Padri/Agostino/ContrGiulIn/Libro6.txt Opera incompiuta contro Giuliano Libro VI 1 - La vostra strada è novizia Giuliano. Non dubito che sulla nostra contesa ci sia stata finora una opinione di questo genere: si credeva appartenesse più ad una questione involuta che alla sostanza della fede. Coloro appunto che si agitano lontani dagli impegni spirituali, sono mossi soltanto dai venticelli della fama e, spauriti dalla odiosità dei tempi, né tenendo a loro presidio la verità acquisita ( quasi sempre nei momenti di trepidazione a nessuno si crede meno che a se stessi ), giudicano più sicura la strada che è più frequentata. Agostino. Tanto più frequentata è la nostra strada quanto più antica, perché è la strada cattolica; la vostra strada invece è tanto meno frequentata quanto più è novizia, perché eretica. 2 - Concili criminali Giuliano. Nel caso presente poi questo è accaduto per due ragioni: e perché la sentenza dei manichei è stata approvata dall'alto di concili criminali, e perché le tempeste delle persecuzioni che si sono sollevate distolgono gli sprovveduti di spirito dal favorire la verità. Agostino. Come può essere più frequentata la strada che segue la sentenza dei manichei, se essi sono rarissimi? O in che modo soffrite la persecuzione per la verità voi che sottraete i bambini al Salvatore? 3 - Le cause che fanno piú affollata la difesa dei vizi Giuliano. Una parte quindi di persone che hanno preoccupazioni di voluttà e di paura, la lussuria che si accompagna alle folle o dell'arena o del circo o del teatro, smaniosa di mettere avanti come pretesto in tutte le scelleratezze la necessità per togliere sempre l'odiosità del male commesso; smaniosa anche di evitare con la prevaricazione i fragori del secolo: queste dunque sono le cause che fanno più affollata la difesa dei vizi. Del quale volgo tuttavia la massima parte, come ho già detto, ha creduto che perfino su Dio concordino le ragioni dei traduciani e dei cattolici. Agostino. L'innumerevole moltitudine dei credenti che fu promessa ad Abramo, ( Gen 22,17 ) è disprezzata da voi come una turba volgare, evidentemente perché ai pochi che voi fate pelagiani, ossia insani con i veleni di una pestilenza novizia, può piacere quello che voi dite: la tanto evidente miseria del genere umano, che appare nel grave giogo dei figli di Adamo fino da quando nascono dal seno materno, ( Sir 40,1 ) non viene dal merito del peccato, dal quale nel primo uomo fu viziata la natura umana. Donde segue che voi siate costretti a dire anche che, se nessuno avesse peccato, sarebbero esistiti nel paradiso non solo i tanti e tanto grandi gravami delle molestie che vediamo sofferte dai bambini, ma pure i tanti e tanto grandi vizi degli spiriti e dei corpi con i quali nascono molti uomini. Nel quale luogo di felicità e di tranquillità voi ponete altresì la libidine, vostra cliente, che fa concupire la carne contro lo spirito, e noi che la debelliamo come il vizio avversario con lo spirito che le concupisce contro, ci accusate ad occhi chiusi come amici della voluttà e della lussuria, dove nessuno cade ignominiosamente e turpemente all'infuori di chi consente a quella vostra pupilla, sollecitante e suadente, che noi accusiamo e che voi difendete. 4 - Un presentimento Giuliano. Ma poiché e nella prima contesa e nella presente dal modo di argomentare di Agostino si è fatto chiaro che quel dio dei traduciani non è il Dio che i cristiani con armoniosa asserzione venerano come giusto e come creatore di tutte le cose, ho nel mio animo il presentimento che, riconosciuta la validità di queste mie osservazioni, si correggano moltissimi anche di coloro che sono caduti per un cieco errore. Agostino. Ma anzi, riconosciuta la validità delle risposte che noi diamo al tuo fallace vaniloquio secondo l'eloquio della verità, solo un eccesso di insensatezza o un eccesso di ostinatezza potrà trattenere qualcuno nell'errore della vostra eresia. 5 - Dottrina manichea e dottrina cattolica Giuliano. Crede appunto contro di noi Manicheo che i mortali siano spinti naturaliter alle scelleraggini e ai delitti: è dell'opinione che l'origine delle tenebre abbia prestato la materia e ai corpi e ai crimini; è dell'opinione che la voluttà dei sessi sia la tabe del genere umano, assertrice del diritto del diavolo, violentatrice degli uomini per tutte le azioni indegne. Il quale Manicheo seguendo in tutto e per tutto, il traduciano Agostino, suo erede appunto e suo figlio, attesta con molteplice eloquenza i crimini naturali, la necessità eterna del male che è venuta dal tenebroso nulla e la corruzione destinata ai sensi, contaminatrice di tutti i santi e collocatrice dell'immagine di Dio nel regno del diavolo. Agostino. Manicheo con singolare insania contro la verità cattolica favoleggia di una natura del male, sostanzialmente coeterna al Dio buono. Viceversa la verità cattolica confessa eterno senza nessun esordio unicamente Dio, non soltanto buono, come dice anche Manicheo, ma altresì immutabile, come non dice Manicheo. Questo Dio dunque, sommamente buono e per questo assolutamente immutabile, al quale non è coeterna nessuna natura che non sia ciò che è Dio stesso e che non esisterebbe se non fosse stata fatta, non fatta di lui, ma fatta tuttavia da lui, ossia non fatta con la natura di Dio, ma tuttavia con la potenza di Dio, noi predichiamo contro la demenza dei manichei. E la natura fatta, che non sarebbe potuta esistere in nessun modo se non l'avesse fatta la Natura onnipotente, benché non con se stessa, noi sappiamo e diciamo che è un bene, sì, ma non un bene uguale a colui che l'ha fatta. Dio infatti fece tutte le cose assai buone, ( Gen 1,31 ) ma non sommamente buone come è egli stesso. Le quali cose buone, di qualsiasi genere, non esisterebbero tuttavia se non le avesse fatte colui che è sommamente buono, né esisterebbero in nessun modo le cose buone mutevoli se non le avesse fatte colui che è l'immutabilmente buono. E per questo, quando i manichei ci domandano donde venga il male, volendo introdurre un male coeterno a Dio, perché ignorano che cosa sia il male e reputano che esso sia una natura e una sostanza, noi rispondiamo a loro che il male non viene da Dio, né è coeterno a Dio, ma il male è sorto dalla libera volontà della natura ragionevole, la quale fu creata bene dal Dio buono, ma la sua bontà non è uguale alla bontà del suo Creatore, perché non è la natura di lui, bensì una sua opera, e quindi essa ebbe la possibilità di peccare, non tuttavia la necessità. Né avrebbe poi la possibilità di peccare, se fosse la natura di Dio, il quale né vuole poter peccare, né può voler peccare. Ma tuttavia questa natura ragionevole, se nella sua possibilità di peccare non avesse peccato, quando avrebbe potuto peccare, si sarebbe guadagnato un grande merito. Del quale merito sarebbe stato premio anche questo: che per sua maggiore felicità essa non potesse peccare. Ma, udito tale insegnamento, Manicheo va ancora oltre e dice: se il male viene dalla libera volontà della natura ragionevole, donde vengono questi numerosi mali con i quali vediamo nascere coloro che non hanno ancora l'uso della libera volontà? Donde viene la concupiscenza per la quale la carne concupisce contro lo spirito ( Gal 5,17 ) e trae a commettere il peccato, se contro di essa non concupisce ancora più fortemente lo spirito? Donde in un solo e unico uomo tanta discordia tra le due componenti che lo costituiscono? Donde la legge che osteggia nelle membra la legge della mente e senza la quale non nasce nessuno? Donde tanti e così gravi vizi o degli ingegni o dei corpi con i quali nascono molti uomini? Donde le fatiche e le calamità dei bambini che non peccano ancora volontariamente? Donde, al momento dell'uso della ragione, nell'imparare le lettere o le arti di qualsiasi genere tanta pena per i mortali da dover aggiungere agli sforzi dolorosi anche l'afflizione delle percosse? Qui noi rispondiamo che anche questi mali traggono origine dalla volontà della natura umana: dalla quale volontà, che peccò grandemente, la natura fu viziata e condannata insieme alla sua stirpe. Perciò di questa natura i tanti beni naturali vengono dalla buona creazione di Dio, i mali vengono dalla giusta punizione di Dio. E questi mali i manichei non vedono che non sono in nessun modo nature o sostanze, ma che per questo si dicono mali naturali perché gli uomini nascono con essi come dalla radice viziata della loro origine. Ma voi, eretici nuovi, contraddite noi: rispondete voi quindi ai manichei, dite donde vengano tanti e tanto grandi mali, con i quali se negate che nascano gli uomini, dov'è la vostra faccia; se lo confessate, dov'è la vostra eresia? Ma sostenete pure che questi mali non sono mali, e il paradiso, non il vero ma il vostro, riempitelo pure di fatiche, di dolori, di errori, di gemiti, di pianti, di lutti, anche se nessuno avesse peccato. Che se non lo osate fare, per non essere derisi perfino dagli stessi bambini più piccoli e per non essere giudicati degni di sferzate correttive, conclude contro di voi Manicheo: questi mali che voi non volete far provenire da una buona natura viziata, provengono dalla mescolanza del male. E questo male Manicheo dice che è una natura coeterna a Dio e contraria a Dio. E con questo, dove tu cerchi di essere più remoto da Manicheo, ivi ti fai suo coadiutore. 6 - D'accordo su Dio Manicheo e Agostino Giuliano. Ma già contro lo stesso Dio essi, pari alla fine tra loro, impari all'esordio, lanciano gli strali delle loro accuse. Manicheo appunto dice: il Dio buono non fa il male. Ma aggiunge che per colpe naturali egli destina le anime ad un incendio eterno: il che è di una perspicua immanità, e per questo alla fine della sua opinione egli contamina con chiara iniquità il dio che aveva detto buono. Orbene, Agostino, quasi confidando nel patrono a cui scrive, con ardimento ancora più grande disprezza la trepidazione del maestro, né dubita di cominciare dal punto dove Manicheo è arrivato, e dichiara che il male, ossia il peccato, lo fa e lo crea Dio: un dio che risulta non corrispondere al Dio che adora la fede dei cattolici. Questo principalmente s'imprima nell'animo del lettore: e che a nessuno tra i fedeli toccò mai una causa maggiore di conflitto di quella toccata a noi, e che ognuno che giudica la natura stessa come una necessità del crimine non ha comunione nel culto del Dio dei cristiani. Ora, poiché tutto ciò è stato inculcato frequentemente, come lo ha esigito l'utilità di una causa di interesse capitale, veniamo subito a discutere dei primi uomini, della cui valutazione si copre come di uno scudo di " cetra " il nùmida per affrontare il nostro schieramento. Agostino. Che cosa dica Manicheo sulla mescolanza della sostanza buona e della sostanza cattiva crederei che tu lo ignori, se non sapessi che hai letto certamente i libri che abbiamo scritti contro il medesimo errore. Infatti dal libro nel quale io attaccai la loro opinione delle due anime, costituite da essi nell'uomo, delle quali una sarebbe buona e l'altra cattiva, tu hai citato alcune testimonianze stimandole contrarie a me stesso. Manicheo dunque sostiene che in ogni singolo uomo ci sono due anime o due spiriti o due menti, una propria della carne e cattiva, non per un vizio accidentale, ma per sua natura, coeterna a Dio; l'altra invece buona per sua natura come particella di Dio, ma macchiata dalla mescolanza dell'anima cattiva. E da qui Manicheo vuole spiegare che la carne concupisce contro lo spirito, buono s'intende, per mezzo della sua anima cattiva per tenere prigioniero lo spirito, e che lo spirito al contrario concupisce contro la carne per liberarsi da quella mescolanza. Che se non lo potrà nemmeno nell'ultima conflagrazione del mondo, allora lo spirito umano dice Manicheo rimarrà condannato ad esser prigioniero del globo delle tenebre e sarà costretto a tale supplizio in eterno. Non è vero pertanto quello che dici tu: il Dio di Manicheo per colpe naturali destina le anime ad un incendio eterno, ma le anime buone per natura, a causa della mescolanza con un'aliena natura cattiva, alla quale le ha mescolate Dio stesso, se non le potrà liberare da tale mescolanza, non le condannerà ad un incendio eterno, perché Manicheo non pensa a nessun incendio eterno, ma, come ho detto, le condannerà ad essere prigioniere del globo eterno delle tenebre, dove sarà rinchiuso lo spirito delle tenebre. Ma la fede cattolica, che voi avete abbandonato per fondare una setta novizia, non certo oppugnatrice dei manichei, come reputate o fingete, bensì piuttosto loro ausiliatrice, quando ascolta o legge ciò che dice l'Apostolo: La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste, ( Gal 5,17 ) non pensa come l'eretico Manicheo a due nature, del bene cioè e del male, tra loro contrarie dalla eternità e mescolate da una guerra posteriore, ma riconosce, come il dottore cattolico Ambrogio, che questa discordia tra la carne e lo spirito per la prevaricazione del primo uomo si è cambiata in natura, perché si capisca che questa non è la natura dell'uomo originariamente costituito, ma è la pena dell'uomo condannato, pena che si è cambiata nella natura dell'uomo. Questa fede non è una " cetra " numidica, con la quale tu ci canzoni quasi spiritosamente, ma è un vero scudo con il quale noi estinguiamo tutti i dardi infuocati del maligno, come ci esorta a fare l'Apostolo. ( Ef 6,16 ) Con questo scudo si proteggeva quando armato si faceva già incontro a voi futuri quel Cipriano, non proprio un numida, ma tuttavia un punico: un nome, quello di Cipriano, con il quale la tua vana loquacità ci assale ancora una volta. Armato di questo scudo, dicevo, quel famoso Punico nel suo libro De Oratione Dominica spiegava che, dicendo: Sia fatta la tua volontà come in cielo così anche in terra, ( Mt 6,10 ) noi domandiamo che con l'aiuto di Dio si stabilisca la concordia tra questi due nemici, la carne e lo spirito. Qui l'egregio soldato del Cristo estingue i dardi infuocati del maligno, scagliati e dai manichei e da voi. Per il quale maligno militano tutti gli eretici, e di questo maligno voi avete pensato di dover ingrossare gli accampamenti con i vostri coscritti. Chiedendo infatti la concordia tra lo spirito e la carne, Cipriano insegna contro i manichei che ambedue le nature da cui siamo costituiti sono buone, se il male della discordia viene risanato dalla misericordia divina; ma si oppone a voi, perché dite buona la concupiscenza della carne, per la cui aggressività esiste tale discordia, di cui chiede la sanazione; e allora esiste tale discordia quando noi agiamo bene per opporci all'aggressività della concupiscenza della carne con la controconcupiscenza dello spirito. Infatti se acconsentiamo, la concordia con la carne diventa per lo spirito una concordia non desiderabile, ma colpevole e anche condannabile. Contro di voi è Cipriano anche perché voi date al libero arbitrio l'evento di cui egli ritiene doversi chiedere a Dio il compimento. Tu poi, che senza sapere quello che dici mi rinfacci di attribuire a Dio la creazione del peccato, opponiti a Manicheo quando dice che nella discordia tra la carne e lo spirito appariscono le due nature tra loro contrarie del bene e del male. Una sola è infatti la risposta da dare per vincere cotesta peste: cioè questa discordia per la prevaricazione del primo uomo si è convertita nella nostra natura. Il che negando, tu fai vincere i manichei e ben ti manifesti un loro falso oppositore e un loro vero sostenitore. 7 - I primi uomini e tutti gli altri Giuliano. Suggerisce appunto Agostino con tutti i suoi scritti che soltanto Adamo ed Eva furono creati buoni da Dio, cioè non mancipati a nessun crimine naturale, e che essi peccarono per libera volontà, ma così grandemente da rovinare nella loro natura tutte le istituzioni di Dio. Scrive: Il diavolo infatti introdusse quel peccato, molto più grande e molto più profondo di quanto siano questi peccati noti agli uomini. Onde la nostra natura, cambiata allora in peggio da quel grande peccato del primo uomo, non solo è stata fatta peccatrice, ma anche generatrice di uomini peccatori, e tuttavia la malattia stessa per la quale si è perduta la virtù di vivere in modo buono non è una natura, ma un vizio. Quel peccato dunque che nel paradiso ha mutato l'uomo stesso in peggio, poiché è molto più grande di quanto possiamo giudicare noi, viene contratto da ogni nascente. Ecco quanto apertamente ha esposto il suo modo di sentire. Quei primi uomini, dichiara, ebbero una natura buona, ma commisero un peccato tanto immane, tanto al di sopra di ogni nostra estimazione, da distruggere la virtù di vivere in modo buono, da estinguere la luce del libero arbitrio, da causare per il futuro la necessità di peccare, in modo da non essere possibile ad alcuno che nascesse dalla loro stirpe sforzarsi di arrivare alla bellezza delle virtù ed, evitati i vizi, diventare possessore della santità. Agostino. A te o anche alla tua consorteria pelagiana sembra che tu dica qualcosa, mentre trascurando l'autorità divina ti esalti nella tua vanità umana e con le argomentazioni del tuo cuore ti opponi e strilli contro la verità delle Scritture sante. Se infatti con animo cristiano e cattolico tu fossi attento a quello che dice l'Apostolo: Il corpo è morto a causa del peccato, ( Rm 8,10 ) capiresti certamente che il primo uomo peccò in un modo tanto grande che la natura, non di un uomo solo bensì di tutto il genere umano, mutata da quel peccato, decadde dalla possibilità della immortalità e precipitò nella necessità della morte, tanto che pure coloro che sono convertiti a Dio per mezzo dell'unico mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, non ricevono immediatamente l'immortalità del corpo, ma ad essi per mezzo dello Spirito di Dio, dal quale sono ora abitati, si promette adesso da darsi dopo. Il che è spiegato dal medesimo Apostolo nel medesimo passo in questo modo: Se qualcuno non ha lo Spirito del Cristo, non gli appartiene. Se invece il Cristo è in voi, il corpo è morto, sì, a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. Se dunque lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. ( Rm 8,9-11 ) Il corpo dunque è morto a causa del peccato, poiché esso ha pure nei viventi la necessità della morte. Ma quale peccato, se non il peccato del primo uomo? Dal momento che per la giustizia del secondo uomo, cioè del Cristo, al medesimo corpo che presentemente si dice morto arriverà la beata vivificazione. Onde il Cristo è stato detto sia il secondo uomo sia il secondo Adamo, sebbene tra l'Adamo fatto uomo e il Cristo nato uomo vediamo trascorse tante generazioni di uomini, né si possa dire nell'ordine di esse uomo secondo se non Caino. Ma poiché per prima c'è la morte del corpo, che avvenne per il peccato di Adamo e nella quale decorre il secolo presente, e per seconda c'è la vita del corpo, che avverrà per la giustizia del Cristo che è già avvenuta nella carne del Cristo e nella quale permarrà il secolo futuro; per questo fu detto quello il primo Adamo o uomo, e questo invece il secondo. E non vuoi capire che tanto grande fu il peccato di Adamo da propagare il secolo dei mortali e tanto grande invece la giustizia di Gesù da propagare il secolo degli immortali? E la grandezza del peccato del primo uomo, la quale costituì la causa di tanto male per tutti gli uomini, me la obietti come se io solo o se io per primo l'abbia detto? Ascolta Giovanni di Costantinopoli, sacerdote di eccellente gloria: Peccò, dice, Adamo con quel grande peccato e tutto il genere umano condannò in blocco. Ascolta altresì che cosa egli dica nella risurrezione di Lazzaro, perché tu capisca che anche la morte del corpo venne da quel grande peccato. Dice: Piangeva il Cristo che quanti avrebbero potuto essere immortali il diavolo li abbia fatti diventare mortali. Dove, ti prego, il diavolo fece diventare mortali tutti gli uomini se non in Adamo, contro il quale scagliò un così grande peccato di prevaricazione da gettare il genere umano dalla beatitudine del paradiso nella miseria così grande che vediamo e sentiamo? Il che attesta non solo la morte del corpo, ma lo attestano altresì i molti e tanto grandi mali dell'anima stessa, appesantita da un corpo corruttibile, e lo attesta il grave giogo che opprime i figli di Adamo dal giorno della loro uscita dal grembo materno, ( Sir 40,1 ) giogo sotto il quale sta pure ciò che si legge nel Salmo: Solo un soffio è ogni uomo che vive. ( Sal 38,6 ) E non volendo attribuire questi mali a quel grande peccato del primo uomo, che cosa combini se non d'importarli tu, per conto tuo, nel paradiso di quella felicità tanto grande, come futuri anche là, se nessuno avesse peccato; e quanto ai manichei invece, che li attribuissero alla gente delle tenebre, non " confusi " di essere accusati da te, ma " confisi " di essere aiutati da te, finché finiscano " confitti " con te dalla verità cattolica come da spada invittissima? Non è vero poi che noi diciamo, come tu ci calunni: A nessuno che nasca dalla stirpe dei primi uomini è possibile sforzarsi di arrivare alla bellezza delle virtù. ( Fil 2,13 ) Si sforzano infatti molti nei quali Dio suscita anche il volere, né si sforzano con il suo aiuto senza arrivare ad un buon risultato. Però se un corpo corruttibile non appesantisse l'anima, non avrebbero certo bisogno di sforzarsi. E per questo nel paradiso se nessuno avesse peccato e se sui figli di Adamo non ci fosse un grave giogo, obbedirebbero senza sforzo al loro Dio facilmente e felicemente. 8 - L'uomo prima del peccato Giuliano. La lode dunque di quei primi uomini, cioè dei due soltanto, giudica costui che lo aiuti a mantenere la distinzione tra i manichei e i traduciani: della quale opinione non si potrebbe facilmente incontrare qualcosa di più amente o impudente. La libertà dell'arbitrio, dice, dopo che cominciò ad usare di se stessa, perse le sue forze. E perché, rivolgendoci a lui, esaminiamo tutto un poco alla volta: tu confessi appunto che il primo uomo fu dotato di libero arbitrio e fu creato buono da Dio, non macchiato all'esordio da nessuna tabe di peccato; ma avendo poi prevaricato spontaneamente dalla sua condizione innocente, mise dentro a tutti coloro che sarebbero sorti da lui una inevitabile coazione di peccare. Questo è certamente il vostro dogma, che noi attestiamo espresso dal fango di Manicheo, il quale anche la natura dello stesso Adamo, sebbene composta molto migliore delle successive con il fior fiore della prima sostanza, tuttavia la ritiene naturaliter cattiva. Agostino. Le osservazioni fatte precedentemente indicano a sufficienza e il dogma nostro cattolico e il vostro dogma eretico sui primi uomini e sui loro discendenti: gli uni creati retti da Dio; gli altri invece, benché sorti dal medesimo creatore, tuttavia sorti con il vincolo del peccato attraverso una natura viziata a causa del peccato e, dalla salute nella quale l'uomo fu fatto primieramente, gettati nel languore del contagio e nella necessità della morte per la condizione dell'origine. Per il che essi hanno bisogno dell'aiuto del Salvatore, il quale li salva prima con la remissione di tutti i peccati e poi anche con la sanazione di tutti i languori. ( Sal 103,3 ) Infatti a persone che erano state già battezzate e avevano già ricevuto lo Spirito Santo diceva l'Apostolo: La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. ( Gal 5,17 ) Dove, tu che neghi che il libero arbitrio abbia perduto le sue forze peccando, cioè usando male di sé, che cosa risponderai udendo che per la carne concupiscente contro lo spirito non fanno le azioni che vogliono nemmeno i fedeli, non fanno le azioni che vogliono nemmeno coloro ai quali nel battesimo sono stati rimessi i peccati, non fanno le azioni che vogliono coloro dei quali l'Apostolo dice che hanno ricevuto lo Spirito Santo per aver creduto alla predicazione, ( Gal 3,2 ) infine non fanno con la loro libera volontà le azioni che vogliono coloro che il medesimo Dottore delle genti dice chiamati alla libertà? ( Gal 5,13 ) Inoltre tu, difensore così eloquente della libidine, che da egregio patrono osi per la tua cliente tanto da non dubitare che anche nel paradiso prima del peccato sia esistita la concupiscenza della carne concupiscente contro lo spirito, non ti vedi costretto a dire che nemmeno allora in quei primi uomini fu efficace la libera volontà? Se infatti anche allora la carne concupiva contro lo spirito, certamente essi non facevano le azioni che volevano. Ma poiché con il libero arbitrio, che ebbe allora integerrime forze, essi facevano senza dubbio le azioni che volevano, cioè servivano alla legge divina non solo senza nessuna impossibilità, ma anche senza nessuna difficoltà, nel paradiso non ci fu la tua cliente per cui la carne concupisce contro lo spirito, per cui avviene che gli uomini, anche quelli già convertiti a Dio con la fede, già battezzati, santificati, chiamati alla libertà, non fanno le azioni che vogliono nell'estinguere la viziosa dilettazione. Ed è verissimo quello che per bocca dell'antistite Ambrogio disse la fede cattolica: questo vizio per il quale la carne concupisce contro lo spirito, a causa della prevaricazione del primo uomo si è cambiato nella nostra natura. Questo dardo inevitabile e insuperabile della verità stronca e Manicheo e te. Ambedue appunto in questa causa, vedi tu chi di voi peggio, errate tuttavia in modo assoluto: tu perché sostieni che questa pestilenza non sia un male, Manicheo invece perché ne riconosce, sì, il male, ma non sa donde venga e, rimasto privo della fede cattolica, compone una favola piena di menzogne e di turpitudini sulla mescolanza delle due nature, cioè del bene e del male. Al presente dunque la nostra giustizia consiste in questo: che, giustificati per mezzo della fede, siamo in pace con Dio; ( Rm 5,1 ) ma contro la concupiscenza della carne che ci combatte lottiamo con l'opposizione dello spirito per mezzo dell'aiuto di Dio stesso. Non è dunque la giustizia di questa vita nell'assenza del vizio, ma nell'indebolimento dei vizi a forza di non consentire ad essi, e in un modo di vivere con temperanza, con giustizia, con pietà a forza di resistere ad essi. Non avere invece nessun vizio a cui opporci è della vita posteriore, che della vita presente ben gestita è premio con la sanazione della nostra natura, non con la separazione dalla nostra natura di una natura aliena, come vaneggia Manicheo, di cui tu sei l'aiutante. Ecco, il nostro dogma non è stato espresso, come tu lo incrimini, dal fango di Manicheo e, se non hai perduto ogni sensibilità, dal nostro dogma vedi oppresso con te anche Manicheo. 9 - Siete ebeti e manichei Giuliano. A noi quindi sul momento incombe il dovere di convincere prima di ebetudine il vostro modo di sentire e poi di dimostrare, come abbiamo già fatto frequentemente, che voi non distate nemmeno di un piede dai tuguri e dai postriboli dei manichei. Prima di tutto quindi è di una estrema demenza reputare che ai semi si sia mescolata la competenza dell'arbitrio e che gli uffici delle volontà abbiano invaso le concezioni, per dire che, soppressa la più chiara e la più vasta distinzione delle nature e delle libere scelte, la volontà dei primi uomini si infuse nei posteri. Al quale errore si oppone tutto ciò che esiste in natura. Mai per la verità i figli degli oratori hanno riportato nei loro vagiti la grazia dell'arte paterna, o la prole degli attori ha teso le mani alle parole con movimenti dotti, né i figli dei guerrieri chiesero al popolo la tromba. Si potrebbe continuare in questo modo con esempi simili di ogni genere, più chiari dei tuoni. Risponderà l'universo che altri sono i limiti della natura, altri i limiti della volontà, e che le condizioni dei semi non possono essere accessibili agli appetiti delle libere scelte. Perciò è apparso stupidissimo e di una stoltezza disperata credere che si sia convertito in natura ciò che tu confessi essere stato volontario. Ma molto e molto più orribile ancora è l'altra tua affermazione che la possibilità di operare fu distrutta fino dall'inizio della operazione, ossia che il libero arbitrio ( il quale non è altro che la possibilità di peccare e di non peccare, non soggetta a nessuna violenza di una delle due parti, ma dotata della facoltà di posarsi per suo spontaneo arbitrato nel lato che vuole ), dopo che cominciò a volere l'uno, perse il potere di ambedue. Agostino. Ma proprio non ti accorgi che tu, per ignoranza certamente ma tuttavia vigorosamente, suffraghi Manicheo con l'enfasi e con lo strepito spumeggiante di cotesta tua loquacità? Se infatti alla sua domanda donde venga il male, con la quale questione i manichei sono stati soliti turbare i cuori non eruditi, noi rispondessimo che è sorto dalla libera volontà della creatura ragionevole, ed egli dicesse: Donde vengono dunque questi tanti mali, non quelli che capitano a coloro che sono già nati e che fanno già uso dell'arbitrio della volontà nel progredire degli anni, ma quelli con i quali nascono o tutti gli uomini o molti uomini? In tutti è appunto congenita la concupiscenza della carne per cui la carne concupisce contro lo spirito, anche contro lo spirito che ha ricevuto la fede retta e la dottrina della pietà. In tutti è congenita pure una certa tardità di mente, per la quale anche coloro che si chiamano ingegnosi non imparano tuttavia senza una qualche penosa fatica le arti comuni o anche le arti che appellano liberali, o conseguono una conoscenza più ricca sulla stessa religione. Alcuni nascono anche con un corpo deforme e talvolta mostruoso, molti nascono tardi e ottusi d'ingegno, molti iracondi, molti libidinosi, alcuni anche completamente stupidi e fatui. Che altro risponderebbe la fede cattolica se non che tutti cotesti mali, da quando l'uomo peccò e fu scacciato dal paradiso, cioè dal luogo della felicità, sorgono dalla natura umana che è stata viziata dal contagio del peccato? Se infatti nessuno avesse peccato, non sarebbero nati nel paradiso né cotesti vizi, né altri vizi di nessun genere. Il che udito, Manicheo reciterebbe a noi, se le avesse, le tue parole dove dici: È di una estrema demenza reputare che ai semi si sia mescolata la competenza dell'arbitrio e che gli uffici delle volontà abbiano invaso le concezioni e tutto il resto che tu hai aggiunto per esporre questa sentenza, sforzandoti di dimostrarla con il fatto che non nascono oratori i figli degli oratori, né attori i figli degli attori, né guerrieri i figli dei guerrieri. Di questo tuo aiuto Manicheo si avvale per respingere la nostra tesi con la quale diciamo che a causa del peccato del primo uomo fu viziata la natura umana anche nei suoi posteri, i quali erano in lui per ragione seminale quando egli peccò in quella grande prevaricazione, e dopo aver respinta la nostra tesi per introdurre la mescolanza delle due sue nature e asserire che dalla mescolanza di una natura mala vengono quei mali con i quali nascono gli uomini. Tu invece per opporti a me sei costretto a fare l'affermazione più assurda e più detestabile: cioè che cotesti mali dei nascenti sarebbero sorti anche nel paradiso, se nessuno avesse peccato. Qui Manicheo ti incalzerà a dire donde sarebbero sorti. Dove tu, messo così alle strette, se dirai che cotesti mali sarebbero sorti dalle stesse nature dei nascenti senza il merito di nessuna volontà, accuserai certamente il Creatore e per non farlo ti rifugerai nei meriti delle volontà cattive. Ma costui chiederà: Di quali volontà? Non c'è infatti nessuna volontà dei semi o dei bambini nascenti. Che resterà dunque, se vuoi evadere o superare Manicheo, se non intendere con noi che negli occulti semi delle origini sono segretamente implicati anche i semi dei nascenti e i meriti provenienti dalla cattiva volontà dei generanti, ma che il peccato del primo uomo fu così grande da condannare tutto il genere umano in blocco, per usare l'espressione del santo vescovo Giovanni? Dal che si deduce che cotesti mali non sarebbero sorti se nessuno avesse peccato, né sarebbero potuti esistere nel paradiso, dal quale coloro che avevano peccato uscirono prima di generare. Dal quale dogma cattolico è svuotato ciò che giudicasti di dover replicare nei riguardi delle arti, ricordandoci che nessuno nasce con l'arte di suo padre. Altro è infatti peccare nei costumi con i quali si vive rettamente, e tale peccato suole essere punito o dalle leggi o dal giudizio di Dio; altro è peccare nelle arti, siano esse oneste o siano turpi, dove si dice che qualcosa viene fatto contro l'arte: e questi peccati non vengono né ripresi dalla legge divina, né castigati dalla severità divina, bensì dagli uomini, al giudizio dei quali vanno soggette queste mancanze, e specialmente dai maestri delle arti quando insegnano ai ragazzi sotto il timore o sotto il dolore delle punizioni. A tale proposito dobbiamo tuttavia riflettere che nel paradiso, se si imparava qualcosa che a quella vita fosse utile conoscere, lo apprendeva senza nessuna fatica o sofferenza la natura beata o dall'insegnamento di Dio o da se stessa. Per cui chi non capirà che in questa vita anche i tormenti di coloro che apprendono appartengono alle miserie di questo secolo, che si è propagato da un solo uomo per la condanna? ( Rm 5,16 ) Qui in questa vita è una miseria anche questo: che le misere menti non vogliano ciò che è bene o, se la volontà è già stata preparata dal Signore, ( Pr 8 sec. LXX ) che tuttavia colui che vive in questo secolo gridi ancora: C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo. ( Rm 7,18 ) Se riterrai questo, vincerai i manichei. Ma poiché non lo ritieni, gli uni e gli altri di voi vince questa fede. 10 - Dio destinò il primo uomo alla trasmissione del peccato Giuliano. Ora quindi si dimostri ciò che abbiamo detto: che il vostro dogma non differisce in nulla dai manichei. Non c'è dubbio affatto che sia stata creata pessima la natura dello stesso Adamo, se fu formata con questa condizione di avere la necessità del male senza avere la necessità del bene; ossia che il crimine, anche se fosse stato concepito dalla volontà, diventasse tuttavia naturale in lei, senza che diventasse naturale in lei la bontà. Ed è falso dire che peccò per volontà Adamo, che soffriva il pregiudizio di una iniquissima condizione. Appare infatti quanto egli sia stato avvinto dal male, se doveva essere compenetrato da un crimine inseparabile. Che cosa infatti potrò trovare peggiore di una sostanza che sia stata creata capace di cadere nella iniquità e incapace di allontanarsi dalla iniquità? Se questa violenza l'avesse patita nella parte del bene, se avesse perduto il libero arbitrio, di nulla tuttavia avrebbe accusato il Creatore, perché nessuno muoverebbe questione a lui sulle prodigalità della sua benignità. Quando invece tale dominazione si pone nella parte del male, nessuno essa accusa più dello stesso Creatore dell'uomo, ed è blandito dalla vana adulazione dei suoi incriminatori, ossia dalla vostra adulazione, un tale dio, che con l'orridezza della sua creazione si dimostra amicissimo della malizia. Chi infatti potrebbe essere persuaso che Dio non destinò ai crimini il primo uomo, se lo privò della facoltà della emendazione, se lo dotò di un animo talmente depravato da non potergli dispiacere il proprio errore e da essergli preclusa la strada di tornare all'onestà e di diventare migliore dopo le sue esperienze; se gli strappò la stessa possibilità di correggersi perché non sentisse mai l'eventuale voglia di ricuperare la rettitudine? Assolutamente, se la sua condizione fu tale da perdere la virtù dell'emendazione per una sola caduta, finché durava in questa vita, non fu costituito per altro che per cadere; anzi con più verità di uno che non si lascia risorgere per quanto concerne la condotta morale non si dice che cadde, ma si dice che giacque per sempre. Quale fu dunque quella libertà che gli si crede conferita originariamente, se delle due qualità contrarie possedeva la peggiore da parte della necessità e possedeva la migliore da parte della mutabilità; se anzi, occupata dalla tirannia del crimine, quella libertà veniva spogliata della facoltà della resipiscenza? Tetro al massimo dunque lo stato del primo uomo fin dallo stesso esordio, se l'uomo fu istituito da Dio tanto infelice da rimanere legato ad una perpetua necessità di peccare, appena fosse caduto in un crimine. Agostino. Fai delle affermazioni da arrossire con te stesso, per quanto tu sia impudente, se non trascurerai di riconsiderarle, almeno dietro le nostre ammonizioni! Per quale ragione infatti non poni attenzione che, se pessima fu fatta la natura che incorre nel male per una volontà ingiusta, ma che per una pena ingiusta non può correre dietro al bene, non fu fatta pessima soltanto la natura umana che obietti a noi, ma anche la natura angelica? Salvo che tu non dica che pure il diavolo, caduto dal bene per sua volontà, ritornerà, se vorrà e quando vorrà, al bene da lui abbandonato, e restaurerai per noi l'errore di Origene. Se non lo fai, correggi ora, che sei stato avvertito, quanto hai detto inavvertitamente, e confessa che fu creata buona la natura che al male fatto da lei non fu sospinta da nessuna necessità, bensì vi cadde da sé per propria volontà. Viceversa al bene che abbandonò può essere richiamata solo dalla grazia di Dio, non dalla volontà della libertà che perse per il merito della iniquità. Può appunto anche un altro, errante alla tua maniera, dire: Che cosa potrò trovare peggiore di una sostanza che è stata creata capace di andare nel supplizio eterno e incapace di ritornare di là? E certamente Dio onnipotente può tirare fuori dal supplizio che vuole, ma non può mentire Dio che ha minacciato di non farlo quando ha detto eterno quel supplizio. Ma ad avere idee sbagliate su questo argomento ti porta l'inganno della tua definizione con la quale hai definito il libero arbitrio in un precedente passo al quale abbiamo già risposto, e altrove molte volte. Hai detto infatti: Il libero arbitrio non è altro che la possibilità di peccare e di non peccare. Con la quale definizione hai tolto il libero arbitrio prima di tutto a Dio stesso, al quale non neghi l'impossibilità di peccare, perché e lo dici spesso ed è vero. Poi gli stessi santi sarebbero destinati a perdere il libero arbitrio nel regno di Dio, dove non potranno peccare. Ma qui devi essere avvertito che cosa tu debba sapere sull'argomento di cui stiamo trattando: cioè che la pena e il premio sono da vedersi come due situazioni contrarie tra loro, e che a questi contrari sono legati altri due contrari. Così dunque nella pena eterna c'è il non poter agire rettamente, come nel premio eterno ci sarà il non poter peccare. Sii attento alle Scritture, delle quali abbandoni miserando l'orbita e sei sbattuto vagabondo da una ventosa loquacità come da una tempesta, e vedi in che senso sia stato detto: Israele non ha ottenuto quello che cercava; lo hanno ottenuto invece gli eletti; gli altri sono stati induriti, come sta scritto: " Dio ha dato loro uno spirito di torpore, occhi per non vedere e orecchi per non sentire, fino al giorno d'oggi ". E Davide dice: " Diventi la loro mensa un laccio, un tranello e un inciampo e serva loro di giusto castigo! Siano oscurati i loro occhi sì da non vedere, e fa' loro curvare la schiena per sempre! ". ( Rm 11,7-10 ) Guarda anche a quel passo che si trova nel Vangelo: E non potevano credere, per il fatto che Isaia aveva detto ancora: Ho reso ciechi i loro occhi e ho indurito i loro cuori, perché non vedano con gli occhi e non comprendano con il cuore, e si convertano e io li guarisca. ( Gv 12,39-40 ) Ho commemorato questi testi perché tu capisca, se puoi, che avviene per una pena senza dubbio giusta che gli uomini con il cuore accecato non credano, e viceversa avviene per un atto di misericordia che essi credano con la loro libera volontà. Chi infatti ignora che nessuno crede se non con il libero arbitrio della volontà? Ma la volontà viene preparata dal Signore, né viene sottratta assolutamente alla schiavitù cattiva dovuta ai suoi meriti se non quando è preparata dal Signore con una grazia gratuita. Se infatti Dio non ci facesse volenti da nolenti, certamente non pregheremmo che vogliano credere coloro che non lo vogliono. Il che anche l'Apostolo indicò di averlo fatto per i Giudei dove afferma: Fratelli, il desiderio del mio cuore e la mia preghiera sale a Dio per la loro salvezza. ( Rm 10,1 ) Questa salvezza appunto non la potrebbero conseguire se non con una volontà credente: che questo dunque volessero pregava il beato Paolo. E la petizione dell'Orazione Dominicale: Sia fatta la tua volontà come in cielo così anche in terra, ( Mt 6,10 ) il vescovo Cipriano la intende pure come se fossimo stati ammoniti a pregare per gli infedeli nostri nemici, perché, come crediamo noi che già siamo il cielo in quanto portiamo l'immagine dell'uomo celeste, così credano anch'essi che sono terra per questo che portano l'immagine dell'uomo soltanto terreno. 