La natura e la grazia |
Costui confessa che "i peccati commessi hanno tuttavia bisogno d'essere rimessi da Dio e per essi si deve pregare il Signore", naturalmente per meritarne il perdono, perché per sua stessa confessione "la potenza della natura e della volontà umana", da lui molto lodata, "non può far sì che non sia stato fatto quello che è stato fatto".
In questa situazione di necessità non le resta dunque che pregare d'esser perdonata.
Che preghi invece d'esser aiutata a non peccare non lo raccomanda mai e non l'ho letto qui.
Strano l'assoluto silenzio su questo punto!, mentre la preghiera del Signore ci fa chiedere ambedue i benefici: che siano rimessi a noi i nostri debiti e che non siamo indotti in tentazione; ( Mt 6,12-13 ) il primo, perché siano cancellati i peccati passati, il secondo perché siano evitati i peccati futuri.
E sebbene ciò non si avveri senza l'intervento della volontà, tuttavia perché si avveri non basta la volontà da sola.
A questo scopo quindi non è né superfluo né indiscreto offrire preghiere al Signore.
Che c'è invece di più stolto di ricorrere alla preghiera per fare quello che hai già in tuo potere?
Considerate ora il punto più importante del problema: come costui tenti di presentare la natura umana quasi fosse assolutamente senza nessun vizio e come lotti contro le chiarissime Scritture di Dio con una sapienza che rende vana la croce del Cristo. ( 1 Cor 1,17 )
Ma questa non perderà il suo valore e quella sarà invece distrutta.
Quando l'avremo dimostrato, forse la misericordia di Dio interverrà anche a far pentire costui d'aver fatto tali affermazioni.
Scrive: "In primo luogo bisogna discutere l'assunto che per il peccato la natura sia stata debilitata e cambiata.5
A tal proposito mi chiedo innanzi tutto che cosa sia il peccato: se una sostanza o se un nome privo affatto di sostanza, un nome che non indica una realtà, un'esistenza, un corpo, ma un'azione mal fatta".
Poi soggiunge: "Credo che sia così. E se è così, come ha potuto debilitare o cambiare la natura ciò che è privo di sostanza?".
Notate, vi prego, come incosciamente costui tenti d'eliminare la supplica salvatrice espressa da queste parole medicamentose: Io ho detto: Signore, abbi pietà di me, risana l'anima mia, perché ho peccato contro di te. ( Sal 41,5 )
Cosa viene risanato, se nulla è stato ferito, nulla piagato, nulla debilitato e guastato?
Ma se c'è qualcosa da risanare, cos'è che l'ha guastato?
Senti il salmista confessare e perché lo chiami a disputare?
Dice: Risana l'anima mia. ( Sal 41,5 )
Domandagli che cosa abbia guastato ciò di cui implora il risanamento e ascolta quanto segue: Perché ho peccato contro di te. ( Sal 41,5 )
Lo interroghi costui, gli chieda quello che crede di dover chiedere e gli dica: O tu che gridi: Risana l'anima mia, perché ho peccato contro di te, ( Sal 41,5 ) che cos'è il peccato?
"È una sostanza o è un nome privo affatto di sostanza, un nome che non indica una realtà, un'esistenza, un corpo, ma semplicemente un'azione mal fatta?".
Risponde il salmista: È così come dici tu: il peccato non è una qualche sostanza, ma con questo nome si esprime soltanto un atto illecito.
E il nostro scrittore a sua volta: "Per quale motivo allora tu gridi: Risana l'anima mia, perché ho peccato contro di te? ( Sal 41,5 )
Come ha potuto guastare la tua anima ciò che non ha sostanza?".
Addolorato della propria ferita, perché la discussione non lo distolga dall'orazione, non replicherà seccato il salmista: "Vattene, ti prego; discuti piuttosto, se puoi, con colui che ha detto: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori? ( Mt 9,12-13 )
E qui chiama sani i giusti e malati i peccatori".
Non v'accorgete dove tenda e dove allunghi la mano questa polemica?6
A far perdere ogni importanza alle parole: Lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. ( Mt 1,21 )
Come lo salverà, se non ha malattia di sorta?
I peccati infatti, dai quali il Vangelo dice che dev'essere salvato il popolo del Cristo, non sono delle sostanze e secondo costui non possono viziare.
O fratello, sarebbe bene che ti ricordassi che sei cristiano.
Forse basterebbe credere a queste verità; ma poiché vuoi discutere, se c'è alla base una fede fermissima, ciò non è dannoso, anzi è pure vantaggioso.
Non stiamo a giudicare se la natura umana non possa essere viziata dal peccato ma, credendo alle Scritture divine che la dicono viziata dal peccato, indaghiamo come ciò sia potuto avvenire!
