Compendio di Teologia Ascetica e Mistica

Indice

Capitolo V.

Lotta contro le tentazioni.

900. Nonostante gli sforzi per sradicare i vizi, possiamo e dobbiamo aspettarci la tentazione.

Abbiamo infatti nemici spirituali, la concupiscenza, il mondo e il demonio, n. 193-227, che non cessano di tenderci insidie.

Dobbiamo quindi trattare della tentazione, sia della tentazione in generale, sia delle principali tentazioni degl'incipienti.

Art. I. Della tentazione in generale.

901. La tentazione è una sollecitazione al male proveniente dai nostri nemici spirituali.

Esporremo:

1° i fini provvidenziali della tentazione,

2° la psicologia della tentazione;

3° il modo di comportarci nella tentazione.

I. I fini provvidenziali della tentazione.

902. Dio direttamente non ci tenta: "Nessuno dica, quando è tentato: è Dio che mi tenta, poiché Dio non è tentato al male né tenta".

Permette che siamo tentati dai nostri nemici spirituali, dandoci però le grazie necessarie per resistere: "[Fidelis est Deus qui non patietur vos tentari supra id quod potestis, sed faciet etiam cum tentatione proventum] C'è un Dio è fedele, che non soffrirà che siate tentati sopra quello che si è in grado: ma farà anche con l'edizione tentazione".

E ne ha ottime ragioni.

1° Ci vuole far meritare il paradiso.

Avrebbe certo potuto concederci il cielo come dono; ma sapientemente volle che lo meritassimo come ricompensa.

Vuole anzi che la ricompensa sia proporzionata al merito e quindi alla vinta difficoltà.

Ora è certo che una delle difficoltà più penose è la tentazione, che mette in pericolo la fragile nostra virtù.

Combatterla energicamente è uno degli atti più meritori; e quando, con la grazia di Dio, ne usciamo trionfanti, possiamo dire con S. Paolo che abbiamo combattuto il buon combattimento e che altro non ci resta se non ricevere la corona di giustizia preparataci da Dio.

L'onore e la gioia nel possederla sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà stata la fatica per meritarla.

903. 2° La tentazione è pure un mezzo di purificazione.

1) Ci ricorda infatti che altre volte, per difetto di vigilanza e d'energia, siamo caduti, onde ci è occasione di rinnovare atti di contrizione, di confusione e di umiliazione, che contribuiscono a purificarci l'anima;

2) ci obbliga nello stesso tempo a vigorosi e perseveranti sforzi per non soccombere, onde ci fa espiare con atti contrari le debolezze e le male condiscendenze, il che ci rende l'anima più pura.

Ecco perché Dio, quando vuole purificare un'anima per elevarla alla contemplazione, permette che subisca orribili tentazioni, come diremo trattando della via unitiva.

904. 3° è poi un mezzo di spirituale progresso.

a) La tentazione è come una frustata che ci desta nel momento in cui stavamo per addormentarci e rattiepidirci; ci fa capire la necessità di non fermarci a mezzo il cammino, ma mirare più in alto, a fine di allontanare, più sicuramente ogni pericolo.

b ) è pure una scuola d'umiltà, di diffidenza di sé: si capisce meglio la propria fragilità, la propria impotenza, si sente maggiormente il bisogno della grazia e si prega con più fervore.

Si vede meglio la necessità di mortificare l'amore del piacere che è fonte di tentazioni, onde si abbracciano con maggior generosità le piccole croci quotidiane per smorzare l'ardore della concupiscenza.

c ) è una scuola d'amore di Dio: perché uno, a più sicuramente resistere, si getta nella braccia di Dio per trovarvi forza e protezione; è riconoscente delle grazie che Dio gli concede; si comporta con lui come un figlio che, in ogni difficoltà, ricorre al più amante dei padri.

La tentazione ha dunque molti vantaggi ed è per questo che Dio permette che i suoi amici siano tentati: "perché eri gradito a Dio, disse l'angelo a Tobia, fu necessario che la tentazione ti provasse; quia acceptus eras Deo, necesse fuit ut tentatio probaret te".

II. La psicologia della tentazione.

Descriveremo:

1° la frequenza della tentazione;

2° le varie fasi;

3° i segni e i gradi del consenso.

905. 1° Frequenza delle tentazioni.

La frequenza e la violenza delle tentazioni variano grandemente: vi sono anime spesso e violentemente tentate; altre lo sono raramente e senza profonde scosse.

