Pensieri

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Serie III

398

Che conoscano almeno la religione che combattono prima di combatterla.

Se questa religione si vantasse di avere una visione chiara di Dio, e di possederla scopertamente e senza veli, combatterla significherebbe dire che non si vede niente al mondo che la riveli con tale evidenza.

Ma poiché, al contrario, questa religione dice che gli uomini sono nelle tenebre e lontani da Dio, che si è nascosto alla loro conoscenza, al punto che il nome che egli si dà nelle Scritture è Deus absconditus; e infine, se essa si impegna allo stesso modo per stabilire queste due cose: che Dio ha posto segni sensibili nella Chiesa per farsi riconoscere da quelli che lo cercano sinceramente; e che tuttavia li ha celati in modo tale che solo quelli che lo cercano con tutto il loro cuore lo scorgeranno, che vantaggio può venirne loro quando, nell'indifferenza confessata verso la ricerca della verità, gridano che niente la rivela loro, se l'oscurità dove si trovano e che essi rinfacciano alla Chiesa non fa che confermare una delle cose che essa sostiene senza toccare l'altra, e conferma la sua dottrina piuttosto che distruggerla?

Per combatterla, dovrebbero gridare che hanno fatto ogni sforzo possibile per cercare dovunque, anche in ciò che la Chiesa propone per istruirsi a tal proposito, ma senza alcun risultato.

Se così parlassero, si opporrebbero davvero a una delle sue pretese.

Ma spero di riuscire a mostrare che nessuna persona ragionevole può sostenere una cosa simile, e oso affermare che nessuno mai l'ha fatto.

Si sa abbastanza bene come sono quelli che la pensano a questo modo.

Essi credono di aver fatto dei grandi sforzi per istruirsi quando hanno trascorso alcune ore a leggere qualche libro della Scrittura, o hanno interrogato qualche ecclesiastico sulle verità della fede.

Dopo di che si vantano di aver cercato invano nei libri e tra gli uomini.

Ma in verità dirò loro ciò che ho detto spesso, che questa trascuratezza è intollerabile.

Non si tratta qui dell'interesse superficiale di un estraneo, per comportarsi così, si tratta di noi stessi, della nostra integralità.

L'immortalità dell'anima è una cosa che ci riguarda in modo così forte, e ci tocca così in profondità, che bisogna aver perso ogni sensibilità perché ci sia indifferente sapere come stanno le cose.

Ogni nostra azione e pensiero, a seconda che ci siano o meno dei beni eterni da sperare, devono prendere vie così differenti che è impossibile intraprendere qualcosa in modo sensato e giudizioso prescindendo da questo punto fondamentale.

Per questo la nostra prima preoccupazione e il nostro primo dovere è di avere le idee chiare a tal proposito, perché da ciò dipende tutta la nostra condotta.

Ed è per questo che tra quelli che non ne sono convinti faccio una grande differenza tra chi si impegna con tutte le forze per capire, e chi vive senza preoccuparsene e senza pensarci.

Posso provare solo compassione per coloro che gemono sinceramente trovandosi in questo dubbio, che considerano come la peggiore delle sventure, e che, non risparmiandosi niente per tentare di uscirne, fanno di questa ricerca la loro occupazione principale e più seria.

Ma considero in modo del tutto diverso quelli che trascorrono la loro vita senza pensare al termine ultimo della vita stessa, e che per il solo fatto di non trovare in sé la spiegazione capace di persuaderli, trascurano di cercarla altrove, e di considerare accuratamente se questa opinione appartenga al numero di quelle che il popolo accetta per semplice credulità, o di quelle che, benché oscure, hanno tuttavia un fondamento molto solido e incrollabile.

La trascuratezza in una faccenda dove si tratta di loro stessi, della loro eternità, del loro tutto, mi irrita più di quanto non mi commuova, mi stupisce e mi spaventa: per quanto mi riguarda è una mostruosità.

Non lo dico per lo zelo bigotto di una devozione spirituale.

