Summa Teologica - I

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I motivi ispiratori del trattato

III

6 - Nel parlare delle fonti abbiamo lasciato in disparte la Sacra Scrittura.

L'abbiamo fatto di proposito, perché non esiste un altro gruppo di questioni in tutta la Somma, dove essa sia meno citata.

Eppure per comprendere i motivi ispiratori dell'intero trattato bisogna ricordarsi che S. Tommaso, prima ancora di essere un convinto aristotelico, è un convintissimo cristiano, che dalla rivelazione desume le istanze supreme del suo sistema teologico.

Ciò rimane vero anche quando egli sembra unicamente preoccupato di difendere i diritti della ragione, e di avanzare col solo aiuto delle sue conoscenze filosofiche.

Ne abbiamo la riprova proprio in questo trattato, che a prima vista sembrerebbe così poco legato alla rivelazione soprannaturale e alle sue fonti.

Nessun sistema di pensiero ha mai avuto l'ardire di elevare l'uomo singolo nella sua elementare concretezza tanto in alto, quanto ha osato farlo la rivelazione cristiana.

Non intendo di alludere soltanto al fatto dell'Incarnazione.

Perché, sebbene l'esaltazione della Santa Umanità del Verbo ponga, in qualche modo, l'umanità intera al disopra di tutte le creature, questo fatto potrebbe considerarsi come vantaggio collettivo e non, formalmente almeno, come vantaggio individuale.

Ma noi vediamo che nell'economia della Redenzione la Santa Umanità del Verbo è stata posta in qualche modo a servizio dei singoli uomini.

« Propter nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis », dice il Simbolo Nicenocostantinopitano; e tutti gli uomini hanno la possibilità di ripetere con S. Paolo: «Il Figlio di Dio ha amato me, e ha dato se stesso per me » ( Gal 2,20 ).

Inoltre, proclamando la legge della carità al disopra di tutti i limiti e di tutte le discriminazioni, il divin Redentore impone a tutti il dovere di porsi al servizio dei singoli uomini tra i quali viviamo, e non di quell'astrazione che potrebbe essere l'umanità o la società.

« In verità vi dico, che tutte le volte che avete fatto qualche cosa a uno di questi minimi tra i miei fratelli, l'avete fatta a me » ( Mt 25,40 ).

In breve, il valore della persona umana nel cristianesimo è un valore quasi assoluto, che trova un'affinità e un appoggio nell'Assoluto divino.

S. Tommaso si è reso interprete di questo postulato, quando ebbe ad affermare che « la persona significa quanto di più nobile c'è in tutto l'universo » ( q. 29, a. 3 ).

E bisogna notare che per lui la persona umana non comprende la sola anima, bensì anche il corpo, che ad essa è unito sostanzialmente e non accidentalmente.

7 - Ora, contro questa concezione dell'uomo si erano accaniti un po' tutti i sistemi filosofici.

Il materialismo dei presocratici, negando la spiritualità e l'immortalità dell'anima; Platone, riducendo l'uomo singolo a una sbiadita partecipazione dell'uomo tipo, esistente nel mondo delle idee; Aristotele stesso, dando ansa, con le sue poco felici espressioni sull'intelletto agente, alle fantasticherie dei neoplatonici e degli arabi, che ridussero l'uomo a una realtà materiale animata temporaneamente da un intelletto separato e trascendente.

Ci furono perfino dei pensatori cristiani i quali, abusando di certe espressioni paradossali di S. Agostino, arrivarono a sottrarre praticamente all'uomo le sue capacità naturali di intendere e di volere.

S. Tommaso non ebbe la ventura di conoscere gli attentati moderni contro l'integrità della persona umana: egli cioè non conobbe la dialettica del materialismo, né quella dell' idealismo, che hanno annullato il valore dell'uomo singolo, a favore, si dice, del progresso, dello stato, o della classe, dello Spirito o dell'Io trascendente.

Il Dottore Angelico ha reagito con tutta la potenza del suo genio contro queste teorie radicalmente anticristiane, e diametralmente opposte al suo realismo filosofico, rivolgendo di preferenza le sue armi contro un pericolo immediato: contro l'averroismo.