11 - È pena del peccato il non ricupero della libertà Giuliano. Perdura appunto tra voi e i manichei il patto di asserire, essi con la professione e voi con l'argomentazione, che la natura anche del primo uomo fu cattiva. Il che sebbene sia dimostrato tutto pieno di sciocchezze e di falsità per tralasciare le legioni dei santi e prendere il primo esempio di giustizia dopo il peccato di Adamo dalla mirabile santità di Abele, il quale, nato da peccatori, indicò di non aver mancato della virtù di vivere bene anche con l'effetto della sua stessa virtù; tuttavia, omesse queste considerazioni, giova incalzare le sentenze della nazione traduciana. Quale giudichi dunque sia stato il libero arbitrio di cui confessi il conferimento ai primi uomini? Certamente che potessero alternare i movimenti dell'animo: fare il male o allontanarsi dal male, abbandonare la giustizia o conservare la giustizia. La volontà dunque di peccare non ci sarebbe stata, se non l'avesse preceduta la possibilità di volere. Questo libero arbitrio tu dici che lo persero dopo che cominciarono ad usare della propria volontà, ossia del movimento dell'animo senza coazione di nessuno: e di questo che cosa si può pensare di più pazzesco? Per tenere infatti l'esplicita forza del tuo ragionamento, tu dici che a causa della volontà andò perduta quella dote che non fu data se non a favore della volontà: il peccato appunto non è altro che la mala volontà, ma la libertà fu data unicamente perché non forzasse la volontà, bensì le permettesse di sorgere. Ora, tu dici che questa libertà perse la sua condizione per opera della volontà, così da credere che l'abbia fatta sparire la causa stessa che è la sola ragione del suo vigore. Dunque la volontà mala non è certamente un frutto della libertà, ma una sua testimonianza. La libertà poi non è nient'altro che la possibilità del bene e del male, ma volontario. Come fu dunque possibile che la libertà morisse per la medesima causa che è la ragione della sua istituzione, essendo la volontà mala e la volontà buona non le tombe della libertà, ma le trombe che l'annunziano? E per questo, quanto ci corre tra i compiti della libertà e i suoi rischi mortali, altrettanto ci corre tra la tua opinione e la ragione del libero arbitrio, di cui reputi procurata l'uccisione dalle sue lodi. Dunque che accadde di nuovo, che accadde d'inatteso, quando l'uomo mancò, da far franare le istituzioni di Dio? L'uomo fu fatto capace di peccare e capace di non peccare: quando peccò, fece ciò che certamente non avrebbe dovuto fare, ma ciò che tuttavia poté fare. Per quale ragione quindi avrebbe dovuto perdere quella facoltà che per questo scopo era stata istituita: l'uomo potesse volere e potesse non volere ciò che volle? Agostino. Ripeti continuamente i medesimi ragionamenti, ai quali chi legge vedrà bene che io ho già risposto precedentemente. Ma anche ora a te che persisti nell'asseverare che la libertà di agire bene o di agire male non si può perdere con il suo cattivo uso, risponda anche il beato papa Innocenzo, antistite della Chiesa Romana, il quale rispondendo nella vostra causa ai concili episcopali africani dice: Fece Adamo una volta l'esperienza dolorosa del libero arbitrio, quando usando troppo sconsigliatamente dei suoi beni e cadendo sommerso nel profondo della prevaricazione, non trovò nulla per poter risorgere dalla sua caduta e, ingannato per sempre dalla sua libertà, sarebbe rimasto schiacciato dalla propria rovina, se dopo non lo avesse risollevato per sua grazia l'avvento del Cristo. Vedi o no che cosa pensi per mezzo di un suo ministro la fede cattolica? Tu vedi che la possibilità di stare e di cadere l'ebbe l'uomo così che, se fosse caduto, non risorgesse con la medesima possibilità con la quale era caduto, a causa cioè del castigo conseguente alla colpa. Per questa ragione la grazia del Cristo, alla quale siete miserevolmente ingrati, venne a risollevare il giacente. Anche in un'altra lettera, con la quale rispose su voi stessi ai Numidi, dice: Tentano dunque di togliere la grazia di Dio, che è necessario cercare anche dopo che a noi sia stata restituita la libertà dello stato originario. Lo senti dire che la libertà viene restituita e sostieni che non era stata perduta. Contento della volontà umana, non chiedi la grazia divina, che la nostra libertà, anche dopo che è stata restituita al suo stato originario, capisce che le è necessaria. Ma ti domando se fosse già stata restituita così al suo stato originario la libertà di colui che dice: Non quello che voglio io compio, ma faccio quello che detesto, e che dice: C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; ( Rm 7,15.18 ) e la libertà di coloro ai quali l'Apostolo scrive: La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. ( Gal 5,17 ) Reputo che tu non sia stolto a tal punto da dire che in costoro c'era la libertà dello stato originario. E tuttavia, se non avessero avuto per nulla la libertà, non avrebbero nemmeno potuto volere ciò che è santo e giusto e buono. Ci sono infatti taluni che si dilettano tanto di peccare da non volere la giustizia e da odiare la giustizia, la quale nessuno può nemmeno volere, se la volontà non è preparata dal Signore, perché alla effettuazione della giustizia preceda il desiderio della volontà e un poco alla volta sopravvenga l'efficienza del potere, per alcuni più presto, per altri più tardi, per ciascuno come glielo concede il Signore, il quale solo è capace di riparare la salute dell'uomo e di accrescerla dopo la sua perdita e di donare anche che la salute non si possa perdere mai più. Nel quale numero di liberati c'è pure quel santo giovane Abele, al quale tu dici che non mancò la virtù di vivere bene. Non gli mancò davvero, ma dal momento che cominciò ad averla. Prima invece, chi è mondo da macchia? Nemmeno un bambino la cui vita sulla terra sia di un giorno appena. ( Gb 14,4 sec. LXX ) Sono dunque redenti tutti coloro che sono redenti da colui che venne a salvare ciò che era perduto, e che prima di venire nella carne redense mediante la fede stessa che lo credeva venturo. Ma sono redenti per la libertà eterna della beatitudine, dove non possano più servire al peccato. Infatti se, come dici tu, " la libertà è soltanto la possibilità del bene e del male volontario ", non ha la libertà Dio nel quale non c'è la possibilità di peccare. Se poi cerchiamo nell'uomo il libero arbitrio congenito e assolutamente inammissibile, esso è il libero arbitrio per cui tutti vogliono essere beati, anche coloro che non vogliono usare i mezzi che conducono alla beatitudine. 12 - Il primo peccato non ebbe piú efficacia della prima giustizia Giuliano. Dopo, per seguire i precipizi della tua opinione, tu argomenti che il libero arbitrio fu programmato con tale condizione: perdesse la sua forza per il merito della volontà che fosse seguita e rimanesse successivamente sottomesso alla necessità della qualità che avesse scelta. A questo dunque poni attenzione: a che cosa si replichi da noi. Reputi tu forse che l'uomo sia stato creato tale da patire in ambedue le parti la necessità della qualità che avesse scelto, cioè se avesse voluto il bene non potesse ulteriormente peccare e se avesse scelto il male non si potesse poi emendare? O soltanto alla parte mala seguisse la necessità del male, mentre nella parte buona non accadesse nulla di simile, ma fosse l'uomo sempre esposto ai rischi delle variazioni? Di queste due ipotesi scegli quella che vuoi. Se dirai che la natura umana fu fatta tale da patire soltanto la necessità del male, a nessuno rimarrà il dubbio di definirla tristissima, dovendole attribuire la violenza della parte peggiore, e si prova che anche Adamo fu di natura cattiva, e non rimarrà l'ombra del compimento di nessun atto volontario sotto la quale nasconderti. Se invece confessi che anche dalla parte del bene ci sarebbe stata la medesima conseguenza, cioè se avesse voluto il bene non avrebbe poi potuto peccare ulteriormente, io replico: Per quale ragione dunque peccò? Per quale ragione non patì nessuna necessità del bene così da apparire impenetrabile alle insidie del diavolo Adamo, che prima di peccare si trova per qualche tempo obbediente a Dio? Non è infatti che il limo, appena sentì il tepore dell'ingresso dell'anima, divampò nell'appetito della volontà cattiva. Anzi si legge che, trasferito alla coltivazione e alla custodia del paradiso, ricevé da Dio il precetto di cibarsi pure di tutti i frutti, ma di astenersi per obbedienza dall'albero della scienza del bene e del male. Prima dunque che dal suo fianco fosse formato il corpo della moglie, rimase obbediente al comando, coltivatore innocente di una campagna amena, e dopo di ciò egli meritò l'aiuto di una consorte simile a lui. Ha inculcato queste distinzioni di tempi l'autorità della Scrittura. Ma dopo che ebbe veduto pronta già per lui la donna, serviva al precetto di Dio con tanto diligente impegno da intimare anche alla donna la legge che aveva ricevuto. Non soltanto quindi custode del comando divino, ma anche suo proclamatore, istruì Eva e sulla deferenza dovuta al legislatore e sul genere della loro servitù e sulla causa del timore. Così si spiega appunto che anche la donna, alla quale Dio non aveva comandato nulla, lottando sollecitamente contro l'assalto del diavolo, respinge coraggiosamente le menzogne del serpente e dice che non era stata imposta a loro l'astinenza da tutti gli alberi, come aveva inventato il serpente, ma solamente di guardarsi da un solo piccolo albero con il permesso di tutto il resto della vegetazione, e dice che era stato messo davanti a loro il timore della morte, dal quale i trasgressori sarebbero stati perseguitati giustamente. Non dunque per breve tempo appare che Adamo custodì il comando, ma appare che ebbe cura della devozione anche Eva, la quale cadde per l'amore di conseguire la scienza e la divinità. Per quale ragione dunque quella giustizia, quella devozione che in Adamo ebbe vigoria a lungo e in Eva per un qualche tempo, non tolse la possibilità di delinquere, cosicché la necessità del bene li mostrasse impenetrabili alle criminali suggestioni? Furono dunque obbedienti finché vollero, né tuttavia per il merito della devozione persero la facoltà di prevaricare, e poi caddero. ( Gen 2-3 ) Quindi anche dopo che peccarono è manifesto che non poterono in nessun modo perdere la forza della correzione. E perciò, come in tutti gli altri luoghi, anche qui hai perduto tutto quello che avevi inventato, perché quel peccato dei primi uomini né fece nessuna necessità di crimini, né passò nella natura, come non passò nella natura la giustizia che lo precedé, né introdusse la necessità delle virtù, né rivendicò a sé le vie dei semi. Agostino. Tutto quello che hai detto con tanta abbondanza e con tanta oscurità di parole si potrebbe dire brevemente così: Per quale ragione Adamo, tu dici, agendo male perse la possibilità di agire bene e precedentemente agendo bene non perse la possibilità di peccare? E vuoi far intendere che, se così è, non fu creato di buona natura, ma di mala natura, l'uomo nel quale valse più la mala azione perché non potesse agire bene che la buona azione perché non potesse agire male. Tu potresti in questo modo dire che fu creato male l'uomo con gli occhi, perché se li estingue viene in lui l'impossibilità di vedere, mentre il dono di vedere non ha messo in lui l'impossibilità di estinguerli; o che fu creato male tutto il corpo dell'uomo, perché egli ha in suo potere di uccidersi, né ha in suo potere di risuscitarsi da sé, e la morte mette nell'uomo l'impossibilità di vivificarsi, né la vita gli dà l'impossibilità di uccidersi. Se non lo dici, perché ti accorgi quanto sia insulso, per quale ragione dici che Dio ha creato cattiva la natura dell'uomo, se la volontà cattiva causò in lui l'impossibilità di tornare al bene, benché la volontà buona non abbia causato nell'uomo l'impossibilità di andare al male? Infatti fu creato con il libero arbitrio così da poter non peccare se non voleva peccare, non così da peccare impunemente se voleva peccare. Che c'è dunque da meravigliarsi, se mancando egli, ossia se mutando per depravazione la sua rettitudine nella quale era stato fatto, seguì insieme al castigo l'impossibilità di agire rettamente? Finché però stette nella medesima rettitudine nella quale aveva la possibilità di non peccare, per questo non ricevé qualcosa di più grande, ossia il dono di non poter peccare, perché nel dono che ebbe non volle permanere fino al momento del premio. Ciò che infatti riceveranno i santi, che nel secolo futuro avranno da vivere in un corpo spirituale, lo avrebbe ricevuto Adamo senza l'intervento della morte, perché, ascendendo dal dono di poter non morire giungesse al dono di non poter morire, e ascendendo dal dono di poter non peccare giungesse dove non potesse peccare. Non era stato fatto appunto in un corpo spirituale, ma in un corpo animale, benché assolutamente non morituro se non avesse peccato. Perché, come dice l'Apostolo, non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale e poi lo spirituale. ( 1 Cor 15,46 ) Per cui il beato Ambrogio dice che Adamo fu creato nell'ombra della vita, dalla quale poteva cadere non per necessità ma per volontà. Nella quale "ombra " se fosse rimasto, avrebbe certamente ricevuto quella vita di cui la prima era l'ombra, avrebbe ricevuto la vita che riceveranno i santi e dalla quale non potranno mai cadere. Anche questa mortalità nella quale decorre il secolo presente, la intende Ambrogio all'opposto come ombra della morte, mentre ricorda quella morte della quale questa è l'ombra, la morte che si dice seconda, ( Ap 20,6 ) dalla quale non ritornerà indietro nessuno che vi sia caduto. Tutti coloro poi che sono liberati da questa ombra di morte, non ritornano all'ombra della vita, ma vengono destinati ad andare a quella vita dalla quale nessuno potrà mai uscire. Ivi sarà anche lo stesso Adamo, perché è giusto crederlo già sciolto dai vincoli dell'inferno per la venuta del Signore e per la sua discesa agli inferi, così che il primo " plasma " di Dio, che non ebbe genitore, ma soltanto Dio come creatore, il primo padre del Cristo secondo la carne, non rimanesse oltre in quei vincoli e non perisse nell'eterno supplizio. Là poi dove la misericordia sorpassa la giustizia ( Gc 2,13 ) non dobbiamo pensare ai meriti, bensì alla grazia. Della quale è tanto grande, tanto inscrutabile e ininvestigabile la profondità che dopo la sentenza: Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio, ( Gv 3,5 ) vediamo talvolta che a fedeli ben meritevoli non è concesso che i loro figli siano insieme ai loro genitori nel regno di Dio, ma da piccoli escano da questa vita non rigenerati, mentre talvolta, e pur desiderandolo ardentemente i loro stessi genitori e pur affrettandolo con alacrità i ministri dei sacramenti, non viene differita di qualche istante dall'onnipotentissimo e misericordiosissimo Dio la loro morte, perché, i nati dai cristiani, da qui escano rinati, né periscano per il regno del Cristo e per i loro genitori. Invece spirano prima che si battezzino, mentre a volte a figli infanti di infedeli e di bestemmiatori della stessa grazia del Cristo, condotti dalla mirabile provvidenza di Dio nelle mani dei cristiani, si presta questa grazia di arrivare al regno di Dio, separati dai loro empi genitori. Dove, se ti si domanda che giustizia sia questa, certamente non la trovi in quel tuo sermone dialettico e filosofico con il quale ti sembra di avere disquisito diligentissimamente sulla giustizia di Dio. Il Signore conosce infatti che le escogitazioni dei sapienti sono vane ( Sal 93,11 ) e, tenendo nascoste questa realtà ai sapienti e agli intelligenti, le ha rivelate ai piccoli, ( Mt 11,25 ) ossia a coloro che sono umili e non confidano nella loro forza ma nel Signore: ciò che tu o mai o non ancora ti degni di essere. Se dunque cerchi dove e quando si dia all'uomo di non poter peccare, cerca i premi dei santi, che essi hanno da ricevere dopo questa vita. Se poi non credi che il libero arbitrio dell'uomo, con il quale egli poté e dové agire rettamente, venne a mancare per la malizia del peccato, sta' attento almeno a colui che dice: Non quello che voglio io compio, ma faccio quello che detesto, e che voi non volete malato per un vizio di origine, ma per il prevalere su di lui di una cattiva abitudine; e così anche voi confessate che il libero arbitrio può venire meno usando male di se stesso, e non volete che da quel peccato, tanto grande da essere stato maggiore e peggiore di ogni mala abitudine, abbia potuto essere viziato il libero arbitrio della natura umana, nel depravare la quale dite che tanto può un'abitudine cattiva da far gridare ad un uomo di volere compiere il bene e di non poterlo compiere. Ma immutabile è quella libertà della volontà, con la quale l'uomo fu creato ed è creato, e per la quale noi tutti vogliamo essere beati e non possiamo non volerlo. Ma ad essere beato e a vivere rettamente per essere beato non basta a nessuno questa libertà, perché la libertà di una volontà immutabile con la quale voglia e possa agire bene non è così congenita nell'uomo come è congenita in lui la libertà con la quale vuol essere beato: il che vogliamo tutti, anche coloro che non vogliono agire rettamente. 13 - La nostra libertà è stata viziata dal primo peccato Giuliano. Quale risultato si è dunque ottenuto? Che si impone una sola delle due alternative: o confessi che Adamo fu fatto di una buona sostanza e che la sua natura non fu distrutta da una qualità volontaria, e abbandoni il peccato naturale; o, se, come hai creduto finora, insisti nel dire che Adamo è causa di mali naturali, dichiarerai che egli stesso è di una pessima sostanza, appartenente al dio vostro, ossia al dio tuo e al dio di Manicheo. Agostino. Che non sia stato ottenuto il risultato che tu reputi ottenuto lo mette in chiaro la nostra risposta precedente. Infatti, poiché si discute tra noi se per il cattivo uso del libero arbitrio, con il quale l'uomo fu creato, abbia potuto questa libertà umana essere così viziata da non essere idoneo a vivere rettamente chi visse malamente, se non nel caso che sia stato sanato dalla forza della grazia, per omettere tutte le altre numerosissime osservazioni che sono state fatte nella medesima risposta, troviamo un uomo che nell'autorità somma delle divine Scritture dice: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio. Nelle quali parole appare evidente che il libero arbitrio fu viziato dal suo cattivo uso. Non avrebbe infatti potuto dire questo l'uomo prima del peccato con il quale usò male del libero arbitrio, collocato in quella felicità del paradiso e in una grande facilità di agire bene. Ma questo voi non lo attribuite alla natura umana viziata nel primo uomo, bensì alla cattiva abitudine di un qualsiasi uomo, che volendo vincerne la prevalenza, né valendo a vincerla e non trovando la sua libertà integra a portare il bene a compimento, è forzato a dire quelle parole, quasi però che a patire l'insuperabile violenza della cattiva abitudine, così da chiedere di essere liberata da essa mediante la grazia di Dio, non sia se non una natura infirmata. Chi esprimeva infatti cotesti sentimenti, dopo essere giunto alle parole: Nelle mie membra vedo un'altra legge che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra, esclama: Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,15.23-25 ) Il corpo della morte interpretatelo come volete. Tuttavia, infirmato il libero arbitrio, faceva queste affermazioni la natura infirmata e desiderava di essere liberata mediante la grazia di Dio dal corpo di morte, dove non compiva il bene che voleva, ma faceva il male che odiava. Ma da una documentazione più evidente voi siete vinti a pensare che quel peccato del primo uomo fu tanto grande da esser maggiore e peggiore di ogni violenza dell'abitudine, quando vi si mettono dinanzi i mali dei bambini, mali che non sarebbero esistiti sicuramente nel paradiso, se l'uomo per non essere cacciato fosse rimasto nella felicità di quella rettitudine nella quale fu fatta la natura umana. Infatti, per tacere di altre simili considerazioni che abbiamo già fatto in più luoghi e per tralasciare l'infanzia, non solo indòtta ma anche indocile, non è forse vero che un qualche ragazzo nel ricevere dal suo maestro qualcosa da ritenere a memoria, volendo tenerlo e non valendo a tenerlo, se potesse dirlo, direbbe con tutta verità: " Vedo nella mia anima un'altra legge che muove guerra alla legge della mia volontà e mi rende schiavo della legge delle ferule che incombe sulle mie membra? Sono uno sventurato! Chi mi libererà dal corpo di questa morte? Un corpo corruttibile appesantisce infatti l'anima, così da non poter tenere a mente ciò che vuole ". E da questo corpo corruttibile chi libera se non la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore? Libera, sia quando, spogliata di questo corpo, l'anima redenta dal sangue del Cristo, riposa; sia quando questo corpo corruttibile si rivestirà della incorruttibilità ( 1 Cor 15,53 ) e dopo le tribolazioni del corpo morto a causa del peccato anche i nostri corpi mortali riceveranno la vita per mezzo dello Spirito del Cristo che abita in noi. Contro la grazia del quale Cristo voi difendete l'arbitrio della libera volontà, della volontà ancella del peccato. Noi poi siamo ben lontani da Manicheo, perché della natura buona tanto nei grandi quanto nei bambini noi confessiamo e il vizio e il Medico. 14 - I primi uomini avevano i medesimi nostri malanni Giuliano. Ho disputato finora come richiedeva l'uso della nostra fede; ma, non contento di questa parte soltanto, agirò con te benignamente e farò intenzionalmente la parte di uno che sembri simpatizzare con la sentenza del tuo precettore. Ma questo sarà fatto allo scopo che tu sia costretto ad opporti a Manicheo, se discordi da lui. Che la serie delle nostre asserzioni non abbia nulla di astuto sarà dimostrato da questo stesso fatto che il traduciano non trovi dove potersi opporre a Manicheo. Apparirà pertanto quanta congiura ci sia tra voi, e come voi procuriate tutto con mutui profitti, quando non si sarà potuto suscitare nessun litigio tra voi. Stia quindi fitto nell'animo del lettore quale sia stato il proposito da me dichiarato nell'affrontare questa prova. Adesso facciamo ormai parlare la " persona " che assumiamo. Sbagliano assolutamente coloro che reputano che questa concrezione del corpo sia abile alla giustizia: a tutte le buone intenzioni ripugna la vile natura della carne e del sangue. Tutto ciò che c'è di eccitamenti per la seduzione dei sensi sdrucciola fino al perturbamento, anzi fino al sovvertimento della mente, che, gettata non so da quale infelicità in questa lordura, perde nella mescolanza del fango i suoi nobili sprazzi. Essa, per quanto è da lei, tende al suo luogo, ossia ai valori superiori, ma è afflitta dall'ergastolo terreno. Quando poi vorrà volare alla pudicizia, sperimenta il glutine e il vischio della voluttà oscena che sale dalle viscere riarse. Appena concupisce la liberalità della munificenza, viene legata dalle strettissime catene dell'avarizia che si copre con il velo della frugalità. Se poi vuole accomodarsi in qualche serenità di un fermo equilibrio, è sommersa subito dalla grandine del timore, dalle tempeste del dolore e, sfinita da dubbi di ogni genere, non riesce più a mantenere il controllo di sé. Aggiungi a questo la notte delle realtà ignorate che la circonda come una piena. Che cosa supporre di lodevole in un animale che non ha nemmeno occhi capaci di utili scelte e non basta a contare i suoi naufragi tra le tempeste delle passioni e delle difficoltà? Né tuttavia qualcuno mentisca che questi mali sono accaduti alla sostanza umana, perché si è spontaneamente depravata: la stessa istituzione dei primi uomini si trova soggetta a questi malanni. Infatti, per provarlo anche con la testimonianza di Mosè, venerato dai cattolici, sperimentavano i primi uomini la carneficina del timore, atterriti dalla minaccia del pericolo, se non avessero obbedito, e, per quanto dobbiamo misurare dal confronto con gli avvenimenti, riteniamo che i primi uomini furono più paurosi dei posteri, perché afflitti da una pena che non era ancora nota a nessuno. Perché infatti sarebbero stati scossi dalla minaccia della morte, se non sapevano quali danni comportasse il morire? Li sconvolgevano appunto soltanto le supposizioni dei mali. In quale tranquillità poteva dunque adagiarsi quell'animo che sommoveva tanto aspro inverno di paura? Poi, quanto profonda ignoranza e quanto dura la condizione di patirla, così da non poter esserne liberato se non con la prevaricazione: la scienza appunto del bene e del male non l'avrebbe conquistata in nessun modo senza un'audacia condannabile! Questo animale lo rendeva così cieco e tribolato anche un'ingiusta innata cupidità, che era fatta irritante dalla venustà e dalla soavità del frutto proibito. E come se tutto questo fosse poco per esprimere la sua infelicità, l'uomo viene esposto all'assalto di una natura superiore. Chi dunque sarà così stolto da giudicare che qualcosa di buono ci sia stato là dove riconosce istituiti gli strumenti di tante miserie? Cotesta carne quindi in cotesti primi uomini espresse ciò che teneva di suo fino dall'esordio nella sua pessima condizione e nella sua pessima natura. Ma questa sostanza tanto cattiva non la poté fabbricare il Dio buono! Che resta dunque a noi se non confessare che altri è il datore dell'anima e altri è il creatore dei fanghi? Sta certamente ben schierato in campo l'esercito di Manicheo, di cui avevo indossato la " persona ". Tu capisci che cosa noi ci attendiamo: cioè che chi è contro Manicheo lo dimostri con una logica confutazione. Il vostro dogma quindi si batta con lui: apparirà se possa muoversi anche solo di un poco senza la propria rovina. Manicheo ha certamente dichiarato che non solo tutti gli uomini nascono " criminosi " dalla mescolanza dei corpi, ma che lo stesso Adamo prese la necessità delle colpe dalla concrezione delle viscere e dalle sozzure del limo con il quale fu fatto. La natura della carne, dice, fu rea già nei primi uomini ed essa imprigionò, imbevve, estinse la stessa scintilla dell'animo che traluceva del desiderio dell'onestà. Sono sciocchi davvero i cattolici che resistono alle testimonianze di coloro che peccano, e non si arrendono nemmeno alle proprie acquisizioni e, vedendo che non operano il bene che vogliono, ma il male che esecrano, tuttavia reputano che nella carne non ci sia la necessità del male. Lotti dunque, se può, il traduciano contro queste affermazioni tanto spiacevoli: io per il momento faccio lo spettatore e attendo l'esito del vostro conflitto. Che risponderai pertanto a chi giura che la natura fu cattiva anche nei primi uomini? Replicherai senza dubbio che Dio, formatore degli uomini, non poté creare cattivo ciò che creò, e proprio perché Dio che non fa il male fece gli uomini, non si può assolutamente provare che essi siano mali naturaliter. Hai detto qualcosa e lo hai detto con veracità, ma rifletti se tu lo avresti dovuto proferire ai miei orecchi. Non mi interessa molto infatti con quanta forza tu abbia colpito Manicheo: per ora tu sei passato tutto nei miei diritti. Mi diletta ormai divertirmi con te, fatto mio prigioniero. Accolgo appunto con grande gioia la tua professione e ti ammonisco di ricordarla. Per la dignità infatti dell'autore, ossia di Dio che non fa il male, hai dichiarato che devono asserirsi buone le sue opere. Tutti gli uomini dunque generati dalla mescolanza dei sessi, istituita da Dio, li reputi fatti da Dio o dal diavolo? Se da Dio, in che modo osi sentenziarli rei e cattivi, dopo aver detto che l'unica testimonianza che Adamo non poté essere fatto di cattiva natura sta nella dichiarazione che fu creato da Dio, il quale è ottimo? Se dunque per credere che la sostanza dei primi uomini non sia stata creata rea è un argomento forte la sua stessa creazione da parte di Dio che confessiamo buono, resta a rovina della traduce che la medesima testimonianza della loro creazione da parte di Dio che confessiamo buono valga anche a provare che non possono essere creati iniqui coloro che vengono generati dal matrimonio. Ma se anche dopo di ciò una rabbiosa impudenza persisterà nel giurare che i bambini e vengono fatti da Dio e sono tuttavia naturaliter mali, certamente al Dio cattolico, come pure al nostro Dio, non si reca nessun pregiudizio da queste menzogne, tuttavia risulta che da voi non è stato espugnato Manicheo, il quale abbraccia volentieri che tu incrimini Dio, contento che ti sia crollato l'argomento con il quale avevi tentato di provare buona la creazione di Adamo. Agostino. Quando con faconda cecità mi proponi il duello contro Manicheo da intraprendere da me e da contemplare da te, rovesci incautamente le tue parti e offri, anche a coloro che sono ritardati nella loro intelligenza, la possibilità di capire in che modo tu aiuti, quasi con il pestifero alito del tuo dogma, quella orribilissima lue che un funesto errore attaccò a Manicheo. Ciascuno infatti, quando udrà o leggerà le affermazioni che hai fatto copiosamente ed eloquentemente sulle miserie di questa vita mortale e corruttibile, riconoscerà che, non solo nel tuo ragionare, ma anche nella realtà delle vicende umane, tu hai colto nel vero. Per Manicheo appunto, al quale hai prestato le parole come se parlasse contro di noi, non fu nulla di grande o di difficile e intuire in questa vita mortale, abbattuta e bandita dalla felicità del paradiso per merito del peccato, le verità dette da te su di essa, e garrire, come fai tu o anche più abbondantemente e diffusamente, tuttavia i medesimi mali, che sono tanto manifesti da leggerli ripetutamente anche in moltissimi passi delle Scritture divine, e che provengono dall'onere del corpo corruttibile e dall'appesantimento che esso causa all'anima. Onde, anche nei santi che lottano nell'agone di questa vita, la carne concupisce contro lo spirito e lo spirito contro la carne, ( Gal 5,17 ) perché lo spirito, come dice il gloriosissimo Cipriano, cerca i beni celesti e divini, la carne concupisce i beni terreni e secolari. Di qui proviene quel conflitto che il suddetto martire spiega diligentemente ed eloquentemente nel suo libro De mortalitate, dicendo tra l'altro che a noi tocca una lotta assidua e molesta contro i vizi carnali e gli allettamenti secolari. Ma già il beato Gregorio pone davanti agli occhi questo duello che abbiamo nel corpo di questa morte, in modo tale che non c'è nessun atleta di questo agone che non si riconosca nelle sue parole come in uno specchio. Dentro noi stessi, dice, siamo combattuti dai propri vizi e dalle proprie passioni. Giorno e notte ci trafiggono gli speroni brucianti del corpo di questa umile condizione e del corpo di questa morte, provocandoci dovunque, a volte segretamente, a volte anche palesemente, e irritandoci gli allettamenti delle realtà visibili, esalando questo fango schifoso nel quale ci troviamo il fetore del suo sudiciume da vene troppo capaci, ma inoltre movendo guerra la legge del peccato, la quale è nelle nostre membra, alla legge dello spirito, mentre si studia di fare sua schiava l'immagine regale che è dentro di noi, perché finisca tra le sue spoglie tutto quello che Dio fece affluire in noi con il beneficio di quella sua divina e prima creazione. Queste parole dell'uomo di Dio sono state riportate da me e nel secondo dei sei libri che pubblicai contro i tuoi quattro e in questa opera nel rispondere al tuo primo volume, là dove credesti di dover intendere in modo diverso il corpo di morte, dal quale dice l'Apostolo di essere liberato mediante la grazia di Dio. ( Rm 7,25 ) Anche il santo vescovo Ambrogio, dopo avere scritto: Noi uomini nasciamo tutti sotto il peccato, perché è viziata la nostra stessa origine, come hai letto nelle parole di Davide: "Ecco nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre ", ( Sal 51,7 ) soggiunse immediatamente: Perché la carne di Paolo era un corpo di morte, come dice egli stesso: " Chi mi libererà dal corpo di questa morte? ( Rm 7,24 ) ". Che c'è dunque da meravigliarsi, se Manicheo, intuendo i mali di questa vita: e il corpo di questa morte che appesantisce l'anima, e la discordia tra la carne e lo spirito, e il grave giogo che sta sui figli di Adamo dal giorno della uscita dal grembo della loro madre fino al giorno della sepoltura nel grembo della madre comune, fa anche con la tua bocca, quasi parlasse contro di noi, affermazioni tali e quali vediamo fatte da Gregorio contro di voi? Donde risulta che i mali di questa vita, che è una prova sulla terra, ( Sir 40,1 ) i mali di cui è pieno il mondo nella storia del genere umano per il grave giogo che pesa sui figli di Adamo dal giorno dell'uscita dal grembo della loro madre fino al giorno della sepoltura nel grembo della comune madre, ( Gb 7,1 sec. LXX ) anche i manichei li confessano insieme ai cattolici, ma sulla questione donde siano questi mali non dicono lo stesso gli uni e gli altri, e c'è su tale questione una grande distanza tra loro, perché i manichei attribuiscono i mali ad una natura cattiva e aliena, i cattolici invece ad una natura e nostra e buona, ma viziata dal peccato e punita meritatamente. Tu che non vuoi dire ciò che diciamo noi, che cosa dici per conto tuo? In che modo rispondi a Manicheo sul problema donde siano questi mali con i quali nascono gli uomini e che non nascerebbero nel paradiso, se nessuno avesse peccato e se la nostra natura vi fosse rimasta non depravata, ma retta, come fu creata? Se è congenito il vizio nel quale l'uomo grida: Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo, ( Rm 7,18 ) e se il vizio non viene dalla natura viziata a causa della prevaricazione del primo uomo, di' donde venga. Se poi questi vizi non sono congeniti, di' donde vengano. Dirai: dall'abitudine di peccare che ognuno si è fatta con la libera volontà. Dove tu confessi per il momento ciò che non vuoi, ossia che la libertà della volontà poté perire per il suo cattivo uso, perché a forza di fare il male è diventata meno idonea a fare il bene. Ma è proprio vero che uno sia duro di cuore per volontà? O che uno sia smemorato per volontà? O che uno sia fatuo per volontà? Questi e altri vizi della mente stessa e dell'animo, con i quali nessuno dubita che nascano alcuni uomini, se tu dici che non vengono dalla origine viziata, di' donde vengano. Né infatti dirai certamente che il paradiso avrebbe potuto avere cotesti vizi, se nessuno avesse peccato. Infine che il corpo corruttibile appesantisca l'anima con una soma miserevole sotto la quale gemono tutti gli uomini che non siano completamente stupidi, di' donde venga. Non dirai certamente che i primi uomini siano stati creati così che l'anima di qualcuno di essi fosse appesantita da un corpo corruttibile, o dirai che dopo quel loro grande peccato qualcuno nasca senza un tale corpo. Per quale ragione dunque tu loquacissimo introduci Manicheo loquace contro di noi, quando, negando tu ciò che diciamo noi, non sei in grado di rispondere a lui? Al quale risponde Cipriano, mostrando che la carne e lo spirito discordano tra loro, così tuttavia che la concordia di ambedue sia da chiedere a Dio Padre. Al quale risponde Gregorio che, dopo aver fatto sulla carne le medesime affermazioni che mettesti insieme tu per farle dire a Manicheo contro di noi, tuttavia attesta che entrambi, spirito e carne, essendo propizio Dio, sono da riportarsi a Dio stesso. Al quale risponde Ambrogio che, dopo aver detto che la carne deve sottomettersi all'arbitrio dell'anima, più equilibrata, spiega, quale fu la carne quando ricevé come sua residenza le parti segrete del paradiso, prima che, infettata dal veleno del serpente pestifero, conoscesse la fame sacrilega. Infatti con queste loro sentenze tali antistiti cattolici insegnarono sufficientemente e apertamente che della carne non è mala la natura, ma è malo il vizio: sanato il quale, la carne ritorna a non appesantire più l'anima con nessuna delle sue corruzioni, come fu istituita primieramente, e a non avere nessuna discordia con lo spirito, concupiscendo atteggiamenti contrari ad esso. Da questa discordia fu ingannato Manicheo a fantasticare che a noi sia stata mescolata una sostanza mala e aliena. Di questi antistiti cattolici se tu volessi seguire con noi la fede, sbaraglieresti i manichei invece di aiutarli. Adesso però tu non tenti di distruggerli, ma di far crescere ancora di più il loro edificio. Negando infatti i mali che gli uomini contraggono nel nascere da una origine viziata, non ottieni che noi non crediamo affatto ai mali naturali, poiché essi sono troppo manifesti, ma ottieni piuttosto che cotesti mali si reputino provenienti da una natura mala e aliena, che l'insania dei manichei favoleggia essere stata mescolata a noi, e non si indichino come promananti dalla nostra natura buona, viziata dalla prevaricazione del primo uomo, che è quanto dice la sanità dei cattolici. Manicheo però, tu dici, detesta così tanto anche la stessa carne del primo uomo, quale fu prima che egli peccasse, da sforzarsi di dimostrarla cattiva. Così, certo, lo fai parlare tu, con il risultato di provocare non solo per me, ma anche per te una tal quale difficoltà nel rispondere. Infatti dove Manicheo dice che la carne del primo uomo fu fatta da un creatore cattivo, noi gli rispondiamo di comune accordo che una creatura tanto buona da poter non peccare se non voleva peccare, per quanto non venga equiparata al suo creatore, non poté tuttavia avere se non un Creatore buono. Dove poi Manicheo dice misero l'uomo anche prima di peccare per il timore della morte che Dio gli minacciò qualora avesse peccato, rispondiamo di comune accordo che per un uomo, il quale non avrebbe mai potuto peccare se non avesse mai voluto peccare, la precauzione di dover evitare quella pena che sarebbe seguita al peccato era una precauzione tranquilla, non era un'angoscia turbolenta. Questo, sì, possiamo rispondere al comune avversario, come si è detto, di comune accordo. Ma io contro Manicheo accresco le lodi di quella prima creatura ragionevole, che non solo non era tormentata da nessuna paura, ma anzi godeva una grande letizia, perché aveva la possibilità di non soffrire il male della morte, dal quale rifuggono i cuori di tutti i fedeli o di quasi tutti. Poiché a questa nostra fede è avverso l'errore vostro di reputare che Adamo sarebbe morto, sia che peccasse, sia che non peccasse, che cosa rispondi qui a Manicheo quando dice che fu creata misera la natura, la quale, peccasse o non peccasse, la morte incombente tormentava con la sua paura? Se infatti dirai che fu creata tale da non temere la morte, indubbiamente presto o tardi ventura, confesserai certamente che la natura umana, quale è adesso nei posteri di Adamo, nasce misera, perché vediamo che la paura della morte è per lei tanto congenita che perfino coloro che con fedele speranza concupiscono i gaudi della vita futura, tuttavia lottano in questa vita con la paura della morte: non vogliono infatti essere spogliati, ma sopravvestiti, perché questa vita, per quanto concerne la loro volontà, non finisca con la morte, ma ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. ( 2 Cor 5,4 ) Dal che discende che, se porrai la paura della morte nel paradiso prima del peccato, sarai vinto dai manichei, i quali credono e vogliono far credere che anche nel primo uomo la natura umana fu creata misera; se al contrario risponderai che la paura della morte, dalla quale l'animo dei mortali non è assillato senza miseria, non ci fu prima del peccato, sarai vinto da noi, perché non muterebbe in peggio se non una natura viziata. Da capo, in ciò che fai dire a Manicheo contro di noi: Questo animale cieco e tribolato era reso anche inquieto dalla sua innata cupidità, irritata dalla venustà e dalla soavità del frutto proibito, riconosci, o Giuliano, il naufragio del tuo dogma quasi contro uno scoglio inevitabile. Noi infatti diciamo che in quella beatitudine non ci fu nessuna cupidità che resistesse alla volontà. Ora, se quegli uomini bramavano il frutto dal quale piuttosto volevano astenersi, senza dubbio alla loro volontà resisteva la loro cupidità. Questo dunque non contro di me, ma contro di te hai fatto dire a Manicheo con le tue parole. Se infatti costoro erano tali che in essi la cupidità resisteva alla volontà, già allora la carne concupiva contro lo spirito e lo spirito concupiva contro la carne, dove si intende il manifestissimo vizio della carne, a causa del quale l'Apostolo diceva ai fedeli: Queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. ( Gal 5,17 ) Nessuno appunto c'è tra i santi che non voglia fare in modo che la carne non concupisca contro lo spirito, sebbene resista alla carne per non portare a compimento con il suo consenso la concupiscenza della carne, ascoltando il medesimo Apostolo che scrive: Vi dico dunque: camminate secondo lo spirito e non portate a soddisfazione i desideri della carne. ( Gal 5,16 ) Non dice: Non abbiate i desideri contrari della carne, perché vedeva che una pace perfetta tra la carne e lo spirito non può essere realizzata nel corpo di questa morte. Ma dice: Non portate a soddisfazione i desideri della carne, dove ci ha proposto piuttosto la battaglia che dobbiamo combattere contro la carne che ci avversa, perché non diamo esecuzione alle sue concupiscenze consentendo, ma le vinciamo resistendo. La pace però, dove non patire tali concupiscenze opposte e riottose, ci fu nel corpo di quella vita, che noi perdemmo per la natura viziata dalla prevaricazione del primo uomo. Se infatti nemmeno allora, prima del peccato, ci fu la pace tra la carne e lo spirito, e se è falso che la discordia tra loro due si sia cambiata, come dice Ambrogio, nella nostra natura per la prevaricazione del primo uomo, sarà vera, e non sia mai, questa sentenza con la quale hai fatto parlare Manicheo contro di noi: Fu creato come un misero animale il primo uomo, che era reso inquieto da una innata cupidità, irritata dalla venustà e dalla soavità del frutto proibito. Noi all'opposto diciamo che quell'uomo fu tanto beato prima del peccato e tanto libero di volontà che osservando il precetto di Dio con le grandi forze della sua mente non pativa in nessun conflitto la resistenza della carne, né sentiva assolutamente da una qualche cupidità nulla che non volesse. La sua volontà fu precedentemente viziata dalla velenosa persuasione del serpente, perché sorgesse la cupidità che seguisse la volontà piuttosto che resistere alla volontà, e perché, perpetrato il peccato, anche la concupiscenza della carne movesse ormai guerra alla mente infirmata dalla pena. E per questo, se l'uomo peccando non faceva prima ciò che voleva, non pativa ciò che non voleva concupiscendo. Ecco in che modo noi vinciamo Manicheo, che tenta d'introdurre un cattivo creatore della natura dell'uomo. Tu invece, che a tuo arbitrio hai scelto di fare da spettatore al nostro scontro, a queste stesse tue parole che ti parve di dover dare a Manicheo contro di noi, con quale arte, ti prego, con quali forze oserai opporti, o uomo che dici che la concupiscenza della carne, quale è adesso, quale la vediamo lottare contro lo spirito, tale fu anche nel paradiso prima del peccato? Ti sbalziamo dunque giù dalle tribune del teatro nell'arena, volente o nolente, e da spettatore ti facciamo lottatore. Ingaggia il duello e vinci, se puoi, l'avversario comune, poiché tu pure confessi di adorare Dio come creatore anche della carne. Vinci quindi il nemico che tenta di persuadere che sia un Dio cattivo quello che creò la carne, la cui concupiscenza faceva già guerra allo spirito quando lo spirito non era stato ancora depravato dalla prevaricazione, e faceva misero l'uomo per il suo lottare. O forse sei pronto a dire: Assolutamente, e aveva una tale concupiscenza l'uomo, e tuttavia non era misero? Questo è forse un superare l'avversario o piuttosto non è questo un aiutare Manicheo e un ribellarsi contro l'Apostolo? Hai forse dimenticato completamente chi abbia detto: Nelle mie membra vedo un'altra legge che muove guerra alla legge della mia mente, soggiungendo subito dopo: Sono uno sventurato? Se dunque Adamo, mentre voleva obbedire al precetto divino, si sentiva irritato dalla cupidità a mangiare il cibo proibito e se in lui la concupiscenza della carne, che tu gli attribuisci anche in quel tempo quale quella di ora, faceva guerra allo spirito che concupiva in senso contrario, non avrebbe detto con tutta verità, se lo avesse voluto dire: Acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge che muove guerra alla legge della mia mente? ( Rm 7,22-24 ) In che modo dunque Adamo non era un uomo misero, se dopo tali parole l'Apostolo esclama: Sono uno sventurato? Infine in che modo non era misero e in che modo aveva la volontà libera, se concupiscendo la carne contro lo spirito, non faceva certamente ciò che voleva, per testimonianza dello stesso Apostolo? Poiché dunque, se dirai che la concupiscenza della carne tale fu prima del peccato quale è adesso, ti vincerà senza dubbio Manicheo; passa alla mia sentenza, e perché ambedue vinciamo Manicheo, approviamo ambedue Ambrogio, il quale dice che la discordia tra la carne e lo spirito si cambiò nella nostra natura a causa della prevaricazione del primo uomo. Con le tue parole, che gli hai composte per fargliele fintamente recitare e, alla maniera che suole avvenire nelle scuole dei retori, per fargliele dire come parole di altri, Manicheo ha detto che Adamo fu creato non solo " tribolato ", ma anche " cieco ". Per quale ragione " cieco ", se non perché non conosceva il peccato? E questo è stato detto tra le lodi del Cristo. ( 2 Cor 5,21 ) Tutti i mali infatti di qualsiasi genere che si imparano non per mezzo della sapienza, ma per mezzo della esperienza, si ignorano felicemente. Questo però lo dici forse anche tu con me contro Manicheo, che calunnia il primo uomo d'ignoranza. Cerca invece che cosa rispondergli sulla morte del corpo e sulla concupiscenza della carne, secondo le risposte che abbiamo date ora noi a te. Da queste due evidentissime realtà appare infatti che altra fu la condizione dei primi uomini, i quali non furono generati da nessuna stirpe di genitori, altra è invece la condizione di coloro che sono creati da Dio in modo da essere anche procreati dagli uomini. Da Dio ricevono il modo della loro istituzione, dagli uomini derivano il merito dell'origine: debitori della loro conformazione all'opificio del Creatore, della loro obbligazione al giudizio del Creatore, della loro liberazione al beneficio del Creatore. Dei quali uomini vedendo i mali con cui nascono, i manichei tentano d'introdurre un cattivo opifice dell'uomo. Della cui stessa carne, per tacere dell'anima che è la vita della carne, la struttura organica attesta che il suo opifice è il Dio dal quale vengono tutti i beni, siano celesti, siano terrestri. Ed è un bene tale la struttura organica della carne da prendere il beato Apostolo dalla concordia delle sue membra una similitudine per il più grande elogio della carità, per il cui vincolo pacifico i buoni fedeli si connettono tra loro come membra del Cristo. ( 1 Cor 12,12 ) Avviene così che e quei primi uomini fatti senza un vizio, e i loro posteri nati con il vizio originale, atteso l'evidentissimo bene della natura, non li abbia potuti creare se non il Creatore buono. 