Al contrario, sostengo che si deve avere questo sentimento per un semplice interesse umano, per una questione di amor proprio: è sufficiente per questo mettersi dal punto di vista delle persone più semplici.

Non è certo necessario avere un animo molto elevato per capire che quaggiù non c'è vera e durevole soddisfazione, che tutti i nostri piaceri sono solo vanità, che i nostri mali sono infiniti e che da ultimo la morte, che ci minaccia ad ogni istante, nel giro di pochi anni ci porrà nell'orribile necessità di essere per sempre annientati o infelici.

Niente di più reale di questo, niente di più terribile.

Possiamo fare gli spavaldi finché ci pare: ecco la fine che attende la più bella vita del mondo.

Si rifletta su questo, e si dica in seguito se non è indubitabile che l'unico bene di questa vita è la speranza di un'altra, che si può essere felici solo nella misura in cui a quella vita ci si avvicina, e che, come non ci saranno più sventure per quelli che sono stati assolutamente certi dell'eternità, così non c'è felicità per quelli che non ne hanno alcuna consapevolezza.

È dunque un male grandissimo trovarsi in questo dubbio, ma è un dovere indispensabile, quando ci si trova, ricercare; così che colui che dubita senza cercare è al tempo stesso sventurato e ingiusto.

Se poi trovandosi in questa situazione è sereno e soddisfatto, l'accetta al punto da vantarsene, e arriva a goderne e a gloriarsene, allora non ho davvero parole per definire una creatura così stravagante.

Da dove si possono prendere questi sentimenti?

Che motivo di gioia ci può essere ad aspettare miserie senza rimedio?

Di cosa ci si può vantare vedendosi immersi in tenebre impenetrabili?

E come può venire un pensiero simile a un uomo ragionevole?

« Ignoro chi mi ha messo al mondo e cosa sia il mondo, e cosa io stesso.

Mi trovo in una terribile ignoranza di tutte le cose, non so cosa siano il mio corpo, i miei sensi, la mia anima e quella stessa parte di me che pensa ciò che dico, che riflette su tutto e su se stessa, e non si conosce più di quanto conosca il resto.

Io vedo questi spaventosi spazi dell'universo dentro cui sono rinchiuso, mi trovo come afferrato a un angolo di questa vasta estensione, senza sapere perché io mi trovi qui piuttosto che altrove, né perché quel poco di tempo che mi è stato concesso di vivere sia in un punto piuttosto che in un altro di tutta quell'eternità che mi ha preceduto e che mi seguirà.

Non vedo che infinità da ogni parte, che mi rinchiude come un atomo e come un'ombra che dura un solo istante.

Tutto ciò che so è che tra breve dovrò morire, ma ciò che maggiormente ignoro è proprio quella morte che posso evitare.

Così come non so da dove vengo, non so dove vado, so solo che uscendo da questo mondo cadrò per sempre nel nulla o nelle mani di un Dio incollerito, senza conoscere quale di queste due condizioni sarà la mia sorte eterna.

Ecco la mia condizione, piena di debolezza e incertezza.

Da tutto ciò deduco che devo dunque passare ogni giorno della mia vita senza pensare a ciò che mi capiterà.

Forse potrei trovare qualche chiarimento ai miei dubbi, ma non voglio preoccuparmene, né fare un solo passo per cercare; anzi, disprezzando quelli che si macereranno in questa preoccupazione, andrò incontro, incurante e senza paura, a questo grande avvenimento, mi lascerò docilmente condurre alla morte, incerto sull'eternità della mia condizione futura ».

Chi si augurerebbe di avere per amico un uomo che parla in questo modo?

Chi lo sceglierebbe per confidargli i propri problemi?

Chi ricorrerebbe a lui nei momenti difficili?

E infine a quale impiego può essere destinato nella vita?

A dire il vero la religione può gloriarsi di avere per nemici uomini così irrazionali; e la loro opposizione è così poco pericolosa che, al contrario, serve a confermare le sue verità.

Perché la fede cristiana si riduce quasi esclusivamente ad affermare queste due cose: la corruzione della natura e la redenzione di Gesù Cristo.

