Compendio di Teologia Ascetica e Mistica

Indice

ART. III. Gl'inconvenienti e i pericoli dell'orazione affettiva.

Anche le cose migliori hanno inconvenienti e pericoli; e così è pure dell'orazione affettiva che, se se non è fatta secondo le regole della prudenza, conduce ad abusi.

Ne indicheremo i principali con i rispettivi rimedi.

985. 1° Il primo è la tensione, che induce stanchezza ed esaurimento.

Vi sono infatti di quelli che, volendo intensificare gli affetti, fanno sforzi di testa e di cuore, si affannano, si eccitano violentemente a produrre atti e slanci di amore, in cui ha più parte la natura che la grazia.

Con tali sforzi il sistema nervoso si stanca, il sangue affluisce al cervello, una specie di lenta febbre consuma le forze, e si è presto esausti.

Può anche accadere che ne seguano disordini fisiologici e che ai pii affetti si mescolino sensazioni più o meno sensuali.

986. É grave difetto a cui bisogna porre subito rimedio, seguendo i consigli di un savio direttore a cui si paleserà questo stato.

Ora il rimedio è di convincersi bene che il vero amor di Dio consiste assai più nella volontà che nella sensibilità, e che la generosità di quest'amore non sta negli slanci violenti ma nella risoluzione calma e ferma di non rifiutare nulla a Dio.

Non bisogna dimenticare che l'amore è atto della volontà, il quale spesso, è vero, rifluisce sulla sensibilità producendovi emozioni più o meno forti, ma non sono queste la vera devozione, queste non ne sono che manifestazioni accidentali che devono restare subordinate alla volontà ed essere da lei moderate; altrimenti prendono il sopravvento.

Il che è un disordine, e in cambio di fomentare la soda pietà, la fanno, degenerare in amore sensibile e talora sensuale; perché tutte le emozioni violente sono in fondo dello stesso genere e si passa facilmente dall'una all'altra.

Bisogna quindi cercare di spiritualizzare gli affetti, calmarli, metterli a servizio della volontà; e allora si godrà una pace che sorpassa ogni intendimento "[pax Dei quae, exsuperat omnem sensum] la pace di Dio, che, sorpassa ogni intelligenza,".

987. 2° Il secondo difetto è l'orgoglio e la presunzione.

Avendo buoni e nobili sentimenti, santi desideri, bei disegni di progresso spirituale; sentendo fervore sensibile e, in tali momenti, disprezzando i piaceri, i beni e le vanità del mondo, uno si crede volentieri molto più avanti di quello che è e quasi si immagina di toccare ormai le vette della perfezione e della contemplazione; avviene anche talora che, durante l'orazione, si trattiene il respiro in attesa di comunicazioni divine.

Tali sentimenti mostrano invece chiaramente che si è ancora molto lontani da quelle alte vette, perché i santi e le anime fervorose diffidano di sé, si stimano sempre i più cattivi e credono volentieri gli altri migliori di loro.

Bisogna quindi rifarsi alla pratica dell'umiltà, della diffidenza di sé, tenendo conto di ciò che diremo più tardi di questa virtù.

Del resto, quando sorgono questi sentimenti d'orgoglio, Dio si dà pensiero di ricondurre egli stesso queste anime a giusti sentimenti della loro indegnità ed incapacità, privandole di consolazioni e di grazie particolari; onde capiscono allora quanto siano ancora lontane dalla sospirata meta.

988. 3° Vi sono pure di quelli che pongono tutta la devozione nella ricerca delle consolazioni spirituali, trascurando i doveri del proprio stato e la pratica delle virtù ordinarie; purché facciano belle orazioni, pensano di essere già perfetti.

É grande illusione: non ci può essere perfezione senza conformità alla divina volontà; ora questa volontà è che osserviamo fedelmente, oltre i comandamenti, anche i doveri del nostro stato, e che pratichiamo tanto le piccole virtù della modestia, della dolcezza, della condiscendenza, della gentilezza, quanto le grandi.

