Summa Teologica - I

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Articolo 2 - Se il Figlio sia un altro rispetto al Padre

In 1 Sent., d. 9, q. 1, a. 1; d. 19, q. 1, a. 1, ad 2; d. 24, q. 2, a. 1; De Pot., q. 9, a. 8

Pare che il Figlio non sia un altro rispetto al Padre.

Infatti:

1. Altro è termine relativo indicante diversità di sostanza.

Se dunque il Figlio è un altro rispetto al Padre, pare che sia diverso dal Padre; ma ciò è contro S. Agostino [ Trin. 7,4.7 ], il quale afferma che con l'espressione tre persone « non vogliamo intendere alcuna diversità ».

2. Tutti i soggetti che si distinguono per essere tra loro altri e altri, differiscono in qualcosa.

Se dunque il Figlio è un altro rispetto al Padre, ne segue che è differente dal Padre.

Ora, ciò è contrario a quanto dice S. Ambrogio [ De fide 1,2 ]: « Il Padre e il Figlio sono una stessa cosa nella deità, e non c'è tra loro differenza di sostanza, né alcun'altra diversità ».

3. Alieno [ estraneo ] deriva dal latino alius [ altro ].

Ma il Figlio non è alieno rispetto al Padre: infatti S. Ilario [ De Trin. 7,39 ] afferma che nelle persone divine « non c'è nulla di diverso, nulla di alieno, nulla di separabile ».

Quindi il Figlio non è un altro rispetto al Padre.

4. Alius [ altro ] e aliud [ altra cosa ] hanno lo stesso significato e differiscono solo per il genere diverso.

Se dunque il Figlio è un altro rispetto al Padre, pare che sia anche un'altra cosa rispetto al Padre.

In contrario:

S. Agostino [ De fide ad Petrum 1 ] dice: « Una è l'essenza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, nella quale non è altra cosa il Padre, altra cosa il Figlio, altra cosa lo Spirito Santo; sebbene come persona altro sia il Padre, altro il Figlio, altro lo Spirito Santo ».

Dimostrazione:

Siccome, al dire di S. Girolamo [ cf. P. Lomb., Sent. 4,13 ], col parlare impreciso si finisce col cadere nell'eresia, parlando della SS. Trinità bisogna procedere con cautela e modestia: poiché, secondo S. Agostino [ De Trin. 1,3 ], « in nessun altro argomento l'errore è più pericoloso, più faticosa la ricerca, più fruttuosa la scoperta ».

Ora, quando trattiamo della Trinità dobbiamo evitare, stando nel giusto mezzo, due opposti errori: quello di Ario, che poneva con la trinità delle persone anche una trinità di nature, e quello di Sabellio, che poneva con l'unità di natura anche l'unità di persona.

Per sfuggire all'errore di Ario dobbiamo evitare, parlando di Dio, i termini diversità e differenza, per non compromettere l'unità dell'essenza; possiamo invece usare il termine distinzione, data l'opposizione relativa [ delle persone ].

Per cui, se in qualche testo autentico della Scrittura ci imbattiamo nelle parole diversità o differenza applicate alle persone divine, le dobbiamo intendere come significanti distinzione.

Per non ledere dunque la semplicità dell'essenza divina sono da evitare i termini separazione e divisione, proprie di un tutto suddiviso in parti.

Per non compromettere poi l'uguaglianza è da evitare la parola disparità.

E infine per non sopprimere la somiglianza si devono evitare i termini alieno e discrepante.

S. Ambrogio [ De fide 1,2 ] infatti dice che nel Padre e nel Figlio « vi è un'unica divinità senza discrepanza ».

E S. Ilario, come si è riferito [ ob. 3 ], afferma che in Dio « non c'è nulla di alieno e nulla di separabile ».

Per non cadere poi nell'errore di Sabellio dobbiamo evitare il termine singolarità, al fine di non negare la comunicabilità dell'essenza divina: per cui, secondo S. Ilario [ l. cit. ], « è sacrilego dire che il Padre e il Figlio sono un Dio singolare [ isolato ]».

E dobbiamo anche evitare il termine unico, per non escludere il numero delle persone: per cui S. Ilario [ l. cit. ] afferma che « da Dio si esclude il concetto di singolarità e di unicità ».

Possiamo tuttavia dire unico Figlio: poiché in Dio non ci sono più Figli; non possiamo però dire unico Dio: poiché la deità è comune a più [ persone ].

Evitiamo anche l'aggettivo confuso, per non togliere l'ordine di natura tra le persone: cosicché S. Ambrogio [ l. cit. ] può affermare: « Né ciò che è uno è confuso, né può essere molteplice ciò che non ammette differenza ».

Si deve anche evitare il termine solitario, per non distruggere la società delle tre persone.

Dice infatti S. Ilario [ De Trin. 4,18 ]: « Dobbiamo confessare che Dio non è solitario, né diverso »

Ora, il termine alius [ altro ], usato al maschile, non comporta se non la distinzione del soggetto: perciò possiamo correttamente dire che il Figlio è un altro rispetto al Padre: poiché è un altro soggetto della natura divina, come è un'altra persona e un'altra ipostasi.

Analisi delle obiezioni:

1. Altro, poiché suona come un nome individuale, sta a indicare un soggetto: perciò a giustificarne l'uso basta la distinzione di sostanza presa nel significato di ipostasi o persona.

La diversità invece richiede la distinzione di sostanza presa nel senso di essenza [ o natura ].

Quindi non possiamo dire che il Figlio è diverso dal Padre, quantunque sia un altro rispetto al Padre.

2. La differenza comporta una distinzione di forma.

Ora, in Dio c'è solo una forma, come è chiaro dalle parole di S. Paolo [ Fil 2,6 ] [ che, parlando del Figlio, dice ]: « il quale, sussistendo nella forma di Dio … ».

Quindi l'aggettivo differente propriamente non può convenire a Dio, come risulta dal testo riportato [ nell'ob. ].

- Tuttavia il Damasceno [ De fide orth. 3,5 ], parlando delle persone divine, usa il termine differenza, in quanto le proprietà relative possono essere indicate come forme [ differenti ]: e perciò afferma che le ipostasi non differiscono tra di loro per la sostanza, ma per delle proprietà determinate.

Però [ in questo caso ] differenza è presa nel senso di distinzione, come si è spiegato [ nel corpo ].

3. Alieno è ciò che è estraneo e dissimile.

Ma tale significato non è incluso nella voce altro: perciò diciamo che il Figlio è un altro rispetto al Padre, sebbene non si possa affermare che sia alieno.

4. Il neutro è un genere indeterminato mentre il maschile, come pure il femminile, è determinato.

Per questo giustamente si usa il neutro per indicare l'essenza comune, e il maschile e il femminile per indicare un certo soggetto determinato in una natura comune.

Infatti, anche parlando dell'uomo, se si chiede: chi è questo?, si risponde, Socrate, che è il nome di un supposito; se invece si domanda: che cosa è questo?, si risponde: un animale razionale e mortale.

Quindi, siccome in Dio la distinzione riguarda le persone e non l'essenza, noi diciamo che il Padre è alius [ altro ] rispetto al Figlio, ma non aliud [ cioè altra cosa ]; e all'opposto diciamo che essi sono unum [ una stessa cosa ], ma non unus [ un solo soggetto ].

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