Abbiamo già imparato che il peccato non è una sostanza.
Non t'accorgi, per omettere altre cose, che anche il non mangiare non è una sostanza?
Ci si astiene da una sostanza, qual è il cibo.
Eppure, per quanto l'astenersi dal cibo non sia una sostanza, la sostanza del corpo, se questo si astiene completamente dal cibo, tanto languisce, tanto si corrompe per i disturbi della salute, tanto si esaurisce nelle sue forze, tanto s'indebolisce e si accascia che, pur se continua a vivere in qualche modo, sarà difficile farla tornare a quel cibo, astenendosi dal quale si è tanto viziata.
Alla pari non è una sostanza il peccato.
Ma una sostanza è Dio e la sostanza somma e il solo vero cibo della creatura razionale.
Da lui avendo disertato per disobbedienza e non potendo più per debolezza cibarsi di lui, mentre ne doveva anche godere, non senti quello che il salmista dice: Il mio cuore abbattuto come erba inaridisce, dimentico di mangiare il mio pane? ( Sal 102,5 )
Osservate come insista ancora con argomenti appena verosimili contro la verità della Scrittura santa.
Dice il Signore Gesù, ed è chiamato Gesù proprio perché salva il suo popolo dai suoi peccati: ( Mt 1,21 ) Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. ( Mt 9,12-13 )
E l'Apostolo dice in concordanza: Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Gesù Cristo è venuto in questo mondo per salvare i peccatori. ( 1 Tm 1,15 )
Contro quest'affermazione, degna di fede e d'ogni accoglienza, costui dice che "simile infermità non doveva contrarsi per i peccati, perché tale pena del peccato non servisse a far commettere peccati ancora più numerosi".
Anche per i bambini si cerca il soccorso di un Medico tanto grande e costui dice: "Che cercate?
Sono sani quelli per i quali cercate il medico.
Neppure il primo uomo fu condannato alla morte per il peccato e dopo infatti non peccò più".
Quasi che della perfezione della giustizia di Adamo dopo il peccato abbia avuto costui notizie ulteriori rispetto a quanto ammette la Chiesa: essere stato anche lui liberato dalla misericordia del Cristo Signore.
Egli dice: "Anche i suoi posteri non solamente non sono più deboli di lui, ma hanno pure osservato più precetti di lui, mentre egli ne ebbe uno solo e lo trasgredì".
Egli vede che i discendenti di Adamo nascono in condizioni certamente diverse da quelle in cui fu creato lui: non solo sono incapaci di precetto, poiché non hanno affatto intelligenza, ma sono appena capaci d'attaccarsi alle mammelle quando hanno fame.
Eppure, quando nel seno della Chiesa li vuol salvare con la sua grazia colui che salva il suo popolo dai suoi peccati, ( Mt 1,21 ) cotesti individui vi si oppongono e, quasi sapessero vedere dentro la creatura meglio di lui che l'ha creata, con voce insana li dichiarano sani.
Scrive costui: "La punizione del peccato sarebbe occasione di peccato, se dopo il peccato Adamo si fosse trovato tanto indebolito da peccare ancora di più".
E non pensa quanto giustamente la luce della verità abbandoni il trasgressore della legge, che allora diventa cieco e necessariamente inciampa di più e cadendo s'infortuna e infortunatosi non può più risorgere.
Così gli resta solo d'ascoltare la voce della legge per sentirsi ammonito ad implorare la grazia del Salvatore.
Non è forse una pena quella di coloro di cui l'Apostolo dice: Pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa? ( Rm 1,21 )
Questo ottenebramento era già una vendetta e una punizione.
Tuttavia a causa di questa pena, cioè a causa della cecità del cuore, prodotta dall'eclissarsi della luce della sapienza, caddero in peccati ancora più numerosi e gravi.
Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti. ( Rm 1,22 )
Grave è questa pena per chi la capisce.
E guarda dove andarono a finire per essa: Hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di serpenti. ( Rm 1,23 )
Queste empietà fecero per la pena del peccato, per la quale si ottenebrò la loro mente ottusa. ( Rm 1,21 )
E tuttavia aggiunge che per queste azioni, che, sebbene siano un castigo, sono esse pure dei peccati, Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore. ( Rm 1,24 )
Ecco come Dio li condannò ancora più gravemente lasciandoli ai desideri del loro cuore, alle immondezze.
Notate anche le azioni che fanno a causa di questa punizione: Fino a disonorare tra loro i propri corpi. ( Rm 1,24 )
E che questa sia la pena dell'iniquità, di essere anch'essa iniquità, lo sottolinea con maggiore evidenza dicendo: Hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna, hanno adorato e servito la creatura al posto del Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.
Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami. ( Rm 1,25-26 )
Ecco quante volte Dio punisce e dalla sua punizione nascono altri peccati più numerosi e più gravi.
