Vita di Mosé |
Intuisci a quali conseguenze portano queste riflessioni?
L'uomo fin quando è dominato da una tirannide crudele, si trova in uno stato di così grave debolezza che non può, con le sole sue forze, respingere il nemico.
Ma c'è chi prende le difese dei deboli e assale il nemico senza risparmiare colpi.
Allora il debole viene liberato dalla schiavitù tirannica ed esperimenta, in virtù del legno, la dolcezza dello spirito.
Sosta a riposare sotto le palme, viene a conoscenza del mistero della roccia, si ciba del pane celeste e allora si trova in grado di respingere da solo il nemico, non più per mano di altri.
Egli possiede ormai la forza propria di chi, oltrepassata la fanciullezza, si trova nel pieno sviluppo dell'età giovanile e muove contro i nemici non più sotto il comando di Mosè, ma di Dio stesso, di cui Mosè fu il servo.50
Il popolo muove contro il nemico quando le mani del suo Legislatore restano sollevate, fugge invece quando s'abbassano.
Mosè che tiene alzate le mani significa chi riflette sui testi della Scrittura e dà loro una interpretazione spirituale.
Le mani abbandonate verso terra indicano invece l'interpretazione puramente letterale.
Neppure il fatto che un sacerdote e un familiare sostengono le mani appesantite di Mosè può rimanere estraneo alla linea delle nostre riflessioni.
È infatti il sacerdozio che per mezzo della parola affidatagli, risolleva le energie della legge, abbassata fino a terra dalla troppo letterale interpretazione giudaica.
È ancora il sacerdozio che rende visibile la legge, collocandola sopra una pietra. da dove essa, allargando le mani, rivela a chi la scorge il proprio fine.
Nella legge infatti le persone illuminate vedono il mistero della croce.
Per questo il Vangelo in un certo passo ( Mt 5,18 ) afferma che non si perderà un jota o un apice della legge, annuendo con questi termini al braccio trasversale e a quello perpendicolare che compongono la figura della croce.
Essa è già visibile in Mosè il quale, come simbolo della legge, diviene segno e causa di vittoria a chi fissa gli sguardi sopra di lui.
La legge che fu data per essere tipo e ombra delle cose future, abbandonato il campo di battaglia, è sostituita nel compito di stratega da colui che la perfeziona.
Egli è il successore di Mosè, già preannunciato nel nome di Giosuè, che era il capo dell'esercito di allora.
Le nostre riflessioni vanno innalzandosi sempre più verso le alte cime della virtù.
Colui che, ricevuta forza dal cibo celeste, ne esperimenta l'efficacia, scontrandosi con i nemici e uscendone vittorioso, viene poi introdotto alla misteriosa conoscenza di Dio.
La Scrittura, facendoci conoscere queste cose, ci mostra quali fatiche uno deve affrontare per riuscire un giorno ad accostarsi al monte della divina conoscenza, sostenere il suono della tromba, entrare nella nube caliginosa dove è Dio, far incidere su tavole di pietra le lettere divine, presentare a Dio nuove tavole ottenute con il proprio lavoro se mai le prime si fossero rotte, affinché il dito di Dio ancora vi incida le sue lettere.
Seguendo il filo del racconto, noi dobbiamo adeguare il nostro insegnamento al senso spirituale, che è il più profondo.
Chi, tenendo fissi gli sguardi alle due guide di chiunque vuole avanzare sulla strada della virtù, cioè a Mosè e alla nube ( Mosè rappresenterebbe la lettera della legge e la nube lo spirito ) è stato purificato nel passaggio attraverso l'acqua, dove distrusse e rinnegò in sé stesso ogni resto di profanità, giunge ad assaggiare l'acqua di Mara cioè una vita priva di piaceri, che sulle prime risulta amara e spiacevole, ma poi, una volta assaporato il legno, procura dolcezza.
Egli potrà poi ammirare le belle palme evangeliche che sorgono vicino alle sorgenti, saziarsi dell'acqua viva sgorgante dalla pietra, ricevere in alimento il pane celeste che gli dà forza contro i nemici e vedere il suo Legislatore con le mani allargate in un gesto che è causa di vittoria e prefigura il mistero della croce.
Soltanto allora egli verrà introdotto alla visione dell'Essere soprannaturale.
Per giungere a così alta conoscenza egli deve pulirsi il corpo con abluzioni e avere i vestiti senza macchie.
Chi vuole avvicinarsi alla visione delle realtà,51 deve essere mondo nell'anima e nel corpo, allontanando da sé ogni macchia e sporcizia.
Allora appariremo mondi anche agli occhi di colui che vede dove l'occhio materiale non arriva.
Ci sarà una perfetta armonia tra il nostro aspetto esteriore e le interiori disposizioni dell'animo.