E ha reagito non solo come teologo cristiano, ma anche come filosofo aristotelico.

É ormai accertato che i filosofi arabi avevano ricostruito il pensiero del grande maestro greco, condizionando la sintesi a due opere spurie di schietta ispirazione neoplatonica: la Theologia Aristotelis e il Liber de Causis ( cfr. GILSON E., La Philosophie au moyen ge, Parigi, 1944, p. 345 ).

E in base alle teorie neoplatoniche gli arabi concepirono i rapporti tra Dio e il mondo sullo schema emanazionista di Plotino.

Anche per Averroè Dio avrebbe creato tutta una serie discendente di intelligenze, o spiriti: ultima della serie sarebbe stata l'Intelletto agente, che nel mondo materiale avrebbe la funzione di imprimere le forme, e nell'uomo singolo ha quella di illuminare i fantasmi dell'immaginativa, rendendoli così oggetto attuale d'intellezione.

Perciò, nell'uomo individuo, soltanto l'Intelletto agente così partecipato sarebbe immateriale e immortale.

La sopravvivenza delle anime individuali era quindi pregiudicata; sebbene Averroè insistesse a dichiarare che egli per fede ammetteva il contrario ( cfr. op. cit., pp. 358-366 ).

8 - S. Tommaso trovò la teologia cattolica impegnata a fondo contro, queste teorie, che, a dispetto di tutte le proibizioni, si diffondevano in tutto l'occidente cristiano.

Senza condannare per partito preso l'averroismo e il neoplatonismo, l'Aquinate vide chiaramente in questo sincretismo di elementi aristotelici e platonici una teoria inconsistente.

Egli entra nella polemica, mostrando di conoscere e di distinguere nettamente le due metafisiche e i due metodi inconciliabili dei massimi esponenti della filosofia greca.

A prescindere dal caso particolare dell'intelletto agente, è certo che Aristotele ha seguito un procedimento ben diverso da quello di Platone nella sua indagine filosofica.

Con metodo positivo egli riportò le idee trascendenti di Platone all'interno della realtà concreta e sensibile; e all'esperienza sempre si rivolse per inferire e per comprovare le sue tesi.

Ora, di fronte all'indagine positiva, l'intelletto agente, così come era concepito dagli arabi, era un controsenso.

Perciò S. Tommaso, che aveva perfettamente immedesimato lo spirito del sistema peripatetico doveva necessariamente negare che Aristotele avesse la prima responsabilità di quell'errore.

- « Ciascuno sperimenta di essere personalmente lui a intendere » ( q. 76, a. 1; q. 79, a. 4 ).

Dunque nessuno ci può autorizzare ad attribuire detta operazione a un intelletto trascendente.

Oltre che all'esperienza l'Aquinate farà appello a quell'inoppugnabile principio della metafisica aristotelica, che stabilisce la perfetta convertibilità tra ente e uno ( q. 76, a. 1 ).

- Così pure invocherà quel motivo generale del sistema, che esige l'assegnazione a tutti gli esseri degli elementi indispensabili per una naturale sufficienza.

Motivo che egli cristianamente rielabora in questa formula: « Dio ha dato a tutte le cose la dignità di causa ».

Dunque l'intelletto agente non può essere relegato nel mondo dei puri spiriti; ma dev'essere una facoltà particolare, presente in ogni individuo della specie umana ( q. 79, a. 4 ).

9 - Con ciò non vogliamo dire che la soluzione autorevolmente imposta da S. Tommaso corrisponda esattamente al pensiero storico di Aristotele.

Non era quello il tempo di risolvere una questione storicoesegetica, che si presenta ancora piuttosto ardua agli studiosi moderni.

Di questi i più recenti si orientano verso una interpretazione, che riconosce incertezze e dubbi positivi del grande maestro greco sui problemi fondamentali della psicologia.