Le loro donne infatti hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura.
Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi. ( Rm 1,27 )
E per chiarire che questi peccati avevano pure la funzione di punire altri peccati aggiunge anche per costoro: Ricevendo così in se stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento. ( Rm 1,27 )
Notate quante volte intervenga Dio a punire il male e quali peccati nascano e pullulino dalla sua stessa punizione.
Attenti ancora. L'Apostolo dice: E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa di una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta d'ingiustizia, di raggiri, di malizie, di avarizia, di invidia, di omicidi, di litigi, di frodi, di malignità; detrattori, calunniatori, nemici di Dio, insolenti, orgogliosi, tronfi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. ( Rm 1,28-31 )
Qui dica ora costui: "Non si doveva punire il peccato in tal modo che il peccatore peccasse ancora di più in forza della sua punizione".
Forse risponderà che Dio non costringe a queste azioni, ma semplicemente abbandona coloro che meritano d'essere abbandonati.
Se dice questo, dice una verità verissima.
Privàti come sono della luce della giustizia e perciò ottenebrati, che altro possono fare se non tutte quelle opere delle tenebre che ho elencate, finché non obbediscano alla voce che dice ad essi: Svégliati, o tu che dormi, dèstati dai morti e il Cristo ti illuminerà? ( Ef 5,14 )
Morti li dice la Verità, come anche nella frase: Lascia i morti seppellire i loro morti. ( Mt 8,22; Lc 9,60 )
La Verità dunque definisce morti quelli che costui nega che il peccato abbia potuto danneggiare e viziare, cioè perché ha scoperto che il peccato non è una sostanza.
Nessuno gli dice che "l'uomo è stato fatto così che certamente può andare dalla giustizia al peccato, ma non può dal peccato tornare alla giustizia"; la verità è che per andare al peccato gli bastò il libero arbitrio con il quale viziò se stesso, per tornare invece alla giustizia ha bisogno del Medico perché non è più sano, ha bisogno del Risuscitatore perché è morto.
E di questa grazia niente assolutamente dice costui, quasi che l'uomo possa guarire da sé con la sola sua volontà, perché essa l'ha potuto viziare da sola.
Noi non diciamo a costui che "la morte del corpo ha valore di peccato", essendoci nella morte del corpo una punizione soltanto, e nessuno infatti pecca morendo corporalmente!; ma diciamo che ha valore di peccato la morte dell'anima, la quale è stata abbandonata dalla sua vita, cioè dal suo Dio, e fa necessariamente opere morte, finché non risorga per la grazia del Cristo.
Noi ci guardiamo bene dal dire che "la fame, la sete e le altre molestie corporali mettono nella necessità di peccare": tanto che la vita dei giusti, esercitata da queste sofferenze, ha trovato il modo di splendere più nitida e superandole con pazienza di guadagnare una gloria più grande, ma aiutata dalla grazia di Dio, aiutata dallo Spirito di Dio, aiutata dalla misericordia di Dio, non esaltandosi con superba volontà, bensì meritandosi la fortezza con la confessione della propria debolezza.
Sapeva infatti dire a Dio: Tu sei la mia pazienza. ( Sal 71,5 )
Di questa grazia, di questo aiuto, di questa misericordia, senza di cui non possiamo vivere bene, non so perché costui non dica assolutamente nulla.
Anzi, difendendo la natura come bastante con la sola volontà a se stessa per essere giusta, contraddice apertissimamente alla grazia del Cristo che ci giustifica.
Perché poi, dopo che è stato prosciolto il reato del peccato mediante la grazia, rimanga ad esercizio di fede la morte del corpo, sebbene la morte sia venuta dal peccato, l'ho spiegato già anche questo, come ho potuto, nei libri indirizzati a Marcellino di santa memoria!7
Riguardo alla sua affermazione che "il Signore poté morire senza il peccato" rispondo che per il Signore anche il nascere fu una scelta di misericordia, non una necessità di natura.
Così pure morì volontariamente. E questo è il nostro prezzo con il quale poté redimerci dalla morte.
Ecco quanto tenta di vanificare la polemica di costoro, quando difendono così la natura umana che il libero arbitrio possa fare a meno di tale prezzo perché gli uomini dal potere delle tenebre e del principe della morte siano trasferiti nel regno del Cristo Signore.
Eppure il Signore, quando si avviò alla passione, disse: Ecco, viene il principe di questo mondo e non troverà nulla in me, ( Gv 14,30 ) nulla s'intende del peccato per cui il principe della morte lo potesse uccidere agendo secondo il proprio diritto.
Ma affinché tutti sappiano che io faccio la volontà del Padre mio, alzatevi e andiamocene di qui: ( Gv 14,31 ) sappiano cioè che io non muoio per necessità di peccato, ma per volontarietà d'obbedienza.