È per questo motivo che Dio ordina di lavare le vesti, prima che si salga la montagna.
Le vesti indicano simbolicamente gli aspetti esteriori della vita.
Nessuno può affermare che un vestito, anche se molto macchiato, costituisce un impedimento a salire verso Dio.
Giova perciò pensare che nelle vesti siano indicate tutte le occupazioni esteriori di questa vita.
Fatti questi preparativi, l'anima procede all'ascesa verso le più alte cime, avendo cura di tenere il più lontano possibile dal monte qualsiasi animale.
La scomparsa dal monte di qualunque animale ci sprona a superare le conoscenze sensibili per mezzo della visione delle realtà.
Gli animali, privi come sono d'intelligenza, vivono soltanto delle loro sensazioni; è una caratteristica della loro natura.
Essi sono guidati dalla vista, sebbene anche l'udito a volte li spinga verso qualche oggetto.
Sono presenti in loro tutte le altre sensazioni nelle quali si attua la conoscenza sensibile.
Ma la contemplazione di Dio non si attua per mezzo della vista o dell'udito, e neppure vi si arriva attraverso le nostre facoltà intellettuali.
« Né occhio vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore di uomo » ( 1 Cor 2,9 ).
Chi intende salire verso la conoscenza delle più alte realtà, deve liberarsi da ogni forma di attività sensibile e irrazionale.
Ogni concetto derivante dalla conoscenza sensibile va separato e liberato da quegli elementi sensibili con i quali abitualmente è congiunto, come lo sono due persone abitanti nella stessa casa.
Solo allora si può affrontare la montagna.
Ma essa è tanto scoscesa che la maggior parte della gente può a mala pena spingersi fino ai suoi piedi.
Per salire in alto fino a sentire i suoni delle trombe bisogna diventare come Mosè, che li sente farsi più forti a mano a mano che sale, come il racconto riferisce.
La rivelazione che ha per oggetto la natura divina è veramente una tromba che fa vibrare le nostre orecchie.
Essa è un annuncio già grandioso al suo primo echeggiare, ma negli ultimi tempi è risuonato più distinto alle nostre orecchie.
La legge e i profeti hanno proclamato il divino mistero dell'Incarnazione, ma le loro voci erano inizialmente troppo deboli perché riuscissero a colpire l'udito di chi avesse voluto sentirle.
Tuttavia il racconto ci informa che quel suono diventava sempre più forte.
I suoni uditi negli ultimi tempi corrispondono all'annuncio del Vangelo.
Essi hanno potuto colpire le nostre orecchie perché, attraverso la voce di intermediari, era lo Spirito che si faceva sentire e suscitava un'eco più vibrata e più profonda anche per coloro che verranno dopo.
I profeti e gli apostoli sono gli strumenti che diffondono la loro voce sotto l'azione dello Spirito.
Essa come dice il Salmo si è diffusa su tutta la terra e le loro parole sono giunte fino ai confini del mondo ( Sal 19,5 ).
Sappiamo che la moltitudine non comprese i suoni provenienti dalla montagna e affidò a Mosè l'incarico di interpretare quelle misteriose rivelazioni.
Mosè poi istruì il popolo sulle dottrine che aveva appreso nell'insegnamento celeste.
Questi due fatti concordano con l'ordinamento della Chiesa per il quale non tutti possono penetrare da soli nella comprensione dei misteri, ma si sceglie chi sia in grado di capire le cose di Dio e a lui si presta fiducioso ascolto, perché tutto ciò che viene insegnato da chi è stato istruito nelle cose divine si deve giudicare degno di fede.
« Non tutti dice la Scrittura sono apostoli, né tutti sono profeti » ( 1 Cor 12,29 ).
Questo ordinamento non viene rispettato oggigiorno in molte chiese.
Molti osano affrontare la salita verso Dio mentre devono ancora purificare la loro vita passata e, per non essersi lavati, portano sopra di sé il sudiciume delle manifestazioni esteriori della vita e non hanno altro equipaggiamento che le conoscenze sensibili, vuote di razionalità.
Costoro saranno investiti dalle pietre dei loro stessi pensieri.
Le dottrine eretiche sono precisamente come pietre che ricadano sullo stesso autore.52
Indice |
50 | In questo passo abbiamo la contrapposizione tra Mosè, figura del vecchio Testamento e Giosuè, figura di Gesù. Questa opposizione simbolica è già presente nel Dialogo contro Trifone di Giustino ( secolo II ) ed è ripresa da Ireneo e da Origene. |
51 | L'espressione rappresenta l'ontologia mistica di Gregorio e si ritrova spesso in Origene. |
52 | Anche nel commento esegetico dell'Ecclesiaste ( PG 44, 773 B ) si ripete questa critica contro l'ambizione delle cariche ecclesiastiche. |