Compendio di Teologia Ascetica e Mistica

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§ II. L'Invidia.

845. L'invidia è nello stesso tempo passione e vizio capitale.

Come passione, è una specie di tristezza profonda che si prova nella sensibilità osservando il bene altrui; impressione accompagnata da uno stringimento di cuore che ne diminuisce l'attività e produce un sentimento d'angoscia.

Qui ci occupiamo dell'invidia soprattutto come vizio capitale, e ne esporremo:

1° la natura;

2° la malizia;

3° i rimedi.

846. 1° Natura.

A) L'invidia è una tendenza a rattristarsi del bene altrui come di attentato contro la nostra superiorità.

È spesso accompagnata dal desiderio di vedere il prossimo privo del bene che ci offusca.

È dunque vizio che nasce dall'orgoglio, il quale non può tollerare né superiori né rivali.

Quando si è convinti della propria superiorità, si prova tristezza a vedere che gli altri hanno doti pari o superiori alle nostre, o che almeno riescono meglio di noi.

Materia di invidia sono principalmente le doti brillanti; ma nelle persone serie l'invidia mira anche a doti più sode e perfino alla virtù.

Questo difetto si manifesta colla pena che si prova sentendo lodare gli altri; e allora si cerca di attenuare questi elogi criticando le persone lodate.

847. B) Spesso si confonde l'invidia con la gelosia; volendole distinguere, la gelosia viene definita un amore eccessivo del proprio bene accompagnato dal timore che da altri ci venga tolto.

Uno, per esempio, era il primo della scuola, vede i progressi di un condiscepolo e ne prende gelosia, perché teme che lo privi del primo posto.

Uno possiede l'affezione d'un amico: viene a temere che gli sia tolta da un rivale e ne prende gelosia.

Si ha una numerosa clientela e si teme che sia diminuita da un concorrente: nasce allora quella gelosia che infierisce talora tra professionisti, artisti, letterati, e talvolta anche tra sacerdoti.

In una parola si è invidiosi del bene altrui e gelosi del proprio.

C ) Vi è differenza tra invidia ed emulazione: l'emulazione è un sentimento lodevole che ci porta ad imitare, ad uguagliare, e, se è possibile, a superare le buone qualità altrui, sempre però con mezzi leali.

848. 2° Malizia.

Si può studiare questa malizia in sé e negli effetti.

A ) In sé, l'invidia è di natura sia peccato mortale, perché è direttamente opposta alla virtù della carità che vuole che uno si rallegri del bene altrui.

Quanto più il bene invidiato è importante, tanto più grave è il peccato; quindi, dice S. Tommaso, invidiare i beni spirituali del prossimo, rattristarsi dei suoi progressi o dei suoi trionfi apostolici, è peccato gravissimo.

Il che è vero quando i moti d'invidia sono pienamente acconsentiti; ma spesso non si tratta che di impressioni, o di sentimenti involontari o almeno poco volontari e accompagnati da poca o nessuna riflessione, onde la colpa allora può essere tutt'al più veniale.

849. B) Negli effetti l'invidia è talvolta assai colpevole.

a) Eccita sentimenti di odio: si corre pericolo di odiare coloro di cui si ha invidia o gelosia, e quindi di sparlarne, denigrarli, calunniarli, desiderare loro del male.

b ) Tende a seminare divisioni non solo tra gli estranei ma anche tra i membri di una stessa famiglia ( si ricordi la storia di Giuseppe ), o tra famiglie imparentate; divisioni che possono andare molto avanti e generare inimicizie e scandali.

Scinde talvolta i cattolici d'una stessa regione con gran detrimento del bene della Chiesa.

c ) Spinge alla smodata ricerca delle ricchezze e degli onori: per superare quelli a cui si porta invidia, uno si abbandona ad eccessi di lavoro, a intrighi più o meno leali, in cui l'onestà corre molto rischio.

d) Turba l'anima dell'invidioso: non si ha né pace né riposo finché non si è riusciti ad eclissare, a dominare i propri rivali; ed essendo ben raro che vi si riesca, si vive in perpetue angosce.

850. 3° Rimedi. Sono negativi o positivi.

A ) I mezzi negativi consistono:

a) nel disprezzare i primi sentimenti d'invidia e di gelosia che sorgono in cuore, schiacciarli come qualche cosa di ignobile, come si schiaccia un rettile velenoso;

b) nel distrarsi, occupandosi d'altro; tornata poi la calma, si riflette che le doti del prossimo non diminuiscono le nostre, ci sono anzi stimolo ad imitarle.

