Summa Teologica - I

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Articolo 4 - Se in Dio l'essenza e l'essere siano la stessa cosa

1 Sent., d. 8, q. 4, aa.1, 2; q. 5, a. 2; d. 34, q. 1, a. 1; 2, d. 1, q. 1, a. 1; 1 Cont. Gent., cc 22, 52; De Pot., q. 7, a. 2; De Spirit. Creat., a. 1; Compend. Theol.., c.11; Opusc. 37, De Quatuor Oppos., c. 4; De ent. et ess., c.5

Pare che in Dio non siano la stessa cosa l'essenza e l'essere.

Infatti:

1. Se così fosse, nulla si aggiungerebbe [ come determinante ] all'essere di Dio.

Ma l'essere senza determinazioni successive è l'essere generico che viene attribuito a tutte le cose.

Di conseguenza Dio sarebbe l'essere astratto predicabile di tutte le cose.

Il che è falso, secondo il detto della Sapienza [ Sap 14,21 ]: « Imposero alle pietre e al legno l'incomunicabile nome [ di Dio ] ».

Quindi l'essere di Dio non è la sua essenza.

2. Di Dio, come si è detto [ q. 2, a. 2 ], possiamo sapere se sia, non che cosa sia.

Quindi non sono la stessa cosa l'essere di Dio e la sua essenza, quiddità o natura.

In contrario

Scrive S. Ilario [ De Trin. 7,11 ]: « In Dio l'essere non è accidentalità, ma verità sussistente ».

Quindi ciò che sussiste in Dio è il suo essere.

Dimostrazione:

Dio non è soltanto la sua essenza, come è già stato provato [ a. prec. ], ma anche il suo essere.

Il che può essere dimostrato in molti modi.

Primo, perché tutto ciò che si riscontra in qualcosa oltre alla sua essenza bisogna che vi sia causato o dai principi dell'essenza stessa, quale proprietà della specie, come l'avere la facoltà di ridere proviene dalla natura stessa dell'uomo ed è causato dai principi essenziali della specie, oppure da cause estrinseche, come il calore nell'acqua è causato dal fuoco.

Se dunque l'essere di una cosa è distinto dalla sua essenza, è necessario che l'essere di tale cosa sia causato o da un agente esteriore, o dai principi essenziali della cosa stessa.

Ora, è impossibile che l'esistere sia causato unicamente dai principi essenziali della cosa, poiché nessuna cosa può essere a se stessa causa dell'esistere, se ha un'esistenza causata.

È dunque necessario che ciò che ha un'essenza distinta dal suo essere abbia l'essere causato da altro.

Ma ciò non può dirsi di Dio, essendo Dio la prima causa efficiente.

È dunque impossibile che in Dio l'esistere sia qualcosa di distinto dalla sua essenza.

Secondo, poiché l'essere è l'attualità di ogni forma o natura: infatti la bontà o l'umanità non è espressa come realtà attuale se non in quanto diciamo che esiste.

È quindi necessario che l'essere stia all'essenza, quando ne è distinto, come l'atto alla potenza.

Non essendoci dunque in Dio alcunché di potenziale, come si è dimostrato sopra [ a. 1 ], ne segue che in lui l'essenza non è altro che il suo essere.

Quindi la sua essenza è il suo essere.

Terzo, poiché come ciò che è infuocato e non è fuoco è infuocato per partecipazione, così ciò che ha l'essere e non è l'essere è ente per partecipazione.

Ma Dio, come si è provato [ a. prec. ], è la sua essenza.

Se dunque non fosse il suo [ atto di ] essere, sarebbe ente per partecipazione e non per essenza.

Non sarebbe più dunque il Primo Ente, il che è assurdo affermare.

Quindi Dio si identifica con il suo essere, e non soltanto con la sua essenza.

Analisi delle obiezioni:

1. L'espressione « qualcosa a cui non si aggiunge nulla » può essere intesa in due maniere.

O come qualcosa che [ positivamente ] di sua natura comporti l'esclusione di aggiunte [ o determinazioni ]: come è proprio dell'animale non razionale di essere senza ragione.

Oppure come qualcosa che non riceve aggiunte [ o determinazioni ] poiché di per sé non le include: come l'animale preso come genere non include la ragione, dato che non appartiene al genere animale come tale avere la ragione; però il concetto di animale neppure lo esclude.

Quindi nella prima maniera l'essere senza aggiunte è l'Essere divino; nella seconda maniera invece l'essere senza aggiunte è l'essere generico o comune.

2. Del verbo essere si può fare un doppio uso: qualche volta esso significa l'atto dell'esistere, altre volte invece indica la copula della proposizione formata dalla mente che congiunge il predicato con il soggetto.

Se dunque essere è preso nel primo senso non possiamo dire di conoscere l'essere di Dio, come neppure la sua essenza; lo conosciamo invece soltanto nel secondo significato.

Sappiamo infatti che la proposizione che formuliamo intorno a Dio, quando diciamo: « Dio è », è vera.

E ciò lo sappiamo dai suoi effetti, come si è già detto [ q. 2, a. 2 ].

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