Costui scrive: "Nessun male è causa di un bene".
Come se la pena fosse un bene. E tuttavia essa è stata per molti causa d'emendamento.
Esistono dunque dei mali che fanno bene per la mirabile misericordia di Dio.
Che forse provò qualcosa di buono colui che dice: Mi hai nascosto il tuo volto e sono stato turbato? ( Sal 30,8 )
Certamente no. Eppure questo turbamento fu in qualche modo per lui un medicamento contro la superbia.
Aveva infatti detto nella sua prosperità: Non vacillerò in eterno, ( Sal 30,7 ) e attribuiva a se stesso quello che gli veniva dal Signore.
Che cosa possedeva che non avesse ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )
Gli si doveva dunque far capire da chi gli veniva, perché ricevesse da umile quello che aveva perduto da superbo.
Perciò dice: Nella tua bontà, o Signore, hai accordato stabilità alla mia gloria.
Ecco la mia prosperità ( Sal 30,8 ) in cui dicevo: Non vacillerò. ( Sal 30,7 )
Ma essa mi veniva da te e non da me. Poi mi hai nascosto il tuo volto e sono stato turbato. ( Sal 30,8 )
Un animo superbo non lo può assolutamente comprendere, ma grande è il Signore per darcene la convinzione nel modo che sa.
Noi siamo più inclini a cercare le risposte per le obiezioni mosse contro il nostro errore che a cercare d'intendere quanto le obiezioni siano salutari perché ci liberiamo dall'errore.
Bisogna quindi ricorrere non tanto alle discussioni con costoro quanto alle orazioni per costoro, come per noi.
Noi non diciamo ad essi quello che costui obietta a se stesso: "Perché ci fosse posto per la misericordia di Dio era necessario il peccato".
Magari non ci fosse stata la miseria a rendere necessaria la misericordia!
Ma all'iniquità del peccato, tanto più grave quanto più facile sarebbe stato per l'uomo non peccare quando era ancora esente da qualsiasi debolezza, tenne dietro una pena giustissima: ricevé in se stesso la pena del contrappasso del suo peccato perdendo l'obbedienza del suo corpo, a lui in qualche modo sottomesso, per aver trascurato l'obbedienza principale che sottometteva lui stesso al suo Signore.
E per il fatto che adesso nasciamo con la medesima legge del peccato, la quale nelle nostre membra si scontra con la legge della nostra mente, ( Rm 7,23 ) non dobbiamo né mormorare contro Dio, né discutere contro una realtà manifestissima, ma cercare la misericordia di Dio ed invocarla a soccorso della nostra pena.
Notate molto attentamente come dice: "Dio usa la sua misericordia anche in questa direzione quando occorre, perché aiutare l'uomo dopo il peccato è necessario.
Dio però non ha voluto la causa di tale necessità".
Vi accorgete o no che non dice necessaria la misericordia di Dio perché non pecchiamo, ma solo perché peccammo?
Poi soggiunge: "Anche un medico dev'essere pronto a medicare chi si è già ferito, ma non deve desiderare che un uomo rimanga ferito".
Ammesso che questo paragone sia pertinente al nostro caso, certo la natura umana non può essere ferita dal peccato, perché il peccato non è una sostanza.
Accettato dunque il paragone, come uno che per esempio zoppica a causa di una ferita, viene medicato perché, guarito dal male passato, il suo incedere torni ad essere normale per il futuro, così il Medico divino non guarisce i nostri mali unicamente perché essi spariscano, ma perché in seguito possiamo camminare bene, e non lo potremo nemmeno da sani se non con il suo aiuto.
Infatti un uomo che fa il medico, quando ha guarito un altro uomo, che da allora in poi dovrà essere sostentato con elementi e alimenti corporali perché la sua salute si consolidi e perseveri con l'assistenza opportuna, lo lascia a Dio, il quale offre i mezzi della convalescenza a coloro che vivono nella carne, come era il padrone anche degli altri rimedi che il medico adoperava durante la cura.
In realtà un medico non guarisce nessuno con medicine di sua creazione, ma con sostanze che sono di colui che crea tutte le cose necessarie ai sani e ai malati.
Viceversa Dio, quando egli stesso per mezzo dell'uomo Gesù Cristo, ( 1 Tm 2,5 ) mediatore tra Dio e gli uomini, guarisce spiritualmente un malato o risuscita un morto, cioè giustifica un peccatore, ( Rm 4,5 ) e quando l'ha ricondotto alla perfetta salute, ossia alla perfezione della vita e della giustizia, non l'abbandona se non è abbandonato da lui!, perché viva sempre nella pietà e nella giustizia.
