La Verginità

XII - Chi si è purificato è in grado di contemplare in se stesso la bellezza divina; della causa del male

Ma forse nessuno ignora tutto questo; piuttosto, è naturale che alcuni cerchino di sapere se è possibile trovare una sorta di metodo e di via capace di condurci a questa meta.

I libri divini sono pieni di tali istruzioni, e molti santi rendono visibile la loro vita, che serve come da faro a coloro che camminano secondo il volere di Dio.

Ma ciascuno può attingere in abbondanza da entrambi i Testamenti le relative norme della Scrittura ispirata da Dio: molto si può prendere senza limitazione sia dai profeti e la legge sia dalle tradizioni evangeliche ed apostoliche; le riflessioni che potremmo fare seguendo le parole divine sono invece le seguenti.

L'uomo, quest'essere vivente provvisto di ragione e di pensiero, opera ad imitazione della natura divina e pura ( nella cosmogonia è scritto a proposito di lui che « Dio lo fece a sua immagine » ); quest'essere vivente, quest'uomo, non ricevette dunque alla sua nascita, come parte della propria natura e della propria essenza, la proprietà di essere soggetto alle passioni ed alla morte.

Non sarebbe infatti stato possibile salvaguardare il principio dell'immagine, se la bellezza rappresentante l'immagine fosse risultata contraria al suo modello.

Solo dopo la sua prima formazione furono introdotte nell'uomo le passioni.

Questo avvenne nel modo seguente.

Come si è detto, l'uomo era l'immagine e l'imitazione della potenza che su tutto regna, e per tale ragione, nella libertà delle sue scelte, era simile al padrone di tutte le cose; non era schiavo di nessuna necessità esterna, e poteva disporre di sé come voleva secondo il proprio giudizio, giacché aveva la facoltà di scegliere ciò che gli piaceva.

Fu lui ad attirare volontariamente su di sé, fuorviato da un inganno, la disgrazia in cui ora si trova il genere umano: da sé scopri il male, senza averlo visto prodotto da Dio.

« Non fu infatti Dio a creare la morte », ma fu l'uomo a divenire in un certo senso il creatore e l'artefice del male.

La luce solare può essere percepita da tutti coloro che sono provvisti della facoltà visiva.

Chi vuole può, chiudendo gli occhi, rimanere estraneo a questa percezione; in tal caso però non è il sole a ritirarsi altrove ed a produrre quindi la tenebra, ma è l'uomo a separare il proprio occhio dal raggio chiudendo le palpebre.

Poiché la facoltà visiva non può funzionare a causa della chiusura degli occhi, è fatale che l'inattività della vista metta in azione la tenebra, che l'uomo fa insorgere deliberatamente tramite la cecità.

Così pure, chi si costruisce una casa senza lasciare aperta nessuna via capace di far entrare la luce nell'interno, deve necessariamente vivere nella tenebra, in quanto ha chiuso di proposito l'ingresso ai raggi solari.

Allo stesso modo il primo uomo nato dalla terra, o piuttosto colui che fece nascere il male nel genere umano, trovava il bello ed il buono a portata di mano in qualsiasi punto del suo ambiente naturale e ne poteva disporre come voleva; tuttavia, agendo contro se stesso, introdusse volontariamente delle novità contrarie alla natura e così, rifiutando la virtù, venne a provare il male di sua libera scelta.

Il male, considerato al di fuori della libera scelta ed in se stesso, non esiste nella natura: « ogni creatura di Dio è bella e non va disprezzata » e « tutte le cose che Dio ha fatto sono fin troppo belle ».

Ma quando l'ingranaggio del male s'introdusse nel modo sopra descritto nella vita dell'uomo corrompendola, e quando in seguito al riversarsi nell'uomo di un'enorme quantità di vizi originatisi da un piccolo pretesto, anche la bellezza della sua anima - simile a Dio ed imitazione della bellezza originaria - venne annerita come un ferro dalla ruggine del vizio, l'uomo in quelle circostanze non seppe più conservare la grazia dell'immagine che gli era propria e che era conforme alla natura, ed assunse l'aspetto turpe caratteristico del peccato.

Per questo l'uomo, « questa cosa grande e preziosa » - così lo chiama la Scrittura - abbandonò la propria dignità: come chi scivola e cade nel sudiciume diventa irriconoscibile anche alle persone con cui ha familiarità perché tutta la sua figura è sporca di fango, così anche l'uomo, caduto nel sudiciume del peccato, perse l'immagine del Dio incorruttibile ed assunse con il peccato un'immagine soggetta a corruzione e fangosa.

La parola divina suggerisce di toglierla lavandola con l'acqua pura della retta condotta di vita, in modo che « una volta eliminato l'involucro » di terra, possa apparire di nuovo la bellezza dell'anima.

La deposizione di ciò che è contrario all'uomo consiste nel ritorno a ciò che gli è proprio e secondo natura: in quest'intento egli non può riuscire, se non ritorna ad essere quello che era all'inizio, quando fu creato.

La somiglianza a Dio non è infatti opera nostra né una realizzazione delle facoltà umane, ma dipende dalla generosità di Dio, che la donò alla natura umana fin dalla sua prima nascita.

L'uomo deve preoccuparsi solo di togliere la sporcizia che il vizio ha accumulato in lui e di far risplendere la bellezza della sua anima, prima velata.

Penso che nel Vangelo il Signore insegni proprio questo quando dice a coloro che sono in grado di ascoltare « la sapienza comunicata nel mistero »: « il regno di Dio è dentro di voi ».

La sua parola mostra, a mio parere, come il bene concesso da Dio non sia separato dalla nostra natura né sia situato lontano da coloro che intendono cercarlo, ma si trovi in ciascuno di noi: esso è ignorato e nascosto quando « viene soffocato dagli affanni e dai piaceri della vita », ma può essere ritrovato quando diventa l'oggetto dei nostri pensieri.

Se devo rendere più credibile con altri argomenti ciò che ho detto, ricorderò che a mio avviso il Signore vuole farci pensare proprio a questo quando parla della ricerca della dracma perduta: pur essendo tutte presenti, di nessuna utilità possono essere le rimanenti virtù - chiamate dracme dal Vangelo - se quella sola dracma manca nell'anima rimasta vedova.

Per questo il Signore, alludendo forse alla ragione « che illumina gli oggetti nascosti », ci ordina di « accendere innanzitutto la lampada » e di cercare quindi la dracma perduta « nella nostra casa », vale a dire in noi stessi.

Con la dracma cercata Egli vuole alludere proprio all'immagine del re, che non è persa del tutto, ma è solo nascosta nello sterco.

Per sterco bisogna intendere, a mio parere, la sporcizia prodotta dalla carne: una volta che questa è stata spazzata via ed eliminata da una retta condotta di vita, l'oggetto cercato riappare; allora, l'anima che l'ha ritrovato ha ragione di rallegrarsi e di rendere i vicini partecipi della sua gioia.

In effetti, quando la grande immagine del re impressa fin dal principio sulla nostra dracma « da colui che ha formato i nostri cuori ad uno ad uno » viene scoperta ed ha modo di risplendere, allora tutte le facoltà presenti nell'anima - chiamate « vicini » - si voltano sotto l'effetto di quella gioia ed esultanza divina, e rimangono fisse nella contemplazione dell'ineffabile bellezza dell'oggetto trovato.

« Rallegratevi con me - dice il Signore - perché ho ritrovato la dracma che avevo perso ».

Le facoltà dell'anima « vicine », vale a dire presenti in lei - quella razionale, quella concupiscibile, quella che regola il dolore e l'ira e tutte le altre di cui si può pensare dotata l'anima - piene di gioia per la scoperta della dracma divina a buon diritto possono essere ritenute amiche: è naturale che tutte si rallegrino nel Signore, quando contemplano il bello ed il buono ed agiscono per glorificare Dio, senza essere più le armi del peccato.

Se il ritrovamento di ciò che si cercava significa il ritorno alla condizione primitiva dell'immagine divina che ora è nascosta dalla sporcizia della carne, noi dobbiamo diventare quello che il primo uomo creato fu all'inizio della sua vita.

Com'era dunque? Non aveva vestiti fatti con pelli morte, poteva guardare con tutta sicurezza il volto di Dio, non giudicava il bello mediante il gusto e la vista, « gioiva solo nel Signore », e a tale scopo - questo fa capire la divina Scrittura - si serviva dell'aiuto che gli era stato dato, giacché non conobbe la sua donna prima della cacciata dal paradiso e prima che essa fosse condannata alla pena del parto per il peccato che aveva commesso lasciandosi ingannare.

Possiamo ritornare alla primitiva beatitudine ripercorrendo in senso inverso quello stesso cammino che ci portò fuori del paradiso, quando ne venimmo scacciati insieme al nostro progenitore.

Di quale cammino si tratta? Allora il piacere, prodotto dall'inganno, diede inizio alla caduta.