15 - Dopo il peccato la libertà è liberanda, non libera Giuliano. Ma per non premere troppo sulla prima parte della controversia, concediamo che nel procedere della tua opinione tu dimostri la buona natura di Adamo. È certo che tu dici: Il giusto Dio non avrebbe imposto all'uomo la legge della devozione, se avesse saputo che egli pativa la necessità di peccare, perché, esigendo la giustizia della volontà da chi sapeva cattivo per natura, quando questi prevaricava, Dio non accusava l'uomo di reato, ma " pubblicizzava " di esser egli stesso nemico della giustizia. Ma il giusto Dio impose all'uomo la sua legge e assicurò che lo avrebbe punito, se avesse prevaricato. Consta dunque che l'uomo, buono per natura, non poté altrimenti peccare se non per la sua sola volontà. Tu vedi evidentemente quanto legittima conclusione sia stata dedotta da me in nome tuo! Questa è davvero una spada che, lampeggiando in mano dei cattolici, fa strage dei manichei e dei traduciani. Ma io misi quel "troppo " per il vostro nome, perché avevo voluto che la risposta apparisse sul momento come data in vostra vece. Scosse dunque Manicheo la solida risposta. Io lodo debitamente l'augusta ragione, ma sta' attento tu che l'olio di questa mia lode rende più acuta la spada contro di te. Ripeti quindi, ti prego, ciò che avevi detto. Il giusto Dio, tu dici, non avrebbe imposto all'uomo la legge, se l'uomo fosse stato cattivo per natura; ma colui che è giusto impose all'uomo la legge: è chiaro che l'uomo poté osservare ciò che il Giustissimo comandò; poiché, se l'uomo non avesse avuto la forza di obbedire, non avrebbe mai avuto colui che comandava la ragione di comandare. O lepidissima testolina! Davanti a me, davanti a me come spettatore, costui afferma la bontà della natura alla quale si impone la legge, partendo dalla giustizia di colui che promulga la legge, né vede di aver recato la rovina dei traduciani, prima che senta una piccola ferita Manicheo. Perché infatti tu capisca che a te moribondo io rapisco le armi cruente, e perché i tuoi occhi portino con sé morendo la verità vincitrice, spingerò te stesso contro i tuoi dardi. Se il giusto Dio non poté dare la legge ad Adamo se non perché sapeva che egli senza nessuna coazione da parte del male poteva da uomo libero osservare ciò che è giusto, indubbiamente anche nei tempi successivi con la medesima gravità di giustizia non sarebbe stata data agli uomini la legge, consegnata pure per scritto, più estesa per molteplicità, più precisa per distinzione, più temibile per accrescimento di sanzioni, se gli uomini nascessero dall'utero o impotenti a fare il bene senza possibilità di giustizia, o rei, cioè cattivi; perché, come costoro in ogni prevaricazione li scuserebbe il pretesto della necessità, così l'eccedenza dei precetti, l'impotenza delle sanzioni, l'iniquità dei giudizi tornerebbe ad onta dell'Autore. Quindi anche questa seconda parte si chiude alla stessa maniera della prima: cioè, o confessi che la giustizia di Dio non poté comandare se non ciò che valutava fattibile dai sudditi, e dalla testimonianza del primo comando è liquidato il manicheo, mentre dalla testimonianza delle leggi successive è liquidato il manicheo e il traduciano; o, se la tua empietà tralascia di fare questo, Manicheo, che non è stato allontanato da voi nemmeno leggermente, mostrerà con la testimonianza del mondo di essere vostro padre, di essere vostro principe, di avere insieme a voi contro di noi un unico combattimento. Agostino. Questo è appunto ciò che hai inseguito non con eloquio, ma con multiloquio: la prima legge che fu data nel paradiso è testimonianza della buona natura che fu creata con il libero arbitrio; altrimenti sarebbe stata data ingiustissimamente la legge all'uomo che non avesse il libero arbitrio. Onde anche la legge posteriore, tu dichiari, che fu promulgata per scritto in maniera amplissima, è testimonianza della natura buona che viene creata attraverso i genitori, ugualmente senza vizio e con il libero arbitrio. Nel discutere così ti sembra di dire qualcosa, perché segui le sottigliezze umane tue o di altri uomini: ma gli insegnamenti divini, con i quali reputi di prescrivere contro di noi, non ti curi di leggerli o, se ti curi di leggerli, non vuoi o non puoi leggervi la verità. Se per caso però ve la leggerai in forza della nostra discussione, non voler essere come il servo che la Scrittura bolla dicendo: Con le parole non si corregge uno schiavo duro, perché non obbedisce nemmeno quando ha capito. ( Pr 29,15 ) Per quanto anche il cuore di pietra, per il quale non si obbedisce alle parole divine nemmeno se sono state capite, te lo può togliere, se lo vuole, colui che promise ciò ad un popolo duro, profetandolo il santo profeta Ezechiele. ( Ez 11,19; Ez 36,26 ) Nel paradiso infatti l'uomo che fu fatto retto ricevé la legge, perché noi imparassimo che o la sola o la principale virtù della creatura ragionevole è l'obbedienza. Ma per la prevaricazione della medesima legge da se stesso l'uomo si depravò. E poiché poté viziarsi da se stesso e non poté risanarsi, anche in seguito, nel tempo in cui la sapienza divina giudicò di doverlo fare e nel luogo dove giudicò di doverlo fare, ricevé la legge pure da uomo depravato, non perché per mezzo di essa potesse correggersi, ma perché sentisse per mezzo di essa di essere depravato e di non potersi correggere da se stesso nemmeno dopo aver ricevuto la legge, e così, non cessando i peccati con la legge, ma crescendo essi con la prevaricazione, abbattuta e contrita la sua superbia, l'uomo desiderasse con umilissimo cuore l'ausilio della grazia e dopo essere stato ucciso dalla lettera fosse vivificato dallo Spirito. Se infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge; la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo. ( Gal 3,21-22 ) Se riconosci le parole dell'Apostolo, vedi certamente o in che cosa tu non sia intelligente o in che cosa, pur essendo intelligente, tu sia negligente. Non è vero quindi che la legge data in scritto per mezzo di Mosè sia testimonianza della volontà libera, perché, se fosse così, non apparterrebbe a tale legge colui che dice: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che detesto, ( Rm 7,15 ) e che voi sostenete non ancora certamente posto sotto la grazia, bensì ancora sotto la legge. Né la stessa legge nuova, preannunziata come la legge proveniente in futuro da Sion e come la parola del Signore da Gerusalemme, ( Is 2,3 ) nel che si intende il Vangelo santo, neppure essa, dico, è una testimonianza della volontà libera, ma piuttosto della volontà liberanda. Nel Vangelo è scritto infatti: Se il Figlio vi farà liberi, allora sarete liberi davvero. ( Gv 8,36 ) Che non sia detto solo per i peccati passati, con la remissione dei quali siamo liberati, ma anche per l'aiuto della grazia che riceviamo per non peccare, ossia, dirigendo Dio i nostri itinerari, siamo fatti così liberi che nessuna iniquità domini su noi, ( Sal 119,133 ) lo attesta l'orazione dominicale, dove non solo diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti per i mali che facemmo, ma diciamo altresì: Non c'indurre in tentazione, ( Mt 6,12-13 ) perché evidentemente i mali non li facciamo di nuovo. Onde anche l'Apostolo dice: Noi preghiamo Dio che non facciate alcun male. ( 2 Cor 13,7 ) Il che se fosse in nostro potere così come lo fu antecedentemente al peccato, prima che la natura umana fosse stata viziata, non si chiederebbe certamente pregando, ma si manterrebbe piuttosto operando. Ma poiché dopo la primitiva rovina così grave da farci cadere nella miseria di questa mortalità, Dio ha voluto che noi prima combattiamo, donandoci di essere guidati dal suo Spirito e facciamo morire le opere della carne, e che in futuro, donandoci egli stesso la vittoria per il nostro Signore Gesù Cristo, regniamo con lui nell'eterna pace, sicuramente nessuno, se Dio non lo assiste, è idoneo a combattere con i vizi, perché non sia trascinato da essi senza combatterli o perché già combattendoli non sia vinto nella stessa lotta contro di essi. Perciò in questo agone Dio volle che noi combattessimo più con le preghiere che con le forze, perché anche le stesse forze, quante ci compete di averne quaggiù, le somministra ai combattenti colui stesso che noi preghiamo. Se dunque coloro il cui spirito già concupisce contro la carne hanno bisogno nelle singole azioni della grazia di Dio per non essere vinti, quale libertà di volontà possono avere coloro che, non ancora strappati al potere delle tenebre, prevalendo su di essi l'iniquità, non hanno nemmeno cominciato a combattere o, se hanno voluto combattere, sono vinti dalla schiavitù di una volontà non ancora liberata? 16 - Un solo testo biblico a favore Giuliano. Non so francamente se qui, costretto ormai dalla tua sprovvedutezza, trami qualcosa di tanto inetto e di tanto invalido da dire che non hai certamente ragioni di nessun genere per poter insegnare che Adamo fu creato buono da Dio, ma per crederlo ti contenti della sola autorità della Lettura, dalla quale dopo la formazione dell'uomo già nel sesto giorno per tutte le creature in comune è riferito così: E Dio vide tutte le cose che aveva fatte, ed ecco, erano molto buone. ( Gen 1,31 ) Possibile che, non per la dignità del Creatore, non per l'estimazione della sua giustizia, ma per una testimonianza con la quale in riferimento comune a tutte le creature esse si dicono fatte bene, tu stimi non istituito iniquo anche Adamo! Ora ciò, sebbene colpisca Manicheo così lievemente da farlo ridere, tuttavia ci consegna il traduciano completamente legato. Per non radunare i popoli su tale questione con nessuna delle testimonianze divine, prescriviamo con l'autorità del solo Apostolo che, prevedendo l'indegno errore, tuonò contro di voi ad alta voce: Ogni creatura di Dio è buona. ( 1 Tm 4,4 ) Se dunque basta a provare che il primo uomo fu formato di buona natura ciò che dice Mosè, che Dio creò bene tutte le cose, e se sostieni che Adamo non poté essere creato da Dio con il peccato per questo che si legge istituito buono tra le altre creature, noi nelle medesime linee replicheremo che nessuno può nascere con il peccato per questo che dall'Apostolo è difesa la bontà di ogni creatura di Dio. Qual è dunque il risultato che abbiamo ottenuto da queste discussioni? Evidentemente che anche l'opzione della guerra dichiarata tra te e Manicheo rendesse pubblico ciò che aveva indagato la ragione: non potendo tu nel duello predisposto vibrare nemmeno un colpo contro il tuo precettore senza la tua rovina, rilucesse nel modo più manifesto possibile che voi e i manichei vi siete coalizzati con vergognosa concordia in un solo corpo di empietà. Che cosa infatti può esser tanto congiunto quanto ciò che non è separato neppure dalla incursione delle battaglie? Ad ogni crollo di Manicheo muore insieme il dogma dei traduciani: non c'è nulla che ferisca lui e risparmi te. Voi siete uniti tra voi nella unità delle istituzioni, nella unità dei misteri, nella unità dei pericoli! E poi ti senti stomacato, se ti senti chiamato razza del vecchio Manete? Agostino. Tu nel dire che io non ho ragioni di nessun genere per poter insegnare che Adamo fu creato buono da Dio ti esprimi così come se io fossi in conflitto con te su questo argomento. Non è forse vero che non io soltanto né tu soltanto, ma ambedue diciamo che Adamo fu creato buono? Ambedue infatti diciamo che era buona una natura che potesse non peccare, se non voleva. Ma mentre io asserisco quella natura migliore di quanto l'asserisci tu, perché dico pure che essa non avrebbe potuto morire se non avesse voluto peccare, cos'è che tu dici: io non ho ragioni di nessun genere per poter insegnare che Adamo fu creato buono da Dio, quando dalle mie ragioni più che dalle tue Adamo è indicato buono? Dalle mie ragioni appunto è indicato non solo che egli poté non peccare se non lo voleva, ma che non poté nemmeno morire se non avesse voluto peccare; dalle tue ragioni invece si indica fatto così mortale da essere morituro sia che peccasse, sia che non peccasse. Il quale errore, quando fu rinfacciato a Pelagio nel processo palestinese, egli stesso lo condannò per non essere condannato, e così condannò se stesso, come l'Apostolo dice che fa la gente eretica. ( Tt 3,10.11 ) Io dico inoltre che non ebbe paura della morte Adamo, in cui potere era di non morire; tu invece dici che ebbe la necessità di morire anche senza nessuna necessità di peccare. E dicendo che Adamo temé la morte anche prima del peccato, che dici se non che fu creato misero? Se poi per non essere misero, benché la sua morte fosse futura, non ne ebbe tuttavia paura, certamente generò misera senza dubbio la sua prole, perché ingenerò in essa la paura della morte. Chi negherà infatti che gli uomini temano così la morte per natura che appena ad alcuni non la faccia temere una rara grandezza di animo? Io alla bontà della creazione di Adamo aggiungo altresì che in lui la carne non concupiva contro lo spirito prima del peccato; tu invece, dicendo che la concupiscenza della carne, se nessuno avesse peccato, sarebbe stata nel paradiso tale e quale è adesso e dicendo che in Adamo fu tale e quale anche prima che peccasse, aggiungi alla sua creazione anche cotesta miseria della discordia tra lo spirito e la carne. Poiché dunque con tante e con grandi ragioni io indico Adamo creato più buono e più felice di quanto lo dici tu, che cosa ti ha fatto delirare con tanta vergogna da dire che io non ho ragioni di nessun genere per poter insegnare che Adamo fu creato buono da Dio, ma per crederlo mi contento della sola autorità della Lettura, essendo scritto che Dio fece molto buone tutte le cose? Io non sono a tal punto " più ottuso di un pestello ", come tu mi insulti, da obiettare a Manicheo per confutarlo l'autorità di questo libro divino, dalla quale non si sente tenuto. A te la obietto quando l'argomento lo richiede, poiché è comune a me e a te. Con Manicheo invece non cerco di convincerlo della bontà di queste creature partendo dall'opificio di Dio, perché egli lo nega; ma piuttosto partendo dalla bontà delle creature lo spingo a confessare che esse hanno un opifice buono. Quanto poi all'Apostolo, che i manichei confessano di accettare e che afferma: Ogni creatura di Dio è buona, poiché è palese di quale creatura egli parlasse, sarebbe una testimonianza valida contro i manichei, se essi non sostenessero che anche nei Libri canonici accolti da loro sono state mescolate alcune sentenze false. E per questo bisogna incalzarli sempre con la bontà delle creature perché riconoscano come loro autore il Dio buono: il che negano. Ebbene, tutte le creature sono così buone che la ragione dimostra la bontà anche di quelle creature che sono create con addosso dei vizi, in forza dell'attestazione anche degli stessi vizi, perché il vizio è contro la natura: se infatti la natura stessa non piacesse giustamente, in nessun modo dispiacerebbe giustamente il vizio della stessa natura. Di questo argomento contro i manichei, i quali reputano che anche gli stessi vizi siano nature e sostanze, si discute più diffusamente in alcuni nostri opuscoli e si indica che il vizio non è una natura e perché è contro la natura per questo è un male, e che quindi la natura in quanto natura è un bene. Donde si coglie che non è creatore delle nature se non il creatore dei beni, quindi il creatore buono; ma migliore delle sue creature per una grande differenza e per una somma bontà, così da non poter essere in nessun modo viziato, non per grazia ricevuta, ma per proprietà di natura. Quindi le nature create, tanto quelle che sono senza vizio, tanto quelle che vengono viziate dopo essere nate, tanto quelle che nascono già viziate, non possono avere per loro creatore se non colui che crea i beni, perché esse in quanto sono nature sono buone, anche tutte quelle nature che sono state viziate. Non è infatti autore dei vizi ma delle nature il loro creatore. Infatti anche lo stesso autore dei vizi è buono per la sua natura che gli fece Dio, ma è malo per un vizio che lo fece defezionare dal suo creatore buono con una volontà cattiva. Questa è pertanto la ragione vera che confuta l'errore dei manichei, i quali non vogliono accettare l'autorità della Scrittura, sia dove dice: Dio fece tutte le cose ed ecco erano molto buone, ( Gen 1,31 ) quando non esisteva ancora nessun male; sia dove dice: Ogni creatura di Dio è buona, quando esisteva già questo secolo cattivo, essendo Dio certamente creatore di tutti i secoli. Ma tu che accetti quest'autorità degli oracoli divini, così che ti si possa giustamente confutare con essa, per quale ragione in quel libro dove si legge che Dio fece molto buone tutte le cose non poni attenzione che fu piantato da Dio come il luogo più buono di tutti il paradiso, nel quale a tal punto volle Dio che non vi fosse nessun male da non permettere che vi rimanesse nemmeno la sua immagine, dopo che ebbe peccato di propria volontà? ( Gen 2,8; Gen 3,23-24 ) E tuttavia voi in un luogo di tanta felicità e dignità, dov'è da credere che non poté o non può esistere vizio né di albero né di erba né di pomo né di qualsiasi messe o animale, non dubitate di introdurre tutti i vizi dei corpi umani e degli ingegni umani, con i quali che gli uomini nascano lasciamo a voi di dolervene, non di negarlo. È necessario infatti che vi doliate, quando non trovate che cosa rispondere e non volete cambiare una sentenza tanto perversa che vi costringe, per una necessità inevitabile, a costituire in un luogo di così grande beatitudine e pulcritudine ciechi, guerci, cisposi, sordi, muti, zoppi, deformi, storpi, tignosi, lebbrosi, paralitici, epilettici e " viziosi " di altri generi diversi e talvolta anche esseri mostruosi di una bruttura insopportabile e di una stranezza orribile. Che dire dei vizi degli animi, per cui alcuni uomini sono per natura libidinosi, alcuni iracondi, alcuni paurosi, alcuni smemorati, alcuni apatici, alcuni stupidi e così fatui che si preferirebbe vivere con le bestie piuttosto che con tali uomini? Aggiungi i gemiti delle partorienti e i pianti dei nascenti, gli strazi dei sofferenti, i dolori dei languenti, i tanti tormenti dei morenti e i pericoli tanto più numerosi dei viventi. Tutti questi mali ed altri, simili o peggiori, dei quali nessuno basterebbe a fare breve memoria con parole congrue, secondo il vostro errore, ma sicuramente contro il vostro pudore, siete costretti o con la sfacciataggine più riprovevole o con la faccia nascosta tra le mani, a collocarli nel paradiso di Dio e a dirli futuri pure in esso anche se nessuno avesse peccato. Dite, dite: perché infatti temete di disonorare con tanti e con tanto grandi vizi e calamità il luogo che fate alieno da voi con un dogma scellerato? Se infatti vi proponeste di entrarvi un giorno, mai ci porreste mali di tal genere. O se vince il pudore nei vostri cuori e di costituire in un luogo tale nefandezze tali vi prende il rossore, l'orrore, il mutismo, e tuttavia rimanete cocciutamente attaccati al vostro errore di non credere che la natura umana sia stata viziata per la prevaricazione del primo uomo, rispondete ai manichei donde vengano cotesti mali, perché essi non concludano che vengono dalla mescolanza di una natura aliena e cattiva. Quando infatti lo si chiede a noi, rispondiamo che questi mali non provengono dalla mescolanza di una natura aliena, bensì dalla prevaricazione della nostra natura a causa di colui che, caduto nel paradiso, fu anche cacciato dal paradiso, perché la natura condannata non rimanesse nel luogo della beatitudine e i vizi e i castighi, che meritamente sarebbero toccati ai suoi discendenti, non fossero in quel luogo dove non c'è posto per mali di nessun genere. Voi al contrario, negando che questi mali o vergognosi o calamitosi vengano dai meriti della nostra natura viziata, permettete la mescolanza di una natura aliena, e in questo modo, miseri, e siete costretti ad aiutare i manichei, e il vostro errore richiama quei mali nel paradiso donde il vostro pudore li aveva allontanati. 17 - I comportamenti volontari non inquinano i semi Giuliano. Ma vedi al contrario quanto sia vero il conflitto nostro contro di te e contro Manicheo, la cui rovina ti coinvolge sempre, e come sia svelto il nostro trionfo su lui. Tutte le falsità, che vomitò a dileggio della operazione divina della creazione, le isoliamo subito con l'aratro di una prima definizione e lo costringiamo a spiegare che cosa reputi sia il peccato, che è chiaro non essere altro se non la volontà appetente ciò che la giustizia proibisce e da cui è libero astenersi. Stabilito questo, tutti quei rovi dei contraddittori, che avevano trafitto la concretizzazione dei corpi, appariscono estirpati radicalmente e, come direbbe Cicerone, sradicati. In realtà le insorgenze del timore e le esperienze del dolore, da cui Manicheo reputò suscitata la tempesta per i naufragi degli uomini, non soltanto non sono coazioni di nessun male, ma, quando hanno trovato il controllo della volontà buona, si rivelano aiuti e veicoli di giustizia. Chi infatti avrebbe paura del giudizio, se non fosse ammonito dal timore? A che gioverebbero i gemiti della penitenza se non all'espiazione del dolore e della interiore tristezza? Che varrebbe infine la severità di chi giudica, se il danno della punizione inflitta non punisse peccati volontari? Dalla testimonianza di tutte queste prove appare che il peccato non è altro se non la libera volontà disprezzante i precetti della giustizia, e che la giustizia non c'è se non quando imputa a peccato ciò che sapeva evitabile liberamente, e per questo nessuna legge può imputare a colpa i comportamenti naturali, e nessuno è colpevole di un crimine non commesso da lui stesso, quando poteva evitarlo. Con il quale potere ci si libera del manicheo e traduciano che, perduti gli occhi di ogni intelligenza, tenta di dirottare ai semi il comportamento della volontà. Agostino. A questi tuoi errori abbiamo già risposto spesse volte: onde coloro che leggono quelle risposte e le tengono a mente, non desiderano ovunque la mia risposta, dovunque tu ripeta la tua verbosità. Ma perché nessuno si lamenti, perdonandomi coloro che sono più svelti d'ingegno, anche a coloro che sono un poco più tardi io non devo mancare. Ecco, anche qui ti rispondo sulla definizione del peccato, dalla quale ti reputi molto avvantaggiato. Quel peccato che è peccato così da non essere anche pena del peccato definisce cotesta definizione che dice: " Il peccato è la volontà che appetisce ciò che la giustizia proibisce e da cui è libero astenersi ". Questa definizione calza massimamente per Adamo, dal cui grande peccato è sorta per i suoi posteri la miseria di un grave giogo fino dalla loro nascita dal grembo materno, e di un corpo corruttibile che appesantisce l'anima. Adamo appunto dalla legge brevissima che aveva ricevuto sapeva che cosa vietava la giustizia e certamente sarebbe stato libero di astenersi da ciò che gli era vietato, non concupiscendo ancora la carne sua contro il suo spirito, per il qual male è stato detto anche ai fedeli: Sicché voi non fate quello che vorreste. ( Gal 5,17 ) Quindi la cecità del cuore, per cui si ignora che cosa vieti la giustizia, e la violenza della concupiscenza, dalla quale è vinto anche chi sa da che cosa deve astenersi, non sono soltanto peccati, ma sono altresì pene dei peccati. E perciò non rientrano in quella definizione del peccato, con la quale non è stato definito se non il peccato che è peccato soltanto e non il peccato che è pure pena del peccato. Quando uno infatti ignora ciò che deve fare e fa perciò quello che non dovrebbe fare, egli non è stato libero di astenersi da ciò da cui non sapeva di doversi astenere. Ugualmente colui che è pressato non dalla origine, ma, come dite voi, dalla consuetudine ad esclamare: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio, ( Rm 7,15 ) in che modo è libero di astenersi dal male che non vuole e fa, dal male che detesta e che compie? Ma se scampare a queste pene fosse in potere degli uomini, non si pregherebbe Dio, né contro la cecità dove gli si dice: Illumina i miei occhi, ( Sal 13,4 ) né contro l'iniqua cupidità dove gli si dice: Su di me non prevalga l'iniquità. ( Sal 119,133 ) Ora se cotesti comportamenti non fossero anche peccati per il fatto che non è libero astenersene, non si direbbe: Non ricordare i peccati della mia giovinezza e della mia ignoranza; ( Sal 25,7 ) non si direbbe: Hai chiuso in un sacco i miei peccati e hai notato ciò che commisi contro la mia volontà. ( Gb 14,17 sec. LXX ) Dunque con quella definizione di un peccato quale commise Adamo, che sapeva cosa vietasse la giustizia e non si astenne da ciò che gli sarebbe stato libero evitare, restano vinti i manichei; ma da noi, perché di qui noi diciamo è l'origine degli umani mali che vediamo gravare anche sui bambini, e per questo a proposito dei peccati è stato anche scritto: Non è mondo da macchia nemmeno un bambino che abbia sulla terra un giorno solo di vita. ( Gb 14,4 sec. LXX ) Tu invece negandolo, quanto alla nostra natura ti sforzi certamente di opprimerla ancora di più con una perniciosa difesa, perché lei non cerchi nella sua miseria il Liberatore; quanto invece a Manicheo, quando si chiede donde sia il male, gli permetti d'introdurre una natura aliena coeterna a Dio. Né infatti, per avere donde incolpare la natura umana, insiste sulla insorgenza del timore e sulla esperienza del dolore, due situazioni che tu hai reputato di dover lodare contro di lui, evidentemente perché il timore e il dolore si rivelano aiuti e veicoli di giustizia, mentre non pecca l'uomo per il timore del giudizio e si duole di aver peccato per le spine della penitenza. Non questo ti si chiede, ma che cosa sia la pena del timore nei bambini che non rifuggono dai peccati, e quale sia la ragione per cui i bambini vengano afflitti da tanti dolori, essi che non fanno peccati. Tu hai detto appunto: Che varrebbe la severità di chi giudica, se il danno della punizione inflitta non punisse peccati volontari? Per quale giustizia dunque sono puniti dal danno della punizione inflitta i bambini dei quali non sono propri peccati volontari di nessun genere? In essi certamente appariscono vani e sbagliati i panegirici con i quali hai lodato il timore e il dolore. Gravi sono appunto queste pene, che non soffrirebbero le immagini di Dio, recenti di nascita e novelle, sotto il giustissimo giudizio di Dio e sotto la sua onnipotenza, se non contraessero il merito di un peccato originale e antico. Inoltre nel paradiso, se nessuno avesse peccato e se la fecondità dei coniugati vi fosse venuta da quella verace benedizione di Dio, non sia mai detto che qualcuno o dei grandi o dei piccolini vi patisse cotesti tormenti. Non solo il dolore infatti ha il suo tormento, com'è manifestissimo, ma anche il timore per testimonianza della divina Scrittura; ( 1 Gv 4,18 ) non sia mai dunque che esistessero dei tormenti nel luogo di quella felicità. Perciò che temerebbero in qualsiasi età, se nessuno incutesse terrore? Di che si dorrebbero, se nessuno arrecasse loro alcun male? Ma in questo presente secolo maligno, dove siamo stati buttati a vivere così con le nostre miserie dal paradiso delle delizie, il tormento dei timori e dei dolori rimane anche in coloro ai quali sono stati rimessi i peccati, perché la nostra fede nel secolo futuro, dove non ci saranno mali di nessun genere, sia messa a prova non solo nelle tribolazioni nostre, ma pure in quelle dei nostri bambini; non vogliamo infatti che essi siano rigenerati per non patire questi mali, ma per essere portati in un regno, dove questi mali non ci saranno più. Quanto a te, che respingi questa fede vera e cattolica, e tenti di confutarla con un vano strepito di guance, quando Manicheo porrà la questione donde vengano i mali dei bambini, tutta la tua loquacità si ammutolirà, perché a te che neghi il peccato originale romperà subito la testa e introdurrà per il male una natura aliena. La fede cattolica poi non ha paura di quello che sembra vero a te, cioè che il comportamento della volontà non può essere dirottato ai semi, poiché sente Dio dichiarare che egli punisce le colpe dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione. ( Es 20,5; Es 34,7 ) Evidentemente il comportamento della volontà, con cui peccarono i padri, è dirottato ai semi, quando è punito nei figli. Anche il patriarca Abramo, perché Melchisedech riscuotesse da lui le decime, le diede a quel sacerdote con la sua volontà, e tuttavia la sacra Scrittura attesta che pure i suoi figli, poiché erano nei suoi lombi, versarono allora le decime: ( Eb 7,9.10 ) il che certamente non sarebbe avvenuto, se il comportamento della volontà non potesse essere dirottato ai semi. 18 - Tutte le creature sono perverse! Giuliano. Ma per la fede del nostro Dio e degli uomini! È stato possibile trovare tali mostruosità di interpretazioni da tentare a bella posta e con forte impegno di asserire che tutte le creature sono perverse! Che cosa infatti è tanto mostruoso quanto ciò che proclama il Punico? Le realtà, dichiara, che erano naturali, non furono perpetue, e i comportamenti assunti, che furono assunti per una libera scelta, aderirono ai primi coaguli delle membra. Buono, dichiara, fu fatto Adamo, egli ebbe l'innocenza naturale; elevato pure al di sopra di tutte le creature da una particolare nobiltà, brillò di somiglianza con il Creatore. Ricevé nella creazione il libero arbitrio per muoversi a suo giudizio nella direzione che voleva, e dalla stessa creazione della sua struttura, per la quale sovrastava a tutte le altre creature, sortì la facoltà di accedere o al bene o al male, o di recedere da ambedue. Ma poiché con emancipato giudizio usurpò la volontà cattiva del suo animo libero, rovinò tutte quelle doti che risultavano ingenite e gli rimasero addosso inseparabilmente solo il peccato e la necessità di peccare. Questa è che io ho detto " mostruosa interpretazione ". È appunto una sconcezza inaudita dire: Fu creato bene l'uomo, in cui furono amissibili i beni anche naturali e a cui aderirono inseparabilmente i mali anche volontari! Agostino. Dire: Fu creato bene l'uomo, in cui furono amissibili i beni anche naturali e a cui aderirono inseparabilmente i mali anche volontari, lo reputi una mostruosa interpretazione, e sentirlo dire da noi ti commuove tanto fortemente e tanto acerbamente da esclamare: "Per la fede di Dio e degli uomini! ", quasi che tu soffra violenza perché si fanno queste affermazioni. Ma, ti prego, posa i tuoi terribili impeti e, un poco più quieto, poni attenzione a cosa io dica. Se qualcuno si acceca volontariamente, non è forse vero che perderà un bene naturale, cioè la vista, e aderirà a lui inseparabilmente un male volontario, cioè la cecità? Ed è forse per questo un animale istituito malamente l'uomo che ebbe amissibile il bene naturale e inseparabile il male volontario? Per quale ragione non esclamo io piuttosto: Per la fede del nostro Dio e degli uomini! Queste verità, tanto manifeste e poste così davanti agli occhi, è mai possibile che non appariscano a un uomo che vuole apparire molto acuto ed erudito e filosofastro e dialettico? Chi infatti, se si amputa per volontà un membro qualsiasi, non perde il bene naturale della integrità e non prende il male inseparabile della mutilazione? Ma forse dirai che tali eventi possono accadere nei beni del corpo e non in quelli dell'animo. Per quale ragione dunque quando dicesti beni naturali o mali volontari, non aggiungesti " dell'animo ", perché non fosse distrutta la tua precipitosa e sconsiderata sentenza sui beni e sui mali del corpo? Lo hai per caso dimenticato? Ammettiamolo: è umano. Ma avanza in mezzo quell'uomo che grida: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio, ( Rm 7,15 ) e ti indica che certi beni dell'animo si perdono per la volontà cattiva così che non si possano riprendere con la volontà buona, a meno che Dio faccia ciò che non può l'uomo, al quale Dio può restituire anche gli occhi accecati volontariamente e le membra tagliate volontariamente. E inoltre che hai da rispondere riguardo al diavolo stesso, che perse irreparabilmente la volontà buona? O sei pronto a dire che essa si può riparare? Osalo, se puoi. O piuttosto confesserai che anche questi aspetti ti sono sfuggiti e che la loro dimenticanza ti ha fatto pronunziare precipitosamente una sentenza temeraria? Almeno dunque dietro il mio avvertimento correggiti. Oppure la pertinacia non ti permette di correggere ciò che ha detto l'inconsulta temerarietà, e la vergogna della emendazione ribadisce la caduta nell'errore? Vedo che si deve pregare per te Dio, che l'Apostolo pregava per gli Israeliti, perché guarisse costoro che, ignorando la giustizia, di Dio e cercando di stabilire la propria, non si erano sottomessi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,1.3 ) Tali infatti siete anche voi che volete stabilire una propria giustizia, facendovela con il vostro libero arbitrio, e non chiedete a Dio e non prendete da lui la giustizia vera che è chiamata giustizia di Dio: non la giustizia di cui è giusto Dio, bensì la giustizia che è data da Dio, come la salvezza del Signore ( Sal 3,9 ) non è quella per cui si salva il Signore, bensì la salvezza con la quale il Signore salva gli altri. Onde il medesimo Apostolo dice: Al fine di essere trovato nel Cristo, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede, cioè con la giustizia che deriva da Dio. ( Fil 3,9 ) Essa è la giustizia di Dio ignorata dagli Israeliti, che ne volevano stabilire una propria proveniente dalla legge; distruggendo la quale, Paolo non distruggeva certamente la legge, bensì la superbia degli Israeliti, i quali reputavano che a loro bastasse la legge, come se potessero adempiere la giustizia della legge con il libero arbitrio, e ignoravano la giustizia di Dio, che è data da Dio, perché ciò che la legge comanda sia fatto con il soccorso di colui la cui sapienza ha sulla lingua la legge e la misericordia: ( Pr 3,16 sec. LXX ) la legge perché comanda, la misericordia perché aiuta a fare ciò che comanda. Questa giustizia di Dio, o figlio Giuliano, concupiscila, e non voler confidare nella tua forza. Concupiscila, ti ripeto, questa giustizia di Dio: il Signore ti doni di concupirla, il Signore ti doni anche di possederla. Tronfio della tua propaggine terrena, non voler disprezzare le monizioni o le ammonizioni di questo peno. Non infatti perché ti ha generato l'Apulia, stimerai che avrai da vincere con la tua " gente " i Peni, che non puoi vincere con la tua mente. Le pene fuggi piuttosto che i Peni: infatti non puoi fuggire i Peni disputanti, finché ti diletta confidare nella tua forza, e infatti fu un peno il beato Cipriano che disse: Non ci dobbiamo gloriare di nulla, perché nulla è nostro. 19 - Il bene naturale dell'innocenza si può perdere volontariamente Giuliano. Qui potrebbe dire qualcuno: Che dunque? Neghi tu che quella innocenza in cui era stato creato Adamo, sia stata corrotta a causa di un peccato spontaneo? Infatti, per quanto la possibilità di ritornare al bene non si perda per una iniquità commessa, è certo tuttavia che il merito della innocenza, con la quale si avvia l'esordio umano, perisce per un vizio della volontà. Ma io non nego l'esattezza di tutto questo. Ciò che invece voglio che sia illuminato da questi esempi è il punto seguente: poiché la creazione delle qualità, che ci fanno denominare buoni e cattivi, è stata fatta in modo che operino sotto la giurisdizione della volontà, e poiché ciò è stato stabilito con tanta serietà che nemmeno l'innocenza, sebbene per la dignità del Creatore preceda l'esercizio della volontà e sia una dote naturale, non ha tuttavia nessuna possibilità di conservarsi in un animo che l'avversi, ancora di più e molto di più deve valere nella parte del male il diritto che nessuna tirannide a rovina della ragione acquisti una colpa volontariamente assunta. E se la qualità buona con la quale l'uomo fu fatto, non fu immutabile ( sarebbe falso infatti dire libero l'uomo se non potesse variare i propri comportamenti ), molto più la qualità cattiva non poté essere fatta immutabile e razionale, perché quella dote della libertà non risentisse dalla parte del male il pregiudizio che per il suo stato non aveva sofferto nemmeno dalla parte del bene. Agostino. Ecco, anche tu hai trovato e, per quanto un po' tardi, tuttavia una buona volta ti è venuto in mente donde venga distrutta la tua temeraria sentenza. Hai detto appunto che un bene naturale, com'è l'innocenza, può andare perduto per un vizio della volontà; e quindi un bene che è tanto grande e che appartiene talmente alla natura, non del corpo ma dell'animo stesso, da avere Dio creato l'uomo con questo stesso bene, tu hai mostrato che è amissibile. Il che se ti fosse venuto in mente prima, non avresti giudicato mostruosa e troppo vergognosa l'affermazione: Fu creato bene l'uomo, in cui furono amissibili i beni anche naturali; tu infatti hai reputato amissibili o i beni o i mali, ma volontari, mentre sei solito predicare inamissibili i beni e i mali naturali. Tu infatti anche altrove dici: I doni naturali perseverano dall'inizio di una sostanza fino al suo termine, per sostenere che il libero arbitrio dato all'uomo da Dio quando lo creò, non si può perdere; soprattutto asserendo che i beni naturali non possono perire a causa di mali volontari. E per questo voi dite che noi tentiamo di asserire la perversione di tutte le realtà, come se dicessimo che non si possono perdere i mali volontari, ma si possono perdere i beni naturali. Ciò che noi certamente non diciamo. Infatti noi diciamo che si possono perdere gli uni e gli altri; ma i mali che si introducono per la volontà libera, si possono perdere per una indulgenza divina o per la volontà umana, liberata però da Dio e preparata dal Signore. Ma tu che dici che si possono perdere per una volontà cattiva non i beni naturali ma i beni volontari, ecco hai trovato e tu stesso hai detto che l'innocenza, che è un bene naturale, si può perdere per un male volontario. E l'innocenza, se stai ben attento, è un bene più grande del libero arbitrio, perché l'innocenza è una proprietà dei buoni, mentre il libero arbitrio è una proprietà e dei buoni e dei cattivi. Se poi per la volontà cattiva l'innocenza perisca così da potersi riparare per mezzo della volontà buona non è una questione disprezzabile. Come infatti, se le membra del corpo si amputano per volontà, non si restituiscono ugualmente per volontà, così c'è da vedere se in un campo certamente dissimile, ossia nell'animo, accada qualcosa di simile nella perdita dell'innocenza, e possa perire essa e non possa " redire " per una iniziativa volontaria. Infatti anche la sacra verginità, se perisce per una volontà impudica, può esser riportata alla pudicizia e non può esser riportata alla verginità. Ma si risponde ancora che la stessa integrità della verginità corporale non è certamente una dote dell'animo, bensì del corpo, mentre si discute invece dell'innocenza. E tuttavia c'è da considerare se chi ha peccato ritorni per sua volontà alla giustizia e non all'innocenza, come la verginità perduta ritorna alla pudicizia e non alla verginità. Infatti come l'ingiustizia si oppone alla giustizia, così all'innocenza si oppone quale suo contrario non l'ingiustizia, ma il reato, che non è tolto dalla volontà dell'uomo, sebbene sia stato fatto dalla volontà dell'uomo. Infatti non vede il vero chi reputa che il penitente tolga il reato a se stesso, sebbene anche la stessa penitenza la doni Dio, come conferma l'Apostolo dicendo: Nella speranza che Dio voglia concedere a loro di pentirsi; ( 2 Tm 2,25 ) ma apertissimamente il reato lo toglie Dio, dando all'uomo una indulgenza, non lo toglie a sé l'uomo stesso facendo la penitenza. Dobbiamo ricordare appunto Esaù, che non trovò la possibilità della penitenza, sebbene l'abbia cercata con le lacrime. ( Eb 12,17 ) Per questo e fece la penitenza e rimase reo, perché non ricevé la venia. Anche quelli che, pentiti e gementi nello spirito tormentato, diranno tra loro: Che cosa ci ha giovato la nostra superbia? ( Sap 5,3.8 ) ecc., rimarranno certamente rei in eterno, non avendo ricevuto la venia; come pure colui del quale il Signore dice: Non avrà perdono in eterno, ma sarà reo di colpa eterna. ( Mc 3,29 ) Ecco è stata trovata l'innocenza, un gran bene dell'uomo e un bene così naturale da essere stato il primo uomo creato con essa e da nascere con essa, come voi dite, ogni uomo; la quale tuttavia per la volontà dell'uomo si può perdere e non si può rendere. Ed è stato trovato il reato, male grande e opposto all'innocenza, un male tuttavia che il potere dell'uomo può, essendo volontario, mettere dentro l'uomo e non può mettere fuori dell'uomo. Vedi o no in che modo si rompa quella tua regola generale, con la quale reputavi che noi non perdiamo con la volontà il bene naturale, quando è stato trovato un bene che non solo perisce, ma nemmeno ritorna per l'esclusiva volontà umana? Ma Dio può, tolto il reato, rimettere l'uomo nella innocenza. Per quale ragione dunque non credi che la libertà di agire bene poté perire per la volontà umana, né può " redire " se non per la volontà divina, mentre senti un uomo che dice: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio, e che dopo tali parole grida: Chi mi libererà? e soggiunge: La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore? Ma sarebbe falso, tu dichiari, dire libero l'uomo, se non potesse variare i propri sentimenti. ( Rm 7,14.24-25 ) Né vedi che togli la libertà a Dio stesso e a noi quando, dopo che avremo cominciato a vivere con lui immortali nel suo regno, non sarà più possibile a noi variare i nostri comportamenti ora in bene e ora in male, e tuttavia saremo allora più felicemente liberi, quando non potremo più servire al peccato, come nemmeno Dio stesso: ma noi per sua grazia, Dio invece per sua natura. 