Come infatti l'occhio corporale, benché sanissimo, non può vedere se non è aiutato dal chiarore della luce, così l'uomo, benché perfettissimamente giustificato, non può vivere rettamente se non è aiutato da Dio con la luce eterna della giustizia.
Dio dunque ci guarisce non solo così da cancellare ciò in cui peccammo, ma da prestare anche l'aiuto perché non pecchiamo.
Molto acutamente tratta, esamina e per quanto gli sembra respinge e confuta un'obiezione mossa contro di loro: "Per togliere all'uomo l'occasione di superbia e di vanagloria era necessario che non potesse vivere senza peccare".
Costui replica: "È assurdissimo e stupidissimo ammettere la necessità del peccato per impedire l'insorgere del peccato, atteso che è certamente peccato anche la superbia stessa ".
Come se una piaga non procurasse dolore e un taglio non aggiungesse altro dolore per far sparire il dolore.
Se noi non l'avessimo sperimentato e lo sentissimo raccontare in terre dove non fosse mai accaduto, senza dubbio diremmo con aria di schermo e forse con le medesime parole di lui: "È assurdissima la necessità del dolore per far sparire il dolore di una piaga".
Dicono: "Ma Dio può guarire tutti i mali".
Certamente Dio opera per guarire tutti i mali, ma opera secondo il suo giudizio e non prende dal malato l'ordine da seguire nella guarigione!
Senza dubbio voleva per esempio rendere fortissimo l'Apostolo.
A lui tuttavia dice: La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza ( 2 Cor 12,9 ) e, nonostante le ripetute preghiere, non gli tolse quel non so quale stimolo della carne che gli è stato dato perché non montasse in superbia nella grandezza delle rivelazioni. ( 2 Cor 12,7-8 )
Tutti gli altri vizi infatti si fanno valere solo in azioni cattive, la superbia invece è la sola da cui bisogna guardarsi anche nelle azioni buone!
Perciò i buoni sono preavvisati a non attribuire a proprio potere i doni di Dio e a non esaltare se stessi per non perdersi più gravemente che se non facessero nulla di buono.
Ad essi viene detto: Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore.
È Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni. ( Fil 2,12-13 )
Perché dunque "con timore e tremore" invece che "con sicurezza", se è Dio che opera?
Solo perché, stante il concorso della volontà nostra, senza la quale non possiamo operare rettamente, può ben presto insinuarsi nell'animo umano la tentazione di stimare merito esclusivo della volontà l'operare rettamente e dire nella propria prosperità: Non vacillerò in eterno. ( Sal 30,7 )
Per questo colui che con la sua benevolenza aveva assicurato stabilità alla gloria del salmista, ha nascosto appena per un poco il suo volto perché chi aveva detto ciò rimanesse turbato: ( Sal 30,8 ) proprio con tali dolorosi sistemi bisogna sanare il tumore della superbia.
Non si dice dunque all'uomo: "Ti è necessario peccare per non peccare", ma gli si dice: Dove t'insuperbisci di qualche bene Dio ti abbandona per qualche istante, perché tu sappia che non è tuo, ma suo, e impari a non essere superbo.
Anche quella famosa asserzione dell'Apostolo, qualunque ne sia il senso, non è forse così strana che non la si crederebbe, se non l'avesse fatta lui che dice la verità e che non è lecito contraddire?
Chi tra i fedeli ignora che da satana è venuta la prima suggestione ( Gen 3,1-6 ) del peccato e che è lui il primo istigatore di tutti i peccati?
E tuttavia certuni vengono consegnati a satana perché imparino a non bestemmiare. ( 1 Tm 1,20 )
Come dunque un'opera di satana scaccia un'altra opera di satana?
Faccia attenzione a queste e a simili cose costui, perché non gli sembrino estremamente acute le sue osservazioni che hanno il suono di una certa acutezza, ma quando si vagliano si trovano ottuse.
Perché poi adopera anche similitudini con le quali più che altro intende suggerire la risposta che gli si deve dare?
Scrive: "Che dirò ancora se non che si potrebbe credere che i fuochi si estinguano con i fuochi, se si può credere che i peccati si curino con i peccati?".
Che direbbe costui, se pur ammesso che nessuno possa estinguere i fuochi con i fuochi, tuttavia, come ho già spiegato, è vero che i dolori si possono curare con i dolori?
Se cerca e impara la verità, si possono altresì scacciare i veleni con i veleni.
Del resto, se qualche volta si è accorto che i calori della febbre si possono rompere con certi calori medicinali, forse concederà anche che i fuochi si estinguono con i fuochi.
Chiede costui: "In che modo potremo separare la stessa superbia dal peccato?".
Perché mai insiste con questa domanda, se è evidente che anche la superbia è peccato?