Ora, io sostengo che se essi non servono per mostrare la verità della redenzione per mezzo della santità della loro condotta, essi servono in maniera esemplare a mostrare la corruzione della natura per mezzo di sentimenti così innaturali.

Niente è così importante per l'uomo come la sua condizione, niente così temibile come l'eternità.

E dunque, che ci siano uomini indifferenti alla perdita del proprio essere e al pericolo di una miseria eterna, ciò non è affatto naturale.

Si comportano in modo ben diverso riguardo alle altre cose: anche le più trascurabili li mettono in allarme, le prevedono, le avvertono.

E quello stesso uomo che trascorre giorni e notti nella rabbia e nella disperazione per la perdita di una carica o per qualche immaginaria offesa al suo onore, proprio lui, pur sapendo che con la morte perderà tutto, rimane calmo e indifferente.

È incredibile vedere in uno stesso cuore e nello stesso tempo una tale sensibilità per le cose più piccole e questa strana insensibilità per le più grandi.

Si tratta di un incantesimo incomprensibile, un torpore soprannaturale, che reca il segno della forza onnipotente che lo causa.

Bisogna che ci sia un curioso capovolgimento nella natura umana per gloriarsi di trovarsi in una simile condizione, in cui sembra incredibile che si possa trovare anche una sola persona.

Tuttavia ho l'esperienza di un così grande numero di persone simili, che ciò sarebbe sorprendente, se non sapessimo che la maggiore parte di costoro si celano dietro una maschera, ma non sono come appaiono.

Si tratta di persone che hanno sentito dire che per saper stare al mondo bisogna mostrarsi ribelli.

È ciò che si chiama scuotere il giogo, ed essi cercano di imitarlo.

Ma non sarebbe difficile far loro capire quanto si ingannano se in questo modo cercano di essere stimati.

Non è così che ci riusciranno, e questo vale anche per le persone di mondo che giudicano in modo sano le cose, e che sanno come il solo mezzo per riuscirvi è di far credere che si è onesti, fedeli, giudiziosi e capaci di rendere utili servigi all'amico, perché gli uomini amano naturalmente solo ciò che può essere loro utile.

Ora, che vantaggio c'è per noi nel sentire dire da un uomo che ha scosso il giogo, che egli non crede ci sia un Dio che vigila sulle sue azioni, che egli si considera come il solo padrone della propria condotta e non ritiene di doverne rendere conto che a se stesso?

Pensa forse di averci convinto in questo modo ad avere fiducia in lui, ad aspettarcene consolazioni, consigli e aiuto in tutte le circostanze della vita?

Credono forse di averci rallegrato, dicendo che essi pensano alla nostra anima alla stessa stregua di un po' di vento e di fumo, dicendolo oltre tutto con voce fiera e soddisfatta?

Si tratta di una cosa da dire allegramente?

Non è forse una cosa da dire con tristezza, come la più triste cosa del mondo?

Se ci pensassero seriamente, vedrebbero che è una posizione così mal presa, così contraria al buon senso, così opposta all'ideale cortese e comunque così lontana da quella finezza che cercano, che essi sarebbero capaci di raddrizzare più che corrompere quelli che avessero qualche inclinazione a seguirli.

E in effetti, fate che esprimano i sentimenti e le ragioni in base ai quali dubitano della religione, vi diranno cose talmente inconsistenti e volgari che vi persuaderanno del contrario.

È quanto diceva loro un giorno molto a proposito, un tale: « Se insistete a parlare in questo modo, in realtà mi convertirete ».

E aveva ragione, perché chi non proverebbe orrore a condividere delle opinioni con gente così spregevole?

Così, quelli che non fanno che fingere questi sentimenti, devono essere ben infelici se sforzano la loro natura per diventare i più impertinenti degli uomini.

Se in fondo al loro cuore sono rattristati di non avere neppure un po' di luce, non fingano: una simile ammissione non sarà certo vergognosa.

L'unica vergogna consiste nel non averne.