Alla passione accesa dal piacere seguirono quindi la vergogna, la paura, il non avere più il coraggio di stare al cospetto del Creatore, ed il nascondersi tra le foglie nell'ombra; dopo di che, essi si ricoprirono di pelli morte.

Così furono mandati esuli in questa regione malsana ed aspra, nella quale il matrimonio fu concepito come un mezzo di consolazione di fronte alla morte.

XIII - L'inizio della cura di sé stessi è la rinunzia al matrimonio

Se è dunque nostra intenzione andarcene via di qui ed unirci a Cristo, è bene far cominciare questo distacco dall'ultimo stadio, così come coloro che sono lontani dai propri familiari, quando vogliono ritornare al loro punto di partenza, lasciano per primo l'ultimo posto nel quale sono arrivati.

Il matrimonio è l'ultimo momento della separazione dal soggiorno nel paradiso: proprio perché rappresenta l'ultima tappa il nostro scritto suggerisce a coloro che ritornano a Cristo di considerarlo come la prima cosa da lasciare.

Occorre quindi abbandonare le miserie terrene in cui fu posto l'uomo dopo il peccato e, successivamente, uscire dai rivestimenti della carne togliendoci le tuniche di pelle, vale a dire i pensieri carnali.

Abbandonata « ogni azione vergognosa fatta di nascosto », non dobbiamo più coprirci con il fico della vita amara, ma gettare via queste foglie caduche che ricoprono la vita, ritornare al cospetto del creatore, rifiutare l'inganno offerto dal gusto e dalla vista, e farci consigliare non più dal serpente velenoso ma dal comandamento di Dio.

Questo c'ingiunge di toccare solo il bene e di rifiutare l'assaggio del male, giacché tutto il male che ci colpisce si origina proprio dal nostro desiderio di non ignorarlo.

Per questo ai primi uomini creati fu vietato di conoscere assieme al bene il suo contrario ed ordinato di tenersi lontani dalla conoscenza del bene e del male e di cogliere il bene puro, non mescolato con il male.

A mio avviso, ciò significa stare soltanto con Dio, gustare questa delizia all'infinito ed ininterrottamente e non mescolare al godimento del bene ciò che trascina verso il suo opposto.

E se si deve parlare con franchezza, bisogna aggiungere che in tal modo ci si può forse allontanare da questo mondo sommerso dal male, e tornare di nuovo in paradiso, giunto nel quale Paolo udì e vide cose ineffabili e non contemplabili, di cui non è lecito parlare agli uomini.

Ma poiché il paradiso è la dimora dei vivi che non accoglie coloro che sono stati uccisi dal peccato, e noi d'altra parte siamo carnali, soggetti alla morte e « venduti al peccato », come potrà soggiornare nel luogo riservato ai vivi colui che soggiace alla signoria della morte?

Quale mezzo o quale sotterfugio potrà mai trovare per sfuggire a questo potere?

Basta a tale scopo il suggerimento del Vangelo.

Sentiamo che il Signore dice a Nicodemo: « Chi è nato dalla carne è carne; chi è nato dallo spirito è spirito ».

Sappiamo che la carne è soggetta alla morte a causa del peccato, mentre lo spirito di Dio è incorruttibile, vivificatore ed immortale.

É evidente che, come la nascita materiale comporta necessariamente anche la generazione della forza destinata a distruggere l'essere generato, così lo spirito infonde una forza vivificatrice in coloro che vengono generati tramite esso.

Qual è il risultato di ciò che si è detto?

Lasciata la vita carnale che è necessariamente seguita dalla morte, dobbiamo cercare quella vita che non porta come conseguenza la morte: e questa è la vita della verginità.

La verità di ciò che dico potrà risultare più chiara da queste brevi considerazioni aggiuntive.

Chi non sa che l'effetto della congiunzione tra i corpi è la formazione di corpi mortali, mentre coloro che si congiungono secondo un legame spirituale ricevono in luogo dei figli la vita e l'incorruttibilità?

É bene ricordare a tal proposito il detto dell'apostolo: « Con questa generazione si salva la gioiosa madre di tali figli »; così pure, il salmista gridò nei canti divini: « Colui che fa abitare nella sua casa una donna sterile, perché diventi una madre che si rallegra dei figli ».

Gioisce veramente la madre vergine che genera figli immortali tramite lo spirito: il profeta la chiama « sterile » grazie alla continenza.

XIV - La verginità è superiore al potere della morte

Tale vita deve essere dunque tenuta in più alta considerazione dalle persone assennate, in quanto è superiore alla signoria della morte.

La procreazione fisica - nessuno se l'abbia a male per queste mie parole - è per gli uomini causa non di vita, ma di morte.

La corruzione comincia infatti con la nascita; coloro che la fermano grazie alla verginità pongono in sé stessi un limite alla morte, impedendole di procedere oltre in loro: fungendo come da linea di demarcazione tra la morte e la vita, fermano l'avanzata della prima.

La morte quindi, se non può oltrepassare la verginità ma cessa di avere effetto e si dissolve in essa, mostra chiaramente la superiorità di questa virtù: a ragione è chiamato incorruttibile il corpo che non si sottomette al servizio della vita corrotta e che non accetta di diventare strumento di una successione mortale.

In un corpo siffatto s'interrompe la serie continua di corruzioni e di morti che ha dominato l'intervallo di tempo intercorso tra il primo uomo creato e la vita di chi resta vergine.

Non era infatti possibile che la morte restasse inoperosa, quando la nascita umana riceveva impulso dal matrimonio; viaggiando assieme a tutte le generazioni precedenti ed accompagnando nella loro traversata coloro che nascevano continuamente, trovò nella verginità un limite alla sua azione, che è impossibile valicare.

Come nel caso di Maria madre di Dio la morte che aveva regnato da Adamo fino a lei una volta raggiuntala urtò contro il frutto della verginità come contro una roccia e si consunse, così in ogni anima che grazie alla verginità va oltre la vita carnale si dissolve in un certo senso la forza della morte, che non ha dove mettere il suo pungolo.

Il fuoco, se non gli vengono gettate la legna, le canne, l'erba o altri materiali combustibili, non è in grado di durare da sé; allo stesso modo, neanche la forza della morte si può esplicare, se il matrimonio non le sottopone la materia su cui agire e non le prepara - come se fossero dei condannati - le persone destinate a morire.

Se hai dei dubbi, presta attenzione ai nomi delle disgrazie che, come ho già detto all'inizio del mio trattato, il matrimonio porta agli uomini e rifletti sulle loro origini.

Sarebbe forse possibile piangere sul fatto di rimanere vedovi od orfani o sulle disgrazie che toccano ai figli, se non ci fosse prima il matrimonio?

Le tanto ricercate soddisfazioni, gioie e voluttà e tutto ciò che si vuole dal matrimonio trovano la loro conclusione in questi dolori.

Come l'impugnatura della spada è liscia, facile a toccarsi, ben levigata, brillante e adatta ad essere stretta dal palmo della mano, mentre la parte rimanente è un ferro, uno strumento di morte pauroso a vedersi ed ancora più pauroso quando lo si esperimenta, così è anche il matrimonio: mentre dapprima offre alla sensazione tattile la levigatezza superficiale del piacere come se si trattasse di un'impugnatura adorna di un cesello ben eseguito, quando viene in mano a chi l'ha toccato porta strettamente legati a sé i dolori e diventa per gli uomini causa di pianti e di disgrazie.

É proprio il matrimonio ad offrire spettacoli pietosi e lacrimevoli: si pensi ai figli che restano orfani in età prematura, che divengono preda dei potenti e che spesso, non rendendosi conto dei propri mali, sorridono di fronte alla sventura.

Ed esiste una causa di vedovanza diversa dal matrimonio?

Non è fuori luogo dire che il sottrarsi ad esso comporta l'esenzione da tutti questi funesti tributi.

Quando infatti decade la condanna che fu stabilita all'inizio contro i trasgressori, cessano di esistere le sofferenze delle madri di cui parla la Scrittura ed il dolore non anticipa più la nascita degli uomini; ogni disgrazia prodotta dalla vita viene eliminata, e « dai volti scompaiono le lacrime », come dice il profeta: « il concepimento non avviene più nella trasgressione » e « la gravidanza non si verifica più nel peccato » né « è prodotta dal sangue e dal volere dell'uomo e della carne »; al contrario, la generazione deriva soltanto da Dio.

Ciò si verifica, quando si accoglie nella parte viva del proprio cuore lo spirito incorruttibile, e quando si generano « la sapienza, la giustizia, la santificazione e la redenzione ».

Ognuno può diventare madre di chi è tutte queste cose, così come dice il Signore in un passo del Vangelo: « Chi esegue la mia volontà è mio fratello, mia sorella e mia madre ».

Quale posto ha la morte in tali gravidanze?

Quando queste hanno luogo, l'elemento mortale è veramente inghiottito dalla vita, e la vita verginale, recando in sé i segni dei beni tenuti in riserva dalla speranza, sembra un'immagine della beatitudine futura.