Scrive: "Tanto il peccare è insuperbirsi quanto l'insuperbirsi è peccare.
Cerca che cosa sia ogni peccato e vedi se trovi un peccato che non coinvolga la superbia".
Costui poi spiega e tenta di dimostrare questa sua sentenza nel modo seguente: "Se non sbaglio, ogni peccato è disprezzo di Dio e il disprezzo di Dio è sempre superbia.
Che c'è infatti di tanto superbo quanto disprezzare Dio?
Ogni peccato dunque è anche superbia, dicendo pure la Scrittura: L'inizio d'ogni peccato è la superbia". ( Sir 10,15 )
Cerchi costui diligentemente e troverà che nella legge il peccato di superbia è molto ben distinto da tutti gli altri peccati.
Molti peccati infatti si commettono per superbia, ma è vero anche che non tutte le azioni sbagliate avvengono per superbia: non certamente quelle che si fanno per ignoranza, per debolezza o spesso nel pianto e nel dolore.
E inoltre la superbia, essendo per se stessa un grande peccato, sussiste così da sola senza altri peccati che il più delle volte, come ho detto,8 giunge con passo veloce ad insinuarsi non nei peccati, ma anche nelle stesse buone azioni.
Le parole poi: L'inizio d'ogni peccato è la superbia, ( Sir 10,15 ) che costui intende diversamente, in tanto sono verissime in quanto fu la superbia ad abbattere il diavolo, da cui ebbe origine il peccato, e il diavolo, preso allora da invidia contro l'uomo che stava ancora in piedi, lo sgambettò per farlo cadere con il peccato che aveva fatto cadere lui stesso.
Fu certo infatti la porta dell'orgoglio quella che il serpente cercò per entrare quando disse: Diventerete come Dio. ( Gen 3,5 )
Ecco perché si legge: L'inizio d'ogni peccato è la superbia, e: Principio della superbia umana è allontanarsi da Dio. ( Sir 10,14-15 )
Che significa poi questo suo discorso: "Inoltre come può l'uomo essere debitore davanti a Dio per il reato di un peccato che sa non essere suo?
Suo infatti non è" spiega "se è necessario. O se è suo, è volontario.
E se è volontario, può evitarsi". Noi rispondiamo: È assolutamente suo.
Ma il vizio da cui nasce non è stato sanato ancora completamente.
Che quel vizio scoppiasse è certamente dipeso dall'uso non retto della sanità, e adesso l'uomo, ormai per quel vizio in cattivo stato di salute, commette molti peccati o per debilità o per cecità.
Per lui bisogna supplicare che guarisca e che poi viva in perpetua sanità, senza che s'insuperbisca credendo che per essere sanato disponga della medesima possibilità con la quale si è viziato.
E mi sia concesso di dire tutto questo certamente non senza confessare che ignoro il troppo profondo segreto di Dio: perché mai egli non guarisca immediatamente anche la stessa superbia che insidia l'animo umano perfino nelle buone azioni.
Per guarirne le anime pie lo supplicano con lacrime e grandi gemiti che porga ad esse la sua destra nel tentativo di vincerla e quasi di calpestarla e schiacciarla.
Appena l'uomo gioisce d'aver vinto anche la superbia in qualche opera buona, la superbia alza la testa di mezzo alla stessa gioia e dice: Ecco io vivo, di che trionfi?
Ed io vivo, proprio perché trionfi.
Forse prima del tempo ci piace trionfare come d'averla vinta, mentre l'ultima sua ombra sparirà, mi sembra, in quel meriggio che la Scrittura promette con le parole: Farà brillare come luce la tua giustizia e come il meriggio il tuo diritto, ( Sal 36,6 ) purché si avveri quello che è scritto prima: Manifesta al Signore la tua via, confida in lui ed egli farà: ( Sal 36,5 ) non che siano essi stessi a fare, come alcuni credono.
Dicendo: Ed egli farà, sembra che non abbia avuto di mira se non quelli che dicono: Siamo noi a fare, cioè da noi giustifichiamo noi stessi.
Nella giustificazione operiamo certamente anche noi, ma operiamo cooperando con Dio che opera prevenendoci con la sua misericordia. ( Sal 58,11 )
Ci previene però per guarirci e anche ci seguirà perché da sani diventiamo pure vigorosi!, ci previene per chiamarci e ci seguirà per glorificarci, ci previene perché viviamo piamente e ci seguirà perché viviamo con lui eternamente, essendo certo che senza di lui non possiamo far nulla. ( Gv 15,5 )
Ambedue le verità sono state scritte: Dio mio, la tua misericordia mi previene; ( Sal 59,11 ) e: La tua misericordia mi seguirà per tutti i giorni della mia vita. ( Sal 23,6 )
Manifestiamo dunque a lui la nostra via ( Sal 37,5 ) accusandola, non la lodiamo difendendola.
