Summa Teologica - I

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La beatitudine

I- II qq. 1- 6

L'accostamento di questi due termini: immagine e beatitudine, si impone al lettore fin dalle primissime pagine della Somma.

Tommaso, quando si interroga sulla possibilità per una creatura di essere simile a Dio, risponde con due testi tratti dalla Sacra Scrittura.

Ci si aspetterebbe di sicuro il primo: « Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza » ( Gen 1,26 ), ma il secondo è inatteso: « Quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è » ( 1 Gv 3,2 )189

Questo breve scorcio evocatore pone accanto l'una all'altra la creazione e la parusia, o meglio ricorda in termini biblici la destinazione finale dell'immagine e suggerisce chiaramente l'intero cammino che essa deve percorrere per raggiungere il suo compimento.

L'accostamento non è evidentemente fortuito: tutte le volte che parlerà della beatitudine, Tommaso citerà di nuovo lo stesso versetto di san Giovanni: « Lo vedremo così come egli è », completando un po' più avanti con un altro testo dello stesso evangelista: « Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio ».190

Familiare a Tommaso, questo procedimento pone incessantemente il suo discepolo dinanzi al fine che si propone, o meglio dinanzi al fine che Dio gli propone.

Si cita abitualmente - vi ritorneremo ben presto - il Prologo della Seconda Parte, ma in realtà già la prima questione della Somma recita così: « L'uomo è ordinato a Dio come ad un certo fine che supera la capacità della ragione, secondo il detto di Isaia ( Is 64,4 ): "Occhio non vide, eccetto te, o Dio, quello che tu hai preparato a coloro che ti amano".

Ora è necessario che gli uomini conoscano in precedenza questo loro fine, perché vi indirizzino le loro intenzioni e le loro azioni.

Cosicché per la salvezza dell'uomo fu necessario che mediante la divina rivelazione gli fossero fatte conoscere delle cose superiori alla ragione umana ».191

Si pensa inevitabilmente al detto popolare Qui veut la fin, veul les moyens [ Chi vuole il fine, vuole i mezzi ], Tommaso però gli dà subito la sua forma più elaborata e situa la creatura di fronte al fine veramente ultimo, in rapporto al quale si ordinerà tutto il resto.

Tutto il resto non è ridotto così allo stato di puro mezzo - ciò significherebbe tenere in poco conto autentici valori che a loro modo sono dei veri fini -, ma ciò significa certamente che questi stessi valori non hanno tutto il loro significato se non in rapporto a questo fine ultimo.

Raggiunto all'ultimo, il fine deve essere conosciuto per primo ed è in sua funzione che tutto il resto deve organizzarsi.

Se dunque vogliamo avere qualche probabilità di comprenderlo, occorre tentare di cogliere l'iniziativa divina là dove appare con maggiore chiarezza - giustamente all'inizio e alla fine della storia della salvezza.

É esattamente quanto fa Tommaso, il quale inizia la descrizione del suo movimento di ritorno col ricordare congiuntamente la dottrina dell'immagine di Dio e il fine che gli è proposto.

« Poiché, come insegna il Damasceno [ De fide orth. 2, 12 ], si dice che l'uomo è stato fatto a immagine di Dio intendendo per immagine « un essere dotato di intelligenza, di libero arbitrio e di dominio dei propri atti », dopo aver parlato dell'esemplare, cioè di Dio, e di quanto è derivato dalla divina potenza secondo la sua volontà, rimane da trattare della sua immagine, cioè dell'uomo, in quanto è anch'egli principio delle proprie azioni, in forza del libero arbitrio e del dominio che ha su di esse ».

Questo testo che fa da Prologo alla Seconda Parte viene subito completato da alcune righe che non lasciano alcun dubbio sull'intenzione dell'autore.

L'uomo di cui ci parla non è considerato statico, alla stregua di una natura morta, se così ci si può esprimere come un essere in divenire: « Nel movimento della creatura verso Dio » « la prima cosa da considerare è il fine ultimo della vita umana; la seconda saranno i mezzi che permettono all'uomo di raggiungerlo o di allontanarsene: infatti è a partire dal fine che ci si deve fare un'idea di ciò che ad esso è ordinato.

E, poiché si ammette che il fine ultimo della vita umana è la beatitudine, bisogna prima di tutto trattare del fine ultimo in generale, quindi della beatitudine ».192

Più noto del precedente, questo secondo testo offre una chiave di lettura alla quale bisognerà ricorrere spesso.

Ma la lettura simultanea di queste due dichiarazioni di intenzione permette già un'importante osservazione.

