Vita di Mosé |
Credo che non occorra prolungare il nostro discorso, ora che abbiamo esposto al lettore tutta la vita di Mosè come esempio di virtù.
Ciò che abbiamo detto costituirà un aiuto non indifferente per chi aspira alla vera saggezza in una vita spirituale.
Ma chi per pigrizia si arresta davanti alle fatiche della virtù, non troverà giovamento nelle molte cose di cui abbiamo discorso e tanto meno in quelle che potremmo aggiungere.
Ma perché non ci si dimentichi che nessun limite circoscrive la vita perfetta e ne può arrestare il progresso ( questo concetto fu ribadito con forza nella prefazione ), sarà utile, al termine del nostro discorso sulla vita di Mosè, mostrare che la definizione della virtù da noi data, ha un fondamento sicuro.
Quando nacque Mosè, il fatto di avere genitori ebrei era considerato un delitto.
Sottratto alle imposizioni di un decreto tirannico che lo condannava a morte, egli fu salvato prima dai suoi genitori, poi dagli autori stessi di quel decreto.
Costoro, che pure avevano voluto la sua morte, si preoccuparono di allevarlo e dargli un'educazione raffinata, facendolo istruire in ogni ramo del sapere.
Cresciuto che fu, non tenne in alcun conto gli onori umani e la stessa dignità regale, perché sapeva che custodire la virtù significa possedere una forza e una dignità più valida e più degna di qualsiasi guardia del corpo e di qualsiasi pompa regale.
Qualche tempo dopo, egli salvò un suo compatriota, assalendo l'egiziano con un colpo mortale.
Noi, che facciamo un'esegesi spirituale, abbiamo visto simboleggiato nell'egiziano il nemico della nostra anima.
Mosè invece, è il simbolo di chi ci è amico.
Prima che la luce sfavillante dal cespuglio giunga a riempire lo spirito di Mosè, egli apprenderà altissimi insegnamenti nel silenzio del deserto.
Poi si darà pensiero di far conoscere ai suoi compatrioti le cose meravigliose che Dio aveva operato in suo favore.
In quell'epoca della sua vita per due volte diede prova di poteri straordinari, dapprima combattendo i nemici attraverso molteplici castighi, poi beneficiando i compatrioti.
Non avendo a disposizione per la traversata del mare una flotta di navi, fece in modo che il popolo lo attraversasse a piedi, sostituendo alle navi la fede che aveva saputo infondere in loro.
Rese allora asciutto il fondo del mare, perché gli Ebrei potessero attraversarlo.
Fu lui che fece ritornare le acque del mare come erano prima, per annegarvi gli Egiziani e allora intonò l'inno di vittoria.
Poi lo guidò una colonna di nube e lo illuminò un fuoco celeste.
Provvide ai suoi un cibo disceso dal cielo, fece scaturire dalla pietra acqua abbondante, vinse gli Amaleciti col semplice gesto di stendere le mani.
Salito il monte, si spinse dentro la nube e udì il suono delle trombe.
Si accostò a Dio, penetrò nel tabernacolo celeste, corresse con la legge i costumi del popolo, vinse le più dure battaglie, come si è detto.
Quando le sue imprese volgevano alla fine, fece castigare l'incontinenza per mezzo del sacerdozio; questo appunto significa la vendetta di Finees contro gli incontinenti.
Dopo tutto ciò, salì al monte del suo ultimo riposo.
Egli non metterà piede nella terra promessa, che si stendeva davanti ai suoi sguardi e a quelli di tutto il popolo.
Avendo avuto come alimento il cibo del cielo, non toccò più cibo terreno e, giunto in cima al monte, non volle mettere una corona alla statua della propria vita,83 intorno alla quale si era affaticato come abile scultore.
Di lui dice la Scrittura: « Mosè, servo di Dio, morì per volere di Dio ».
Nessuno conobbe il suo sepolcro, i suoi occhi non si offuscarono né il suo volto si deturpò.
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83 | Immagine plotiniana ( Enneadi I, 6,9 ) a lungo sviluppata da Gregorio nel commento sulle iscrizioni dei Salmi ( PG 44, 544 A D ). |