La musica

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Piedi misti

9.16 - Uguaglianza nella mistione dei piedi

D. - Posseggo queste nozioni.

Ora spiega quali piedi si congiungono fra di loro.

M. - Lo potrai intendere con facilità se intendi che l'uguaglianza e la somiglianza prevalgono sulla disuguaglianza e la dissomiglianza.

D. - Ritengo che non vi sia alcuno che non la intenda così.

M. - Bisogna dunque seguire questa regola soprattutto nella combinazione dei piedi e non allontanarsene, se non v'è una validissima ragione.

D. - Sono d'accordo.

M. - Non dovrai dunque avere incertezze nell'unire fra loro pirrichi con pirrichi, giambi e trochei, che sono detti anche corei, e spondei e così senza esitazione potrai unire gli altri della medesima specie.

V'è infatti somma eguaglianza, quando piedi del medesimo nome e genere si susseguono.

Non ti sembra?

D. - Non mi può sembrar diversamente.

M. - E non ammetti che alcuni piedi debbano essere uniti ad altri di differente genere, rispettando la regola dell'uguaglianza?

Niente infatti è più piacevole per l'udito che essere dilettato dalla varietà, senza esser privato dell'uguaglianza.

D. - Sono d'accordo.

M. - E pensi che possano ritenersi eguali piedi differenti che non siano della medesima misura?

D. - No, secondo me.

M. - E sono da ritenersi della medesima misura soltanto quelli che occupano il medesimo tempo?

D. - Certamente.

M. - Allora riunirai, senza urtare l'udito, quei piedi che riconoscerai di tempi eguali.

D. - Ne consegue, penso.

10.17 - Singolarità dell'anfibraco

M. - Bene. Ma l'argomento implica ancora qualche difficoltà.

Dunque, sebbene l'anfibraco sia un piede di quattro tempi, alcuni ritengono che non lo si possa unire né ai dattili, né agli anapesti, né agli spondei, né ai proceleusmatici, quantunque questi siano tutti piedi di quattro tempi.

E non solo ritengono che esso non si possa unire agli altri, ma pensano che il ritmo non proceda normalmente e per così dire legittimamente, se solo anfibraci sono ripetuti e riuniti tra di loro.

È opportuno che esaminiamo la loro opinione per accertare se abbia una parte di ragione che converrebbe seguire e approvare.

D. - Desidero vivamente udire gli argomenti che adducono.

Mi sorprende non poco il fatto che essendovi ventotto piedi scoperti dalla ragione, questo solo sia escluso da una successione ritmica, benché abbia il medesimo tempo del dattilo e degli altri eguali, che tu hai enumerato e di cui nessuno vieta l'unione.

M. - È necessario, perché tu possa comprendere, considerare come gli altri piedi si rapportano nelle loro parti.

Così noterai che si verifica, in questo piede soltanto, una caratteristica singolare sicché non a capriccio si è ritenuto che non si deve usare per i ritmi.

10.18 - Arsi tesi e percussione …

Ma per il nostro esame ci è opportuno ricordare questi due concetti, l'arsi e la tesi.

Nel segnare la percussione infatti, dato che la mano si alza e si abbassa, l'arsi si aggiudica una parte del piede, la tesi l'altra.

Chiamo parti dei piedi quelle di cui dianzi abbiamo sufficientemente parlato, quando li abbiamo enumerati per ordine.

Se sei d'accordo, comincia ad esaminare brevemente le misure delle parti in tutti i piedi.

Ti accorgerai così che cosa di singolare è accaduto al piede in esame.

D. - Osservo per primo che il pirrichio ha eguale lunghezza in levare e in battere.

Anche lo spondeo, il dattilo, l'anapesto, il proceleusmatico, il coriambo, il digiambo, il dicoreo, l'antispasto, il dispondeo si dividono ugualmente perché la percussione in essi segna eguale durata al battere che al levare.

In secondo luogo noto che il giambo ha il rapporto di uno a due, e ritrovo il medesimo rapporto nel coreo, nel tribraco, nel molosso e in entrambi gli ionici.

