta di essere vano. Ma questa tua sentenza l'abbraccia volentieri come sua amica Manicheo e argomenta così: Se non si lascia che l'opera del diavolo passi nell'opera di Dio, molto meno si lascia all'opera del diavolo di esistere nell'opera di Dio: donde dunque il male se non donde diciamo noi? Ma noi cattolici rispondiamo ai manichei: Ditelo a Giuliano, non a noi. Il principe di questa sentenza è stato gettato fuori: non sia mai che ci pregiudichi uno che con voi deve essere vinto da noi, o piuttosto uno che con voi è già stato vinto da noi. 64 - I cattivi Dio li crea e li nutre Giuliano. Quell'altra perla pertanto hai tirato fuori dalla tua medesima ebetudine. Dici infatti: Così Dio crea i cattivi, come pasce e nutre i cattivi, perché nel Vangelo è stato scritto che Dio " fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i malvagi e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti ". ( Mt 5,45 ) Ciò che infatti tu hai reputato correlativo è contrario in lungo e in largo. Che Dio infatti pasca anche i peccatori, che Dio sia benigno verso gli ingrati e i malvagi è testimonianza di pietà, non di malvagità da parte di lui, che non vuole appunto la morte di chi muore, ma vuole che si converta e viva, ( Ez 18,32 ) né punisce subito gli erranti, né lo fa se non perché la sua bontà indulga un tempo di penitenza. A tale proposito dice infatti l'Apostolo: Ignori forse che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? Tu però con la tua durezza e con il tuo cuore impenitente accumuli collera su di te. ( Rm 2,4-5 ) Anche presso i licaoni e gli areopagiti spiega che Dio nemmeno nei tempi dell'ignoranza su cui passò sopra fece mancare le prove della sua provvidenza. Scrive: Non ha cessato di dare prova di sé, concedendo a loro dal cielo piogge e stagioni ricche di frutti, fornendoli di cibo e riempiendo di letizia i loro cuori. ( At 14,15-16 ) Che egli dunque faccia piovere sui buoni e sui malvagi è dimostrazione della sua benevolenza, che per questo conserva e attende gli erranti perché una buona volta si allontanino dal male e facciano il bene. Tanto dunque vuole che non si faccia il male da nutrire pure gli ingrati per amore della emendazione umana. Di fronte a questo indizio di pietà perfetta ciò che tu affermi: Crea i cattivi, è al contrario una testimonianza di iniquità perfetta. Accorgiti dunque quanto non sappia come parli tu che hai voluto provare la crudeltà di Dio con un esempio della sua misericordia. È un bene infatti nutrire anche i malvagi perché si correggano, se vogliono; è una scelleratezza invece fare cattivi i bambini, perché essi, che non possono volere, siano tuttavia costretti ad essere iniqui. La liberalità dunque esercitata verso i peccatori li distoglie dai mali, non li costringe ai mali. Viceversa la creazione dei cattivi non distoglie dalle pessime azioni, ma sospinge a tutte le infamie e l'opera e l'operatore. Tu farnetichi dunque quando dici: "Dio crea il male ", ma farnetichi ancora di più quando intendi dimostrarlo con una testimonianza del Vangelo, e per giunta con una testimonianza dove si ha un grande argomento della bontà divina. Sii dunque attento con quanta più forza si ritorca adesso: Dio che pasce anche i malvagi per farli essere buoni con la sua pazienza, è manifesto che non crea i cattivi. Se poi crea i cattivi, allora né ama, né compensa i buoni, né può egli stesso infine avere qualcosa di buono, perché più efficacemente e più violentemente di qualsiasi cattiva volontà nuoce la potenza creatrice non solo dei mali possibili, ma anche dei mali necessari. Il che non addicendosi al Dio dei cristiani, ossia a colui che è chiamato " Padre misericordioso e Dio di consolazione ", ( 2 Cor 1,3 ) a colui i cui giudizi sono proclamati tutti giusti, ( Sal 119,75 ) a colui del quale si dice che ha fatto con saggezza tutte le cose, ( Sal 104,24 ) voi, come i manichei, non siete in comunione con noi nella estimazione del nostro Dio. Ad onorare un tutt'altro autore, simulato tuttavia dal furore di Mani, vi hanno trascinato le stolte invenzioni e i peccati genitali. Agostino. Farò quello che non hai fatto tu, e che m'interessa dire anche per quale ragione tu non lo abbia fatto? Coloro che leggono giudichino. È stata infatti la tua affermazione: Secondo il nostro modo di sentire Dio fa gli uomini per il diavolo, a condurmi nella mia risposta a coteste parole delle quali tu hai riportato quello che hai voluto; ma io ricorderò, anche se tu non lo vuoi, quello che hai reputato di dover tralasciare. Dunque tra le mie considerazioni, che sarebbe troppo lungo dirle tutte, io scrivo: Che forse come figli della perdizione pasce per il diavolo i capri della parte sinistra, ( Mt 25,33 ) per il diavolo li nutre e li veste, per il fatto che fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i malvagi