20 - Incensatore del diavolo! Giuliano. Inoltre quale parassita ha esaltato con tante incensazioni le forze del miles gloriosus, come il traduciano le forze del diavolo? Il che è possibile riconoscerlo dalla preponderanza delle conseguenze. Dio fece appunto l'uomo, trattando con adorabile degnazione la materia stessa del fango, la quale seguiva docile la mano del suo autore fino alla forma dell'uomo. Stava in piedi già terminato, ma come un simulacro pallido e freddo, in attesa dello spirito che gli desse splendore e vigore. Allora, creato e ispirato dall'augustissimo afflato dell'Autore, l'animo riempì e mosse le membra: allora tutti i sensi si svegliarono nell'apparato delle proprie funzioni. L'ingresso dell'abitatore diede il colore alle carni, il calore al sangue, il vigore alle membra, il nitore alla pelle. Vedi quale lavoro intraprese la pietà divina nel formare e nell'animare l'uomo. Ma nemmeno dopo averlo finito di fare lo lasciò la familiarità del Creatore: è trasferito nel luogo più ameno e Dio arricchisce con munificenza l'uomo che aveva fatto con benevolenza. Né contento tuttavia di avergli dato tanto, lo illumina con la elargizione della sua parola; gli dà un precetto, perché prendendo coscienza della sua libertà, vedesse che aveva la possibilità di farsi ancora più amico del suo Creatore. Il quale precetto non si estende a molte disposizioni, perché Adamo non senta alcunché di gravoso da una legge molteplice, ma con la interdizione di un solo piccolo pomo si chiede a lui una testimonianza di devozione. Anche successivamente, perché avesse una consorte che lo facesse diventare padre, è di nuovo nobilitato dal tocco di quella mano che lo aveva plasmato, poi è anche favorito e onorato da un colloquio divino. Dunque queste prestazioni di Dio tanto lunghe, tanto numerose, tanto grandiose di istituzioni, di doni, di precetti, di colloqui, non causarono nessuna necessità del bene per l'uomo; ma dall'altra parte il diavolo, non meno timidamente che astutamente, scambiò con la donna poche parole e si dice che ebbero tanta forza da convertirsi subito in condizionamenti naturali, anzi da sovvertire tutte le strutture ingenite, da fare perpetua la necessità del male, da imporre all'immagine di Dio come suo signore e come suo possessore il diavolo. Che cosa dunque di più forte, che cosa di più eccellente, che cosa di più splendido del potere avverso, se con un confabulare leggero fece tanto quanto Dio non poté ottenere né con le sue operazioni, né con le sue gratificazioni? È palese pertanto che voi ve ne state dalla parte di colui del quale tanto smoderatamente esaltate la potenza, e non avete nessuna comunione nel culto del nostro Dio, che noi confessiamo, come pieno di equità, così pieno di potenza. Egli è potente, la verità gli fa corona, ha calpestato come un vinto il superbo, ossia il diavolo, Manicheo e voi, suoi accoliti, che calunniate la natura per non confessare che peccate spontaneamente. Lo stesso nostro Dio dunque con braccio potente disperde i suoi nemici, ( Sal 89,9.11 ) per cui nulla ha potuto essere opposto o da voi o dai manichei che egli non schiantasse con il fulmine della sua verità. Agostino. Incensatori del diavolo noi non lo siamo, né con adulatoria celebrazione di lode noi esaltiamo, come voi ci calunniate, il suo potere, che è soggetto al potere di Dio. Magari però non foste soldati di lui, come tutti gli eretici, dei quali egli scaglia i dogmi su quelli che può con le vostre lingue, come dardi di morte. Dice l'Apostolo: Ringraziando il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. Egli ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio della sua carità, ( Col 1,12-13 ) e voi proibite a noi di rendere tali grazie per i bambini, asserendo che essi non sono sotto il potere del diavolo; a quale scopo se non perché non siano liberati per mezzo di lui, e non diminuiscano gli introiti del diavolo? Dice Gesù, che secondo questo suo nome salva il suo popolo dai suoi peccati: ( Mt 1,21 ) Nessuno entra nella casa di un forte e ruba i suoi tesori, se prima non lo lega, ( Mt 12,29 ) e voi sostenete che in questo popolo del Cristo, che egli salva dai suoi peccati, non ci sono i bambini, che voi, come non li volete vincolati da peccati propri, così nemmeno dai peccati originali, e mentre con il vostro falso ragionare diminuite le forze del diavolo, che la Verità disse forte, con il vostro errore lo fate ancora più forte nel tenersi i bambini. Dice Gesù: Il Figlio dell'uomo è venuto infatti a cercare e a salvare ciò che era perduto, ( Lc 19,10 ) e voi gli rispondete: Non c'è bisogno che tu cerchi i bambini, perché non sono andati perduti; e così, distogliendo da essi la ricerca del Salvatore, accrescete contro di essi la potenza del feritore. Dice Gesù: Il medico non è necessario ai sani, ma ai malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori, ( Mt 9,12-13 ) e voi gli dite: Non sei dunque necessario ai bambini, perché essi non sono peccatori, né per volontà propria, né per l'origine umana. Quando dunque voi vietate che i bambini non salvi vadano dal Medico per essere salvati, la peste diabolica esercita in essi un più potente principato. Quanto è dunque più tollerabile che lisciate il diavolo con false lodi da parassiti e da incensatori, piuttosto che aiutarlo con le falsità dei dogmi da soldati o da satelliti! Con eloquio copioso e ornato tu descrivi come Dio abbia formato l'uomo dal fango, come lo abbia animato con il suo afflato, come lo abbia arricchito del paradiso, come lo abbia aiutato con un precetto e come abbia avuto tanta cura di non gravarlo in nulla da non estendere quel medesimo precetto a molte disposizioni insieme, perché dalla molteplicità della legge non avesse a soffrire alcunché di oneroso l'uomo da lui creato con tanta benignità. Perché dunque adesso un corpo corruttibile appesantisce l'anima? ( Sap 9,15 ) Perché dunque adesso un grave giogo pesa sui figli di Adamo dal giorno della loro uscita dal grembo materno, ( Sir 40,1 ) se nei riguardi dello stesso Adamo Dio non lo volle gravare nemmeno con una legge molteplice? Vi accorgete evidentemente che se nel paradiso nessuno avesse peccato, la fecondità dei coniugi avrebbe così riempito del genere umano quel luogo di tanta felicità che né l'anima appesantisse un corpo corruttibile, né gli uomini opprimesse sul nascere un giogo gravoso, né fatica e dolore erudissero i miserandi bambini. Donde vengono dunque cotesti mali, che certamente non vengono da una non so quale natura cattiva inventata o creduta da Manicheo, aliena dalla nostra e mescolata a noi? Donde vengono se non dalla nostra natura, viziata per la trasgressione del primo uomo? Ma da uomo acuto e prudente ti meravigli e non credi degno di fede che, come si dice, le esigue parole del diavolo scambiate con la donna abbiano avuto tanta forza da pervertire tutti i beni naturali, quasi che ciò lo abbiano ottenuto le parole del diavolo che parlava e non il consenso della donna che lo ascoltava. Non è infatti, come dici tu, che le poche parole del serpente si siano convertite in condizionamenti naturali, ma la volontà dell'uomo perse il bene che non può essere reso dalla volontà dell'uomo, bensì dalla volontà di Dio, come egli, giustissimo, potentissimo e misericordiosissimo, giudicherà quando sia da rendere e a quali uomini sia da rendere; allo stesso modo che nel corpo, come abbiamo già detto, si può togliere la vista dell'uomo per volontà dell'uomo e, se si fa, segue la cecità da soffrire necessariamente e non da sopprimere volontariamente; e nell'animo la volontà dell'uomo può perdere l'innocenza dell'uomo e non la può rendere. Tieni d'occhio piuttosto questo: i mali con i quali nascono gli uomini, e che non potevano essere congenerati con gli uomini nella felicità del paradiso, certamente se non fosse uscita dal paradiso la natura viziata, non sarebbero adesso congenerati con gli uomini. A queste verità, che sono manifeste, guarda. I mali infatti dei mortali figli di Adamo, a cominciare dal giorno della loro uscita dal seno materno, noi non li congetturiamo al buio, ma li osserviamo nella luce più chiara. Questi mali, poiché non vengono dalla mescolanza di una natura aliena e cattiva, vengono senza dubbio dalla depravazione della natura nostra. Né ti sembri indegno che l'immagine di Dio sia stata assoggettata al diavolo; ciò infatti non avverrebbe se non per un giudizio di Dio, né si rimuoverebbe cotesta condanna se non per la grazia di Dio. L'uomo infatti, che per l'eccellenza della sua natura, perché fosse l'immagine di Dio, fu fatto a somiglianza di Dio, non c'è da meravigliarsi che per la depravazione della sua natura sia diventato simile alla vanità, onde i suoi giorni passano come un'ombra. ( Sal 144,4 ) Tu di' per quale ragione innumerevoli immagini di Dio, che nella loro piccola età non fanno peccato di nessun genere, non siano ammesse nel regno di Dio se non rinascono. Hanno evidentemente qualcosa per cui meritano di giacere sotto il diavolo, qualcosa per cui non meritano di regnare sotto Dio, alla cui luce se tu rimanessi fedele, non paragoneresti con tanta arroganza le tue parole ad un fulmine. 21 - Peccati diversi il primo e tutti gli altri Giuliano. È limpido perciò nel modo più assoluto che Agostino non differisce in nulla dal suo precettore, ma dai suoi ragionamenti la natura di tutti gli altri uomini viene definita pessima, non meno di quella di Adamo. Inoltre, per discutere ancora un poco con il medesimo Agostino sugli argomenti trattati, appare altresì che tu non reputi il genere del primo peccato identico a quello delle altre colpe. Infatti, quando dici che le azioni illecite dei tempi successivi non possono passare nella natura, che per esempio i figli oriundi da un ladro, da un parricida, da un incestuoso nascano soggetti ai peccati di coloro che li generano, e quando dici che all'infuori di quell'unico crimine non ce n'è nessun altro che si mescoli ai semi, fai intendere apertissimamente che non giudichi quella disobbedienza del medesimo genere del quale sono anche tutte le altre. Vedi dunque di quanta brevità e luce sia la nostra interrogazione. Se l'iniziativa del peccato che commise Adamo fu presa dalla volontà ed esso poté diventare naturale, per quale ragione questi peccati che si fanno quotidianamente, e che commette una volontà criminosa, non si coagulano nella turpitudine e nei pregiudizi dei semi? Che se questi peccati, non meno atroci che numerosi, non possono essere congeniti, per quale legge, per quale condizione, per quale privilegio si rivendica che sia congenito quel solo peccato? Se di un solo genere sono i peccati che conosciamo, che la legge condanna, che l'equità punisce, e del medesimo genere il peccato del primo uomo, che fu commesso dalla volontà e fu punito dalla equità, per quale ragione non intendiamo o questi peccati da quello o quel peccato da questi? O se non possono essi rendersi testimonianza a vicenda, con quale impudenza si nega che quella prevaricazione sia stata di un'altra condizione, cioè non sia stata prodotta dalla volontà, ma da una tabe naturale? Infine, osa tu con l'asserzione della traduce definire qualsiasi peccato, non dico quel primo, ma provvisoriamente almeno tra quelli che si fanno adesso, per esempio un sacrilegio, un misfatto, un delitto qualunque; ossia spiega quale definizione abbiano questi peccati. Dirai senza dubbio: Volontà che appetisce ciò che la giustizia proibisce e da cui è libero astenersi. Perché, se non ci fosse la volontà cattiva, non ci potrebbe essere il peccato. A questa verità con quanta ragionevolezza noi ascendiamo poni attenzione. Oh stupidità! Oh impudenza insopportabile! Definisci che non è peccato se non la volontà libera e proibita dalla giustizia, mentre l'opinione del male naturale prescrive che ci sia un peccato non volontario con il quale nasce l'uomo. Non è dunque vero che non sia colpa se non quella che si commette spontaneamente, perché c'è un crimine, e massimo, che non si commette spontaneamente, ma si riceve nascendo. Rifiuta dunque la definizione del peccato che, amica dei cattolici, non deflette verso di voi nemmeno per diritto di ospitalità, e, con il suo rifiuto, prova che non sei compagno di armi di coloro che impugnano la sostanza stessa con l'invida accusa di depravazione. E per raccogliere quanto abbiamo fatto: o si insegnerà che non c'è nessun peccato volontario, se c'è un qualche peccato naturale; o che non ci sarà nessun peccato naturale, se ogni peccato si definisce volontario. E da questi princìpi si conclude o che tu neghi che il peccato possa essere nativo e passi alla fede dei cattolici, o che tu, se persisti nel dire che non un qualunque crimine, ma il massimo crimine si riceve senza la volontà attraverso la natura, rendi anche il tuo nome a Manicheo, al quale presti tutto l'ossequio. Agostino. Tu reputi di farmi un grande torto dicendo che non differisco in nulla dal mio precettore, ma io prendo a mia lode le tue ingiurie e, richiamando alla mia fede non ciò che pensi, bensì ciò che manifesti con le parole, intendo come devo intendere. Dici infatti la verità e non lo sai, come il pontefice Caifa, persecutore del Cristo, pensava scelleratezze e diceva parole salvatrici senza saperlo ( Gv 11,49-52 ) Godo davvero in questa questione che si dibatte tra noi di non differire in nulla dal mio precettore, primo perché è il Signore stesso che mi ha insegnato che i bambini restano morti, se non li fa rivivere lui stesso che è morto per tutti. Il che esponendo l'Apostolo dice: Tutti dunque sono morti ed egli è morto per tutti. ( 2 Cor 5,14-15 ) E tu contraddici, negando che i bambini siano morti, perché non vengano richiamati alla vita nel Cristo, mentre confessi che il Cristo è morto anche per i bambini. Me lo insegna anche Giovanni, apostolo del Precettore di tutti, dicendo che il Figlio di Dio è venuto a distruggere le opere del diavolo, la cui distruzione voi negate che si faccia ai bambini, quasi che per essi non sia venuto colui che per questo è venuto: per distruggere le opere del diavolo. ( 1 Gv 3,8 ) Precettori miei non posso non riconoscere anche coloro che con la loro fatica letteraria mi hanno aiutato ad intendere questa verità. Mio precettore è Cipriano che dice: Ogni bambino, nato carnalmente secondo Adamo, ha contratto con la sua prima natività il contagio della morte antica, ed accede tanto più facilmente a ricevere la remissione dei peccati per la ragione che non gli vengono rimessi peccati propri, ma peccati altrui. Mio precettore è Ambrogio, del quale non solo ho letto i libri, ma ho ascoltato anche i discorsi, e per mezzo del quale ho ricevuto il lavacro della rigenerazione. Io sono certamente molto al di sotto dei suoi meriti, ma confesso e professo che in questa causa non differisco per nulla da questo mio precettore. Al quale non sia mai che tu voglia preferire il tuo precettore Pelagio, che io tuttavia tengo da Ambrogio come mio teste contro di te. Pelagio disse infatti che nemmeno un nemico osò criticare la sua fede e la sua purissima interpretazione delle Scritture. E tu osi criticare Ambrogio così da affermare che è una invenzione di Manicheo la sua dichiarazione che la discordia della carne suscitata dalla prevaricazione del primo uomo si convertì nella nostra natura, con tutto il resto che sentì e disse sulla natura umana viziata per la colpa di Adamo. È vero che tu in questo personaggio tanto grande rispetti in parte la testimonianza del tuo precettore, perché non ardisci criticare apertamente Ambrogio; ma quando con lingua maledica e con fronte sfrontata calunni nominatamente me, senza dubbio anche lui, anche gli altri grandi e chiari dottori della Chiesa cattolica, che sentirono e dissero le medesime cose, tu li incrimini tanto più iniquamente quanto più obliquamente. Io pertanto contro di te difendo e la fede mia e la fede di coloro che tu palesemente temi di avere per tuoi nemici e malvolentieri soffri di avere per tuoi giudici. Ma non sia mai detto che presso tali giudici valgano qualcosa le tue argomentazioni nelle quali a quel grande peccato, ossia alla prevaricazione del primo uomo, paragoni i peccati dei tempi successivi e reputi che, se dalla scelleratezza del primo uomo fu mutata la natura del genere umano, anche adesso le scelleratezze dei genitori dovrebbero mutare la natura dei figli. Dicendolo infatti non guardi che quei peccatori, dopo aver fatto quel grande peccato, e furono dimessi dal paradiso e furono tenuti lontani con tanta severità dall'albero della vita. Che forse gli scellerati dei nostri tempi vengono ributtati in territori inferiori da quest'orbe terrestre, quando vi abbiano commesso le loro scelleratezze, grandi quanto vuoi? Che forse sono tenuti lontani dall'albero della vita, che in questa miseria non esiste affatto? Ma del genere umano persistono il luogo e la vita, nei quali vivono anche gli uomini più empi, mentre vediamo che il luogo e la vita di quei primi empi non poterono continuare dopo il peccato com'erano prima del peccato. Secondo però la vostra opinione i bambini, non coinvolti in nessun reato, appena nati, come innocenti immagini di Dio, dovrebbero essere portati dagli angeli nel paradiso di Dio ed esservi nutriti senza fatica e dolore, con la condizione che, se qualcuno di loro peccasse, fosse giustamente mandato via di là, perché i peccati non crescessero per imitazione. Adesso al contrario, sebbene solo l'uomo che peccò nella felicità del paradiso abbia sentito dirsi: Spine e cardi produrrà per te la terra, maledetta in tutte le tue opere, e con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane, ( Gen 3,16-19 ) non vediamo nessuno degli uomini esentato dalla pena del lavoro: il quale lavoro non avrebbe certamente pesato sui beati cittadini del paradiso. E sebbene soltanto la moglie di Adamo abbia sentito dirsi: Con tristezza partorirai i tuoi figli, sappiamo che nessuna delle partorienti è immune da questo castigo. Che forse siete così assurdi o da credere che gli uomini nel paradiso, se nessuno avesse peccato, avrebbero sofferto queste disgrazie, evidentissimamente non inflitte da Dio se non agli uomini prevaricatori di allora, o da negare che adesso le soffrano i loro posteri, esuli dal paradiso e afflitti in ogni punto della terra da tante e tanto grandi miserie? O siete disposti a dire che quanto più uno è peccatore ed empio tanto più i suoi campi producono spine e cardi, e tanto più egli suda nei suoi lavori; e quanto più una donna è iniqua tanto più gravi sono le doglie che deve soffrire nel parto? Come dunque le pene delle miserie umane, che i figli di Adamo sopportano tutti ugualmente dal giorno della loro uscita dal grembo materno, sono di tutti, perché coloro dalla cui prevaricazione vennero questi mali sono i genitori comuni di tutti, così la prevaricazione degli stessi due si deve intendere come un peccato così grave da poter mutare in peggio la natura di tutti i nascenti dall'uomo e dalla donna e da poterli obbligare per comune reato, come il chirografo di un debito ereditario. Dunque chi dice che la condizione dei delitti di qualsiasi genere che si commettono adesso dovrebbe essere tale e quale fu la condizione di quel delitto, che fu commesso nella felicità così grande di quella vita e con tanta facilità di non peccare, deve uguagliare anche le stesse due vite, cioè quella che si vive adesso e quella che si viveva nelle sante e beate delizie di allora. Se vedi che ciò è stoltissimo, smetti di volere prescrivere con i peccati del secolo presente che quel grande peccato non abbia la sua forza e il suo merito singolare. Benché anche in questa vita quell'Onnipotente e Giusto che dice: Punirò la colpa dei padri nei figli, ( Es 20,5 ) faccia capire abbastanza chiaramente che anche i posteri rimangono coinvolti dal reato dei genitori e, per quanto con un nesso più blando, diventano tuttavia debitori ereditari, a meno che, come ne abbiamo già discusso nelle parti precedenti di questa opera, dalla obbligazione di quel proverbio che si suol ripetere: I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati, ( Ger 31,29 ) li sciolga non il vostro argomento, ma il Nuovo Testamento, né la natura della generazione, ma la grazia della rigenerazione. Quanto poi a quella definizione del peccato, dove si intende come peccato la volontà che appetisce ciò che la giustizia proibisce e da cui è libero astenersi, è la definizione di quel peccato che è solamente peccato e che non è anche pena del peccato; il che non so quante volte ti sia già stato risposto su questo argomento. Colui infatti che dice: Io non faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio ( Rm 7,15 ), non è libero di astenersi da questo male e invoca il liberatore, appunto perché ha perduto la libertà. 22 - Adamo peccò tanto piú gravemente quanto piú era in alto Giuliano. Il tempo ammonisce che passiamo ad altro, ma l'indignazione mi costringe a restare ancora un poco nel medesimo punto. Forse tu oserai dire che Adamo peccò per volontà? Donde ti è venuto questo sogno? Perché, dici, sarebbe stato iniquo che Dio imputasse a peccato ciò da cui sapeva non libero astenersi. Che dunque? Tale giustizia aveva concesso a Dio per un momento quel principe delle tenebre, che voi adorate, e poi, richiedendola indietro poco dopo, lasciò nudo di ogni equità questo Dio, e così costui, che all'inizio aveva capito non doversi imputare a peccato se non l'agire da cui fosse stato libero astenersi, sa che a tutti i nascenti in ogni tempo successivo non sarebbe stato libero astenersi? Infine, donde sai tu che sia stato giusto che soltanto contro Adamo non possa punirsi se non un crimine volontario, se non sai che è ingiusto imputare a chiunque come crimine ciò che confessi ricevuto senza la volontà? Dunque una delle due. O tu reputerai giusta l'opinione della traduce, perché possa convenire alla sentenza di Dio, quando imputa al bambino un peccato commesso senza nessuna volontà sua, e sei costretto a confessare giusto e conveniente ai giudizi di Dio anche l'avere imputato come peccato ad Adamo ciò che sapeva prodotto da lui non per volontà, bensì per la malvagità della sua sostanza; e per questo stesso non ci sarà nessuna traduce, né si troverà una natura depravata dall'arbitrio di chi operò, ma una natura malamente istituita fin dal suo esordio, e confesserai di essere manicheo. O se, ravvedendoti, dirai ingiusto ritenere Adamo reo per le colpe della sua natura, ne seguirà irrefutabilmente che è scelleratissimo giudicare Abele, Enoch, Noè e tutto il genere umano assoggettati ad un crimine originale. Il quale misfatto di giudizio, se lo addossi al tuo Dio, egli rimarrà reo da solo per tutti, e apparirà, come sempre, che non è lui il Dio, che noi cattolici adoriamo pieno di equità nella Trinità. Che, se desisterai dall'accusare Dio, condannerai almeno da redivivo il dogma manicheo della traduce, dalla quale sei stato trafitto finora. Agostino. È questo dove voi errate fortemente, è questo dove voi siete eretici, è questo dove voi ardite costruire macchine novelle con argomentazioni umane e vane contro la fede cattolica, che evitando gli eretici segue gli oracoli divini e se ne fa scudo: il fatto che ignorate e, non potendolo comprendere, il fatto che ricusate di credere che cosa valgano per il processo generativo i nessi dei semi, e nelle creature che Dio ha voluto far nascere le une dalle altre secondo la loro specie quanto siano grandi, quanto siano ineffabili, quanto siano anche impenetrabili ad ogni modo di sentire e incomprensibili ad ogni modo di pensare i diritti naturali della propaggine; donde sia stato innestato nel genere umano l'istituto che tutti, per quanto li riguarda, vogliano avere figli certi. Al che concorre nelle donne caste la fede del patto coniugale, e per questo giustamente dispiacque il filosofo Platone, perché credette che, nella città da lui ipotizzata come ottima nei suoi Dialoghi, si dovesse usare promiscuamente delle donne, volendo anch'egli che i maggiori avessero per tutti i minori la carità che vedeva dovuta ai figli dalla natura stessa: pensasse ciascuno che poteva essere suo figlio ogni ragazzo che vedeva di tale età da crederlo non senza ragione nato dal seme suo con il concorso di una qualsiasi femmina ignota della quale avesse indifferentemente usato. Che? Non emise forse dalle viscere di tutti i padri Cicerone la voce rivolta al figlio a cui scriveva: Di tutti sei il solo da cui vorrei essere vinto in tutto? Non è forse vero che gli stessi diritti naturali della propaggine, che abbiamo detti occultissimi e che tuttavia conosciamo valere più di quanto è credibile, fecero sì che i due gemelli, non solo non ancora in grado di generare, ma nemmeno ancora in atto di nascere, ancora nell'utero materno fossero detti due popoli? ( Gen 25,23 ) I medesimi diritti naturali della propaggine hanno fatto dire che Israele fu schiavo in Egitto, ( Dt 14,22 ) che Israele uscì dall'Egitto, ( Es 14,30 ) che Israele entrò nella terra della promessa, che Israele conseguì i beni o soffrì i mali, o concessi o inflitti da Dio a quel popolo. Del quale Israele è anche scritto: Verrà da Sion uno che toglierà l'empietà e l'allontanerà da Giacobbe, e questa è la mia alleanza con essi, quando avrò tolto i loro peccati, ( Is 59,20-21 ) mentre quel tale che primo e solo ricevé quei due nomi propri, defunto molto tempo prima, non vide cotesti beni o cotesti mali. Questi diritti naturali della propaggine fecero sì che il medesimo popolo pagasse le decime in Abramo, non per altra ragione se non perché quel popolo era nei lombi di Abramo, quando questi pagò le decime: Abramo stesso per propria volontà, ( Eb 7,9-10 ) quel popolo invece non per propria volontà, ma per diritto naturale di propaggine. In che modo però il medesimo popolo sia stato nei lombi di Abramo, non soltanto da quel tempo fino al tempo in cui ciò fu scritto nella Lettera agli Ebrei, ma anche da allora fino ad oggi e da oggi fino alla fine dei tempi, finché i figli di Israele saranno generati gli uni dagli altri; in che modo dunque abbia potuto essere nei lombi di un solo uomo una moltitudine così innumerevole di uomini chi lo spiegherà parlando, chi almeno lo indovinerà pensando? Né infatti gli stessi semi, che hanno una quantità corporale, sebbene siano esigui i singoli semi dai quali nascono i singoli individui, se fossero stati accumulati quelli da cui tanti uomini sono nati e nascono e nasceranno fino alla fine, avrebbero potuto essere contenuti nei lombi di un solo uomo. Una forza dunque che non so, una forza invisibile e impalpabile, è insita nei segreti naturali, dove si nascondono i diritti naturali della propaggine, una forza per la quale tuttavia si dice certamente senza menzogna che furono nei lombi di quel patriarca tutti coloro che poterono propagarsi da quell'unico con il succedersi e con il moltiplicarsi delle generazioni. Ma non solo vi furono, bensì, pagando Abramo le decime sciente e volente, pagarono anch'essi le decime né scienti né volenti, poiché non esistevano ancora così da poter conoscere e volere. Questo però lo ha detto l'autore sacro di quella Lettera, per anteporre il sacerdozio del Cristo, raffigurato dal sacerdote Melchisedech, a cui Abramo pagò le decime, al sacerdozio levitico; insegnando che anche lo stesso Levi, il quale decimava i suoi fratelli, cioè riceveva da essi le decime, fu decimato da Melchisedech in Abramo, perché egli pure era nei lombi di Abramo, quando Melchisedech lo decimò, cioè ricevé da lui le decime. E con questo vuol far capire che non fu decimato il Cristo, al quale si dice: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedech, ( Sal 110,4 ) perché egli sia giustamente preferito al sacerdozio levitico. ( Eb 7 ) Melchisedech infatti decimò Abramo, non fu decimato come Levi in Abramo. Se poi si chiede in che modo non sia stato decimato il Cristo, sebbene anch'egli, com'è manifesto, sia stato nei lombi di Abramo secondo l'origine della carne, quando questo patriarca fu decimato da Melchisedech, non viene incontro se non il fatto che Maria, sua madre, dalla quale egli prese la carne, nacque certamente dalla concupiscenza carnale dei genitori, ma essa non concepì per concupiscenza carnale il Cristo, che essa procreò non da un seme virile, bensì dallo Spirito Santo. Il Cristo dunque non appartenne alla " ragione " del seme virile, per mezzo della quale ragione furono nei lombi di Abramo coloro che la sacra Scrittura attesta decimati in lui. Ora, la concupiscenza della carne, dalla quale viene provocato il getto dei semi carnali, o fu nulla in Adamo prima del peccato o fu viziata in lui a causa del peccato. Infatti o senza di essa, se allora fu nulla, potevano e i genitali muoversi in modo congruo e il seme infondersi nel grembo della coniuge; o, se c'era, poteva anch'essa obbedire al comando della volontà. Ma se tale fosse adesso, la carne non concupirebbe mai contro lo spirito. Dunque o essa stessa è un vizio, se fu nulla prima del peccato; o essa stessa fu senza dubbio viziata dal peccato, e quindi attraverso di essa si trae il peccato originale. Ci fu dunque nel corpo di Maria la materia carnale donde il Cristo prese la carne, ma non fu la concupiscenza carnale a seminare in Maria il Cristo. Onde egli nacque dalla carne con la carne, tuttavia in una carne somigliante alla carne del peccato, non nella carne del peccato come gli altri uomini. Per questo egli dissolve negli altri il peccato originale con la rigenerazione, non lo contrasse egli stesso con la generazione. Perciò il primo Adamo quello, il secondo Adamo questo: perché senza la concupiscenza della carne il primo Adamo fu fatto, il secondo Adamo nacque; ma il primo Adamo fu uomo soltanto, il secondo Adamo invece fu e Dio e uomo; e quindi il primo Adamo poté non peccare e non fu come il secondo Adamo nella condizione di non poter peccare. Inutilmente dunque tu tenti di mettere alla pari o anche al di sopra del peccato di Adamo i peccati dei suoi figli, per quanto grandi e orrendi. La natura di Adamo tanto più gravemente cadde quanto più stava in alto. La natura di Adamo fu tale da poter anche non morire, se non avesse voluto peccare; quella natura fu tale da non avere in sé la discordia tra la carne e lo spirito; quella natura fu tale da non combattere contro vizi di nessun genere, non perché cedeva ad essi, ma perché non ce n'erano in Adamo. Devi dunque mettere i peccati dei suoi posteri alla pari del peccato di Adamo, se potrai trovare la loro natura alla pari della sua; ma li devi dire anche più grandi, se potrai trovare la loro natura migliore della sua. Quanto più in alto è appunto per se stessa la natura ragionevole, tanto peggiore è la sua rovina, e quanto più incredibile è il suo peccato, tanto più esso è condannabile. Per questo l'angelo cadde irreparabilmente, perché a chi fu dato di più sarà richiesto di più; ( Lc 12,48 ) tanto più quindi doveva l'angelo alla obbedienza volontaria, quanto più aveva di bontà nella sua natura; onde per il suo non fare ciò che doveva fare fu punito così da non poterlo più nemmeno volere, destinato anche ai tormenti eterni. Adamo invece, in virtù della grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore, viene liberato dal supplizio sempiterno in posteri suoi tanto numerosi, che nessuno potrebbe numerare, e in se stesso, sebbene dopo qualche migliaio di anni dalla sua morte, quando il Cristo, morto per noi, discese nei luoghi dei morti, non per necessità, ma per potestà, e sciolse i dolori dell'inferno. ( At 2,24 ) Così infatti si deve intendere che lo abbia tirato fuori dal suo delitto la Sapienza, ( Sap 10,2 ) perché non senza motivo la Chiesa crede che per la santa carne dell'unico Figlio di Dio, di cui fu il progenitore, il padre del genere umano, e il padre perciò anche del Cristo, che si fece uomo per la salvezza degli uomini, sia stato sciolto allora da quei vincoli, non per suo merito, ma per la grazia di Dio in Gesù Cristo nostro Signore. Dio dunque imputò come peccato al primo Adamo ciò da cui gli fu libero astenersi, ma lo stesso primo Adamo fu di una natura così eccellente, perché fu senza vizio, da essere il suo peccato di gran lunga tanto più grande dei peccati di tutti gli altri, quanto egli era di gran lunga migliore di tutti gli altri; onde anche la sua punizione, seguita immediatamente al suo peccato, apparve tanto grande da essere egli subito preso anche dalla necessità di morire, mentre prima aveva il potere di non morire, e da essere subito messo fuori dal luogo di tanta felicità ed escluso sull'istante dall'albero della vita. Ma quando avvenne ciò, c'era nei suoi lombi il genere umano. Onde secondo quei diritti naturali della propaggine, dei quali abbiamo già parlato, troppo occulti e di molta valenza, era logico che assieme ad Adamo fossero condannati tutti quelli che erano nei suoi lombi e che erano venturi in questo mondo mediante la concupiscenza della carne, com'era logico che versassero le decime assieme ad Abramo coloro che erano nei suoi lombi per il diritto della propaggine e per la " ragione " del seme. Pertanto tutti i figli di Adamo furono aspersi in lui dal contagio del peccato e avvinti alla condizione della morte. E per questo, benché siano bambini e non facciano volontariamente alcunché di buono o di cattivo, tuttavia, essendo stati rivestiti di colui che peccò volontariamente, traggono da lui il reato del peccato e il castigo della morte; alla stessa maniera che i bambini che si rivestono del Cristo, sebbene non abbiano fatto nulla di buono con la loro volontà, prendono da lui la partecipazione della giustizia e il premio della vita sempiterna. Così il Cristo si mostra forma del futuro in senso oppositivo, e per questo il medesimo Apostolo dice: Come ci siamo rivestiti dell'immagine dell'uomo che viene dalla terra, così dobbiamo rivestirci anche dell'immagine di colui che viene dal cielo. ( 1 Cor 15,49 ) Stando così le cose, dica che coloro che nascono non si rivestono del peccato e della morte del primo Adamo chiunque osa dire che coloro che rinascono non si rivestono della giustizia e della vita del secondo Adamo; sebbene né gli uni abbiano fatto un peccato da cui fosse libero astenersi, né gli altri una giustizia che fosse libero fare. 23 - Il peccato di Adamo è superiore ad ogni altro peccato Giuliano. Quel peccato dunque che nel paradiso mutò in peggio l'uomo stesso, poiché è molto più grande di quanto possiamo giudicare noi, si contrae da ogni nascente. Chi ti ha detto che il peccato di Adamo fu molto più grande di quello di Caino? Molto più grande anche di quello dei Sodomiti? Molto più immane, per finire, del tuo o di quello di Manicheo? Certamente nella storia non trova nessuna occasione cotesta tua falsità. Era stato comandato ad Adamo di astenersi dal mangiare di un albero soltanto; egli, grezzo, ignorante, incauto, senza esperienza di timore, senza esempio di giustizia, suggestionato dalla sua donna, usurpò l'esca, di cui lo aveva allettato e la soavità e la vetustà. Vedi che qui fu la trasgressione del comando. Fu commessa una sola prevaricazione, fra tutte quelle che in tempi diversi hanno perpetrato le passioni di quanti hanno peccato; non fu una prevaricazione più ampia di quando il popolo di Israele faceva uso degli animali interdetti. La causa del peccato non era infatti nella qualità del pomo, ma nella trasgressione del comando. Che fece dunque Adamo di tale gravità che tu accusi il suo peccato di essere al di sopra della estimazione degli uomini? A meno che, ed anche questo secondo i misteri di Manicheo, il quale distoglie le mani dal cogliere i pomi e tutte le cose nascenti, per non lacerare una qualche particella del suo Dio che ritiene inclusa nelle cortecce e nelle erbe, tu pure non giudichi che Adamo mancò gravemente, perché mangiando il pomo avrebbe lacerato la sostanza del tuo Dio. O follia! Poiché quel peccato è molto più grande di quanto possiamo giudicare noi, esso si contrae, dice costui, da ognuno che nasce. Dunque mangiare un pomo non lecito fu un crimine più grande che trafiggere quel santo uomo di Abele con livore parricida, più grande che violare in Sodoma i diritti degli ospiti e dei sessi, più grande che immolare ai demoni i propri figli già sotto la legge, più grande inoltre che sottomettere al regno del diavolo e congiungere ai meriti del diavolo i bambini innocenti, non consci di alcuna volontà e opera ancora recente di Dio; più grande che accusare Dio di iniquità; più grande che deputare al principe delle tenebre le oneste nozze, e più grande infine che reputare peggiori di tutti gli empi, peggiori di tutti i pirati, i bambini, perché nascono in forza della voluttà di coloro che li generano? Il che io non lo invento, ma lo inventario; tu appunto hai detto quel peccato tanto più grave e tanto più grande di tutti assolutamente i crimini da non poter essere uguagliato da nessun altro reato. Ma di questo male, così grande che prepondera su tutti i vizi, tu asseveri che arrivano pieni i bambini. Abbiamo pertanto capito bene: quanto più grande è il peccato di cui sono partecipi, tanto più grave è la condanna dalla quale sono colpiti al di sopra di tutti gli altri scellerati. Agostino. A causa delle mie parole che, facendo vista di confutarle, se tu lo avessi potuto, hai riferito dal mio libro dove dissi: Quel peccato dunque che nel paradiso mutò in peggio l'uomo stesso, poiché è molto più grande di quanto possiamo giudicare noi, si contrae da ognuno che nasce, mi chiedi chi mi abbia detto che il peccato di Adamo fu molto più grande di quello di Caino, molto più grande anche di quello dei Sodomiti. Il che in verità io non l'ho espresso con le mie parole, ma tu le hai intese così: io ho detto infatti che quel peccato è più grande di quanto possiamo noi giudicare, non ho detto più grande del peccato di Caino o del peccato dei Sodomiti. L'usurpazione infatti di un pomo proibito, poiché fu punita così che la natura, che aveva la possibilità di non morire, avesse la necessità di morire, supera senza dubbio tutti i giudizi umani. Mangiare appunto un pomo vietato da una legge di Dio sembrerebbe un peccato leggero; ma quanto abbia stimato questo peccato colui che non può sbagliare appare bene dalla grandiosità del castigo. Il peccato invece del fratricida Caino appare a tutti un peccato immane e risulta essere una orrenda scelleratezza; che se tu, come fai, secondo un esame umano la paragoni ad un pomo colto illecitamente, si giudicherà ridicola la comparazione, e tuttavia quel fratricida, benché morituro un giorno, non fu punito nemmeno con la morte, con la quale tali crimini sono colpiti di solito dai giudizi umani. Dio appunto gli disse: Lavorerai il suolo ed esso non ti darà più i suoi prodotti; gemente e tremante sarai sulla terra. E poiché Caino, nell'udire che il suolo non gli avrebbe dato frutto secondo il suo lavoro ed egli sarebbe stato misero sulla terra con pianto e con tremore, era scosso ancora di più dalla paura della morte, nella eventualità che qualcuno facesse a lui quello che egli aveva fatto al fratello, Dio gli appose un segno, perché non lo uccidesse chiunque lo avesse incontrato. ( Gen 4,12-15 ) Qui di nuovo sembra ingente la colpa e lieve la pena, ma ciò sembra ai giudizi degli uomini, i quali né conoscono questi misteri, né possono valutare le colpe umane con la limpidità e con l'integrità di Dio. Certamente i Sodomiti, scendendo dal cielo il fuoco sopra quella terra, furono divorati da un castigo congruo ai loro misfatti. ( Gen 19,1-25 ) Ma a Sodoma c'erano anche dei bambini, puri e liberi da ogni contagio di peccato, secondo il tuo patrocinio; né tuttavia il giusto e misericordioso Dio sottrasse precedentemente dall'incendio di Sodoma tante sue immagini innocenti mediante il ministero degli angeli, come gli sarebbe stato facilissimo; né, come ai tre personaggi della fornace, ( Dn 3,49-50 ) la sua onnipotenza offrì innocue per loro le fiamme che cremavano i loro genitori. Questo considera, a questo pensa diligentemente e piamente, e vedendo che in questo secolo i piccoli con i grandi soggiacciono ugualmente a tali miserie, quali non avrebbero potuto esistere in nessun modo nel paradiso di Dio, se nessuno avesse peccato, riconosci il peccato originale e riconosci giusto il pesante giogo gravante sopra i figli di Adamo dal giorno della loro uscita dal seno materno, ( Sir 40,1 ) e non li gravare ancora di più con la tua difesa, negando ad essi, malati o morti, il Cristo che è salvezza e risurrezione. Perché, se domandi chi abbia detto a me quanto grande peccato abbia commesso Adamo, è colui stesso che lo ha detto anche a te, ma lo udrai se hai buoni orecchi per udire, e questi poi li avrai se non li attribuirai come tuoi al tuo arbitrio, ma li riceverai da colui che disse: Darò loro un cuore capace di conoscermi e orecchi capaci di udirmi. ( Bar 2,31 ) Chi infatti, se non chi è privo di tali orecchi, non presta udito alla Scrittura che senza nessuna oscurità o ambiguità dice al primo uomo peccatore: Tu vieni dalla terra e nella terra ritornerai? ( Gen 3,19 ) Dove si indica evidentemente che l'uomo, quanto almeno alla carne, non sarebbe morto, ossia con la morte della stessa carne non sarebbe ritornato alla terra dalla quale era stata presa la sua carne, se per il peccato non avesse meritato di sentire e di soffrire la pena per la quale l'Apostolo disse in seguito: Il corpo è morto a causa del peccato. ( Rm 7,10 ) Chi, se non chi non ha tali orecchi, non presterà udito a Dio che dice riguardo allo stesso Adamo: Non stenda più la mano e non prenda dall'albero della vita e non ne mangi e non viva per sempre. E il Signore lo scacciò dal paradiso della voluttà? ( Gen 3,22-23 ) Dove sarebbe certamente vissuto in eterno senza nessuna fatica e nessun dolore. Quella voluttà appunto del paradiso è da pensare, come è necessario che confessiate, se non vi siete dimenticati ancora del nome cristiano, non come la voluttà della turpitudine, ma come la voluttà della beatitudine. Quanto è grande dunque questa pena meritata da Adamo di non vivere in eterno, e per questo fu scacciato dal luogo di così grande beatitudine, dove se fosse rimasto e non avesse peccato sarebbe vissuto senza dubbio in eterno, tanto grande dobbiamo intendere il peccato che era stato degno di esser punito con quella pena. Che fai quindi, ti prego, quando tenti con tanta insistenza di attenuare il peccato di Adamo, se non accusare d'immane e orrenda sevizia Dio, che ha punito questo peccato, non dico con tanta severità, ma con tanta crudeltà? Il che se è illecito sentire di Dio, per quale ragione non misuri la quantità della colpa, di cui gli uomini non possono giudicare e di cui giudica un giudice incomparabilmente giusto, dalla grandiosità della pena, e non trattieni la tua lingua da una sacrilega loquacità? Io poi non accuso Dio di iniquità, perché dico giusto il giogo che egli ha posto sui figli di Adamo dal giorno della loro uscita dal seno materno, ma tu piuttosto fai iniquo Dio, perché reputi che essi lo soffrano senza nessun merito di un qualsiasi peccato. Né per l'opera che Dio ha fatto, bensì per il vizio che vi ha seminato il nemico, io dico che sono sotto il medesimo nemico coloro che nascono dal primo uomo, se non rinascono nel secondo. Nei quali tu accusi la Chiesa cattolica di un crimine di lesa maestà, se, come dici, non sono sottratti al potere delle tenebre i bambini quando si battezzano, ed essa prima che si battezzino esorcizza ed essuffla altrettante immagini di Dio. Né io attribuisco al principe delle tenebre le onorabili nozze, che purgo da ogni macchia di libidine, se della libidine fanno buon uso per l'intenzione della propaggine. Tu al contrario non hai orrore di collocare il male, per cui la carne concupisce contro lo spirito, nel paradiso, ossia nel luogo di tanta pace, di tanta quiete, di tanta onestà, di tanta felicità. Né io giudico, come tu mi calunni, che siano peggiori di tutti i delinquenti e di tutti gli scellerati i bambini che non hanno se non il peccato originale. Altro è infatti per un uomo essere gravato da un peccato commesso da lui, altro essere asperso dal contagio di un peccato altrui, per quanto grande. Per il che i bambini accedono più facilmente alla remissione dei peccati, come dice con vostra pena il peno Cipriano, per questo stesso fatto che si rimettono ad essi non i peccati propri, ma i peccati altrui. Tu viceversa, quando dici non solo, come noi pure, che i bambini non hanno fatto nessun peccato di propria volontà, ma altresì che essi non hanno contratto nessun peccato dalla loro origine, fai senza dubbio ingiusto Dio, come ti è stato detto spesso e come più spesso ancora bisognerà dirti, perché egli ha imposto ad essi un giogo pesante fin dal giorno della loro uscita dal seno materno. Certo, per capire in che modo i bambini nati da Adamo e siano obbligati alla partecipazione del peccato di quell'uomo e tuttavia non siano uguagliati al suo reato, poni attenzione al Cristo, di cui hai letto che è forma del futuro, ( Rm 5,14 ) e vedi come i bambini rinati in lui e diventino partecipi della sua giustizia e come non ardisca tu pareggiarli ai suoi meriti. Tu pure, nel secondo libro di questa tua opera, hai detto che in Adamo, avendo peccato prima di lui Eva, la forma del peccato non fu la prima, bensì la massima; come nel Cristo la forma della giustizia non è la prima, ma la massima, perché ci furono giusti anche nei tempi precedenti a lui. Il che se tu non avessi dimenticato di averlo detto, non attenueresti qui il peccato di Adamo, nel quale hai confessato l'apparizione della forma massima del peccato. 