851. B) Tra i mezzi positivi, i più importanti sono due:

a) Il primo viene dalla nostra incorporazione a Cristo: in virtù di questo dogma, siamo tutti fratelli, tutti membri del corpo mistico di cui Gesù è il capo, e le buone qualità e le fortune d'uno di questi membri ridondano sugli altri; onde, invece di rattristarci della superiorità dei fratelli, dobbiamo rallegrarcene, secondo la dottrina di S. Paolo, perché contribuisce al bene comune e anche al nostro bene particolare.

Se poi le altrui virtù diventano per noi oggetto di invidia, "in cambio di portar loro invidia e gelosia per ragione di queste virtù, come spesso avviene per suggestione del demonio e dell'amor proprio, bisogna unirci allo Spirito Santo di Gesti Cristo nel Santo Sacramento, onorando in lui la fonte di queste virtù e chiedendogli la grazia di parteciparvi e di comunicarvi; e vedrete quanto questa pratica vi tornerà utile e vantaggiosa".

852. b) Il secondo mezzo consiste nel coltivare l'emulazione, lodevole e cristiano sentimento che c'invita a imitare e anche a sorpassare, sorretti dalla grazia di Dio, le virtù del prossimo.

Perché sia buona e si distingua dall'invidia, l'emulazione cristiana dev'essere:

1) onesta nell'oggetto, vale a dire che non deve mirare ai trionfi ma alle virtù altrui per imitarle;

2) nobile nell'intenzione, non cercando di trionfare sugli altri, di umiliarli, di dominarli, ma di divenire migliori, se è possibile, perché Dio sia più onorato e la Chiesa più rispettata;

3) leale nei mezzi, usando, per conseguire il fine, non l'intrigo, l'astuzia o e qualsiasi altro illecito procedere, ma lo sforzo, il lavoro, il buon uso dei doni divini.

Così intesa, l'emulazione è efficace rimedio contro l'invidia, perché senza punto ledere la carità è ottimo stimolo.

Infatti il considerare come modelli i migliori tra i fratelli per imitarli, o anche per superarli, è in sostanza un riconoscere la nostra imperfezione e un volervi rimediare giovandoci dei buoni esempi di coloro che ci stanno attorno.

E non è questo in fondo un accostarsi a ciò che faceva S. Paolo quando invitava i discepoli ad essere suoi imitatori come gli era di Cristo: "[Imitatores mei estote sicut et ego Christi] Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo"? e seguire i consigli che dava ai cristiani di osservarsi l'un l'altro per eccitarsi a carità e a buone opere: "[Consideremus invicem in provocationem caritatis et bonorum operum] Consideriamo un l'altro per incitarci all'amore e alle buone opere"?.

E non è un entrare nello spirito della Chiesa, che, proponendo i Santi alla nostra imitazione, ci provoca a nobile e santa emulazione? così l'invidia non sarà per noi che occasione di coltivare la virtù.

§ III. L'ira.

L'ira ( o collera ) è una deviazione di quell'istintivo sentimento che ci porta a difenderci quando siamo assaliti, respingendo la forza con la forza.

Ne diremo: 1° la natura; 2° la malizia; 3° i rimedi.

I. Natura dell'ira.

853. C'è un'ira-passione e un'ira-sentimento.

1° L'ira, considerata come passione, è un violento bisogno di reazione, determinato da un patimento o da una contrarietà fisica o morale.

Questa contrarietà fa scattare una violenta emozione che tende le forze allo scopo di vincere la difficoltà: si è allora portati a scaricare l'ira sulle persone, sugli animali o sulle cose.

Se ne distinguono due forme principali: l'ira rossa o espansiva nei forti e l'ira bianca o pallida o spasmodica nei deboli.

Nella prima, il cuore batte con violenza e spinge il sangue alla periferia, la respirazione si accelera, il viso s'imporpora il collo si gonfia, le vene si rilevano sotto la pelle; i capelli sì rizzano, lo sguardo lampeggia, gli occhi paiono uscire dalle orbite, le narici si dilatano, la voce diventa rauca, interrotta, esuberante.

La forza muscolare aumenta: tutto il corpo è teso per la lotta e il gesto irresistibile colpisce, spezza o allontana violentemente l'ostacolo.