Credersi santo perché si ama la orazione e soprattutto le sue consolazioni, è dimenticare che perfetto è solo colui che fa la volontà di Dio: "Non sono coloro che mi dicono: Signore, Signore, quelli che entreranno nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio".

Quando però si sanno rimuovere gli ostacoli e i pericoli coi mezzi da noi indicati, l'orazione affettiva torna utilissima al progresso spirituale e allo zelo apostolico.

Vediamo quindi quali sono i metodi di meglio coltivarla.

ART. IV. Metodi d'orazione affettiva.

Questi metodi si riducono a due tipi: il metodo di S. Ignazio e quello di San Sulpizio.

§ I. Il metodo di S. Ignazio.

Tra i metodi ignaziani ce ne sono tre che si riferiscono all'orazione affettiva: 1° la contemplazione; 2° l'applicazione dei sensi; 3° la seconda maniera di pregare.

1° La contemplazione ignaziana.

989. Si tratta qui non della contemplazione infusa ne della contemplazione acquisita, ma di un metodo particolare di orazione affettiva.

Contemplare un oggetto non vuol dire guardarlo così alla sfuggita, ma posatamente e con gusto fino a che se ne sia pienamente soddisfatti; è guardarlo con ammirazione, con amore, come la madre contempla il suo bambino.

Questa contemplazione può rivolgersi ai misteri di Nostro Signore o agli attributi divini.

Quando si medita un mistero:

1) si contemplano le persone che intervengono in tal mistero, per esempio, la SS. Trinità, Nostro Signore, la SS. Vergine, gli uomini, se ne osserva l'esterno e l'interno;

2) se ne ascoltano le parole, chiedendosi a chi siano rivolte e che cosa significhino;

3) si considerano le azioni, natura e circostanze; il tutto allo scopo di porgere i propri doveri a Dio, a Gesù, alla Madonna, e conoscere ed amar meglio Nostro Signore.

990. Onde tale contemplazione riesca più fruttuosa, si considera il mistero non come fatto passato ma come cosa che si sia presentemente svolgendo sotto i nostri occhi; ed è infatti presente per la grazia che vi è annessa.

Poi vi si assiste non come semplice spettatore ma prendendovi parte attiva, per esempio unendosi ai sentimenti della SS. Vergine nel momento della nascita del Dio Bambino.

Vi si cerca pure un risultato pratico, per esempio, più intima conoscenza di Gesù e amore più generoso per lui.

È facile, come ognun vede, far entrare in questo quadro tutti i sentimenti di ammirazione, di adorazione, di riconoscenza, di amore verso Dio, come pure di compunzione, di confusione, di contrizione alla vista dei nostri peccati, e infine tutte le preghiere che possiamo fare per noi e per gli altri.

Onde poi la molteplicità di questi affetti non porti danno alla pace e alla tranquillità dell'anima, non si deve dimenticare questa saviissima osservazione di S. Ignazio : "Se trovo in un punto i sentimenti che volevo eccitare in me, mi ci fermerò e riposerò, senza darmi pensiero di passare oltre, sino a che l'anima mia sia pienamente soddisfatta; perché non è la copia della scienza che sazia l'anima e la soddisfa ma il sentimento e il gusto interiore delle verità da lei meditate".

991. L'orazione poi sugli attributi divini si fa considerando ognuno di questi attributi con sentimenti di adorazione, di lode e di amore, conchiudendo coll'intiero dono di sé a Dio.

2° L'applicazione dei cinque sensi.

992. Si indica con questo nome un modo di meditare molto semplice e molto affettuoso, che consiste nell'esercitare i cinque sensi immaginativi o spirituali su qualche mistero di Nostro Signore, per imprimerci più profondamente nell'anima tutte le circostanze di questo mistero, ed eccitarci nel cuore pii sentimenti e buone risoluzioni.

Prendiamo un esempio tratto dal mistero di Natale.

1) Applicazione detta vista.