Se si esamina il mio ragionamento, si può riconoscere la verità di quello che dico: innanzitutto, chi muore per il peccato vive per Dio per il resto del tempo, non produce più frutti per la morte, pone fine per quanto sta in lui alla vita della carne ed attende il « realizzarsi della beata speranza e l'apparizione del grande Dio », senza creare con generazioni intermedie un intervallo tra sé e la sua venuta; in secondo luogo, anche nella vita presente trae profitto dall'eccellenza dei beni della resurrezione.

Se la vita promessa dal Signore ai giusti dopo la resurrezione è uguale a quella degli angeli, e se la rinunzia al matrimonio è propria della natura angelica, egli riceve i beni promessi unendosi agli splendori dei santi ed imitando con la sua vita incontaminata la purezza delle essenze incorporee.

Se la verginità procura tali beni ed altri simili, quale discorso potrà esprimere degnamente l'ammirazione per questa grazia?

Quale altro bene dell'anima apparirà così grande e prezioso, e potrà mai uguagliare in un paragone la sublimità di tale dono?

XV - La vera verginità si vede in tutto ciò che si fa

Se abbiamo compreso l'eccellenza di questa grazia, dobbiamo renderci conto anche delle sue conseguenze: questa virtù non è così semplice come si potrebbe credere, né si ferma ai corpi, ma giunge dappertutto e grazie alla sua versatilità permea di sé tutte quelle che sono e vengono ritenute le perfezioni dell'anima.

L'anima che grazie alla verginità si unisce al vero sposo non solo si tiene lontana dalle sozzure materiali ma, dopo avere dato avvio in tal modo alla propria purezza, si comporta in ogni circostanza in maniera simile e con uguale fiducia, nel timore di accogliere in sé la passione per l'adulterio nella misura in cui il suo cuore si mostra incline più del dovuto alla partecipazione al vizio.

Per ritornare sull'argomento, ricorderò questo: l'anima che si unisce al Signore in modo da diventare assieme a Lui un unico spirito e che decide di amarlo con tutto il cuore e con tutte le forze facendo di quest'amore la norma costante della sua vita, non si dà più alla fornicazione per non diventare un tutt'uno con essa e non ammette in sé neppure gli altri vizi che sono di ostacolo alla salvezza, giacché la contaminazione è sempre la stessa, quali che siano i vizi: se è sporcata da uno di essi, l'anima non può più possedere la sua purezza immacolata.

Quanto io dico può essere illustrato con un esempio.

L'acqua di uno stagno resta calma ed immobile se nessun turbamento proveniente dall'esterno agita la sua tranquillità; se però vi cade una pietra gettata da qualche parte, essa si muove tutta in cerchi concentrici, e si producono delle onde, determinate dallo scuotimento locale; mentre la pietra va a fondo a causa del suo peso, le onde si producono in cerchio attorno ad essa l'una dopo l'altra e vengono spinte verso le estremità dello specchio d'acqua dal movimento verificatosi al suo centro: in tal modo, tutta la superficie dello stagno si agita, risentendo di ciò che è avvenuto in profondità.

Analogamente, basta il sopravvenire di una sola passione a scuotere la tranquillità assoluta dell'anima, che risente del danno subito da una sua parte.

Dicono gli esperti in materia che le virtù non sono separate le une dalle altre e che non è possibile possedere in modo perfetto una virtù se non si possiedono le altre invece, nella persona in cui è presente una virtù entrano fatalmente al suo seguito anche le altre.

Così pure, nel campo contrario un danno che colpisce una nostra parte si estende a tutta la vita virtuosa; è proprio vero, come dice l'apostolo, che il tutto si adegua alla parte: se un membro soffre, tutto il corpo soffre con esso, mentre se è glorificato tutto il corpo gioisce.

XVI - Tutte le occasioni di abbandono della virtù presentano un uguale pericolo

Infinite sono durante la nostra vita le deviazioni verso i peccati, ed in vari modi le Scritture alludono al loro gran numero.

« Molti - viene detto - sono coloro che mi perseguitano e mi tormentano », « molti sono coloro che mi combattono dall'alto », e così via.

Si può forse dire a buon diritto che molti sono gli adulteri che tendono insidie allo scopo di contaminare « questo matrimonio veramente prezioso e questo talamo immacolato »; e se è necessario enumerarli chiamandoli per nome, va ricordato che adultera è l'ira, adultera è l'avidità, adulteri sono l'invidia, il rancore, l'inimicizia, la denigrazione, l'odio, e che l'elenco fatto dall'apostolo di tutti i vizi « contrari al sano insegnamento » è un'enumerazione di adulteri.

Supponiamo che una donna bella e desiderabile venga concessa in sposa ad un re per queste sue qualità, e che degli uomini intemperanti la insidino per la sua bellezza.

Costei, finché reagisce contro tutti coloro che si mostrano premurosi nei suoi riguardi per corromperla accusandoli di fronte al suo sposo legittimo, è onesta e pensa al suo sposo; in tal caso, gl'inganni degl'intemperanti non hanno alcuna presa su di lei.

Se invece dà retta anche ad uno solo di coloro che l'insidiano, la sua castità nei riguardi degli altri non la esime dalla condanna: perché venga condannata, basta infatti che il talamo sia contaminato da un solo uomo.

Così l'anima che vive per Dio non si lascia sedurre da nessuna delle cose che le vengono presentate come belle con l'inganno: se, vittima di una passione, accetta di contaminare il suo cuore, anche lei infrange il principio giuridico del matrimonio spirituale.

Come dice la Scrittura, « nell'anima orditrice di mali non entra la sapienza »: ciò significa in realtà che il buono sposo non può entrare nell'anima che è dedita all'ira, che ama la denigrazione o che ospita in sé altri simili vizi.

Quale accorgimento potrà mai conciliare tra loro le cose che per natura sono estranee l'una all'altra e che non possono combinarsi insieme?

Ascolta l'apostolo quando insegna che « non esiste nessun rapporto tra la luce e le tenebre » o « tra la giustizia e l'illegalità »: per dirla in breve, non esiste nessun rapporto tra tutto ciò che è il Signore quando è pensato e chiamato secondo le varie proprietà che si vedono in lui e tutte le proprietà contrarie che si possono pensare presenti nel vizio.

Se è impossibile un rapporto tra le cose che per natura non si possono mescolare tra loro, l'anima prigioniera di un vizio è assolutamente estranea al bene e non gli consente di soggiornare in lei.

Qual è dunque l'insegnamento che se ne può ricavare?

La vergine casta ed assennata deve allontanarsi da ogni pensiero capace di toccare in qualsiasi modo la sua anima, e conservarsi pura per lo sposo che si è unito a lei secondo la legge, « rimanendo libera da macchie, grinze ed altre simili cose ».

Una sola è la strada diritta, veramente stretta e piena di triboli, che non ammette deviazioni né in un senso né in un altro: qualsiasi allontanamento da essa comporta un uguale pericolo di cadute.

XVII - É imperfetto nei riguardi del bene chi è difettoso anche in una sola delle pratiche virtuose

Se le cose stanno così, bisogna correggere per quanto è possibile le abitudini più in voga: coloro che pur reagendo con vigore contro i piaceri più turpi ricercano il piacere per altre vie, come ad esempio negli onori e nel desiderio di comandare, si comportano pressappoco come il domestico che, desiderando la libertà, non cerca di liberarsi dalla servitù ma si limita a cambiare i suoi padroni, confondendo questo scambio con la libertà.

Anche se non hanno gli stessi padroni, costoro sono tutti schiavi in uguale misura, finché c'è qualcuno che li domina e li comanda esercitando su di loro il suo potere.

Vi sono poi altri che, dopo una lunga lotta contro i piaceri, diventano non si sa come facile preda della passione opposta: vivendo in modo scrupolosamente severo, si lasciano subito prendere dai dolori, dalle irritazioni, dai rancori, e da tutti gli altri vizi che sono opposti all'edonismo, e ben difficilmente riescono a liberarsene.

Ciò avviene, quando il corso della vita è guidato non dalla norma della virtù, ma da qualche passione.

Eppure, come dice la Scrittura, il comandamento del Signore è così chiaro da illuminare anche gli occhi dei bambini: esso afferma che il bene consiste nel tenersi attaccati soltanto a Dio.

E Dio non è né dolore né piacere né viltà né temerarietà né paura né ira né una di quelle passioni che dominano l'anima priva di disciplina, ma, come dice l'apostolo, è la sapienza stessa, la santificazione, la verità, la gioia, la pace e tutte le altre cose simili a queste.

Chi è dominato dalle passioni contrarie come può unirsi a chi è tutto questo?

O come non è assurdo che colui che cerca di non essere preda di una determinata passione scambi per virtù il suo opposto?

Ciò avviene quando, per sfuggire al piacere, si diventa schiavi del dolore, quando per evitare la temerarietà e la sconsideratezza si mortifica l'anima con la viltà, e quando, nell'intento di non cadere prigionieri dell'ira, si rimane sbigottiti per la paura.

