Summa Teologica - I

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Articolo 2 - Se il libero arbitrio sia una potenza

In 2 Sent., d. 24, q. 1, a. 1; De Verit., q. 24, a. 4

Pare che il libero arbitrio non sia una potenza.

Infatti:

1. Il libero arbitrio non è altro che un giudizio libero.

Ora, il giudizio non indica una potenza, ma un atto.

Quindi non è una potenza.

2. Si dice [ P. Lomb., Sent. 2,24 ] che il libero arbitrio è una facoltà della volontà e della ragione.

Ma il termine facoltà sta a indicare la facilità di una data potenza, facilità che si ottiene mediante l'abito.

Quindi il libero arbitrio è un abito.

- E anche S. Bernardo [ De gratia et lib. arb., cc. 1,2 ], afferma che « il libero arbitrio è un abito dell'anima, libero di sé ».

Non è dunque una potenza.

3. Col peccato non viene tolta alcuna potenza naturale.

Ma il libero arbitrio viene tolto in seguito al peccato: poiché, dice S. Agostino [ Enchir. 30 ], « l'uomo, usando male del libero arbitrio, ha perduto se stesso e quello ».

Quindi il libero arbitrio non è una potenza.

In contrario:

È chiaro che nulla può fare da soggetto di un abito all'infuori di una potenza.

Ma il libero arbitrio è il soggetto in cui si trova la grazia, con l'assistenza della quale esso sceglie il bene.

Quindi il libero arbitrio è una potenza.

Dimostrazione:

Sebbene « libero arbitrio », secondo il significato proprio del termine, indichi un atto, pure nell'uso comune chiamiamo libero arbitrio il principio di tale atto, vale a dire ciò per cui l'uomo giudica liberamente.

Ora, in noi i princìpi dell'atto sono la potenza e l'abito: si dice infatti che conosciamo una cosa sia mediante la scienza, sia mediante la facoltà intellettiva.

Bisognerà dunque che il libero arbitrio sia o una potenza, o un abito, oppure una potenza unita a un abito.

Ora, che non sia un abito, né una potenza unita a un abito, lo si rileva chiaramente da due argomenti.

Primo, perché se fosse un abito dovrebbe essere un abito naturale, essendo cosa naturale per l'uomo avere il libero arbitrio.

Ora, non esiste in noi un abito naturale per le cose che sottostanno al libero arbitrio, poiché noi tendiamo naturalmente a fare quanto è oggetto degli abiti naturali, p. es. ad assentire ai primi princìpi, e d'altra parte le cose a cui tendiamo naturalmente non sottostanno al libero arbitrio, come si è notato sopra [ q. 82, aa. 1,2 ] a proposito del desiderio della felicità.

Quindi è contro il concetto stesso di libero arbitrio che esso sia un abito naturale.

Che poi sia un abito non naturale è in contrasto con la sua naturalità.

Quindi rimane acquisito che esso non è un abito per nessun verso.

Secondo, lo rileviamo dal fatto che gli abiti vengono definiti da Aristotele [ Ethic. 2,5 ] come qualità « secondo le quali siamo disposti bene o male rispetto alle passioni o alle azioni ».

In materia di concupiscenza, infatti, con la temperanza riceviamo una disposizione buona, e con l'intemperanza una disposizione cattiva; e così con la scienza abbiamo una disposizione buona a compiere l'atto dell'intelletto, poiché conosciamo la verità, mentre l'abbiamo cattiva con l'abito contrario.

Ma il libero arbitrio è indifferente nello scegliere bene o male.

Dunque non è possibile che sia un abito.

- Rimane quindi che sia una potenza.

Analisi delle obiezioni:

1. L'uso vuole che la potenza sia indicata col nome del suo atto.

Quindi mediante quell'atto che è il giudizio libero viene denominata la potenza che ne è il principio.

Altrimenti, se il libero arbitrio indicasse un atto, non sarebbe permanente nell'uomo.

2. « Facoltà » talvolta indica la potenza spedita nell'operare.

E in questo senso il termine « facoltà » è posto nella definizione del libero arbitrio.

- S. Bernardo poi parla di abito non in quanto si distingue dalla potenza, ma in quanto sta a indicare una qualsiasi disposizione ad agire.

E ciò può dipendere sia da una potenza che da un abito: infatti dalla potenza l'uomo è messo in condizione di poter agire, mentre dall'abito è messo in condizione di poter agire bene o male.

3. Si dice che l'uomo col peccare ha perduto il libero arbitrio non quanto alla libertà naturale, che dice immunità dalla coazione, ma quanto alla libertà che è esenzione dalla colpa e dalla miseria.

- Ma parleremo di queste cose in seguito, quando tratteremo della morale nella seconda parte di quest'opera [ I-II, qq. 85 ss.; q. 109 ].

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