Molte cause spiegano questa diversità.

a ) Prima di tutto il temperamento e il carattere: vi sono persone, facilissime ad appassionarsi e nello stesso tempo deboli di volontà, tentate spesso e dalla tentazione sconvolte; altre poi bene assestate ed energiche sono tentate di raro e in mezzo alla tentazione si serbano calme.

b ) L'educazione porta altre differenze: vi sono anime educate nel timore e nell'amor di Dio, nella pratica abituale ed austera del dovere, che non ricevettero se non buoni esempi; altre invece furono allevate nell'amore dei piaceri e nel ribrezzo d'ogni patimento e videro troppi esempi di vita mondana e sensuale.

É chiaro che le seconde saranno tentate più violentemente delle prime.

c ) Bisogna anche tener conto dei disegni provvidenziali di Dio: vi sono anime da lui chiamate a santa vocazione, la cui purità egli gelosamente preserva; ve ne sono altre da lui destinate pure alla santità, ma che vuol far passare per dure prove, onde rinsaldarne la virtù; altre infine che non chiama a vocazione così alta e che saranno tentate più spesso, benché mai al di sopra delle loro forze.

906. 2° Le tre fasi della tentazione.

Secondo la dottrina tradizionale, esposta già da S. Agostino, nella tentazione vi sono tre fasi: la suggestione la dilettazione, il consenso.

a ) La suggestione consiste nella proposta di qualche male: la fantasia o la mente si rappresenta, in modo più o meno vivo, le attrattive dei frutto proibito; talvolta questa rappresentazione è molto seducente, assale con tenacia e diventa una specie d'ossessione.

Per quanto pericolosa sia, la suggestione non è peccato, purché non sia stata volontariamente provocata e non vi si acconsenta; non vi è colpa se non quando la volontà vi da consenso.

b ) Alla suggestione s'aggiunge la dilettazione: la parte inferiore dell'anima piega istintivamente verso il male suggerito e ne prova un certo diletto.

"Avviene molte volte, dite S. Francesco di Sales che la parte inferiore si compiace nella tentazione senza il consenso, anzi a dispetto della parte superiore.

É la lotta descritta da S. Paolo quando dice che la carne ha desideri contrari allo spirito".

Questa dilettazione della parte inferiore, finché la volontà non vi aderisce, non è peccato; ma è un pericolo, perché la volontà si trova così sollecitata a dar l'adesione; onde si pone l'alternativa: la volontà acconsentirà si o no?

c ) Se la volontà rifiuta il consenso, combatte la tentazione e la respinge, esce vittoriosa e fa atto molto meritorio.

Se invece si compiace nella dilettazione, vi prende volontario piacere e vi consente, il peccato interno è commesso.

Quindi tutto dipende dal libero consenso della volontà, onde noi, per maggior chiarezza, indicheremo i segni da cui si può conoscere se e in quale misura si è acconsentito.

907. 3° Segni di consenso.

A spiegar meglio questo punto importante, vediamo i segni di non consenso, di consenso imperfetto, di pieno consenso.

a ) Si può tenere che non si è acconsentito, quando, non ostante la suggestione e l'istintivo diletto che l'accompagna, si prova disgusto e noia in vedersi così tentati; quando si lotta per non soccombere; quando nella parte superiore dell'anima si ha vivo orrore del male proposto.

b ) Si può essere colpevoli in causa della tentazione, quando si prevede che questa o quell'azione, che possiamo evitare, ci sarà fonte di tentazioni: "Se so, dice S. Francesco di Sales, che una conversazione mi è causa di tentazione e di caduta, eppure ci vado di mia volontà; io sono indubbiamente colpevole di tutte le tentazioni che vi proverò".

Ma non si è allora, colpevoli che secondo la previsione, e se la previsione é stata vaga e confusa, la colpevolezza diminuisce in proporzione.

908. c) Il consenso si può giudicare imperfetto:

1) Quando non si respinge la tentazione prontamente, appena se ne vede il pericolo; vi è colpa di imprudenza che, senza essere grave, espone al pericolo di acconsentire alla tentazione.

2) Quando si esita un istante: si vorrebbe gustare un pochino il proibito diletto ma senza offendere Dio; ossia, dopo un momento di esitazione, si respinge la tentazione; anche qui è colpa veniale d'imprudenza.

3) Quando non si respinge la tentazione che a metà: si resiste ma fiaccamente e imperfettamente; ora una mezza resistenza è un mezzo consenso: quindi colpa veniale.