Invece il levare e il battere dell'anfibraco, giacché essi, nel raffrontarli a piedi di egual misura, successivamente mi si presentano, si trovano nel rapporto di uno a tre.

Ma andando avanti non trovo proprio un altro piede, le cui parti si rapportino con lunghezza così diversa.

Infatti, quando considero i piedi composti di una breve e due lunghe, cioè il bacchio, il cretico, il palimbacchio, noto che l'arsi e la tesi avviene in essi secondo la regola dei sesquati di due terzi.

Il medesimo rapporto esiste in quei quattro piedi che sono formati di una lunga e tre brevi che sono denominati i quattro peoni secondo il numero ordinale.

Restano i quattro epitriti, così chiamati ugualmente secondo il numero ordinale, ma il loro levare e battere sono rapportati secondo il sesquato di tre quarti.

10.19 - L'anfibraco è nel rapporto di uno a tre

M. - Non ti sembra dunque che si abbia un motivo ragionevole di escludere questo solo piede dalla serie ritmica dei suoni, dato che esso soltanto presenta una differenza notevole fra le sue parti, al punto che una parte è semplice e l'altra è tripla?

Una certa somiglianza delle parti è tanto più da apprezzarsi quanto più è vicina alla eguaglianza.

E dunque, quando si ha lo sviluppo dall'uno al quattro secondo la legge dei numeri, niente è più simile a sé che se stesso.

Pertanto prima di tutto si deve apprezzare nei piedi che le parti abbiano la medesima misura fra di loro, poi ha la precedenza l'unione del semplice al doppio nell'uno e nel due, viene quindi l'unione sesquata di due terzi nel due e nel tre e infine la sesquata di tre quarti col tre e il quattro.

Invece il rapporto dell'uno al tre rientra certamente nella regola dei numeri moltiplicati, ma non ha una propria conformità nella disposizione.

Infatti nella numerazione non si va dall'uno al tre, ma si passa dall'uno al tre attraverso il due.

Questa è la ragione, per cui si ritiene di dovere escludere l'anfibraco dalla combinazione in esame.

Se tu la accetti, esaminiamo gli altri temi.

D. - Certo che l'accetto; ha piena evidenza e certezza.

11.20 - Difficoltà per ogni ionici, il molosso e i peoni

M. - Dunque giacché l'accetti, in qualunque modo i piedi si rapportino nelle sillabe, purché abbiano la medesima durata nel tempo, possono essere mescolati senza nuocere alla uguaglianza, eccetto soltanto l'anfribraco.

Pertanto ci si può chiedere giustamente se si possano convenientemente unire piedi che, pur avendo tempo eguale, non concordino nella percussione che rapporta fra di loro le parti del piede con l'arsi e la tesi.

Infatti il dattilo, l'anapesto e lo spondeo non solo hanno tempi eguali ma anche eguali percussioni, giacché in tutti l'arsi e la tesi hanno il medesimo tempo.

Dunque essi si uniscono fra di loro più regolarmente di quanto i due ionici con gli altri piedi di sei tempi.

Ambedue gli ionici hanno appunto una percussione che va dal semplice al doppio, rapportando cioè due tempi a quattro.

Per questo aspetto con essi concorda il molosso.

Gli altri di sei tempi sono nel rapporto di altrettanto poiché in essi si dànno tre tempi all'arsi e tre alla tesi.

Pertanto, quantunque tutti si dividano regolarmente, e cioè i primi tre secondo il rapporto di uno a due e gli altri quattro sono divisi in parti eguali, tuttavia, poiché questa mescolanza rende ineguale la percussione, non so se si debba rifiutare. Tu che ne pensi?

D. - Propendo per questa idea.

Infatti non so come una percussione irregolare non possa non offendere l'udito e se l'offende può avvenire soltanto per difetto di questa mescolanza.

11.21 - Mescolanza di ionici e dicorei e …

M. - Or sappi che gli antichi hanno ritenuto di poter mescolare questi piedi e hanno composto versi mediante la loro mescolanza.