Quale differenza comportano i vari modi in cui ci si allontana dalla virtù o, per meglio dire, si abbandona Dio, che è la virtù perfetta?

Anche nel caso delle malattie del corpo, non si può dire che agiscono mali diversi quando si è distrutti da un difetto eccessivo o da una sovrabbondanza smisurata, giacché in entrambi i casi la mancanza di misura porta allo stesso sbocco.

Chiunque si preoccupa di vivere secondo l'anima e cerca la salute, sta attento a rimanere nel punto di mezzo rappresentato dalla mancanza di passioni, senza mescolarsi od avere rapporti con i vizi contrari che da entrambe le parti affiancano la virtù.

A dire tutto questo non sono io, ma è la stessa voce divina.

Si può infatti ascoltare chiaramente l'insegnamento del Signore, là dove egli raccomanda ai suoi discepoli - simili ad agnelli che vivono in mezzo ai lupi - di non essere soltanto colombe, ma di avere nel loro carattere anche qualcosa del serpente.

Ciò significa che non si deve coltivare fino all'eccesso quella semplicità che sembra lodevole agli uomini, giacché tale atteggiamento rassomiglierebbe alla più grande stoltezza; e che non si deve scambiare per una virtù priva dei contrari ed assolutamente pura quell'abilità e malizia che è lodata da molti: sulla base di quelli che sembrano i contrari, occorre formare un carattere in cui siano mescolati entrambi gli elementi, eliminando dall'uno la stoltezza e dall'altro la scaltrezza che si manifesta nella malvagità.

In tal modo, entrambi gli opposti concorrono a formare un unico bel modo di agire, risultante dalla semplicità di mente e dalla perspicacia.

« Diventate - dice il Signore - prudenti come i serpenti e semplici come le colombe ».

XVIII - Tutte le facoltà dell'anima devono mirare alla virtù

Ciò che il Signore dice in questo passo deve rappresentare per tutti - ed in specie per coloro che si avvicinano a Dio tramite la verginità - un insegnamento da applicare per tutta la vita: si deve cioè cercare di non trascurare i contrari coltivando una sola virtù e di cogliere il bene ovunque si trovi, in modo da dare alla propria vita una sicurezza totale.

Neanche il soldato ripara con la sua armatura certe parti del corpo per lasciare nude le rimanenti ed esporsi così ai pericoli.

Quale vantaggio trarrebbe infatti da quest'armamento parziale, se ricevesse un colpo mortale in una sua parte esposta?

E chi potrebbe chiamare bella una persona che in seguito ad una disgrazia è rimasta priva di una delle parti che concorrono a formarne la bellezza?

La bruttura prodotta da tale mancanza guasta la bellezza della parte buona.

E se, come dice un passo del Vangelo, è ridicolo colui che, intrapresa la costruzione di una torre, mette tutto il suo impegno nelle fondamenta ma poi non giunge alla fine, quale altro insegnamento si può trarre da questa parabola, se non che in ogni impresa di rilievo bisogna fare di tutto per giungere al suo termine compiendo l'opera di Dio con le varie costruzioni rappresentate dai comandamenti?

Una sola pietra non basta a costruire tutta la torre, ed un solo comandamento non conduce l'anima perfetta alla proporzione ricercata: bisogna in ogni caso gettare le fondamenta per poi, come dice l'apostolo, « mettervi sopra la costruzione fatta d'oro e di pietre preziose ».

Così sono infatti chiamati i comandamenti messi in pratica, secondo il detto del profeta: « Ho amato i tuoi comandamenti più dell'oro e di molte pietre preziose ».

La ricerca della verginità deve dunque rappresentare il fondamento della vita virtuosa, ma su di questo vanno costruite tutte le opere della virtù.

Anche ammettendo che il fondamento sia veramente prezioso e degno di Dio - ed in effetti lo è ed è creduto tale -, se tutta la rimanente condotta di vita non corrisponde a questa virtù e viene sporcata dal disordine dell'anima, allora è proprio il caso di parlare dell'« orecchino che sta nel naso della scrofa » o della « perla calpestata dai piedi dei porci ».

Questo andava detto su questi argomenti.

Chi non dà alcuna importanza al fatto che la sua vita manca di armonia per colpa degli elementi che dovrebbero invece accordarsi perfettamente tra loro, può arrivare a comprendere quest'insegnamento guardando la sua casa.

A mio parere, il padrone di casa non ammette che nella propria abitazione i vari oggetti abbiano un aspetto sconveniente o brutto: si pensi ad un letto rivoltato, alla tavola piena di sudiciume, alle suppellettili preziose gettate in luoghi sporchi, ed alle suppellettili destinate ai servizi più umili che cadono invece sotto lo sguardo di chi entra; al contrario, egli dispone tutto in modo appropriato e secondo l'ordine conveniente, e, assegnato a ciascuna cosa il posto che le si addice, accoglie con fiducia gli ospiti, sicuro di non vergognarsi se la disposizione degli oggetti della sua casa cade sotto i loro occhi.

Allo stesso modo penso che il padrone ed amministratore della nostra tenda - parlo dell'intelligenza - debba disporre bene tutto ciò che c'è in noi, usando in modo appropriato ed in vista del bene quelle facoltà dell'anima che il demiurgo ha fabbricato per noi in luogo degli strumenti e delle suppellettili.

Nella speranza che il mio discorso non venga accusato di essere un'inutile chiacchiera, passando in rassegna i singoli casi spiegherò come, facendo uso di ciò che si ha, si possa regolare la propria vita secondo ciò che è conveniente.

Diciamo dunque che occorre tenere i desideri ben fermi nella parte più pura dell'anima: una volta che sono stati scelti e consacrati a Dio come un'offerta o una primizia dei propri beni, essi vanno custoditi in modo che restino intangibili e puri e non vengano sporcati dalle sozzure della vita.

L'ira e l'odio devono vegliare come cani da guardia soltanto contro le resistenze opposte dal peccato, e fare uso della propria natura contro il ladro ed il nemico che s'introduce per guastare il tesoro divino e che viene a rubare, uccidere e mandare in rovina.

Il coraggio e l'ardimento vanno tenuti in mano come un'arma per non farsi cogliere di sorpresa dagli spaventi che sopravvengono o dagli assalti degli empi.

Alla speranza ed alla pazienza ci si deve appoggiare come se fossero dei bastoni, nei casi in cui le tentazioni producono stanchezza.

Il bene rappresentato dal dolore - qualora capiti di averlo - va tenuto a portata di mano quando ci si pente dei peccati: non è mai tanto utile come nel compimento di questo servizio.

La giustizia deve rappresentare la norma della rettitudine, indicando il modo di evitare il peccato in ogni parola ed in ogni opera e suggerendo come devono comportarsi le parti dell'anima e come si possa dare a ciascuna di esse ciò che è dovuto.

Chi trasforma il desiderio di avere di più - presente nell'anima di ciascuno in modo veemente, anzi smisurato - nel desiderio conforme al volere di Dio, è definito beato per questa sua cupidigia, giacché usa la violenza là dove essa è encomiabile.

Un tale uomo adopera inoltre la sapienza e la prudenza come consiglieri in ciò che è utile e come aiutanti quando si tratta di organizzare la propria vita, in modo da non essere mai danneggiato dall'ignoranza o dalla stoltezza.

Se invece non adoperasse queste facoltà di cui si è parlato in modo conforme alla natura e giusto, ma introducesse nel loro uso dei cambiamenti contrari ad ogni norma, facendo volgere il desiderio verso le cose turpi, tenendo pronto l'odio per usarlo contro i congiunti, amando l'ingiustizia, mostrandosi violento nei riguardi dei genitori, manifestando la sua audacia in cose assurde, sperando in cose vane, impedendo alla prudenza ed alla saggezza di coabitare con lui, preferendo la compagnia della ghiottoneria e dell'intemperanza e comportandosi in modo analogo nel resto, allora si rivelerebbe singolare a tal punto che non sarebbe facile dare di questa sua stranezza una degna descrizione.

Che cosa si direbbe infatti se uno, scambiando tra loro i vari pezzi dell'armatura, rivoltasse l'elmo in modo da nascondere il volto e far sporgere indietro il cimiero, tenesse i piedi nella corazza, adattasse al petto gli schinieri, mettesse a destra ciò che dovrebbe stare a sinistra e a sinistra l'armatura della parte destra?

Ciò che inevitabilmente toccherebbe in guerra ad un simile soldato è naturale che tocchi nella vita a chi confonde i propri pensieri ed inverte l'uso della facoltà dell'anima.

In questo campo dobbiamo dunque cercare quell'armonia che la vera temperanza è in grado d'infondere nelle nostre anime.

E se si dovesse considerare la più perfetta definizione della temperanza, si potrebbe forse dire a buon diritto che essa consiste nell'ordinato governo di tutti i movimenti dell'anima, esercitato dalla sapienza e dalla prudenza.