Il peggior sintomo di un'estrema debolezza spirituale coincide con l'ignoranza di quale sventura sia per un uomo essere senza Dio; niente indica maggiormente una cattiva inclinazione del cuore come il non desiderare la verità delle promesse eterne; niente è più vile che sfidare Dio.

Lascino dunque queste empietà a quelli che ne sono davvero e congenitamente capaci; siano almeno onesti se non possono essere cristiani, e riconoscano alla fine che ci sono soltanto due tipi di persone che possono essere definite ragionevoli: o quelli che servono Dio con tutto il loro cuore perché lo conoscono, o quelli che lo cercano con tutto il loro cuore perché non lo conoscono.

Ma per quanto riguarda quelli che vivono senza conoscerlo e senza cercarlo, essi stessi si giudicano così poco degni di attenzione, da non essere degni dell'attenzione altrui, ed è necessaria tutta la carità della religione che essi disprezzano per non disprezzarli fino ad abbandonarli alla loro follia.

Ma dal momento che questa religione ci fa obbligo di guardare a loro, finché saranno vivi, come capaci di ricevere la grazia che può illuminarli, e di credere che in poco tempo possono essere ricolmi di fede più di noi, mentre proprio noi, al contrario, possiamo cadere nella cecità in cui si trovano loro, bisogna fare per loro quello che vorremmo si facesse per noi se ci trovassimo al loro posto, e richiamarli alla pietà di se stessi e a fare almeno qualche passo per cercare un po' di luce.

Dedichino a questa lettura qualcuna di quelle ore che impiegano altrimenti in modo così inutile: per quanta avversione provino, forse troveranno qualcosa, e quantomeno non ci perderanno molto.

Ma per quelli che vi metteranno una sincerità completa e un autentico desiderio di incontrare la verità, spero verranno soddisfatti, e che saranno convinti dalle prove di una religione così divina, prove che ho qui raccolto, e per le quali ho seguito all'incirca questo ordine …

399

Prima di affrontare le prove della religione cristiana, ritengo necessario descrivere l'ingiustizia degli uomini che vivono nell'indifferenza riguardo alla ricerca della verità di una cosa che è così importante per loro e che li tocca così da vicino.

Tra tutti i loro traviamenti, questo è certo quello che più ne denuncia la follia e la cecità, e riguardo al quale è più facile confonderli con le più elementari osservazioni del senso comune e con i sentimenti naturali.

Dal momento che è indubitabile che il tempo di questa vita è solo un istante, che la condizione della morte, qualunque sia, è eterna, e che dunque ogni nostra azione e pensiero devono prendere, a seconda del tipo di questa eternità, strade così diverse, che è impossibile fare qualcosa in modo sensato e giudizioso se non regolandola in vista di quel punto che deve costituire il nostro ultimo scopo.

Non vi è nulla di più evidente, e così, secondo i princìpi della ragione, se gli uomini non prendono un'altra via, la loro condotta è del tutto irrazionale.

Si giudichino dunque da questo punto di vista coloro che vivono senza pensare al termine ultimo della vita, che si lasciano condurre dalle inclinazioni e dai piaceri senza riflettere e senza inquietudine, e che, come se potessero cancellare l'eternità con il solo evitare di pensarci, non si preoccupano che di essere felici nel solo istante presente.

Tuttavia, l'eternità esiste e la morte, che la deve spalancare e che li minaccia ad ogni istante, li metterà in breve tempo nell'orribile necessità di essere eternamente annientati o infelici, senza che sappiano quale di queste eternità sia loro destinata per sempre.

Ecco un dubbio che ha delle terribili conseguenze.

Essi rischiano una miseria eterna, ma, come se la cosa non ne valesse la pena, trascurano di accertare se questa sia per caso una di quelle opinioni accolte dal popolo per un eccesso di credulità, oppure di quelle che, oscure in se stesse, hanno un fondamento solidissimo, benché nascosto.

Così non sanno se la cosa sia vera o falsa, né se le prove siano deboli o sicure.