Se infatti non è la sua strada, ma la nostra, senza dubbio non è retta.
Manifestiamola accusandoci, perché a lui non rimane nascosta nemmeno se cerchiamo di coprirla.
Invece è bello dar lode al Signore. ( Sal 92,2 )
Egli ci darà quello che piace a lui, se quello che dispiace a lui in noi dispiacerà anche a noi.
Egli, com'è scritto, invertirà i nostri passi sviati dalla sua via e farà diventare nostra via la sua, ( Sal 44,19 ) perché a coloro che credono e confidano in lui egli si offre a mantenere fedelmente la promessa: Ed egli farà. ( Sal 37,5 )
Questa è la via giusta. La ignorano coloro che hanno lo zelo di Dio, ma non secondo una retta conoscenza e, cercando di stabilire la propria giustizia, non si sono sottomessi a quella di Dio.
Il termine infatti della legge, perché sia data la giustizia a chiunque crede, è il Cristo ( Rm 10,2-4 ) che ha detto; Io sono la via. ( Gv 14,6 )
Anche coloro che camminano già su questa strada si sentono ugualmente dissuadere dalla parola di Dio dal vantarsi in essa delle proprie forze.
A quelli infatti ai quali l'Apostolo dice per questo motivo: Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore.
È Dio che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni, ( Fil 2,12-13 ) per lo stesso motivo anche il salmo dice: Servite il Signore con timore ed esultate a lui con tremore.
Accogliete l'ammonizione, perché il Signore non si adiri e non perdiate la via giusta, quando ad un tratto divampi la sua ira su di voi. ( Sal 2,11-12 )
Non dice: "Perché non si adiri il Signore" e non "vi mostri la via giusta", o non "v'introduca nella via giusta".
Ma con le sue parole: Perché non perdiate la via giusta ( Sal 2,12 ) vuole impressionare efficacemente coloro che camminano già sulla buona strada.
Come la potrebbero smarrire se non per superbia?
Questa, l'ho detto tante volte e si dovrà ripetere tante altre volte, è da evitarsi anche nelle buone azioni, cioè sulla stessa via giusta, perché l'uomo reputando suo quello che è di Dio non perda quello che è di Dio e ritorni a quello che è suo.
Facciamo perciò quanto è affermato nella conclusione di questo salmo: Beati tutti coloro che confidano in lui, ( Sal 2,12 ) evidentemente perché faccia, perché mostri la sua strada colui al quale si dice: Mostraci, Signore, la tua misericordia, ( Sal 85,8 ) e ci doni la salute per poter camminare colui al quale si dice: Donaci la tua salvezza, ( Sal 85,8 ) e ci guidi sulla medesima strada colui al quale si dice: Guidami, Signore, per la tua via e camminerò nella tua verità, ( Sal 86,11 ) e ci conduca là dove conduce la strada, cioè a quelle sue promesse, colui al quale si dice: Là mi condurrà la tua mano, là mi porterà la tua destra, ( Sal 139,10 ) e allora sfami coloro che sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe colui del quale è detto: Li farà mettere a tavola e passerà a servirli. ( Lc 12,37 )
Non è infatti che quando ricordiamo queste verità, togliamo l'arbitrio della volontà, ma predichiamo la grazia di Dio.
A chi in realtà giovano queste verità se non a chi vuole?
Ma a chi vuole con umiltà e non a chi s'inorgoglisce delle forze della sua volontà, come se essa bastasse da sola alla perfezione della giustizia!
Lungi poi da noi che diciamo a costui ciò che egli dice detto da alcuni contro di lui: "L'uomo si mette alla pari di Dio, se si dice che è senza peccato".9
Come se si mettesse alla pari di Dio l'angelo perché è senza peccato.
Quanto a me, la mia sentenza è questa: anche quando ci sarà in noi tanta giustizia da non poterle aggiungere assolutamente più nulla, la creatura non sarà uguale al Creatore.
Se poi taluni credono che il nostro avanzamento futuro sarà tanto grande che ci convertiremo nella sostanza di Dio e diventeremo proprio ciò che è Dio, vedano essi su che basare la loro sentenza.
Io confesso che non ne sono persuaso.
A questo punto esprimo tutto il mio consenso all'autore di cotesto libro, perché contro coloro che dicono: "Sembra ragionevole, sì, ciò che asserisci, ma sarebbe superbia dire che l'uomo può esser senza peccato" risponde che, se fosse assolutamente vero, non potrebbe dirsi in nessun modo superbia.
Infatti osserva con tanto acume ed esattezza: "Da quale parte si deve preferire di mettere l'umiltà?
Dalla parte senza dubbio della falsità, se dalla parte che spetta alla verità sta la superbia".