Vedo il bambino nel presepio, la paglia ove giace, le fasce che lo avvolgono …

Vedo le sue manine tremanti di freddo, i suoi occhi molli di lacrime …

É il mio Dio: io l'adoro con viva fede …

Vedo la SS. Vergine: che modestia! che celeste bellezza! …

La vedo prendere in braccio il bambino Gesù, fasciarlo coi pannolini, stringerselo al cuore e adagiarlo sulla paglia: è suo figlio ed è suo Dio!

Ammiro e prego … Penso alla santa comunione: è pur quello stesso Gesù che ricevo io …

Ho io la stessa fede e lo stesso amore?

2) Applicazione dell'udito.

Sento i vagiti del divin Bambino … i gemiti strappatigli dal dolore …

Ha freddo, ma soffre specialmente dell'ingratitudine degli uomini …

Sento le parole del suo Cuore al Cuore della santa sua Madre, la risposta di lei, risposta piena di fede, di adorazione, di umiltà, di amore; e mi unisco ai suoi sentimenti.

3) Applicazione dell'odorato.

Aspiro il profumo delle virtù del presepio, il buon odore di Gesù Cristo, e supplico il Salvatore di darmi quel senso spirituale che mi faccia aspirare il profumo della sua umiltà …

4) Applicazione del gusto.

Gusto la felicità di essere con Gesù, Maria, Giuseppe; la felicità di amarli; e per gustarla meglio me ne starò raccolto e silenzioso vicino vicino al mio Salvatore.

5) Applicazione del tatto.

Tocco piamente e riverentemente con le mani il presepio e la paglia ove sta coricato il mio Salvatore e amorosamente li bacio …

E, se il divin Bambino me lo vuoi permettere, gli bacio i santi piedini.

Si termina con un pio colloquio con Gesù, con sua madre, chiedendo la grazia d'amare più generosamente questo Salvatore divino.

3° La seconda maniera di pregare.

993. La seconda maniera di pregare consiste nel ripassare adagio nella mente qualche preghiera vocale, come il Pater, l'Ave, la Salve Regina, ' ecc., per considerare e gustare il significato di ogni parola.

Così, per il Pater considererete la prima parola e direte: O mio Dio, voi l'Eterno, l'Onnipotente, il Creatore di tutte le cose, m'avete adottato per figlio, voi siete mio Padre.

Lo Siete perché nel battesimo mi avete comunicato una partecipazione della vostra vita divina e ogni giorno me l'aumentate nell'anima …

Lo siete perché mi amate come mai nessun padre e nessuna madre amarono il proprio figlio,perché avete per me premura tutta paterna.

Uno si ferma su questa prima parola finché ci trova significati e sentimenti che portino qualche luce, forza o consolazione. Se avviene anzi che una o due sole parole forniscano sufficiente materia per tutto il tempo dell'orazione, non bisogna darsi pensiero di passar oltre; si assaporano queste parole, se ne trae qualche conclusione pratica, e si prega per poterla eseguire.

Ecco dunque tre modi semplici e facili per praticare l'orazione affettiva.

§ II. Il metodo di San Sulpizio.

Abbiamo già notato, n. 701, che questo metodo è molto affettivo; le anime progredite non hanno dunque che da giovarsene tenendo conto delle seguenti osservazioni.

994. 1° Il primo punto, l'adorazione, che per gli incipienti era molto breve, si prolunga sempre più, occupando talora da solo più di metà dell'orazione.

L'anima, accesa d'amore di Dio, ammira, adora, loda, benedice, ringrazia ora le tre divine persone insieme, ora ognuna di loro in particolare, ora Nostro Signore, perfetto modello di quella virtù che si vuole attirare in noi.

Porge pure, secondo le circostanze, ossequio di venerazione, di riconoscenza, di amore alla SS. Vergine e ai Santi, sentendosi tratta, nel farlo, a imitarne le virtù.

995. 2° Il secondo punto, la comunione, diviene anch'esso quasi intieramente affettivo.

Le poche considerazioni che si fanno sono molto brevi, e sotto forma di colloqui con Dio o con Nostro Signore: "Aiutatemi, o mio Dio, a convincermene sempre più"… sono accompagnate e seguite da effusioni di riconoscenza per i lumi ricevuti, da ardenti desideri di praticare la virtù che si medita.