Passando da una parte all'altra della Somma, il teologo non abbandona Dio a favore dell'uomo.

Il soggetto della sacra doctrina resta sempre Dio, ma non lo si considera più direttamente in se stesso, né come il principio assoluto dell'uomo e dell'universo, ma come il suo completamento, come il fine anch'esso assoluto, ultimo, che attira a sé tutte le cose mediante l'irradiamento della sua suprema bontà e suscita come risposta e in modo speciale l'agire libero della creatura razionale.

Tutta la vita spirituale trova qui la sua origine ed è nel campo di attrazione così creato che essa deve svilupparsi.

Nelle prime righe tuttavia, non è ancora questa idea di finalità ad essere proposta, ma quella dell'esemplarità.

Se l'essere umano ha Dio per fine, è perché esso è stato fatto da lui « a sua immagine e somiglianza » ( Gen 1,26 ), onde deriva un'irresistibile attrazione iscritta nella sua stessa natura ad essergli simile, così come l'immagine assomiglia al modello a partire dal quale viene formata.

La persona umana raggiungerà il suo compimento sforzandosi di imitarlo sempre più.

Per questo, Tommaso, quando parla della creazione dell'uomo e della sua natura nella Prima Parte ( q. 93 ), accorda molto spazio al tema dell'immagine di Dio ed è ancora questo che spontaneamente ritorna quando tratta dell'agire dell'uomo.

É in questo modo che il tema dell'immagine di Dio connette in modo organico la Prima e la Secunda Pars.

Questi due dati congiunti permettono dunque a Tommaso di passare da Dio all'uomo ( dalla teologia dogmatica alla teologia morale, diceva ) e di unire in una stessa teologia la primaria preoccupazione contemplativa alla preoccupazione di condurre la vita cristiana o la verità evangelica.

Situando l'intera sua considerazione dell'agire umano sotto il duplice segno congiunto dell'immagine da restaurare e del fine da raggiungere ( essendo l'immagine restaurata il fine è raggiunto ), Tommaso propone al suo discepolo un programma di vita posto sotto il segno del compimento di sé, poiché la creatura si scopre essa stessa in ricerca del suo fine.

Morale della beatitudine, dunque, ma di una beatitudine che non si ottiene se non mediante l'imitazione dell'Esemplare a partire dal quale siamo fatti.

Questo ci rimanda sia a san Paolo: « Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi » ( Ef 5,1 ), che al Discorso della Montagna: « Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste » ( Mt 5,48 ).

Non è un caso se da professore di Sacra Scrittura qual era, Tommaso accorda al tema dell'immagine di Dio un'importanza considerevole.

Insieme a lui anche noi siamo invitati ad attingere così alla fonte sempre zampillante della Parola di Dio.

Un teologo che si preoccupi di spiritualità non può dimenticare questo continuo riferimento alla Bibbia.

Per fortuna è passato il tempo in cui i discorsi sugli incipienti e i proficienti o sulle età della vita interiore, credevano di potersi sviluppare fondandosi unicamente su considerazioni di psicologia religiosa.

Ma non è inutile sottolineare che si tratta anche di uno dei temi maggiori della patristica e il patrocinio di san Giovanni Damasceno ce lo conferma.

Esso gioca infatti il ruolo di crocevia per l'intera patristica orientale, sicché tramite esso Tommaso si trova collegato a tutta questa tradizione, ad ascoltare la quale egli è stato attento forse, più di ogni altro teologo della sua generazione ( la Catena aurea ne è eloquente testimonianza ).

In questa linea patristica non è certamente abusivo parlare di una morale della divinizzazione.

Troppo poco conosciuto, questo aspetto è tuttavia ben reale.

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189 I, q. 4, a. 3 sc.; la nostra attenzione è stata attirata su questo accostamento dal buon studio di C.E. O'NEILL, L’homme ouvert à Dieu (Capax Dei), in N.A. LUYTEN (ed.), L’anthropologie de saint Thomas, Fribourg 1974, pp. 54-74, cf. pp. 61-62; ripreso in P. BÙHLER (ed.), Humain à l’image de Dieu, Genève 1989, pp. 241-260. Il Prologo generale alle Sentenze moltiplica anch'esso questi accostamenti tra la protologia e l'escatologia; G. Emery, al quale devo questa indicazione, vi vede giustamente un'intuizione propria di Tommaso.
190 I, q. 12, a. 1 sc. e, a. 4 sc.
191 I, q. 1, a. 1.
192 I-II, q. 1,Prol.