909 d) Il consenso è pieno ed intero, quando la volontà, indebolita dalle prime concessioni, si lascia trascinare a gustare volontariamente il cattivo diletto nonostante le proteste della coscienza che riconosce che è male; allora, se la materia è grave, il peccato è mortale: è peccato di pensiero o di dilettazione morosa, come dicono i teologi.

Se al pensiero si aggiunge il desiderio acconsentito, è colpa più grave.

Se poi dà desiderio si passa all'esecuzione, o almeno alla ricerca alla provvisione dei mezzi atti all'esecuzione del proprio disegno, si ha peccato di opera.

910. Nei vari casi che abbiamo esposti, sorgono qualche volta dubbi sul consenso o sul semiconsenso dato.

Bisogna allora distinguere tra coscienze delicate e coscienze lasse; nel primo caso si giudica che non ci sia stato consenso, perché la persona di cui si tratta è solita a non acconsentire; mentre nel secondo caso si dovrà fare giudizio tutto contrario.

III. Il modo di comportarci nella tentazione.

Per trionfare delle tentazioni e farle servire al nostro bene spirituale, occorrono tre cose principali:

1° prevenire la tentazione:

2° vigorosamente combatterla;

3° ringraziare Dio dopo la vittoria o rialzarsi dopo la caduta.

911. 1° Prevenire la tentazione.

È noto il proverbio: è meglio prevenire che guarire, che è pure consiglio di cristiana sapienza.

Conducendo i tre apostoli nell'interno del giardino degli Ulivi, Nostro Signore dice loro . "Vigilate e pregate onde non entriate in tentazione: vigilate et orate ut non intretis in tentationem"; vigilanza e preghiera: ecco dunque i due grandi mezzi a prevenire la tentazione.

912. A) Vigilare è fare la guardia attorno all'anima propria per non lasciarsi cogliere, essendo così facile soccombere in un momento di sorpresa!

Questa vigilanza inchiude due principali disposizioni: la diffidenza di sé e la confidenza in Dio.

a ) Bisogna quindi evitare quella orgogliosa presunzione che ci fa gettare in mezzo ai pericoli col pretesto che siamo abbastanza forti da trionfarne.

Fu questo il peccato di S. Pietro, che, mentre Nostro Signore prediceva la fuga degli apostoli, esclamò: "Se anche tutti si scandalizzassero, io mai".

Bisogna invece rammentarsi che colui che crede di stare in piedi deve badare a non cadere: "Itaque qui se existimat stare, videat ne cadat"; perché se lo spirito è pronto, la carne è debole, e la sicurezza non si trova che nell'umile diffidenza della propria debolezza.

b) Ma bisogna pure schivare quei vani terrori che non fanno che accrescere il pericolo; da noi, è vero, siamo deboli, ma diventiamo invincibili in Colui che ci dà forza: "Fedele è Dio, che non permetterà che siate tentati oltre le forze, ma darà con la tentazione anche il modo di poterla sostenere".

c) Questa giusta diffidenza di noi ci fa schivare le occasioni pericolose, per esempio quella compagnia, quel divertimento ecc., in cui l'esperienza ci mostrò che corriamo rischio di soccombere.

Combatte l'oziosità, che è una delle occasioni più pericolose, n. 885, come pure quell'abituale mollezza che rilassa tutte le forze della volontà e la prepara a ogni specie di transazioni.

Ha in orrore quel vano fantasticare che popola l'anima di fantasmi, i quali presto diventano pericolosi.

Pratica insomma la mortificazione sotto le varie forme da noi indicate, n. 767‑817, e l'applicazione ai doveri del proprio stato, alla vita interiore e all'apostolato.

In cosiffatta vita intensa resta poco posto per le tentazioni.

d) La vigilanza poi deve specialmente esercitarsi sul punto debole dell'anima, perché di là viene ordinariamente l'assalto.

A fortificare questo lato vulnerabile, bisogna servirsi dell'esame particolare, che concentra l'attenzione, per un notevole tempo, su cotesto difetto, o meglio ancora sulla virtù contraria ( n. 468 ).

913. B) Alla vigilanza si aggiunga la preghiera, che, mettendo Dio dalla nostra parte, ci rende invincibili.

In sostanza Dio è interessato alla nostra vittoria: lui infatti il demonio assale nella nostra persona, l'opera sua egli vuole distruggere in noi; noi possiamo quindi invocarlo con santa confidenza, sicuri che altro non desidera che di soccorrerci.