Tale disposizione d'animo non ha bisogno né di fatiche né d'impegno per potere essere partecipe delle cose più alte e celesti, e grazie alla sua natura è in grado di raggiungere assai facilmente ciò che prima sembrava quasi irraggiungibile, in quanto possiede già in sé l'oggetto della ricerca avendo eliminato il suo contrario: chi è uscito dalla tenebra non può non trovarsi nella luce, e chi non è morto deve necessariamente vivere.

Se quindi non s'indirizza la propria anima verso le cose vane, si resta interamente nella strada della verità: lo stare attenti ad evitare le deviazioni e la conoscenza di quest'arte rappresenta una guida scrupolosa nel retto cammino.

Come gli schiavi affrancati, quando non servono più i loro proprietari e diventano padroni di sé stessi, concentrano le loro cure sulla propria persona, così, a mio avviso, anche l'anima libera dalla schiavitù e dagl'inganni del corpo giunge a conoscere l'attività naturale che le è propria: come anche l'apostolo ci ha insegnato, la libertà consiste nel « non essere prigionieri del giogo della schiavitù » e nel non essere tenuti nei ceppi del legame del matrimonio come dei transfughi o dei malfattori.

Il mio discorso ritorna allo stesso punto di partenza, giacché la libertà perfetta non consiste soltanto nella rinunzia al matrimonio ( non si pensi che la verginità sia una cosa di così poco valore e così a buon mercato da infondere il convincimento che per realizzare tale ideale basta tenere un po' sotto controllo la carne ); ma poiché « chiunque commette il peccato è schiavo del peccato », la deviazione verso il vizio, possibile in ogni cosa ed in ogni attività, rende schiavo in un certo senso l'uomo e lo macchia, producendo su di lui con i colpi del peccato dei lividi e delle bruciature: di conseguenza, chi tocca la grande meta rappresentata dalla verginità deve essere simile a se stesso in ogni circostanza e far mostra della propria purezza in tutta quanta la sua vita.

Se si deve illustrare il mio discorso con un esempio preso dalle Scritture ispirate da Dio, a confermarne la verità basta la verità stessa, che in una parabola ed in un enigma del Vangelo c'insegna proprio questo.

L'arte del pescatore separa i pesci buoni e commestibili da quelli cattivi e dannosi, per evitare che qualche pesce cattivo caduto nella rete impedisca di gustare quelli buoni; analogamente, il compito della temperanza consiste nello scegliere in ogni occupazione ciò che è puro ed utile e nello scartare ciò che è inutile, lasciandolo alla vita secolare e mondana che la parabola chiama metaforicamente mare.

Anche il salmista la chiama così, suggerendo in uno dei suoi salmi il modo di rendere grazie: egli definisce questa nostra vita instabile, soggetta a passioni ed agitata, « acque che toccano l'anima, abissi marini e tempestosi »; in essa, ogni pensiero ribelle cade a fondo come una pietra, così come era avvenuto per gli Egiziani.

Solo chi è caro a Dio ed è in grado di contemplare la verità - queste persone sono chiamate dalla storia Israele - riesce ad attraversare questo mare come se fosse asciutto, senza venire minimamente toccato dalle onde amare e salate della vita.

Così, sotto la guida della legge ( Mosè ne era infatti l'emblema ), anche Israele attraversò il mare senza bagnarsi diventando in tal modo un esempio, mentre gli Egiziani nel tentativo di attraversarlo insieme ad Israele vennero sommersi; entrambi subirono l'influenza della disposizione d'animo che era presente in loro: mentre gli uni poterono passare con facilità, gli altri andarono a fondo; in effetti, la virtù è una cosa leggera e tende a salire in alto.

Tutti coloro che vivono uniformandosi ad essa volano come nuvole o « come colombe con i loro piccoli », secondo il detto di Isaia.

Come dice uno dei profeti, il peccato è invece una cosa pesante, « seduta su un talento di piombo ».

Se qualcuno ritiene sforzata e non rispondente ai fatti tale interpretazione della storia sacra e non vuole ammettere che il prodigio dell'attraversamento del mare sia stato scritto per nostra utilità, ascolti le parole dell'apostolo: « A loro queste cose capitarono perché servissero da esempio, e furono scritte perché venissimo esortati ».

XIX - Ricordo di Maria sorella di Aronne, come colei che inaugurò questo tipo di vita perfetta

A questo ci fa pensare anche la profetessa Maria, quando subito dopo avere attraversato il mare prese in mano il tamburino asciutto e risonante, mettendosi in testa al coro delle donne: è forse probabile che il racconto voglia alludere tramite il tamburino alla verginità praticata da questa prima Maria, nella quale a mio avviso è prefigurata Maria madre di Dio.

Come il tamburino emette molti suoni se elimina da sé tutta l'umidità e diventa completamente asciutto, così la verginità diventa splendente e famosa perché non accoglie durante la vita l'umore che dà origine alla vita stessa.

Se il tamburino preso in mano da Maria è un cadavere e la verginità è la morte del corpo, non è forse del tutto inverosimile pensare che la profetessa fosse vergine.

Noi avanziamo quest'ipotesi non in seguito ad una chiara dimostrazione, ma in virtù di semplici congetture e supposizioni, dovute al fatto che la profetessa Maria guidò il coro delle vergini, anche se molti esperti hanno fatto vedere chiaramente che essa era vergine perché la storia sacra non ricorda mai il suo matrimonio e la sua procreazione: in effetti, se avesse avuto un marito, avrebbe dovuto essere nominata e riconosciuta non in base a suo fratello Aronne ma in base a suo marito, giacché il capo di una donna è considerato non il fratello, ma il marito.

Se la grazia della verginità sembrava preziosa anche a coloro che onoravano la procreazione come una benedizione e che la consideravano una cosa legittima, a maggior ragione noi, che ascoltiamo i divini oracoli non secondo la carne ma secondo lo spirito, dobbiamo abbracciare una tale pratica.

Gli oracoli divini ci hanno svelato quale bene rappresentino la gravidanza ed il parto spirituali e quale tipo di fecondità fosse praticato dai santi di Dio.

Il profeta Isaia ed il divino apostolo lo spiegano molto chiaramente.

Il primo dice: « Per effetto del timore che abbiamo di te, o Signore, abbiamo concepito nel nostro ventre, partorito e generato »; il secondo si vanta di essere divenuto il più fecondo di tutti gli uomini, e di avere reso gravide intere città e popoli, in quanto con i suoi parti non solo condusse alla luce e formò nel Signore i Corinzi ed i Galati , ma fece il giro di tutta la terra abitata, da Gerusalemme fino all'Illiria, riempiendola dei propri figli generati in Cristo tramite il vangelo.

Così anche nel vangelo è considerato beato il ventre della santa vergine che servì all'immacolata generazione: il parto non cancellò la verginità, e la verginità da parte sua non ostacolò tale gravidanza.

Come dice Isaia, là dove si produce lo spirito della salvezza i voleri della carne diventano del tutto impotenti.

XX - É impossibile essere schiavi dei piaceri corporei e nello stesso tempo cogliere i frutti della gioia divina

Anche l'apostolo dice che ciascuno di noi è un uomo doppio: mentre il primo uomo è visibile dal di fuori ed è portato per natura a corrompersi, il secondo può essere invece pensato nel segreto del cuore ed ammettere in sé il rinnovamento.

Se questo discorso è veritiero ( e lo è, giacché è la verità stessa a parlare in esso ), non è fuori luogo pensare ad un duplice matrimonio, adatto e corrispondente a ciascuno dei due uomini che sono in noi: chi osa dire che la verginità del corpo aiuta e difende il matrimonio spirituale, non dice forse cose tanto inverosimili.

Come non è possibile praticare nello stesso tempo due arti servendosi delle mani - si pensi ad esempio a chi vuole dedicarsi contemporaneamente all'agricoltura ed alla navigazione, all'arte del fabbro ed a quella delle costruzioni; come chi vuole esercitarne bene una deve abbandonare l'altra, così anche noi, quando ci troviamo di fronte a due matrimoni che si realizzano l'uno tramite la carne l'altro tramite lo spirito, se vogliamo dedicarci ad uno di essi, dobbiamo necessariamente separarci dall'altro.

L'occhio non può vedere due cose insieme a meno di non fissare gli oggetti visibili particolari uno alla volta; la lingua non può parlare due idiomi diversi nello stesso tempo pronunziando contemporaneamente parole ebraiche e greche; e l'udito non può ascoltare insieme un racconto di fatti avvenuti ed un insegnamento.

I diversi suoni, se sono sentiti l'uno dopo l'altro, fanno capire a chi ascolta un determinato pensiero, ma se rimbombano nell'orecchio mescolandosi tutti insieme, producono nella mente di chi ascolta una confusione in cui non si distingue più nulla, giacché i significati delle varie parole si mischiano gli uni con gli altri.