Ecco le conclusioni di uno di essi: « Bisogna onestamente riconoscere l'ombra, dal punto di vista storico ed esegetico …

La radice dell' incertezza sta nel fatto che Aristotele non è giunto alla chiara ed esplicita affermazione dell'unità dell'anima-forma nell'uomo; non ha chiarito il modo con cui l'intelletto è in relazione con l'anima e con il corpo: di conseguenza, tutte le sue teorie noetiche sono rimaste oscure, incerte ed oscillanti.

Questa è la situazione storica di fatto dell'Aristotele rimastoci ».

- « Altro è il problema delle implicanze logiche del sistema e dei suoi possibili svolgimenti nello spirito del principio fondamentale dell'unità essenziale ed inscindibile della forma e delle possibilità formali del nous.

Ma tali svolgimenti furono frutto ed opera di pensatori vissuti in secoli posteriori; i quali, pur ancorati al sistema aristotelico e fedeli alle sue linee fondamentali, furono pressati da altre esigenze ed informati e aiutati da uno spirito nuovo, estraneo agl'interessi ed ai problemi dell'Aristotele storico, pensatore greco del IV secolo a. C.» ( SOLERI G., L'immortalità dell'anima in Aristotele, Torino, 1952, pp. 139, 140 ).

A noi basterà far notare che S. Tommaso ha ristabilito la logica interna del sistema aristotelico, turbata da un elemento platonico, o per lo meno neoplatonico.

Tra gli stessi studiosi moderni, favorevoli alla interpretazione monopsichista di Averroè, non mancano di quelli che attribuiscono quell'elemento platonico al periodo giovanile del grande Aristotele, non ancora emancipato dal suo maestro ( cfr. JAEGER g., Aristotele, Firenze, 1935, p. 452 ).

Comunque l'intelletto agente trascendente ed unico non si può giustificare né con la metafisica aristotelica, né col metodo aristotelico.

Perciò S. Tommaso aveva pienamente ragione di eliminarlo.

Ma siccome il ristabilimento dell'armonia nel campo filosofico viene qui a coincidere con una superiore consonanza tra la scienza e la Fede, gli studiosi acattolici di tutti i tempi hanno spesso ceduto alla tentazione di giudicare la soluzione tomistica come un puro espediente apologetico.

10 - Per S. Tommaso esiste una sostanziale unità di vedute tra la filosofia e la Rivelazione, intorno alla concezione dell'essere umano.

L'uomo deve essere concepito come orizzonte della creazione: punto di contatto tra la realtà materiale e quella spirituale ( cfr. 2 Cont. Gent., c. 68; 4, e. 55 ).

L'uomo è da considerarsi come valore supremo del mondo visibile, nella sua eternità o immortalità, nella sua unità e concretezza, e nella sua autonomia.

Per illustrare questi che sono i motivi dominanti di tutto il trattato, bisognerebbe parlare anche dell'interminabile polemica sostenuta dall'Aquinate contro la corrente agostinista, che affermava la composizione ilemorfica delle anime e degli spiriti puri, e quindi la pluralità delle forme sostanziali nell'essere umano.

Ma di ciò abbiamo già parlato ampiamente nell'introduzione al trattato degli Angeli, e quindi rimandiamo alla precedente introduzione i nostri lettori.

Qui vogliamo soltanto ricordare l'importanza di quella polemica nella difesa della sostanziale unità del nostro essere.

Ma prima ancora bisognava difendere contro tutti i ritorni materialistici la spiritualità e l'immortalità dell'anima ( q. 75 ) preoccupazione questa comune a tutti i pensatori cristiani.

La superiorità di S. Tommaso sta nel fatto che egli ottiene la massima efficacia di argomentazione, partendo da quegli stessi elementi che altri teologi disprezzano o addirittura impugnano.

Così egli difende la spiritualità dell'anima, prima di tutto identificando la spiritualità con la sussistenza di pura forma ( cosa ripugnante e pericolosa secondo S. Bonaventura e altri Maestri ); e quindi servendosi di un principio aristotelico, che molti scolastici hanno creduto addirittura falso: « intus apparens prohibet extraneum et obstruet » ( cfr. q. 75, a. 2 ).