24 - Ingiuriosa loquacità Giuliano. Ma per quale ragione indignarsi con te per le tue inimicizie contro l'innocenza, atteso che la petulanza e la rabbia della tua bocca oscena non è frenata nemmeno dall'onore della divinità? Accusi infatti i bambini ma assieme a Dio, aggredisci l'innocenza ma assieme all'ingiuria dell'equità, sconfessi la verità ma assieme alla incriminazione di colui che confessi tuo Dio. E per questo, anche se a noi venisse meno l'aiuto della ragione, tuttavia a fare stramazzare a terra la traduce del peccato sarebbe più che sufficiente l'infamia dei suoi assertori. Agostino. La tua ingiuriosa loquacità mi ha rinfacciato la rabbia di una bocca oscena. Che forse sono io il difensore e il magnificatore della libidine? Che forse ho ardito io di arricchire anche del possesso del paradiso la concupiscenza della carne, per cui la carne concupisce contro lo spirito? Nel quale luogo di tanta dignità e di tanta pace tu hai introdotto insieme o la guerra, con la quale si respinge lodevolmente la spinta della concupiscenza a peccare, o l'indegnità con la quale si cede turpemente alla concupiscenza. Perché dunque insorgi tanto oltraggiosamente contro di me, né guardi a te? Non io infatti accuso Dio; ma lo accusi tu, dicendo che non contraggono dalla loro origine nessun peccato i bambini, ai quali egli ha imposto un giogo pesante. Né io aggredisco l'innocenza assieme alla ingiuria della equità, ma tu fai ingiuria alla equità, dicendo che hanno tanta innocenza i bambini; l'equità tuttavia non li punirebbe con un pesante giogo, se sapesse che è vero quello che sai tu con la tua sapienza. Né io sconfesso la verità, né incrimino Dio, ma tu piuttosto. Disse infatti il vero l'Apostolo scrivendo: Il corpo è morto a causa del peccato, ( Rm 8,10 ) e tu lo neghi. Ma in che modo tu non incrimini Dio, al quale imputi le miserie, che non puoi negare, dei bambini, non aventi nessun peccato originale che ne sia degno? E per questo la tua conclusione, che ci copre d'infamia, non segue la verità di nessuna ragione. 25 - Le condanne di Adamo e di Eva Giuliano. Ma perché mai noi reputiamo di dover seguire tanto a testa bassa soltanto la ragione della verità, mentre la falange dei nostri nemici si appoggia ai rischi stessi delle realtà e insorge contro di noi munita dei suffragi delle calamità? Vuole appunto con il pudore di chi si accoppia, con il dolore di chi partorisce, con il sudore di chi fatica, provare la trasmissione delle colpe e delle pene nei semi, perché evidentemente per questi segni dei parti difficili, degli agricoltori sudanti e dei campi spinosi si creda nel crimine naturale, per merito del quale è provato da tanti incomodi il genere umano che certuni pensano diventato mortale per il peccato di Adamo. Intenzionalmente ho detto " certuni ", perché il principe di essi Agostino si è per la verità vergognato di affermarlo. Scrive costui in conclusione a Marcellino che Adamo sembra sia stato creato mortale; ma con la solita eleganza soggiunge che la morte è stata il salario del peccato e nei riguardi di Adamo, che confessa costituito mortale secondo la natura, dichiara che non avrebbe potuto morire. Contro di noi dunque si è soliti proferire quelle sentenze che si leggono nella Genesi e che colpiscono Adamo ed Eva. Di esse è ormai tempo di discutere. Racconta la Scrittura: Il Signore Dio disse al serpente: Poiché tu hai fatto questo, sii maledetto da tutti gli animali e da tutte le bestie che sono sopra la terra; camminerai sul petto e sul ventre e mangerai polvere per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe. La donna ti afferrerà la testa e tu le afferrerai il calcagno. Alla donna poi disse: Moltiplicherò le tue tristezze e il tuo travaglio, partorirai con tristezza i figli e verso il tuo marito sarà il tuo istinto ed egli ti dominerà. Ad Adamo disse invece: Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie ed hai mangiato dell'unico albero di cui ti avevo comandato di non mangiare, maledetto sia il suolo nelle tue opere; mangerai da esso nella tristezza per tutti i giorni della tua vita; spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba del tuo campo. Con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane, finché tornerai alla terra dalla quale sei stato tratto, poiché di terra sei e nella terra andrai. ( Gen 3,14-19 ) Queste sentenze dunque voi assumete a testimonianze di una iniquità ingenita e concionate che le donne non avrebbero sentito dolore nel partorire, se in esse assieme al peccato di Eva non fosse passata la pena della sua fecondità. Volete dunque che lo stesso travaglio sia indizio del peccato, di modo che si creda che nessuna donna senta senza la medesima iniquità il travaglio che la prima delle donne meritò a causa del suo delitto. Non ci sarebbe infatti, voi dichiarate, il dolore nella partoriente, se non ci fosse il peccato nel nascente. Quanto sia dunque il mio stupore nell'imbattermi con queste vostre argomentazioni non mi è facile misurarlo! Tanti affanni infatti ha sollevato in questo passo la vostra opinione che appena mi degno di scendere in lizza: più numerosi sono appunto in queste obiezioni i peccati dell'intelligenza che le sillabe. Agostino. Le afflizioni del genere umano, sebbene tu le irrida o finga di irriderle, maldicente ed elegante quanto ti pare, ti hanno spinto da sé in queste strette: sei costretto ad affermare che il paradiso di Dio, anche se nessuno avesse peccato, sarebbe stato pieno di afflizioni. Se poi per vergogna ti rifiuterai di farlo, sarai pressato a farlo dal tuo dogma. Che se non ti correggerai e non butterai via questo dogma, non sfuggirai a queste strette che ti opprimono e che ti sospingono verso un orrendo precipizio. Ti si domanda infatti donde tu stimi che promanino queste afflizioni che vediamo presenti e nei grandi e nei piccoli. Tu rispondi secondo il tuo dogma: il genere umano fu costituito così da Dio fin dal suo esordio. Alla tua risposta si replica: Dunque anche nel paradiso ci sarebbero state, se non vi fosse sorto nessun peccato. Qui tu o cadrai a precipizio o muterai il dogma: o perduto dalla sfrontatezza o corretto dalla ragionevolezza. Infatti o riempirai di una vita piena di afflizioni il luogo della felicità più famosa e non troverai occhi per osare di guardare i comuni cristiani, o sprofondando in abissi ancora più orribili imputerai queste afflizioni dell'uomo ad una natura aliena e cattiva mescolatasi a noi e affogherai nel baratro tartareo di Manicheo, o confesserai che questa pena delle afflizioni proviene dalla natura viziata, per un giudizio di Dio che l'ha punita, e respirerai nell'aria cattolica. Tu anzi dici pure che certuni pensano che il genere umano sia diventato mortale per il peccato di Adamo e aggiungi che hai detto certuni per il fatto che io, principe di essi, mi sono vergognato di dirlo, ma ho scritto a Marcellino che Adamo sembra sia stato creato mortale. Coloro che hanno letto o leggono queste tue parole e le mie, se non sono pelagiani, vedono certamente come la tua lingua abbia amplessato la calunnia. Mai infatti io ho sentito, mai assolutamente io ho detto, come dite voi, che Adamo fu creato mortale e che, peccasse o non peccasse, sarebbe stato morituro. Queste precise parole furono rinfacciate a Celestio nel giudizio episcopale di Cartagine. Queste parole furono rinfacciate anche a Pelagio nel giudizio episcopale di Palestina. Questa è appunto la questione che su questo tema si dibatte tra noi e voi: se Adamo fosse morituro, sia che peccasse, sia che non peccasse. Chi ignora infatti che, secondo la definizione per cui si dice immortale chi non può morire e si dice viceversa mortale chi può morire, Adamo poté morire perché poté peccare e quindi poté morire per merito di una colpa, non per la necessità della sua natura? Ma secondo quella definizione per cui si dice immortale anche chi ha la possibilità di non morire, chi negherà che Adamo sia stato creato in possesso di tale possibilità? Perché Adamo che aveva la possibilità di non peccare mai, certamente aveva la possibilità di non morire mai. Questo è dunque quello che si dice contro di voi: questo vostro dogma con il quale reputate che Adamo, sia che peccasse, sia che non peccasse, sarebbe stato morituro, è falsissimo su tutta la linea. Stando così le cose, in che modo avrei io potuto dire ciò che tu mentendo mi fai dire: Adamo fu costituito mortale secondo la sua natura, quasi fosse pressato dalla necessità di morire, mentre non poteva essere pressato a morire se non a causa del peccato? O in che modo io dichiaro che egli non poté morire, quando so che è morto, e certamente non sarebbe morto, se non avesse potuto morire? Ma io dichiaro apertamente che Adamo poté non morire. Altro è però non poter morire, altro è poter non morire: il primo è proprio di una immortalità maggiore, il secondo di una immortalità minore. Se tu discerni queste due verità, discerni e ciò che dite voi di Adamo e ciò che diciamo noi contro di voi. Voi dite infatti: Sia che peccasse, sia che non peccasse, sarebbe stato morituro. Noi diciamo al contrario: Finché non avesse peccato, non sarebbe stato morituro; e se non avesse peccato mai, non sarebbe morto. Poi tu commemori le testimonianze che si è soliti dire contro di voi dalla Genesi, e sul dolore della partoriente, una pena che colpì Eva per prima, dici qualcosa che vuoi far reputare o reputi detto da noi. Noi infatti non diciamo che le donne non avrebbero sentito il dolore nel partorire se non fosse passata in esse assieme al peccato di Eva l'afflizione della sua fecondità, non essendo passata in esse l'afflizione della fecondità, ma l'afflizione della iniquità. Sebbene infatti la fecondità sia diventata piena di afflizioni, ciò lo fece l'iniquità, non la fecondità: l'afflizione della partoriente discende appunto dalla iniquità dell'uomo, la fecondità invece discende dalla benedizione di Dio. O se l'afflizione della fecondità non l'hai voluta far intendere come fatta dalla fecondità, ma come inflitta alla fecondità, questa è la nostra sentenza. Noi però non diciamo che anche nel paradiso le donne partorienti avrebbero sentito il dolore, anzi deduciamo che questo dolore sia una pena del peccato proprio dal fatto che non sarebbe esistito in quel luogo dove non si sarebbero fatti rimanere coloro che avessero peccato: il che tu non tenti di confutarlo, per non essere costretto, con la faccia nascosta tra le mani e con gli occhi chiusi, a riempire il paradiso di Dio non solo delle libidini degli uomini, ma anche dei loro tormenti. Ma che c'è di strano, quando tu vuoi riempire il luogo di quella felicità memorabile anche delle morti degli uomini, delle quali nessuna o quasi nessuna accade senza un qualche cruccio corporale? E mentre il tuo dogma ti costringe a dire queste assurdità, osi pure irridere coloro che sono ben lontani dal dirle, perché ritengono piuttosto ciò che è stato tramandato dall'antichità alla Chiesa di Dio con le parole: Dalla donna ebbe inizio il peccato e per causa sua tutti moriamo, ( Sir 25,33 ) e di essi mi appelli il principe in modo insultante contro la tua scienza e coscienza. In nessun modo ignori infatti quanti e quanto grandi dotti nella Chiesa e dottori della Chiesa abbiano detto prima di noi che la natura dell'uomo per volontà divina fu costituita così che l'uomo non fosse morituro se non avesse peccato. Di costoro dunque in che modo sono chiamato il principe io che non li guido ma li seguo? Di te invece io non dico che sei il principe di coloro che asseriscono Adamo fatto talmente mortale da essere morituro, sia che peccasse, sia che non peccasse; e che tentano così di riempire il paradiso della santa voluttà, dove c'era tanta quiete dell'anima e del corpo, dei tormenti dei morenti, dei funerali dei morti, delle tristezze dei piangenti. Non sei tu il principe di costoro. Pelagio e Celestio, che fecero per primi coteste affermazioni, tengono il principato di questo dogma nefando. Magari tu, come non li guidi, nemmeno li seguissi! 26 - Non prova il peccato ciò che esiste anche senza il peccato Giuliano. Quanto è insana infatti la vostra stessa prima affermazione che il dolore del parto sia compagno del peccato, mentre così perspicuamente spetta alla condizione dei sessi, più che alla punizione dei crimini, il fatto che tutti gli animali, non macchiati da nessun peccato, soffrano nel parto questi spasimi e questi gemiti! Dal che appare che non è argomento del peccato ciò che si può trovare anche senza il peccato. Poi progredendo voi portate un'altra prova ancora molto più inetta. Non soffrirebbe, tu dici, la femmina, se non fosse partecipe di crimini. Soggiungete però immediatamente: Ma il peccato per il quale la donna ha le doglie, non si riscontra nella partoriente, bensì nel nascente. Per questo infatti le donne battezzate, tu dici, vivono libere dal peccato, ma per la iniquità dei figli che dànno alla luce sono afflitte dalle difficoltà della loro fecondità. Secondo la quale opinione la traduce del peccato non decorre più dalla madre nella prole, ma rifluisce dal nascente nei suoi genitori. Infatti se la ragione per cui la donna battezzata sente le doglie è la presenza delle iniquità nel bambino, la traduce sale dal basso verso l'alto, non scende dall'alto verso il basso. Ma non per questo è tormentata la madre perché il figlio ha l'iniquità, bensì perché essa stessa nel nascere si è veicolata l'iniquità. Tu però avevi detto che dalla grazia le era stato tolto questo male: se dunque il dolore della partoriente aderiva al peccato, la remissione del peccato avrebbe dovuto rimediare al tormento dei parti. O se non può esistere senza l'iniquità questo tormento, che pur si trova nelle femmine dopo il battesimo, nemmeno l'iniquità è stata tolta ad esse mediante la grazia, ed è svanita la pompa del Battesimo. Se viceversa nei misteri c'è stata la virtù e la verità che crediamo noi, non quella che inventate voi, ed è stato tolto ogni peccato e rimane comunque il dolore che è generato dalla difficoltà del parto, manifestamente è della natura e non della colpa quel gemere che, anche per tua ammissione, patiscono le donne che tu confessi liberate dal peccato dei manichei. Ma ciò è apparso solo da esempi concreti; se però guardiamo anche alle parole della stessa sentenza di Dio, questa dissolverà le vostre nebbie con un fulgore più splendido dei raggi del sole. Non fu detto appunto alla donna: Sorgeranno in te le doglie; oppure: Ti genererò i gemiti, perché le loro esperienze sembrassero istituite dopo la colpa; ma disse: Moltiplicherò le tue tristezze. Indica già presente nella condizione naturale ciò che minaccia non di creare, ma di moltiplicare nella persona peccatrice. Non si moltiplicano mai appunto se non le realtà esistenti: del resto, prima che esse siano, si dice certo in senso proprio che esse si fanno, ma si direbbe per anticipazione che esse si aumentano. Inoltre, perché questo non sembri una nostra osservazione più che una esigenza della verità stessa, si riporta qui l'ordine delle parole osservato in tutti gli esseri animati. Anche riguardo all'uomo, prima che fosse fatto, Dio dichiarò: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza, ( Gen 1,26 ) e di nuovo riguardo alla donna, Dio disse: Non è bene che l'uomo sia solo; facciamogli un aiuto che gli sia simile. ( Gen 2,18 ) Invece dopo che furono fatti si legge: Dio li benedisse e disse loro: Crescete, moltiplicatevi, riempite la terra. ( Gen 1,28 ) Prima che fossero creati non fu detto: Si moltiplichino; ma fu detto: Sia fatto l'uomo; quando esisteva già chi ricevesse incrementi, aggiunse: Crescete, moltiplicatevi, riempite la terra. Secondo pertanto questo ordine, il gemere dei parti, che era stato istituito secondo la natura nei corpi degli uomini, così come negli animali, non è creato in Eva, ma cresce in lei, perché essa fosse afflitta da una speciale grandiosità delle doglie già suscitate. Né tuttavia dovevano esse arrivare alle donne del tempo futuro se non nella moderazione naturale e secondo la varietà dei corpi. In quella occasione pertanto non venne dal peccato che la donna avesse le doglie del parto, ma che le avesse eccessive, come abbiamo letto che anche in tempi diversi sono accadute a taluni debilità corporali a causa di peccati; ma quella ampliazione di miserie non ha sovvertito la parsimonia della misura naturale. Né comunque tutti i contenuti della medesima sentenza di Dio sono racchiusi nel vigore di un Dio giustiziere. Ma qualche parte della sentenza sta ad indicare il merito, qualche parte designa l'ufficio. Moltiplicherò le tue tristezze e il tuo travaglio, partorirai con tristezza i figli: fin qui il castigo, che non meritò la natura ma la persona. Da qui in poi si indica subito semplicemente l'ufficio del secondo sesso: Verso il tuo marito sarà il tuo istinto ed egli ti dominerà. Questo evidentemente non appartiene ad una pena, altrimenti apparterrebbe ad una colpa: è ordine appunto che la donna con onesto affetto sia sottomessa al marito, non è una condanna. Infatti secondo l'Apostolo il marito è capo della moglie, ( Ef 5,23 ) perché non fu creato l'uomo per la donna, ma la donna per l'uomo. ( 1 Cor 11,9 ) Se essa dunque onora il suo capo con un congruo pudore, custodisce le istituzioni della natura, non sconta i tormenti del peccato, e se si ribella a quest'ordine è rea. Non è dunque una miseria compiere un ufficio che sarebbe colpevole trascurare. Agostino. Il dolore del parto noi diciamo che è una pena del peccato. Sappiamo infatti che Dio parlò senza nessun'ambiguità, né parlò se non alla prevaricatrice del suo comando, né parlò se non perché era adirato che il suo comando fosse stato trasgredito. Ma tu per annullare e per frustrare questa ira di Dio, hai detto che è tanto evidente che non sia questa una pena del peccato che gli animali, nei quali non ci sono peccati di nessun genere, soffrono nel parto simili gemiti e dolori. Non ti hanno detto certamente gli animali se il loro gemere sia di canto o di pianto. Sicuramente le galline, quando stanno per fare l'uovo, le vediamo più vicine al canto che al pianto; ma dopo aver fatto l'uovo emettono tali voci quali sono solite emettere nella paura; nel momento poi di fare l'uovo se ne stanno in assoluto silenzio, come le colombe e altri uccelli, noti a coloro che li osservano. Quanto dunque agli animali muti, i quali non possono indicare che cosa succeda in loro stessi, chi sa se il loro movimento e il loro suono nel tempo del parto non solo non abbia nulla di dolore, ma abbia qualcosa di voluttà? Ma che m'interessa scrutare in questo campo le oscurità della natura, se da questo non dipende la nostra causa? In tutti i modi, se gli animali muti non soffrono nessun dolore nel parto, il tuo argomento è nullo; se poi soffrono, è una pena per l'immagine di Dio lo stesso suo essere equiparata alla condizione degli animali; ma la pena dell'immagine di Dio non potrebbe essere giusta se non fosse preceduta da una colpa. Lungi poi da me dire ciò che tu hai reputato di confutare come detto da me: cioè che la madre quando partorisce ha le doglie non per merito suo, ma per merito del nascente, e quindi anche dopo la remissione dei peccati hanno le doglie nella urgenza di partorire le donne battezzate. Lungi da me, ripeto, il dirlo. Forse infatti perché diciamo che la morte è pena del peccato, per questo si deve dire che la morte non sarebbe più dovuta accadere dopo la remissione dei peccati? I mali appunto, che nella natura viziata dalla prevaricazione diciamo pene del peccato, rimangono anche dopo la remissione dei peccati, perché sia messa alla prova la nostra fede nel secolo venturo, dove questi mali non ci saranno più. Né infatti sarebbe fede, se credessimo perché è reso subito a noi il premio di non soffrire nulla e di non morire. Resa questa ragione, che cioè per l'agone della fede si lasciano a noi i mali contratti per il peccato, sebbene il reato dei peccati sia già stato sciolto mediante il battesimo, che forza ha ciò che dicesti: Se nei misteri è stato tolto ogni peccato e rimane tuttavia il dolore che è generato dalla difficoltà del parto, allora è manifesto che quel gemito è della natura, non della colpa? Questo discorso infatti, che è privo di forze contro di noi, non lo faresti certamente, se tu avessi o attendessi le forze della fede, che sono tanto più forti quanto più noi speriamo i beni che non vediamo e attraverso la pazienza delle miserie attendiamo la pienezza della beatitudine. ( Rm 8,25 ) Ma, tu osservi, le stesse parole di Dio, con le quali non disse: Sorgeranno in te le doglie, oppure: Genererò per te i gemiti, perché le esperienze dei dolori apparissero istituite dopo la colpa, ma disse: " Moltiplicherò le tue tristezze", indicano che esisteva già nell'ordine naturale ciò che non minacciava di creare, ma di moltiplicare nella persona peccatrice, e aggiungi, quasi come sentenza definitiva e generale: Non si moltiplicano mai se non le realtà che esistono già: del resto prima che siano, si dice certamente in senso proprio che si fanno, ma si direbbe per anticipazione che si accrescono. Dove per primo ti chiedo in che modo tu dica che esistevano già le doglie di Eva che essa non aveva ancora sofferte; in che modo, ripeto, aveva già le doglie Eva che non si doleva di nulla? Che se non esistevano i dolori in lei, perché non aveva i dolori lei che non si doleva di nulla, potevano dunque essere moltiplicati anche i dolori non ancora esistenti, e si intende detto esattamente: Moltiplicherò le tue tristezze, ossia le farò essere molte; il che è possibile, sia che qualcosa abbia già cominciato ad essere, sia che qualcosa non abbia nemmeno cominciato ad essere. A vuoto dunque tu hai detto: Non si moltiplicano mai se non le realtà che esistono già, perché ecco in Eva dopo il peccato si moltiplicarono i dolori che non c'erano affatto prima che peccasse. E quindi non disse Dio: Moltiplicherò le tue tristezze, perché avevano cominciato già ad esserci in lei alcune tristezze, ma perché sarebbero state molteplici in futuro da, quando avrebbero cominciato ad esserci. Ma erano, tu dici, nell'ordine naturale. Se dunque nell'ordine naturale ci sono già anche le realtà che non sono ancora sorte, in che ti aiuta l'avere affermato: Dio non disse: Sorgeranno in te i dolori, ma disse: "Moltiplicherò i tuoi dolori ", perché c'erano già nell'ordine naturale? Ti si risponde infatti: Avrebbe potuto dire: Sorgeranno in te, perché avrebbe moltiplicato i dolori che erano già nell'ordine naturale, non i dolori che erano già sorti. O forse sei pronto a dire: Erano già sorti assolutamente nello stesso ordine naturale? Quanto è quindi più evidente e più accettabile se ti si dice: Esistevano già in Adamo i figli di Adamo per la forza naturale quando egli, come si esprime il beato vescovo Giovanni, commise quel grande peccato e fece condannare tutto in blocco il genere umano, o come si esprime il suo collega Ambrogio: C'era Adamo e in lui eravamo noi tutti, perì Adamo e in lui perirono tutti, se tu osi dire non solo: Erano già, ma anche, ciò che noi non osiamo dire dei figli di Adamo quando fu commesso il famoso peccato: Erano già sorti i dolori di Eva quando Dio minacciò di moltiplicarli! Ma tuttavia in verità non c'erano nell'ordine naturale i dolori di Eva che le partorienti hanno la necessità di patire perché non era necessario che li patisse Eva quando cominciasse a partorire: essi vennero appunto a lei dalla punizione della colpa e non dalla condizione della natura. Il che negando, che cosa fate voi se non collocare le sofferenze degli uomini, anche se nessuno avesse peccato, nel luogo di quella beatitudine, dove non fu permesso di rimanere agli uomini che dovevano ormai soffrirle? E ignoro con quale faccia lo facciate voi, se non perché, contrari al paradiso, vi dilettate in qualche modo di abitare " di contro " al paradiso, essendo stato anche Adamo collocato di contro al paradiso, dopo che fu buttato fuori dal paradiso. ( Gen 3, 24 sec. LXX ) Tu pertanto ormai " contrario al paradiso ", poni attenzione con quanta vanità argomenti contro il paradiso. Ti sembra che non si moltiplichino se non le realtà che esistono già in qualche modo, ma prima che siano non reputi si debba dire che si moltiplicano, bensì che si fanno. Non nascono dunque realtà molteplici di nessun genere, ma si moltiplicano, cioè diventano molteplici soltanto per aggiungimenti successivi. E perciò quello Spirito che nella Sapienza si dice spirito molteplice e che non ha cominciato ad essere, ma è così dalla eternità, non è stato correttamente chiamato molteplice, ( Sap 7,22 ) perché non lo hanno fatto molteplice aggiungimenti di nessun genere. Che cosa sei disposto a dire anche sulla risposta di Dio ad Abramo: Moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo? ( Gen 22,17 ) Dove vediamo che Dio moltiplicò anche le stelle del cielo, come promise di moltiplicare il seme di Abramo? Che forse le stelle del cielo per essere moltiplicate cominciarono prima con l'essere poche e non furono create molteplici nel loro numero fin da quando furono create? Per quale ragione dunque non intendi la frase: Moltiplicherò le tue tristezze così come se avesse detto: Farò molteplici le tue tristezze, se non perché agisci così da introdurre, se ti è possibile, i dolori nel paradiso, di contro al quale sei stato collocato, e così da dire che prima del peccato furono istituite le miserie nel luogo di tanta beatitudine? Che infatti Eva, come tu affermi, abbia ricevuto per natura prima di peccare la funzione di partorire con i dolori tu la chiami parsimonia naturale e non vuoi che apparisca sovvertita da quanto si aggiunse in più di pena alla donna per punizione da parte di Dio dopo che ebbe peccato. Parli infatti così da dire: Ma quell'ampliazione di miserie non ha sovvertito la parsimonia della misura naturale. Perciò, te docente, che le donne soffrano moderatamente nel parto è parsimonia naturale, quanto invece fu aggiunto ad Eva per merito del peccato è un'ampliazione delle miserie. Né vedi, mentre lo dici, che se le miserie furono ampliate per il peccato, erano già state istituite per natura, e la donna, alla quale furono ampliate le miserie per il peccato, era già misera per natura prima del peccato. Sebbene tu dica che prima del peccato essa era moderatamente misera per la parsimonia naturale, tuttavia, volere o no, dicendo che le fu aggiunto un ampliamento di miserie, la confessi senza dubbio già misera anche prima di quest'aggiunta. Ecco cosa merita da te la natura dell'uomo, istituito da Dio all'inizio; ecco cosa merita da te il paradiso di Dio! Scacciato appunto dal paradiso e collocato contrario al paradiso, gli hai reso da "contrario " tali servizi da dire che nel luogo della beatitudine le miserie furono istituite da Dio, ma per i peccati esse non cominciarono bensì crebbero. Che cosa è tanto contrario alla beatitudine quanto la miseria e alla miseria la beatitudine? O che significa la collocazione del peccatore, escluso dal paradiso, in posizione contraria al paradiso, se non la sua collocazione nella miseria, che senza contraddizione o dubitazione di nessuno è contraria alla beatitudine? E che cosa rifugge la natura quanto la miseria? Che cosa appetisce tanto la natura quanto la beatitudine? Inoltre il libero arbitrio, che abbiamo nei riguardi della beatitudine, è così insito in noi per natura da non poter nessuna miseria toglierci la volontà di non esser miseri e la volontà di esser beati. Fino al punto che coloro che vivendo malamente sono già miseri, vogliono, sì, vivere malamente, tuttavia non vogliono essere miseri, ma beati. Questo è il libero arbitrio che le anime nostre conservano immutabilmente fisso: non il libero arbitrio di voler agire bene, perché lo potemmo perdere per la iniquità umana e lo possiamo ricuperare per la grazia divina; ma il libero arbitrio di voler essere beati e di non voler essere miseri non lo possono perdere né i miseri né i beati. Beati appunto lo vogliamo essere tutti: il che sono stati costretti a riconoscerlo anche gli stessi filosofi di questo secolo e, teste il loro patrono Tullio, gli Accademici che dubitano di tutto e hanno detto che questa è l'unica verità che non ha bisogno di discussione, è l'unico bene di cui non c'è nessuno che non sia avido. Questo libero arbitrio è aiutato dalla grazia di Dio, perché ciò che vogliamo per natura, ossia vivere beatamente, lo possiamo avere vivendo rettamente. E tu dici istituite per natura nelle prime opere di Dio le miserie, mediocri quanto ti pare, tuttavia miserie, contrarie alla beatitudine, senza che nessuno lo neghi, senza che nessuno ne dubiti, senza che fosse stato commesso precedentemente da parte di chiunque nessun peccato, così da esser la pena della donna peccatrice, espressa dalle parole: Moltiplicherò le tue tristezze, non l'istituzione delle miserie, che, come dici tu, c'era già stata nella natura, ma un'ampliazione che si aggiunse per punizione. Che cosa farò io ormai con te sulle successive parole di Dio, dove, dopo aver detto ciò che riguardava la pena: Partorirai con tristezza i figli, soggiunse subito: Verso il tuo marito sarà il tuo istinto ed egli ti dominerà? ( Gen 3,16 ) Che bisogno c'è che io combatta con te sul problema se cotesto dominio del marito sia una punizione della donna o l'ordine della natura? Il quale ordine tuttavia Dio non lo rammentò quando creò, ma quando punì. Ma, come ho detto, che interessa fermarci su questo problema che, comunque si risolva in uno dei due modi, non impedisce la nostra causa? Ammettiamo senz'altro che Dio dal castigo che egli infliggeva alla donna si sia volto repentinamente a impartire un precetto e che comandando, non condannando abbia detto: Verso il tuo marito sarà il tuo istinto ed egli ti dominerà: che interessa ciò alla questione che facciamo nella discussione presente sulla punizione della peccatrice? Con te io tratto delle miserie che, scacciato dal paradiso e collocato in posizione contraria al paradiso, tenti di collocare nel paradiso e di attribuirle, perdendo il tuo pudore e bestemmiando con la tua bocca, non ai meriti di coloro che peccarono, ma a Dio istitutore delle nature, come se egli abbia istituito per natura anche queste miserie. Di' ormai anche cosa cerchi di persuadere circa la pena dell'uomo, dal momento che è già abbastanza chiaro in che modo questa donna, che prima del peccato era nuda e non si confondeva, abbia denudato e confuso te. 27 - Non rendere amaro il paradiso di Dio Giuliano. Ma bastino queste discussioni sulla donna e passiamo alle competenze dell'uomo. Ad Adamo disse: Maledetto sia il suolo nelle tue opere; mangerai da esso nella tristezza per tutti i giorni della tua vita; spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba del tuo campo. Con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane, finché tornerai alla terra dalla quale sei stato preso; poiché sei terra e ritornerai nella terra. ( Gen 3,17-19 ) Qui non è stato detto: Moltiplicherò le tue spine o i tuoi sudori; ma se ne parla come se fossero stati creati allora per la prima volta. Ma anche la maledizione dell'uomo si dissolve con una fatica non maggiore della maledizione della sua moglie. All'inizio appunto non si maledice il seme dell'uomo, ma il suolo. Maledetto, dice, sia il suolo nelle tue opere. Che cosa avevano meritato i campi, i quali certamente non potevano avere nulla dalla traduce di Adamo, per ricevere l'onta della maledizione a causa di un peccato di volontà aliena? Forse perché con l'esempio anche delle stesse zolle si insegnasse che poteva esserci la maledizione dove non ci fosse la colpa? Infatti se il peccato è nell'uomo e la maledizione è nei campi, è manifesto che non sempre ai danni si accompagnano i crimini. Se la terra dunque per questo si maledice perché resti punito chi aveva peccato, né tuttavia l'iniquità è contenuta dov'è contenuta la maledizione, per quale ragione in forza di tale condizione, anche se si insegnasse che un qualche danno sia stato apportato alla nostra natura dopo il peccato del primo uomo, non seguirebbe tuttavia che i nascenti non dimostrano il loro reato con la loro miseria, ma l'afflizione successiva al primo peccato, che non li aveva fatti rei, aveva lo scopo d'intimare ad essi con la commemorazione del primo peccato la precauzione di una cattiva imitazione? Giacché si indicherebbe che anche la terra subì l'onta della maledizione perché denunziasse il male di una volontà aliena da lei, non perché generasse la partecipazione di un suo crimine: a meno che non crediamo per caso che a Dio sia più caro il terreno dell'innocenza, così da permettere che da una scelleratezza altrui sia comunque condannata l'infanzia, mentre egli non sopporta che ne sia inquinata la gleba. La maledizione dunque è diretta contro la terra, né tuttavia questa stessa maledizione si lascia involuta. Si spiega appunto a quale fine tendesse tale sentenza o in che senso si chiamasse maledetto il suolo. Dice: Mangerai da esso nella tristezza per tutti i giorni della tua vita. In che modo dunque si spieghi avvertilo: si dice maledetta la terra, non perché sia stato possibile prendere provvedimenti contro di essa, ma con il nome di terra si indica lo stato di un animo addolorato: sapendo sterile la terra per i meriti del suo coltivatore, la tristezza dell'operaio affamato imputasse alla terra ciò che egli stesso aveva meritato, e afflitto chiamasse maledetta la terra di cui s'impediva la fecondità, perché quel prevaricatore non confessasse soggetta alla maledizione né la natura, né la terra, ma la sua volontà e la sua persona. Dice: Spine e cardi produrrà per te. Non fu contento di dire: Spine e cardi produrrà, ma aggiunse: per te. Tra gli altri virgulti appunto la terra, per comando di Dio, aveva già prodotto anche cespugli di pruni, ma allora perché l'uomo si conpungesse, la terra gli è promessa per l'avvenire ancora più spinosa del solito. Il che poteva essere un forte castigo per Adamo: che dopo le fonti e i prati del paradiso anche un pruno solo lo potesse offendere. La sentenza poi: Con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane, non sono abbastanza convinto che appartenga ad una punizione, perché è pure un giovamento naturale che le membra dei lavoranti siano ricreate dal sudore. Che a quell'uomo poi incombesse prima del peccato il lavoro della coltivazione lo attesta la stessa Lettura. Dice infatti così: Il Signore prese l'uomo che aveva creato e lo pose nel paradiso a coltivarlo e custodirlo. ( Gen 2,15 ) Se dunque anche nel paradiso Dio non volle che l'uomo ricevesse assolutamente senza fatica i suoi alimenti, ma con l'ingiunzione di lavorare ne stimolò l'operosità che gli aveva infuso, che cosa di nuovo nel sentire il sudore crediamo accaduto a chi sperimentava il lavoro? Ma prosegue: Finché tornerai alla terra dalla quale sei stato preso, poiché sei terra e andrai nella terra. Sicuramente questa ultima parte della sentenza, come la sentenza della donna, riguarda una notificazione e non una punizione; anzi, come indica il contesto, Dio consola l'uomo con la promessa della fine. Poiché infatti aveva prima menzionato i dolori, i lavori, i sudori, dei quali la natura aveva ricevuto l'esperienza e la persona l'eccedenza, perché non sembrasse che ciò si sarebbe esteso in eterno, l'indicazione del termine mitiga la tristezza, come se dicesse: Non sempre però patirai cotesti mali, ma finché ritornerai alla terra dalla quale sei stato preso, perché, dice, sei terra e andrai nella terra. Per quale ragione dopo aver detto: Finché ritornerai alla terra dalla quale sei stato preso, non soggiunse: Perché hai peccato e hai trasgredito i miei precetti? Questo infatti si doveva dire, se la dissoluzione dei corpi apparteneva ai crimini. Che cosa disse invece? Perché sei terra, disse, e andrai nella terra. La causa per cui sarebbe ritornato alla terra la indica con le parole: Perché sei terra. Se dunque questa disse Dio essere la ragione di ritornare alla terra perché l'uomo era stato assunto dalla terra e se d'altra parte non poté riferirsi ad una iniquità il fatto che l'uomo fosse assunto dalla terra, senza dubbio la causa per cui l'uomo, il quale non era eterno, si dissolvesse nella sua parte corporale, non fu una sua iniquità, ma fu la sua natura mortale. Dunque quella sterilità degli alberi, quella ubertosità delle spine, quella calamità maggiorata di un parto doloroso furono inferte alle persone umane, non al genere umano. Inoltre, nati già Caino e Abele, ambedue della medesima natura ma di volontà diverse, né a Caino peccante spontaneamente recò giovamento il non essere stato pressato dai peccati del padre, né ad Abele recò nocumento il delitto commesso dai suoi genitori, ma l'uno e l'altro con il proprio giudizio mostrarono con diverso proposito e con diverso risultato di non aver avuto dentro se stessi nessuna prevenzione naturale né di virtù né di vizio. Esercitando appunto l'ufficio di sacerdoti offrirono sacrifici a Dio, loro Creatore. Ma la parità dell'ossequio fu differenziata dalla disparità della diligenza. Lo palesò la sentenza di Dio, il quale mostrò il suo gradimento per l'offerta di Abele e indicò all'irritato Caino la causa del suo sdegno, dicendogli che aveva offerto bene, ma spartito male. E senza indugio quell'animo indegno scoppiò di livore e, depresso dalla santità del fratello, gratifica all'invidia un parricidio. Così alla prima occasione si rese chiaro che non è un male la morte, perché ne fece la dedicazione, primo tra tutti, un giusto. Né tuttavia sfuggì all'ira di Dio l'arroganza di quell'animo malvagio. È interrogato sul fratello, è incolpato di delitto, è condannato al castigo e, oltre a quel terrore che incombeva su lui come contrassegno della sua crudeltà, viene punito anche con la maledizione della terra: Sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano bevve il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai la terra, essa non ti darà più i suoi prodotti. ( Gen 4,3-12 ) Ecco di nuovo la sterilità della terra si impone come pena al suo coltivatore. Ma innumerevoli castighi di questo genere si minacciano nel Deuteronomio. Che dunque? I prunai delle nostre terre, che il coltivatore sta attento a tagliare armato di roncola, sono germogliati per il parricidio di Caino? E poiché ogni padrone di un campo spinoso è ritenuto da voi soggetto al peccato che fu punito con la ubertosità delle spine, si dirà ormai che tutti i bambini non hanno soltanto mangiato i pomi, sebbene nascano senza denti, ma che hanno anche versato il sangue di Abele? Appare certamente a quale furore di follia giunga la traduce dei manichei. E poiché questa traduce non ha null'altro che la sua stupidità, ride dei vostri argomenti la gravità dei cattolici, ma il sentimento dei medesimi piange sulle vostre rovine. Agostino. Evidentemente non ottiene nulla la tua tanto diuturna e operosissima discussione sulla pena del primo uomo se non che, dopo aver attenuato questa punizione, sia attenuata anche la stessa colpa che fu condannata con questa punizione. E tu lo fai a causa delle parole che ti sei proposto di confutare dal mio libro, al quale stai rispondendo. Ivi ho detto: Quel peccato dunque che nel paradiso mutò in peggio l'uomo stesso, poiché è molto più grande di quanto possiamo giudicare noi, è contratto da ogni nascente. Perché dunque non sembri un grande peccato da aver potuto la natura per esso mutarsi in peggio, tu sostieni che è leggero e quasi nullo il castigo che meritò. Da qui viene che la maledizione della terra nelle opere del prevaricatore tu la distorci secondo la pravità del tuo dogma: da qui viene che delle spine e dei triboli asserisci fatta l'istituzione anche prima che l'uomo peccasse, benché Dio non li nomini tra le sue primordiali istituzioni, ma li commini nella punizione del peccatore; da qui viene che il sudore del lavoro, perché sembrasse non abbastanza pertinente alla pena, lo hai detto anche un giovamento naturale, volto cioè a ricreare con il sudore le membra di coloro che lavorano, come se dicendo quelle parole Dio non irrogasse una pena per il peccato, ma desse per giunta un premio. Sebbene diremmo giustamente questo, se tu lodassi il sudore della fatica così da dirla istituita allora. Ma affermi ora che, anche prima del peccato, l'uomo fu collocato nel paradiso in condizione da non essere senza fatica nel lavorare la terra, quasi che non potesse quella fermezza del corpo e quell'assensa di ogni infermità compiere, non solo senza fatica ma anche con la voluttà dell'animo, un lavoro che poteva dilettare l'uomo. Ma per quale ragione tu lo abbia detto non lo hai potuto occultare. Parli appunto apertissimamente quando aggiungi: Quale novità diciamo che sia accaduta, se sentiva il sudore chi sperimentava la fatica del lavoro? Ma è proprio vero che ti è piaciuto così tanto introdurre nel luogo quietissimo dei beati non solo le tristezze del parto delle donne, ma anche il sudore della fatica degli uomini, da dire che, condannando Dio l'uomo, non successe nulla di nuovo all'uomo condannato? Ma è proprio vero che tu schernisca e disprezzi così tanto la severità di Dio da asserire donato naturaliter ciò che egli irrogò penaliter? Se dici che " nulla di nuovo accadde " all'uomo al quale Dio intimò: Con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane, nega che Dio abbia detto questo nell'atto di condannare l'uomo. Dirai forse: Dio condannò, sì, con queste parole l'uomo, ma all'uomo non accadde per questo nulla di nuovo? Dunque Dio condannò l'uomo, ma l'uomo non fu condannato? Andò a vuoto l'impeto della vendetta, come se Dio abbia scagliato il dardo e non abbia potuto ferire l'uomo che volle ferire? Anzi tu dici: E fu condannato e non gli capitò nulla di nuovo! Qui è difficile trattenere il riso. Se infatti fu condannato e non gli capitò nulla di nuovo, soleva dunque essere condannato e perciò soleva anche peccare: infatti non sarebbe stato condannato ingiustamente. O, poiché nessuno dubita che sia stato quello il primo peccato di Adamo, soleva forse prima di allora essere condannato ingiustamente? Tu infatti non hai confessato che all'uomo, come hai detto della partoriente, successe almeno questo di nuovo: gli fu accresciuto il sudore della fatica, così come alla donna il dolore del parto. In questo modo infatti, con questa addizione che prima non ci fu, concederesti che sia accaduto all'uomo qualcosa di nuovo. Ma quando dici: Che cosa gli successe di nuovo?, parlando di uno che tuttavia riconosci essere stato condannato, che altro affermi se non che soleva essere condannato così? O se non diciamo solito ad accadere se non ciò che conosciamo accaduto frequentemente, è certo necessario che tu conceda che almeno una volta sia stato precedentemente condannato così l'uomo a cui asserisci che non accadde nulla di nuovo con l'esser condannato così. Dove tu vedi in quali precipizi ti sia spinto. Ritorna dunque indietro dal precipizio della tua laboriosa discussione e non voler introdurre le fatiche e i dolori nelle sedi dei felici gaudi e nel luogo della quiete ineffabile. Che combini poi tentando di mettere dentro al paradiso anche la morte corporale così da dirla promessa o piuttosto indicata al prevaricatore come un beneficio nelle parole di Dio: Sei terra e andrai nella terra, quasi che l'uomo ignorasse di esser stato creato così da esser morituro, sia che peccasse, sia che non peccasse, e quasi che Dio abbia donato all'uomo questa scienza quando lo condannò per l'iniquità commessa? Esaminando appunto queste parole di Dio dove dice: Con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane, finché tornerai alla terra dalla quale sei stato preso; poiché sei terra e andrai nella terra, tu commenti: Sicuramente questa ultima parte della sentenza, come la sentenza della donna, serve da notificazione, non da punizione; anzi, come indica il contesto, essa consola l'uomo. Poiché infatti, tu prosegui, aveva menzionato prima i dolori, i lavori, i sudori, dei quali la natura aveva ricevuto l'esperienza e la persona l'eccedenza, perché non sembrasse che ciò si sarebbe