Ogni preghiera è buona contro la tentazione, vocale o mentale, privata o pubblica, sotto forma di adorazione o sotto forma di domanda.

E si può, specialmente nei momenti di calma, pregare pel tempo della tentazione.

Così quando questa si presenti, non si ha più da fare che una breve elevazione del cuore per resistere con migliore fortuna.

914. 2° Resistere alla tentazione.

Questa resistenza dovrà variare secondo la natura delle tentazioni.

Ce ne sono di quelle frequenti ma poco gravi: bisogna trattarle col disprezzo, come spiega sì bene S. Francesco di Sales.

"Quanto a quelle tentazioncelle di vanità di sospetti, di stizza, di gelosia, di invidia, di amorucci, e simili bricconerie, che, come le mosche e le zanzare, ci vengono a passare davanti agli occhi e ora ci pungono le guance, ora il naso … la migliore resistenza che sì possa fare è di non affliggersene, perché sono tutte cose che non possono far danno, benché possano dar fastidio, a patto che si sia ben risoluti di voler servire Dio.

Disprezzate quindi questi piccoli assalti e non vi degnate neppure di pensare che cosa vogliano dire, ma lasciatele ronzare intorno agli orecchi quanto vorranno, come si fa con le mosche".

Qui ci occupiamo soprattutto delle tentazioni gravi: è necessario combatterle prontamente, energicamente, con costanza ed umiltà.

A) Prontamente, senza discutere col nemico, senza esitazione alcuna: sul principio, non avendo la tentazione preso ancora saldo piede nell'anima, è molto facile il respingerla; ma se aspettiamo che vi abbia messo radice, sarà assai più difficile.

Quindi non fermiamoci a discutere; associamo l'idea del cattivo diletto a tutto ciò che vi è di più ripugnante, a un serpente, a un traditore che ci vuole sorprendere, e richiamiamo la parola della Sacra Scrittura: "Fuggi il peccato come dalla vista di un serpente; perché se ti lasci accostare, ti morderà: [quasi a facie colubri fuge peccata] Fuggite dal peccato come da un serpente".

Si fugge pregando, e applicando intensamente ad altro la mente.

915. B) Energicamente, non fiaccamente e come a malincuore, che sarebbe quasi un invito alla tentazione a ritornare; ma con forza e vigore, esprimendo l'orrore che si ha per cosiffatta proposta: "Via, brutto demonio, vade retro, Satana".

Si ha però da variare la tattica secondo il genere delle tentazioni: se si tratta di diletti seducenti, bisogna dare subito di volta e fuggire, applicando fortemente l'attenzione ad altra cosa che possa occuparci bene la mente ‑ la resistenza diretta d'ordinario non farebbe che aumentare il pericolo.

Se si tratta invece di ripugnanza a fare il proprio dovere, di antipatia, di odio, di rispetto umano, spesso è meglio affrontare la tentazione, guardare francamente in faccia la difficoltà e ricorrere ai principi di fede per trionfarne.

916. C) Con costanza: talora infatti la tentazione, vinta per un momento, ritorna con nuovo accanimento, e il demonio conduce dal deserto sette altri spiriti peggiori di lui.

A questa ostinazione del nemico bisogna opporre una non meno tenace resistenza, perché solo colui che combatte sino alla fine riporta vittoria.

Ma per essere più sicuri del trionfo, conviene palesare la tentazione al direttore.

È il consiglio che danno i Santi, specialmente S. Ignazio e S. Francesco di Sales: "Notate bene, dice quest'ultimo che la prima condizione posta dal maligno all'anima che vuol sedurre, è il silenzio, come fanno quelli che vogliono sedurre le donne e le giovanette che, subito fin da principio, proibiscono di comunicare le proposte ai genitori o ai mariti; mentre Dio, nelle sue ispirazioni, richiede soprattutto che le facciamo riconoscere dai superiori e direttori".

Pare infatti che grazia speciale sia annessa a questa apertura di cuore tentazione svelata è mezzo vinta.

917. D) Con umiltà: è lei infatti che attira la grazia, e la grazia ci dà la vittoria.

Il demonio che peccò per superbia, fugge davanti a un sincero atto d'umiltà; e la triplice concupiscenza, che trae la forza dalla superbia, è facilmente vinta quando con l'umiltà siamo riusciti, per così dire, a decapitarla.