Analogamente, anche la nostra facoltà concupiscibile non è in grado di assecondare i piaceri corporei e di contrarre nello stesso tempo un matrimonio spirituale.

Con attività simili non si possono raggiungere entrambi gli scopi: del matrimonio spirituale sono garanti la temperanza, la morte del corpo ed il disprezzo di tutto ciò che ubbidisce alla carne, mentre del congiungimento fisico sono garanti tutte le cose contrarie alle prime.

Poiché dunque, se ci sono due padroni da scegliere, non ci si può sottomettere contemporaneamente ad entrambi ( « nessuno può infatti servire due padroni » ), chi è saggio sceglie il padrone che gli è più utile; allo stesso modo, poiché non possiamo contrarre tutti e due i matrimoni che ci sono di fronte ( « il celibe pensa alle cose del Signore, l'uomo sposato a quelle del mondo » ), è proprio dei saggi non sbagliarsi nella scelta di quello che conviene di più e non ignorare la strada che conduce ad esso, e che si può imparare soltanto se si ricorda il seguente paragone.

Come nel matrimonio fisico chi non intende essere respinto si preoccupa molto del benessere del corpo, del trucco più adeguato, dell'abbondanza della ricchezza e delle onte di cui potrebbero essere causa la sua vita e la sua stirpe ( solo così può ottenere ciò che gli sta a cuore ), allo stesso modo chi contrae il matrimonio spirituale innanzitutto si mostra giovane e separato da ogni tipo di vecchiaia grazie al rinnovamento subito dalla sua mente, e quindi fa vedere di essere ricco di quelle cose che rendono ambita la ricchezza: non si gloria delle ricchezze terrene, ma è fiero dei tesori celesti.

Per quanto riguarda la nobiltà della stirpe, cerca di avere non quella che è presente anche in persone di poco valore per una coincidenza fortuita, ma quella che è prodotta dalla fatica o dall'impegno presenti nelle sue virtù, e di cui possono vantarsi i figli della luce e di Dio e coloro che sono chiamati « i nobili dell'oriente » grazie alle loro azioni luminose.

Coltiva inoltre la forza e la salute non esercitando il corpo ed ingrassando la carne, ma al contrario rendendo perfetta la forza dello spirito nella debolezza del corpo.

Sa anche che i doni di questo matrimonio vengono presi non dalle ricchezze corruttibili, ma dalla ricchezza della sua anima.

Vuoi imparare i nomi di questi doni?

Ascolta Paolo, il bel paraninfo, quando spiega di che cosa sono ricchi coloro che danno prova di sé in ogni circostanza.

Dopo avere parlato di molti altri doni importanti, dice: « Anche nella purezza ».

Inoltre, tutte le cose che sono annoverate tra i frutti dello spirito rappresentano anche i doni di questo matrimonio.

Chi è disposto ad ascoltare Salomone e ad accettare la vera sapienza come inquilina e compagna della propria vita ( a proposito di lei Salomone dice « Innamoratene, e ti custodirà; onorala, perché ti protegga » ), si prepara a celebrare la festa in compagnia di coloro che gioiscono di tale matrimonio: si mostra degno del suo desiderio indossando una veste pura, in modo da non essere respinto per non avere il vestito adatto, nonostante la sua pretesa di prendere parte alla festa.

É chiaro che il mio discorso, per quanto riguarda l'impegno messo in questo tipo di matrimonio, si riferisce ugualmente sia agli uomini che alle donne.

Poiché, come dice l'apostolo, « non ci sono né maschi né femmine, ma Cristo è tutto in tutti », l'amante della sapienza può affermare a buon diritto di possedere in sé l'oggetto del suo desiderio, che è la vera sapienza; e l'anima che resta attaccata allo sposo incorruttibile possiede l'amore per la vera sapienza, che è Dio.

Ciò che abbiamo detto è valso a spiegare in misura conveniente in che cosa consiste il matrimonio spirituale e a che cosa mira l'amore puro e celeste.

XXI - Colui che ha scelto una severa disciplina di vita deve estraniarsi da ogni tipo di piacere corporeo

Poiché è risultato impossibile avvicinarsi alla purezza di Dio se prima non si diventa puri, è necessario frapporre tra noi ed i piaceri un grande e robusto muro divisorio, in modo che la loro vicinanza non contamini la purezza del cuore.

Il muro sicuro è rappresentato dal rimanere completamente estranei a tutto ciò che si compie sotto la spinta delle passioni.

Il piacere, che come c'insegnano gli esperti è unico all'origine, dividendosi in più rigagnoli come l'acqua che sgorga da un'unica fonte, penetra in coloro che lo amano attraverso i singoli organi sensoriali.

Chi viene sconfitto dal piacere che subentra attraverso una delle sensazioni ne rimane ferito nel cuore, così come insegna la parola del Signore, secondo la quale chi ha soddisfatto il desiderio dei suoi occhi riceve un danno nel cuore.

Penso che il Signore, in questo passo, abbia voluto alludere a tutti gli organi sensoriali pur parlando di uno solo di essi: di conseguenza noi, seguendo le sue parole, faremmo bene ad aggiungere che pecca in cuor suo anche chi ode o tocca desiderando e chi sottomette al servizio del piacere le sue facoltà.

Perché ciò non avvenga, dobbiamo adottare nella nostra vita continente questa norma: da una parte, non bisogna mai accostare l'anima a ciò in cui è nascosta l'esca del piacere, dall'altra, occorre essere molto guardinghi soprattutto nei confronti del piacere prodotto dal gusto, giacché questo sembra più a portata di mano ed è come la madre di ogni piacere proibito.

In effetti, i piaceri derivanti dai cibi e dalle bevande, crescendo sotto l'effetto della sregolatezza nel mangiare, producono fatalmente nel corpo dei mali non voluti, mentre la sazietà genera negli uomini le passioni corrispondenti.

Perché dunque il corpo resti il più tranquillo possibile e non venga turbato da nessuna delle passioni prodotte dalla sazietà, bisogna fare attenzione ad adottare come norma della condotta di vita temperante e come regola del gusto non il piacere ma l'utilità che si ricava da ciascuna cosa.

E se spesso all'utilità si trova mescolato il piacere ( il bisogno sa rendere gradite molte cose, addolcendo con la forza del desiderio tutto ciò che si trova utile ), non bisogna respingere la prima, solo perché è seguita dal secondo: basta non cercare il piacere prima di tutto il resto, e, scegliendo l'utile in tutte le cose, non tener conto di ciò che può riuscire gradito ai sensi.

Vediamo che anche i contadini sanno separare a regola d'arte la pula mischiata con il grano, in modo che di ciascuna di queste due cose venga fatto l'uso più appropriato: mentre il grano è destinato alla vita umana, la pula è destinata ad essere bruciata e a servire da nutrimento alle bestie.

Anche chi realizza la continenza separa il piacere dall'utilità così come si fa con il grano e la pula: come dice l'apostolo, egli getta il piacere agli esseri irrazionali destinati ad essere bruciati, mentre sa trarre profitto dall'utilità secondo i propri bisogni, rendendo grazie a Dio.

XXII - Non bisogna praticare la continenza al di là del necessario; alla perfezione dell'anima si oppone sia la carnosità del corpo che la mortificazione priva di misura

Ma poiché molti con la loro eccessiva severità cadono in un altro tipo di sregolatezza senza accorgersi di perseguire uno scopo opposto, allontanano in un altro modo la propria anima dalle cose più alte e divine abbassandola verso i pensieri e le occupazioni meschine, e costringono la mente a preoccuparsi del corpo, di modo che essa non è più in grado di spaziare liberamente nelle regioni superiori e di guardare in alto, ma si piega verso le fatiche e le angustie della carne, è opportuno pensare anche a quest'eventualità e guardarsi in uguale misura da entrambe le sregolatezze, senza seppellire la mente sotto la mole corporea e senza esaurirla e mortificarla portandola all'indebolimento e tenendola occupata con le fatiche fisiche: occorre ricordare il saggio comandamento che vieta la deviazione sia verso destra che verso sinistra.

Ho ascoltato un medico mentre spiegava la propria arte.

Il nostro corpo si compone di quattro elementi non omogenei ma opposti tra loro, il caldo e il freddo, l'umido ed il secco.

Il caldo non può mescolarsi con il freddo, così come è assurda la commistione tra l'umido ed il secco; ciò nonostante, questi quattro elementi possono collegarsi con i loro contrari grazie alle proprietà delle coppie intermedie.

Illustrando con una certa sottigliezza queste leggi naturali, spiegò ciò che voleva dire: ciascuno di questi elementi, pur essendo diametralmente opposto al suo contrario, si collega ad esso in modo naturale grazie alle qualità affini degli elementi che gli sono vicini.

Poiché infatti il freddo ed il caldo si trovano in uguale misura nell'umido e nel secco, ed analogamente l'umido ed il secco si trovano nel caldo e nel freddo, le stesse qualità che appaiono in uguale misura nei contrari rendono possibile l'incontro tra gli opposti.