e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti? ( Mt 5,45 ) Così pertanto crea i cattivi come pasce e nutre i cattivi, perché ciò che attribuisce ad essi creandoli appartiene alla bontà della natura, e con l'incremento che dà ad essi pascendoli e nutrendoli concede un buon aiuto, non certo alla loro malizia, ma alla medesima natura che è stata creata dalla sua bontà. Infatti in quanto sono uomini c'è la bontà della natura, della quale è autore Dio; in quanto invece nascono con il peccato, perituri quelli di essi che non rinascono, ciò appartiene al seme maledetto fino dall'inizio, ( Sap 12,11 ) per il vizio di quell'antica disobbedienza. Del quale vizio fa tuttavia un buon uso il plasmatore anche dei vasi d'ira, per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso i vasi di misericordia, perché chiunque, pur appartenendo alla medesima massa, venga liberato per grazia, non lo attribuisca ai suoi meriti, ma chi si vanta si vanti nel Signore. ( 2 Cor 10,17 ) Dopo queste righe io ho soggiunto: Da questa fede apostolica e cattolica, veracissima e fondatissima, allontanandosi costui con i pelagiani, non vuole che i nascenti siano sotto il diavolo, perché i bambini non siano portati al Cristo, per essere liberati dal potere delle tenebre e trasferiti nel regno del Cristo stesso. ( Col 1,13 ) E così costui accusa la Chiesa diffusa in tutto l'orbe, nella quale dovunque tutti i bambini battezzandi non si essufflano se non perché sia buttato fuori da loro il principe del mondo, ( Gv 12,31 ) dal quale è necessario che siano posseduti i vasi d'ira quando nascono da Adamo, se non rinascono nel Cristo e se non sono trasferiti nel suo regno, fatti per grazia vasi di misericordia, e tutte le altre cose che ivi leggerà o ascolterà leggere chi vuole e può. Ora dunque, poiché, tralasciati questi testi che sorreggono e proteggono i testi che hai riportati, tu hai stimato di riportarli così come se tu li assalissi da ladrone nel deserto senza che nessuno li difendesse, leggano questi testi coloro che vogliono sapere che cosa tu abbia combinato, o piuttosto ritornino ad esaminare il medesimo libro dal quale li ho riportati io, e vedano che rimangono fermissime le verità che tu hai tentato di scrollare come malferme. Che ti giova quindi l'avermi obiettato coloro dei quali la pazienza di Dio aspetta la correzione attraverso la penitenza e sopra i quali fa sorgere per questo il suo sole e fa scendere la pioggia, quando io ti ho opposto i capri della parte sinistra, che Dio, conoscitore in anticipo di tutti gli eventi futuri, non può ignorare che sarebbero vissuti fino alla fine senza penitenza nella empietà e nelle loro scelleratezze e per questo avrebbero meritato di essere puniti con il supplizio eterno? Né Dio rifiuta il bene della sua creazione a coloro ai quali converrebbe non nascere nemmeno, né rifiuta il bene della sua nutrizione e della sua conservazione, diuturna quanto gli piaccia, a coloro ai quali converrebbe morire quanto prima. Tra i quali ci sono certamente moltissimi che, se fossero rapiti da questa vita nell'infanzia, sarebbero sottratti secondo la vostra falsa eresia assolutamente ad ogni condanna e secondo invece la fede cattolica ad una gravissima condanna. Cos'è poi il fatto che tra i capri della parte sinistra, destinati al fuoco eterno nella infallibile prescienza di Dio, ci sono molti che, lavati dal lavacro della rigenerazione, in seguito o si perdono per apostasia o vivono così scelleratamente e ignominiosamente da essere assegnati senza dubbio alla medesima parte sinistra, e non sono rapiti, come alcuni, perché la malizia non muti i loro sentimenti? ( Sap 4,11 ) Né che Dio non conferisca ad essi un così grande beneficio glielo impedisce la necessità del fato, né per conferirlo ad altri lo corrompe la preferenza delle persone. Che fanno qui quei tuoi possibili e quei tuoi necessari, che raccomandi di distinguere diligentemente, che fanno qui dove, non sapendo tu quello che dici, sa bene quello che fa colui i cui giudizi possono essere occulti, ma non possono essere ingiusti? Non è quindi ingiusto che si conferiscano beni ai cattivi, ma è ingiusto che si infliggano mali ai buoni. Di' dunque per quale giustizia i bambini soffrano tanto grandi mali, che a noi rincresce ricordare spesso, mentre voi non vi vergognate di introdurre i medesimi mali nel paradiso, anche se nessuno avesse peccato. Gli uomini non si creano cattivi, tu dici, ossia tali da contrarre il peccato originale: per quale giustizia sono oppressi sotto un pesante giogo fino dal giorno della loro nascita dal grembo materno? ( Sir 40,1 ) Nel quale giogo c'è una miseria così grande che è più facile per noi deplorarla che spiegarla. Tu dici che il peccato non può mutarsi da possibile in necessario, ossia da volontario in non volontario: il che abbiamo dimostrato che è stato possibile in colui che