918. 3° Dopo la tentazione, bisogna guardarsi bene dall'esaminare troppo minuziosamente se si è consentito o no: è imprudenza che potrebbe ricondurre la tentazione e costituire un nuovo pericolo.

È facile del resto conoscere dal testimonio della coscienza, anche senza profondo esame, se si è rimasti vittoriosi.

A) Se si ebbe la ventura di trionfarne, si ringrazi di gran cuore Colui che ci diede la vittoria: è dovere di riconoscenza e il mezzo migliore per ottenere a suo tempo nuove grazie.

Sventura agli ingrati che, attribuendo a sé la vittoria, non pensassero a ringraziarne Dio!

Non tarderebbero molto a sperimentar la propria debolezza!

919. B) Chi invece avesse avuto la disgrazia di soccombere, non si disanimi: ricordi l'accoglienza fatta al figliuol prodigo e corra, come lui, a gettarsi ai piedi del rappresentante di Dio, gridando dal fondo del cuore: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di voi: non merito più d' essere chiamato vostro figlio.

E Dio, che è anche più misericordioso del padre del prodigo, gli darà il bacio di pace e gli restituirà l'amicizia.

Ma, a schivare le ricadute, il peccatore pentito si giovi del suo peccato per profondamente umiliarsi davanti a Dio, riconoscere la propria impotenza a fare il bene, mettere tutta la confidenza in Dio, diventare più circospetto schivando diligentemente le occasioni di peccato, e rifarsi alla pratica della penitenza.

Un peccato così riparato non sarà ostacolo alla perfezione.

Come giustamente nota Agostino, chi così si rialza diventa più umile, più fervoroso: "[ex casu humiliores, cautiores, ferventiores] per caso, aveva più umile, più prudente, più fervente".

ART. II. Le principali tentazioni degli incipienti

Gl'incipienti vanno soggetti ad ogni sorta di tentazioni provenienti dalle fonti che abbiamo indicate.

Ma ve ne sono alcune che li riguardano in modo più particolare:

1° le illusioni provenienti dalle consolazioni e dalle aridità;

2° l'incostanza;

3° la premura eccessiva;

4° qualche volta gli scrupoli.

§ I. Illusioni degl'incipienti sulle consolazioni.

920. Il Signore ordinariamente concede consolazioni sensibili agl'incipienti per attirarli al suo servizio; poi per un tempo ne li priva a fine di provarne e rinsaldarne la virtù.

Or vi sono taluni che si credono già arrivati a un certo grado di santità quando hanno molte consolazioni; se poi esse vengono a cessare e cedono il posto alle aridità, si credono perduti.

A prevenire quindi nello stesso tempo la presunzione e lo scoraggiamento, conviene spiegare loro la vera dottrina sulle consolazioni e sulle aridità.

I. Le consolazioni.

921. 1° Natura ed origine.

a) Le consolazioni sensibili sono dolci emozioni che toccano, la sensibilità e fanno gustare una viva gioia spirituale.

Il cuore si dilata e batte allora più animatamente, il sangue circola con maggiore rapidità, radioso è il volto, la voce commossa, e la gioia si manifesta talora con le lacrime.

Si distinguono dalle consolazioni spirituali, concesse generalmente alle anime proficienti, consolazioni d'ordine superiore che operano sull'intelligenza illuminandola e sulla volontà attirandola alla preghiera e alla virtù.

Spesso però vi è un certo misto di queste due consolazioni, e quel che diremo può applicarsi così alle une come alle altre.

b ) Queste consolazioni possono provenire da triplice fonte:

1) da Dio, che opera con noi come la madre col suo bambino, traendoci a sé con le dolcezze che ci fa provare nel suo servizio, a fine di staccarci più facilmente dai falsi diletti e piaceri del mondo;

2) dal demonio, che, operando sul sistema nervoso, sull'immaginazione e sulla sensibilità, può produrre certe emozioni sensibili di cui poi si servirà per spingere ad austerità indiscrete, alla vanità, alla presunzione presto seguita dallo scoraggiamento;

3) dalla natura stessa: vi sono temperamenti immaginosi, sensitivi, ottimisti, che, dandosi alla pietà, vi trovano naturalmente alimento alla loro sensibilità.

922. 2° Vantaggi.