L'esame su questa virtù si fa sotto lo sguardo di Gesù e confrontandosi con questo divino Modello; onde avviene che si vedono assai meglio i propri difetti e le proprie miserie per ragione del contrasto tra lui e noi; e allora i sentimenti di umiliazione e di confusione che si provano sono più profondi, maggiore la confidenza che si ha in Dio, perché uno si sente alla presenza del divin medico delle anime, onde esce spontaneamente dal cuore quel grido: "O Signore, il vostro amico è molto ammalato: Ecce quem amas infirmatur".

Quindi ardenti preghiere per ottener la grazia di praticare questa o quella virtù; preghiere non solo per sé ma anche per gli altri e per tutta la Chiesa; preghiere confidenti, perché, essendo incorporati a Cristo, si sa che queste preghiere sono da lui spalleggiate.

996. 3° Anche la cooperazione, nel terzo punto, si fa più affettuosa: la risoluzione che si prende, viene offerta a Gesù perché la approvi; si vuole praticarla per incorporarsi più perfettamente a lui e si fa per questo assegnamento sulla sua collaborazione, diffidando di sé; si lega poi questa risoluzione al mazzolino spirituale, ossia a una pia invocazione che si viene spesso ripetendo nel corso della giornata e che ci aiuta non solo a metterla in pratica ma ad affettuosamente ricordarci di Colui che ce l'ha ispirata.

997. Vi sono però dei casi in cui l'anima, trovandosi nell'aridità, non può far di questi affetti se non con grande fatica.

E allora, dolcemente abbandonandosi alla volontà di Dio, protesta di volerlo amare, di restargli fedele, di tenersi a ogni costo alla sua presenza e al suo servizio; riconosce umilmente la sua indegnità e la sua incapacità, si unisce con la volontà a Nostro Signore, offrendo a Dio gli ossequi che egli gli rende e aggiungendovi il dolore che prova nel non poter far di più per onorare la divina Maestà.

Questi atti di volontà sono anche più meritorii dei pii affetti.

Tali sono i principali metodi d'orazione affettiva scelga ognuno quello che meglio gli conviene e tolga da ciascuno ciò che fa ai presenti suoi bisogni ,e alle soprannaturali predilezioni dell'anima sua, seguendo i movimenti della grazia.

Progredirà così nella pratica delle virtù.

Capitolo II.

Delle virtù morali

Prima di partitamente descriverle, conviene richiamare brevemente le nozioni teologiche, sulle virtù infuse.

Nozioni preliminari sulle virtù infise.

Diremo prima delle virtù infuse in generale e poi delle virtù morali in particolare.

I. Delle virtù infuse in generale.

998. Vi sono virtù naturali, vale a dire buone abitudini, acquistate con atti frequentemente ripetuti, che agevolano la pratica del bene onesto.

Onde anche gli increduli e i pagani possono, col naturale concorso di Dio, acquistare le virtù morali della prudenza, della giustizia, della fortezza, della temperanza e perfezionarvisi.

Non parliamo qui di queste virtù; ma intendiamo di trattare delle virtù soprannaturali o infuse quali si hanno nel cristiano.

999. Elevati allo stato soprannaturale e non avendo altro fine che la visione beatifica, dobbiamo tendervi con atti fatti sotto l'influsso di principii e di motivi soprannaturali, essendo necessario che vi sia proporzione tra il fine e gli atti che vi conducono.

Quindi per noi le virtù che nel mondo si dicono naturali, devono essere: praticate in modo soprannaturale.

Come giustamente nota il P. Garrigou-Lagrange, secondo S. Tommaso le virtù morali cristiane sono infuse ed essenzialmente distinte per l'oggetto formale dalle più alte virtù morali acquisite descritte dai più grandi filosofi …

C'è infinita differenza tra la temperanza aristotelica, regolata soltanto dalla retta ragione, e la temperanza cristiana regolata dalla fede divina e dalla prudenza soprannaturale.