dice: Io compio il male che non voglio. ( Rm 7,19 ) Voi attribuite questo alla violenza dell'abitudine, non ai vincoli dell'origine viziata; tuttavia voi vedete che il peccato ha potuto convertirsi da possibile in necessario, né arrossite delle vostre regole distorte e fallaci. Che qualcosa di tal genere sia potuto accadere all'intero genere umano a causa di un solo uomo, nel quale furono presenti tutti, non lo volete ammettere; e tuttavia che sotto la cura di un Dio onnipotentissimo e giustissimo i bambini stiano pagando pene tanto numerose e tanto grandi non lo negate, perché, se lo negate, vi tappano la bocca e vi strappano gli occhi. Non vi accorgete dunque chi fate ingiusto riconoscendo le evidentissime pene e negando assolutamente nei bambini la presenza di meriti cattivi? Falsa ed empia ti è sembrata la mia affermazione: L'opera dell'opera di Dio passa nell'opera di Dio. Certamente, perché l'angelo è opera di Dio. Il peccato dunque, che è opera dell'angelo, è opera dell'opera di Dio, non di Dio stesso. E per queste mie parole mi accusi come se avessi detto: " Pecca anche Dio, perché peccò l'uomo che Dio fece ", ciò che io non ho detto. Peccò appunto l'opera di Dio, ossia l'angelo o l'uomo; ma peccarono per l'opera loro, non per l'opera di Dio. Essi sono infatti un'opera buona di Dio, mentre il loro peccato è un'opera cattiva di loro stessi, non di Dio. Ma cos'è peggio, dire: " Pecca anche Dio, perché peccò l'uomo che Dio fece ": ciò che io non ho detto; o negare così il peccato originale che la pena ingiusta del bambino nient'altro sia che un peccato di Dio? Il quale peccato se non può ricadere in Dio, è giusta dunque la pena del bambino; ma se è giusta, lo è per un peccato. Nessuno dunque in mezzo a pene tanto numerose e tanto grandi dei bambini può predicare giusto Dio e negare il peccato originale. Sarebbe pertanto una prova d'iniquità, dice Giuliano, creare i cattivi, se il male che li fa " mali " lo avesse creato Dio stesso. Ma ora poiché gli uomini sono " mali ", e Dio crea in essi l'essere uomini, segue poi in essi l'essere " mali " a causa della natura viziata dal peccato, certamente anche quando Dio crea gli uomini " mali ", è un bene ciò che Dio stesso crea, perché gli uomini sono "mali " per un vizio che non è per nulla una natura e Dio invece crea una natura che non è un vizio, per quanto sia stata viziata. Ma attribuire il bene della creazione ad una stirpe viziata e giustamente condannata è pari pari come attribuire il bene della vita e della salute anche ad un uomo " malo " per il fatto che è uomo e non per il fatto che è " malo ". Quanto poi alla tua affermazione che è una scelleratezza fare cattivi i bambini, perché essi, che non possono volere, siano comunque costretti ad essere iniqui, io replico: Coloro che non esistono, non possono essere costretti in nessun modo a qualcosa. Se invece esistono già, non certamente ancora per la proprietà della loro persona e condizione, ma per l'occultissima forza del seme, come Levi nei lombi di Abramo, ( Eb 7,9-10 ) nel seme, per il vizio che viene alla natura dal peccato del primo uomo, sono già " mali ", e non sono costretti dalla creazione di Dio ad essere " mali " i bambini che non possono nemmeno volere. Guarda bene alle meraviglie della grazia del Cristo, della quale voi siete miseri nemici. Ecco, i bambini che non possono volere o non volere il bene o il male, tuttavia, quando, riluttanti e anche reclamanti in lacrime, rinascono con il sacro battesimo, sono costretti ad essere santi e giusti. Infatti senza dubbio, se moriranno prima dell'uso di ragione, saranno santi e giusti nel regno di Dio per quella grazia alla quale non sono arrivati in forza di una loro possibilità, ma di una necessità, conducendo senza fine le loro vite sante e giuste, calpestando e rompendo le tue regole sul possibile e sul necessario. Ma senza dubbio non voler compiere il male è qualcosa di più che né non volere il male né volere il male, e tuttavia non voleva il male e lo compiva colui che diceva: Io compio il male che non voglio. Io pertanto non farnetico né dico: " Dio crea il male ". Infatti il bene lo crea Dio, che anche dalla stessa natura viziata non crea il vizio, ma la natura. Contrae però il vizio la natura, non per l'operazione di Dio, ma per una giusta punizione di Dio. Sta' attento invece se non farnetichi tu, ammesso che tu non farnetichi molto, tu che attribuisci a Dio non di fare il male penale che è giusto, ma di fare il male che si chiama iniquità. Che altro male infatti fa Dio ai bambini, non rei di nessun male, se ad essi infligge o lascia infliggere tanto grandi mali? Ma tu non devi essere apostrofato e redarguito da noi, bensì dovresti essere essufflato ed esorcizzato, se tu lo potessi, dalla Chiesa universale, dalla quale dici che sono essufflati ed esorcizzati invano i bambini.