Ma affinché non sembri che ti voglia convincere con l'autorità, ascolta qualcuno di questi versi e senti se offende il tuo udito.

E se non solo non ti urterà, ma piuttosto ti diletterà, non vi sarà alcuna ragione di rifiutare la loro mescolanza.

Sono questi i versi che voglio farti ascoltare:

At consona/ quae sunt, nisi/ vocalibus/ aptes

Pars dimidi/ um vocis o/ pus proferet/ ex se

Pars muta so/ni comprimet/ ora moli/entum

Illis sonus/ obscurior/ impediti/orque

Utcumque ta/men promitur/ ore semi/cluso.2

Penso che siano sufficienti perché tu possa intendere ciò che voglio.

Dimmi, ti prego, se questo ritmo non ha dilettato il tuo udito.

D. - Mi pare anzi che suoni con un ritmo sommamente dilettevole.

M. - Considera dunque i piedi.

Troverai nei cinque versi che i primi due sono formati di soli ionici e gli ultimi tre contengono anche un dicoreo, sebbene tutti dilettano interamente il nostro senso per la loro comune eguaglianza.

D. - L'avevo già notato e con più facilità data la tua pronuncia.

M. - Perché allora esitiamo ad accettare l'opinione degli antichi, convinti non dalla loro autorità ma dalla stessa ragione?

Essi ritengono appunto che possano unirsi normalmente piedi che hanno egual durata, purché abbiano percussione regolare, anche se diversa.

D. - Mi rimetto interamente giacché quel ritmo non mi permette di contraddire.

12.22 - … di ionici e digiambi

M. - Ascolta ancora questi versi:

Volo tandem/ tibi parcas / labor est in/ chartis

Et apertum i/re per auras/ animum per/mittas

Placet hoc nam/ sapienter / remittere in/terdum

Aciem re/ bus agendis/ decenter in/tentam.

D. - Anche questo basta.

M. - Soprattutto perché sono versi rozzi che ho composto estemporaneamente per l'occorrenza.

Comunque anche su questi quattro vorrei il giudizio del tuo udito.

D. - Che altro potrei dirti anche per essi, se non che sono stati pronunciati con ritmica proporzione?

M. - Senti che i primi due sono formati di ionici minori e gli ultimi due contengono anche un digiambo?

D. - L'ho notato perché l'hai fatto risaltare nel pronunciare.

M. - Non ti sorprende che nei versi di Terenziano il dicoreo sia unito allo ionico detto maggiore e che nei miei invece un digiambo si unisca allo ionico detto minore?

Pensi che non abbia importanza?

D. - Secondo me, sì, e credo di vederne la ragione.

Lo ionico maggiore, che comincia con due lunghe, esige di esser unito con un piede, cioè il dicoreo, che comincia con una lunga, il digiambo invece, che comincia con una breve, si mescola più proporzionatamente allo ionico minore che comincia con due brevi.

12.23 - Mescolanza non aritmica di vari piedi di sei tempi

M. - Giusto. Bisogna anche sapere che tale proporzione, quando non si ha eguaglianza di tempi, deve significare qualche cosa nella mescolanza dei piedi, e non che significhi molto, ma pur sempre qualche cosa.

Infatti puoi intendere, dopo avere interrogato il tuo udito, che in luogo di un piede di sei tempi, si può porre un altro qualsiasi piede di sei tempi.

Dapprima prendiamo l'esempio del molosso virtutes, dello ionico minore moderatas, del coriambo percipies, dello ionico maggiore concedere, del digiambo benignitas, del dicoreo civitasque, dell'antispasto volet iusta.

D. - Li tengo presenti.

M. - Pronuncia in un contesto tutte queste parole o piuttosto ascoltale mentre le pronuncio io, affinché il tuo udito sia più disposto nel giudicare.

Ed appunto per farti sentir bene, senza offendere il tuo udito, l'andatura eguale del ritmo, ripeterò per tre volte tutta la frase, e non dubito che basterà:

Virtutes moderatas percipies, concedere benignitas civitasque volet iusta;

virtutes moderatas percipies, concedere benignitas civitasque volet iusta;

virtutes moderatas percipies, concedere benignitas civitasque volet iusta.