Avendo già mostrato come queste virtù ci sono comunicate dallo Spirito Santo che vive in noi, n. 121 ‑ 122, non ci resta più che a descriverne:

1° la natura;

2° l'aumento;

3° l'indebolimento;

4° il vincolo che corre tra loro;

5° l'ordine che terremo nell'esporle.

1° Natura delle virtù infuse.

1000. A) Le virtù infuse sono principii di azione che Dio inserisce in noi perché servano all'anima di facoltà soprannaturali e ci rendano quindi capaci di fare atti meritori.

Vi è dunque differenza essenziale tra le virtù infuse e le virtù acquisite sotto il triplice aspetto dell'origine, dell'esercizio, del fine.

a) Riguardo all'origine, le virtù naturali si acquistano con la ripetizione degli stessi atti; le virtù soprannaturali vengono da Dio che ce le infonde nell'anima insieme con la grazia abituale.

b) Quanto all'esercizio, le virtù naturali, acquistandosi con la ripetizione degli stessi atti, ci danno la facilità di fare prontamente e lietamente atti simili; le virtù soprannaturali, infuse da Dio nell'anima nostra, non ci danno che il potere di fare atti meritori, con una certa tendenza a farli; la facilità non verrà che più tardi con la ripetizione degli atti.

c) Riguardo al fine, le virtù naturali tendono al bene onesto e ci volgono a Dio creatore; mentre le virtù infuse tendono al bene soprannaturale e ci portano al Dio della Trinità, quale ci è fatto conoscere dalla fede.

Quindi i motivi che ispirano queste virtù devono essere soprannaturali, e si riducono all'amicizia di Dio; io pratico la prudenza, la giustizia, la temperanza, la fortezza per essere in armonia con Dio.

1001. Ne viene che gli atti di queste virtù soprannaturali sono molto più perfetti di quelli delle virtù acquisite; la nostra temperanza, per esempio, non ci porta solo alla sobrietà necessaria per serbare la umana dignità, ma anche a vere mortificazioni con cui maggiormente ci conformiamo al Salvatore Gesù; la nostra umiltà non ci fa solo evitare gli eccessi di superbia e di collera opposti ma ci fa abbracciare le umiliazioni che ci rendono più simili al nostro divino Modello.

Vi è dunque differenza essenziale tra le virtù acquisite e le infuse; il principio e il motivo formale non ne sono identici.

1002. B) Abbiamo detto che la facilità di esercitare le virtù infuse si acquista con la ripetizione degli stessi atti, onde si opera con più prontezza, con più facilità e con più diletto ( promptius, facilius, delectabilius ).

Sono tre le cause principali che concorrono a.questo buon risultato:

a) L'abitudine diminuisce gli ostacoli o le resistenze della guasta natura, onde col medesimo sforzo si ottengono migliori effetti;

b) indocilisce le facoltà, ne perfeziona l'esercizio, le rende più pronte a cogliere i motivi che ci portano al bene e più atte a praticare il bene conosciuto; proviamo anzi un certo diletto ad esercitare facoltà così docili, come l'artista a far correre le dita su una mobilissima tastiera.

c) Infine la grazia attuale, che ci viene concessa con tanto maggior liberalità quanto più fedele è la nostra corrispondenza, contribuisce anch'essa in modo singolare ad agevolarci il nostro dovere e a farcelo amare.

Notiamo di passaggio che cotesta facilità, acquistata che sia, non si perde appena uno abbia la disgrazia di perdere col peccato mortale la virtù infusa; frutto di atti frequentemente ripetuti, la facilità persiste per qualche tempo in virtù delle leggi psicologiche sulle abitudini acquisite.

2° Dell'aumento delle virtù infuse.

1003. A) Le virtù infuse possono crescere nell'anima e crescono infatti a misura che cresce la grazia abituale da cui derivano.

Questo aumento viene direttamente da Dio, egli solo potendo aumentare in noi la vita divina e i vari elementi che la costituiscono.