Nell'ira bianca, il cuore si serra, la respirazione diventa difficile il viso si fa estremamente pallido, un sudore freddo bagna la fronte, le mascelle si chiudono, sì sta in cupo silenzio, ma l'agitazione internamente contenuta finisce con scoppiare brutalmente e si sfoga in colpi violenti.

854. 2° L'ira, considerata come sentimento è un desiderio ardente di respingere e di punire l'aggressore.

A ) Vi è un' ira legittima, un santo sdegno che altro non è se non desiderio ardente, ma ragionevole, d'infliggere ai colpevoli il giusto castigo.

Così Nostro Signore si accese di giusto sdegno contro i venditori che profanavano col traffico la casa di suo Padre; il sommo sacerdote Eli fu invece severamente rimproverato per non aver represso la cattiva condotta dei figli.

Perché dunque l'ira sia legittima, è necessario che sia

a) giusta nell'oggetto, non mirando a punire se non chi lo merita e nella misura che merita;

b) moderata nell'esercizio non oltrepassando ciò che l'offesa commessa richiede e seguendo l'ordine voluto dalla giustizia;

c) caritatevole nell'intenzione, non lasciandosi andare a sentimenti di odio, ma solo cercando la restaurazione dell'ordine e l'emenda del reo.

Se alcuna di queste condizioni manchi, si avrà un biasimevole eccesso.

L'ira è legittima particolarmente nei superiori e nei genitori; ma anche i semplici cittadini hanno talvolta il diritto e il dovere di assecondarla per difendere gli interessi della città e impedire il trionfo dei malvagi; vi sono infatti uomini per i quali poco vale la dolcezza e che temono solo il castigo.

855. B) Ma l'ira vizio capitale è violento e smodato desiderio di punire il prossimo, senza tener conto delle tre indicate condizioni.

L'ira è spesso accompagnata da odio, che cerca non solo di respingere l'aggressione ma di trarne vendetta, onde è sentimento più meditato e più durevole e che ha quindi più gravi conseguenze.

856. L'ira ha vari gradi:

a) al principio è solo moto d'impazienza: uno si mostra di malumore alla prima contrarietà, al primo cattivo successo;

b) poi è impeto di collera, onde uno si irrita oltre misura, manifestando il malcontento con gesti disordinati;

c) talvolta giunge alla violenza, sfogandosi non solo in parole ma anche con colpi;

d) e può anche arrivare fino al furore, che è passeggiera pazzia; il collerico non è più padrone di sè, ma trascorre a parole incoerenti, a gesti talmente disordinati, che si direbbe vera pazzia;

e) finalmente degenera talvolta in odio implacabile, che non respira che vendetta e giunge fino a desiderare la morte dell'avversario.

Conviene saper distinguere questi vari gradi per valutarne la malizia.

II. Malizia dell'ira.

L'ira si può considerare in sè e negli effetti.

857. 1° Considerata in sè, si può ancora distinguere:

A) Quando è semplicemente passeggiero moto di passione, è di natura sua peccato veniale: perchè vi è allora eccesso nel modo con cui si esercita, oltrepassando la debita misura; ma non vi è, come si suppone, violazione delle grandi virtù della giustizia o della carità.

Vi sono peraltro casi in cui l'ira è talmente eccessiva che si perde la padronanza di sè e si trascorre a gravi insulti contro il prossimo; se questi moti, benchè prodotti dalla passione, sono deliberati e volontari, costituiscono colpa grave; ma spesso non sono che semivolontari.

858. B) L'ira che giunge all'odio e al rancore se deliberata e volontaria, è di natura sia peccato mortale, perchè viola gravemente la carità e spesso pure la giustizia.

Di questa collera disse Nostro Signore: "Chi s'adira contro il fratello, merita di essere punito dai giudici; e chi avrà detto al fratello: Raca, merita di essere punito dal Consiglio ( Sinedrio ); e chi avrà detto: Stolto, merita di essere gettato nella geenna del fuoco".

Se però il moto di odio non è deliberato o se vi si dà solo consenso imperfetto, la colpa sarà soltanto leggera.

859. 2° Gli effetti dell'ira, quando non vengono repressi, sono talvolta terribili.

A) Seneca li descrisse in termini vivaci: all'ira attribuisce tradimenti, omicidi, avvelenamenti, intestine divisioni nelle famiglie, dissensioni e lotte civili, guerre con tutte le funeste loro conseguenze.