esteso in eterno, l'indicazione di un termine mitiga la tristezza, come se dicesse: Non sempre però patirai cotesti mali, ma finché ritornerai alla terra dalla quale sei stato preso; perché " sei terra e andrai nella terra". Dicendo queste parole ti sforzi di persuadere che l'uomo fu certamente creato tale che, se anche fosse rimasto nella rettitudine della vita in cui fu creato, tuttavia per la necessità della sua natura mortale, un giorno sarebbe morto; ma ciò non gli fu indicato se non nel momento della sua condanna, perché la sua punizione, non reputandosi eterna, ricevesse un sollievo dalla promessa della sua fine. Avrebbe dunque reputato Adamo di non esser morituro, se non glielo avesse indicato Dio; ma Dio non glielo avrebbe indicato, se non ci fosse stata la necessità di condannarlo come peccatore. Sarebbe rimasto dunque in questo errore di credersi eterno o non mai morituro, se per merito del peccato non fosse giunto alla sapienza con la quale l'uomo conosce se stesso. Senti o non senti che cosa tu dica? Prendi un altro punto. Senza dubbio Adamo, non sapendo di essere morituro, e certamente non lo avrebbe saputo se non avesse peccato, tuttavia, se non avesse voluto peccare, sarebbe stato beato anche non sapendo di esser morituro, e pur credendo il contrario della verità non sarebbe stato misero. Ascolti o non ascolti che cosa tu dica? Prendi anche un terzo punto. Se durante il periodo della sua giustizia Adamo credette di non essere morituro nemmeno corporalmente, qualora non avesse minimamente violato il precetto di Dio, ma venne a sapere di essere morituro quando lo violò, noi crediamo ciò che Adamo credeva quando era giusto, ma voi credete ciò che Adamo non meritò di conoscere se non quando divenne ingiusto. Il nostro errore sta dunque dalla parte della giustizia di Adamo e la vostra sapienza sta dalla parte della iniquità di Adamo. Capisci o non capisci che cosa tu dica? Prendi anche un quarto punto. Se a quell'uomo beato e giusto Dio non indicò la morte futura del suo corpo, ma la indicò a lui quando egli diventò misero e peccatore, è più congruo credere che Dio abbia voluto affliggere Adamo anche con il timore della morte, giudicandolo evidentemente degno pure di questo castigo. Come infatti grida la natura stessa, si teme più la morte delle fatiche: faticano appunto tutti gli uomini per non morire, se ad essi si propone tale opzione di morire subito se non faticano: ma quanto è raro chi preferisce morire piuttosto che faticare! Inoltre lo stesso Adamo preferì faticare per tanti anni, piuttosto che non faticando e morendo di fame terminare insieme la vita e la fatica. Infatti per quale altra sensibilità naturale anche Caino ebbe più paura della morte che della fatica? Per quale altra sensibilità attraverso giudizi non iniqui né disumani i giudici condannano i crimini minori con la fatica nelle miniere metallifere e i crimini maggiori con la morte? Donde poi si onorano con tanta gloria i martiri che sono morti per la giustizia, se non perché disprezzare la morte è una virtù più grande che disprezzare la fatica? Per cui il Signore non dice: Nessuno ha un amore più grande di faticare, ma dice: di dare la vita per i propri amici. ( Gv 15,13 ) Se dunque è una carità maggiore morire per gli amici che faticare per loro, chi è tanto cieco da non vedere che la pena della fatica è minore della pena della morte? O se l'uomo deve temere la fatica più della morte, in che modo non è misera la natura stessa che teme la morte più della fatica? E tu, non pensando a questa verità, dici che l'uomo fu consolato dalla indicazione della sua morte, che non gli faceva reputare eterna la sua fatica. Mentre, se fosse vero il vostro dogma con il quale affermate Adamo morituro, anche se non avesse peccato, per questo, prima che Adamo cominciasse ad essere afflitto dalla pena della condanna, dite che non gli si doveva indicare la sua morte futura, perché Dio non lo tormentasse con il timore della morte prima che avesse peccato; ma giudicandolo ormai dopo che peccò degnissimo della pena, gli indicasse anche che era morituro, e gli accrescesse così pure con il timore della morte la medesima pena il giusto Dio, v del male commesso. Quindi chiunque queste parole di Dio, con le quali fu punito Adamo quando fu detto: Sei terra e andrai nella terra, le intende secondo la fede cattolica, né vuole introdurre nel paradiso la morte del corpo principalmente per non introdurre anche le malattie, che vediamo affliggere i morenti con tanta miserabile varietà, ed essere costretto nei riguardi del paradiso della voluttà santa, del paradiso della felicità spirituale e corporale, al quale non vi vergognate di essere contrari, a riempirlo di dolori, di fatiche, di tristezze, come siete costretti a riempirlo voi senza sapere in che modo uscirne finché non volete mutare un dogma tanto empio; chiunque, come ho detto, queste parole di Dio le prende e le intende secondo la fede cattolica, come discerne la pena della fatica dov'è stato detto: Con il sudore del tuo volto mangerai il tuo pane, così discerne anche la pena della morte dove di seguito si dice: Finché ritornerai alla terra dalla quale sei stato preso; poiché sei terra e andrai nella terra; e lo prende detto come se fosse detto: Io certamente ti presi dalla terra e ti feci uomo e ben avrei potuto far sì che la medesima terra, fatta vivente da me, non fosse mai costretta ad essere priva della vita che io le diedi; ma poiché sei terra, cioè hai voluto vivere secondo la carne che fu presa dalla terra e non secondo me che ti presi dalla terra, faticherai sulla terra finché ritornerai ad essa, e ritornerai alla terra perché sei terra, e per una giusta pena andrai nella terra dalla quale sei stato fatto, perché non hai obbedito allo Spirito dal quale sei stato fatto. Questo modo di intendere si riconosce sano e cattolico, principalmente dal fatto che non costringe a riempire di morti la terra dei viventi e a riempire la terra degli uomini felici di tutti i mali più laboriosi e più gravosi, che gli uomini in questo corpo corruttibile patiscono e dai quali sono spinti a morire, se non ce la fanno a sopportarli. Non potete dire infatti che nel paradiso gli uomini sarebbero morti dolcemente, se nessuno avesse peccato, perché anche questo è contro di voi. Se infatti morivano dolcemente allora e muoiono tanto aspramente ora, a causa del peccato dell'uomo è stata mutata la natura umana: il che negando, voi siete conseguentemente costretti ad inserire dentro il luogo di quella così grande felicità e giocondità le morti tali e quali assolutamente sono adesso, e per questo anche le innumerevoli specie di malattie, tanto gravi e tanto insopportabili da spingere gli uomini alla morte. La quale faccia del paradiso, se soffonde e confonde le vostre facce di un qualche pudore, voi che non volete confessare che la nostra natura poté esser mutata dal peccato, mutate piuttosto la vostra sentenza e confessate con l'Apostolo che il corpo è morto a causa del peccato; ( Rm 8,10 ) dite con la Chiesa di Dio: Dalla donna ebbe inizio il peccato e per causa sua tutti moriamo. ( Sir 25,24 ) Riconoscete con la Chiesa di Dio che un corpo corruttibile appesantisce l'anima. ( Sap 9,15 ) Prima infatti del peccato nel paradiso il corpo non era tale da appesantire l'anima. Cantate con la Chiesa di Dio: L'uomo è diventato simile ad una cosa vana, i suoi giorni passano come un'ombra. ( Sal 144,4 ) Né infatti colui che fu fatto a somiglianza di Dio, se non per il peccato sarebbe diventato simile ad una cosa vana, così che i suoi giorni passassero come un'ombra con il correre delle età e con l'incorrere nella morte. Non vogliate diffondere sulla luce serenissima della verità le nubi del vostro errore: i cuori dei fedeli non devono rendere amaro il paradiso di Dio che essi devono amare. Dove vi offende infatti, vi prego, dove vi offende quel memorabile luogo degli uomini beati e quieti da volerlo voi ad occhi chiusi, con fronte impudentissima, con mente ostinatissima, con lingua loquacissima riempire delle morti degli uomini e per via di esse riempirlo di tutti i mali dei quali vediamo abbondare le angustie e le necessità dei morenti, per non essere costretti a confessare che in queste miserie, delle quali vedete colmo il genere umano cominciando dai vagiti dei bambini fino agli ansimi dei decrepiti, la natura umana precipitò a causa del massimo peccato del primo uomo? E poiché considerate ingiusto che la pena dei padri passi nei posteri senza la colpa, concedete che sia passata anche la colpa. Che massima sia stata appunto la colpa del primo uomo, che tu hai tentato di attenuare quanto più hai potuto, perché non si credesse che a causa di essa abbia potuto essere mutata la natura umana; che dunque quella colpa sia stata massima lo provo non solo dalle stesse miserie del genere umano che cominciano con le culle degli infanti, ma anche da te stesso. Tu pure infatti nel secondo libro di questa tua opera riponesti la massima forma del peccato nel primo uomo, perché risaltasse nel senso opposto la massima forma della giustizia nel Cristo. Di averlo detto mi sembra che tu ti sia dimenticato: infatti, se tu ne fossi stato memore, mai certamente tenteresti con tanta loquacità si sminuire il peccato di Adamo. Ma io dimostro che quel peccato fu il peccato più grande dalla grandiosità della sua stessa pena: non c'è infatti per Adamo una pena maggiore dell'esser scacciato dal paradiso e dell'essere separato dall'albero della vita perché non vivesse in eterno, con l'aggiunta anche delle angosce di questa vita così che i suoi giorni e gemessero nelle fatiche e passassero come un'ombra. Per certo la stessa calamità ereditaria del genere umano, dagli infanti ai vecchi, rende testimonianza. Le quali miserie non avrebbero carattere punitivo se non si traessero dal contagio del peccato. Sul quale contagio tu combatti ostinatamente contro di noi e, perché non si creda in esso, tu e attenui lo stesso peccato del primo uomo e il suo castigo, e con l'impeto più sfacciato ed empio tenti di introdurre nel paradiso i dolori, le fatiche, le morti. Tu dici pure: Se la terra è maledetta di proposito perché resti punito chi aveva peccato, né tuttavia l'iniquità è dov'è la maledizione, per quale ragione, in forza di tale condizione, anche se si insegnasse che un qualche danno sia stato inferto alla nostra natura dopo il peccato del primo uomo, non seguirebbe tuttavia che per questo siano miseri i nascenti perché si abbia la prova che sono rei, ma perché con la commemorazione del primo peccato la punizione susseguente intimasse agli uomini, che il primo peccato non aveva resi rei, la prudenza di evitare una cattiva imitazione? Vedo da quali angustie tu sia pressato. Sei costretto a confessare le miserie dei nascenti, perché ti fa violenza l'evidenza della realtà che non puoi negare, posta com'è sotto gli occhi di tutti. Ma vuoi asserire che queste miserie dei nascenti sarebbero esistite anche nel paradiso, se nessuno avesse peccato. Ti accorgi però che non puoi convincere di ciò gli uomini che abbiano appena un po' di cuore. Rimane quindi che tu confessi che il genere umano sia diventato misero a causa del peccato del primo uomo. Ma, avendo paura di dirlo in modo assoluto, scrivi: Se si insegnasse che un qualche danno sia stato inferto alla nostra natura dopo il peccato del primo uomo. Che cos'è quel tuo: Se si insegnasse? Non si insegna forse questa verità manifestissima, che anche tu ti senti già costretto a condividere? Dobbiamo forse ritornare al punto dal quale mediti di sfuggire di soppiatto attraverso queste tue parole, comprendendo con quanto intollerabile assurdità si crederebbe che le miserie dei nascenti sarebbero state future anche nel paradiso, se nessuno avesse peccato? Se provi orrore nel dirlo, poiché è fortemente orrendo, per quale ragione scrivi: Anche se si insegnasse, mentre si insegna senza nessuna esitazione non che un qualche danno, ma che tutti i danni dei nascenti sono stati inferti alla nostra natura dopo il peccato del primo uomo, anzi a causa del peccato del primo uomo? Ma tu dici: Non per questo sono miseri i nascenti perché si abbia la prova che sono rei. Nemmeno io dico: I nascenti per questo sono miseri perché si abbia la prova che sono rei; ma dico piuttosto: Da questo si ha la prova che sono rei, dal fatto che sono miseri. Giusto è infatti Dio: una verità che tu ripeti insistentemente contro di te, e non lo sai. Giusto, dico, è Dio, e quindi, se non li sapesse rei, non lascerebbe che i nascenti né nascessero miseri né diventassero miseri. Onde non altrimenti intende la fede cattolica ciò che dice l'Apostolo: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, e così passò in tutti gli uomini, che tutti peccarono in lui. ( Rm 5,12 ) Il che non volendo tu riferire al nesso della origine, tenti di storcerlo alla imitazione dell'esempio, e conseguentemente quando ti si dice: Per quale ragione dunque le miserie del genere umano sono testimoniate fino dall'esordio stesso della loro incipiente età con i loro innumerevoli e diversi mali dai bambini che non hanno peccato con nessuna imitazione? Tu, come se fossi travolto da un gravissimo e irrefrenabile rigetto di stomaco, ti rovesci con questi vomiti dicendo: Non perché sono rei coloro che nascono, per questo sono miseri; ma perché ammoniti da questa miseria si guardino dall'imitare il peccato del primo uomo. Così infatti io ho creduto di dovere dire in modo più piano ed esplicito ciò che tu hai detto più oscuramente e involutamente. Ma comunque tu lo dica, chi non vede che, per l'animosità di difendere la tua opinione, non vuoi stare minimamente attento a quali spropositi tu dica? Per questo forse, ti chiedo, gli uomini in stato d'innocenza avrebbero dovuto esser colpiti dalla miseria, non per un qualche peccato che avessero, ma perché non l'avessero? Avrebbe dovuto dunque anche Eva diventare misera prima che rea, perché dalla sua miseria fosse ammonita a non consentire al serpente. Avrebbe dovuto anche Adamo essere punito prima dal male della miseria per non consentire alla moglie sedotta nel male del peccato. Piace infatti a te che i peccati siano impediti da pene precedenti e non repressi da pene susseguenti, e così inversamente non il reato ma l'innocenza si punisca, non perché si è peccato, ma perché non si pecchi. Correggi per favore la tua sentenza, pervertita e invertita, perché certamente ravverseresti la tua tunica, se tu indossassi per caso la parte destra della veste nella tua parte sinistra. L'ho detto questo, perché tu vuoi che con pene preventive si impedisca ai peccati di seguire, mentre è consueto e doveroso che si puniscano con castighi susseguenti i peccati precedenti. Di' inoltre a noi in che modo ammonire a guardare alla loro miseria, perché non imitino il peccato del primo uomo, gli infanti colpiti dalle calamità, i quali non possono ancora né imitare qualcuno, né essere ammoniti. Infatti per quale ragione non tieni conto che la terra maledetta, donde prendi l'esempio per questo tuo deliramento: i nascenti poterono esser fatti miseri perché evitassero i peccati dei loro genitori, sebbene non traggano da essi il peccato originale, così come la terra fu maledetta a castigo dell'uomo, sebbene essa non abbia colpa, la terra dico come non ha colpa, così non ha pena da quella maledizione, ma quando è maledetta diventa essa stessa una pena dell'uomo che ha peccato? I nascenti invece nell'essere miseri sentono essi stessi le loro miserie; essi stessi, senza contrarre secondo la vostra opinione nessun peccato, sopportano pene certamente immeritate, se questa è la verità, pur non essendo ancora capaci, come ho detto, né di alcuna ammonizione, né della imitazione del peccato del primo uomo, per la quale dovrebbero essere ammoniti. Si deve forse aspettare che crescendo giungano al libero arbitrio, quando sentano chi li ammonisce e intuendo la loro miseria non imitino l'altrui colpa? Ma dove mettiamo così tanti bambini che fino al giorno della loro morte ignorano chi sia stato Adamo o quale peccato abbia commesso? Dove poniamo i così tanti bambini che muoiono prima di arrivare all'età in cui sentano uno che li ammonisca? Dove poniamo coloro che nascono con una intelligenza tanto insipiente e tanto fatua che nemmeno da grandi possano essere ammoniti di qualcosa di simile con qualche frutto? Evidentemente tutti questi sono colpiti da una così grande miseria senza nessun merito, senza nessuna utilità. Dov'è la giustizia di Dio? Alla quale se tu pensassi, mai crederesti che i nascenti siano tanto miseri senza nessun merito di un peccato originale. Ma poiché tu hai parlato al condizionale e infatti non hai detto: Poiché s'insegna, ma hai detto: Se s'insegnasse che un qualche danno sia stato inferto alla nostra natura dopo il peccato del primo uomo, sei pronto, come giudico, a dire: Non s'insegna. E per questo resta che tu dica che i mali che vediamo sofferti dai bambini sarebbero esistiti anche nel paradiso, se nessuno avesse peccato, per non confessarli sorti a causa del peccato del primo uomo. Così, mentre cerchi di evitare questi nodi e di sgusciare labile dalle nostre mani, starai immobile di contro al paradiso, al quale sei così contrario da metterci dentro, con faccia sfrontatissima e con fronte perversissima, a turbarne la felicità e la quiete, i dolori delle partorienti, le fatiche degli operai, le agitazioni dei malati, le malattie dei morenti. Ma a lode della morte credi di aver trovato qualcosa di grande da dire, cioè: Alla prima occasione si rese chiaro che non è un male la morte, perché ne fece la dedicazione per primo tra tutti un giusto. Renditi conto dunque che il giusto Abele non avrebbe avuto da dedicare la morte, se l'ingiusto Caino non avesse costruito l'edificio della morte. Iniziatore appunto ed esecutore di quella morte fu Caino, non Abele. Dedicò dunque la morte colui che la fabbricò. La morte infatti di quell'uomo buono fu un'opera mala di un uomo malo. Quanto ad Abele che sopportò il male per il bene, egli non dedicò la morte, ma il martirio, portando l'immagine di Gesù che fu ucciso dal popolo dei Giudei come da un suo cattivo fratello carnale. Glorioso pertanto Abele, non perché prese dal fratello qualcosa di buono, ma perché morendo pazientemente per la giustizia fece un uso buono del male di Caino. Infatti come per l'uso cattivo che fanno del bene della legge sono puniti i prevaricatori, così all'opposto per l'uso buono che fanno del male della morte sono coronati i martiri. Perciò, se non disdegni di affermare ciò che ti vedo ignorare, la morte è mala per tutti i morenti, ma tra i morti per alcuni è mala, per alcuni è buona. Seguirono questa dottrina anche coloro che misero in scritto lodevoli discussioni sulla bontà della morte. La morte dunque del giusto Abele che abita nella requie non solo non è mala, ma è anche buona. Tu invece non hai introdotto nel paradiso la requie dei buoni che sono morti, ma i tormenti dei morenti, perché nel paradiso non ci fosse la requie dei buoni. O se dici: Qualora nessuno avesse peccato, nel paradiso gli uomini sarebbero morti senza tormento, almeno per il fatto che fuori del paradiso non muore quasi nessuno senza tormento, finalmente, sconfitto e sconvolto, confessa che la natura umana è stata mutata in peggio dal peccato del primo uomo. 28 - La maledizione del serpente Giuliano. Che si dirà infine del serpente stesso? La tua opinione è che con quella maledizione sia stato punito il diavolo o questo rettile comune? Cioè giudichi che quella sentenza rivolta al serpente: Sii maledetto da tutti gli animali e da tutte le bestie che sono sopra la terra: camminerai sul petto e sul ventre e mangerai polvere per tutti i giorni della tua vita, ( Gen 3,14 ) si sia adempiuta nel castigo del diavolo o di quella bestia che i calori primaverili fanno uscire dalle cavità? Se lo vedi nel castigo di questa serpe comune, che secondo la sua specie si allunga in un corpo snodato, e se dici che per merito di quella colpa la serpe divenne terrifaga, allora anche su tutte le bestie incombe la traduce della iniquità, che tu reputi non deducibile se non mediante la libidine di coloro che si accoppiano, e ne segue che tu asserisci impiantata dal diavolo anche la libidine dei serpenti e già per questo degli animali irragionevoli, e, riscoperta la sentenza di Manicheo, tu ci squittisci il suo carme. Se invece confessi compiuto spiritualmente nel diavolo tutto quello che si dice al serpente, sarai senza dubbio d'accordo su questi punti: né ciò che ivi si proferisce a condanna è indizio di serpenti che adesso siano rei; né il diavolo mangia materialmente la terra; ma, sebbene il diavolo abbia ghermito a suo servizio un serpente e sebbene poi la severità del Padre abbia spezzato quella specie di giavellotto di cui si era servito per ferire l'uomo, tuttavia il peccato ebbe sede soltanto nella volontà di colui che agì. I cibi poi e le spine e i sudori furono prima istituiti per natura e dopo in alcuni casi furono maggiorati per punizione, ma arrivarono alla nostra età senza la stranezza di quel peccato. Queste sono verità tanto aperte da non aver bisogno affatto di una trattazione più lunga. Agostino. Cos'è questo tuo contorcere anche sul tema del serpente le tue astuzie viperine? Chi infatti, intendendo nel modo giusto le parole del libro divino da te ricordate, non vede che quella sentenza fu promulgata contro il diavolo, il quale si servì del serpente per quello che volle e come poté, piuttosto che contro lo stesso animale terreno, qualunque esso fosse? Ma poiché il diavolo non operò da se stesso le sue seduzioni verbali, bensì per mezzo del serpente, per questo Dio parlò al serpente dicendo quello che convenisse a significare la malizia del diavolo, e fosse la natura del serpente la figura del diavolo. Perciò tutte le parole dette da Dio al serpente: Sii maledetto da tutti gli animali e da tutte le bestie che sono sopra la terra; camminerai sul petto e sul ventre e mangerai polvere per tutti i giorni della tua vita, e tutte le altre parole, tanto meglio si intendono e tanto meglio si spiegano quanto più congruamente si applicano al diavolo. Ma poiché anche secondo la retta fede sono soliti farsi tuttavia su queste parole molte discussioni, né adesso è pertinente alla causa che io manifesti quale sia l'opinione da me preferita, basta che io ti risponda che la natura del diavolo non è assolutamente pertinente alla connessione e alla successione della propaggine, dove si tratta la questione del peccato originale. Circa le spine e il sudore di chi fatica, credo che la nostra risposta precedente riuscirà a convincere i lettori con quanta impudenza tu affermi che furono istituiti prima che si peccasse. Volete appunto fare un paradiso di tal genere che esso non si dica per nessuna ragione il paradiso di Dio, ma il paradiso vostro. Ma tuttavia, sebbene tu abbia detto che le spine furono istituite prima del peccato, non hai osato introdurle nel paradiso, anzi hai detto espressamente che non ci furono nel paradiso, dove hai pur voluto mettere la fatica, il cui peso, benché non punga, opprime. Ma comunque, se anche a te piace che le spine non si addicano al paradiso, è mai possibile che alla natura umana, di esser prima là dove non ci sono le spine e di esser adesso là dove ci sono le spine, accadesse senza nessuna mutazione della beatitudine nella miseria o sia accaduto senza nessun merito di peccato? Vi costringa dunque a riconoscere il peccato originale almeno un tale castigo quale voi non avete potuto negare, se non credete che Dio sia ingiusto. 29 - Eccoti altro sul medesimo argomento del parto Giuliano. Tuttavia perché non sembri che abbiamo tralasciato qualcosa per negligenza, eccoti altro. È noto che il dolore dei parti varia secondo i corpi delle partorienti e secondo le loro forze. Certamente le femmine dei barbari e dei pastori, indurite da una vita movimentata, partoriscono con tanta facilità in mezzo alle loro peregrinazioni da prendesi cura dei loro neonati senza interrompere la fatica del cammino e da trasportarli subito con sé: non indebolite affatto dalla difficoltà del parto, trasferiscono sulle loro spalle i pesi del loro ventre, e generalmente l'indigenza delle femmine di umile condizione non cerca l'assistenza delle levatrici. Ma all'opposto le donne facoltose sono rese fiacche dalle comodità e quanti più parti travagliati ciascuna di esse abbia avuti, tanto più impara e tende ad ammalarsi e si reputa bisognosa di tanti riguardi quanti sono quelli di cui sovrabbonda. È sicuro che la mano dei mariti ricchi non sperimenta nei rovi la tribolazione del primo uomo. Anzi, fiduciosi nelle loro disponibilità, reputano indegno di sé spendere qualche momento nelle cure della fertilità; mantenendosi fuori dalla paura anche della fame con la dilatazione dei loro possedimenti, a volte comandano, come dice il poeta: Stacca i bovi, mentre metti a dimora le patate. Dunque se anche il dolore delle partorienti appartiene alle istituzioni della natura, come è stato ben insegnato e dall'esempio degli animali bruti e dal senso proprio della sentenza divina; se la perdita dei frutti e la nascita delle spine sono state certamente create in mezzo a tutte le altre creature, ma sono diventate più frequenti e più moleste per alcune persone; se poi anche la spinosità delle terre varia secondo i corpi e secondo le regioni, come la stessa difficoltà della partoriente; se in ultimo il travaglio perdura nelle viscere delle femmine dopo la grazia del battesimo, mentre lo ignora completamente il fasto delle donne opulente; se è stato spiegato per quale ragione sarebbe seguita la dissoluzione del corpo, connessa più con le membra che con gli errori dei peccati, allora appare anche qui che tutto è in accordo con la verità dei cattolici e che non giovano a voi per nulla né le femmine né le spine. Agostino. Nel trattare della punizione che Dio inflisse ai primi peccatori già da un pezzo eri passato oltre la donna, dicendo: Bastino queste discussioni sulla donna. Perché dunque non hai mantenuto fede alla tua promessa? Ecco che dopo le tante discussioni ritorni alla donna, ecco che non bastano alla tua loquacità le discussioni di cui avevi detto: Bastino le discussioni sulla donna. Ma se tu non fossi quel verboso che sei, di che riempiresti gli otto libri che rendi ad uno solo dei miei? Ma di' ciò che ti piace: ecco, dopo la sufficienza promessa abbiamo ascoltato pazientemente anche la tua sovrabbondanza. Perché infatti avresti dovuto perdere le intuizioni tanto graziose che ti sono venute in mente dopo? Per quanto, ti doveva venire in mente di togliere dal tuo libro che avevi ancora tra le mani anche le parole: Bastino queste discussioni sulla donna, perché i lettori non ti trovassero così indecentemente contrario alla tua promessa. Ma va' avanti, tira fuori contrariamente alla sufficienza promessa le idee che hai pensate più tardi. Di' che la fatica dei parti varia secondo i corpi delle partorienti e secondo le loro forze, e descrivi le donne barbare e rusticane nella loro facilità di partorire, così da non sembrare nemmeno che partoriscano e così da non sentire nel partorire, non poco dolore, ma nessun dolore. Il che, se sta così, che ti giova? Non parli forse contro te stesso che tali doglie hai detto tanto naturali da non poter Eva partorire senza di esse, anche se fosse rimasta rimaneva nel paradiso per non aver commesso nessuna iniquità? Sei forse disposto a dire che le tue donne barbare e rusticane siano in questo più fortunate di quella prima donna da partorire senza dolore su questa terra disgraziata, come non lo poteva Eva nel paradiso se vi avesse partorito? Quasi che in coteste tue donne la natura femminea sia stata mutata in meglio da come era stata istituita e nel mutarla sia stata più efficace l'esercitazione umana che nel crearla l'operazione divina. Se poi nelle tue parole non vuoi far intendere che le donne fiere e selvagge partoriscano senza dolori e concedi ad esse un parto così tollerabile e facile da ammettere tuttavia che esse soffrano quando partoriscono, è forse nulla la loro pena perché è minore? Sia dunque che abbiano coteste donne quando partoriscono doglie minori, sia che sopportino in maniera ammirevole per la fortezza acquisita con l'esercizio doglie uguali a quelle delle altre donne o maggiori a quelle di alcune di esse, né da quel travaglio risentano stanchezza e languore, esse tuttavia hanno le doglie e certamente tutte le donne che le hanno, sia che soffrano di più sia che soffrano di meno, patiscono pene maggiori o minori, ma tuttavia patiscono pene senza nessun dubbio. Ma tu, se ti pensassi, non dico un cristiano, bensì un uomo comune qualunque, troveresti più facile sostenere che non c'è nessun paradiso di Dio, che farlo penale con la tua sacrilega discussione. Elegantemente davvero tu difendi i ricchi dalla fatica ereditaria del primo uomo, ignorando o fingendo di ignorare che i ricchi, per le loro preoccupazioni, soffrono più amaramente che i poveri per le loro occupazioni. Con il nome appunto di sudore la sacra Scrittura ha significato la sofferenza in genere, dalla quale non è esente nessuno, perché gli uni soffrono con le operazioni dure e gli altri con le angustianti cure. Alle medesime sofferenze appartengono pure gli studi di tutti coloro che vogliono apprendere. E quale terra partorisce tali spine se non questa terra, che il suo formatore non aveva fatto onerosa, quando creò il primo uomo? Adesso invece, secondo quello che è stato scritto, un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla grava la mente dai molti pensieri. A stento ci raffiguriamo le cose terrestri e scopriamo con fatica quelle a portata di mano. ( Sap 9,15-16 ) Siano dunque utili o siano inutili le dottrine che un uomo si studia d'imparare, è necessario che egli soffra, perché un corpo corruttibile appesantisce l'anima. Perciò anche così questa terra gli partorisce spine. Né si dica che i ricchi sono esenti da queste spine, soprattutto perché nel Vangelo quelle spine, da cui sono soffocati così da non raggiungere la fecondità i semi seminati, spiegò che sono le cure di questa vita e le ansie delle ricchezze il Dio maestro, ( Mt 13,22 ) che chiama certamente non solo i poveri, ma anche i ricchi, quando dice: Venite a me voi tutti che siete affaticati. A che cosa li chiama se non a ciò che dice dopo: E troverete ristoro per le vostre anime? ( Mt 11,28-29 ) Quando sarà questo, se non quando non ci sarà più la corruzione dei corpi che adesso appesantisce le anime? Ma ora sono affaticati i poveri, sono affaticati i ricchi, sono affaticati i giusti, sono affaticati gli iniqui, sono affaticati i grandi, sono affaticati i piccoli dal giorno che escono dal seno della loro madre fino al giorno del seppellimento nel seno della madre di tutti. È appunto tanto maligno questo secolo che senza uscire da esso non ci potrà essere per noi la requie promessa. Sebbene la fatica sia sopravvenuta sui discendenti del primo uomo per la sua prevaricazione, tuttavia, anche sciolto già il reato di quella prevaricazione da noi contratto, la fatica rimane a scopo di combattimento, perché abbia il suo corso l'esame della fede. È necessario infatti che noi combattiamo contro i vizi e che fatichiamo nello stesso combattere, finché ci sia concesso di non avere più nessun avversario. Lo scopo per cui le punizioni sono convertite in competizioni è che i buoni combattenti siano condotti alle premiazioni. Anche le fatiche dei bambini, sciolto il reato originale, rimangono, sebbene si insegni che sono sorte dallo stesso reato, per questa ragione: anche così piacque a Dio di provare la fede dei grandi dai quali i bambini gli sono offerti perché siano rigenerati. Quale e quanta sarebbe la fede delle realtà invisibili, se alla fede seguisse immediatamente la ricompensa invisibile e, differita la requie promessa, non ci si impegnasse piuttosto nell'avventura della fede con il cuore e non con gli occhi, e così si credesse più sinceramente e si cercasse più desiosamente il secolo futuro che non vediamo ancora e dove saranno nulle le fatiche? Perciò Dio con ammirabile benignità ha convertito le nostre fatiche, ossia le nostre pene, in nostri beni. Per il desiderio di confutare queste verità tu fatichi inutilmente: fatichi infatti partorendo le spine e non svellendo le spine; noi invece fatichiamo per svellere, nella misura in cui ce lo dona il Signore, le tue spine. A meno che tu non ti vanti forse di non faticare, per questo che con grande facilità d'ingegno scrivi tanti libri, e anche tu partorisci senza difficoltà le tue spine, come quelle donne barbare e rusticane i loro feti. Ma reputo che ti vanti invano della facilità dell'ingegno. Certamente fatichi: in che modo potresti infatti scansare le fatiche tu che ti sforzi d'introdurre le fatiche anche nel paradiso? È certo infatti che quanto più impossibile si dimostra questa tua impresa, tanto più ampia e più inutile si trova la tua fatica. 30 - Immortalità minore e immortalità maggiore Giuliano. Non mi opporrò davvero a quanti pensano che Adamo, se fosse stato obbediente alla parola di Dio, avrebbe potuto essere trasferito per ricompensa alla immortalità. Leggiamo appunto che Enoch ed Elia furono trasferiti perché non vedessero la morte. Ma altro sono le istituzioni della natura e altro i premi della obbedienza. Non è infatti il merito di uno solo di tanta importanza da perturbare le istituzioni universali che siano state costituite per natura. Avrebbe quindi esercitato se stessa negli altri l'innata mortalità, anche se quel primo uomo fosse emigrato alla eternità dalla longevità. Ciò si ritiene non in forza di una congettura contestabile, ma in forza di un esempio certo: i figli di Enoch appunto non poterono essere sottratti alla condizione di morire dalla immortalità del loro padre. Né si reputi possibile eventualmente che se, non i peccatori, ma tutti i giusti arrivassero alla immortalità senza l'intervento del disfacimento corporale, perché Abele, il primo dei giusti, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe e tutte le schiere dei santi, tanto nel Nuovo quanto nel Vecchio Testamento, hanno insegnato e il loro merito con le virtù e la natura con la morte. L'assoluta certezza di questo fatto è confermata anche dall'autorità del Cristo. Egli infatti, avendogli proposto i Sadducei la questione con l'esempio di una donna settinuba e domandandogli da quale marito, se si credeva al risveglio dei corpi, doveva essere rivendicata maggiormente, rispose: Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture né la potenza di Dio. Alla risurrezione infatti non prenderanno né marito né moglie, perché non moriranno più. ( Mt 22,29-30; Lc 20,35-36 ) Consapevole della sua opera, dichiarò a quale scopo avesse istituito le nozze: cioè allo scopo che la prole riparasse i danni della morte; ma la munifica fecondità sarebbe subito cessata, appena fosse cessata la morte avara. Se dunque, per testimonianza del Cristo che la istituì, la fertilità fu creata appositamente perché essa combattesse la fragilità, e se questa condizione delle nozze fu ordinata prima del peccato, appare anche che la mortalità non appartiene alla prevaricazione, bensì alla natura, alla quale si legge che appartengono pure le nozze. Pertanto in quella legge che fu promulgata, ossia nelle parole: In qualunque giorno tu mangiassi del frutto interdetto, certamente moriresti, si intende la morte penale, non la morte corporale, la morte sospesa sui peccati e non sui semi, la morte nella quale non incorre se non la prevaricazione e alla quale non sfugge se non l'emendazione. Che poi si dica da infliggersi nel giorno del peccato è un modo di dire della Scrittura che suol chiamare condannato il condannando. Da qui viene che il Signore dica nel Vangelo: Ognuno che non crede in me è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. ( Gv 3,18 ) Non che l'infedeltà che nega il Cristo fosse già stata associata prima del tempo del giudizio al castigo perpetuo, atteso che tutti coloro che vengono alla fede sono stati prima infedeli; ma si dice che i peccati sono già punizioni, perché apparisca la censura di colui che comanda. Inoltre e quel libro che si dice Sapienza e l'opinione di molti asserisce che lo stesso Adamo fu perdonato a seguito della sua emendazione! Agostino. Se, come dici, non ti opponi a quanti pensano che Adamo, se fosse stato obbediente alla parola di Dio, avrebbe potuto esser trasferito per ricompensa alla immortalità, nella immortalità discerni l'immortalità maggiore dalla immortalità minore. Infatti non è assurdo dire immortalità anche questa immortalità minore, per la quale ognuno può non morire, se non fa ciò che lo porti a morire, sebbene possa anche farlo. In questa immortalità fu Adamo, questa immortalità egli la perse a motivo della prevaricazione. Questa immortalità gli veniva somministrata dall'albero della vita, dal quale non fu escluso quando ricevé la legge buona perché non peccasse, ma quando peccò con la sua volontà cattiva: allora infatti fu scacciato dal paradiso, perché non stendesse la mano all'albero della vita e ne mangiasse e vivesse in eterno. Donde si deve capire che Adamo fosse solito prendere da questo albero della vita un sacramento, da tutti gli altri alberi un alimento. Solo infatti dell'albero detto del discernimento del bene e del male gli fu comandato di non mangiare. Perché dunque pensare che non abbia mangiato dell'albero della vita, atteso che ed era molto migliore di tutti gli altri alberi e l'uomo aveva ricevuto il potere di mangiare di tutti, eccettuato quello soltanto in cui peccò? Queste infatti sono le parole con le quali Dio comandò: Tu potrai mangiare di tutti gli alberi che sono nel giardino; ma non devi mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male. ( Gen 2,16-17 ) E parimenti queste sono le parole con le quali Dio condannò: Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero del quale soltanto ti avevo comandato di non mangiare. ( Gen 3,17 ) Quale sarebbe stata quindi la causa per cui Adamo non si sarebbe curato di mangiare principalmente dell'albero della vita, non essendo stato escluso se non da quell'albero per la cui usurpazione peccò? Anzi, se intendiamo vigilantemente, come Adamo peccò mangiando dell'albero interdetto, così avrebbe peccato non mangiando dell'albero della vita, perché si sarebbe negato da se stesso la vita che gli era a portata di mano in quell'albero. Ma quella immortalità nella quale vivono gli angeli santi e nella quale vivremo anche noi, è senza dubbio maggiore. Non è infatti tale che l'uomo abbia certamente con essa in suo potere di non morire, come di non peccare, ma comunque possa anche morire perché può peccare; ma quella immortalità è tale che ognuno che vi si trova o vi si troverà non potrà morire, perché non potrà nemmeno più peccare. Tanto grande sarà appunto in essa la volontà di vivere bene, quanto grande è anche ora la volontà di vivere beatamente, la quale vediamo che non ce l'ha potuta togliere nemmeno la miseria. Se tu dicessi che Adamo a questa immortalità, senza dubbio maggiore, poté essere mutato per ricompensa dell'obbedienza da quella immortalità minore, senza nessuna morte intermedia, diresti qualcosa che la retta fede non deve disapprovare. Se invece lodi così l'una da negare l'altra, sei certamente costretto a riempire la faccia del paradiso con la presenza e delle morti e delle disgrazie dei morenti che li urgono a morire, non potendo sopportarle, e a sbiancare in tal modo la tua faccia da volerla sfuggire, se tu la potessi guardare in uno specchio. Per quale ragione infatti anche i posteri del primo uomo, nati nel paradiso, e non soltanto buoni ma pure beati, avrebbero dovuto esser costretti a morire, se nessuna colpa li forzava ad uscire dal paradiso dov'era l'albero della vita, e da esso veniva il sommo potere di vivere, e non c'era invece nessuna necessità di morire? Alla quale necessità di morire furono sottratti Enoch ed Elia: essi erano infatti in queste terre, dove non c'era l'albero della vita, e quindi li urgeva alla fine di questa vita la necessità della morte a tutti comune. Dove credere infatti che siano stati trasferiti se non dov'è lo stesso albero della vita, donde abbiano il potere di vivere, senza avere nessuna necessità di morire, come lo avrebbero avuto nel paradiso gli uomini nei quali non fosse sorta nessuna volontà di peccare che non li lasciasse vivere più dove nessuna equità li costringeva a morire? Per cui gli esempi di Enoch e di Elia giovano più a noi che a voi. Dio appunto in questi due personaggi fa vedere che cosa egli era pronto a concedere anche a coloro che dimise dal paradiso, se essi non avessero voluto peccare: dal medesimo luogo infatti furono cacciati Adamo ed Eva nel quale furono traslati Enoch ed Elia. E crediamo che ivi per grazia di Dio sia stato concesso a loro anche questo, di non aver motivo di dire: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 ) In queste terre infatti, dove un corpo corruttibile appesantiva la loro anima, ( Sap 9,15 ) essi combattevano un grande combattimento contro i vizi, ma in tali condizioni tuttavia che, se avessero detto di esser senza peccato, avrebbero ingannato se stessi e la verità non sarebbe stata in loro. ( 1 Gv 1,8 ) Dei quali si crede assennatamente che ritorneranno per un breve periodo di tempo su queste terre perché anch'essi combattano contro la morte e paghino ciò che è dovuto alla propaggine del primo uomo. Donde bisogna capire che coloro i quali non avessero nessun peccato e i loro figli, e rimanessero ad abitare nel paradiso con la medesima rettitudine, a maggior ragione avrebbero persistito in quella immortalità minore, finché non passassero alla immortalità più ampia senza nessuna morte intermedia, se confessiamo che tanta longevità sia stata conferita a coloro che su queste terre fuori dal paradiso erano giusti - ma in tali condizioni da non poter dire di non aver nessun peccato -, cioè ad Enoch e ad Elia. Ma il Signore, tu dici, interrogato su quella donna settinuba, confermò con la sua risposta che le nozze furono istituite perché la prole supplisse ai danni della morte, ma la munifica fecondità sarebbe cessata appena fosse cessata la morte avara. Sbagli completamente a pensare che le nozze siano state istituite perché la scomparsa dei morti fosse supplita dalla comparsa dei nascenti. Le nozze infatti furono istituite perché la pudicizia delle donne facesse i figli certi per i padri e i padri certi per i figli. Gli uomini infatti potrebbero nascere anche dall'uso disordinato e indiscriminato di donne qualsiasi; ma non ci potrebbe esser certezza di parentela tra i padri e i figli. Se invece nessuno peccava e per questo nessuno anche moriva, arrivato alla sua pienezza il numero dei santi, quanto bastava al secolo futuro, finiva il secolo presente, dove c'era la facoltà di non peccare e di peccare, e succedeva l'altro secolo, dove a ciascuno era impossibile peccare. Se infatti le anime spoglie dei corpi possono essere o misere o beate, e tuttavia non possono peccare, chi tra i fedeli negherà che nel regno di Dio, dove ci sarà un corpo incorruttibile che non appesantirà l'anima ma l'adornerà, né avrà più bisogno di alimenti, ci sarà un tale stato d'animo che di nessuno possa esserci alcun peccato, ottenendo ciò non una volontà nulla, ma una volontà buona? Il Signore dunque dove disse parlando della risurrezione: Non prenderanno né marito né moglie, perché non moriranno più, non lo disse per indicare l'istituzione delle nozze a causa di quelli che muoiono, ma perché, completo il numero dei santi, non c'era più bisogno che qualcuno nascesse dove nessuno doveva più morire. Ma, tu dici, si asserisce e dal libro della " Sapienza" e dalla opinione di molti che Adamo a seguito della sua emendazione sia stato purificato dal suo delitto, e, tuttavia, dici, morì, perché sapessimo che la morte del corpo non appartiene al castigo di quel peccato, bensì alle istituzioni della natura. Come se viceversa Davide non abbia così bene espiato con il pentimento quelle due gravi scelleratezze, ossia l'adulterio e l'omicidio, da attestargli lo stesso profeta, che lo aveva atterrito, la concessione del perdono, e tuttavia leggiamo che susseguirono i castighi minacciati da Dio, perché intendiamo che quel perdono giovò a sottrarre l'uomo, che aveva commesso mali tanto gravi, al supplizio eterno meritato per quei peccati. C'era dunque anche per il primo uomo un interesse al quale giovasse la penitenza: ossia che lo punisse una pena diuturna, non tuttavia una pena eterna. Per questo avvenne, com'è giustissimo credere, che il suo figlio, ossia il Signore Gesù in quanto uomo, quando discese negli inferi, lo sciogliesse dai vincoli della morte. Allora infatti si deve intendere che Adamo secondo il libro della Sapienza sia stato condotto fuori dal suo delitto. Ciò quel libro non lo ha detto come fatto, ma lo ha predetto come futuro, benché per mezzo di una forma verbale di tempo passato. Dice infatti così: Lo liberò dalla sua caduta, ( Sap 10,2 ) allo stesso modo in cui è stato detto: Hanno forato le mie mani, ( Sal 22,17 ) e tutti gli altri eventi che ivi si dicono futuri con forme verbali di tempo passato. Così e avvenne che con la morte del corpo scontasse la pena temporale per il peccato, e si ottenne in qualche modo che con la penitenza sfuggisse alla pena sempiterna: dove la grazia di Dio che lo liberò valse più del merito di lui che si pentì. Non c'è donde tu possa ripararti dall'impeto della verità che in pienissima luce ti rovescia a terra con le tue macchine e non ti permette per nessunissima ragione di mettere dentro al paradiso di Dio e le morti e le innumerevoli malattie, piene di sofferenze mortifere. Credi a Dio che dice: In qualunque giorno mangerete di esso, certamente morirete. ( Gen 2,17 ) Cominciarono appunto a morire in quel giorno nel quale, allontanati dall'albero della vita che, collocato certamente in un luogo materiale, somministrava la vita materiale, contrassero la necessità della morte e la sua condizione. Sono senza dubbio parole tue le espressioni i danni della morte e la morte avara. Almeno coteste tue parole, tanto dure e orrende, ti ammonissero a risparmiare il paradiso di Dio! Ma ti offende forse così tanto il celebratissimo luogo dei beati che da te sia mandata in esso anche la morte, e dannifica e avara? O nemici della grazia di Dio, o nemici del paradiso di Dio, fin dove potrete spingervi ancora di più che riempire di amarissime pene la dolcezza delle sante delizie e volere che il paradiso non sia nient'altro che una geenna minore? 