E Dio produce questo aumento quando riceviamo i sacramenti e quando facciamo opere buone o preghiere.

a) I sacramenti, in virtù della stessa loro istituzione, causano in noi un aumento di grazia abituale e quindi delle virtù infuse che vi sono connesse, a proporzione delle nostre disposizioni, n. 259‑261.

b) Anche le opere buone meritano non solo la gloria ma un aumento di grazia abituale e quindi delle virtù infuse; aumento che dipende in gran parte dal fervore delle nostre disposizioni, n. 237.

c) La preghiera, oltre, il valore meritorio, ha pure un valore impetratorio, che sollecita ed ottiene, un aumento di grazia e di virtù, a proporzione del fervore con cui si prega.

Conviene quindi unirsi alle preghiere della Chiesa chiedendo con lei aumento di fede, di speranza e di carità "[Da nobis fidei, spei et caritatis augmentum] Dacci fede, speranza e carità".

B) Tale aumento si fa, secondo S. Tommaso, non col crescimento di grado o di quantità ma col possesso più perfetto e più attivo, della virtù; onde avviene che le virtù gettano più profonde radici nell'anima e vi diventano più sode ed operose.

3° Dell'indebolimento delle virtù.

Un'attività che non si eserciti o che:si eserciti fiaccamente, presto si affievolisce o si perde anche intieramente.

1004. A) Della diminuzione delle virtù.

Le virtù infuse non sono, a dir vero, capaci di diminuzione come non ne è capace la grazia santificante da cui dipendono.

Il peccato veniale non può diminuirle, come non può diminuire la grazia abituale; ma, soprattutto quando è commesso spesso e deliberatamente, ostacola notevolmente l'esercizio delle virtù, diminuendo la facilità acquistata con gli atti precedenti.

Questa facilità viene infatti da un certo ardore e da una certa costanza nello sforzo; ora le colpe veniali deliberate smorzano lo slancio e svigoriscono in parte l'attività, n. 730.

Così i peccati veniali d'intemperanza, senza diminuire in sé la virtù infusa della sobrietà, fanno perdere a poco a poco la acquistata facilità di mortificar la sensualità.

E poi l'abuso delle grazie cagiona una diminuzione delle grazie attuali che ci agevolavano l'esercizio delle virtù, onde le pratichiamo per questo verso con meno ardore.

Infine, come abbiamo detto, n. 731, i peccati veniali deliberati spianano la via ai peccati gravi e quindi alla perdita delle virtù.

1005. B) Della perdita delle virtù.

Si può fissare come principio che le virtù si perdono con ogni atto che ne distrugga l'oggetto formale o il motivo; con ciò infatti si scalza la virtù dalle fondamenta.

a) Così la carità si perde con ogni peccato mortale di qualsiasi natura, perché questo peccato distrugge in noi l'oggetto formale o il fondamento di tal virtù, essendo direttamente opposto all'infinita bontà di Dio.

b) Le virtù morali infuse si perdono col peccato mortale, poiché sono talmente legate alla carità che, scomparendo questa, esse scompaiono con lei.

Nondimeno la acquistata facilità di fare atti di prudenza, di giustizia, ecc., continua ancora per qualche tempo dopo la perdita delle virtù infuse, in virtù della persistenza delle abitudini acquisite.

c) La fede e la speranza continuano a sussistere nell'anima anche quando si è perduta la grazia col peccato mortale, purché non si tratti di peccato direttamente contrario a queste due virtù.

La ragione è che gli altri peccati mortali non distruggono in noi il fondamento della fede e della speranza; e d'altra parte Dio, nella infinita sua misericordia, vuole che queste due virtù rimangano come ultima tavola di salvezza: fin che uno crede e spera, la conversione resta relativamente facile.

4° Del vincolo che corre tra le varie virtù.

1006. Si dice spesso che tutte le virtù sono connesse: cosa che richiede alcune spiegazioni.

A) Prima di tutto la carità, bene intesa e ben praticata, comprende tutte le virtù, non solo la fede e la speranza ( il che è evidente ), ma anche le virtù morali, come abbiamo spiegato, n. 318, con la dottrina di S. Paolo: [Caritas patiens est, caritas benigna est] L'amore è paziente, è benigna la carità.