Anche quando non giunge a tali eccessi, è pur sempre fonte di gran numero di colpe, perchè ci fa perdere la signorìa di noi stessi, e turba specialmente la pace delle famiglie e produce terribili inimicizie.

860. B) Rispetto alla perfezione, l'ira è, detta di S. Gregorio, grande ostacolo al progresso spirituale.

Perchè, se non viene repressa, ci fa perdere:

1) il senno ossia la ponderazione;

2) la gentilezza, che abbellisce le relazioni sociali;

3) la premura della giustizia, perchè la passione ci fa misconoscere i diritti del prossimo;

4) il raccoglimento interno, così necessario all'intima unione con Dio, alla pace dell'anima, alla docilità alle ispirazioni della grazie.

Conviene quindi cercarne i rimedi.

III. Rimedi contro l'ira.

Questi rimedi devono combattere la passione dell'ira e il sentimento di odio che ne è talora la conseguenza.

861. 1° A trionfare della passione non bisogna trascurare mezzo alcuno.

A) Vi sono mezzi igienici che giovano a prevenire o a moderare la collera, come, per esempio, un regime alimentare emolliente, i bagni tiepidi, le docce, l'astinenza dalle bevande eccitanti e in particolare dalle spiritose: atteso l'intimo vincolo che corre tra l'anima e il corpo bisogna saper moderare anche il corpo.

Dovendosi però, in questa materia, tener conto del temperamento e dello stato di salute, prudenza vuole che si consulti il medico.

862. B) Ma anche migliori sono i rimedi morali.

a) A prevenire l'ira, è bene abituarsi a riflettere prima di operare, per non lasciarsi dominare dai primi assalti della passione: lavoro di lunga lena ma efficacissimo.

b) Quando poi, nonostante ogni vigilanza, questa passione, ci sorprende il cuore, "è meglio respingerla subito anzichè mettersi a discutere con lei; perchè, per poco tempo che le si dia, diventa padrona di tutto il campo, a modo del serpente che insinua tutto il corpo dove può ficcare la testa …

Appena dunque ve ne accorgete, bisogna che raccogliate subito le forze, non bruscamente o impetuosamente ma con calma e serietà".

Altrimenti, volendo reprimere l'ira con impetuosità, ci turbiamo anche di più.

c) A reprimere meglio l'ira, è utile distrarsi, pensando ad altro che a ciò che può eccitarla; bisogna quindi bandire il ricordo delle ingiurie ricevute, allontanare i sospetti, ecc.

d) "Bisogna invocare l'aiuto di Dio quando ci sentiamo agitati dalla collera, ad imitazione degli Apostoli vessati dal vento e dalla tempesta in mezzo al lago, e Dio comanderà alle nostre passioni di calmarsi, onde seguirà grande bonaccia".

863. 2° Quando l'ira eccita in noi sentimenti di odio, di rancore o di vendetta, non si può radicalmente guarirli che con la carità fondata sull'amore di Dio.

È bene rammentare che siamo tutti figli dello stesso Padre celeste, incorporati allo stesso Cristo, chiamati alla stessa felicità eterna, e che queste grandi verità sono incompatibili con ogni sentimento di odio.

Quindi:

a) Si richiameranno le parole del Pater: rimetti a noi i nostri debiti come noi rimettiamo ai nostri debitori; vivamente desiderando di ricevere il perdono di Dio, si perdonerà più volentieri ai propri nemici.

b) Non si dimenticheranno gli esempi di Nostro Signore che dà a Giuda il nome di amico anche nel momento del tradimento e che dall'alto della croce prega per i suoi carnefici; e gli si chiederà il coraggio di dimenticare e di perdonare.

c) Si schiverà di pensare alle ingiurie ricevute e a tutto ciò che vi si riferisce.

I perfetti pregheranno per quelli che li hanno offesi e troveranno in questa preghiera grande addolcimento alle ferite dell'anima.

Tali sono i mezzi principali per trionfare dei tre primi peccati capitali, l'orgolio, l'invidia, e l'ira; passiamo ora a trattare dei difetti che derivano dalla sensualità o dalla concupiscenza della carne: gola, lussuria e accidia.

ART. II. Dei peccati che si connettono con la sensualità

§ I. Della gola.

La golosità non è che l'abuso del legittimo diletto che Dio volle associare al mangiare e al bere tanto necessari alla conservazione dell'individio.

Ne diremo: 1° la natura; 2° la malizia; 3° i rimedi.

864. 1° Natura.