31 - Passiamo a S. Paolo Giuliano. Ma ormai abbiamo già detto abbastanza e più sulla Genesi. Passiamo all'apostolo Paolo che il manicheo e il traduciano opinano esser della loro opinione. Nel discutere dunque della risurrezione dei morti dichiara: Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita nel Cristo. ( 1 Cor 15,22 ) Questa testimonianza è stata usurpata da te con il quale siamo in causa noi. Ma che cosa tu reputassi di ottenerne poiché l'hai taciuto, io tuttavia lo posso confermare a mala pena, anche se lo sospetto. Che interessa infatti alla traduce il dire che tutti muoiono in Adamo, dal momento che Adamo è il nome dell'uomo e la traduce è invece indizio del peccato e della macchia manichea? A meno che tu eventualmente non confessi che lo stesso Adamo nient'altro è e nient'altro suona che il peccato, cosicché sembri che l'Apostolo con questo nome di Adamo abbia pronunziato che tutti muoiono nel peccato. Ma questo sarebbe palesemente pazzesco. Che c'è dunque di nuovo se, indicando la lingua ebraica con la parola Adamo null'altro che l'uomo, questa è infatti la sua traduzione, l'Apostolo ha detto: Tutti muoiono in Adamo e tutti riceveranno la vita nel Cristo, ossia coloro che muoiono secondo la natura dell'uomo, saranno risvegliati dai morti per la potenza del Cristo? Chi nega questa sentenza agisce da pazzo: dalla potenza appunto del medesimo Creatore, che in questa vita istituì la fecondità e la mortalità, tutti saranno risvegliati dai sepolcri, perché ciascuno riceva la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene, sia in male. ( 2 Cor 5,10 ) Da questo detto dunque dell'Apostolo dove dice: Tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita nel Cristo, reputi tu che sia suggerita la morte corporale, comune ai giusti e agli ingiusti, o la morte penale che è destinata al diavolo e agli empi? Se l'Apostolo ha qui indicato questa semplice morte naturale, la morte che nei fedeli è anche preziosa, ( Sal 116,5 ) la morte che tocca non solo ai buoni e ai cattivi, ma anche ugualmente agli uomini e agli animali; se, dicevo, ha indicato questa morte, è manifesto che con il nome di Adamo indica la natura della umanità e con il nome del Cristo invece la potenza del Creatore e del Risuscitatore. Al contrario, se nelle parole: Tutti muoiono in Adamo vuoi che si intenda il crimine e non la natura, è decisiva la spiegazione tanto aperta quanto certa che si ha nel confronto fatto da lui: Come tutti, ossia molti, muoiono per l'imitazione di Adamo, così tutti, ossia molti, si salvano per l'imitazione del Cristo. Dunque, o ha parlato della morte comune e ha indicato la natura, o ha parlato del peccato ed ha accusato l'imitazione. Così infatti anche poche righe dopo ha soggiunto: Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo terreno, così dobbiamo portare l'immagine dell'uomo celeste. ( 1 Cor 15,49 ) Certamente l'assunzione dell'immagine non si poteva imperare, se l'immagine si fosse creduta naturale nell'una o nell'altra parte. Agostino. Chi è tanto negligente verso gli scritti apostolici da non vedere che l'Apostolo discorreva della risurrezione del corpo dove dichiarò: Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita nel Cristo? Ma tu per dilatare non i tuoi eloqui, bensì i tuoi vaniloqui, pianti una questione dove non c'è nessuna questione, e chiedi a me di quale morte sia stato detto ciò che è stato detto: Tutti muoiono in Adamo. Assolutamente della morte del corpo è stato detto, cioè di questa morte a causa della quale è necessario che muoiano i buoni e i cattivi; non di quella morte a causa della quale si dicono morti coloro che sono mali a causa della medesima morte. Le quali due morti le abbraccia il Signore in una sola e breve sentenza dicendo: Lascia i morti seppellire i loro morti. ( Mt 8,22 ) C'è inoltre la morte che l'Apocalisse dice morte seconda, ( Ap 2,11; Ap 20,6.14; Ap 21,8 ) quella morte per la quale e il corpo e l'anima soffriranno il tormento del fuoco eterno, quella morte che il Signore minaccia dove dice: Temete colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna. ( Mt 10,28 ) Sebbene dunque nelle Scritture si trovino diverse morti, tuttavia le principali sono due: la morte prima e la morte seconda. La morte prima è quella che introdusse il primo uomo peccando, la morte seconda è quella che introdurrà il secondo uomo giudicando. Allo stesso modo nei Libri santi si ricordano molte alleanze, come possono accorgersene quelli che li leggono diligentemente, e tuttavia le principali alleanze sono due: l'antica e la nuova. La prima morte dunque cominciò ad esistere quando Adamo fu buttato fuori dal paradiso e fu allontanato dall'albero della vita, la seconda morte comincerà ad esistere quando sarà detto: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno. ( Mt 25,41 ) Parlando quindi della risurrezione del corpo l'Apostolo dice: A causa di un uomo la morte e a causa di un uomo la risurrezione dei morti; come infatti tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita nel Cristo. ( 1 Cor 15,21- 22 ) Non dobbiamo pertanto indagare di quale morte si tratti in questo, essendo chiaro che si tratta della morte del corpo; ma dobbiamo piuttosto fare attenzione per opera di chi venga la morte stessa di cui si tratta: se per opera di Dio che creò l'uomo o se per opera dell'uomo che peccando divenne la causa di questa morte. Ma, come ho detto, dobbiamo fare attenzione a questa verità come posta sotto gli occhi, non ricercarla come verità nascosta. Infatti anche l'Apostolo ha tolto di mezzo questa questione dicendo apertissimamente: A causa di un uomo la morte. E chi è costui se non il primo Adamo? Proprio lui è appunto quegli di cui fu detto: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte. Al quale uomo è opposto in senso contrario il secondo Adamo, che è figura del futuro. ( Rm 5,12.14 ) Per cui anche qui si dice: A causa di un uomo la morte e a causa di un uomo la risurrezione dei morti. L'affermazione dunque che tutti muoiono in Adamo va intesa così da non dimenticare l'altra: A causa di un uomo la morte. Per questo appunto tutti muoiono in Adamo, perché a causa di un uomo la morte, come per questo tutti ricevono la vita nel Cristo, perché a causa di un uomo la risurrezione dei morti. Un uomo quindi in un caso e un uomo nell'altro caso: come uno solo questo, così uno solo quello; e quindi poiché questo è il secondo uomo, quello è il primo uomo. Noi sappiamo, come ricordi tu, che nella lingua ebraica Adamo significa uomo; ma da questo non scende ciò che tu ti sforzi di convincere impudentissimamente, ossia credere che nella frase: Tutti muoiono in Adamo l'Apostolo abbia inteso significare in Adamo ogni uomo mortale, così cioè da stimare che tutti muoiono non in quel primo uomo, ma per il fatto che sono mortali. Non voler oscurare le affermazioni chiare, non voler storcere le affermazioni diritte, non voler complicare le affermazioni semplici: tutti muoiono nell'uomo a causa del quale c'è la morte, come tutti ricevono la vita nell'uomo a causa del quale c'è la risurrezione dei morti. E chi è questo uomo, se non il secondo uomo? Chi è dunque quell'uomo se non il primo uomo? Perciò chi è questo uomo se non il solo Cristo? Chi è quell'uomo se non il solo Adamo? Pertanto come abbiamo portato l'immagine dell'uomo terreno, così dobbiamo portare anche l'immagine dell'uomo celeste. Il primo fatto si indica, il secondo dovere si impone; il primo fatto è appunto già presente, il secondo dovere è futuro. E quindi abbiamo portato la prima immagine con la condizione del nascere e con il contagio del peccato; portiamo invece la seconda immagine con la grazia del nascere: ma per ora la portiamo nella speranza, la porteremo però nella realtà con il premio di risorgere e di regnare beatamente e giustamente. Stando così le cose, certamente la morte dell'uomo, creato in tale stato e collocato in tale luogo da non morire se non avesse peccato, è senza dubbio una morte penale. Ma poiché Dio cambia con la sua grazia in un beneficio per noi i nostri mali penali, preziosa è agli occhi del Signore la morte dei suoi fedeli. Attraverso l'esperienza della morte i fedeli combattono come attraverso una disciplina, secondo quello che è scritto: La disciplina sul momento non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto più ricco di giustizia a coloro che con essa hanno combattuto. ( Eb 12,11 ) Viceversa tu, che della morte del corpo sostieni la futura esistenza anche nel paradiso, pur se nessuno avesse peccato, sei il nemico pubblico della grazia di Dio, sei il nemico pubblico dei santi, di cui è preziosa la morte, attraverso la cui esperienza essi combattono per entrare e per abitare nel paradiso. Infatti, per quanto dipende da te, non solo la morte, ossia la separazione dell'anima dal corpo, che tuttavia non vorrebbe essere spogliata, bensì sopravvestita, così che quello che è mortale venga assorbito dalla vita, ( 2 Cor 5,4 ) ma altresì tutti i morbi e tutti i generi di mali che fanno morire gli uomini, impari a sopportarli, li metti dentro al luogo di tanto grande felicità e quiete. Il che con quanto grande errore tu lo faccia lo vedo, ma con quale faccia non lo so. 32 - Il contesto del testo precedente Giuliano. Ma ventiliamo tutto il contesto dello stesso passo. Se si predica, dice, che il Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dei morti, neanche il Cristo è risorto! Ma se il Cristo non è risorto, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi poi risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche il Cristo è risorto; ma se il Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti nel Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo speranza nel Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. Ora invece il Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti, e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita nel Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima il Cristo che è la primizia, dopo alla sua venuta quelli che sono del Cristo; poi sarà la fine. ( 1 Cor 15,12-24 ) Agostino. A ventilare tutto cotesto passo della Lettera dell'Apostolo sulla risurrezione del corpo per questo ti sei deciso perché tu avessi l'occasione di diffondere con una ricca povertà, se si può dire, il tuo multiloquio, e perché ti procurassi spazi dove poter divagare allo scopo di riempire tanti libri. Ciò si farà chiaro nella tua stessa prolissa e vanissima discussione. 33 - Legate assieme la risurrezione di Gesú e la nostra Giuliano. Ha costruito la discussione con molta avvedutezza l'egregio Maestro ed ha versato dentro di noi la speranza della solidarietà del Mediatore, asserendo che quell'Uomo, quanto alla sostanza che lo congiunge a noi, non escluse nulla, e che l'opinione sostenuta dagli infedeli non può pregiudicare il Cristo meno di quanto pregiudichi noi. Tanto intimamente dunque mescola l'interesse del Cristo e l'interesse degli uomini da essere necessario che in ambedue le parti si creda ciò che si giudica per l'una o per l'altra. Avevano opinato appunto gli uomini contemporaneamente che non ci sarebbe stata la risurrezione dei morti, e tuttavia non negavano che il Cristo fosse risorto. Prende a volo questo particolare il Maestro delle genti e dichiara necessario che ambedue le parti corrano un solo e medesimo rischio: o sarebbero risorti tutti gli uomini, o credere che nemmeno il Cristo fosse risorto. Certamente l'Apostolo non avrebbe questa forza nella sua argomentazione, se disgiungesse, secondo i manichei e secondo i loro discepoli traduciani, la carne del Cristo dalla comunione della nostra natura. Agostino. Manichei non sono coloro che disgiungono la carne del Cristo dalla comunione della nostra natura, bensì coloro che sostengono che il Cristo non ebbe nessuna carne. Pertanto congiungendo a noi i manichei, che sono da anatematizzare e da condannare insieme a voi, tu sollevi anche la loro causa con il dire che essi disgiungono la carne del Cristo dalla comunione della nostra natura, quasi che confessino nel Cristo la presenza di una carne da distinguere in qualche modo dalla nostra carne. Lascia perdere costoro, che distano molto da noi e molto anche da voi in cotesta questione della carne del Cristo. Fa' con noi quello che fai, poiché tu confessi con noi, benché diversamente la carne del Cristo. Nemmeno noi infatti la disgiungiamo dalla comunione della natura e della sostanza della nostra carne, ma dalla comunione del vizio. Infatti la nostra carne è la carne del peccato, e per questo la carne del Cristo non è stata detta simile alla carne, perché è una carne vera, ma è stata detta simile alla carne del peccato, perché non è la carne del peccato. Se dunque la nostra carne non fosse la carne del peccato, in che modo, ti prego, potrebbe essere la carne del Cristo simile alla carne del peccato? Vaneggi forse fino a questo punto da dire che una cosa è simile, ma che non esiste la cosa a cui è simile? Ascolta Ilario, un antistite cattolico che, comunque tu senta di lui, non puoi certamente dire manicheo. Egli parlando della carne del Cristo scrive: Mandato dunque in una carne simile alla carne del peccato, non ebbe anche il peccato così come ebbe la carne; ma poiché ogni carne viene dal peccato, ossia è dedotta dal peccato di Adamo che l'ha generata, il Cristo fu mandato in una carne simile alla carne del peccato, esistendo in lui non il peccato, ma la somiglianza della carne del peccato. Che cosa sei pronto a rispondere a queste parole, tu malvagissimo, tu loquacissimo, tu ingiuriosissimo, tu calunniosissimo? È forse manicheo anche Ilario? Ma lungi da me che io disdegni di accettare le tue ingiurie non solo in compagnia di Ilario e di tutti gli altri ministri del Cristo, ma in compagnia altresì della stessa carne del Cristo, alla quale non ti spaventa di arrecare tanta offesa da osare di uguagliarla ad ogni altra carne umana, che risulta essere la carne del peccato, se non è una menzogna quello che è scritto: Il Cristo venne in una carne simile a quella del peccato. ( Rm 8,3 ) 34 - Le differenze tra Gesú e noi non rendono unica per lui la risurrezione Giuliano. Mai appunto avrebbe detto: Se i morti non risorgono, neanche il Cristo è risorto, uno a cui si poteva replicare: Ma il Cristo è risorto eccezionalmente, perché nacque da una vergine; gli uomini invece, perché sono nati da una mescolanza diabolica, non risorgono. Ma costui replicherebbe subito: E quale vanità fu la sua di risorgere, se non provvedeva né alla nostra speranza, né al suo magistero? Quale metodo di insegnare sarebbe infatti e quale serietà di esempio, se in noi una natura dissimile fosse sprovvista e della speranza di regnare con lui e della forza di imitarlo? Lontana quindi e troppo lontana da questa opinione sta la fede dell'Apostolo. Pieno del medesimo spirito di cui fu pieno anche Pietro, l'Apostolo sa che il Cristo è morto per noi allo scopo di darci l'esempio, perché noi seguissimo le sue orme. ( 1 Pt 2,21 ) E poiché sa che la causa di tanto mistero fu il sacrificio e l'esempio, non dubita di dichiarare, anzi inculca diligentemente, che l'uomo Cristo non intraprese nulla da cui qualcuno di noi sia tenuto lontano a causa dei pregiudizi della nostra natura. Se non esiste, dice, la risurrezione dei morti, neanche il Cristo è risorto. Ma se il Cristo risorse dei morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste la risurrezione dei morti? Ossia, se confessate che egli come uomo fu della medesima natura di cui siamo noi, per quale ragione pensate o che in lui sia avvenuta la risurrezione o che essa non sia per avvenire negli altri? Premesse le condizioni, egli completa da ogni parte la sua sentenza: Ora invece il Cristo è risorto dai morti, e quindi ci sarà la risurrezione dei morti. Agostino. A quanti reputavano che non ci fosse la risurrezione dei morti e tuttavia credevano che il Cristo fosse risorto, per questo viene detto: Se non esiste la risurrezione dei morti, neanche il Cristo è risorto, perché il Cristo risorse con lo scopo preciso di impiantare la fede della risurrezione dei morti, mostrando che gli uomini risorgeranno nella carne, come egli stesso fattosi uomo risorse nella carne. Era quindi una conseguenza logica negare che il Cristo fosse risorto per coloro che non credevano nella risurrezione dei morti. Onde poiché quei tali con cui si discuteva non potevano negare la risurrezione di Gesù, dovevano, tolta la caligine, confessare anche la risurrezione dei morti. Se infatti per qualche differenza del Cristo sembra giusto agli uomini negare la risurrezione dei morti e tuttavia non negare la risurrezione del Signore, possono dire anche altre ragioni, che trovano in gran numero, con le quali sembri a loro di poter difendere il proprio errore. Che cosa succederebbe infatti se, sentendo dire: Se i morti non risorgono, neanche il Cristo è risorto, rispondessero e dicessero: Ma egli non è uomo soltanto, bensì anche Dio: il che non è nessuno degli altri uomini? Se dicessero: Egli secondo l'uomo stesso nacque dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria: il che non fece nessuno degli altri uomini. Egli ebbe il potere di offrire la sua vita e di riprenderla di nuovo: ( Gv 10,18 ) il che non ebbe nessuno degli altri uomini. Che meraviglia dunque se egli poté risorgere dai morti: il che nessuno degli altri uomini lo potrà? Se portano dunque queste ragioni, perché concedono che solo il Cristo sia risorto dai morti e non vogliono ammettere la risurrezione degli altri, saremmo forse noi disposti a negare queste differenze tanto grandi tra il Cristo e tutti gli altri, per poter persuadere della risurrezione anche degli altri morti argomentando dalla uguaglianza del Cristo con essi? Così dunque, senza negare questa differenza per la quale confessiamo che la sola carne del Cristo non fu la carne del peccato come la carne degli altri, ma fu una carne somigliante alla carne del peccato, e tuttavia non per questo difendiamo che sia risorta lei sola, ma difendiamo che risorgerà anche la carne degli altri, e lo difendiamo così da dire ciò che disse l'Apostolo: Se i morti non risorgono, neanche il Cristo è risorto; ma il Cristo è risorto, quindi i morti risorgono. Né infatti perché non ci sono nell'una e nell'altra carne i medesimi meriti della origine, per questo l'una e l'altra carne non è la medesima sostanza terrena e mortale. Certamente la carne somigliante alla carne del peccato ha la sua differenza che la distingue dalla carne del peccato, ma non sia mai che il Cristo risorgendo si faccia disuguale da coloro ai quali volle farsi uguale morendo. Pertanto la carne simile a quella del peccato, per quanto concerne la differenza di appartenere al peccato e di non appartenere al peccato, non la dobbiamo equiparare alla carne del peccato basandoci sul fatto che non volle che tra l'una e l'altra carne ci fosse la differenza di risorgere e di non risorgere colui che non volle che ci fosse tra esse la differenza di non morire e di morire. Ma l'imitazione, che tu sostieni dove non ce n'è il bisogno, quale valore ha per la nostra causa? L'imitazione è appunto nella volontà; ma la volontà, quando è buona, viene preparata dal Signore, ( Pr 8 sec. LXX ) come è scritto. Nessuno quindi imita se non lo voglia, muore invece e risorge l'uomo, lo voglia o non lo voglia. Ma anche la stessa imitazione non avviene sempre quando la natura dell'imitando è la medesima dell'imitante: altrimenti non potremmo imitare la giustizia e la pietà degli angeli che hanno una natura diversa dalla nostra: il che tuttavia anche tu stesso hai confessato ( Mt 6,10 ) che noi chiediamo al Signore nella orazione quando diciamo: Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Né imiteremmo Dio Padre, la cui natura è tanto diversa dalla nostra. Tuttavia il Signore dice: Siate come il Padre vostro che è nei cieli, ( Mt 5,48 ) e per tramite di un Profeta si dice: Siate santi perché io sono santo. ( Lv 11,44 ) Non per questo dunque è impossibile a noi l'imitazione del Cristo perché egli fu in questo secolo in una carne somigliante alla carne del peccato e noi invece siamo nella carne del peccato. 35 - L'immagine di Dio non può avere il peccato naturale Giuliano. Tiriamo fuori le forze seguenti contro la traduce e diciamo: Se il Cristo che si fece uomo non ebbe il peccato naturale, per quale ragione alcuni tra voi dicono che sulla immagine di Dio domina una pravità ingenita? Poi, se il male è nella natura, anche il Cristo, che viene a trovarsi nella medesima natura, è stato costituito sotto il regno del diavolo. Ma se si crede reo il Cristo, è vana la nostra predicazione ed è vuota la vostra fede; e poi risultano falsi testimoni gli Apostoli, perché contro Dio hanno testimoniato che egli formò innocente e santo il suo Figlio dal seme di Davide secondo la carne, se il crimine di un seme maledetto lo ha contaminato con la sua infezione. Assolutamente siamo i più miserabili di tutti gli uomini, se speriamo in un tale Cristo. Ora invece il Cristo, non meno vero uomo che vero Dio, generato dalla stirpe di Adamo, nato da una donna, nato sotto la legge, non fece e perciò non ebbe nessun peccato. Appare quindi che il crimine è un fatto della volontà e non del seme. Agostino. È certo che tutta la struttura del tuo ragionamento sorge da questa specie di fondamento che tu hai messo all'inizio: Se il Cristo che si fece uomo, non ebbe il peccato naturale, per quale ragione alcuni tra voi dicono che sulla immagine di Dio domina una pravità ingenita? Demolita e cancellata questa proposizione, con una facilissima scrollatina si manda all'aria tutto quello che hai aggiunto dopo come conseguenza. Non segue infatti che, se il Cristo, che si fece uomo, non ebbe il peccato naturale, ossia il peccato originale, non domini sulla immagine di Dio nessuna pravità ingenita; poiché non segue che, se non ebbe nulla di pravo la carne somigliante alla carne del peccato, non abbia nulla di pravo la carne a cui è simile, ossia la carne stessa del peccato; ma anzi è questo che segue: se c'è la carne somigliante alla carne del peccato, ci deve essere anche la carne del peccato. Perché ogni simile deve esser simile a qualcosa, e se solo il Cristo ebbe, sì, una vera carne, come tutti gli altri uomini, ma tuttavia non ebbe la " proprietà " della carne del peccato ma la sua somiglianza, non solo è necessario che ci sia un'altra carne del peccato alla quale sia simile, ma è necessario che la carne di tutti gli altri uomini non sia se non la carne del peccato. Perciò il male, sebbene sia nella carne del peccato, non è tuttavia nel Cristo, il quale in una carne vera, non tuttavia nella carne del peccato ma in una carne simile alla carne del peccato, venne a sanare la carne del peccato. Non lui dunque crediamo reo, ma da lui viene sciolto il nostro reato: sia il reato originale, sia il reato aggiunto. Onde né è vana la predicazione dell'Apostolo, il quale non predicherebbe nel Cristo la somiglianza con la carne del peccato, se non sapesse che la carne degli altri è la carne del peccato; né è vuota la nostra fede, che svuota la vostra eresia; né risultano falsi testimoni gli Apostoli, che distinguono la carne somigliante alla carne del peccato dalla carne del peccato, il che non fa la vostra eresia, ed evangelizzano il Cristo dal seme di Davide così tuttavia da asserirlo nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, non dalla concupiscenza della carne, perché avesse una carne simile alla carne del peccato, ma non potesse avere la carne del peccato. Né siamo noi più miserabili di tutti gli altri uomini credendo a queste verità, ma noi crediamo che a causa di una grande miseria non sia stata distinta la carne del Cristo dalla carne del peccato. Perciò tu termini la tua argomentazione con una vana conclusione dicendo: Appare quindi che il crimine è un fatto della volontà e non del seme. Hai dedotto questo proprio senza fondamento, perché ho dimostrato che non sono logiche le premesse dalle quali reputi che nasca la tua conclusione, e senza dubbio ho dimostrato che, potendo esistere i semi nel paradiso, sarebbero nulli dopo il paradiso i vizi dei nascenti, se dalla cattiva volontà dei primi generanti non fossero stati viziati anche i semi. Perché dunque non si dice piuttosto a te, per servirci in modo verace della medesima forma di ragionamento di cui tu ti sei servito in modo fallace: Se l'uomo Cristo è stato mandato agli uomini in una carne simile a quella del peccato, per quale ragione, non alcuni tra voi, ma tutti voi dite che l'altra carne alla quale somiglia questa del Cristo non è la carne del peccato, se non esiste un'altra carne del peccato? Se il Cristo non ebbe una carne simile a quella del peccato, è vana la predicazione di colui che lo ha detto, è vana anche la fede della Chiesa cattolica che lo ha creduto, risulta poi anche falso testimonio l'Apostolo che rese contro il Cristo la testimonianza che egli ebbe una carne simile a quella del peccato, che non ebbe. Ma se crediamo così, noi non siamo nella società degli uomini di fede. Ora però il Cristo fu mandato in una carne somigliante a quella del peccato, perché egli solo ebbe una vera carne in modo che essa non fosse la carne del peccato, bensì la sua somiglianza; e conseguentemente è necessario confessare che la carne di tutti gli altri uomini è la carne del peccato, alla quale fu fatta simile la carne del Cristo, vera carne, ma senza essere la carne del peccato. 36 - La risurrezione in S. Paolo Giuliano. Vengono trafitti appunto i manichei, e perché credono nel peccato naturale, e perché negano la risurrezione della carne. Ora invece, dice l'Apostolo, il Cristo è risorto, primizia di coloro che sono morti. Poiché a causa di un uomo la morte e a causa di un uomo la risurrezione dei morti. ( 1 Cor 15,20-21 ) Qui l'Apostolo non parla della risurrezione universale, di cui faranno esperienza anche gli uomini scellerati, anche gli uomini sacrileghi, ma parla solamente della risurrezione di coloro che saranno trasferiti alla gloria. Dunque con il semplice nome di risurrezione indica la risurrezione beata, a confronto della quale la risurrezione degli empi viene taciuta, come se non fosse risurrezione. Qui dunque l'Apostolo non inculca, come ho detto, solo la risurrezione che è comune ai buoni e ai cattivi, ma inculca la risurrezione beata, e sebbene non siano un tutt'uno la risurrezione e la beatitudine della risurrezione, come non sono un tutt'uno nemmeno la risurrezione e la miseria della risurrezione, tuttavia poiché la beatitudine eterna non c'è senza la risurrezione, con il nome di risurrezione è significata anche quella felicità che fa essere non penitendo il risveglio. Come se qualcuno, colmando di lodi la diligenza, la forza e le diverse propensioni, le volesse indicare compendiandole nella vita e chiamasse per esempio erudita la vita di uno, elegante la vita di un altro, infaticabile la vita di un terzo, non eliminerebbe certamente la distinzione così da far sembrare un tutt'uno la vita con la diligenza, la vita con l'eleganza, la vita con la fortezza: altro è appunto vivere, altro è aspirare, ma tuttavia se non vivi, non aspirerai in nessun modo. Così pure la risurrezione non è lo stesso che la beatitudine: c'è appunto un risveglio misero delle ceneri; tuttavia non regnerai in nessun modo se prima non risorgerai. Dunque la morte del corpo e la risurrezione del corpo si fronteggiano come realtà opposte: se la morte fosse universalmente penale, anche la risurrezione sarebbe universalmente premiale; ora invece c'è la risurrezione penale di tutti coloro che sono assegnati ai fuochi eterni, dunque anche la morte non è suppliziale, ma naturale. Come infatti la morte del corpo non fa universalmente che ci si penta di aver cessato di vivere, così la risurrezione non fa universalmente che ci piaccia di essere ritornati a vivere. Ma e il bene della risurrezione premiale sta nella rimunerazione dei risorti, e l'amarezza della risurrezione penale sta nella ustione dei puniti: le quali sorti seguono ambedue secondo i meriti. Appare dunque che l'Apostolo non discorre della morte naturale, ma della morte dei criminosi che la pena perpetua fa infelice; né discorre della risurrezione comune, ma della risurrezione che la gloria sempiterna fa beata; né dove discute delle persone reca pregiudizio alle creature, ma, salve sempre le distinzioni e posti i confini tra le nature e le volontà, mescola talvolta i vocaboli, così che non sparisca per la confusione la peculiarità delle realtà. Dunque a causa di un uomo la morte e a causa di un uomo la risurrezione dei morti; qui non dichiara che la morte è stata creata dall'uomo, ma che è apparsa nell'uomo, come la risurrezione dei morti non dice che è stata fatta da un uomo, cioè dal Cristo, ma in un uomo, come il medesimo Maestro scrive ai Filippesi: Si fece obbediente fino alla morte, ma alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome. ( Fil 2,8-9 ) Concorre in questo anche l'asserzione dell'apostolo Pietro: Uomini d'Israele, ascoltate: quel Gesù, uomo di Nazaret, accreditato da Dio in mezzo a voi, voi l'avete ucciso per mano degli empi e Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte. E ugualmente: Questo Gesù Dio lo ha risuscitato e noi tutti gli siamo testimoni. ( At 2,22-24.32 ) Ivi dunque, com'era proprio dell'uomo subire la morte senza ingiuria della divinità, così era proprio della divinità risvegliare dai morti quell'uomo. Ma ciò che si dichiara operato da Dio per mezzo della persona del Verbo lo fa anche il Cristo stesso. Così infatti egli aveva detto: Ho il potere di offrire la mia vita e il potere di riprenderla di nuovo. ( Gv 10,18 ) Pur essendo dunque una sola la persona del Figlio, tuttavia con una legittima distinzione altro si applica alla carne, altro alla divinità. A causa di un uomo, dunque, la morte, e a causa di un uomo la risurrezione dei morti, manifestata, non creata. Del resto ambedue, la morte e la risurrezione, sono state istituite da Dio, ma in Adamo la condizione della morte, nella persona del Cristo invece brillarono le primizie della risurrezione. Ivi dunque dove dice l'Apostolo: A causa di un uomo la morte, se tu dici a causa della volontà dell'uomo, nulla appartiene alla natura; se a causa della natura dell'uomo, nulla spetta alla colpa. Ha collocato appunto i due uomini, l'uomo della morte e l'uomo della risurrezione, l'uno di fronte all'altro, senza voler sottomettere il secondo uomo della risurrezione all'uomo della morte. E continua: Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita nel Cristo. Quello dunque che dice: Tutti riceveranno la vita nel Cristo, lo dice anche degli empi o solamente dei fedeli? Se dice degli empi che riceveranno tutti la vita nel Cristo, nessuno dunque è punito; se lo dice dei fedeli, non tutti dunque ricevono la vita nella fede del Cristo, ma solamente i fedeli, sebbene tutti assolutamente li risvegli la sua potenza, dalla quale sono stati creati. Se dunque dove dice: Tutti muoiono in Adamo, parla della morte del corpo, non viene indicato qui nessun reato con il nome della morte, perché nel medesimo Adamo si trova che è morto anche il Cristo; né infatti sarebbe seguita la verità della risurrezione, se non fosse stata preceduta dalla verità della morte. L'Apostolo quindi dichiara che tutti muoiono in Adamo. Se questa morte non indica altro che la dissoluzione del corpo, essa certamente non riguarda per nulla il peccato naturale, né pregiudica affatto gli innocenti se si dice che essi muoiono in Adamo, nel quale è morto anche il Cristo. Se invece tu vuoi che le parole: Tutti muoiono in Adamo riguardino il peccato dell'animo, e non semplicemente la morte, ma la morte rea e misera, cioè la morte alla quale segue la pena assegnata ai crimini, e in quella geenna evidentemente non ci poté essere né il Cristo, né i santi; allora l'Apostolo non pregiudica nemmeno gli innocenti, i quali non hanno nulla del male volontario, come nulla hanno del bene volontario, ma ritengono soltanto quello che sono stati fatti da Dio; e noi li consacriamo con il diritto del battesimo, perché colui che li fece buoni creandoli li faccia migliori rinnovandoli e adottandoli. Pertanto quello che l'Apostolo dice con le parole: Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita nel Cristo, dista tanto da cotesto sospetto della traduce manichea, quanto dista dal peccato il Cristo, il quale e non ebbe l'iniquità e nella sua natura umana non ebbe nulla meno degli altri. Agostino. Che cos'è quello che discutendo contro di noi tu dici: Vengono trafitti appunto i manichei, e perché credono nel peccato naturale, e perché negano la risurrezione della carne? Forse che noi, come i manichei, o attribuiamo il peccato ad una natura aliena, o neghiamo la risurrezione della carne? Siano assolutamente trafitti da voi i manichei, che insieme a voi sono trafitti da noi, anche quando sono aiutati da voi. In loro aiuto appunto voi negate che la discordia tra la carne e lo spirito sia da attribuirsi al peccato di Adamo, con la conseguenza che essi nel cercare o nel rendere la ragione di questo male concludono che è stata mescolata a noi la natura aliena del male, coeterna al Dio buono. Tu poi spieghi i passi che seguono, dove l'Apostolo discute della risurrezione della carne, e dici che egli non parla della risurrezione comune, cioè dei buoni e dei cattivi, ma solamente della risurrezione di coloro che saranno trasferiti alla gloria. È proprio così; tuttavia parla della risurrezione del corpo. A questa dunque si oppone dalla parte contraria la morte del corpo, e ad esse, ossia alla morte del corpo e alla risurrezione del corpo, si assegnano due uomini come autori di ciascuna di esse: Poiché a causa di un uomo la morte e a causa di un uomo la risurrezione dei morti. E questi stessi due uomini sono espressi anche con i propri nomi, perché apparisca con evidenza di quali uomini ciò sia stato detto, e si aggiunge: Come infatti tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita nel Cristo. Muoiono dice, e non: Moriranno; e viceversa non: Ricevono la vita, ma dice: Riceveranno la vita. Ora infatti muoiono per la pena, allora riceveranno la vita per il premio. Non parla quindi sul momento di quella morte che è futura per quanti con l'anima e con il corpo saranno tormentati dal fuoco eterno; altrimenti userebbe in ambedue i casi il verbo al futuro, e come disse: Riceveranno la vita, così direbbe: Moriranno. Avendo detto invece: Muoiono, il che avviene certamente ora, e: Riceveranno la vita, il che avverrà allora, indica sufficientemente che, nelle parole: A causa di un uomo la morte, tratta di quella morte che separa l'anima dalla carne, sebbene appartengano anche a quella morte futura, che si dice morte seconda, coloro che con la rigenerazione per mezzo del Cristo non sciolgono il reato che hanno contratto con la generazione per mezzo di Adamo. Ora perciò, poiché parla della risurrezione del corpo, che è futura, e ad essa contrappone la morte del corpo, che avviene attualmente, e poiché questi due eventi contrari hanno ciascuno il suo autore, la morte Adamo e la risurrezione dei morti il Cristo, come si intende che è premiale quella risurrezione, così si deve intendere che sia penale questa morte. Al premio appunto non si contrappone la natura, ma la pena. E perciò in questo passo, dove la risurrezione del corpo si oppone alla morte del corpo, l'Apostolo non tratta della risurrezione comune, che spetta ai giusti e agli ingiusti, ma piuttosto di quella risurrezione nella quale saranno coloro che riceveranno la vita nel Cristo, e non coloro che saranno condannati dal Cristo, sebbene faccia risorgere gli uni e gli altri lui stesso, la cui voce udranno tutti coloro che sono nei sepolcri e usciranno quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna. ( Gv 5,28-29 ) La ragione dunque per la quale l'Apostolo volle toccare la risurrezione che appartiene ad un beneficio del Cristo e non anche quella risurrezione che appartiene solamente al suo giudizio, è questa: essendo premiale la risurrezione, risulti anche penale la morte del corpo, contrapposta alla risurrezione. Come infatti la morte è contraria alla vita, così la pena al premio. E poiché mediante questa pena, cioè mediante la morte del corpo, i santi martiri combatterono e vinsero, la loro morte nella quale adesso dormono è preziosa al cospetto del Signore, ( Sal 116,15 ) non per il suo genere, ma per la grazia di lui. Appunto anche le pene dei santi sono senza dubbio preziose, ma non perché sono preziose per questo non sono pene; come non perché sono pene per questo sono preziose, ma sono preziose perché sono state accettate in omaggio alla verità o perché sono state tollerate con il sentimento della pietà. Se tu ti attenessi a questo modo di sentire sano e cattolico, non ammetteresti nel paradiso di Dio, ossia nel luogo delle delizie sante, non solo le pene delle morti, ma nemmeno le pene delle malattie mortali. Ora, ogni pena dell'uomo che cos'è se non una pena della immagine di Dio? La quale pena se viene inflitta ingiustamente, è certamente ingiusto colui che la infligge. Ebbene, chi può dubitare che si infligga ingiustamente una pena all'immagine di Dio se non ha meritato la pena per una sua colpa? Solo infatti il mediatore di Dio e degli uomini, l'uomo Cristo Gesù, soffrì la pena senza la colpa, per eliminare evidentemente la nostra colpa e la nostra pena: non quella pena che è da scontarsi in questo secolo maligno, ma la pena che si doveva a noi come pena eterna. E tuttavia egli stesso, assumendo dentro di sé in prossimità della morte anche il nostro stato d'animo, disse: Padre, se è possibile, passi da me questo calice. ( Mt 26,39 ) Ed egli aveva certamente il potere di offrire la sua vita e di riprenderla, ma tuttavia quel Dio maestro con queste sue parole fece capire che la morte, accettata da lui per noi volontariamente e non patita da lui forzatamente, non preceduta da nessuna sua colpa, era una pena che egli sopportò per la nostra iniquità, unico senza nessuna iniquità da parte sua. Se dunque è singolare questa gloria della misericordia del Cristo, per la quale egli sopportò per noi la pena senza la colpa, così da morire egli pure, non certamente nella carne del peccato, ma per la sua carne somigliante alla carne del peccato, in Adamo tuttavia, dal quale discende la carne del peccato, senza dubbio tutti gli altri uomini in questo secolo maligno che è fuori dal paradiso, tutte le pene di qualsiasi genere che soffrono dalla nascita alla morte, tra le quali soffrono certamente anche la morte, le patiscono meritamente e debitamente per i loro peccati, o contratti nascendo, o aggiunti vivendo malamente, sotto un giudice giusto e onnipotente, senza la cui volontà non cade a terra nemmeno un passero, ( Mt 10,29 ) il quale certamente né farebbe né lascerebbe infliggere pene alle sue immagini, se non le sapesse inflitte giustamente. E cos'è " giustamente " se non per il merito dei peccati o per lo scopo di un esame delle virtù, di modo che, anche dopo la remissione dei peccati, il pegno della vita eterna, che i rinati ricevono, giovi ad essi per il secolo futuro, qui invece paghino tutto ciò che si deve pagare alla vanità e alla malignità di questo secolo penale? Cos'è dunque quello che dici: I bambini sono battezzati, perché Dio, che li ha fatti buoni creandoli, li faccia ancora più buoni rinnovandoli e adottandoli? Buoni certamente li ha fatti, perché ogni natura in quanto natura è buona, ma non farebbe ingiustamente o non lascerebbe ingiustamente essere miseri coloro che ha fatto buoni. Sebbene anche tu, dicendo che i bambini vengono " rinnovati ", confessi incautamente e inavvertitamente che essi, pur essendo nuovi di nascita, contraggono la vetustà dell'uomo vecchio. Sei quindi forzato a fare una di queste tre scelte: o riempire il paradiso delle pene degli uomini, o dire ingiusto Dio nelle pene delle sue immagini dove patisce l'innocenza dei bambini, o, poiché sono da detestare e da condannare queste due prime conclusioni, riconoscere il peccato originale, e così capire che tutti coloro che muoiono di morte corporale muoiono in Adamo, perché a causa di questo stesso uomo la morte, ossia per la sua colpa e per la sua pena; e coloro che nella risurrezione corporale non sono condannati ma vivificati, vengono vivificati nel Cristo, perché a causa di questo stesso uomo la risurrezione dei morti, ossia per la sua giustizia e per la sua grazia. Poiché infatti è penale la morte del corpo, vediamo che le viene contrapposta soltanto la risurrezione " premiale " del corpo, pur essendovi anche un'altra risurrezione penale. 