Le consolazioni hanno certamente la loro utilità:

a ) Agevolano la conoscenza di Dio la fantasia, aiutata dalla grazia, si rappresenta volentieri le divine amabilità e il cuore le gusta; si prega allora e si medita a lungo volentieri e l'anima intende meglio la bontà di Dio.

b ) Contribuiscono a fortificare la volontà, la quale, non trovando più ostacoli nelle facoltà inferiori ma preziosi ausiliarii, si distacca più facilmente dalle creature, ama Dio con più ardore e prende energiche risoluzioni che più facilmente osserva in virtù degli aiuti ottenuti con la preghiera: amando Dio in modo sensibile, sopporta valorosamente i piccoli sacrifizi quotidiani e s'impone anzi volentieri qualche mortificazione.

c ) Ci aiutano a formarci abitudini di raccoglimento, di preghiera, d'obbedienza, d'amor di Dio, che persevereranno in parte anche quando le consolazioni saranno cessate.

923. 3° Pericoli.

Ma hanno anche i loro pericoli queste consolazioni,

a ) Eccitano una specie di spirituale ghiottoneria, la quale fa che uno si affezioni più alle consolazioni di Dio che al Dio delle consolazioni; cosicché, cessate che siano, si trascurano poi gli esercizi spirituali e i doveri del proprio stato; anzi, in quello stesso momento che ne godiamo, la nostra devozione è tutt'altro che soda, perché, pur piangendo sulla Passione del Salvatore, gli rifiutiamo il sacrificio di questa o quell'amicizia sensibile o di quella privazione!

Ora virtù soda non v'è che quando l'amor di Dio giunge sino ad abbracciare il sacrificio, n. 321.

"Vi sono molte anime che hanno di queste tenerezze e consolazioni e che pure non lasciano d'essere molto viziose, che non hanno quindi alcun vero amor di Dio e tanto meno alcuna vera divozione".

b) Fomentano spesso la superbia sotto una forma o sotto un'altra:

1) la vana compiacenza: quando si ha consolazioni e la preghiera riesce facile, uno si crede facilmente un santo, mentre invece e ancora novizio nella perfezione!

2) la vanità: si desidera parlare ad altri di queste consolazioni per darsi importanza; e allora se ne viene spesso privati per un notevole tempo;

3) la presunzione: uno si crede forte e invincibile, e si espone talora al pericolo, o almeno comincia a riposarsi, quando invece bisognerebbe raddoppiare gli sforzi e progredire.

924. 4° Contegno rispetto alle consolazioni.

Per trarre profitto dalle divine consolazioni e schivare i pericoli che abbiamo indicati, ecco le regole da seguire.

a ) Si può certamente desiderare queste consolazioni ma in modo condizionato, con l'intenzione di servirsene ad amare Dio e adempierne la santa volontà.

In questo senso la Chiesa ci fa chiedere, il giorno di Pentecoste, nella Colletta, la grazia della consolazione spirituale: "[et de ejus semper consolatione gaudere] Mi piace sempre il conforto della sua".

È infatti un dono di Dio, che mira ad aiutarci nell'opera della nostra santificazione: bisogna quindi stimarlo molto, e si può anche domandarlo, purché si stia rassegnati alla santa volontà di Dio.

b) Quando queste consolazioni ci vengono date, riceviamole con gratitudine ed umiltà, riconoscendocene indegni e attribuendone tutto il merito a Dio; se vuole trattarci da beniamini, ne sia benedetto, ma confessiamo che siamo ancora molto imperfetti, avendo bisogno del latte dei bambini "[quibus lacte opus est et non solido cibo] venire a bisogno di latte e non di cibo solido è".

Soprattutto poi non vantiamocene, che sarebbe questo il miglior mezzo di perderle.

c ) Ricevutele umilmente, vediamo di premurosamente volgerle al fine voluto da Colui che ce le dà.

Ora Dio ce le concede, dice S. Francesco di Sales, "per renderci dolci con tutti e amorosi verso di lui.

La madre dà i confetti al figliolino perché la baci; baciamo dunque questo Salvatore che ci dà tante dolcezze.

Ora baciare il Salvatore vuol dire obbedirlo, osservarne i comandamenti, farne la volontà, secondarne i desideri, insomma teneramente abbracciarlo con obbedienza e umiltà".

d ) Finalmente bisogna persuadersi che queste consolazioni non dureranno sempre, e chiedere quindi umilmente a Dio la grazia di servirlo nelle aridità quando si degnerà di inviarcele.

Intanto, in cambio di voler prolungare con sforzata applicazione queste consolazioni, bisogna moderarle e attaccarsi fortemente al Dio delle consolazioni.