La golosità è l'amore disordinato dei piaceri della tavola, del bere o del mangiare.

Il disordine consiste nel cercare il diletto del nutrimento per se stesso, considerandolo esplicitamente o implicitamente come fine, ad esempio di coloro che si fanno un Dio del loro ventre, "[quorum Deus venter est] il cui Dio è il ventre"; o nel cercarlo con eccesso, senza darsi pensiero delle regole della sobrietà e qualche volta anche con danno della salute.

865.I teologi notano quattro modi diversi di mancare a queste regole.

[Præpropere] frettolosamente: mangiar prima che se ne senta il bisogno, fuori delle ore stabilite per i pasti, facendolo senza ragione, per pura golosità.

[Laute et studiose] Sontuosamente: cercar vivande squisite o squisitamente cucinate per averne maggior diletto: è il peccato dei buongustai e dei ghiottoni.

[Nimis] troppo: oltrepassare i limiti dell'appetito o del bisogno, rimpinzarsi di cibo o di bevanda, a rischio di guastarsi la salute; è chiaro che il solo piacere disordinato può spiegare quest'eccesso, che nel mondo viene detto voracità.

[Ardenter] ardentemente: mangiare avidamente, ingordamente, come certi animali; l'ingordigia è tenuta nel mondo per grossolanità.

866. 2° La malizia della golosità deriva dal fatto che rende l'anima schiava del corpo, abbrutisce l'uomo, ne infiacchisce la vita intellettuale e morale, e lo prepara per insensibile pendìo ai diletti della voluttà, che in fondo è vizio dello stesso genere.

Per valutarne la colpevolezza, occorre fare una distinzione.

A) La golosità è colpa grave:

a) quando arriva ad eccessi tali da renderci incapaci, per un tempo notevole, di adempiere i doveri del nostro stato o di obbedire alle leggi divine o ecclesistiche; per esempio, quando nuoce alla salute, quando è fonte di pazze spese che danneggiano la famiglia, quando fa che si violino le leggi dell'astinenza o del digiuno.

b) Lo stesso è a dire quando diventa causa di colpe gravi.

Diamone alcuni esempi. "Gli eccessi della tavola, dice il P. Janvier, dispongono all'incontinenza che è figlia della golosità.

Incontinenza degli occhi e delle orecchie che chiedono pernicioso pascolo agli spettacoli e ai canti licenziosi; incontinenza della fantasia che si sconcerta; incontinenza della memoria che cerca nel passato ricordi capaci d'eccitare la concupiscenza; incontinenza del pensiero che, traviando, si disperde in oggetti illeciti; incontinenza del cuore che aspira ad affetti carnali; incontinenza della volontà che rinunzia alla sua signoria per farsi schiava dei sensi …

L'intemperanza della tavola conduce all'intemperanza della lingua.

Quante colpe non commette la lingua nei sontuosi e prolungati pranzi!

Colpe contro la gravità … Colpe contro la discretezza.

Si tradiscono segreti che si era promesso di custodire, sacri segreti professionali, e si dà in pascolo alla malignità il buon nome d'un marito, d'una sposa, d'una madre, l'onore d'una famiglia, e perfino l'avvenire d'una nazione.

Colpe contro la giustizia e la carità!

La maldicenza, la calunnia, la detrazione nelle forme più inescusabili corrono liberamente e senza riguardo …

Colpe contro la prudenza!

Si prendono impegni che non si potranno poi mantenere senza offendere tutte le leggi della morale ….

867. B) La golosità è colpa soltanto veniale quando si cede ai diletti della mensa immoderatamente, senza però cadere in eccessi gravi e senza esporsi a violare importanti precetti.

Così sarebbe peccato veniale mangiare o bere più del consueto, per diletto, per far onore a un buon pasto o per compiacere un amico, senza commettere notevole eccesso.

868. C) Rispetto alla perfezione, la golosità è ostacolo serio:

1) alimenta l'immortificazione, che infiacchisce la volontà, e fomenta l'amore del sensuale diletto che prepara poi l'anima a pericolosi tracolli;

2) è fonte di molte colpe, producendo allegria eccessiva, che porta alla dissipazione, al cicalìo, alle facezie di cattivo gusto, alla mancanza di riserbo e di modestia, e apre l'anima agli assalti del demonio.

Conviene quindi combatterla.

869. 3° Rimedi.

Il principio che deve guidarci nella lotta contro la gola è che il piacere non è fine ma mezzo, onde dev'essere subordinato alla retta ragione illuminata dalla fede, n. 193.