É decisamente un innovatore, eppure la sua costruzione è così radicata nella tradizione e così solida, da entrare a far parte, in quasi tutti i suoi elementi, della filosofia perenne.

Il corpo, sebbene non rientri nella diretta considerazione del teologo, non dev'essere però dimenticato o misconosciuto.

L'uomo infatti è un'unità sostanziale, e non una congerie di elementi disparati.

Corpo e anima devono essere concepiti come parti di un'unica essenza: l'anima quindi è forma del corpo umano, e forma unica, che nella sua virtualità contiene tutte le perfezioni delle forme interiori, cioè dell'anima vegetativa e di quella sensitiva.

L'anima separata non è persona umana, dirà in seguito S. Tommaso.

Perciò non si deve svuotare di significato l'uomo nella sua concretezza e individualità, in favore di un fantomatico intelletto separato e trascendente ( q. 76 ), o di un puro spirito incarcerato nel corpo.

11 - Pur difendendo l'unità sostanziale dell'essere umano, è necessario affermare anche l'esistenza di una complessità di elementi accidentali: le facoltà psichiche, molte delle quali appartengono sia al corpo che all'anima ( qq. 78-83 ).

Ma studiando queste facoltà S. Tommaso comprende anche meglio l'unità e l'autosufficienza dell'uomo nell'ordine naturale.

Perciò l'intelletto agente sarà di nuovo ed esplicitamente difeso come facoltà soggettiva di ogni individuo ( q. 79, aa. 4, 5 ); e nel descrivere le facoltà appetitive sarà pienamente giustificato il libero arbitrio contro ogni determinismo ( qq. 82,83 ).

Il Santo Dottore in tal modo non si limita a difendere l'unità sostanziale del composto umano nell'ordine statico, ma illustra e sostiene tenacemente tale unità anche nell'ordine dinamico.

La pluralità delle potenze non deve assolutamente concepirsi, come una pluralità di individui.

Per non creare questa personificazione delle facoltà, egli s'indugia a dimostrare l'interdipendenza delle varie facoltà nelle loro più disparate operazioni.

Il P. J. Wébert definisce bene tale aspetto della dottrina tomistica, chiamando quest'ultima « una psicologia dell'interazione ».

La psicologia di S. Tommaso è, in altre parole, una psicologia che studia accuratamente le interdipendenze delle varie facoltà ( cfr. SOMM. FRANC., L'âme humaine, p. 374 ).

E questa è l'unica teoria, capace di dare una giustificazione seria all'esperienza, complessa e unitaria, che noi abbiamo delle azioni coscienti, pullulanti nella nostra psiche.

Conclusione

12 - Non vogliamo però affermare che S. Tommaso ha detto l'ultima parola su tali argomenti così complessi e così difficili.

Ci sono anche nella sua psicologia dei lati manchevoli, degli elementi caduchi.

La base sperimentale su cui egli si muove è assai ristretta, e non sempre è sicura.

Possiamo dire perciò che la sua indagine acquista un valore sempre meno discutibile, man mano che si avvicina alla superiore attività dello spirito.

Ma quando da questa si allontana, per discendere alle funzioni della vita sensitiva e vegetativa, diminuisce gradatamente il suo pregio, secondo la distanza maggiore o minore dalla realtà spirituale.

Avviene cioè, per la psicologia tomistica, il fenomeno inverso, che si verifica quando esaminiamo il valore di certi libri moderni di psicologia.

In questi ultimi troviamo descrizioni efficaci e indagini sicure a proposito della fisiologia delle nostre facoltà inferiori; ma si cade persino nel ridicolo quando si passa a descrivere le funzioni più alte dello spirito.

Lo studioso moderno veramente serio dovrebbe, a nostro avviso, integrare il tomismo con l'indagine positiva, e l'indagine positiva dovrebbe modestamente arrestarsi di fronte a problemi di ordine filosofico.

Quest'ultima raccomandazione non è nostra soltanto, ma è condivisa da non pochi studiosi di psicologia sperimentale.

( cfr. BARBADO E.., Introduzione alla psicologia sperimentale, Roma, 1930, pp. 413 - 44 ).

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