Forse qualche cosa in questa serie di piedi ha offeso il tuo udito per mancanza di uguaglianza e armonia?

D. - No, certo.

M. - Ne hai avuto diletto? Ma inutile chiederlo perché in materia consegue che genera diletto tutto ciò che non urta.

D. - Non posso dire di avere altra impressione dalla tua.

M. - Ammetti dunque che tutti questi piedi di sei tempi possono normalmente mescolarsi in un contesto?

D. - Sì.

13.24 - Altra mescolanza non aritmica dei medesimi

M. - Qualcuno potrebbe obiettare che questi piedi, i quali rapportati con questa disposizione hanno potuto esser pronunciati tanto ritmicamente, non potrebbero esserlo se la disposizione fosse variata.

Non temi questo?

D. - La variazione comporta certamente qualche cosa, ma non è difficile farne l'esperimento.

M. - Fallo a tempo libero.

Troverai che il tuo udito è dilettato da una multiforme varietà e da una unitaria eguaglianza.

D. - Lo farò, quantunque con tale esperimento non v'è alcuno, il quale non preveda che necessariamente si otterrà quell'effetto.

M. - Hai ragione. Ma poiché è utile al nostro scopo, ripeterò la frase con la percussione.

Così potrai giudicare se v'è qualche aritmia e insieme fare l'esperimento sul cambiamento della disposizione che, come abbiamo previsto, non comporterà alcuna aritmia.

Ora cambia la disposizione e dopo avere collocato, a tuo piacimento, i medesimi piedi diversamente da come sono stati collocati da me, permettimi di declamarli con la percussione.

D. - Voglio che primo sia lo ionico minore, secondo lo ionico maggiore, terzo il coriambo, quarto il digiambo, quinto l'antispasto, sesto il dicoreo, settimo il molosso.

M. - Volgi dunque l'udito al suono e la vista alla battuta della percussione perché bisogna non che sia udita ma veduta la mano che batte la percussione e avvertita attentamente la durata dell'arsi e della tesi.

D. - Sono interamente attento nei limiti della mia capacità.

M. - Ascolta dunque la tua disposizione con la percussione:

Moderatas, concedere, percipies, benignitas, volet iusta, civitasque, virtutes.

D. - Mi accorgo che la percussione non è aritmica e che il levare ha la medesima durata del battere, ma sono strabiliato dal fatto che abbiano potuto avere tale percussione piedi che, come i due ionici e il molosso, sono divisi nel rapporto di uno a due.

M. - Cosa avviene dunque, secondo te, dato che in essi sono dati tre tempi al levare e tre al battere?

D. - Secondo me, non avviene altro se non che la sillaba lunga, la quale nello ionico maggiore e nel molosso è seconda e nello ionico minore terza, è divisa dalla percussione stessa.

Poiché essa ha due tempi, ne dà uno alla prima parte, l'altro alla seconda e cosi l'arsi e la tesi hanno ciascuno tre tempi.

13.25 - L'anfibraco è inconciliabile al ritmo

M. - Non si può dire o pensare altro.

Ma perché l'anfibraco, che abbiamo del tutto escluso dalla ritmicità, non può a questa condizione esser mescolato allo spondeo, al dattilo e all'anapesto, oppure ripetuto non può da sé produrre una certa ritmicità?

Infatti può alla stessa maniera esser divisa dalla percussione la sillaba lunga o mediana di questo piede, in modo che dando a ciascuno degli estremi una parte, il levare e il battere non si aggiudichino uno e tre tempi, ma due tempi ciascuno. Hai qualche cosa da opporre?

D. - Non ho altro da dire se non che anche l'anfibraco deve essere incluso.

M. - Pronunziamo dunque con la percussione una frase composta di piedi di quattro tempi in cui sia inserito anche un anfibraco ed in egual modo esaminiamo con l'udito se qualche aritmia infastidisce.

Ascolta dunque questo ritmo ripetuto tre volte con la percussione per facilitare il giudizio:

Sumas / optima, / facias / honesta;

Sumas / optima, / facias honesta;

/ sumas / optima, / facias / honesta.