Il che è vero nel senso che chi ama Dio e il prossimo per Dio, è pronto a praticare ogni virtù, appena la coscienza gliene faccia conoscere l'obbligo.

Non si può infatti amare Dio profondamente, sopra ogni cosa, senza volerne osservare i comandamenti e anche alcuni consigli.

Spetta inoltre alla carità di ordinare tutti i nostri atti a Dio, ultimo nostro fine, e quindi regolarli secondo le varie virtù cristiane.

E si può dire che quanto più aumenta la carità, tanto più crescono pure in radice le altre virtù.

Nondimeno l'amore di Dio, pur inclinando la volontà agli atti delle virtù morali e agevolandone la pratica, non dà immediatamente e necessariamente la perfezione di tutte queste virtù, per esempio, della prudenza, dell'umiltà, dell'obbedienza, della castità.

Poniamo infatti un peccatore che sinceramente si converta dopo contratte cattive abitudini; sebbene pratichi con ogni sincerità la carità, non diventa così tutto a un tratto perfettamente prudente, perfettamente casto o temperante, ma occorrerà tempo e sforzo per liberarsi dalle antiche abitudini e formarsene delle nuove.

1007. B) Essendo la carità forma e ultimo compimento di tutte le virtù, queste non sono mai perfette senza di lei; quindi la fede e la speranza che restano nell'anima del peccatore, pur essendovene virtù, sono virtù informi, cioè prive di quella perfezione che le volgeva a Dio come ultimo nostro fine; onde gli atti di fede e di speranza fatti in questo stato non possono meritare il paradiso, benché siano soprannaturali e servano di preparazione alla conversione.

1008. C) Le virtù morali, chi le possegga nella loro perfezione, vale a dire informate dalla carità e in grado alquanto elevato, sono veramente connesse nel senso che non se ne può possedere una senza aver pure le altre.

Così tutte le virtù, ad essere perfette, suppongono la prudenza; la prudenza poi non può praticarsi perfettamente senza il concorso della fortezza, della giustizia e della temperanza: chi è di carattere fiacco, inclinato all'ingiustizia e all'intemperanza, mancherà di prudenza in parecchie circostanze; la giustizia non può praticarsi perfettamente senza fortezza d'animo e temperanza; la fortezza dev'essere temperata dalla prudenza e dalla giustizia; né sussisterebbe a lungo senza la temperanza; e via dicendo.

Ma se le virtù morali non sono nell'anima sé non in grado inferiore, la presenza dell'una non inchiude necessariamente la pratica dell'altra.

Così vi sono pudici senza essere umili, umili senza essere misericordiosi, misericordiosi senza praticare la giustizia.

II. Le virtù morali.

Spieghiamone brevemente la natura, il numero, il comune carattere.

1009. 1° La natura.

Si dicono virtù morali per doppia ragione:

a) per distinguerle dalle virtù puramente intellettuali, che perfezionano l'intelligenza senza relazione alcuna con la vita morale, come la scienza, l'arte, ecc.;

b) per distinguerle dalle virtù teologali, che certamente regolano esse pure i costumi, ma che, come abbiamo già detto, hanno direttamente Dio per oggetto, mentre le virtù morali mirano direttamente a un bene soprannaturale creato, per esempio, il dominio delle passioni.

Non è però da dimenticare che anche le virtù morali soprannaturali sono veramente una partecipazione della vita di Dio e ci preparano alla visione beatifica.

Del resto, a mano a mano che si perfezionano, e soprattutto quando vengono integrate dai doni dello Spirito Santo, queste virtù finiscono con accostarsi talmente alle virtù teologali che ne restano come imbevute, e non sono più che varie manifestazioni della carità che le informa.

1010. 2° Il numero.

Le virtù morali, chi le consideri nelle varie loro ramificazioni, sono numerosissime, ma si riducono poi tutte alle quattro virtù cardinali, dette così ( dalla parola cardines, cardini ) perché sono quasi quattro cardini su cui si reggono tutte le altre.

