Summa Teologica - I

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Articolo 1 - Se negli angeli possa esistere il male della colpa

In 2 Sent., d. 5, q. 1, a. 1; d. 23, q. 1, a. 1; C. G., III, cc. 108-110; De Verit., q. 24, a. 7; De Malo q. 16, a. 2; Opusc. 15, De Angelis, c. 19; In Iob, c. 4, lect. 3

Pare che negli angeli non ci possa essere il male della colpa.

Infatti:

1. Come dice Aristotele [ Met. 9,9 ], il male si trova soltanto negli esseri che sono in potenza, poiché il soggetto della privazione è l'ente in potenza.

Ma gli angeli, essendo forme sussistenti, non sono in potenza.

Quindi in essi non può trovarsi il male.

2. Gli angeli sono più nobili dei corpi celesti.

Ma nei corpi celesti, come asseriscono i filosofi, non può trovarsi il male.

Quindi neppure negli angeli.

3. Un essere conserva sempre ciò che gli è naturale.

Ora, per gli angeli è naturale essere mossi ad amare Dio.

Quindi tale moto non può venire a mancare in essi.

Ma se amano Dio non possono peccare.

Quindi gli angeli non possono peccare.

4. L'atto della volontà non si volge che al bene [ vero ] o al bene apparente.

Ma per gli angeli non ci può essere un bene apparente che non sia un bene vero: poiché in essi l'errore o non esiste assolutamente, o per lo meno non può precedere la colpa.

Quindi gli angeli non possono volere se non ciò che è il vero bene.

Ora, nessuno pecca nel volere il vero bene.

Quindi l'angelo nell'esercizio della sua volontà non può peccare.

In contrario:

Sta scritto [ Gb 4,18 ]: « Ai suoi angeli imputa difetti ».

Dimostrazione:

L'angelo, come anche ogni altra creatura razionale, se viene considerato nella sua sola natura, può peccare; e se una creatura qualsiasi è impeccabile lo deve a un dono della grazia, non alla sua natura.

E la ragione sta nel fatto che peccare significa precisamente deviare dalla rettitudine che l'atto deve avere, e ciò sia nell'ordine naturale, sia nel campo della morale, sia in quello dell'arte.

Ora, l'unico atto che non può deviare dalla rettitudine è quello che ha per norma la stessa virtù dell'agente.

Se infatti la mano dell'artefice fosse la regola stessa dell'incisione, l'artefice inciderebbe il legno sempre a regola d'arte; se invece l'esattezza dell'incisione proviene da una norma distinta da lui, allora la sua incisione potrà sempre essere o giusta o sbagliata.

Ora, la sola volontà divina è la norma del proprio atto, poiché essa non è ordinata a un fine superiore.

Invece la volontà di qualsiasi creatura non ha la rettitudine insita nel proprio atto, ma ha come regola la volontà divina, alla quale appartiene il fine ultimo: a quel modo in cui la volontà dell'inferiore deve essere regolata da quella del superiore, p. es. la volontà del soldato da quella del comandante dell'esercito.

Quindi solo nella volontà divina non ci può mai essere il peccato; mentre esso si può verificare in ogni volontà creata, stando alla condizione propria della sua natura.

Analisi delle obiezioni:

1. Gli angeli non sono in potenza rispetto al loro essere sostanziale.

Sono tuttavia in potenza quanto alla loro facoltà intellettiva, in quanto possono volgersi a questa o a quell'altra cosa.

E di qui appunto può derivare in esi il peccato.

2. I corpi celesti hanno soltanto l'operazione naturale.

Come quindi nella loro natura non vi può essere quel male che è la corruzione, così nella loro operazione naturale non ci può essere quel male che è il disordine.

Ma negli angeli, oltre all'operazione naturale, c'è anche l'atto del libero arbitrio: e questo rende possibile il male.

3. È naturale per l'angelo volgersi con un moto di dilezione verso Dio quale causa del suo essere naturale.

Ma volgersi a Dio in quanto oggetto della beatitudine soprannaturale non può avere altro principio che la carità, da cui l'angelo poteva allontanarsi col peccato.

4. Nell'atto del libero arbitrio ci può essere il peccato in due modi.

Primo, se si vuole direttamente un male: come quando un uomo pecca scegliendo l'adulterio, che in se stesso è un male.

E tale peccato procede sempre da una certa ignoranza o errore: altrimenti non si sceglierebbe come bene ciò che in realtà è un male.

L'adultero infatti, spinto dalla passione o dall'abitudine, erra nel suo giudizio particolare, scegliendo il piacere dell'atto disordinato come se al presente fosse un bene da farsi; e ciò anche qualora nel giudicare la cosa in astratto non cada in errore, ma ne abbia invece una valutazione giusta.

Ora, gli angeli non possono peccare in questo modo, perché in essi non ci sono le passioni che annebbiano la ragione o l'intelletto, come è evidente da quanto si è già dimostrato [ q. 59, a. 4 ]; e neppure ci poteva essere in essi precedentemente al primo peccato un abito che li inclinasse alla colpa.

- Secondo, si può peccare in un altro modo col libero arbitrio, scegliendo cioè una cosa che in sé è buona, ma desiderandola senza seguire l'ordine stabilito dalla retta regola o misura: cosicché la deficienza peccaminosa non deriva dalla cosa scelta, ma dal modo della scelta, che non è fatta nel debito ordine; come se uno volesse pregare, ma senza curarsi dell'ordine stabilito dalla Chiesa.

Ora, tale peccato non suppone l'ignoranza, ma soltanto una mancanza di considerazione di quelle cose che andrebbero considerate.

E in questa [ seconda ] maniera peccò l'angelo, volgendosi col libero arbitrio al proprio bene senza rispettare la regola stabilita dalla divina volontà.

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