Perciò piace a lui e gli piace con ragione che si preferisca collocare l'umiltà dalla parte della verità e non dalla parte della falsità!
Ne consegue che di Giovanni il quale ha scritto: Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi ( 1 Gv 1,8 ) non si può minimamente dubitare che abbia detto la verità, altrimenti potrebbe sembrare che abbia detto questa falsità per amore d'umiltà.
Ecco perché aggiunge: E la verità non è in noi, mentre forse erano sufficienti le parole: Inganniamo noi stessi, per evitare che alcuni potessero pensare che le sue parole: Inganniamo noi stessi avessero solo il significato che è superbo anche chi si loda di un bene vero.
Aggiungendo dunque: E la verità non è in noi mostra in modo chiaro, come piace giustissimamente anche a costui, che non diciamo assolutamente la verità, se diciamo che siamo senza peccato: altrimenti l'umiltà, messa dalla parte della falsità, perderebbe il premio della verità.
Quanto poi alla persuasione che egli ha di sostenere la causa di Dio col difendere la natura, non tiene conto che col dire sana la medesima natura respinge la misericordia del Medico.
Ma colui stesso che è il Salvatore della natura ne è il Creatore.
Non dobbiamo dunque lodare così il Creatore da sentirci sospinti, anzi veramente convinti di dover ritenere superfluo il Salvatore.
Onoriamo pertanto la natura dell'uomo con degne lodi e indirizziamo queste lodi alla gloria del Creatore, ma del fatto che ci ha creati siamogli così grati da non essergli ingrati del fatto che ci risana.
I vizi ben nostri che egli risana non li attribuiamo all'opera divina, ma alla volontà umana e alla giusta punizione divina; però, come confessiamo che era in nostro potere impedire che accadessero, così dobbiamo confessare che guarirne dipende più dalla misericordia di Dio che dal nostro potere.
Questa misericordia di Dio e il soccorso medicinale del Salvatore costui li ripone unicamente nel fatto "che Dio ci perdona i peccati commessi in passato e non nel fatto che ci aiuta ad evitarli in futuro"!
È qui che costui sbaglia con grave danno: egli, sebbene non se ne accorga, ci distoglie dal vigilare e dal pregare che non entriamo in tentazione ( Mc 14,38 ), sostenendo che è assolutamente in nostro potere impedire che ciò accada.
Pensa giustamente costui che "gli esempi di alcuni peccatori sono riferiti dalle Scritture, non perché ci spingano alla disperazione di non riuscire a non peccare e perché sembri da essi che ci venga offerta in qualche modo la sicurezza di peccare", ma perché impariamo o l'umiltà di pentirci o anche in tali cadute il dovere di non disperare della salvezza.
Alcuni infatti, dopo esser caduti in peccato, si perdono ancora di più per disperazione e non solo trascurano la medicina di pentirsi, ma si fanno schiavi di libidini e di desideri scellerati per soddisfare brame disoneste e riprovevoli, come se a non farlo perdessero pur quello a cui li istiga la libidine, convinti d'esser ormai già sull'orlo della sicura dannazione.
Contro questa malattia estremamente pericolosa e dannosa giova il ricordo dei peccati in cui sono caduti anche i giusti e i santi.
Ma acuta apparisce l'interrogazione che fa costui: "In che stato bisogna credere che tali santi siano partiti da questa vita: con il peccato o senza il peccato?".
Se si risponde: Con il peccato, allora bisognerebbe ritenere che li abbia colpiti la dannazione, e ciò è incredibile.
Se invece si dice che sono usciti da questa vita senza nessun peccato, allora si avrebbe la prova che almeno all'avvicinarsi della morte qualcuno è stato senza peccato in questa vita.
Ora, qui costui, sebbene acutissimo, tiene poco conto del fatto che nemmeno i giusti dicono invano nell'orazione: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, ( Mt 6,12 ) e che il Cristo Signore, dopo aver esposto la medesima orazione, aggiunge nell'insegnarla questo veracissimo commento: Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi le vostre. ( Mt 6,14 )
Infatti con questo quotidiano incenso spirituale, passi l'espressione, che portiamo davanti a Dio sull'altare del cuore, invitati come siamo a tenere il cuore in alto, benché non si viva quaggiù senza peccato, si può morire senza peccato, perché appena si commette un peccato per ignoranza o debolezza subito si cancella con facile indulgenza.
Indice |
5 | Eugippo, Excerpta 297 |
6 | Eugippo, Excerpta 297 |
7 | Aug., De pecc. mer. et rem. 2, 30, 49-34, 56; Girolamo, Contra Pelagianos 3, 19 |
8 | Sopra 27,31 |
9 | Girolamo, Ep. 133, 8 |