Queste quattro virtù infatti corrispondono a tutti i bisogni dell'anima e ne perfezionano tutte le facoltà morali.

1011. A) Corrispondono a tutti i bisogni dell'anima.

a) Abbiamo prima di tutto bisogno di scegliere mezzi necessari od utili al conseguimento del fine soprannaturale: è l'ufficio della prudenza.

b) Dobbiamo pure rispettare i diritti altrui; ed è ciò che fa la giustizia.

c) A difendere la persona e i beni dai pericoli che ci minacciano, e farlo senza paura e senza violenza, ci occorre la fortezza.

d) Per servirsi dei beni di questo mondo e dei diletti senza oltrepassare la debita misura, ci è necessaria la temperanza.

La giustizia quindi regola le relazioni con il prossimo, la fortezza e la temperanza le relazioni con noi stessi, e la prudenza dirige le altre tre virtù.

1012. B) Perfezionano tutte le nostre facoltà morali: l'intelligenza è regolata dalla prudenza, la volontà dalla giustizia, l'appetito irascibile dalla fortezza e l'appetito concupiscible dalla temperanza.

Notiamo però che, non essendo l'appetito irascibile e concupiscible capaci di moralità se non per la volontà, la fortezza e la temperanza risiedono in questa superiore facoltà e nelle facoltà inferiori che ricevono direzione dalla volontà.

1013. C) Aggiungiamo infine che ognuna di queste virtù può essere considerata come un genere che contiene sotto di se parti integranti, subiettive e potenziali.

a) Le parti integranti sono virtù che servono di compimento utile o necessario alla pratica della virtù cardinale, talmente che non sarebbe perfetta senza questi elementi; così la pazienza e la costanza sono parti integranti della fortezza.

b) Le parti subiettive sono come le varie specie di virtù subordinate alla virtù principale; così la sobrietà e la castità sono parti subiettive della temperanza.

c) Le parti potenziali ( o annesse ) hanno con la virtù cardinale una certa rassomiglianza, perché attuano una parte dell'intiera sua potenza, senza avverarne pienamente tutte le condizioni.

Così la virtù della religione è virtù annessa alla giustizia, perché mira a rendere a Dio il culto che gli è dovuto, senza però poterlo fare con la perfezione voluta né con stretta eguaglianza; l'obbedienza rende ai superiori la sottomissione loro dovuta, ma anche qui non vi è propriamente stretto diritto né relazione da pari a pari.

Ad agevolare l'opera nostra e quella dei lettori, non entreremo nella enumerazione di tutte queste divisioni e suddivisioni ma sceglieremo quelle virtù principali che debbono essere maggiormente coltivate, non toccandone se non gli elementi più essenziali tanto sotto l'aspetto teorico che pratico.

1014. 3° Il comune carattere.

a) Tutte le virtù morali mirano a serbare il giusto mezzo tra gli opposti eccessi: in medio stat virtus.

Devono infatti seguire la regola segnata dalla retta ragione illuminata dalla fede.

Ora si può mancare a questa regola oltrepassando la misura o rimanendone al di qua: la virtù quindi consisterà nello schivare questi due eccessi.

b) Le virtù teologali non stanno in sé nel giusto mezzo, perché, come dice S. Bernardo, la misura d'amare Dio è di amarlo senza misura; ma considerate rispetto a noi queste virtù devono tenere conto anche del giusto mezzo, ossia devono essere rette dalla prudenza, che ci indica in quali circostanze possiamo e dobbiamo praticare le virtù teologali; è lei infatti che ci mostra, per esempio, ciò che bisogna credere e ciò che non bisogna credere, come si deve schivare nello stesso tempo la presunzione e la disperazione, ecc.

Divisione del secondo capitolo.

1015. Nel secondo capitolo tratteremo per ordine delle quattro virtù cardinali e delle principali virtù che vi si connettono.

I. Della prudenza.

II. Della giustizia

della religione.

dell'obbedienza.

III. Della fortezza.

IV. Della temperanza

della castità.

dell'umiltà.

della dolcezza.

Indice