Stanno davanti ai loro occhi, ma rifiutano di guardare e, in questa ignoranza, decidono di fare tutto quello che serve per cadere nella sventura, nel caso ci sia, di attendere la morte per farne esperienza, e di sentirsi tuttavia molto soddisfatti di questo stato, di farne una convinzione, e infine di vantarsene.

Ma è davvero possibile pensare in modo serio a una faccenda così importante senza provare orrore per una condotta tanto bizzarra?

La tranquillità di questa ignoranza è una cosa mostruosa, di cui si deve far sentire la stravaganza e la stupidità a coloro che vi trascorrono la vita, raffigurandola davanti ai loro stessi occhi per confonderli con la visione della loro follia.

Perché ecco come ragionano gli uomini quando scelgono di vivere nell'ignoranza di ciò che sono, senza cercarne una spiegazione.

400

Ecco ciò che vedo e ciò che mi turba.

Guardo da ogni parte e dovunque non vedo che oscurità.

La natura non mi offre niente che non sia occasione di dubbio e d'inquietudine.

Se non vedessi niente con il segno della divinità, mi ridurrei a negare; se vedessi dovunque i segni di un creatore, riposerei nella quiete della fede.

Ma, vedendo troppo per negare e troppo poco per essere tranquillo, mi trovo in una condizione miserevole, in cui ho desiderato cento volte che, se un Dio la permette, essa lo riveli senza equivoci; e che se i segni che essa ci dà sono ingannevoli, li sopprima del tutto; che essa dica tutto o niente, affinché io veda la strada da seguire.

Al contrario, nella condizione in cui mi trovo, ignorando ciò che sono e ciò che devo fare, io non conosco né la mia condizione né il mio dovere.

Il mio cuore anela con tutto se stesso a conoscere dove si trova il vero bene per seguirlo; nessun prezzo sarebbe troppo caro per l'eternità.

Invidio coloro che vivono nella fede con tanta noncuranza, e che fanno un uso cattivo di un dono di cui penso che io farei un uso del tutto diverso.

401

Nessun altro ha riconosciuto che l'uomo è la più eccelsa delle creature.

Alcuni, che pure hanno conosciuto le condizioni della sua eccellenza, hanno scambiato per viltà e ingratitudine la bassa considerazione che gli uomini hanno naturalmente per se stessi; gli altri, che pure hanno conosciuto quanto questa bassezza sia effettiva, hanno giudicato superbi e ridicoli quei sentimenti di grandezza, anch'essi connaturati all'uomo.

« Levate gli occhi a Dio », dicono gli uni.

« Guardate colui a cui assomigliate, e che vi ha fatto perché lo adoriate.

Potete rendervi simili a lui, la saggezza, se vorrete seguirla, vi farà uguali ».

E gli altri dicono: « Tenete gli occhi fissi a terra, poveri vermi che non siete altro, e guardate gli animali di cui siete i compagni ».

Che ne sarà dunque dell'uomo?

Sarà uguale a Dio o alle bestie?

Che spaventosa distanza!

Che sarà di noi dunque?

Chi non vede da tutto ciò che l'uomo è smarrito, che è caduto dal suo posto, che lo cerca con inquietudine, che non sa più ritrovarlo?

E chi ve lo indirizzerà di nuovo?

Gli uomini più grandi non sono stati capaci.

402

Noi non siamo in grado di concepire né la condizione gloriosa di Adamo, né la natura del suo peccato, né come è stata trasmessa a noi.

Questi fatti sono accaduti nelle circostanze di una natura del tutto diversa dalla nostra e che eccedono la nostra capacità presente.

Sarebbe inutile conoscere tutto ciò per venirne fuori, tutto quello che ci è utile sapere è che noi siamo miserabili, corrotti, separati da Dio, ma riscattati da Gesù Cristo.

Di questo abbiamo prove meravigliose sulla terra.

Così, la prova della corruzione e quella della redenzione ci vengono dagli empi, che vivono nell'indifferenza della religione, e dagli Ebrei, che ne sono i nemici irriducibili.

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