La Scala del Paradiso

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Grado XVIII

Della insensibilità, cioè della mortificazione dell'anima e morte della mente, innanzi che vegna la morte del corpo

La insensibilità sì nello corpora sì nelli spiriti è uno mortificamento del sentimento, lo quale mortificamento rimane nelle corpora per molta lunga infermità, e nelli spiriti procede da molta lunga negligenzia.

La privazione del dolore è una negligenzia qualificata, cioè compresa coll'anima, ed è una intenzione e deliberazione consopita, addormentata e ritardata in ben fare, la quale procede e nasce dall'audacia e dalla presunzione della misericordia di Dio; ed è uno prendimento di prontezza spirituale, per la quale entra poi la prontezza della carne, cioè li cadimenti carnali, ed è uno forte laccio e legame, del quale tardi l'anima si scioglie, ed è una stoltizia ed ignoranzia e mollezza di compunzione, ed è una intrata di disperazione, ed è madre di dimenticamento e discordamento della propia salute, e figliuola d'esso discordamento, però che da quello discordamento della salute dell'anima procede la durizia del cuore, ed è uno discacciamento di timore.

Quello uomo che non si duole del pericolo della sua anima, è uno filosofo stolto, per altrui savio e per sè sciocco, ed è uno sponitore di scrittura giudicato da sè medesimo, ed è un parlatore contrario a sè medesimo, amando di studiarsi di ben parlare, ed essendo cieco, si fa maestro di vedere; disputa ed insegna in qual modo si sana la piaga dell'anima altrui, e la piaga dell'anima sua non cessa di percuotere e di farla più grande; parla contra li vizii, e non posa di fare quello che accresce li vizii; biastemmia e desidera male di sè medesimo per lo male che à fatto, ed incontanente rifà quello medesimo male; per la qual cosa s'adira contra sè medesimo, e non si vergogna delle parole che à dette.

Contra a sè chiama e dice: « Misero a me, mal faccio », e prontamente fa peggio; òra contra 'l vizio colla bocca, e per esso vizio combatte col corpo; parla della morte saviamente, ed egli sta duro sanza paura, come s'egli fosse immortale.

Del partimento dell'anima parlando sospira, e dorme per negligenza, come fosse eternale; dell'astinenzia parla ordinatamente, e per la gola combatte, e conturbasi se non a quello che gli diletta.

Legge del giudicio quanto è terribile, e comincia a ridere; pensa nel leggere che paria della vanagloria, e nel pensiero di quella lezione si vanagloria, parendogli avere sottilmente parlato e pensato.

Della vigilia parlando, dimostra quanto è utile, ed incontanente sè medesimo sommerge nel sonno; l'orazione leva in alto lodandola, e da essa come dal flagello fugge.

La obedienzia molto beatifica, ed egli è il primo che la rompe; loda coloro che non amano le cose viziosamente, ed egli per uno ago e per un vile panno prende rancore e combatte e non si vergogna.

Essendo adirato, si rammarica, e di quella amaritudine che à presa, un'altra fiata s'adira, e aggiungendo difetto sopra difetto e cadimento sopra cadimento, non si sente; mentre che è satollo, vuole fare penitenzia, ed andando un poco innanzi, si satolla ancora meglio.

Del silenzio dice che è beato, e sì lo loda con molto parlare, ammaestra gli altri della mititade, ed in quella dottrina spesse fiate s'adira.

Levando la mente in alto a pensare dello stato suo, dolendosi sospira, e rimutando il capo della mente da quello pensiero, un'altra fiata al vizio si rappressa.

Vitupera e biasima il riso, e sorridendo ammaestra del pianto; sè medesimo vitupera e biasima d'alcuna cosa per essere lodato d'umilità, e per vituperio vuole a sè onore acquistare; raguarda in faccia viziosamente, e di castità e di continenzia grandemente parla.

Loda li solitarii che stanno nella quiete, vivendo egli nel mondo, e non considera che confonde sè medesimo; glorifica quelli che sono misericordiosi, ed egli impropera e dice villania a' poveri; sempre mai è accusatore di sè medesimo, e in sentimento di sè non vuole venire ( non vo' dire che non possa ).

Io vidi molti di questi cotali, che udendo parlare della morte e delli spaventosi giudicii, piangevano, e con lagrime negli occhi, con gran fretta andavano alla mensa, ed io di questa cosa mi feci grande maraviglia, pensando come questa morto, cioè la insensibilità, donna della vita de' miseri, essendo forte fortificata dalla molta privazione del dolore, potee avere vittoria del pianto sanza diliberazione.

Secondo la mia piccola virtù e piccolo conoscimento abbo denudata e scoperta la pietra, cioè la durizia, e le fraude e gl'inganni e le piaghe di questa dura e smaniosa e pazza insensibilità.

Insegnare più contra essa con parole, non me ne pate il cuore; ma qualunque è quegli, che per esperienzia con Dio abbia potenzia d'insegnare e dare medicine contra alle piaghe sue, non ci sia pigro nè tardo, però ch'io, non mi vergogno di confessare la mia impotenzia, siccome uomo da essa fortemente legato, e le sue fraude ed industrie non pote' da me medesimo comprendere; se non ch'io essa in alcuno luogo la presi, e per violenza la tenni e crucia'la col fragello del timore di Dio, e batté la colla incessabile orazione, e queste cose predette mi feci confessare, onde questa tirannia malefica fu a me avviso che dicesse così: « Li miei confederati, vedendo li morti, ridono; stando in orazione, tutti sono di pietra duri ed ottenebrati; mentre che veggiono la sagrata mensa, cioè l'altare, ed essendo infra le cose sagre, sono irriverenti ed insensibili.

Quando prendono il dono della Eucarestia del corpo di Cristo, tale affetto ci ànno, come se assaggiassono o gustassono un poco di pane vile.

Io, disse ella, vedendo questi miei confederati essere compunti, faccione scherne.

Io, disse questa insensibilità, dal padre mio che m'ingenerò, apparai d'uccidere tutti li beni, che nascono della fortezza e del desiderio dell'anima; io sono madre del riso, io sono nutricatrice del sonno, io sono amica della satollezza e della sazietà; io essendo ripresa, non mi dolgo; io m'accosto e congiungo colla infinita irreligiosità ed irriverenza ».

Io essendo isbigottito e pauroso delle parole di questa smaniata e furiosa, dimandai per volere sapere il nome del padre che la ingenerò, ed ella disse: « Io non abbo una sola genitura, però che la mia generazione è mescolata e varia e non stabile.

Me fortifica la satollezza, me fece crescere lo lungo tempo; me ingenerò la maligna consuetudine, la quale chi ritiene, da me già mai libero non sarà.

Persevera in molta vigilia; pensando lo giudicio eternale, forse per questo un poco allenteraggio.

Cerca la cagione, per la quale in te sono nata, e contra essa combatti fortemente, però ch'io non aggio una medesima cagione in ogni persona.

Ora spesse fiate nelle sepolture de' morti, e la imagine loro continuamente dipigni nel core tuo, però che se questa imagine non ci sarà dipinta e scritta collo stile del digiuno e colla penna della vigilia, giammai non mi vincerai ».

Da questa lapidea insensibilità, la quale è mortificazione dell'anima e morte della mente innanzi alla morte corporale, ce ne liberi il nostro Signore Gesù Cristo per la sua passione; della quale chi è libero, possiede grado di virtù in santificazione di vita.

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