D. - Ti supplico, risparmia il mio udito perché, anche senza la percussione, la sequenza di questi piedi è violentemente aritmica nell'anfibraco.

M. - Quale ragione si deve supporre perché non avviene in esso quel che avviene nel molosso e negli ionici?

Forse perché in essi le parti estreme sono eguali a quella di mezzo?

Fra i numeri pari appunto, il primo che si presenta con la parte di mezzo eguale agli estremi è il sei.

Dunque, poiché i piedi di sei tempi hanno due tempi nel mezzo e due per ogni lato, facilmente in certo modo quello di mezzo si estende verso gli estremi, cui è congiunto dall'eguaglianza.

Ciò non accade invece nell'anfibraco, in cui le parti laterali differiscono dalla mediana poiché questa ha due tempi e quelle uno.

Si aggiunge che negli ionici e nel molosso, dato che il medio è assorbito dagli estremi, si hanno tre tempi per ciascuno, nei quali a loro volta gli estremi sono eguali al medio anche esso eguale.

E ciò manca all'anfibraco.

D. - È proprio come tu dici e non senza ragione l'anfibraco in quella serie offende l'udito, mentre gli altri lo dilettano.

14.26 - Combinazione di piedi sesquati

M. - Ora tu stesso comincia dal pirrichio ed esponi quanto più brevemente ti è possibile, secondo le ragioni sopra dette, quali piedi bisogna mescolare con altri.

D. - Al pirrichio nessuno perché non se ne trova un altro del medesimo tempo.

Il coreo potrebbe congiungersi col giambo, ma è da evitarsi per l'ineguaglianza della percussione giacché il giambo parte da un tempo, il coreo da due.

Pertanto il tribraco può adattarsi ad ambedue.

Noto che lo spondeo, il dattilo, l'anapesto e il proceleusmatico sono tra loro affini e possono esser combinati; concordano appunto fra di loro non soltanto per la durata, ma anche per la percussione.

L'anfibraco, già escluso, per nessuna ragione può essere riammesso perché l'eguaglianza dei tempi non ha potuto aiutarlo a causa della discordanza tra la divisione e la percussione.

Al bacchio possono essere uniti il cretico e il peone I, II e IV; al palimbacchio invece il medesimo cretico e il peone I, III e IV che concordano evidentemente nei tempi e nella percussione.

Dunque al cretico e al peone I e IV, giacché la loro divisione può cominciare con due o tre tempi, possono essere uniti, senza alcuna aritmia, tutti gli altri piedi di cinque tempi.

Abbiamo trattato abbastanza che si ha mirabile accordo dei piedi che sono formati di sei tempi.

Difatti non entrano in disaccordo con gli altri nella cadenza neanche quelli che la condizione delle sillabe costringe a dividere in modo diverso, tanta forza ha l'eguaglianza degli estremi col medio.

Per ciò che riguarda i quattro piedi di sette tempi che sono chiamati epitriti, trovo che il primo e il secondo possono unirsi tra loro poiché la divisione d'entrambi comincia da tre tempi e perciò non discordano né per durata né per percussione.

A loro volta il terzo e il quarto si congiungono ritmicamente tra loro giacché tutti e due nella divisione cominciano da quattro tempi e perciò hanno la medesima misura e cadenza.

Resta il piede di otto tempi, chiamato dispondeo che, come il pirrichio, non ha eguali.

Hai ascoltato da me ciò che hai chiesto e sono stato capace di fare. Il resto a te.

M. - Lo farò. Ma dopo un dialogo così lungo riposiamoci un po' e ricordiamo i versi estemporanei che la stanchezza dianzi mi ha suggerito: Voglio alfine che ti risparmi; lo studio affatica, e lascia che lo spirito voli libero nello spazio.

Piace, ed è da saggi, distendere l'attenzione applicata alle attività liberali.

D. - Certo che piace ed io obbedisco volentieri.

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2 Terenziano Mauro, De litteris 89-93: G.L. 6, 328.