37 - Per ultima sarà annientata la morte nemica Giuliano. Ciascuno però nel suo ordine: prima il Cristo che è la primizia, dopo la sua venuta quelli che sono del Cristo; poi sarà la fine. ( 1 Cor 15,23-24 ) Lo stesso anche altrove: Egli è il primogenito di coloro che risorgono dai morti. ( Col 1,18 ) Dopo, quelli che sono del Cristo, cioè i santi che sono rapiti sulle nubi. ( 1 Ts 4,17 ) Poi sarà la fine, perché questi andranno nel regno eterno e gli empi invece nel fuoco eterno. ( Mt 25,46 ) Quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni, finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Per ultima sarà annientata la nemica morte. Però quando il Salmo dice che tutte queste cose sono state sottoposte, è chiaro che si deve eccettuare colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, allora anch'egli stesso sarà sottomesso a colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti. ( 1 Cor 15,25-28 ) Il regno di Dio Padre, raggiunto il numero pieno dei santi, che è contenuto nella prescienza divina, vuole che scompaia ogni principato e ogni specie di forza della potestà avversaria. Bisogna appunto che questa sia l'efficacia di un così grande mistero: che siano messi sotto i piedi di Dio tutti i nemici della giustizia. Il che allora avverrà quando la morte eterna vedrà se stessa distrutta e vinta da tutti i santi. Ma quando per la manifestazione del regno tutti quei generi di potestà saranno stati assoggettati tanto al Cristo quanto al suo Corpo, molto di più tutta la comunità glorificata dei santi non cesserà di essere sottomessa a Dio, ma tutto il Corpo degno del regno dei cieli, che si costruisce sotto il Cristo come suo Capo, aderirà con perfetta disposizione alla volontà divina, cosicché, estinta tutta la cupidità delle colpe, Dio e unisca tutti e soddisfi tutti. Agostino. In questa parte della tua discussione non hai portato avanti quasi nulla che interessi la causa in corso tra noi. Qual è infatti la ragione per cui hai creduto d'inserire tutto codesto passo, dove l'Apostolo parla della risurrezione del corpo, se non la sua affermazione: Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita nel Cristo? Ossia la ragione è che voi non volete attribuire la morte del corpo al peccato del primo uomo, bensì alla natura, che in quel primo uomo dite costituita tale che egli sarebbe stato morituro, peccasse o non peccasse. Su questo argomento stimo che ti sia stato risposto a sufficienza. Perciò, omessi i punti sui quali ti sei voluto dilungare superfluamente, sarebbe forse da discutere di quale morte l'Apostolo abbia detto: Per ultima sarà annientata la nemica morte; se di questa morte che c'è ora e che costringe l'anima ad uscire dal corpo, o se di quella morte che non consente all'anima di uscire dal corpo, perché ambedue subiscano insieme lo strazio del fuoco sempiterno; la quale morte non c'è ora certamente, ma è futura, né sarà distrutta allora, ma piuttosto comincerà allora ad esistere. E che essa non ci sia ancora chi lo può mettere in dubbio? Ma questa morte che allora si affollerà in tutti coloro che muoiono corporalmente e a cui è contraria la risurrezione del corpo, della quale discuteva l'Apostolo per fare tutte queste sue dichiarazioni; questa morte, dico, che vige ora, la morte del corpo, comune e nota a tutti noi, sarà certamente distrutta per ultima, allorché questo corpo corruttibile si sarà rivestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale si sarà rivestito d'immortalità. ( 1 Cor 15,53-54 ) Il che lo percepiamo detto senza dubbio della risurrezione del corpo che ci sarà allora contro la morte del corpo che c'è ora. Perciò se la morte eterna, che non ci fu mai prima, non può esser distrutta proprio nel momento in cui piuttosto comincerà, e se la morte eterna non sarà mai distrutta, perché durerà per sempre, resta che questa morte di ora sia annientata per ultima, cioè alla fine, quando dalla risurrezione della carne la sua esistenza sarà resa impossibile. Ebbene, come potrebbe esser nemica la morte, se fosse così naturale da non essere penale? Penale poi non lo potrebbe essere in nessun modo sotto un giudice giusto e onnipotente, se non fosse accaduta per i meriti di un peccato. Emenda ormai una buona volta, ti preghiamo, il tuo modo di sentire, e monda il paradiso dei beati, che avevi contaminato con le pene degli uomini. Ma non si può dire quanto mi piaccia la tua affermazione: Nel regno dei cieli avverrà che, estinta tutta la cupidità delle colpe, Dio e unisca tutti e soddisfi tutti. Oh, se ammonito da questa tua sentenza, ti correggessi, e la cupidità delle colpe che ora, anche se rintuzzata, non cessa di farci guerra nella nostra carne, ma che allora, come confessi rettissimamente tu, sarà così estinta da non esistere più, non ti piacesse più oramai di lodarla come un bene, ma di accusarla piuttosto come un male! Essa è infatti quella tua protetta per cui la carne concupisce contro lo spirito, così da rendere necessario anche allo spirito di concupire contro la carne, ( Gal 5,17 ) perché l'uomo non commetta il male che lo faccia condannare. Il qual male della discordia tra realtà ambedue buone e create dal Dio buono, cioè tra la carne e lo spirito, si è convertito nella natura per la prevaricazione del primo uomo, non lo proclama né Manicheo, né un coadiutore dei manichei, ma un loro distruttore, Ambrogio. 38 - Il battesimo dei morti Giuliano. Altrimenti, dice, che cosa farebbero quelli che vengono battezzati per i morti, se i morti non risorgono affatto? Perché si fanno battezzare per loro? E perché noi ci esponiamo continuamente a rischi? Ogni giorno io affronto la morte, com'è vero che voi siete il mio vanto nel Signore. Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto ad Efeso contro le belve, a che mi gioverebbe, se i morti non risorgono? Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo. Se cotesta speranza della gloria futura, dice, quando Dio sarà tutto in tutte le realtà, viene scossa da un'empia mancanza di fede e si nega la risurrezione dei morti, che faranno coloro che sono battezzati per i morti? È nato di qui l'errore di alcuni i quali hanno ritenuto che agli esordi del Vangelo ci sia stato l'uso che i superstiti facessero professione di fede a favore dei cadaveri e versassero l'acqua del battesimo anche sulle membra dei defunti: il che appare provenire dalla ignoranza. Quello infatti che dice l'Apostolo: Vengono battezzati pro mortuis non indica altro se non ciò che egli disse ai Romani: Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme con lui nella morte, ( Rm 6,4 ) ossia: Per quale grazia noi accediamo a ricevere il battesimo con tale disposizione d'animo da mortificare le nostre membra per l'avvenire e da vivere assolutamente come morti, se non c'è la speranza che viviamo dopo la morte? Per quale ragione poi io mi sobbarco anche a pericoli quotidiani, incappando continuamente nella morte a cui mi condannano i persecutori, per potermi gloriare davanti a Dio dei vostri progressi, se i morti non risorgono? Per quale ragione poi ho combattuto anche in senso umano contro le belve ad Efeso, cioè per quale ragione ho sostenuto il bestiale furore dei sediziosi, se è ancora incerto che i morti risorgano? Non vi lasciate ingannare: Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi. Alcuni infatti dimostrano di non conoscere Dio: ve lo dico a vostra vergogna. ( 1 Cor 15,29-34 ) L'amore dei peccati, dice, vi tenta a diffidare dell'avvenire: non si crede nel giudizio, per peccare con maggiore audacia. Assolutamente non sanno stimare Dio coloro, dice, che negano la risurrezione. Voi dunque non negate soltanto la rimunerazione, ma la potenza della divinità, e di questo dovete arrossire fin troppo. A vostra confusione io dico che, di tali, se ne possono trovare alcuni in mezzo a voi. Agostino. Qui pure non hai voluto dire assolutamente nulla che interessi l'argomento trattato ora nella nostra discussione. Perciò non ho bisogno di rispondere con il tuo multiloquio alle parole dell'Apostolo che hai tentato di commentare a modo tuo, poiché le affermazioni che hai fatto, sebbene tu in alcuni punti non sia stato fedele al senso di quell'autore, non sono tuttavia contro la fede. 39 - Parla esclusivamente della risurrezione dei beati Giuliano. Ma qualcuno dirà: Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno? Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. Non ogni carne è la medesima carne: altra è la carne dell'uomo, altra quella degli animali, altra quella degli uccelli, altra quella dei pesci. Anche i corpi sono celesti e terrestri, e altro è lo splendore dei corpi celesti, altro quello dei corpi terrestri. Altro è il fulgore del sole, altro il chiarore della luna, altro il brillare delle stelle, e poi ogni stella differisce dall'altra nella luce. Così è pure la risurrezione dei morti: si semina un corpo corruttibile e risorge incorruttibile, si semina un corpo ignobile e risorge glorioso, si semina un corpo debole e risorge pieno di forza, si semina un corpo animale e risorge un corpo spirituale. È pure scritto del primo Adamo: L'uomo divenne un essere vivente; l'ultimo Adamo è diventato uno spirito vivificante. Il primo uomo, preso dalla terra, è terreno; il secondo uomo, venuto dal cielo, è celeste. E quale è l'uomo fatto di terra, così sono gli uomini terreni; ma quale è l'uomo celeste, così anche gli uomini del cielo. Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo terreno, dobbiamo portare anche l'immagine dell'uomo celeste.( 1 Cor 15,33-49 ) L'Apostolo doma la difficoltà dell'argomento con l'uso di esempi e dice che nulla è impossibile, quando l'onnipotenza promette l'effetto. Ma come persuade la risurrezione dei corpi con il confronto dei semi, così spiega la diversità dei risorgenti con le varietà delle creature; tuttavia parla esclusivamente della risurrezione dei beati. Si semina, dice, un corpo ignobile e risorge glorioso, si semina un corpo debole e risorge pieno di forza, si semina un corpo animale e risorge un corpo spirituale. Ciò non si può certamente avverare se non nei santi; anche gli empi vengono risvegliati, non per la gloria, ma per l'obbrobrio eterno, come asserisce il profeta. ( Ger 23,40 ) Qui distanzia opportunamente la natura e la grazia, ricorda l'antica testimonianza che del primo Adamo dice: L'uomo divenne un essere vivente, e aggiunge di suo: L'ultimo Adamo è diventato uno spirito vivificante. E fa capire che i doni della immortalità appartengono allo spirito vivificante, mentre l'anima solamente vivente appartiene alla natura destinata a morire un giorno. Non c'è dunque identità, dice, tra il vivente e il vivificante: è il vivificante che conferisce l'immortalità, e assegna al Cristo la potenza di conferire l'immortalità; vivente è invece chi vive la sua vita, ma non esclude la mortalità. A questo fine dunque distingue ambedue le sentenze: per indicare che Adamo fu fatto come un vivente, ma non come un immortale; il Cristo invece fu fatto come uno spirito non soltanto vivente, ma anche conferente la risurrezione, gloriosa ai suoi, eterna a tutti. Agostino. Che forse Adamo per questo sarebbe stato morituro, anche se non avesse peccato, perché era stato fatto con un corpo animale e non con un corpo spirituale? Assolutamente sbagli, se per questo giudichi necessario a noi riempire il paradiso di Dio con le morti e con le pene dei morenti e inoltre con la spregevolezza, con la debolezza, con la corruzione, nelle quali sono seminati adesso i corpi animali degli uomini. L'albero della vita infatti, che Dio piantò nel suo paradiso, difendeva dalla morte anche il corpo animale, finché, per il merito di una perseverante obbedienza, passasse, senza l'intervento della morte, alla gloria spirituale di cui i giusti entreranno in possesso risorgendo. Giusto era infatti che l'immagine di Dio, non offuscata né invecchiata da nessun peccato, fosse inserita in un tale corpo dove, sebbene creato e plasmato di materia terrena, durasse la stabilità di vivere somministratagli dall'albero della vita e vivesse provvisoriamente per mezzo di un'anima vivente, che nessuna necessità separasse dal corpo, e poi per la pratica della obbedienza giungesse allo spirito vivificante, di modo che non le fosse sottratta questa vita minore, nella quale poteva e morire e non morire, ma le fosse data in aggiunta quella vita più ampia dove vivesse senza il beneficio di nessun albero e dove non potesse morire. Ti domando infatti in quale corpo tu stimi che siano adesso Elia ed Enoch: in un corpo animale o in un corpo spirituale? Se risponderai: " In un corpo animale ", per quale ragione non vuoi credere che Adamo ed Eva e i loro discendenti, se non avessero violato con nessuna prevaricazione il precetto di Dio, sarebbero vissuti, benché in un corpo animale, così come vivono adesso Elia ed Enoch? Poiché Adamo ed Eva erano nel medesimo paradiso dove sono stati trasferiti Elia ed Enoch, e questi vivono nel medesimo paradiso donde, perché morissero, furono cacciati via Adamo ed Eva. Infatti l'albero materiale della vita così somministrava la vita ai corpi animali come l'albero spirituale della vita, ossia la Sapienza di Dio, somministrava la vita della dottrina salvatrice alle menti sante. Onde alcuni commentatori della parola di Dio, anche cattolici, hanno preferito presentare il paradiso come spirituale, senza però opporsi alla storia che più evidentemente indica il paradiso come materiale. Se poi risponderai che Enoch ed Elia hanno già un corpo spirituale, per quale ragione non confessi che il corpo animale dei primi uomini e di quanti nascessero da essi per la serie delle successioni, se non fosse esistito nessun peccato, che meritamente li separasse dall'albero della vita, sarebbe potuto passare senza morte intermedia in un corpo spirituale, perché tu non sia costretto a riempire il paradiso di Dio, a riempire il luogo dei gaudi felici con le pene delle morti e dei morenti e con le innumerevoli sofferenze dei morbi mortali? 40 - La morte insultata è la morte eterna Giuliano. Ma, dice, non fu prima il corpo spirituale, bensì il corpo animale, e dopo quello spirituale. Il primo uomo, preso dalla terra, è terrestre; il secondo uomo, preso dal cielo, è celeste. Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo terrestre, bisogna che portiamo l'immagine anche di quello celeste. ( 1 Cor 15, 46-47.49 ) Apertamente passa appunto ai liberi comportamenti e vuole che tra la nostra condotta passata e quella presente ci sia tanta distanza quanta ce n'è tra la mortalità e l'immortalità. Il primo uomo, dice, preso dalla terra, è terrestre; il secondo uomo, preso dal cielo, è celeste: con il nome delle sostanze indica la diversità del proposito. Non è infatti che il Cristo, chiamato da lui l'uomo celeste, la sua carne che prese dal seme di Davide, dal seme di Adamo, dalla carne di una donna e dentro una donna, l'abbia fatta discendere dal cielo. Terrestre e celeste li riferisce dunque alle virtù e ai vizi. Poi prosegue: Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo terrestre, bisogna che portiamo l'immagine anche di quello celeste. Altrettanto ai Romani: Parlo con esempi umani, a causa della debolezza della vostra carne. Come avete messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità a pro della iniquità, così mettete ora le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione. ( Rm 6,19 ) Ma seguendo il tenore della esortazione che ha presa a fare, aggiunge un'affermazione che, se non è capìta bene, sembrerà rovesciare tutto quello che ha detto: Questo vi dico, fratelli: la carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio, né ciò che è corruttibile possederà l'incorruttibilità. Ossia, in questi passi nei quali non aveva fatto altro che affaticarsi nell'affermare la risurrezione della carne, destinata secondo la sua asserzione ad essere collocata nella gloria del regno, adesso dichiara: La carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio. Se la carne non possiede il regno di Dio, se non lo possiede il sangue, dov'è la risurrezione dei morti, della quale nei versetti precedenti l'Apostolo rigenera la pompa? Ma secondo lo stile della Scrittura, l'Apostolo ha nominato carne e sangue i vizi e non la sostanza. Poi ha esposto questa medesima verità: Ecco io vi annunzio un mistero: tutti certo risorgeremo, ma non tutti saremo trasformati. Ha capito l'egregio Maestro di avere precedentemente rivendicato solo alla beatitudine futura il vocabolo di risurrezione, e quindi, perché ciò non rimanesse ambiguo, conclude: Tutti certo risorgeremo, ecco qual è il risveglio comune; ma non tutti saremo trasformati, ecco dove c'è la risurrezione dei beati. La trasformazione dunque nella gloria si deve solamente a coloro che meritano non l'ira di Dio, ma l'amore di Dio. In un istante, dice, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba, i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati. Qui passa di nuovo a quei santi che quel giorno troverà nella carne, e dice che in un momento, tanto breve quanto può essere l'estrema nota di un suono di tromba, e coloro che erano morti si sveglieranno incorrotti, cioè integri, e coloro che saranno trovati vivi verranno trasformati nella gloria. È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta d'immortalità. Quando poi questo corpo mortale si sarà vestito d'immortalità, allora si compirà la parola della Scrittura: La morte è scomparsa inghiottita nella tua vittoria. Dov'è, o morte, il tuo aculeo? Dov'è la tua vittoria? L'aculeo della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. ( 1 Cor 15,50-52 ) Indica, come spesso, che parlava unicamente della risurrezione dei santi e perciò, tralasciando il risveglio degli empi, dichiara giusto che nei corpi dei santi la corruttibilità sia divorata dalla eternità della gloria. Quando poi questo si sarà compiuto, egli dice, allora sarà lecito insultare il diavolo e la morte perpetua, la quale aveva fatto sembrare mala questa corruzione naturale; allora scoppieranno i gaudi dei santi vedendo che hanno spuntato l'aculeo della morte, e diranno: Dov'è, o morte, il tuo aculeo? Dov'è la tua vittoria? L'aculeo della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. Cioè: O morte eterna, tu avevi come aculeo il peccato per ferire i disertori della giustizia; poiché, se tu non fossi stata armata di questo aculeo, ossia del peccato volontario, non avresti nociuto assolutamente a nessuno. Questo peccato e questo aculeo li vedi infranti dalle forze della fede, testimone la nostra ricompensa, dalla quale tentavi di stornarci; il tuo aculeo fu appunto il peccato e la forza del tuo peccato era la legge, perché dove non c'è legge, non c'è nemmeno prevaricazione. ( Rm 4,15 ) Oppure: Sebbene il peccato fosse il tuo aculeo, questo divenne tuttavia più forte unicamente di fronte alle disposizioni d'animo dei prevaricatori, dopo che ad esso fu aggiunta la morte della legge, la quale tuttavia non era stata data per acuire l'aculeo. La legge infatti è santa, e santo e giusto e buono è il comandamento, ma il peccato per rivelarsi peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato apparisse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento. ( Rm 7,12-13 ) Questa forza dunque, che il tuo aculeo acquisiva con l'aiuto in noi di una spontanea iniquità, si presenta vinta e infranta dalle virtù dei fedeli, dalle corone ormai dei fedeli. A te quindi i nostri insulti, mentre rendiamo grazie a Dio che ci ha dato questa vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. ( 1 Cor 15,46-57 ) Agostino. Dell'immagine dell'uomo terrestre e dell'immagine dell'uomo celeste si è discusso già sopra a sufficienza e ti abbiamo risposto che l'immagine dell'uomo celeste si può portare adesso nella fede e nella speranza, ma nella realtà stessa, manifestata e donata, si porterà quando il corpo che adesso si semina animale sarà risorto spirituale. Coteste due immagini appunto, l'una dell'uomo terrestre e l'altra dell'uomo celeste, le applica alle singole realtà, ossia la prima al corpo animale e la seconda al corpo spirituale. Precedentemente infatti ha detto: Ma non fu prima il corpo spirituale, bensì il corpo animale, e dopo quello spirituale, e aggiunse di seguito: Il primo uomo, preso dalla terra, è terrestre; il secondo uomo, preso dal cielo, è celeste. Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo terrestre, bisogna che portiamo l'immagine anche di quello celeste. Chi è il primo se non Adamo a causa del quale c'è la morte? E chi è il secondo se non il Cristo, a causa del quale c'è la risurrezione dei morti? Poiché a causa di un uomo venne la morte e a causa di un uomo la risurrezione dei morti. Come infatti tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita nel Cristo: cioè, tutti coloro che riceveranno la vita, non la riceveranno se non nel Cristo; del che abbiamo già parlato sopra. Non c'è proprio nessuna incertezza a quali due realtà si riferiscano queste due immagini: l'una infatti si riferisce alla morte, l'altra alla risurrezione. La prima dunque alla morte del corpo, perché la seconda alla risurrezione del corpo; la prima al corpo animale che si semina nella ignominia, la seconda al corpo spirituale che risorgerà nella gloria: della ignominia ci vestiamo nascendo, della gloria ci vestiamo rinascendo. Ma poiché sotto il peccato nasciamo e invece nella remissione dei peccati rinasciamo, dichiara: Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo terrestre, bisogna che portiamo l'immagine anche di quello celeste. Il primo fatto lo ricorda come avvenuto, il secondo esorta che avvenga. Nessuno infatti può far sì di non essere nato nella pena, per cui si semina il suo corpo nella ignominia; ma se non sarà rinato e se non avrà perseverato ad esser ciò che è divenuto rinascendo nella grazia, non arriverà a possedere il corpo spirituale che risorgerà nella gloria. Cos'è dunque quello che dici: Apertamente passa appunto ai liberi comportamenti e vuole che tra la nostra condotta passata e quella presente ci sia tanta distanza quanta ce n'è tra la mortalità e l'immortalità? Poiché l'Apostolo piuttosto non passa ad un altro argomento, ma continua ciò che aveva cominciato a dire della risurrezione della carne, alla quale contrappone la morte della carne. Non vuole pertanto far intendere in questo luogo i due comportamenti, cioè il buono e il cattivo, ma asserisce che come a causa di Adamo è avvenuta la morte della carne, così per mezzo del Cristo avverrà la risurrezione della carne. Lascia tu che l'uomo di Dio faccia quello che fa: seguilo e non voler tentare che sia lui a seguire te. Non ti segue infatti, per quanto tu possa sforzarti. Apertamente contrappone la morte della carne alla risurrezione della carne; apertamente assegna a queste singole realtà i loro singoli autori: alla morte del corpo Adamo, alla risurrezione del corpo il Cristo. Apertamente, confrontando nel senso opposto tra loro le due immagini, l'una dell'uomo terrestre e l'altra dell'uomo celeste, attribuisce la prima al corpo animale, che a causa di Adamo meritò di essere seminato nella ignominia, la seconda al corpo spirituale che per mezzo del Cristo meriterà di risorgere nella gloria. Il quale Cristo anche secondo la carne è stato detto uomo celeste, non perché assunse dal cielo la carne, ma perché elevò al cielo anche la carne. Se è vero che una buona scelta e una buona condotta fa sì che gli uomini giungano alla risurrezione gloriosa, è forse vero che per una cattiva scelta e per una cattiva condotta di questa vita, che abbiamo tenuta noi nati e cresciuti in età, avvenne che noi nascessimo in un corpo animale con la propaggine della morte? Chi infatti con una cattiva scelta o con una qualche scelta si procurò l'inizio di una natività travagliata? Chi con una cattiva condotta, comunque abbia vissuto, si rese necessaria la morte? È pacifico che, se vogliamo riferire anche alla condotta queste due realtà, cioè l'immagine dell'uomo terrestre relativa al corpo animale e l'immagine dell'uomo celeste relativa al corpo spirituale, come poniamo la risurrezione del corpo spirituale dalla parte della giustizia, così dobbiamo porre la morte del corpo animale dalla parte del peccato, perché come nella giustizia del Cristo avverrà questa risurrezione, così nella iniquità di Adamo avvenne quella morte. Il che se tu lo capisci e accedi a questa verità apertissima, io concedo quello che dici tu: l'uomo terrestre e l'uomo celeste stanno a indicare i vizi e le virtù. Infatti come la virtù del Cristo farà risorgere un corpo spirituale, così il vizio di Adamo fece morire il corpo animale. Pertanto a questo testo non corrisponde quella sentenza del medesimo Apostolo ai Romani: Come avete messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità a pro dell'iniquità, così mettete ora le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione. ( Rm 6,19 ) Lì parlava infatti dei costumi, cattivi e buoni; qui parla invece della risurrezione del corpo e della morte del corpo. Ma poiché alla risurrezione gloriosa, che avverrà quando risorgerà un corpo spirituale, coloro che hanno ormai l'uso di ragione non potranno giungere se non lo credono e non lo sperano, per questo, ricordando che abbiamo portato l'immagine dell'uomo terrestre, nella quale a causa dell'uomo c'è la morte, esorta che portiamo l'immagine dell'uomo celeste, nella quale c'è per mezzo di un uomo la risurrezione dei morti, perché, come per il peccato di Adamo andiamo alla morte del corpo animale, così per la giustizia del Cristo andiamo alla risurrezione del corpo spirituale. Poi soggiunge: Questo vi dico, o fratelli: la carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio. Dove non ti disapproviamo per aver creduto che con i nomi di carne e di sangue sia stata indicata la sapienza della carne, e non la stessa sostanza del corpo animale che si semina, sì, nella ignominia, ma risorgerà tuttavia nella gloria e possederà senza dubbio il regno di Dio. Sebbene si possa intendere anche diversamente: che in cotesto passo con i nomi della carne e del sangue sia stata indicata la corruzione che vediamo attualmente nella carne e nel sangue, una corruzione che certamente rimanendo corruttibile non possederà il regno di Dio, perché questo corpo corruttibile si vestirà di incorruttibilità. Perciò dopo aver detto: La carne e il sangue non possono possedere il regno di Dio, quasi per spiegare che cosa avesse inteso con questi nomi, perché non si credesse che avesse inteso la stessa sostanza carnale, aggiunge: Né ciò che è corruttibile possederà l'incorruttibilità. E secondo questo senso sembra più probabile che intrecci tutto il resto. Ma, qualsiasi dei due significati abbia voluto seguire con queste parole l'autore delle medesime parole, né l'uno né l'altro va contro la fede, che è tale da non dubitare che la famiglia di Dio, congregata da tutte le genti, possederà in una carne incorruttibile il regno di Dio. Non disapproviamo pertanto ciò che anche prima di noi hanno detto molti commentatori cattolici delle Scritture divine, cioè che la carne e il sangue possono essere intesi qui per gli uomini che " sanno " secondo la carne e il sangue, e che quindi non possederanno il regno dei cieli. In tal senso infatti il medesimo Dottore delle genti dice: La sapienza della carne è morte. Ma il fatto che tu non voglia accaduta la morte del corpo animale per il peccato del primo uomo, mentre senti dire dal medesimo Apostolo: Il corpo è morto a causa del peccato, ( Rm 8, 6.10 ) e mentre non osi negare che per la giustizia del secondo uomo ci sarà la risurrezione di un corpo spirituale, che si contrappone alla morte del corpo animale, e il fatto che tu non voglia questo per riempire dei corpi dei morti e attraverso di questi riempire anche degli strazi dei morenti il paradiso, memorabile luogo delle beate delizie, questo disapproviamo, questo detestiamo, questo giudichiamo degno di anatema. Chi infatti si insulterà alla fine, quando si dirà: Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo aculeo? Se non o il diavolo, autore anche della morte corporale, o la stessa morte del corpo, che sarà divorata dalla risurrezione del corpo? Questo discorso infatti si farà dopo che questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale si sarà vestito d'immortalità. Senza ambiguità dice appunto l'Apostolo: Quando questo corpo corruttibile si sarà vestito d'immortalità, allora si compirà la parola della Scrittura: La morte è sparita nelle fauci della vittoria. Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? A quale morte lo si dirà se non a quella che sparirà nella gola della vittoria? E che morte è cotesta se non quella che sarà ingoiata nel momento stesso in cui questo corpo corruttibile e mortale indosserà l'incorruttibilità e l'immortalità? Di questa morte corporale dunque l'aculeo è il peccato, perché a questa morte si dirà: Dov'è, o morte, il tuo aculeo? Il quale aculeo ha detto che è il peccato: evidentemente l'aculeo dal quale la morte è stata fatta, non l'aculeo che è stato fatto dalla morte, come la coppa della morte è la coppa dalla quale è fatta la morte, non la coppa che è fatta dalla morte. Perché dunque ad essere insultata non sarà questa morte, ma, come reputi tu, la morte perpetua? Sarà forse la stessa morte perpetua ad essere ingoiata dalla vittoria, quando questo corpo mortale si vestirà d'immortalità? È forse la stessa morte perpetua a contendere contro i santi, perché dal loro combattimento sia vinta la paura della morte, che precedentemente li teneva vinti, quando essi peccavano per la paura della morte? Non fu forse per vincere la stessa morte corporale che il Signore è morto e ha ridotto all'impotenza colui che aveva il potere della morte, cioè il diavolo, e ha liberato coloro che per paura della morte erano rei di schiavitù per tutta la vita? ( Eb 2,14-15 ) Erano forse rei per la paura della morte eterna, quando piuttosto diventano rei coloro che non hanno paura della morte eterna? Quindi il Signore, perché non si abbia paura di questa morte corporale, la cui paura fa rei gli uomini, ma si abbia paura piuttosto della morte sempiterna, la cui non paura fa rei gli uomini, dice apertissimamente: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono fare più nulla, ma temete colui che ha il potere di gettare nella geenna e il corpo e l'anima. ( Lc 12,4-5 ) Questa della geenna è certamente la morte seconda e perpetua. Non è contro la paura di questa morte che combattono i santi, ma piuttosto contro la paura della morte del corpo. Infatti per vincere la morte corporale temono la morte eterna, perché dopo aver vinto la morte corporale con la pietà e la giustizia non sentiranno la morte eterna. La morte corporale dunque e non la morte eterna insulteranno dicendo: Dov'è, o morte, la tua vittoria? Il che in un altro testo si trova scritto così: Dov'è, o morte, il tuo contendere? ( Os 13,14 sec. LXX ) Poiché dunque l'aculeo della morte corporale è il peccato, con quale fronte tu osi dire che non dal peccato del primo uomo fu fatto che noi fossimo in lui allontanati dall'albero della vita e fossimo colpiti anche dalla morte del corpo? Cos'è, ti prego, quello che con l'incredibile rabbia della tua bavosa loquacità latri contro l'evidenza delle parole di Dio, come se la tua anima non possa ottenere la vita nel paradiso di Dio, se tu non vi introduci la morte del corpo assieme a tanto numerose e a tanto grandi malattie corporali, esecutrici e precorritrici della morte? Attento a te piuttosto, perché, mandando nel luogo delle sante delizie le pene del corpo, tu stesso non sconti nel luogo dei perpetui dolori le pene e dell'anima e del corpo. 41 - Nella Legge di Dio non c'è nessuna occasione per il peccato naturale Giuliano. In questo luogo Agostino è decisamente dell'opinione che l'aculeo della morte sia quell'antico peccato, non capendo ciò che segue: La forza del peccato è la legge, dove Agostino si sforza di sostenere che quella legge è il precetto imposto ad Adamo. Ma quel precetto non fu la forza del peccato, bensì il genere di un peccato. Altro è infatti dar forza a ciò che esiste, altro è procreare ciò che non esiste. Cibarsi dunque di quell'albero non sarebbe stato un male, se non fosse stato interdetto; ma dopo che fu interdetto e fu usurpato dalla prevaricazione, ivi nacque il peccato dalla interdizione di Dio e dalla trasgressione dei progenitori, benché non per questo fosse stata data la legge perché si mancasse; ma tuttavia facendolo, cioè mangiando di quell'albero, l'uomo non avrebbe peccato, essendo buono l'albero, se dalla legge non ne fosse stata proibita la degustazione. Di un'azione dunque che è perversa di per sé, per esempio il parricidio, il sacrilegio, l'adulterio, e che si riconosce come male anche senza l'emanazione di una legge, è esatto dire che dalla legge ha ricevuto forza presso i prevaricatori, i quali sono resi più bramosi dalla proibizione; a ciò che invece non si fa iniquamente se non perché è interdetto, risulta che dalla occasione della legge è stato conferito il genere del peccato, non la forza del peccato. Ma poiché sono stato qui un po' troppo lungo, anche alla fine di questo mio libro avverto il mio lettore ad osservare bene che nella legge di Dio non si trova nessuna occasione dell'empietà manichea; ma se alcuni punti si reputano ambigui, non dubiti e che si possano spiegare secondo le regole della verità e della ragione, e che concordino con la giustizia. Dunque con il medesimo vigore che spetta alla legge di Dio noi condanniamo e coloro che dicono: Non ci sarà la risurrezione dei morti per mezzo del Cristo, e costoro che ugualmente contro l'Apostolo asseriscono che il Cristo non ebbe un corpo della nostra natura, e venerano per questo le massime dei manichei. Agostino. Io non ho mai detto che l'Apostolo dove scrive: La forza del peccato è la legge, abbia significato quella legge che fu data nel paradiso. A vuoto dunque, come se io lo avessi detto, tu hai detto il molto che hai detto contro di me. Infatti come forza del peccato, già certamente esistente ma meno operante, io ho sempre inteso quella legge della quale il medesimo Apostolo scrive: Che diremo dunque? Che la legge è peccato? No certamente. Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non concupire. Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me tutta la concupiscenza. ( Rm 7,7-8 ) Ecco in che modo la legge è la forza del peccato: il peccato infatti operava meno quando non operava ancora la prevaricazione, perché non era stata data ancora la legge: Dove infatti non c'è legge, non c'è nemmeno prevaricazione. ( Rm 4,15 ) Non era dunque ancora "tutta " la concupiscenza, prima che essa per la proibizione crescesse tanto e diventasse tanto forte da rompere il vincolo della stessa proibizione che l'aveva incrementata. Anche tu stesso hai mostrato di saperlo, spendendo molte parole per questa sentenza, sebbene per provarlo tu abbia adoperato piuttosto altre testimonianze apostoliche e non quella adoperata ora da me, forse per non confessare che la concupiscenza è peccato. Apertissimamente appunto ha dimostrato che essa è peccato colui che dice quello che ho ricordato: Io non ho conosciuto il peccato se non per la legge. E come se domandassimo quale peccato, scrive: Non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non concupire. Questa concupiscenza dunque, certamente una concupiscenza cattiva che fa concupire la carne contro lo spirito, non esisteva ancora prima di quel grande peccato del primo uomo, ma cominciò ad esistere allora e viziò la natura umana per così dire nella traduce, dalla quale la natura trae il peccato originale. Con questa concupiscenza appunto nasce ogni uomo, né il reato di questa concupiscenza si scioglie se non in coloro che rinascono, cosicché da questo reato dopo il suo proscioglimento non sia inquinato se non chi consente alla concupiscenza nel perpetrare un'opera cattiva, o non concupiscendo lo spirito contro la carne, o non concupiscendo lo spirito più fortemente della carne. Addizionano dunque altre forze alla medesima concupiscenza i peccati che sopravvengono per la volontà propria di coloro che peccano, e la stessa consuetudine di peccare, che non per nulla si suole chiamare una seconda natura; ma nemmeno allora la concupiscenza è " tutta ". Ha infatti ancora di che crescere, perché essa è " minore " finché a peccare non è uno che sa, ma uno che non sa. Per questo l'Apostolo non dice: Non avrei avuto la concupiscenza, ma: Non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non concupire. Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me tutta la concupiscenza. Tutta è infatti la concupiscenza, quando i comportamenti proibiti si concupiscono più ardentemente e quando i peccati ormai già conosciuti, tolto di mezzo il pretesto dell'ignoranza e posta l'aggravante della prevaricazione della legge, si commettono più sfacciatamente. Onde la legge di Dio, per quanti la grazia di Dio non aiuta per mezzo dell'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, non è stata detta correzione del peccato, ma piuttosto forza del peccato. E quindi dopo aver detto: La forza del peccato è la legge, come se si rispondesse: Che faremo dunque, se il peccato non si toglie nemmeno con la legge, ma si accresce? Soggiungendo subito dove i combattenti debbano riporre la loro speranza, dichiara: Siano rese grazie a Dio che ci ha dato la vittoria, o, come hanno altri codici e l'hanno pure i codici greci: che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Verissimo assolutamente: Se infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge; la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo. ( Gal 3,21-22 ) Figli della promessa e vasi della misericordia sono coloro ai quali per questo la promessa è stata data per la fede in Gesù Cristo perché hanno ottenuto la misericordia per credere, come l'Apostolo dice anche di se stesso, ( 1 Cor 7,25 ) cosicché pure la stessa fede, dalla quale si inizia e alla quale si riferisce tutto ciò che facciamo con temperanza, con giustizia, con pietà, non si attribuisca all'arbitrio della nostra volontà, come se non fosse donata a noi dalla misericordia di Dio, dal quale è preparata anche la stessa volontà, come è stato scritto. ( Pr 8 sec. LXX ) Onde la santa Chiesa, con le labbra supplicanti dei sacerdoti, prega non solo per i fedeli, perché con perseverante pietà non vengano meno nel credere, ma anche per gli infedeli perché credano. Da quando infatti con l'umano libero arbitrio Adamo commise quel grande peccato e condannò tutto il genere umano in blocco, tutti gli uomini che vengono liberati da questa comune condanna, non vengono liberati se non in forza della grazia divina e della misericordia divina, e tutto ciò che la legge di Dio comanda non si osserva se non perché Dio stesso che comanda aiuta, ispira, dona. È Dio che si prega perché i fedeli perseverino, perché progrediscano, perché arrivino alla perfezione. È Dio che si prega anche perché coloro che non credono comincino a credere. E queste preghiere della Chiesa santa, che crescono e fervono in tutto l'orbe delle terre, desiderano sopprimerle ed estinguerle coloro che contro cotesta grazia di Dio, piuttosto che difendere l'arbitrio della volontà umana, lo sollevano per farlo precipitare dall'alto con più grave danno. Tra costoro, o da soli o da capi, tenete banco contenzioso voi che non volete che il Cristo Gesù sia "Gesù " per i bambini, perché sostenete che non sono stati contaminati da nessun peccato originale, mentre il Signore per questo è stato chiamato Gesù perché ha salvato il suo popolo, non dalle malattie corporali, che fu solito guarire anche nel popolo non suo, ma dai suoi peccati. ( Mt 1,21 ) Sebbene dunque l'Apostolo nelle parole: L'aculeo della morte è il peccato, abbia espresso senza incertezza la morte che è stata opposta alla risurrezione del corpo, della quale stava parlando, cioè la morte del corpo: essa infatti sarà ingoiata dalla vittoria quando per la risurrezione di un corpo spirituale cesserà di esistere, perché allora ci sarà l'immortalità anche del corpo che non si può perdere per nessun peccato, tuttavia in quello che aggiunse di seguito: La forza del peccato è la legge, non significò la legge che fu data nel paradiso. Essa infatti non poteva essere la forza di un peccato che non esisteva ancora. Ma disse forza del peccato quella legge che subentrò perché sovrabbondasse il peccato e scatenasse tutta la concupiscenza: ossia non soltanto la concupiscenza che, sorta nel paradiso, diede la morte anche al corpo e con la quale nasce ogni uomo; né soltanto la concupiscenza che crebbe con l'accumularsi dei peccati commessi per i cattivi costumi di chiunque, ma altresì la concupiscenza che, resa ancora più ardente da un comandamento che proibiva, arrivò fino alla prevaricazione, perché la vittoria, con la quale fosse vinta non solo la cupidigia del peccato, ma anche la paura della morte corporale, e fosse infine inghiottita l'infermità della stessa mortalità, venisse prestata non dalla legge data per mezzo di Mosè, ma dalla grazia fatta per mezzo del Cristo. Perciò l'Apostolo disse: L'aculeo della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, come se dicesse: L'aculeo della morte è certamente il peccato, perché è venuta dal peccato anche questa morte corporale. All'autore della morte o anche alla morte stessa sarà detto alla fine da coloro che risorgendo nella gloria la inghiottiranno: Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo aculeo? Ma questo aculeo, ossia il peccato, che a causa di uno solo penetrò e passò con la morte in tutti gli uomini, moltiplicato anche con l'addizione degli altri peccati, non lo poté togliere nemmeno la legge, santa e giusta e buona, la quale infatti divenne piuttosto la forza del peccato, perché la concupiscenza ardesse di più dopo che fu proibita e arrivasse al colmo della prevaricazione. Che restava dunque se non che ci soccorresse la grazia? E pertanto siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo; a Dio che, rimettendo i nostri debiti e non inducendoci in tentazione, ci conduce all'ultima vittoria dalla quale sia inghiottita anche la morte del corpo, perché chi si vanta non confidi nella propria forza, ma si vanti nel Signore. ( 2 Cor 10,17 ) Questa fede retta e cattolica, nella quale abbiamo imparato e riteniamo che anche la morte del corpo fu inoculata da quell'aculeo che è il peccato, è tanto diversa dall'errore dei manichei ed è piuttosto così chiaramente avversa ad esso, che i manichei dicono, piuttosto con voi che con noi, Adamo creato talmente mortale da essere morituro sia che peccasse, sia che non peccasse. Né per questo tuttavia noi diciamo manichei voi perché anche voi dite ciò. Né tuttavia vedete che nemmeno noi per questo dobbiamo essere detti manichei da voi perché e i manichei e noi diciamo essere un male la concupiscenza per cui la carne concupisce contro lo spirito. Ma voi in ciò che dite insieme ai manichei distate da loro per un altro errore, certamente dissimile, ma tuttavia un errore, perché la morte della carne non l'attribuite, come i manichei, ad una natura aliena e mescolata a noi, ma l'addossate alla nostra natura, benché non viziata da nessun peccato, e così il paradiso della voluttà più onesta e più felice lo riempite infelicemente e disonestamente dei funerali dei morti e degli strazi dei morenti. Noi invece nel dire con i manichei che è un male e non viene dal Padre ( 1 Gv 2,16 ) la concupiscenza della carne per la quale la carne concupisce contro lo spirito, distiamo dai manichei non per un altro errore, sebbene dissimile, tuttavia eretico anch'esso, ma per la verità cattolica, perché questa discordia tra le due concupiscenze della carne e dello spirito non diciamo con i manichei che venne a noi dalla mescolanza di una natura aliena, coeterna a Dio e cattiva, ma con il cattolico Ambrogio e con i suoi colleghi dissertiamo e contro di voi entrambi asseriamo francamente che si è convertita nella nostra natura per la prevaricazione del primo uomo, e la carne del Cristo la predichiamo, non nulla, come i manichei, né aliena dalla natura della nostra carne, come ci calunniate voi, ma immune da questo nostro vizio, per il quale la carne concupisce contro lo spirito, e assolutamente integra. Ma voi, negando che siano mali quelli che sono mali e non riferendo la loro origine al peccato del primo uomo, non ottenete che quei mali non esistano, ma con detestabile cecità favorite i manichei nel far credere che i mali vengano da una natura cattiva coeterna al Bene eterno, e accusate i manichei inutilmente, perché li aiutate miserabilmente.