Le otto questioni di Dulcizio |
La tua seconda domanda è la seguente: L'offerta fatta per i defunti apporta qualcosa alle loro anime?
È infatti evidente che noi siamo sollevati o appesantiti dalle nostre azioni.
Inoltre leggiamo che negli inferi nessuno può più lodare il Signore.
Al che molti dicono che se là fosse possibile qualche beneficio dopo la morte, l'anima stessa vi ricercherebbe da sola, confessando i propri peccati, un refrigerio ben più grande di quello che le procurerebbe l'offerta altrui.
2.2 Di questo argomento ho detto qualcosa nel libro che recentemente ho scritto al santo vescovo Paolino di Nola, che mi aveva domandato se la sepoltura presso le tombe dei martiri fosse di qualche utilità alle anime dei defunti.
Eccoti quanto di là inserisco in questa lettera.
Da molto tempo, venerabile Paolino, fratello d'episcopato, sono debitore d'una risposta alla tua santità; da quando mi hai fatto avere un tuo scritto per mezzo degli uomini della nostra religiosissima figlia Flora, chiedendomi se a qualcuno può giovare, dopo la morte, che il suo corpo sia sepolto presso la Memoria di un santo.
Questo t'aveva infatti chiesto la ricordata vedova per suo figlio morto dalle tue parti, e tu le avevi risposto confortandola e assicurandola che per il corpo del fedele giovane Cinegio era già stato compiuto il desiderio del pio affetto materno, cioè che fosse posto nella basilica del beatissimo confessore Felice.
In quell'occasione, servendosi dei latori medesimi della tua lettera, tu scrivesti anche a me, per propormi la questione e chiedermi con la risposta il mio parere, non senza espormi il tuo.
A te, dici, non è parso vano lo slancio delle anime religiose e fedeli, che si preoccupano dei loro cari.
Non può, aggiungi infatti, essere vana la consuetudine della Chiesa intera di pregare per i morti: da questo si può così dedurre che all'uomo dopo la morte giova se la fede dei suoi provvede per la sepoltura del suo corpo un luogo tale, che già di per sé è una chiara invocazione del patrocinio dei santi.
2.3 E tuttavia, pur pensando così, mi confessi che non vedi come non si opponga a una tale opinione il detto dell'Apostolo: " Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male ". ( 2 Cor 5,10 )
Senza dubbio questa frase dell'Apostolo ammonisce a fare prima della morte ciò che giova dopo la morte e non al momento di ricevere ciò che uno ha compiuto prima della morte.
Ma la questione si può risolvere così: con un determinato genere di vita, mentre si vive nel corpo, si merita che tali cose giovino da morti; e dunque i morti traggono giovamento dai suffragi religiosamente offerti per loro dopo la fine della vita corporale secondo quanto essi stessi hanno compiuto.
Quindi c'è chi dai suffragi non trae alcun beneficio, sia che vengano offerti per quelli dei quali le colpe sono così gravi che in nessun modo possono essere aiutati dai suffragi, sia per quelli dei quali i meriti sono così grandi, che non hanno bisogno di questo aiuto.
Dal genere di vita che ciascuno ha condotto nel corpo dipende dunque l'efficacia o l'inutilità di tutto ciò che si può fare piamente per lui, dopo che avrà lasciato il corpo.
Invano infatti si cerca il merito dopo questa vita, in ragione del quale i suffragi giovano, se durante questa vita non ce lo siamo procurato.
Perciò non è vano che la Chiesa o la cura dei congiunti mettano in opera per i morti tutto ciò che la religione può suggerire; tuttavia ciascuno riceverà la ricompensa di quanto ha compiuto nel corpo sia in bene che in male, rendendo il Signore a ciascuno secondo le sue opere.
Così ciascuno durante la vita vissuta nel corpo merita che gli possano giovare i suffragi, applicati per lui dopo la morte del corpo.
Ho detto ancora qualcosa di simile a Lorenzo ed è questo: Il tempo frapposto tra la morte dell'uomo e la risurrezione finale trattiene le anime in dimore misteriose, a seconda che ciascuna abbia meritato quiete o afflizione, in rapporto a quel che ha ottenuto in sorte finché viveva nella carne.
Non si deve nemmeno negare che le anime dei defunti ricevono sollievo dalla pietà dei propri cari che sono in vita, quando viene offerto per loro il sacrificio del Mediatore o si fanno elemosine nella Chiesa.
Tutto questo però giova a quanti in vita hanno acquisito meriti che consentissero in seguito di ricavarne vantaggio.
C'è infatti un tipo di condotta non così buono da non richiedere questi suffragi dopo la morte, né così cattivo da non ricavarne giovamento dopo la morte; ve n'è poi uno talmente buono da non richiederne e viceversa uno talmente cattivo da non potersene avvantaggiare, una volta lasciata questa vita.
È in questa vita perciò che si acquista ogni merito, che consente a ciascuno di ricavarne sollievo o oppressione.
Nessuno però s'illuda di guadagnarsi presso Dio, al momento della morte, quanto ha trascurato quaggiù.
Quindi tutte le pratiche solitamente raccomandate dalla Chiesa a favore dei defunti non sono contrarie all'affermazione dell'Apostolo: " Tutti dovremo comparire davanti al tribunale di Dio, ciascuno per ricevere la ricompensa per quanto ha fatto finché era nel corpo, sia in bene che in male "; ( 2 Cor 5,10 ) anche il merito di potersi giovare di queste cose, infatti, ciascuno se l'è procurato finché viveva nel corpo.
Ma non tutti se ne giovano: e perché mai, se non perché ciascuno ha condotto, finché era nel corpo, una vita diversa?
Ora, dal momento che vengono offerti sia i sacrifici dell'altare sia di qualunque altra elemosina, essi rendono grazie per chi è veramente buono; intercedono per chi non è veramente buono; per chi poi è veramente cattivo, non potendo in alcun modo aiutare i morti, cercano in qualche modo di consolare i vivi.
Per quanti poi se ne giovano, il giovamento comporta o la piena remissione o almeno la possibilità di una condanna più tollerabile.
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