II. Delle aridità.

A rassodarci nella virtù, Dio è obbligato a mandarci di tanto in tanto delle aridità; esponiamone: 1° la natura; 2° lo scopo provvidenziale; 3° la condotta da tenere.

925. 1° Natura.

Le aridità sono una privazione delle consolazioni sensibili e spirituali che agevolavano la preghiera e la pratica delle virtù.

Nonostante sforzi spesso rinnovati, non si ha più gusto per la preghiera, vi si prova anzi noia e stanchezza, e il tempo pare molto lungo; la fede e la confidenza sembrano assopite e l'anima, in cambio di sentirsi svelta e lieta, vive in una specie di torpore: non si va più avanti se non per forza di volontà.

É questo certamente uno stato molto penoso, ma ha pure i suoi vantaggi.

926. 2° Scopo provvidenziale.

a) Quando Dio ci manda le aridità, lo fa per distaccarci da tutto ciò che è creato, anche dalle gioie della pietà, affinché impariamo ad amare Dio solo e, per sé stesso.

b ) Vuole pure umiliarci, mostrandoci che le consolazioni non ci sono dovute, ma sono favori essenzialmente gratuiti.

c ) Ci purifica sempre più così dalle colpe passate come dagli attacchi presenti e da ogni mira egoistica; quando si è costretti a servire Dio senza gusto, per sola convinzione e forza di volontà, si soffre molto e questo patimento espia e ripara.

d ) Infine ci rassoda nella virtù; perché, per continuare a pregare e a fare il bene, bisogna esercitare con energia e costanza la volontà e con siffatto esercizio si rassoda la virtù.

927. 3° Condotta da tenere.

a) Le aridità provengono talvolta dalle colpe nostre, onde bisogna prima di tutto esaminare seriamente, ma senza affanno, se non ne siamo responsabili noi.

1) con sentimenti più o meno volontari di vana compiacenza e di orgoglio;

2) con una specie di pigrizia spirituale, o per l'opposto con una inopportuna tensione;

3) con la ricerca di consolazioni umane, di amicizie troppo sensibili, di mondani diletti, non volendo Dio saperne di cuori divisi;

4) con la mancanza di sincerità col direttore: "poiché voi mentite allo Spirito Santo, dice S. Francesco di Sales, non è meraviglia s'egli vi rifiuta la sua consolazione".

Trovata la causa di queste aridità, bisogna umiliarsene e cercare di sopprimerla.

928. b) Se poi non ne siamo causa noi, conviene trarre buon partito da questa prova.

1) Il gran mezzo per riuscirvi è di persuaderci che servire Dio senza gusto e senza sentimento è cosa più meritoria che servirlo con molta consolazione.

Che basta volere amare Dio per amarlo, e che il più perfetto atto d'amore è poi quello di conformare la propria volontà a quella di Dio.

2) Per rendere quest'atto ancora più meritorio, non c'è di meglio che unirsi a Gesù, il quale, nel giardino degli Ulivi, volle per amore nostro provare noia e tristezza, e ripetere con lui: "[verumtamen non mea voluntas sed tua fiat] Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta".

3) Soprattutto poi non bisogna disanimarsi mai, né diminuire gli esercizi di pietà, gli sforzi, le risoluzioni, ma imitare Nostro Signore che, immerso nell'agonia, pregava anche più a lungo: "[factus in agonia prolixius orabat] essendo in agonia, egli pregava vie più".

929. Consiglio al direttore.

Affinché questa ,dottrina sulle consolazioni e sulle aridità sia ben capita dai diretti, bisogna tornarci sopra di frequente; perché essi credono pur sempre di far meglio quando tutto va a seconda dei loro desideri che quando si è costretti a remare contro corrente; ma a poco a poco si fa la luce e quando sanno non inorgoglirsi nelle consolazioni e non disanimarsi nelle aridità, molto più rapidi e costanti ne sono i progressi.

§ II. L'incostanza degl'incipienti.

930. 1° Il male.

Quando un anima si dà a Dio e comincia a progredire nelle vie spirituali, viene sorretta dalla grazia di Dio, dall'attrattiva della novità e da un certo slancio verso la virtù che appiana molte difficoltà.

Ma viene il momento che la grazia di Dio ci è data sotto forma meno sensibile, che ci sentiamo stanchi di dover sempre rifare gli stessi sforzi, che lo slancio pare infranto dalla continuità degli stessi ostacoli.