Ma perché dovrei spiegare dettagliatamente come questi elementi, contrari tra loro per natura, sono divisi gli uni dagli altri e pur tuttavia si uniscono tra loro mescolandosi in virtù delle qualità affini?

Abbiamo fatto questo discorso perché chi considera sotto questo punto di vista la natura del corpo consiglia di pensare il più possibile all'equilibrio delle varie qualità: la salute infatti c'è quando nessuno degli elementi che si trova in noi è dominato da un altro.

Se c'è del vero nel nostro discorso, per salvaguardare la nostra salute dobbiamo dunque preoccuparci di tale disposizione: dobbiamo cercare di non introdurre alcun eccesso o difetto prodotto da sregolatezze nel nostro modo di vivere in nessuna delle parti di cui siamo composti, ed imitare per quanto è possibile il conduttore del cocchio.

Questi, se guida dei puledri che non vanno d'accordo, non mette fretta con la frusta al più veloce né trattiene con le redini il più lento né abbandona ai suoi impulsi disordinati senza frenarlo quello che si rivolta e fa il difficile, ma dirige quest'ultimo, trattiene il primo e tocca con la frusta il secondo fino a produrre in tutti e tre quell'accordo che è necessario alla corsa.

Allo stesso modo anche la nostra mente, che tiene le redini del corpo, non pensa di aggiungere cose infiammabili al caldo che è già eccessivo durante la giovinezza, né, quando il corpo è raffreddato da qualche passione o dall'età, accresce ciò che produce il freddo o il languore.

Per quanto riguarda le altre qualità si comporta in modo simile, ascoltando la Scrittura: « Affinché l'abbondanza non sia eccessiva e la povertà non manchi di nulla ».

Eliminati entrambi gli eccessi, si preoccupa di aggiungere ciò che manca e si guarda in uguale misura da ciò che in entrambi i casi rende il corpo inutilizzabile: non rende con l'eccessivo benessere la sua carne scomposta e ribelle, né, sottoponendola ad eccessive sofferenze, fa sì che si ammali, s'indebolisca e non sia più in grado di rendere i necessari servizi.

Questo è il fine precipuo della continenza: essa mira non alla sofferenza del corpo, ma alla scioltezza delle funzioni dell'anima.

XXIII - Colui che desidera apprendere la severa regola di questo tipo di vita deve farsi istruire da chi ha realizzato tale perfezione

Chi vuole imparare con esattezza questi singoli punti - come deve vivere colui che ha deciso di praticare tale filosofia, da che cosa bisogna guardarsi, in quali pratiche ci si deve esercitare, la misura della continenza, il modo di comportarsi, e tutta la condotta adatta a tale scopo - ha a disposizione degl'insegnamenti scritti capaci d'istruirlo in proposito; ma ancora più efficace dell'insegnamento della parola è l'esortazione proveniente dalle opere.

La cosa non presenta difficoltà, giacché per trovare l'educatore non occorre intraprendere un lungo cammino o una lunga navigazione: come dice l'apostolo, « vicina è la tua parola ».

La grazia viene dal focolare: qui si trova il laboratorio della virtù, in cui questo tipo di vita si purifica e progredisce fino alla massima scrupolosità.

Molte sono qui le possibilità, sia per chi tace sia per chi parla, di apprendere dalle opere stesse questa celeste condotta di vita: ogni discorso considerato senza le opere anche se è molto adorno assomiglia ad un'immagine senza vita, che ha solo una sembianza fiorente dovuta alle tinte e ai colori; « chi invece agisce ed insegna », come dice un passo del vangelo, è veramente un uomo vivo, bello, attivo e dinamico.

Tale persona deve dunque frequentare colui che intende abbracciare la verginità secondo questo criterio selettivo.

Come infatti chi desidera imparare la lingua di un popolo non può fare da maestro a se stesso, ma deve farsi istruire dagli esperti e riesce a parlare la stessa lingua degli stranieri solo se si abitua lentamente ad ascoltarla, così a mio avviso non si può imparare la severità di questo tipo di vita - che non procede secondo il corso della natura, ma se ne estranea data la novità del regime - se non ci si lascia guidare da chi è riuscito a realizzarla.

Per quanto riguarda tutte le altre occupazioni della nostra vita, il principiante, se impara dai maestri la scienza delle varie cose a cui ambisce, può riuscire meglio che se cercasse di affrontare l'impresa da solo: non si tratta di occupazioni facili, nelle quali il giudizio su ciò che è utile è rimesso necessariamente a noi stessi, se anche l'avere il coraggio di fare esperienza di ciò che s'ignora comporta dei pericoli.

Gli uomini scoprirono per mezzo di esperimenti la scienza medica prima ignorata, svelandola a poco a poco con le loro osservazioni: in tal modo, l'utile ed il dannoso poterono essere riconosciuti con le testimonianze fornite dalle prove, e vennero a far parte della dottrina di quest'arte, mentre ciò che era stato visto dai primi osservatori divenne come un messaggio per il futuro.

Chi pratica ora quest'arte non ha bisogno di compiere esperimenti sulla propria persona per conoscere l'efficacia delle medicine e sapere se sono dannose o rappresentano dei rimedi, ma riesce in essa perché ha imparato da altri ciò che conosce.

Allo stesso modo, anche a proposito dell'arte che cura l'anima - parlo della filosofia, dalla quale impariamo a curare tutte le passioni che toccano l'anima - non è necessario cercare di apprenderne la scienza con congetture e supposizioni, ma basta sfruttare le grandi possibilità di apprendimento offerte da chi ha saputo realizzare questa disposizione d'animo dopo una lunga e ricca esperienza.

Per lo più, anzi in ogni frangente, la giovinezza è una cattiva consigliera: non è facile trovare una persona che abbia raggiunto una cosa degna di essere ambita senza avere associato al suo impegno la vecchiaia.

Quanto più importante delle altre occupazioni è lo scopo per noi che lo perseguiamo, tanto più dobbiamo pensare alla sicurezza.

Negli altri casi la giovinezza, quando non sa amministrare con criterio, danneggia i beni, facendo perdere o la fama a cui il mondo dà valore o la dignità; nel caso invece di questo grande ed alto desiderio ciò che corre pericolo non è rappresentato né dalle ricchezze, né dalla gloria mondana e caduca, né da qualcun'altra delle cose che ci vengono dall'esterno e che le persone assennate non tengono in gran conto, vengano esse amministrate a loro grado o altrimenti: la sconsideratezza tocca proprio l'anima, ed il pericolo che tale danno comporta consiste non nell'essere danneggiati in cose il cui recupero può forse apparire possibile, ma nella perdizione e nel vedere punita la propria anima.

Chi ha consumato i beni paterni non dispera di poter ritornare eventualmente al primitivo benessere con qualche accorgimento, finché vive; ma chi abbandona questo tipo di vita perde ogni speranza di diventare migliore.

Poiché dunque quasi tutti abbracciano la verginità quando sono ancora giovani ed immaturi di mente, la loro prima preoccupazione, nel momento in cui imboccano questa strada, deve essere quella di cercare una buona guida ed un buon maestro: solo così potranno evitare che la loro inesperienza li porti a battere sentieri impraticabili e li faccia vagare, allontanandoli dal retto cammino.

« Due valgono più di uno », dice l'Ecclesiaste.

Chi è solo, è facilmente vinto dal nemico che tende imboscate sulle strade di Dio; ed è vero il detto « Guai a chi sta solo quando cade », perché non ha chi lo fa rialzare.

Alcuni sono giunti a desiderare questa nobile vita seguendo un buon impulso: convinti però di aver toccato la perfezione nel momento stesso in cui hanno fatto la loro scelta, si sono lasciati ingannare dalla loro debolezza mentale, scambiando per bene ciò per cui propendeva la loro mente.

Fra questi vanno annoverati coloro che la sapienza chiama pigri, che ricoprono di spine le loro strade, che ritengono un danno dell'anima lo zelo posto nell'esecuzione dei comandamenti di Dio, che cancellano le esortazioni apostoliche e che non mangiano il proprio pane come sarebbe giusto, ma aspettano quello altrui, facendo della pigrizia l'arte della loro vita.

Da questi provengono i sognatori, che ritengono gl'inganni dei sogni più credibili degl'insegnamenti evangelici e che chiamano rivelazioni le semplici immaginazioni; « da questi provengono anche coloro che s'introducono nelle case » e gli altri che scambiano per virtù il loro modo di vivere appartato e selvaggio, che non rispettano il comandamento dell'amore e che non conoscono i frutti della magnanimità e dell'umiltà.

Chi potrebbe passare in rassegna tutti questi peccati, nei quali si cade perché non si vuole entrare nella schiera di coloro che godono di una buona reputazione presso Dio?