Ora la fede ci dice che dobbiamo santificare i piaceri della mensa con la purità d'intenzione, la sobrietà e la mortificazione.

1) Prima di tutto bisogna cibarsi con intenzione retta e soprannaturale, non da animale che cerca solo il piacere, non da filosofo che si contenta di intenzione onesta, ma da cristiano, per meglio lavorare alla gloria di Dio: in ispirito di riconoscenza alla bontà di Dio che si degna darci il pane quotidiano; in ispirito d'umiltà, pensando con S. Vincenzo de' Paoli che non meritiamo il pane che mangiamo; in ispirito d'amore, adoprando le ricuperate forze al servizio di Dio e delle anime.

Adempiamo così la raccomandazione di S. Paolo ai primi cristiani, che in molte comunità viene richiamata al principio dei pasti: "Sia che mangiate, sia che beviate, fate tutto alla gloria di Dio: [sive ergo manducatis, sive bibitis… omnia in gloriam Dei facite] Sia dunque che mangiate, o bere … fate tutto per la gloria di Dio".

870. 2) Questa purità d'intenzione ci farà serbare la sobrietà ossia la giusta misura: volendo infatti mangiare per acquistare le forze necessarie all'adempimento dei doveri del nostro stato, schiveremo tutti gli eccessi che ci potrebbero danneggiar la salute.

Ora, dicono gli igienisti, "la sobrietà o frugalità è essenziale condizione del vigore fisico e morale.

Mangiando per vivere, dobbiamo mangiare sanamente per vivere sanamente.

Non bisogna quindi nè mangiare troppo nè troppo bere …

Bisogna levarsi da mensa con sensazione di leggerezza e di vigore, restare con un po' d'appetito, e schivare la pesantezza per eccesso di buona tavola".

È però bene notare che la misura non è uguale per tutti.

Vi sono temperamenti che, a preservarsi dalla tubercolosi, esigono più copiosa alimentazione; altri invece, a combattere l'artritismo, devono moderar l'appetito.

Ognuno quindi s'attenga in questo ai consigli d'un savio medico.

871. 3) Alla sobrietà il cristiano aggiunge la pratica di qualche mortificazione.

A) Essendo facile sdrucciolare sul pendìo e concedere troppo alla sensualità, è bene privarsi talora di qualche alimento che piace, che sarebbe anzi utile, ma non necessario.

Si acquista così una certa padronanza sulla sensualità, sottraendole alcune legittime soddisfazioni; si svincola l'anima dalla servitù dei sensi, le si dà maggior libertà per la preghiera e per lo studio, e si scansano molte tentazioni pericolose.

B) Ottima pratica è l'abituarsi a non prender pasto senza fare qualche mortificazione.

Queste piccole privazioni hanno il vantaggio di rinvigorire la volontà senza nuocere alla salute, e sono quindi generalmente preferibili alle mortificazioni più importanti che non occorrono che di rado.

Le anime pie vi aggiungono un motivo di carità; si lascia qualche cosa per i poveri, e quindi per Gesù che vive nella loro persona; però, come bene osserva S. Vincenzo Ferreri, ciò che si lascia non dev'essere cosa di rifiuto, ma boccone scelto, sia pur piccolo.

Ed è pure buona pratica abituarsi a mangiare un po' di ciò che non piace.

872. C) Tra le mortificazioni più utili poniamo quelle dei liquori alcoolici.

Richiamiamo su questo punto alcuni principii:

a) In sè l'uso moderato dell'alcool o delle bevande spiritose non è male: non si possono quindi biasimare i laici o gli ecclesiastici che ne usano moderatamente.

b) Ma l'astenersi per spirito di mortificazione o per dar buon esempio, è certo lodevolissima cosa.

Quindi certi sacerdoti e certi laici addetti all'azione cattolica si astengono da ogni liquore per dissuaderne più facilmente gli altri.

c) Vi sono casi in cui tale astinenza è moralmente necessaria per scansare eccessi:

1) quando, per atavismo, si è ereditata una certa propensione alle bevande spiritose: anche il semplice uso può allora generare una quasi irresistibile inclinazione, come basta una scintilla per suscitar un incendio in materie infiammabili;

2) chi avesse avuto la disgrazia di contrarre inveterate abitudini d'alcoolismo: il solo rimedio efficace ne sarà allora spesso l'astinenza totale.

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