Si è allora esposti all'incostanza e al rilassamento.

Questa disposizione si manifesta:

1) negli esercizi spirituali, che si fanno con minore diligenza, accorciandoli e trascurandoli;

2) nella pratica delle virtù: si era entrati digran cuore nella via della penitenza e della mortificazione, ma la cosa, riesce ora penosa e lunga e gli sforzi s'allentano;

3) nella abituale santificazione delle proprie azioni: si era presa l'abitudine di rinnovare spesso l'offerta delle proprie azioni per essere sicuri di farle con purità di intenzione; ma uno poi si stanca di questa pratica, la trascura, e il risultato è che presto l'abitudine, la curiosità, la vanità, la sensualità ispirano molte delle nostre azioni.

Impossibile progredire con tali disposizioni: senza sforzo perseverante non si riesce a nulla.

931. 2° Il rimedio.

A) Bisogna convincersi che l'opera della perfezione è opera di lunga lenta, che richiede molta costanza, e che quei soli che riescono si rimettono continuamente al lavoro con novello ardore, nonostante le parziali sconfitte che subiscono.

Così fanno gli uomini d'affari che vogliono riuscire, così pure deve fare ogni anima che vuol progredire.

Ogni mattino ella deve chiedersi se non potrebbe fare un po' più e soprattutto un po' meglio per Dio; e ogni sera deve attentamente esaminare se ha effettuato almeno in parte il programma del mattino.

B ) Nulla giova meglio ad assicurare la costanza quanto la pratica fedele dell'esame particolare, n. 468; concentrando l'attenzione su un dato punto, su una data virtù, e rendendo conto al confessore dei progressi fatti, si è sicuri di progredire, anche quando non se ne avesse coscienza.

Quanto dicemmo sull'educazione della volontà, n. 812, e pure ottimo mezzo per trionfar dell'incostanza.

§ III. La eccessiva premura degli incipienti.

Molti incipienti, pieni di buona volontà, mettono un ardore e una premura eccessiva a lavorare alla propria perfezione, onde finiscono con lo stancarsi e spossarsi in sforzi inutili.

932. 1° Le cause.

a) La causa principale di questo difetto è che si sostituisce la propria attività a quella di Dio: in cambio di riflettere prima di operare, di chiedere allo Spirito Santo i suoi lumi e seguirli, uno corre all'opera con ardore febbrile; in cambio di consultare il direttore, uno prima fa e poi gli presenta il fatto compiuto; onde molte imprudenze e molti sforzi perduti, "[magni passus extra viam] Grande passo fuori strada".

b ) Spesso c'entra pure la presunzione: si vorrebbe fare dei salti, uscire presto dagli esercizi della penitenza, e giungere subito all'unione con Dio; ma ahimè! sorgono molti ostacoli imprevisti e uno si disanima, indietreggia e cade talora in colpe gravi.

c ) Altre volte domina la curiosità: si cercano continuamente nuovi mezzi di perfezione, si provano per qualche tempo e presto sì mettono da parte prima ancora che abbiano potuto produrre i loro effetti.

Si fanno sempre nuovi disegni di riforma per sé e per gli altri, dimenticando poi di metterli in pratica.

Il risultato più chiaro di questa attività eccessiva è la perdita del raccoglimento interiore, l'agitazione e il turbamento, senza alcun serio vantaggio.

933. 2° I rimedi.

a) Il rimedio principale è di assoggettarsi con intera dipendenza all'azione di Dio, di riflettere maturamente prima di operare, di pregare per ottenere i lumi divini, di consultare il direttore e stare alla sua risoluzione.

Come nell'ordine della natura non sono le forze violente quelle che ottengono i migliori effetti ma le forze ben regolate, così, nella vita soprannaturale, non sono gli sforzi febbrili ma gli sforzi calmi e ben regolati che ci fanno progredire: chi va piano va sano.

b ) Ma per assoggettarsi così all'azione di Dio è necessario combattere le cause di questa eccessiva premura:

1) la vivacità di carattere, che spinge a troppo pronte risoluzioni;

2) la presunzione, che nasce da troppa stima di sé;

3) la curiosità, che va sempre in cerca di qualche cosa di nuovo.

Conviene dunque assalire uno dopo l'altro questi difetti con l'esame particolare, e allora Dio riprenderà il suo posto nell'anima e la guiderà con calma e dolcezza nei sentieri della perfezione.

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