Tra tali peccatori riconosciamo quelli che sopportano la fame fino alla morte come se « Dio si compiacesse di tali sacrifici », e coloro che si allontanano in una direzione diametralmente opposta e che, praticando il celibato solo formalmente, non fanno differire in nulla la propria vita da quella secolare: non solo concedono al ventre ogni piacere, ma coabitano apertamente con le donne e chiamano tale vita in comune « fratellanza », ricoprendo con questo nobile nome le loro malvagie intenzioni recondite.

Per colpa loro gli estranei offendono tanto questa pratica alta e pura.

I giovani farebbero dunque bene a non tracciarsi da sé la strada propria di questo tipo di vita.

Non mancano nella nostra vita esempi di uomini buoni: specie ora, più che in altri tempi, la nobiltà fiorisce e soggiorna insieme a noi, dopo avere raggiunto la somma eccellenza in seguito a graduali progressi.

Chi cammina sulle sue tracce può divenirne partecipe, e chi segue da vicino l'odore di quest'unguento può riempirsi del profumo di Cristo.

Se si accende una fiaccola, la fiamma si propaga a tutte le lucerne vicine: la prima luce non diminuisce, pur distribuendosi in uguale misura tra le lucerne che s'illuminano perché ne sono partecipi.

Allo stesso modo, la nobiltà di questa vita si trasmette da colui che l'ha saputa realizzare ai suoi vicini: è vero il detto profetico, secondo il quale « chi vive con un uomo santo, irreprensibile ed eletto diventa come lui ».

Se cerchi dei segni di riconoscimento che non ti facciano sbagliare a proposito di questo bell'esempio, la descrizione è facile.

Se vedi un uomo vivere tra la morte e la vita e trascegliere da entrambi ciò che è utile alla più alta filosofia ( dato il suo zelo nell'esecuzione dei comandamenti, egli non accetta l'inattività della morte, ma d'altra parte, essendosi estraniato dai desideri mondani, non cammina neppure del tutto sul terreno della vita: se si considera ciò che rende onorata la vita della carne, resta più immobile dei cadaveri, mentre è veramente vivo, attivo e forte nelle opere virtuose, che fanno riconoscere coloro che vivono con lo spirito ); se vedi un uomo simile, tieni presente la sua norma di condotta: Dio ce lo ha proposto come modello per la nostra vita.

Egli deve rappresentare il tuo punto di riferimento nella vita divina, così come lo sono per i piloti gli astri che risplendono sempre.

Imita la sua vecchiaia e la sua giovinezza, o piuttosto imita la vecchiaia presente nella sua pubertà e la giovinezza presente nella sua vecchiaia.

Anche se la sua età volge verso la vecchiaia, il tempo non ha indebolito la forza e la capacità di agire della sua anima, mentre la giovinezza non fa più sentire i suoi effetti in quelle cose in cui in genere si riconosce la sua attività: c'è in lui una mescolanza meravigliosa dei contrari propri di entrambe le età, o piuttosto uno scambio di proprietà, giacché nella sua vecchiaia la forza che tende al bene è ancora giovane, mentre nella sua pubertà resta inattivo quell'aspetto della giovinezza che si mostra incline al male.

Se poi vuoi indagare sugli amori della sua età, imita la veemenza e l'ardore del suo amore divino per la sapienza, che è cresciuto insieme a lui fin dall'infanzia e che è durato fino alla sua vecchiaia.

Se non riesci a guardarlo, così come accade a coloro i cui occhi soffrono alla vista del sole, guarda il coro dei santi schierato sotto di lui: la loro vita risplende perché imita quella degli anziani, e tra di loro ce ne sono molti che, pur essendo ancor giovani di età, sono diventati canuti grazie alla purezza della loro continenza.

Con la loro ragione essi sono andati oltre la vecchiaia, e con i loro costumi oltre il tempo, ed hanno dimostrato di possedere un amore per la sapienza più forte e violento dei piaceri corporei, non perché abbiano una natura diversa ( in tutti gli uomini « la carne desidera contro lo spirito » ), ma perché hanno saputo ascoltare colui che ha detto: « La saggezza è il legno della vita per coloro che le si tengono attaccati ».

Su questo legno hanno attraversato i flutti della giovinezza come su di una zattera, e sono approdati nel porto della volontà di Dio; adesso la loro anima se ne sta tranquilla, nel bel tempo e nella bonaccia.

Sono beati per avere avuto una buona navigazione: essendosi tenuti stretti per quanto stava in loro alla buona speranza come ad un'ancora sicura, rimangono imperturbabili, lontani dalle onde della confusione, e mostrano a coloro che li seguono lo splendore della loro vita, simile ai fuochi che brillano su di un alto faro.

Abbiamo l'uomo a cui possiamo guardare, per attraversare con sicurezza i flutti delle tentazioni.

Perché ti preoccupi, se alcuni sono rimasti sconfitti nel perseguire tale intento, e rinunci quindi a quest'impresa, come se fosse impossibile?

Guarda chi è riuscito, ed affronta con fiducia la buona navigazione, lasciandoti guidare dal soffio dello Spirito Santo: hai come pilota Cristo, che sta al timone della temperanza.

« Coloro che scendono in mare con le navi e che trafficano su vaste distese d'acqua » non vedono nei naufragi capitati ad altri un ostacolo alla realizzazione delle loro speranze: si mettono di fronte agli occhi la buona speranza, e cercano di arrivare alla fine della loro impresa.

Non è del tutto assurdo da una parte il condannare una mancanza in questo severo regime di vita, e dall'altra il mostrarsi propensi a preferire tutta una vita trascorsa nei peccati fino alla vecchiaia?

Se è brutto avvicinarsi una sola volta al peccato, e se per questo pensi che sia più prudente non perseguire lo scopo più alto, quanto non è più condannabile la pratica di vita che si basa sul peccato e che fa quindi rimanere del tutto privi della vita più pura?

Tu che vivi, come fai ad ascoltare il crocifisso?

Tu che prosperi nel peccato, come fai ad ascoltare « colui che è morto al peccato »?

Tu che non « ti sei crocifisso nei riguardi del mondo » e che non accetti la morte della carne, come fai ad ascoltare colui che comanda « di venirgli dietro », e che porta la croce sul suo corpo, come un trofeo preso al nemico?

Come puoi ubbidire a Paolo, che t'invita « a presentare il tuo corpo come un sacrificio vivente, gradito a Dio », tu che « ti adatti a questo secolo, che non ti trasformi rinnovando la tua mente » e che « non cammini in questa nuova vita » ma segui ancora la logica della vita del vecchio uomo?

Come puoi essere sacerdote di Dio, anche se sei stato unto proprio per offrire a Dio un dono che non dev'essere né estraneo a te, né il frutto di una sostituzione con le cose esteriori che ti sei trascinate dietro, ma un'offerta veramente tua, rappresentata dal tuo uomo interiore, che deve essere perfetto, irreprensibile e scevro da ogni macchia e biasimo, così come prescrive la legge a proposito dell'agnello?

Come puoi offrire questi doni a Dio, tu che non ascolti la legge che proibisce all'impuro di essere sacerdote?

E se desideri che Dio ti appaia, perché non ascolti Mosè, quando raccomanda al popolo di astenersi dalle relazioni coniugali, perché possa accogliere la manifestazione di Dio?

Se queste cose e le loro conseguenze ti sembrano di poco conto - parlo del crocifiggersi assieme a Cristo, dell'offrirsi in sacrificio a Dio, del diventare sacerdote dell'Altissimo, dell'essere ritenuto degno della grande manifestazione di Dio - che cosa di più alto potremo pensare per te?

Dall'essere crocifisso assieme a Cristo derivano il vivere, l'essere glorificato, ed il regnare assieme a Lui; e dall'offrirsi in sacrificio a Dio deriva il trasferimento dalla natura e dignità umana a quella angelica.

Di questo parla Daniele, là dove dice: « Gli erano vicine migliaia di migliaia ».

Chi poi si dedica al vero sacerdozio e si accompagna al gran sacerdote « rimane anch'egli in modo assoluto sacerdote per l'eternità, e la morte non gl'impedisce di rimanere tale per sempre ».

La conseguenza dell'essere ritenuto degno di vedere Dio altro non è che l'essere ritenuto degno di vedere Dio: in effetti, il coronamento di ogni speranza, la realizzazione di ogni desiderio, il fine ed il compendio della benedizione di Dio, di ogni promessa e dei beni ineffabili che crediamo superiori alla sensazione ed alla conoscenza, è proprio ciò che Mosè e molti re e profeti desiderarono ardentemente vedere.

Di questa vista sono ritenuti degni solo i puri di cuore, che sono veramente e vengono chiamati beati proprio perché vedranno Dio.

Vogliamo che anche tu diventi uno di loro, facendoti crocifiggere assieme a Cristo, offrendoti a Dio come puro sacerdote, diventando un puro sacrificio nell'assoluta purezza, preparandoti mediante la purezza all'avvento di Dio; così, avendo il cuore puro, anche tu potrai vedere Dio secondo la promessa del Dio e salvatore nostro Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Così sia.

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